Alcohol e nervosismo, pessima accoppiata. Charles lo sapeva bene, non era certo la prima volta che si ritrovava invischiato in quel mix letale che, in un modo o in un altro, finiva sempre per incasinargli la vita più di quanto già non lo fosse. Eppure lui, recidivo, non aveva mica ancora perso l'abitudine. Da quando aveva ottenuto il permesso per Smaterializzarsi, poi, le cose non avevano fatto altro che peggiorare: usciva di casa sbattendosi la porta alle spalle, tirava fuori la bacchetta dalla tasca e, puf, eccolo seduto sul solito tavolo ai Tre Manici a prendersi una di quelle sbronze che gli avrebbe dato il mal di testa per una settimana. Non succedeva spesso, per fortuna, ma quando capitava non era mai una cosa da niente. Eppure, si poteva biasimare? Costretto a passare le vacanze estive tra la casa dei suoi nonni e la stanza al San Mungo dove sua madre, che il più delle volte a malapena lo riconosceva, giaceva da ormai diversi anni. Invero, avrebbe volentieri passato anche tutto il tempo con lei, pur di non dover stare a sentire le bigotte chiacchiere domestiche che solo due anziani purosangue erano in grado di sputar fuori. Almeno fosse stato capace di starsene zitto, probabilmente la situazione avrebbe anche potuto rivelarsi sopportabile. Ma no, figurarsi, per lui era impossibile reprimere quel folle desiderio di dire la sua, di ribattere anche quando era evidente l'inutilità di un dibattito, di litigare fino ad avere fisicamente bisogno di andare via. Se fosse dipeso da lui, avrebbe volentieri fatto ritorno a Le Havre, in quella casa che era teatro dei suoi peggiori incubi ma anche dei suoi ricordi più belli. Avrebbe ricontattato quelli che erano stati i suoi amici d'infanzia e si sarebbe lasciato alle spalle i suoi nonni, Hogwarts, e tutta quella gente del cazzo. Quella fantasia era esattamente il suo concetto di pace. Nella realtà, la cosa più simile alla tranquillità per lui era la sigaretta che stringeva fra le labbra e la leggera brezza serale che soffiava appena fuori ai Tre Manici di Scopa. «Oh, bella addormentata. Hai una sigaretta?» non si era accorto di aver chiuso gli occhi fino a che la voce di uno sconosciuto non aveva richiamato la sua attenzione. «Scusa dude, l'ultima è mia.» si strinse nelle spalle, sbuffando fuori una nuvoletta di fumo. «Sì, certo.» non ebbe neppure il tempo di riflettere prima che la mano del tizio gli sfilasse la sigaretta dalle dita e gli desse una spinta sulla spalla, non troppo pesante ma abbastanza per farlo letteralmente finire col sedere per terra. Senza dubbio, i quattro Whiskey Incendiari che aveva buttato giù poco prima non gli furono d'aiuto. Se in un'altra circostanza avrebbe provato immediatamente a reagire, l'ottundimento da alcohol che sentiva nella testa non gli permise di dire una sola parola né di muovere un muscolo. Rimase lì, seduto per strada, con lo sguardo perso nel buio. A svegliarlo dal torpore in cui era nuovamente caduto fu un miagolio, seguito da un leggero fruscio proprio vicino al suo orecchio. Voltò il capo alla sua destra e noto un gatto senza pelo accanto a sé che pareva fissarlo nell'oscurità. «Ciao.» piegò le labbra in un leggero sorriso, avvicinandosi con cautela all'animale per convincerlo ad avvicinarsi. Aveva sempre avuto un debole per i gatti, sin da bambino. Sollevò poi appena lo sguardo, accorgendosi di una figura decisamente umana alle spalle del felino ciao everett. «E tu che cazzo hai da guardare?» decisamente, era più simpatico coi gatti che con le persone.
|