L'anno scolastico non sarebbe potuto iniziare in modo migliore, per il kaufman.
Ancora prima di mettere piede nel castello, era stanco delle lezioni, degli esami, e delle stesse -brutte- facce; partiva carico di una bella dose di misantropia, sentendo di poter solo peggiorare. Inspirò, cercando di evitare chiunque sfoderando la sua più elegante faccia da culo – chiunque, a guardarlo, avrebbe pensato di prenderlo a schiaffi su quelle guance arroganti da mattina a sera. Ma da quando era tornato a hogwarts, iden, era praticamente intrattabile, e spesso anche il solo fissarlo un po' più del dovuto lo portava a reazioni sempre più esagerate e melo drammatiche. Per di più, il suo nuovo look -a cui sua madre aveva disperatamente cercato di opporsi- attirava lo sguardo più di quanto già la sua brutta faccia non facesse: alla fine dell'estate s'era fatto riempire la testa di treccioline sottili e fitte, su tutto il cranio, e ormai indossava solo abiti larghi, malmessi – stessa sorte della sua divisa scolastica.
Che stesse lentamente divenendo una drama queen? ma senza ombra di dubbio, il problema era che farglielo notare ora come ora comportava un pugno dritto dritto al naso, con sola destinazione al san mungo. Detto ciò, oltre ad essere sempre più intrattabile, era divenuto anche più insofferente... alla vita in particolare, ma anche le persone sapevano fargli cadere l'ultimo coglione rimasto (cit.).
Avrebbe PREGATO per potersi trovare da solo in dormitorio, nella sala comune, ai banchi delle lezioni... ma la vita, anche in quel gioco che era ad hogwarts, sembrava sbeffeggiarlo nuovamente, e le sue preghiere non vennero udite. Il suo ultimo compagno di stanza era letteralmente scappato, e merlino, iden sperava di cuore facesse girare abbastanza la voce su di lui affinché a nessuno venisse la b r i l l a n t e idea di dire “ehi, kaufman, ora hai un posto letto libero – vengo a fare il tuo amiketto del kuore” ecco, no, quello costava due pugni di sola andata per il san mungo.
Quindi, entrato nella camera e trovandola vuota, trasse un lungo sospiro di sollievo, abbandonando i magri bagagli al centro della stanza e lasciandosi cadere su uno dei letti beato, con gli occhi chiusi: sul momento, decise che avrebbe passato il resto della giornata così, fanculo l'essere sociale.
Tuttavia non dovettero essere passati che pochi minuti, quando sentì il rumore della maniglia e la porta aprirsi – e pensare che l'aveva detto, lui, nella propria mente: non basta una porta chiusa, te la devi sbarrare se non vuoi i rompicoglioni fra le palle.
Si chiedeva solo quale corvo eccessivamente eccentrico si fosse messo a pensare che potesse essere una buona idea fare irruzione -senza bussare- nella tana di un iden visibilmente scazzato, odioso, e per di più iracondo e veloce a venire alle mani. Lo sfortunato doveva stare attento a giocarsi bene le sue carte, perché da un certo punto di vista rischiava letteralmente di venir mangiato.
Si alzò quindi, in modo da trovarsi seduto sul bordo del morbido letto, e voltandosi già sapeva di avere negli occhi un barlume omicida degno di un serial killer pronto a vendicarsi di chi gli aveva fatto scontare anni di galera – «sciocco mago, non sai chi dimora-» «e tu che cazzo ci fai qua.»
Per un attimo, un lungo attimo, il cervello di iden si spense.
Pensava che la sorpresa peggiore, irrazionalmente, potesse essere quella di charles che persino lì riusciva a venire a disturbarlo /ma ammettiamolo, la serpe aveva smesso di cagarlo da un pezzo, e quindi non aveva neanche preso in considerazione l'idea/ ma poi. poi. L'allarme risuonò nella sua testa, esattamente come quello di beatrix di fronte a quella vacca monoculare al servizio di bill -l'aveva giusto visto di recente- quando i suoi occhi andarono a schiantarsi /nemmeno troppo metaforicamente/ contro quelli del ventimiglia.
Già.
La vita aveva appena cominciato a prenderlo per il culo, e lui non era certo che sarebbe arrivato alla fine di quel gioco senza aver commesso un omicidio. Sai com'è, «è la mia cazzo di stanza» coglioncello, si trattenne però – immaginando che avrebbe avuto modo di insultarlo parecchio in quei minuti; una dose di parolacce alla volta. E poi romeo probabilmente doveva ancora capire con chi aveva a che fare, perché oltre a sostenere il suo sguardo con drama da scream queen, non sembrava intenzionato a tornare sui suoi passi, chiudendosi la porta alle spalle e fingendo che quella conversazione non fosse mai avvenuta.
no. restava. E lo fissava, per poi -addirittura- mettersi a borbottare come una pentola sul fuoco «per tutti i reggiseni di merlino» ecco, già lo irritava, odiava i suoi intercalari e non ce la fece a trattenere la lingua, nemmeno mordendosela con entrambe le fila di denti «per tutti i cazzi di merlino, semmai» lo apostrofò, per poi alzarsi, scrutarlo dall'alto al basso e sbuffare – avvicinandosi la porta per riaprirla e accompagnarlo, in modo galante, ad uscire «sì bene, grazie per la visita, no non compro biscotti e no, sono ateo, quindi ora puoi andartene c i a 1» e piegò le labbra in una smorfia a dir poco saccente e infastidita: non voleva compagni di stanza e soprattutto non ci voleva lui, se proprio doveva averne uno /cosa che prima o poi sarebbe successa, doveva solo rendersene conto./
Agitò la mano quindi, in modo incalzante e con tanto di hop hop per far sì che romeo riprendesse i propri bei bagagli in mano e si catapultasse da sé fuori di lì. Che ci poteva fare: iden ci aveva anche provato no a sopportarlo, ma l'altro sembrava dover per forza irritarlo... con, con il suo manifestarsi, il suo respirare ossigeno. Ecco, c'erano cose che non poteva tollerare.