God save our young blood

mephisto + william

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    She's got me spinnin'
    Spinnin' and I can't sit still

    [ 07.07.2018]


    «ehi, tieni gli occhi aperti»
    calda la voce uscì dalle labbra con un che di supplichevole, graffiato dalla rudezza e dalla stanchezza – fisica tanto quanto mentale. E la presa di quel corpo che teneva abbracciato al fianco sempre più flebile, leggera, come i passi sull'asfalto bagnato dalla pioggia – poteva quasi immaginarla ad alzarsi dal terreno, levarsi al di sopra della sua nuca abbandonando ogni problema e lasciandosi alle spalle quell'essenza così faticosa e dolorosa.
    In risposta la strinse più forte al fianco, arrancando per quelle strade sconosciute e confusionarie, un mondo in cui loro - lui - erano palesemente fuori posto, e non si fermò nemmeno al lamento di lei. No, semplicemente non l'avrebbe lasciata andare – era fuori discussione, «no, vedi di non farmi incazzare ora» e tieni aperti quei maledetti occhi, perché non poteva semplicemente succedere così... da un momento all'altro. Non poteva davvero.
    Non glielo avrebbe permesso.
    La ragazza inspirò e strinse gli occhi, in un ultimo sforzo che mephisto apprezzò come mai prima aveva fatto; apprezzò che amelia non si stesse abbandonando, così come aveva fatto tutte le altre volte prima – strinse i denti e le dita attorno al fianco dell'uomo, e fece un altro passo avanti, più sicuro, come era sempre stata abituata a fare. Non si aspettava nulla di meno da lei. Le sorrise allora, un po' più paziente e affabile «perfetto, fatti forza ancora un poco... dovremmo essere arrivati» e per merlino, aveva bisogno di avere ragione stavolta. Non poteva permettersi di sbagliare, non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo ad amelia se avesse insistito nel farla affaticare in quella disperata corsa.
    La verità era che sperava di cuore di sbagliarsi.
    Sperava di cuore che le sue fossero inutili paranoie, che la salute di amelia non fosse così compromessa da non permetterle di reggere il suo passo affrettato e di trascinarsi come un fantasma fra quei palazzi sempre più alti e quelle persone sempre più invisibili. Non un volto conosciuto, non un qualcuno a cui rivolgersi – tanto il timore di dover fare i conti con una terribile verità. Loro lì non dovevano starci, e non potevano permettersi di essere in qualche modo riconosciuti come “venuti dal passato” – o da qualunque altra dimensione. Era troppo rischioso, avevano bisogno di qualcuno di cui potersi fidare.
    E non ci aveva potuto pensare neanche granché il dallaire, che amelia aveva iniziato a sfaldarsi fra le sue braccia come un angelo che per troppo tempo aveva dimorato in un mondo a cui non apparteneva. No, amelia hepburn non era di quel mondo – ai suoi occhi era sempre più evidente, man mano che la sua vita sembrava scivolarle piano via dal petto. Un aspetto che a molti avrebbe reso difficile crederci, con quei capelli castani e gli occhi del colore delle nocciole – eppure ora per mephisto era chiaro di trovarsi di fronte ad una creatura di un altro mondo.
    E dopo che anche lui aveva avuto modo di abusare del cuore di quella creatura piena d'amore, ora amelia le appariva più pura e debole che mai. Un angelo, che invece di proteggere come avrebbe dovuto, aveva solo aiutato a crocifiggere col suo sadismo, le sue pressioni, i suoi stupidi giochetti mentali. Per lui non era stato che un gioco, ma ora più che mai ne sentiva il peso sull'anima. «forza» avrebbe rimediato, lo sapeva, aveva solo bisogno di altro tempo «gli ultimi passi e potrai riposarti» solo altro fottuto dannato tempo.
    Lo stesso che avevano sprecato per le sue stronzate megalomani.
    La ragazza tuttavia dopo pochi passi parve cedere di nuovo verso il terreno, tenuta sollevata solo al braccio del ragazzo, fattosi robusto in particolare dopo gli ultimi mesi e missioni – così come robusto ora era lui, nell'aspetto tanto quanto nell'animo. Dannazione, e in un moto di frustrazione la afferrò e se la caricò sulle spalle, stringendosi attorno ai fianchi le gambe magre e minute delle giovane – le cui braccia penzolavano pigre sul petto dell'uomo, senza la forza di stringersi possessive al suo collo.
    Sospirò «ok, ti tengo io, ma promettimi di non addormentarti» dio, ci mancava solo quello – per evitare che la donzella fosse cullata dalla posizione, il ragazzo strinse quelle cosce così forte da sapere di farle del male, e iniziò a muoversi rapidamente lungo la strada ormai sempre meno trafficata – data la tarda ora della notte. Una corsa contro il tempo che sapeva di star correndo per istinto. E non gli serviva altro per farlo, iniziando a sentire il fiato pesante e le gambe affaticate. Aveva dormito poco, sperando di contare sui giorni di riposo dopo il combattimento nell'altro mondo – con l'altra emaline. Uno strano sentimento di angoscia gli si aggrovigliò all'altezza del petto, specie al pensiero che sì, aveva appena cambiato tempo, dimensione, lasciandosi indietro volti e ricordi.
    Ora quei giorni sembravano così lontani, di fronte alla necessità di correre contro il tempo avverso.
    Scosse il capo come se questo potesse in qualche modo aiutarlo, e svoltò all'angolo che gli era indicato dalla traccia magica creata apposta per loro – si ritrovò in un viale, ma prima di proseguire dovette accasciarsi al muro, inspirando profondamente. I muscoli tesi del corpo bruciavano, dalle braccia strette forte attorno al corpo di lei, le gambe doloranti per lo sforzo – fino alla schiena, piegata e segnata dalle ferite del recente combattimento. Dormire aveva aiutato, ma andava ammesso; keira non era un'ottima guaritrice, e per lo più si erano preoccupati di cucire quell'orribile ferita che gli correva sul volto sfigurandolo, ma avevano pressoché ignorato lividi e graffi sulla schiena, presupponendo che il peggio fosse stato ormai superato.
    Ringhiò, asciugandosi la fronte dal sudore con la manica della maglia «resisti, ci siamo» «meph...» e riprese a correre, infilandosi nel viale fra le diverse abitazioni, senza smettere di seguire la scia colorata al neon che correva – invisibile ad occhi ignari – sulle strade, lungo i muri dei palazzi, fino a nascondersi dietro un cancello bianco sporco. La casa dietro di esso buia come la stessa notte. Non si fece fermare, e scavalcato il cancello si portò fin sotto il portico della casa, posando la giovane a terra, al riparo dalla pioggerella estiva «visto?, te l'ho detto che ce l'avremmo fatta – FETCHER» gridò verso la porta, andando poi a sbattere i pugni contro il legno freddo – tornando a guardare verso un'amelia sempre più stanca, pallida, e col respiro difficile, quasi trascinato «loro ci aiuteranno, non temere» e passava da uno stato di febbrile agitazione mista ad amorevole apprensione, ad uno di pura rabbia, con cui tornava a sbattere i pugni sulla porta «fetcher, porta qui il tuo culo – o quello ossuto di quel coglioncello di tuo figlio» e si appoggiò alla porta con le braccia e la fronte, trattenendo a stento un singhiozzo rauco «ci serve il vostro aiuto.»

    mephisto dallaire
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    William
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    Il tempo brucerà
    tutti i fogli che
    parlan di te.
    «Saresti dovuto venire subito a casa.» questo aveva detto a suo figlio appena un paio di giorni prima, vedendolo tornare con addosso più lividi che pelle sana ed il volto -così simile a quello di sua madre- a malapena riconoscibile sotto l'ombra scura di uno zigomo tumefatto. Adesso, a ripensarci, gli sembrava piuttosto stupido. Era ovvio che Mickey non considerasse quella dimora come un punto di riferimento, come avrebbe potuto? Prima c'era Eveline, gemma preziosa in grado di rendere quelle quattro mura un luogo accogliente semplicemente vivendoci, l'unica in grado di consolare qualunque accenno di pianto dal volto del figlio soltanto con una carezza. Adesso c'era solo lui, l'ombra di un uomo troppo flebile per riprendere in mano la propria vita dopo la perdita di sua moglie, troppo debole per fare da padre al doloroso ricordo di quella donna ormai scomparsa. Perché sì, in fondo era di quello che si trattava: William si sentiva incapace di provare l'amore paterno che avrebbe dovuto provare per il suo ragazzo. Era cresciuto in una famiglia senza affetto, spedito a Durmstrang per sette anni senza mai una lettera, mai una visita, 'perché è così che si forma un soldato'. Era diventato un'arma del Governo perché questo aveva voluto per lui suo padre, ed aveva spento ogni traccia della propria umanità in favore di quella ferma freddezza indispensabile per essere un buon combattente. Per troppo tempo non aveva visto altro che violenza e morte, i suoi sogni infestati dall'immagine dei corpi straziati che si era lasciato alle spalle per ordine di quel 'bene superiore' che aveva scelto di servire. Poi era arrivata Eveline. Era entrata a far parte della sua vita in punta di piedi, un passo per volta, con l'eleganza e la discrezione che la caratterizzavano, ed era stata in grado di rapire il suo cuore e la sua anima al punto da aprirgli gli occhi sul mondo che credeva di conoscere ma che, a conti fatti, non conosceva affatto. Aveva lasciato l'esercito e, non essendo capace di far altro né abbastanza forte da recidere tanto in fretta il filo che lo legava ancora a ciò che era sempre stato, aveva preso a fare il mercenario per le cause che lui stesso riteneva giuste. Un giorno, ne era certo, sarebbe riuscito ad abbandonare per sempre quella strada, aveva solo bisogno di tempo, più tempo, più tempo... Eveline era morta dopo pochi anni dal loro matrimonio. Pareva un triste scherzo del destino, fargli conoscere la felicità per poi strappargliela via nel modo più brutale, lasciandogli solo l'amaro in bocca. Avrebbe preferito non averla mai incontrata, restare nell'ignoranza dei suoi anni di gioventù, non conoscere mai la sensazione di stringere una donna fra le braccia e sapere di amarla con tutto sé stesso. Invece gli restava solo la nostalgia, il dolore, ed un figlio che non sapeva come crescere, la cui sola vista non era altro che un rinnovare quella ferita mai cicatrizzata sul suo petto. Aveva finito per farsi odiare da lui, e come biasimarlo? Non sopportava averlo intorno, ma non sopportava nemmeno non saperlo vicino. Forse l'avrebbe preferito morto, ucciso per sua mano, un colpo veloce e letale. Era bravo in quelle cose, avrebbe fatto in modo che Michael non sentisse dolore, che se ne andasse in pace... Ma non poteva farlo. Non poteva proprio perché lui era tutto ciò che gli rimaneva, perché per quanto volesse solo fingere che non esistesse desiderava allo stesso tempo proteggerlo da ogni male, vederlo felice, felice davvero. Ma lui era un dispensatore di morte, non di gioia, e non aveva idea di come si facesse ad essere, se non un padre, un uomo corretto. Uno per cui provare affetto. E dunque gli anni passavano, si avvicinava sempre più il momento in cui Mickey, William ne era certo, avrebbe lasciato quella casa e gli avrebbe detto addio per sempre. Temeva quel giorno più d'ogni altra cosa, eppure non faceva niente per impedire che arrivasse. Continuava a restare in silenzio, a rivolgergli sguardi di rimprovero e frasi taglienti, a lasciare che ogni minima scintilla fra loro si tramutasse in un incendio indomabile. Michael era testardo come sua madre, William non aveva più la pazienza di raccogliere i cocci di un rapporto mai stato solido.
    Fu una voce a distoglierlo dai suoi pensieri, qualcuno fuori a gridare il suo nome con una certa urgenza. Non aspettava nessuno, invero, e dunque il suo primo pensiero andò a suo figlio, sempre. Si alzò in piedi e si precipitò in fretta verso l'uscio, aprendo giusto uno spiraglio per scorgere la figura fuori, la catena ancora inserita.
    «E tu che cazzo ci fai qui?» la voce arrochita da tanto silenzio, richiuse la porta per togliere il fermo ed esitò un istante prima di riaprirla: davvero voleva che Mephisto Dallaire entrasse in casa sua? Lo conosceva appena in fondo, ed il fatto che avessero combattuto fianco a fianco non significava niente, non risparmiava l'altro dall'essere giudicato un povero stolto. In effetti, nessuno di quelli che aveva conosciuto durante la missione nell'Alternative Universe sembrava essere mentalmente stabile, e non era certo di voler nuovamente avere a che fare con uno di loro. «loro ci aiuteranno, non temere» lo sentì mormorare, con un tono premuroso di cui William onestamente non lo riteneva capace. E forse fu proprio quello a convincerlo a spalancare la porta e a permettergli di parlare. «Che...» cominciò, ma la sua voce fu smorzata dalla vista del corpo avvinghiato a quello di Mephisto. Sembrava una donna, era una donna, ma era talmente pallida da sembrare un riflesso, la fiamma di una candela in procinto di spegnersi. Aveva la stessa espressione di Eveline un attimo prima di andarsene per sempre. «Portala dentro, muoviti.» si scansò per lasciarli passare, indicandogli il divano per far distendere la ragazza e premendosi una mano sulla fronte per far mente locale di cosa potesse servire per aiutarla. «Cosa è successo? Perché è così?» chiese con tono allarmato. Non sarebbe morto nessun altro innocente in casa sua, non l'avrebbe permesso.
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