I know people say that you are a misfit

erin + jazz [challange accepted]

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    Quel venerdì pomeriggio non appena la professoressa De Thirteenth, la bionda supplente di Cura delle Creature Magiche, congedò la classe, Erin scattò fuori dall’aula prima ancora di poter salutare Scott – che sapeva, in ogni caso, avesse tirocinio al Ministero – fiondandosi all’interno di Hogwarts per recuperare lo zainetto abbandonato in Sala Grande. Non era mai stata una velocista, ma a quanto pareva fare ingestione di Rainbow Pawa la portava a superare l’usuale sovreccitazione da zuccheri raggiungendo un livello che qualunque scienziato avrebbe considerato proibitivo.
    Non c’erano limiti, per Erin Therese Chipmunks - ops: Erin Timberlake Aguilera. Malgrado fosse quasi un anno che la Chipmunks si spacciasse per Aguilera, la cugina di Phobos Campbell direttamente dalla Colombia con poco furore, ancora non era riuscita ad abituarsi alla nuova identità; mentirei se dicessi che le occasioni in cui si presentava come Chipmunks fossero rare, ma riusciva sempre a salvarsi in corner ricordando al proprio interlocutore quanto amasse Scott (suo fratello a tutti gli effetti, ma i suoi compagni di scuola lo credevano semplicemente il suo miglior amico) e quanto, nel suo cuore, fossero una famiglia.
    Beh. Fino a quel momento, se l’erano bevuta tutti; tirava sicuramente acqua al suo mulino il fatto che, con quel sorriso allegro e le fossette alle guance, attirasse solo tenerezza e simpatie. Essere adorabile, oltre a renderla target perfetto di un mondo crudele, doveva pur avere dei risvolti positivi. Giusto? Sulla panca dei Tassorosso, abbandonato a se stesso e fiero padrone dell’intera tavolata, Erin colse il bitorzoluto zainetto che vi aveva lasciato un paio d’ore prima, ancora - …sperava? – intatto e pronto all’azione. Sorrise trionfante, gli occhi verde smeraldo ad illuminarsi di calda eccitazione: aveva grandi progetti, per quella giornata. Lo afferrò senza controllare che il contenuto fosse al proprio posto, fiduciosa e ottimista di natura, ed in un battito di ciglia si ritrovò nuovamente a correre a perdifiato verso la Capanna del Guardiacaccia. Quel dieci Novembre non aveva nulla di speciale, eccetto forse un cielo ancor più grigio e fosco delle settimane precedenti. Ed allora perché Erin era così entusiasta? Ottima domanda, signori e signore, riassumibile in: Halloween. Come già ripetuto in precedenza, non era certo una delle sue festività preferite, anzi, ne era sinceramente e senza vergogna terrorizzata, ma sapete cosa portava con sé?
    Dolci. Infiniti dolci. Erano giorni e giorni, e giorni ed altri giorni, che la Chipmunks viveva quasi esclusivamente delle delizie che Jess e Nathan, i suoi due migliori amici morti che giravano per il mondo magico nascosti dal Mantello dell’Invisibilità, avevano sgraffignato al Red Velvet. Non che…non che i mini reb fossero dei criminali (sì, okay, erano effettivamente ribelli, ma nel mondo di Erin non valeva come delinquenza), erano semplicemente…poveri. Erin non aveva mai avuto una famiglia alle spalle, nata e cresciuta al Quartier Generale, e non aveva mai (mai) lavorato, il che rendeva le sue finanze nulle; certamente i due amici fantasma non potevano contribuire alla cassa mini reb, ed il tirocinio di Scott non veniva pagato, il che rendeva il gruppo ben al di sotto della soglia di povertà. MA! Ma. Lasciavano sempre simpatici biglietti motivazionali al proprietario del Red Velvet, ed in un taccuino la Chipmunks si segnava diligentemente i debiti con il negozio di dolciumi: un giorno avrebbero pagato i loro debiti.
    Non quel giorno, ma… un giorno.
    «jAAAAAAAAAAAAAAZZ» frenò in scivolata di fronte alla Grifondoro, un sorriso brillante e le guance arrossate dal freddo e la corsa. Sollevò il palmo di fronte alla Dubois (la gemella approcciabile, per intenderci; #elodie mi fa così paura) invitandola a darle tempo di tornare a respirare come un essere umano normale, una mano a premere sulla milza per affievolire il dolore al fianco. «oggi…hai…da….fare?» alzò un dito impedendole di rispondere: era stata chiaramente una domanda retorica, la sua. Certo che aveva da fare.
    Con lei. Semplicemente, Jazz ancora non lo sapeva. «andiamo ALL’AVVENTURA»
    Non le diede particolari spiegazioni in merito a quale avventura, trascinandosela invece – ambedue con ancora la divisa scolastica – verso il Platano Picchiatore, dove avrebbero potuto sgattaiolare nella Stamberga Strillante. «ho il cibo,» le disse però, aprendo a fatica l’enorme zaino e sventolando di fronte alla ragazza un contenitore di brownies corretti (la sua specialità). «gli ultimi appunti dello shipper club,» inarcò entrambe le sopracciglia. Erin aveva fatto amicizia con Jazz grazie alle sue doti da psycho shipper ma poco ninja: a Settembre di quello stesso anno, nascosta in biblioteca ad osservare le interazioni di Perses Sinclair e Gideon McPherson (scrivendo nel proprio quaderno ogni battuta: captain shipper doveva sapere.) era inciampata con poca classe su una pila di libri che qualche pigrone aveva abbandonato vicino agli scaffali; ovviamente, il rumore molesto aveva attirato gli sguardi dei due ragazzi, ed una Erin impanicata si era ritrovata con due paia d’occhi a fissarla intensamente. Probabilmente sarebbe morta d’imbarazzo in quello stesso, strategico, punto, se non fosse capitata lì per sbaglio (letteralmente per sbaglio: era più difficile trovare la Dubois in biblioteca che Erin da un fruttivendolo) una Jazz selvatica. Avevano un certo vibes, gli shipper; una specie di frequenza peculiare captata solo da altri shipper (una versione più acuta ed insistente del gay radar): la Grifondoro, cogliendo probabilmente il disagio della Tassorosso, l’aveva salvata in calcio d’angolo con un «sì, questo era il libro che cercavo THANK YOU BERRY MUCH - CIAO» strappando la Aguilera da una lenta e dolorosa morte per auto combustione.
    I Gides avevano sancito la loro amicizia. Un’alleanza che andava al di là del sangue, della razza, del colore dei capelli (????): sostanzialmente, volente o nolente, Jazmine Dubois si era beccata una cozza molesta Erin nella propria vita, e non v’era più alcuna via di fuga.
    Quando la mora aveva scoperto le immense lacune in fatto di otp, brotp, squad, br/otp e compagnia cantante della rosso-oro, aveva preso come scopo personale nella propria vita quello d’illuminare la strada di Jazz: poco le mancava alle presentazione power point, ma ci stava lavorando.
    «e due paia di binocoli!!&&» sbandierò i due attrezzi con orgoglio di fronte a sé. Sarebbero serviti? Probabilmente no, considerando che almeno quel giorno. non era previsto bird watching ihih, ma non si sapeva mai quando avrebbero potuto essere utili: meglio partire prevenuti.
    E, ridendo e scherzando, Erin Therese Chipmunks aveva davvero una missione per quel pomeriggio – semplicemente non aveva ancora avuto modo di parlarne con Jazz. Non era un genere di argomento che poteva affrontare fra una lezione e l’altra al castello, e non era…non era neanche certa di come farlo. Wikihow non era aggiornato sulle guide “come dire ad una tua amica che sparse per Londra ci sono delle persone che provengono da un universo alternativo” (male. Aveva già scritto ai fondatori di wikihow perché rimediassero, per inciso.), ed Erin non era propriamente conosciuta per essere la creatura più affidabile del circondario.
    Confidava che avrebbe trovato l’ispirazione necessaria, al momento giusto. Percorso il tunnel e ritrovatesi alla Stamberga, la Tassorosso estrasse la bacchetta ed espirò profondamente: la smaterializzazione non era difficile, ma le metteva un’ansia da prestazione non indifferente (beh; cose che capitavano quando rischiavi, non so, di abbandonare una gamba o un paio di braccia al punto di partenza). Lanciò un’occhiata alla Dubois, labbra strette fra loro e sopracciglia arcuate. «okay,» deglutì, annuì. «dobbiamo andare a diagon alley» più o meno, ecco. «ti fidi di me?»
    Sperava davvero di sì, perché le smaterializzò comunque.

    Fece guizzare lo sguardo dall’Inferius alla Grifondoro, improvvisamente molto felice di avere la ragazza al proprio fianco – beh? Era risaputo che la Tassorosso non fosse particolarmente coraggiosa. L’Inferius altro che non era che un quartiere ormai abbandonato, e creduto maledetto, situato oltre tortuose vie secondarie di Diagon Alley. Le strutture presenti erano fatiscenti e distrutte, il cemento degli edifici degradato e spaccato dagli incantesimi dei duelli abusivi che ivi prendevano luogo. I fuochi fatui contenuti dentro le lanterne, emettevano una luce se possibile ancor più inquietante, sporcando d’oro e azzurro i contorni di ogni oggetto. Non aveva mai compreso perché (né si era mai interessata a scoprirlo.) ma il sole sembrava non giungere mai, all’Inferius – quasi ne assorbisse la luce per renderla agli occhi sotto forma di foschia.
    Era…terrificante, ed ecco perché credeva che alla Grifa sarebbe piaciuto. Sì, cercava di temprarne l’umore per prepararla ad una lunga, travagliata vicenda che avrebbe potuto metterla in pericolo: il sotto sopra. «ti chiederai perché ti abbia portata qui,» inspirò, espirò lentamente. Volse il busto verso l’altra, gli occhi a cercare quelli grigio verdi di Jazz. «nonperuccidertigiuro» specificò veloce, alzando le mani in segno di resa: di quei tempi, effettivamente, non si sapeva mai. Erin, ma perché sei così. Aveva già pochi amici (…per un motivo.) doveva per forza fare l’inquietante anche con Jazz?
    . «ti ricordi tutte quelle…persone che sono sparite a dicembre dell’anno scorso? Tipo sersha kavinsky, la prefetto serpeverde, o cj knowles, prefetto tassorosso… aidan gallagher, grifondoro come te. le quaranta persone che il morsmordre» Erin non era solita leggere il giornale del mondo magico, specialmente non il Morsmordre, ma era impossibile che una notizia del genere fosse passata inosservata alla Grifondoro: erano spariti anche alcuni dei loro insegnanti. «ha detto siano…morte negli…attentati terroristici alle scuole magiche di salem e beauxbatons? i…» umettò le labbra, socchiuse le palpebre ed arricciò suo malgrado il naso: sapeva che il Regime, e la Censura, usava quel termine per definire chiunque fosse contrario alla politica del mondo magico, ma per una ragazza ch’era nata e cresciuta nella Resistenza, che la respirava da sempre, era difficile da accettare. «traditori» strinse le mani fra loro. «beh, loro…loro non sono morti davvero» sussurrò, lanciando occhiate attorno a sé per assicurarsi che non ci fosse nessuno. «sono… in diverse epoche temporali. Alcuni nel 1918, altri nel 2118 – non ho capito bene come, penso c’entrino delle…giratempo speciali» abbassò lo sguardo sui propri piedi, sollevandolo poi verso la Dubois. «sono vivi» bisbigliò, avvicinandosi maggiormente. «ed hanno…non so come…aperto una specie di….portale? verso un – uhm. Universo…alternativo. Una realtà diversa dalla nostra» si rendeva conto di quanto suonasse cospiratorio, ed assurdo, tutto quello, ma…aveva bisogno che Jazz le credesse, che vedesse negli occhi di Erin quanto fosse seria: non era una delle fanfiction che amava leggere.
    Era la loro vita. «dove vivono…persone come noi. Cioè, noi, ma non proprio …noi» strinse le labbra, corrugò le sopracciglia. «tipo, non so, magari nel loro mondo esiste una jazz che è stata smistata in serpeverde anziché in grifondoro, o che non ha mai frequentato hogwarts» Dondolò sui talloni e scosse il capo, svuotando i polmoni lentamente. «ecco, e…qualche mese fa, loro sono…accidentalmente capitati nel nostro mondo, e…» ancora fece guizzare lo sguardo attorno a loro, tornando poi a cercare il viso della bionda. «si sono…persi – fra loro, intendo. non sanno niente di questo mondo, e …hanno bisogno di alleati» Avrebbe potuto esserci un’Amalie, sparsa per Londra, in balia di eventi che non poteva comprendere: per quanto non sarebbe stata la sua Amalie Shappherd, era pur sempre una Amalie.
    Ed era la sua migliore amica. «e io vorrei…provare a cercarli. aiutarli» il tono sottile ma deciso, speranzoso ma cocciuto. Porse simbolicamente una mano a Jazz, sorridendole timida: «sei con me?»
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    Ora, sarà anche strano da credere ma quel giorno Jazz si stava sinceramente facendo gli affari suoi. No, non capitava spesso, ma pure lei di tanto in tanto si stufava di ficcanasare, optando invece per un'intera ed assolutamente esagerata giornata di relax. O meglio, quelli erano stati i suoi piani di nullafacenza per la giornata, poi era ovvio che le cose non sarebbero mai potute andare secondo i suoi piani, o non si sarebbe trattato di Jazzmine Dubois. Le persone fortunate sono creature mitologiche, ricordatevelo sempre! La sfiga ci vede benissimo!!! tuttavia, non era detto che l'arrivo di Erin fosse per forza un male. Si trattava di una ragazza così tranquilla e pacata che- va beh, lasciamo perdere.
    "No, non ho niente da fare, perché?" ma ovviamente una risposta chiara e precisa non doveva esser contemplata nei piani dell'amica, quindi la Dubois si limitò a lasciarsi trascinare, accellerando il passo fino quasi a correre pur di starle dietro. Buffo come la sua vita scolastica fosse cambiata dal suo primo incontro con lo strambo mondo che era il club degli shippers ma hey, almeno ci aveva guadagnato qualche amico-- nonchè parecchio materiale di dubbia legalità con cui ricattare i suoi peggiori nemici, non che ne avessi molti, poi. Anzi, facciamo che ci aveva guadagnato solo qualche amico ed una sorta di alibi morale in grado di giustificare la sua instancabile ed incessantemente curiosità.
    Annuì leggermente, mormorando qualche mhh, mhh d'obbligo mentre la tassa parlava del materiale che si era portata appresso. Tutto bene eh, ma il punto era: a cosa serviva? Anzi no, ce n'erano due di punti, a dire il vero "Perché i binocoli, scusa?" non era del tutto convinta che fossero nel bel mezzo di un'avventura molto legale.
    "ti fidi di me?" sentendo quelle parole, il primo ed unico pensiero di Jazz fu: sto per schiattare.

    Spoiler allllert, non era morta. Si era anzi ritrovata -ma tu guarda- all'Inferius. Ok, non l'avrebbe esattamente piazzato al primo posto della sua personale lista sugli ipotetici luoghi preferiti di Erin ma hey, lei non giudicava. Quello era un posticino piuttosto lugubre, uno di quelli che lei avrebbe volentieri esplorato per scommessa in una notte buia e tempestosa e bla bla bla, ma alla fin fine non era quello l'importante. Tuttavia, nel momento stesso in cui la compagna si decise -finalmente- di spiegare il motivo del loro piccolo viaggio, Jazz non poté che dubitare, almeno per un secondo, delle sue scelte di vita. Aveva agito bene, durante la sua breve esistenza? Oppure quella specie di missione top secret era il karma negativo accumulato negli anni che stava tornando per prenderla a calci nel sere? Ma tutto questo se lo chiede solo per un secondo eh, perché subito dopo non poté fare a meno di pensare che: wow, ci stava di brutto!. Innanzitutto, gente che pareva morta non era effettivamente morta, il che era quasi sempre un bene, ma! ora avevano pure la possibilità di interagire con degli alieni-- cioè, più o meno. Ma tutto sommato, visto che tecnicamente non provenivano dalla terra, non quella almeno, i poveri dispersi potevano tranquillamente essere classificati come extraterrestri, no? Seguite il ragionamento? Perché fila, eh, poteva anche trattarsi di una scoperta scientifica rilevante, parola mia.
    Afferrò la mano della tassorosso con decisione, cominciando a trascinarsela dietro "Ok, tu dimmi dove andare, ed io ci vado"
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    «non ce la faccio,» sibilò frustrato, calciando testardo un sassolino dal pavimento, strizzando le palpebre e costringendo i polmoni a collaborare. Non aveva mai avuto un attacco di panico in diciotto, sudati, anni, di conseguenza non aveva realmente idea – se non quanto letto sui libri – di come funzionasse, ma era abbastanza certo che fosse quello che stava per accadere al suo corpo: un maledetto attacco di panico.
    Dopo quattro mesi in un universo alternativo e con la sola compagnia di un Carter Mckenzie, Percival BMW sentiva di esserne del tutto giustificato. Riempì i polmoni fino a sentire il petto scoppiare, la vista offuscata da pallini bianchi e neri. Afferrò la giacca di Carter, alzandosi sulle punte dei piedi e tirandolo a sé per colmare i quasi venti centimetri che li separavano: «non ce la faccio, CARRIE» ripetè in un sibilo, i pugni stretti al tessuto della giubba del ragazzo. Fino a quattro mesi prima, Percy non aveva assolutamente idea di chi fosse Carter; perfino partecipando insieme alla missione non l’aveva degnato di mezza occhiata, concentrato com’era a non perdere di vista Penn, armeggiare con i suoi droni, ed evitare Frankie Cobain: dopo le settimane passate fianco a fianco, solamente loro due, poteva affermare con certezza di non sapere ancora un cazzo.
    Ma andava bene ad entrambi così. I silenzi del moro venivano brillantemente riempiti dal loquace Buckingham Meadows Volkswagen, il quale non era stato progettato per rimanere zitto – perlomeno non in un mondo cui non avesse accesso alle sue attrezzature, le quali necessitavano, quando le adoperava, una quiete religiosa. Non era certo che l’altro ragazzo l’avesse mai ascoltato, ma nel tempo passato insieme, Percy gli aveva raccontato tutta la sua vita. Perfino le parti delle quali non aveva mai parlato con nessuno - non perché fossero un segreto o se ne vergognasse, semplicemente…non ne aveva mai avuta l’opportunità? Credeva? O forse non aveva mai voluto, e lo sapeva: parlava davvero troppo, Percy, ma solitamente evitava argomenti puntigliosi o personali. Non aveva idea di come gestirli, se gestirli. In cuor suo temeva potessero renderlo più vulnerabile e delicato, ma non l’aveva mai ammesso con se stesso. Se negli anni aveva evitato di parlarne con Penn, o con Fawn, o con chiunque altro avesse avuto l’audacia di essere suo amico, era perché su di loro, Percy, aveva cercato di fare colpo (nella maniera più platonica ed affettuosa possibile): ma CARTER? Non aveva bisogno di affascinarlo, o di essergli simpatico.
    Era incastrato insieme a lui, volente o nolente. E sì, Percy poteva talvolta mostrarsi un fastidioso pain in the ass, ma era anche un ragazzo sveglio e ricco di risorse; nei mesi aveva perfino imparato a rispettare i necessari, a suo dire, momenti di solitudine di Carter: come già detto, Percy era un po’ arrogante e rompi coglioni, ma non voleva rimanere da solo. Non avrebbe permesso ad un Carter Mckenzie qualunque di abbandonarlo. «ci credi» sibilò a denti stretti, cercando gli occhi scuri dell’altro. «ci credi» okay, qua è necessario chiarire un punto cruciale: nel loro mondo, Percy era uno dei fighetti. Le feste più cool, i passatempi più cool, il braccio che si stringeva sulle spalle di tutti ma non si faceva a sua volta stringere da nessuno. Eccetto pochi, pochissimi casi (umani), non aveva veri amici: conoscenze, e conoscenze importanti, ma non amici. Se Percy fosse davvero così – superficiale, atipico, anaffettivo - ? No. No, non lo era. Quando si guardava allo specchio, le dita a scivolare nei corti ricci bruni, sapeva di non essere quel ragazzo: ma era più facile, esserlo.
    Meno impegnativo. Gli lasciava tempo per dedicarsi ai suoi hobby.
    Comunque, per quanto personalmente se ne dissociasse, faceva parte di quella categoria, e quella categoria non avrebbe mai volto la propria attenzione ad un Mckenzie – specialmente non dopo la caduta degli Eletti. Carino più che bello, tenero più che affascinante, troppo…solo per attirare l’interesse da colibrì dei Percy. Eppure: «sono arrivato al punto,» puntò un indice contro il suo petto, e ivi tamburellò. «il punto esclamò indignato, soffocando la voce acuta in un più basso grugnito. Dovevano passare inosservati, okay - grazie tante - ma quando ci voleva una bella crisi isterica, ci voleva. «di trovarti attraente cioè?? In quei mesi aveva davvero – davvero – pensato di provarci con lui, più per noia che per reale interesse. Si era trattenuto solo perché…beh, sarebbe stato imbarazzante in qualsivoglia genere di conseguente scenario, e Percival restava comunque un Corvonero: logico fino alla morte, ed oltre. Non c’era malizia nel tono di Percy, quanto più un dato di fatto; rimanere in quel campo rendeva la conversazione approcciabile e non imbarazzante – anche perché Percy s’imbarazzava per voti inferiori alla E, per esperimenti non riusciti, e non per qualcosa di stupido come le persone. «non so se comprendi il disagio» Forse no; forse non lo capiva davvero, e trovava Percy esagerato e stravagante.
    Beh. Percy era esagerato e stravagante, ma era anche un ragazzo socievole ed estroverso: aveva bisogno di contatto umano, di qualunque genere si trattasse; non importava neanche che fosse superficiale o falso, purchè fosse qualcosa. E, Dio!, gli mancava sua sorella. Più passava il tempo, più una sensazione di malessere minacciava di soffocarlo, obbligandolo a chiudersi in se stesso con le braccia avvolte in vita. Allontanò una mano per posarla sul proprio petto. «ho bisogno di a m o r e» scandì, scuotendolo lievemente. Un abbraccio?? CARTER, DAI, SMETTILA DI FARE IL FRIGIDO CI CONOSCIAMO DA ALL’INCIRCA 2880 ORE, NON SIAMO AMICI? SEI UNA CAPRA.
    Avrebbe potuto smarrirsi con chiunque – chiunque! – ed invece gli era capitato lui. Ma perché. Che poi, poverino, era invero un bravissimo ragazzo - un po’ troppo per i Percy del mondo – però era…chiuso, specialmente rispetto all’esuberante BMW. Aveva bisogno di un matching fire. Di strette di mano segrete, di abbracci nella notte, tango da ubriachi (ubriachi de che, poi. di vita), MICA CHIEDEVA TANTO. Era la prima volta che Carter assisteva all’isterismo di Percy? Certo che no, ed oramai aveva imparato a farci l’abitudine – o, in alternativa, usava il suo potere per fargli vedere unicorni e metterlo a tacere: dipendeva dai giorni. «potrei davvero b-» L’altro gli schiaffò, con più violenza del necessario se permettete il mio parere, il palmo sulla bocca per farlo tacere, spingendo entrambi ancor più nell’ombra dell’Inferius. Quasi ci sperò che fosse infine giunto il momento, ed invece il Mckenzie era solo l’usuale badger della situazione – di fatti, poco dopo, giunse una sottile voce femminile da dietro l’angolo. Percy sapeva che senza Carter sarebbe probabilmente o morto o impazzito, ma non gliel’avrebbe mai detto: era un piccolo stronzetto orgoglioso.
    «[…] si sono…persi – fra loro, intendo. non sanno niente di questo mondo, e …hanno bisogno di alleati» Drizzò le spalle e cessò di respirare, il cuore a battere frenetico contro le costole. Afferrò il braccio di Carter con entrambe le mani, trattenendo il fiato e l’impeto di adrenalina.
    Parlavano di loro? Fissò un punto imprecisato oltre la schiena dell’altro, mentre Carter piegava lievemente il capo verso le nuove arrivate. «e io vorrei…provare a cercarli. aiutarli» Sentì la forza venirgli meno, ed il muscolo cardiaco scendere fin sotto i piedi. Per quanto in quei mesi non si fossero mai, mai fermati dal cercare gli altri, sarebbe stata una menzogna dire che Percy ancora ci sperasse: troppo cinico per crederlo. La statistica avrebbe voluto che in quelle sedici settimane incontrassero almeno uno, uno, dei loro, ma così non era stato. Voleva trovare sua sorella? . Dio, perfino il Cobain e la combriccola di disagiati gli sarebbe andata bene in quel momento, ma… avere la concreta, la concreta, possibilità di farlo? Sembrava troppo bello perché fosse vero. Carter abbassò il braccio con il quale aveva messo a tacere Percy, ma il BMW non diede cenno di voler continuare a parlare. Era sempre stato il più entusiasta fra i due, il chiacchierone; era stato lui ad approcciare ciascuno dei viandanti a cui erano andati incontro in quei mesi, sempre sotto le sembianze di qualcun altro (aveva la metamorfosi): dato che nessuno dei due era in grado di cancellare la memoria, Carter Eletto e Percy Scelto, avevano dovuto essere cauti - estremamente cauti - e non avevano mai cavato un ragno dal buco.
    Ma quella voce? Più ci pensava, meno aveva dubbi. Deglutì, cercò lo sguardo scuro del Mckenzie. Si ritrovò senza nulla da dire - per la prima volta dopo mesi. Non riuscì neanche a sorridere.
    Invero, Percy era terrorizzato. Pietrificato. E se altri avessero trovato Penn prima di lui, e l’avessero uccisa? Preferiva non sapere dove fosse la BMW, piuttosto che avere la certezza che non l’avrebbe mai più rivista. Ingoiò ancora saliva e bile, il capo ad abbassarsi verso i propri piedi.
    Non si sarebbe avvicinato volontariamente a loro, se il Mckenzie non avesse preso l’iniziativa per primo - e Percy non l’avrebbe mai lasciato andare da solo. Lo afferrò per un braccio tirandolo indietro, un passo avanti rispetto a lui. «sono ragazzine» mimò con le labbra, assottigliando la vista verso le giovani. Indicò prima lui, e poi se stesso: Carter poteva anche essere una patata, ma l’apparenza restava quella di un tronky troppo cresciuto. Percy non era tenero, ma l’aspetto ingannava sempre i suoi interlocutori – e dovevano sembrare affabili, innocui.
    Era perfetto. Non mutò neanche i propri capelli (sì, aveva la metamorfosi, ma si amava troppo per cambiare realmente il suo aspetto: di solito si limitava a cambiare colore della chioma così da abbinarla ai vestiti) mostrando i naturali, corti, ricci bruni. Con il viso tondo ed i grandi occhi azzurri, tutto nell’apparenza di Percival diceva inoffensivo.
    Che poi non lo fosse, non gli sembrava il caso di dirlo alle due ragazze.
    «ehi» tentò esitante, alzando le mani in segno di resa ed azzardando un timido passo verso di loro. Sorrise gentile, perfettamente conscio che il sorriso – adorabile – fosse la sua arma migliore. «credo… » umettò le labbra, ed avanzò ancora verso di loro. «che stiate cercando noi?» senza allungare le dita onde evitare di apparire aggressivo, portò una mano al petto chinando il capo. «mi chiamo percival buckingham meadows volkswagen, e lui è carter mckenzie» lo indicò con un pigro movimento della testa, cercando lo sguardo color muschio della ragazzina più bassa. «e veniamo…dall’altro posto» gli occhi a guizzare incerti verso Carter. «potete…potete davvero» corrugò le sopracciglia, non riuscendo a cancellare del tutto la nota ironica e tagliente dal proprio tono di voce. «aiutarci?»
    Perché aveva smesso di crederci, Percival. Ma forse non era troppo tardi per ricominciare a farlo.
    percival
    (mckenzie hale)
    buckingham
    meadows
    volkswagen

    18 y.o. ✖ metamorphosis ✖ 09.11.2018
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    Il sorriso che prese forma sul viso di Erin, avrebbe potuto illuminare anche le caverne più buie. Ricambiò la stretta di Jazz, sinceramente grata che le avesse, in primis, creduto (non così scontato) e che, in secondo luogo, avesse deciso di rimanere al suo fianco. La Dubois rappresentava alla perfezione uno dei (tanti) motivi per il quale Erin aveva sempre desiderato poter frequentare Hogwarts, pur non avendone la possibilità. Amici, coetanei - tutto ciò che crescendo nel Quartier Generale s’era persa, e della cui utopica esistenza aveva appreso tramite racconti e serie tv. Non tutto era rosa e fiori come, ingenuamente, aveva sperato - nulla lo era - ma era felice di aver avuto la possibilità di iscriversi a scuola. Sì, sapeva di essere presumibilmente l’unica adolescente a poter affermare con sincerità una cosa del genere, ma Erin Therese Chipmunks non era mai stata come gli altri ragazzi.
    In nessuna delle sue vite. «allora andiAMO» frinì allegra, quasi saltellando sul posto, per poi…rimanere immobile esattamente dov’erano. Non aveva realmente pensato a cosa fare dopo, la Aguilera. Si morse il labbro inferiore e corrugò le sopracciglia, alzando gli occhi verso la sua compagnia di avventure. «vuoi scegliere tu una direz-» un rumore alle loro spalle la fece sobbalzare, ed istintivamente stritolò la mano della bionda trascinandola d’un metro più lontano. «AAAAAAAAAAAAA» ??? gridolino necessario, con tanto di cuore in gola che le fece dedurre non sarebbe mai arrivata a compiere quarant’anni. Portò il pugno libero al petto, gli sgranati occhi verdi a mettere lentamente a fuoco il ragazzo che si stava loro avvicinando. Aveva… Aveva qualcosa di familiare. Fece rimbalzare lo sguardo dalla Grifondoro al nuovo arrivato e viceversa, cercando (e fallendo.) di mascherare il proprio terrore con un’espressione (nei suoi sogni) indecifrabile. Si sentiva…colpevole? Sì, colpevole, colta – come si soleva dire – con le mani nel sacco. Il giovane non sembrava avere intenti bellicosi, ma alla veneranda età di diciott’anni, Erin conosceva abbastanza il mondo da non farsi fregare da un viso pulito ed un sorriso timido.
    …….forse. In realtà, più l’altro si avvicinava, più le spalle della Tassorosso si rilassavano. Si ritrovò perfino – perfino! – a ricambiarne il sorriso, seppur con una nota nervosa e vagamente isterica. «credo… che stiate cercando noi?» Lo stavano facendo? Battè le ciglia, decisa a non indietreggiare malgrado l’altro stesse avanzando, studiandolo di sottecchi mentre la sua figura abbandonava la densa presa della nebbia. «mi chiamo percival buckingham meadows volkswagen, e lui è carter mckenzie» Ma che… ma che razza di nome era. Sentì la gola prudere dal bisogno di ridere, e per quanto, per pura educazione, tentò di reprimere la risata, un sorriso divertito scivolò comunque sulle labbra morbide della Chips. Prese nota degli occhi chiari di Percival, del sorriso peculiare che stuzzicava qualcosa nella sua memoria – era un ribelle, forse? Pensavano stessero cercando dei membri della Resistenza? Perché, dopo mesi di ricerca, non era possibile che - «e veniamo…dall’altro posto»
    Oh
    Mio
    Dio.
    L’ALTRO POSTO!! Squittì tirando il braccio della (povera.) rosso-oro, la bocca spalancata in segno di sorpresa ed un rosa acceso a spruzzare le guance di colore. LI AVEVANO TROVATI!!!!???? «potete…potete davvero aiutarci?» La domanda la strappò dalla contemplazione estatica dei due, facendola scattare come un pupazzo a molla. Annuì assente, sorridendo così tanto da far dolere la mascella; solo dopo qualche (imbarazzato.) secondo, fu in grado di formulare una frase di senso – quasi – compiuto. «aiutarvi, certo – CERTO, POSSIAMO, sappiamo dove trovare andy!!!» affermò felice, continuando ad annuire come quei gatti un po’ inquietanti usati come ornamento nei negozi cinesi. «uau, vi abbiamo trovato – cioè, ci avete trovate - vi stavamo cercando da mesi! cioè, non voi nello specifico - VABBè» inspirò profondamente cercando di placare il debito d’ossigeno (al contrario di Eminem, ad Erin serviva respirare per parlare) riuscendo infine ad allungare una mano verso entrambi – cauta, certo: non voleva spaventarli. «io sono erin, e-» corrugò lievemente le sopracciglia, lo sguardo smeraldo a scivolare dall’uno all’altro. A se stessa, e solo a se stessa, poteva ammetterlo: era un po’ delusa da Percival e Carter. Erin aveva sperato di trovare degli altri loro (tipo una doppia Nicky, o un doppio Scott SAREBBE STATO FIKISSIMO) mentre loro non…non aveva idea di chi fossero. Ovviamente, tenne l’egoista pensiero per sé, ma non riuscì a trattenersi dal domandare: «ci conosciamo, per caso? Cioè…chi siete qui?» Difficile trovare cortesi convenevoli con qualcuno che arrivava, letteralmente, da un altro mondo.
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    09.11.2018
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    cinnamon
    About to Get Crazy - Oh The Larceny
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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