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.SPOILER (clicca per visualizzare)Quando metti un titolo "serio" per fingere che anche la role lo sia u_u' #ipgserinonesistono
Cosa non si fa per 10 PE...
Lucky Strike / Ottobre 2018
Elwyn Huxley - dovrà indossare succinti abiti femminili d’epoca
Edited by badblood` - 30/10/2018, 18:53. -
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can be pleasureNon sarebbe stata Svetlana, se si fosse accontentata solo dell’esibizione, della mera rappresentazione grafica dell’umiliazione dell’Huxley. L’uomo avrebbe dovuto ben saperlo che non si sarebbe fermata a quello, che non sarebbe rimasta una spettatrice lontana. Era sempre stata lei la protagonista, sempre. Non poteva certo lasciare che la musica e il palco la privassero di quella sottile soddisfazione nel veder scricchiolare la facciata dell’uomo, di vedere oltre la maschera che aveva deciso di indossare quel giorno. Perché, in fondo, erano più simili di quanto si potesse immaginare, perché privarlo del controllo che aveva sulla propria vita, in fondo, si stava rivelando essere un divertimento inaspettato. Svetlana era una serpe, si avviluppava attorno alla sua preda e la stringeva nella sua morsa fino a infrangere ogni resistenza, fino a privarla di quel soffio che la manteneva in vita. Si insinuava nella mente dei suoi clienti e trovava il modo per legarli a sé, per far sì che avessero sempre bisogno di lei, che la pagassero solo per poter trascorrere con lei un secondo in più di quello pattuito. Aveva imparato a conoscere gli uomini nel peggiore dei modi e aveva fatto delle loro debolezze il suo scudo, la sua arma principale. Stava iniziando a costruire il suo impero sulle ceneri della sua innocenza e, ormai, aveva prostituito ogni parte di sé. Tutto pur di essere libera, pur di dettare le proprie regole. Tutto pur di non doversi spezzare davanti a chi era più forte di lei. Le avevano dilaniato l’anima, l’avevano fatta a pezzi e avevano gettato i brandelli di quel poco di umanità che le restava tra le vie dell’Inferius. Era stata abusata, usata come fosse una bambola gonfiabile, ma nulla aveva spezzato la sua integrità, quella dubbia morale che le aveva permesso di sopravvivere. Aveva avuto il volto tumefatto, lividi violacei lungo tutto il corpo, aveva sperimentato sulla propria pelle la bassezza dell’animo umano, ma questo il Mercenario non poteva saperlo. Non poteva immaginare quale fosse stata la sua vita prima del Lilum, né lei era particolarmente propensa a ripercorrere il viale dei ricordi.
Se fosse stato il tipo sveglio che tanto diceva d’essere, avrebbe quanto meno immaginato la possibilità che lei andasse a fargli visita dopo lo spettacolo, che continuasse a prendersi gioco di lui per il mero gusto di farlo. Non aveva sempre bisogno di un secondo fine, l’ex Serpeverde, non era il mostro che l’uomo si ostinava tanto a dipingere nella sua mente, fino a quasi demonizzarla.
“Il grande Elwyn Huxley. Sei tu che hai costruito da solo questo mito?” Domandò allora, una punta di curiosità nella voce, consapevole della facoltà dell’ex giocatore di cambiare le dimensioni del suo corpo a piacere. “Sarebbe molto triste. Denoterebbe davvero una scarsa autostima.” Continuò impassibile, il tono, tuttavia, divertito. Perché non riusciva a stare zitta, perché non riusciva a non pizzicare le corde dell’uomo. Non sapeva fino a che punto potesse sopportare, non sapeva fino a che punto lei potesse spingersi, né tanto meno se fosse pronta allo scoppio della sua ira. Eppure… eppure c’era qualcosa che le impediva di andare avanti. Di solito non era così. Sul posto di lavoro, non era mai così. Doveva essere succube, obbediente, doveva ascoltare i bisogni e i desideri dei suoi clienti fino ad annullare se stessa. Con Elwyn, invece, si spingeva oltre. Faceva esattamente quello che voleva, correva il rischio di oltrepassare il limite, di entrare prepotentemente nei suoi spazi personali solo per il puro e semplice gusto di farlo. L’Huxley non aveva mai chiesto di provocarlo. Non aveva mai mostrato il benché minimo interesse per quel gioco che sembrava fosse portato avanti solo dalla donna. Svetlana, però, non se ne curava. Non doveva compiacerlo, non doveva obbedirlo, non doveva ascoltarlo, semplicemente, non doveva piacergli. Ed era quasi un pensiero liberatorio, come se non esistesse solo il Lilum, come se il suo corpo non fosse l’unico oggetto di valore nella sua vita.
“Da quando ho pensato che potresti essere utile per attirare clientela femminile. C’è solo qualcosina da cambiare.” Giusto la totale assenza di sorriso, i modi burberi, il cipiglio scontroso o l’atteggiamento aggressivo. Ma aveva anche dei difetti.
Se avesse osservato il fisico dell’uomo? Solo una stupida non l’avrebbe fatto. Prima di figurarselo sul palco, di pensare allo spettacolo perfetto in cui farlo esibire, aveva studiato a lungo il corpo dell’ex Corvonero, immaginando quanto e cosa nascondessero i suoi vestiti. Le iridi fredde di Svetlana assecondarono quell’ostentata teatralità, rendendosi conto che per aver smesso di giocare, era ancora in forma. Poteva scorgere i muscoli guizzare sotto la pelle dell’Huxley ad ogni movimento, tesi e tonici come se, comunque, continuasse ad allenarli. O era davvero così, o era l’ennesima farsa che il maggiore costruiva per mantenere quelle apparenze che, in quella stanza, importavano soltanto a lui.
Se avesse continuato a provocarlo? No, era semplicemente stata onesta. Se avesse notato l’impercettibile nota di spavalderia? Con ogni probabilità, ma non stava a lei compiacerlo, né gonfiare il suo ego. Lo osservò continuare a vestirsi, senza provare a distogliere lo sguardo, facendo cadere la conversazione per cercare di capire quali fossero i pensieri del suo ospite, quale potesse essere la sua mossa successiva. Sembrava quasi di essere sul ring, costantemente in attesa che uno dei due facesse la prima mossa, che scoprisse uno dei suoi punti vitali per poi affondare il colpo proprio lì, lì dove faceva più male.
Sentì la mano callosa sulla propria, stupendosi di quel gesto che strideva con l’espressione diffidente dell’uomo. Perché, all’improvviso, si era mostrato gentile? Perché, dal nulla, la stava trattando con delicatezza? Se l’avesse osservata con attenzione, se l’avesse conosciuta abbastanza, quella sarebbe stata l’unica domanda che vi avrebbe letto in quello sguardo di ghiaccio. Quel velo di sorpresa a farle incurvare appena le sopracciglia. Non se lo aspettava, Svetlana, non da uno come lui.
Sussultò appena quando le spostò i capelli dal viso; per un attimo, un brevissimo attimo, aveva pensato volesse colpirla. Quella, in fondo, era sa situazione più adatta per farlo, vicini abbastanza da non permetterle una via di fuga, immediatamente dopo un gesto particolarmente carino. Attese un colpo che non arrivò, un dolore che non si diffuse dal punto di quell’impatto che non avvenne. Poteva farlo, Elwyn, eppure non lo fece. Socchiuse appena le palpebre, concentrandosi sulla sensazione dei polpastrelli che le disegnavano il viso.
Perché? Si chiese ancora una volta, domandandosi cosa l’uomo volesse da lei, cosa volesse ottenere. Ci sarebbe sempre stato un secondo fine, qualcosa che gli altri volevano da lei. E l’Huxley era uguale, era un uomo come tutti gli altri che stava provando a batterla al suo stesso gioco. Perché, in fondo, di quello si trattava.
“No, al momento mi basta possederla.”
Non si era resa conto di aver trattenuto parte del suo respiro fino a quando il più grande non si fu allontanato da lei, fino a quando non fosse stato abbastanza lontano da potersi difendere. Verbalmente e fisicamente.
Sorrise appena per quell’integrità ormai compromessa, per quel totale rifiuto dei suoi galeoni e per quell’orgoglio che, la maggior parte delle volte, lo rendeva stupido. Sebbene lo ritenesse tale, non si meravigliò di quella scelta, di quella teatralità con cui le aveva notificato la mancata accettazione del compenso della serata. Era così da Huxley che fu costretta a mascherare una risata con un colpo di tosse.
Si sedette sulla poltrona, ruotandola appena con le gambe, lo sguardo sottile a scrutare l’uomo oltre le proprie ciglia. “Credo ti sia conquistato la possibilità di scegliere la tua compagnia.” Se proprio la sua presenza dovesse essere per l’altro una sofferenza, tanto valeva dargli l’opportunità di allietare la propria serata facendo un passo indietro. Erano entrambi bravi a mentire, avrebbero potuto entrambi scegliere di essere due perfetti sconosciuti, o due amici d’infanzia. A quel punto non le importava veramente quale fosse la decisione di Elwyn. Se fosse stato una persona intelligente, avrebbe costruito il prototipo della ragazza perfetta e lei avrebbe interpretato quel copione che ormai conosceva a memoria, diligentemente, senza opporre resistenza. Se fosse stato una persona intelligente, avrebbe fatto la scelta più saggia per entrambi.
“Pensaci bene.” Lo ammonì usando il suo stesso tono e le sue stesse parole, perché da quel momento in poi, non sarebbero più tornati indietro.Margaret "Maggie" Piper | SvetlanaFormer Slytherin14.02.96 | 22 Y.O.L i l u m
Edited by ReLoad - 13/4/2020, 00:10. -
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can be pleasureC'erano tanti modi in cui quella serata sarebbe potuta finire, molti dei quali accomunati dalla figura dell'ex Corvonero che lasciava il Lilum dopo essersi sbattuto la porta alle proprie spalle, mentre dedicava parole decisamente ben poco carine alla sua persona. I motivi di quel gesto e di quello scoppio di galanteria sarebbero stati i più disparati e molti, se non la quasi totalità, la vedevano protagonista. No, non perché Svetlana amasse che tutte le luci del palcoscenico fossero puntate su di lei, non perché adorasse rubare la scena appropriandosi di ciò che non fosse suo, quanto per puro e semplice divertimento. Il suo lavoro la costringeva a rispettare dei limiti, a non superare mai quella linea sottile che serviva demarcare il sogno dalla realtà. Quel filo sottile era il suo margine di manovra, la sua comfort zone, il fragile universo in cui esisteva e in cui poteva esistere. A metà tra il mondo onirico, dove ogni cosa era concessa e in cui la sua stessa presenza era legittimata dalla pura e semplice fantasia, e quello reale fatto di regole, pregiudizi, obblighi e tabù, quel mondo in cui per sopravvivere bisognava fingere, in cui per tenersi a galla bisognava essere camaleontici, rinunciando a pezzi della propria identità, ormai irrimediabilmente mutilata.
Eppure, con l'Huxley era come tracciare una linea sul bagnasciuga che veniva costantemente cancellata dalle onde e, ogni volta che questo accadeva, si rendeva conto quanto fosse facile premere i tasti giusti – ovvero quelli più sbagliati – per ottenere un briciolo di autenticità, per avere un’idea di quanto e cosa ci fosse di vero nell’uomo dai mille volti, per capire quanto ci fosse ancora di genuino nella persona che aveva davanti.
Se c’era una cosa che Svetlana aveva imparato negli anni, era che l’odio non si può fingere. Tra tutti i sentimenti e le emozioni che l’essere umano può provare, l’odio e il disprezzo sono le uniche due sfumature che non potevano essere imitate, replicate o costruite ad hoc; questo perché sono ben radicate alla propria natura, a ciò che si è veramente. Sono il collante tra i traumi passati e chi si è in un determinato momento della propria vita e, per quanto si possa essere in grado di perdonare, certi avvenimenti lasciano solchi profondi che scavano dentro, rompendo così qualcosa che non potrà mai essere riparato.
Se la sua teoria era fondata, allora, avrebbe fatto di tutto per aggrapparsi a quel briciolo di verità, a quel granello d’odio e di malcelata sopportazione che le ricordava che, per quanto si fosse bravi a fingere, in ogni bugia c’è sempre un fondo di verità, c’è sempre un frammento di quell’anima che lei da tempo aveva smesso di avere. E le sarebbe bastato perché per quanto questo potesse sembrare assurdo, non avrebbe mai chiesto ad Elwyn di deporre l’ascia di guerra; per quanto questo potesse sembrare autodistruttivo, non avrebbe provato ad addomesticarlo, a renderlo mansueto e obbediente come chiunque varcasse la soglia del Lilum.
Se avesse voluto allontanarlo, se avesse voluto davvero che il Metamorphomagus smettesse di essere il tarlo che le corrodeva la mente facendole credere che ci fosse ancora qualcosa di autentico anche in gente come loro, alimentando così una speranza quanto mai effimera e pericolosa, allora si sarebbe alzata da quella poltrona e, senza lasciargli alcuna scelta, avrebbe spogliato entrambi dei vestiti, liberandoli da quegli strati sottili di stoffa ma non delle proprie maschere, di quelle difese che li rendevano più tangibili e reali; avrebbe reso l’intero camerino il loro personalissimo parco giochi e avrebbe assecondato quell’istinto carnale che, presto, si sarebbe estinto. Sarebbe stato intenso, certo, probabilmente violento, rabbioso e il miglior sesso che Elwyn avesse mai fatto in tutta la sua vita, ma sarebbe finito tutto quella notte. Una volta consumato l’orgoglio, cosa sarebbe rimasto? Non ci sarebbe stato nessun arrivederci e neanche un addio, perché, in fondo, avrebbero fatto come se tutto quello non fosse mai successo e l’Huxley l’indomani si sarebbe semplicemente risvegliato da un incubo, finalmente in una vita priva del rischio di scommettere - e perdere - contro di lei. Di scommettere - e perdere - ancora una volta la propria dignità. Si sarebbero usati e avrebbero bruciato come fiammiferi, privi di una fiamma viva e di calore. Ancora una volta, lo avrebbe privato della libertà di scelta, della possibilità di dire la sua, di esprimere la propria opinione perché lei sapeva che non si sarebbe opposto, per quanto potesse sperare il contrario, per quanto volesse, almeno una volta, che qualcuno le dicesse no. Perché voleva illudersi, Svetlana, che Elwyn fosse diverso e questo significava dover distruggere quella fantasia, dover provare necessariamente il contrario ed estirpare ogni germoglio che avrebbe potuto renderla umana, che avrebbe potuto portare una punta di colore in quella fragile solitudine che si celava dietro al velo.
Un sorriso compiaciuto, gemello di quello che le stava mostrando il Mercenario, curvò le sua labbra. Era una piccola vittoria, un secondo in più che l’altro le concedeva, insieme a quell’attenzione che non si era resa conto di volere. E forse, arrivati a quel punto, avrebbe dovuto dare ascolto a quell’istinto di sopravvivenza che la supplicava di lasciar perdere, che le ricordava che aveva già ottenuto quello per cui l’Huxley era lì quella sera, che avrebbe dovuto lasciarlo andar via appena aveva rifiutato la paga. Doveva finirla lì, lo sapeva, eppure non poteva fare a meno di giocare quel gioco in cui bastava poco, il minimo errore di calcolo o valutazione, per perdere tutto.
“In realtà hanno già scelto.” rispose pacata, sollevando quasi impercettibilmente le spalle per sottolineare quello che per lei era un’ovvietà. “Chi viene qui è perché ha bisogno di qualcosa e sa che noi siamo in grado di soddisfare quel bisogno. Chi lavora qui, d’altro canto, sa che deve fare del suo meglio per sopperire una determinata mancanza.” Perché, infondo, era di questo che si trattava: una volta eliminata la transazione, restavano solo due persone con le proprie necessità. “Ed è quello che fai anche tu, Elwyn. I nostri lavori non sono poi così diversi.” Cambiava solo la percezione che la società aveva di questi, entrambi borderline tra ciò che fosse giusto e sbagliato, tra ciò che fosse moralmente accettabile o meno. Erano entrambi mercenari, entrambi al servizio di altri e raramente di sé stessi. Entrambi vendevano le proprie prestazioni al miglior offerente ed entrambi avevano scelto quella strada; cambiavano le modalità, certo, ma questo non poneva l’ex Corvonero un gradino sopra di lei, non quando la sostanza, alla fine, restava sempre la stessa.
Fu una risata amara quella che lasciò le labbra della bionda, la schiena ormai abbandonata contro la poltroncina. Se avesse dovuto scommettere sull’esito della sua provocazione, mai avrebbe pensato che l’ex giocatore si sarebbe spinto a tanto. Non era un azzardo, era l’azzardo che nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di fare, che nessuno avrebbe mai dovuto fare.
“Dovrei prima ricordare chi sono.” disse portando il mento sul palmo della sua mano. Non c’era retorica in quella frase, perché non c’era niente di più vero in quella stanza se non quelle parole lasciate sospese nell’aria. Non era se stessa da troppo tempo che, probabilmente, non sarebbe mai più stata in grado di esserlo. Vestiva e svestiva costantemente panni di persone che gli altri volevano vedere perché ciò che era davvero, ciò che restava al di là di Maggie, Margaret e Svetlana, non interessava a nessuno. Non c’era profitto, non c’era guadagno, non c’era nessuna soddisfazione che avrebbe potuto giustificare quell’essere se stessa ed Elwyn, se era davvero questo quello che stava cercando, ne sarebbe rimasto molto deluso. Perché tutto ciò che c’era dietro le sue infinite maschere, era solo il frammento di una persona che aveva smesso di esistere da tempo, l’ultimo petalo di una rosa appassita. O, forse, soltanto una sua spina.
“A quanto mi venderesti?” domandò allora, incrociando le braccia e inchiodando l’uomo col suo sguardo. “Quanto ti hanno offerto per distruggermi?” continuò, rifiutando l’idea che l’ex Corvonero fosse davvero interessato a lei e che non stesse sfruttando l’occasione a suo vantaggio. Perché era quello ciò in cui erano più bravi, se non forse i migliori. “Non dovrebbe interessarti così tanto.”
Tuttavia, una parte di lei voleva credere che Elwyn fosse onesto con lei, che non ci fosse un secondo fine dietro le sue parole. Lo osservò per qualche istante, studiando ogni sua reazione, espressione, variazione impercettibile sul volto, prima di alzarsi e avvicinarsi allo specchio, sedendosi davanti ad esso, continuando a guardare l’uomo attraverso il suo riflesso.
“Potrei provarci.” Il che era un compromesso piuttosto accettabile. “Ma solo e soltanto ad una condizione.” Continuò avvicinandosi allo specchio e togliendo con delicatezza le ciglia finte, prima di passare il panno magico per rimuovere ogni traccia di trucco dal viso, per rimuovere quello strato di prodotti che servivano a nascondere ogni imperfezione, che allargavano lo sguardo e rimpolpavano le labbra, che le scolpivano i lineamenti e potenziavano i suoi punti di forza. Ruotò lo sgabellino per cercare le iridi di Elwyn, fronteggiandolo con fierezza, perché ormai, priva di trucco, non le restava molto altro. “Che tu faccia lo stesso con me.”
Perché la fiducia era un lusso che non potevano permettersi.
Perché, in questo modo, si sarebbero distrutti entrambi.Margaret "Maggie" Piper | SvetlanaFormer Slytherin14.02.96 | 22 Y.O.L i l u m. -
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can be pleasure“Penso tu sia disposto a tutto pur di raggiungere il tuo scopo.”
Perché alle supposizioni che per il Corvonero erano assurde, Svetlana rispondeva con la sua logica. Perché non le sarebbe parso improbabile che l’uomo fosse in grado di compiere qualsiasi cosa, anche umiliarsi, pur di portare a termine una sua missione. In fondo, era la stessa persona che si era finto una donna per continuare a giocare a Quidditch, per incrementare il numero delle sue conquiste, per qualsiasi altra ragione lo avesse spinto a costruire quella bugia che, alla fine, era stata per settimane la prima pagina di molti giornali e che aveva spaccato l’opinione pubblica in due: chi lo condannava apertamente e chi, sotto sotto, un po’ lo ammirava per aver avuto il coraggio di osare lì dove molti non avrebbero potuto. Quindi sì, la ex-Serpeverde pensava davvero che si sarebbe messo in ridicolo, se avesse voluto distruggerla. Era un modo come un altro per farle abbassare le difese, per renderla più vulnerabile, per colpirla lì, nel cuore dei suoi affari, nonché il centro del suo mondo. Sarebbe stato il palcoscenico perfetto, la fine ideale. Iconica.
Le dita tamburellavano leggere sulla superficie del boudoir, mentre le iridi fredde scansionavano il volto dell’uomo davanti a lei. Non fu difficile notare la durezza dei lineamenti del viso, fattisi improvvisamente più spigolosi, la linea netta della mascella, la tensione di ogni muscolo nel disperato tentativo di tener a bada ogni impulso più violento. Si soffermò sullo sguardo dell’ex-Corvonero, sul cambio repentino dei suoi occhi, macchiati da tonalità più cupe frutto di emozioni contrastanti. Avrebbe dovuto avere paura. Forse, per una volta, avrebbe dovuto temere per la sua incolumità, tenere a cuore la sua vita. Avrebbe dovuto fare un passo indietro. Avrebbe dovuto chiedere scusa. Ma per cosa, poi? Ancora non aveva fatto nulla di male, niente per cui valesse la pena chinare il capo e fare ammenda. In quella fredda e asettica concezione del mondo, per quegli occhi che avevano visto fin dove la bassezza umana potesse spingersi, avevano semplicemente smesso di giocare. Aveva semplicemente osato troppo, giocando una mano fin troppo rischiosa, una mossa fin troppo audace. Era un azzardo che non poteva permettersi in quel momento – erano pur sempre due sconosciuti che avevano in comune essersi diplomati nella stessa scuola - e che, con ogni previsione avversa, aveva comunque scelto di compiere. Non aveva più la possibilità di tornare indietro, di correggere quel tiro che avrebbe potuto rivelarsi letale, seppur perfetto. Perché, in fondo, era quello che Svetlana aveva voluto fin dall’inizio, quello per cui aveva cercato di impiegare al meglio il poco tempo a disposizione con l’Huxley per raggiungere il suo scopo, per quanto fosse machiavellico e contorto. Certo è che non credeva che bastasse solo quella rivelazione a far traballare anni e anni di bugie e menzogne, a scuotere fin dalle fondamenta l’intera maschera che l’ex-giocatore vestiva ogni giorno. Tuttavia, lo capiva. Lo giustificava, sapeva quanto ci si sentisse al sicuro dietro quel volto che faceva da scudo e che tutti ormai erano abituati a vedere. Comprendeva la frustrazione, la preoccupazione, la rabbia. Ma per far sì che quello che ormai aveva smesso di essere un gioco fosse equo, allora anche lui doveva mostrarsi per quel che era veramente, perché Svetlana non avrebbe mai perso, non da sola, almeno. Non quando poteva finalmente scorgere qualcosa di autentico nel suo interlocutore e, se solo fosse stata più audace, se solo avesse davvero voluto distruggere ogni cosa, allora si sarebbe spinta ben oltre, avrebbe alimentato quell’odio fino a farlo esplodere. No, non perché fosse masochista, era solo una ragazzina stanca di vivere nell’illusione, stanca di dover piegarsi costantemente alle volontà altrui, stanca di dover compiacere con sorrisi e parole chiunque la circondasse. Era curiosa di scoprire come ci si sentisse ad essere normale, ad essere oggetto di repulsione e non di desiderio, a suscitare disgusto, ad accendere quella miccia di odio e rabbia che nulla avevano a che fare con la finta adulazione. Voleva distruggere quel piedistallo che aveva impiegato anni a costruire, voleva ballare sui frammenti di quella vita di cristallo fino a sanguinare, fino a quando non fosse rimasto altro che la consunta immagine di se stessa. Voleva qualcosa di vero, anche a costo di dover andare oltre, di innescare una bomba i cui effetti non era in grado di contenere. Poteva essere masochista, forse, ma non era ancora una stupida. Se lo fosse stata, se non fosse stata consapevole del territorio in cui si stava addentrando, avrebbe calcato la mano fino a quando gli effetti delle sue parole fossero stati tali da lasciare un segno indelebile, incancellabile. Ma non era lì per umiliare l’Huxley più di quanto l’altro non sentisse di aver fatto sul palco. Per questo trattenne il respiro un secondo in più, fondamentale per tenere a freno quella lingua che, negli anni, era diventata biforcuta. Per questo si limitò a pensare a quanto l’uomo davanti a sé non fosse altro che un idiota. Tenne per sé lo stupore, le occhiate giudicanti e qualsiasi altro gesto avesse potuto lasciar trasparire il suo giudizio insufficiente con il quale aveva appena etichettato il suo interlocutore. Se avesse voluto, avrebbe potuto far notare all’ex-Corvonero quanto il cappello parlante si fosse sbagliato con lui, dato che aveva appena bevuto da un bicchiere il cui contenuto avrebbe potuto non essere ciò che sembra. Era stata lei, in fondo, a prendere la bottiglia e riempire i due cristalli, dando per di più le sue spalle all’uomo. Avrebbe potuto avvelenarlo, o peggio. Arricciò il naso in segno di disappunto, prima di distendere le sopracciglia e prendere un respiro profondo, continuando a studiare le braccia dell’ex-giocatore, cercando di scorgere ne nocche nascoste nelle pieghe del gomito, provando a valutare in modo sommario quanto tempo ancora le avrebbe concesso prima di saltarle al collo. Sarebbe stato rapido – meno di otto minuti se le avesse spezzato lo ioide – e indolore – rispetto a quello che avrebbe potuto subire in altre circostanze. Un lavoro pulito, senza lasciare alcuna traccia magica o prova tangibile del suo gesto.
“Come so del tuo lavoro?” Domandò retorica, guadagnando qualche secondo in più per trovare le parole giuste, le più neutrali, quelle che avrebbero potuto aprire a un dialogo e non a condurre a un punto di rottura. “Semplice: Special.” Poggiò il viso sulla mano, un sorriso leggero a incurvarle le labbra. “Nessun mago può utilizzare la magia all’interno del Lilum, ogni cliente viene privato della sua bacchetta, ma lo stesso non si può fare con gli Special. Il loro potere, non può essere ancora contenuto.” Perché il governo era da sempre stato più impegnato a ucciderli, utilizzarli come bestie in un circo o, nella migliore delle ipotesi, a discriminarli. “Nel mio entourage ci sono alcuni che hanno il dono di poter leggere nel pensiero di chiunque varchi le soglie di questo locale. Individuano potenziali minacce, scorgono le vere intenzioni di possibili contatti e riferiscono a me.” Avrebbe potuto fermarsi, avrebbe potuto ritenere quella spiegazione sufficiente, ma non lo fece. Elwyn meritava un po’ di più, o era quello che si sarebbe detta per giustificare tutto il resto. “Il Lilum non è solo quello che si scorge ad occhio nudo, dovresti ormai ben saperlo. Ci sono persone importanti che hanno accesso ad un altro tipo di benefici, ad altri servizi e, in quel caso, i galeoni sono solo la minima parte della paga. I segreti, oh i segreti sono il vero motore del nostro mondo.” E per poter restare a galla, per poter continuare a fare il suo lavoro, non bastava soltanto il sesso, non bastava inginocchiarsi davanti al politico o al magnate del momento in attesa di una ricompensa. Non quando poteva tenerli sotto scacco, non quando i sussurri potevano fruttarle più di quanto avesse mai potuto immaginare. “Basta chiedere, per avere delle risposte. Ma quelle più scabrose, come ben sai, hanno un prezzo che solo in pochi sono disposti a pagare.” Gli stessi che finanziavano le attività del mercenario, che erano pronti a pagare somme da capogiro pur di far fuori un rivale politico, pur di ballare sulle carcasse dei propri nemici. Si fermò lì, senza andare oltre, senza dover necessariamente riportare altri dettagli di quella vita fin troppo borderline, perché anche il sesso era un’ottima fonte di notizie, soprattutto quando i clienti era convinti lei fosse una cagna fedele. “Tuttavia, una volta scoperto qualcosa, io resto l’unica a saperlo.” Non perché uccidesse i suoi dipendenti, era soltanto fin troppo brava con gli incantesimi di memoria e teneva all’incolumità di chi lavorava per lei. Abbassò lo guardo per qualche istante, soffermandosi qualche secondo di troppo sulle sue dita. “Segreti, ricatti e minacce sono la mia specialità. Tutto pur di proteggermi e tenere al sicuro il Lilum e le sue persone.” Perché ci era passata in prima persona e c’erano delle ferite che, ancora a distanza di anni, facevano male come la prima volta, che non erano mai guarite del tutto. “Avrei potuto mettere del Veritaserum nel bicchiere da cui hai bevuto, estorcerti ogni tipo di informazione ma non l’ho fatto.” Sfilò uno dei suoi anelli, poggiandolo sul tavolino vicino ad Elwyn, quasi volesse dargli quell’arma per utilizzarla contro di lei. Le sarebbe bastata solo una goccia, ma non lo aveva fatto. “Come puoi vedere, è ancora intatto. Se vuoi uccidermi per mantenere al sicuro il tuo segreto, fa pure.” Non c’era la traccia di alcun tono di sfida nelle sue parole, né spavalderia. Erano calme, piatte, con un’unica sfumatura di rassegnazione ad accompagnarle. Le labbra si piegarono in un sorriso amaro, privo di ogni trucco e/o provocazione. Non arrivava agli occhi, non aveva la forza per farlo, e non raggiungeva neanche il cuore. Era sospeso su quel volto ormai privo di ogni maschera, almeno in quel momento, almeno per quella frase. “Saresti l’unico ad aver premuto il grilletto.” Elwyn avrebbe potuto vantarsene, crogiolarsi in quella sensazione di essere riuscito dove altri avevano già fallito, guadagnandosi una delle sue ultime prime volte, nonché la più irripetibile. Avrebbe potuto colpirla finché non fosse stato soddisfatto, tanto a quello era stata abituata, avrebbe potuto stringere le dita attorno al suo collo sottile fino a spezzarlo, avrebbe potuto prenderla a calci, pugni, testate, qualsiasi cosa, e le sarebbe andato bene. Perché era questo quello che lei era: un mero oggetto. Un passatempo. Un’ombra di passaggio, talmente chiara da non attirare l’attenzione, benché meno il segno. L’Huxley, però, prima di avere carta bianca, avrebbe dovuto prometterle che quella sarebbe stata l’ultima volta, che non ce ne sarebbero state altre. Nessun risveglio con la pelle squarciata, nessuna cicatrice da dover nascondere, nessun osso da dover ricomporre. Nessun risveglio. Punto. Quella, per lei, sarebbe stata la vera liberazione e, probabilmente, gliene sarebbe stata anche grata. Nessun volto sconosciuto, nessuna mano appartenente a un cliente senza nome, solo l’odio di qualcuno che l’aveva vista per davvero, che provava per lei qualcosa di autentico. Perché, alla fine, era quello il nocciolo della questione, era quello ciò che lei aveva sempre desiderato più di ogni altra cosa. Non gli occhi adoranti di chi non aveva mai avuto la possibilità di andare oltre Svetlana, oltre la proiezione dei propri desideri. Non le mani di chi aveva promesso che non le avrebbe mai fatto del male, che sarebbe stato gentile. Aveva imparato a diffidare di quegli uomini, di quelli che all’inizio amavano mantenere le apparenze e che, appena chiusa la porta dietro le loro spalle e saldato un conto che molti non si sarebbero potuti permettere, diventavano peggio delle bestie feroci. Quest’ultime agivano mosse dall’istino di sopravvivenza, loro dal puro bisogno di sollevarsi da quella condizione infima in cui versavano, da una metodica e studiata volontà che muoveva ogni loro gesto. “Dubito qualcuno possa sentire la mia mancanza, avrai anche il tempo necessario per crearti un alibi di ferro.” Di quelli indistruttibili, inconfutabili, perfetto al punto da essere sollevato da ogni sospetto. Ancora una volta, la voce della donna uscì pacata. Non lo stava sfidando, non c’era sarcasmo in quelle parole, non era l’ennesimo proiettile al vetriolo. Mosse piano le spalle, scrollandole appena, cercando di dare poco peso a quella verità che poteva ferire solo lei, le dita strette attorno a quella lama che spesso aveva ignorato. Se di solito la respingeva via, questa volta ci si stava pericolosamente avvicinando.
Spesso si era fermata a pensare a cosa si sarebbe lasciata indietro, a chiedersi quale sarebbe stata la sua eradità, a domandarsi cosa sarebbe rimasto una volta andata via e nessuna risposta le aveva mai dato sollievo. Non parlava con la sua famiglia da talmente tanto tempo che era piuttosto convinta avessero ormai dimenticato il suo volto, il timbro della sua voce, il suono della sua risata. Non aveva amici, non più almeno, e Maeve e Will erano andati avanti – forse fin troppo avanti – nelle loro vite da rendere la sua presenza quasi un’illusione. Harvard avrebbe perso un po’ di guadagni, ma avrebbe presto trovato un altro volto per sostituirla, così come il Lilum avrebbe avuto un altro proprietario e le sue tigri avrebbero trovato delle prede con cui cibarsi. Aveva già disposto i suoi averi, aveva già deciso chi avrebbe ereditato la sua piccola fortuna e l’Hilton, al momento, era l’unica persona di cui si fidasse veramente; avrebbe potuto fare beneficenza a suo nome o meno, avrebbe potuto accrescere la sua immagine di magnate diventando il benefattore di centri contro la violenza di genere che lei aveva personalmente scelto, ma non le sarebbe importato, non se ogni zellino fosse stato impiegato per aiutare qualcuno. Tuttavia, nessuno si sarebbe ricordato di lei, nessuno avrebbe pianto la sua scomparsa, ne avrebbero rimpianto quel mondo in cui Maggie, Svetlana e Margaret erano state solo delle comparse, degli oggetti di scena da distruggere a fine spettacolo, una volta calato il sipario. Non aveva niente da perdere, non perché avesse ormai già perso tutto, ma perché non aveva mai avuto il privilegio di poter veramente perdere qualcosa. Oltre a dei video in internet e delle foto sbiadite, non ci sarebbero state tracce del suo passaggio.
“Oppure…” Fece schioccare la lingua sul palato mentre incrociava le gambe e portava una mano sotto il mento, scegliendo ogni parola con cura. “Potremmo lavorare insieme.” Non per me, benché meno con me. Non si rese protagonista della frase, né una benefattrice, né un’elargitrice di elemosina. Non era lì per convincere Elwyn di diventare suo partner in affari, non era neanche una tattica per salvarsi la vita. Se l’avesse fatta sparire, probabilmente sarebbe stata una liberazione. Svetlana aveva pur sempre bruciato il suo jolly, quell’asso nella manica che avrebbe potuto giocare per ribaltare una situazione e riportarla a suo vantaggio. Avrebbe potuto tenersi stretta quell’informazione e rivelarla nel momento più opportuno, per minacciarlo, per piegarlo al suo volere, invece vi aveva rinunciato. Per cosa, poi? Non lo sapeva neanche lei. Lei che calcolava ogni sua mossa, che studiava i suoi avversari minuziosamente per sapere esattamente dove colpire. Odiava per tempo e odiava ancor di più sprecare energie e risorse inutilmente.
“Se non può funzionare così, se non è equo, cos’altro vuoi sapere? O cosa mi vuoi dire?” Domandò riprendendo le parole dell’uomo. Sarebbe stato da stupidi, in quel momento, parlare di fiducia, di indorare una pillola che andava presa liscia, che doveva raschiare le pareti dell’esofago, che non doveva essere in alcun modo facilitata nel suo compito. Non erano bambini, non erano ingenui, non erano neanche degli individui rispettabili. Non c’erano parole che avrebbero tenuto più dei fatti, più della manifesta volontà di venirsi incontro attraverso ogni singola azione. Certo, avevano smesso di giocare, ma ciò non significava che fossero pronti a far cadere maschere e riserve, che fossero in grado di farlo. Non c’erano certezze, solo la possibilità di procedere a tentoni in un campo talmente minato che, al minimo errore, avrebbe potuto far saltare ogni minimo traguardo raggiunto.
Do your worst, Elwyn. I’m ready.Margaret "Maggie" Piper | SvetlanaFormer Slytherin14.02.96 | 22 Y.O.L i l u m. -
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.Sometimes pain
can be pleasureIn quel gioco tra le maschere – perché di questo si trattava – potevano esserci delle strategie simili e speculari, potevano esserci dei punti di contatto e nessuna esclusione di colpi quando si trattava di usare quelle armi di cui si servivano abilmente, potevano non esserci né vincitori né vinti fino a quando non si fosse scorto oltre il velo che copriva i loro volti, nascondendoli dal resto del mondo. Anzi, nessuno dei due avrebbe potuto dire di aver vinto neanche qualora avesse colpito l’avversario – o presunto tale - lì dove nessun altro fendente era mai arrivato, oltre quell’armatura fatta di bugie raccontate così bene da diventare la loro verità, il loro unico credo.
Erano bugiardi, sì, ma così onesti e leali a sé stessi che mostrarsi per ciò che erano veramente faceva paura. Non per cosa l’altro avrebbe visto, ma per quello che avrebbero visto di sé stessi nello sguardo di chi avevano davanti. Eppure, se quella conclusione poteva essere uguale per entrambi, ovvero che le loro scelte li avrebbero inesorabilmente portati al totale annichilimento della propria persona – o di ciò che restava –, c’era una profonda differenza tra Elwyn e Svetlana: l’ex Corvonero aveva avuto il privilegio di sognare, seppur per una breve parentesi ormai lontana, poteva dire di aver immaginato un futuro, di sapere cosa significasse svegliarsi al mattino e sapere di star realizzando qualcosa. Qualunque cosa. Il maggiore conosceva il valore dell’avere un progetto, dell’avere una prospettiva che era stata una confortante certezza, un faro verso cui puntare la rotta e, insieme, il porto sicuro pronto ad accoglierlo durante la tempesta. Non Margaret. Lei in quella tempesta aveva vissuto per anni, senza il minimo appiglio, senza la più vaga idea di come si facesse a vivere una vita decente, tanto che la normalità era diventata altro.
Non esiste un futuro quando ti ritrovi all’Inferius. Non esiste una prospettiva quando ormai neanche più il tuo corpo ti appartiene, quando anche la tua famiglia ti ha voltato le spalle non appena maggiorenne, preferendo saperti morta piuttosto che porgerti una mano. Esiste solo il presente e, in quel presente il tuo unico obiettivo è trovare un modo per sopravvivere. No, non vivere. Quella è una prerogativa che non appartiene a chi da tempo ha smesso di esistere, di provare anche la più piccola emozione, pur di proteggersi.
Elwyn aveva distrutto il suo futuro non solo perché ne aveva uno, ma perché aveva una possibilità di scelta che a lei era stata preclusa.
Certo, col tempo aveva iniziato a pianificare ogni sua azione per restare a galla, ma la lungimiranza di Svetlana era legata a un do ut des che non faceva sconti a nessuno. Tutto pur di non tornare a strisciare lì dove neanche il sole aveva il coraggio di illuminare le strade, dove gli uomini smettevano di essere tali e diventavano peggio delle bestie, dove venivano privati del loro orgoglio, della loro dignità, del loro essere umani. Lì dove la sua stessa anima, se ne avesse ancora avuta una, era stata stralciata, logorata, fatta a pezzi.
Anche in quel presente che era riuscita pian piano a costruire, in quella finzione fatta di ricchezza e gioielli, di lusso e sregolatezza, di standard che prima non avrebbe mai immaginato di poter raggiungere, non volgeva mai gli occhi al domani, troppo ancorata alla fugacità di quel presente e al terrore di perdere da un momento all’altro ogni cosa. Se le avessero chiesto come si sarebbe vista tra dieci anni, l’unica risposta, la più onesta e sincera, sarebbe stata che non si sarebbe vista. Non il giorno seguente e benché meno dopo un lasso di tempo così lungo. Non poteva scegliere, né voleva farlo: perché perdere tempo illudendosi che un qualcosa prima o poi sarebbe avvenuto? Perché continuare ad alimentare delle aspettative che sarebbero inesorabilmente state disattese? Tutto ciò di cui era certa era che, una volta tornata a casa, una volta chiusasi le porte del mondo alle spalle, non restava altro che il vuoto di una vita priva di significato e la silenziosa desolazione della solitudine. Ed era proprio quel vuoto che le faceva più paura e che continuava a riempire con volti di cui non ricordava neanche il nome e che avrebbe dimenticato il giorno dopo. Presente, solo e soltanto il presente: ecco tutto quello che le restava, tutto quello che aveva e tutto quello che, forse, avrebbe avuto.
E in quel presente, in quell’esatto momento, poteva finalmente vedere un punto. Il tanto agognato capolinea.
Se fosse stata un’altra persona, se fosse stata anche solo una Maggie qualunque, avrebbe potuto sfruttare quel momento, quella vicinanza, per strappare un bacio al mercenario – suo personalissimo sicario in quell’occasione -; un’ultima provocazione o, più semplicemente, un ultimo gesto d’affetto, forse l’unico che avrebbe riservato all’Huxley e molto più di quanto lui non fosse disposto a concedere a lei. Avrebbe potuto premere le labbra contro quelle del maggiore e rubare un po’ più di tempo, un altro respiro, un altro vano ricordo che di lì a poco sarebbe svanito. Avrebbe potuto essere un regalo, il suo ultimo lascito, quel ringraziamento che non sarebbe stata in grado di dire a parole e che, forse sarebbe stato paragonabile a una tregua.
Ma non era Maggie, appunto, e neanche Svetlana. Non avrebbe poggiato una mano su quella che le cingeva il volto, non avrebbe assecondato, aiutato, impedito all’uomo di compiere quell’unico gesto che si aspettava facesse. Uno scatto. Un solo e semplice scatto con la giusta forza e lei avrebbe smesso di soffrire. Eppure, se le sue dita avessero sfiorato quelle più grandi, così calde e inaspettatamente morbide sulla sua pelle, avrebbe rischiato di essere fraintesa, che quel movimento leggero altro non fosse che la supplica di chi aveva cambiato idea, di chi non aveva più intenzione di morire, troppo spaventata per compiere quel gesto.
Non era Maggie, non era Svetlana, non era Margaret. Non c’era odio nei suoi occhi così naturalmente freddi, non c’era traccia di ghiaccio in quello sguardo perennemente pungente e glaciale. Non c’era risentimento. Non c’era nulla che potesse lasciar credere all’uomo che gliene stesse facendo una colpa, né che quella richiesta era solo l’atto finale di una tragedia messa a punto con il solo scopo di perseguitarlo.
Se non era nessuna delle sue tre maschere, allora chi era? La verità? Non lo sapeva neanche lei. Voleva solo andarsene con dignità, con la consapevolezza di averlo fatto a testa alta, senza abbassare lo sguardo, senza aver avuto tentennamenti. Accettava quel destino perché era stata lei stessa a chiederlo, era stata lei stessa a bramarlo, a desiderarlo. Nonostante quell’unica lacrima sfuggita al suo controllo, quell’unico dettaglio che dimostrava quando ancora fosse inesorabilmente attaccata alla vita, pur non avendo prospettive, pur non avendo alternative, pur non avendo qualcuno da cui tornare.
Era complicato reggere lo sguardo del mercenario, priva di quelle protezioni e di quelle barriere che aveva eretto negli anni, consapevole che essere se stessa sarebbe stato l’unico scambio che l’altro avrebbe potuto accettare per quella richiesta così insolita. E proprio perché aveva idea di quanto fosse difficile conviverci avrebbe pagato quel prezzo così alto. Proprio perché sapeva cosa si provasse ad avere le mani sporche di sangue e a fingere di andare avanti come se niente fosse, confidava che l’uomo potesse riuscirci meglio di lei, che fosse in grado di raccontarsi una bugia migliore, che fosse in grado di dimenticare.
Non rispose alle parole dell’ex Corvonero, perché avrebbe dovuto? Per esporsi ancora di più? Non credeva in Dio, nell’espiazione dei peccati e benché meno nell’Uomo e nella sua salvezza, perché iniziare a farlo in quel momento?
Se fosse stata un po’ più attenta, se avesse dato il giusto peso alle parole del mercenario, avrebbe capito quanto quelle fossero importanti. E ci sarebbe arrivata col tempo, rivivendo quella scena ancora e ancora nella propria testa, giungendo alla conclusione che Elwyn, facendo scivolare via le mani dal suo viso, non aveva salvato soltanto lei, ma aveva salvato anche se stesso. Non era in grado di dire come, non era in grado di spiegarne il perché, ma quella sensazione non l’avrebbe abbandonata per tanto, tanto tempo.
Eppure, in quel momento, non riuscì a nascondere la sorpresa nel vederlo allontanarsi, non riuscì a non riempire i polmoni di aria con quella gratitudine che l’aveva colta impreparata. No, non per non aver assecondato la sua richiesta, quanto per averle dato una seconda opportunità, un’altra, tacita, occasione per riavvolgere il nastro e ricominciare.
“Perché hai dato valore alla mia vita.” Non riconobbe la voce con cui pronunciò quelle parole, quel tono sottile che non ricordava le appartenesse più, scevro di ogni rigidità, di ogni pregiudizio, di ogni paletto che l’aveva sempre limitata nelle interazioni con gli altri. “Più di quanto non abbia mai fatto io” e più di quanto non abbia fatto chiunque altro . Concluse portandosi una mano sul volto, nascondendolo agli occhi del suo interlocutore per impedirgli di leggere oltre il significato di quelle parole.
Tirò un lungo sospiro, prima di ricomporsi e di tentare di allontanare quell’alone di vulnerabilità che sentiva ancora addosso e a cui non era abituata. “Non è sinonimo di fiducia reciproca, indubbiamente, però potrebbe essere un inizio.” Un inizio di qualsiasi cosa: collaborazione, odio, amicizia. Stava a loro scegliere da che parte andare, un passo alla volta. Non gli avrebbe promesso di non provocarlo - quello lo avrebbe sempre fatto così come avrebbe sottolineato ogni suo passo falso - ma di rispettarlo, quello sì. Così come Elwyn aveva appena fatto con lei, dandole anche modo di vedere che tipo di uomo fosse davvero. Chi fosse davvero.
“Non lo so.” Rispose portandosi un dito alla tempia pensierosa un leggero sorriso a illuminarle nuovamente, ripercorrendo quella serata a ritroso, rendendosi conto che forse era lei quella che non aveva un limite o che non si sarebbe fatta scrupoli. Quella che avrebbe chiesto all’Huxley di farle da coscienza qualora servisse quel briciolo di umanità in più che aveva lasciato nel suo passato. “Tuttavia, fossi in te, non vorrei mai scoprirlo.” Non perché fosse una minaccia, sia ben chiaro, ma perché realmente non aveva idea del punto in cui si sarebbe spinta qualora si fosse stati in grado di ferirla e dilaniarla fino al punto di non ritorno.
Lo osservò tornare alle sue cose, soffermandosi qualche istante in più sui lineamenti dell’uomo, sui suoi gesti, studiandolo per la prima volta con occhi diversi e domandandosi quanto ancora sarebbe durata quella tregua, se una volta andati via da quella stanza avrebbero ripreso come se niente fosse, come se nulla fosse mai successo.
Arrivò a chiedersi se sarebbe stata in grado di mostrarsi nuovamente a lui o se quello fosse stato un mero errore di calcolo, se l’ex Corvonero l’avesse risparmiata solo per torturarla ancora un po’ o se lo avesse fatto per un secondo fine.
Aveva bisogno di tempo per pensare con lucidità e non poteva farlo se la fonte dei suoi dubbi era ancora lì davanti a lei. Perché sarebbe bastato un solo sguardo sincero a metterla nuovamente davanti a un bivio, davanti alla possibilità di fidarsi o meno. Di avere ancora un domani a disposizione e non soltanto quell’attimo in cui viveva. Di avere davvero un’altra occasione per smettere, finalmente, di sopravvivere.
Sollevò lo sguardo quando Elwyn ricominciò a parlare, incapace di trattenere una smorfia rassegnata davanti a quella proposta. “Finalmente inizio a capire perché Corvonero.” Si alzò dalla poltrona per arrivare alla sua altezza, per guardarlo da pari. “Nessun potere su di te, ma nessuna finzione. Nessuna maschera. Nessuna bugia.” Allungò la mano verso l’Huxley, quasi a suggellare il patto. Non era un voto infrangibile, ma era tutto quello che potevano offrirsi e in quella stretta c’era anche tutto quello che erano disposti a perdere.
“Ti lascio finire di sistemare e… mi farò sentire.” Controllò l’orologio che aveva al polso e, solo in quel momento, si rese conto che il Lilum sarebbe potuto anche andare a fuoco nel mentre e lei non si sarebbe accorta di nulla. Stava per aprire la porta e andar via quando si fermò per qualche istante, le dita ferme sulla maniglia, incapaci di abbassarla. Non aveva idea se fosse il caso di dirlo o meno ma, alla fine, bisognava iniziare dalle piccole cose. O almeno così pensava.
“Non ti disprezzo, Elwyn, ma mi diverte molto fartelo credere e, soprattutto, darti fastidio.”
Si voltò brevemente per guardare la reazione sul suo viso, prima di chiudersi la porta alle spalle e materializzarsi nel cuore del Lilum, lì dove il lavoro l’avrebbe impegnata e l’avrebbe distratta fino a quando non fosse stata pronta a rielaborare e rivivere il tutto.Margaret "Maggie" Piper | SvetlanaFormer Slytherin14.02.96 | 22 Y.O.L i l u m
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