Did you see the sparks filled with hope?

maeve + al + amalie

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    2043: mabel winston crane
    Amalie Shapherd
    «credo capirebbe, se le dicessi la verità»
    Batteva ripetutamente il tacco della scarpa a terra, la punta saldamente fisso al pavimento, mentre si mordicchiava le unghie della mano destra incurante dello smalto azzurro con cui le aveva dipinte quella mattina, proprio nella speranza di limitare quel gesto dettato dal nervosismo. Seduta lì, nella sala d’attesa del reparto maternità dell’ospedale di Parigi, poco le importava delle sue unghie, o del fatto che fosse arrivata persino a far sanguinare alcune dita, mordendo fino alla carne viva. «shapherd» La udì a malapena, la voce del ragazzo al suo fianco. «ams» e non si girò, la ragazza, neppure quando Barry le afferrò il polso per salvare dal suo nervosismo le sue povere unghie. Tre su cinque stavano sanguinando «se continui così finisci per mangiarti le mani» Si girò verso di lui, rendendosi conto solo in quel momento che, per tutto il tempo, era rimasto lì con lei. Per lei: non vedeva altro motivo per cui il ragazzo avrebbe voluto passare un’intera mattinata in ospedale nell’attesa del parto di Maeve Winston. Anche se, a dirla tutta, quell’evento era stato il più atteso dell’ultimo mese: se fosse passato qualche giorno in più, quella della Winston sarebbe stata classificata come “gravidanza con complicanze”, ed inutile dire che l’ansia di Amalie era aumentata ogni giorno in cui col dado usciva un uno le gemelle decidevano di posticipare la loro nascita. Era paradossale anche il semplice fatto di doversi preoccupare per la propria nascita. Rivolse un timido sorriso a Barry, forse il primo che si formava sul suo viso da giorni «grazie» «non devi ringra..» «voglio dirglielo» e sapevano bene entrambi, a che cosa si riferisse «oggi stesso» Non appena sarebbero nate le gemelle, Amalie avrebbe rivelato tutta la verità. Non sapeva perché, per tutto quel tempo, se la fosse tenuta dentro: aveva avuto mille altre occasioni in quei giorni, decisamente migliori di quella, in cui dire tutto. Eppure non ne aveva mai avuto il coraggio: aveva continuato a ripetersi domani glielo dico, a convincersi che un giorno in più non avrebbe cambiato nulla, ed alla fine si era ritrovata al giorno della nascita – la sua - senza aver fatto nulla. La paura l’aveva costretta a ridursi all’ultimo. Aveva preferito mantenere il rapporto con Al e Maeve intatto il più a lungo possibile, ma sapeva che, con la nascita delle bambine, non ce l’avrebbe fatta a comportarsi in modo normale intorno a loro. Non senza prima avergli fatto lo stesso discorso che Barry e Kieran erano riusciti a fare ai loro, di genitori. E se c’erano riusciti e Will, Akelei, Murphy e Shot avevano accettato la cosa – o perlomeno, stavano provando a farlo – allora per Amalie valeva la pena tentare. Anche se era terrorizzata all’idea di un possibile rifiuto: razionalmente sapeva che Maeve ed Al non erano come gli Shapherd, ma questo non le impediva di temere che si sarebbero comportati come la famiglia in cui era cresciuta aveva fatto fin dalla sua nascita. Mesi interi circondata da persone che tenevano sul serio a lei non erano comunque abbastanza per cancellare anni in cui la ragazza aveva creduto di non esser degna d’affetto, o almeno, non ancora. Sapeva che le serviva altro tempo, ed in quel momento, seduta su una delle sedie nel corridoio dell'ospedale, si rese conto di voler correre il rischio, dicendo tutta la verità ai suoi veri genitori, perché lei quel tempo voleva passarlo con loro. «sento che è il momento giusto per farlo»

    «posso?» Fece il suo ingresso nella stanza delicatamente, aprendo lentamente la porta ed affacciandosi prima unicamente con la testa, osservando la scena davanti ai suoi occhi. Al era già nella stanza, in piedi vicino al letto dove era sdraiata Maeve, ed Amalie si chiese se fosse rimasto con lei per tutto il tempo, da quando la Winston era entrata in travaglio: non sapeva bene in che rapporti fossero i due in quel momento, ma l'unica cosa che importava era che, seppur non se ne rendessero ancora conto, loro due erano destinati a stare insieme. E la ragazza aveva decine di foto a testimoniarlo, nonché il fatto che, nel 2018, c'erano i loro due figli ad aspettarli. Spostò lo sguardo dalla bimba tra le braccia del Crane a quella che stringeva dolcemente al petto Maeve, e subito la ragazza si chiese quale delle due fosse Mabel, e quale Hemingway: era così strano, ritrovarsi davanti alla versione appena nata di sé stessi, e non saperla neppure riconoscere. Eppure, a pensarci bene, per tutti gli anni di scuola aveva incrociato Sorrow a lezione o per i corridoi innumerevoli volte, e mai l'aveva distinta dagli altri volti, anche se avevano gli stessi occhi azzurro ghiaccio. Gli stessi di Maeve, del resto. E fu proprio la Winston ad accorgersi del suo ingresso nella stanza, e sorridente come al solito le fece cenno di farsi avanti. E fu quel sorriso a darle l'ultimo briciolo di coraggio di cui la ragazza aveva il bisogno, per entrare del tutto.
    Oramai aveva deciso di farlo, e non era il tipo da tirarsi indietro, Amalie Shapherd.
    Inspirò a fondo, mentre si avvicinò a letto, per poi sedersi ai piedi di esso, lo sguardo fisso sulla punta delle proprie scarpe: temeva che, osservando ancora le bambine addormentate tra le loro braccia, si sarebbe tirata indietro. Del resto erano giorni che rimandava quel discorso, e si era ripromessa che la loro nascita sarebbe stata la data limite: se non lo faceva ora, probabilmente non l'avrebbe più fatto. Così, non avendo praticamente più unghie da mordicchiare, passò al tormentare anche la pelle intorno ad esse. «videvodireunacosa» e probabilmente quelle parole risultarono incomprensibili ad entrambi. Per questo la ragazza allontanò per un attimo il dito indice dalla bocca, questa volta scandendo le parole per bene. Respira, Amalie. «vi devo dire una cosa» Non osservò nemmeno le loro espressioni, ma spostò l'attenzione dalle sue scarpe alla borsa che portava a tracolla, iniziando a trafficare all'interno alla ricerca delle foto che custodiva gelosamente sempre con sé. E quando trovò quella che cercava, la tirò fuori stringendosela al petto.
    Era stata Kieran a consigliarle quella tattica, il "se non sai cosa dire, fagli vedere direttamente le foto". Eppure, in quel momento non sapeva cosa fosse peggio: se trovare la forza di parlare e le parole adatte per spiegar loro quella situazione, oppure buttarli direttamente davanti all'evidenza, sbattendogli in faccia la verità. Il futuro
    «mmh..è una cosa un po' complicata » Dire un po' era un eufemismo, ma Amalie stava cercando di addolcire un po' il tutto «da capire e da accettare » del resto, non poteva pretender che per loro sarebbe stato facile come lo era stato per lei: amalie, nel profondo, aveva sempre desiderato dei genitori diversi dai propri, e si era sempre sentita fuori posto, a casa Shapherd. Per questo scoprire che in tutti quegli anni ciò che aveva provato era, in un certo senso, giustificato dalle sue vere origini, le aveva tolto un grande senso di colpa dalla coscienza. Ma loro? Sicuramente non doveva esser semplice, l'idea di ritrovarsi da un giorno all'altro con una figlia diciottenne. Che per di più nel 2043 aveva partecipato ad una missione per tornare indietro nel tempo, perdendo tutti i ricordi.
    Ma Murphy e Shot avevano capito.
    William Barrow ed Akelei Beaumont anche.
    Amalie voleva creder che i suoi genitori avrebbero fatto lo stesso.
    Se lo sentiva
    «vengo dal futuro» e non il 2118: da futuro del genere, non avrebbe avuto motivo di andarsene «non questo, ovviamente, ma il 2043. Da quanto ne so, era davvero un brutto posto in cui vivere» Oltre a ciò che Kier le aveva spiegato, mesi prima, Amalie era riuscita a costruirsene un quadro preciso grazie ai racconti di Jekyll ed Hyde, nei mesi in cui aveva passato gran parte delle sue giornate con loro, bloccata nell'upside down «ma io e mia sorella..» finalmente, portò di nuovo lo sguardo sulle due bambine «non siamo tornate indietro per vivere in condizioni migliori » si conosceva abbastanza per sapere che il motivo per cui l'avevano fatto era un altro. Lo aveva letto nelle parole della lettera, e ne aveva avuto conferma conoscendoli davvero e vivendo a contatto con loro «l'abbiamo fatto per voi» a quel punto guardò Maeve ed Al, la vista ad appannarsi per colpa delle lacrime che minacciavano di uscire «mi chiamavo mabel..» allontanò la foto dal petto, trovando finalmente il coraggio di porgerla a Maeve. Era una delle sue preferite: lei ed Hemingway probabilmente avevano non più cinque anni, e sorridevano all'obbiettivo sedute in braccio ai loro genitori sui gradini della stessa casa che Amalie aveva visto in molte altre foto. «...winston crane» Lasciò a loro, il compito di trarre la conclusione di quel discorso.
    Siete i miei genitori
    ravenclaw | 18 y.o.
    21/07/2118 | H: 13.20
    BUT DID YOU SEE
    THE FLARES IN THE SKY?
    WERE YOU BLINDED BY THE LIGHT?
    Cause someone's out there, sending out flares


    Edited by (kind)le - 1/4/2019, 22:47
     
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    aloysius angus crane
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    «zio?» a quel saluto, trafelato e confuso, Aloysius Angus Crane avrebbe davvero voluto rispondere sorridente come suo solito alla vista della nipote - istintiva, la smorfia sulle labbra a prendere il sopravvento, quando in quel di Parigi Murphy Skywalker si palesava; non era esattamente il tipico dispensatore di felicità ed abbracci il fotocineta, si sa, ma per la sua famiglia avrebbe sempre fatto un’eccezione. A maggior ragione se, di questa, gli rimaneva soltanto la geocineta. Tuttavia non lo fece, rimanendo invece immobile con il braccio destro stretto al petto a sorreggere il sinistro, le dita della mancina a scivolare sulle morbide labbra e sul mento rasato il giorno addietro; le iridi smeraldo, allo stesso modo, non si erano voltate nella sua direzione, inchiodate com’erano sulla porta scorrevole e sul piccolo oblò di vetro che dava sul corridoio. Si girò verso la ragazza soltanto quando i passi delle scarpe da ginnastica si furono fatti troppo vicini per poter essere ignorati, limitandosi ad alzare le sopracciglia e ad un cenno del capo. «cosa succede?» beh, non era ovvio? Si umettò le labbra, tornando austero ad osservare l’uscio – come se continuandolo a fissare, prima o poi, questo si sarebbe infine aperto, permettendogli di scivolarci all’interno. «danno un classico disney, lilli e il vagabondo» scherzò atono, una lieve piega a curvare le labbra dietro le dita. «aw, davvero?»
    Quanto voleva bene a Murphy, santo cielo. Batté più volte le lunghe sopracciglia biondo paglia, piegando con intenzionale lentezza il capo nella sua direzione. «no, murphy» strinse le labbra tra loro, arricciando il naso e scuotendo appena la testa. Per giunta, molto offensivo da parte della ragazza credere che se davvero avessero proiettato quel film, lui se ne sarebbe rimasto lì fuori piuttosto che sgattaiolare all’interno. Allontanò la mano dal viso, puntando l’indice contro il grande cartello di un azzurro tenue a denominare il reparto oltre la porta. «maeve è in travaglio»
    Maeve è in travaglio.
    Poteva quasi sentirle echeggiare nella sala d’attesa, quelle parole, mentre rimbalzavano da una parte all’altra tornando poi ogni tanto a colpire la Skywalker in testa con la ferocia di una palla da golf sparata da un lancia palline. «mh» reazione bizzarra. Aggrottò la fronte, allontanandosi dalla porta per raggiungere una delle tante sedie. Aveva passato così tanto tempo in piedi lì davanti, in attesa che arrivasse qualcuno a fargli compagnia, che non si era nemmeno reso conto del fatto che ci fossero delle effettive sedute alle quali affidarsi: era come se, fino ad allora, avesse temuto che distanziandosi dall’ingresso potesse perdersi qualcosa.
    Non sapeva nemmeno cosa, rischiasse di perdersi. Un carlino oltre la finestra rotonda che andava in giro in monopattino? Un astronave ad abdurlo dall’esatto punto in cui era immobile? L’arrivo di un infermiere a dirgli che le gemelle erano nate? Che non lo avevano fatto, perché qualcosa era andato storto?
    Non era comunque niente che lo riguardasse, d’altronde. Aveva fatto soltanto ciò che era giusto, prendendosi cura della Winston mentre affrontava la gravidanza in completa solitudine - e nemmeno lo aveva fatto bene, permettendosi di sparire per un fottuto mese e mezzo insieme a tutti gli altri. Nemmeno era lecito che gli importasse così tanto delle nasciture: si era ripetuto più volte, da quando erano tornati dall’universo parallelo, che probabilmente era soltanto un modo per sostituire Run e River, per sopperire alla voragine nel petto che gli era rimasta da quando aveva rivisto suo figlio attraverso lo specchio, e da quando nella carneficina del Lago Nero aveva stretto la mimetica per un’ultima volta, un po’ più forte e un po’ più a lungo, prima di lasciarla tornare nella California della Prima Guerra Mondiale.
    Naturalmente non era vero - come falsa, era l’illusione che le due piccole potessero in qualche modo prendere il posto dei suoi figli.
    Aveva imparato a conoscere la madre, aveva iniziato a farsi conoscere dalle due attraverso stupidi giochi per comunicare attraverso la pancia della bionda. Che non fosse, né probabilmente mai sarebbe stato, nessuno, se non un conoscente, non avrebbe dovuto significare così tanto.
    Ebbe appena il tempo di sospirare, portandosi le mani a premere sul viso, quando la reazione di Murphy si fece sentire – a detta del Crane – da tutta la Francia. «COSA?!?!??» con estrema calma lasciò scivolare le dita sul volto, portando gli occhi verde giada a cercare quelli più scuri. «MAEVE STA PARTORENDO?!?!?» «è-» quello che ho appena detto. «E NON SEI FELICE?»
    Felice? Supponeva di doverlo essere, certo.
    Lo era.
    A quel punto, però, era più che altro stanco – e ferito: mentre la aiutava a salire nella macchina di Leonard quando erano iniziate le doglie, la giovane aveva avuto la brillante idea di mordergli la mano a sangue; non gliene faceva una colpa, era stressata. Il fatto che lei non lo volesse intorno, ad ogni modo, ostentandogli un diplomatico broncio colmo d’educazione e quieto vivere, non significava che lui non avesse fatto di tutto per esserci. Persino più che non in precedenza, sebbene agendo in maniera più moderata e discreta. Voleva soltanto fare qualcosa di buono.
    «chi non è felice?» ma… perché. Al non riuscì nemmeno a salutare Dakota, prima che Murphy rispondesse per lui. «zio! credo» sospirò, la mano a premere sulle palpebre chiuse. «perché?» «sì che sono felice» confermò secco, alzando gli occhi sui numerosi nuovi arrivi nel reparto di ostetricia. «perché non sei dentro?» oh, Gesù. «perché… dovrei?» Murphy si sedette alla sua destra, Dakota alla sua sinistra.
    Si sentiva in trappola, o come ad uno di quegli interventi organizzati per gli amici quando questi iniziano ad avere un problema. Ricordava ancora quando gliene avevano fatto uno perché beveva troppo, ed era finito in una sbronza collettiva. Inutile usanza americana. «perché, boh, l’hai portata tu qui» «e credo sia da sola, molto rude» passò la lingua sulle labbra, alzando gli occhi al cielo.
    Sbagliava, a dire di sentirsi intrappolato: invero, si sentiva più come Rea quando aveva a che fare con (chiunque.) lui. A differenza dell’illusionista, lui non aveva la perseveranza di un Hamilton – e Shia, per quanto lo amasse con tutto il proprio cuore, non aiutava; lo faceva di più l’indole di Sin, che suggeriva di liberare i piccioni nascosti sotto le panche e dileguarsi in una nube di piume malvagie. «ero entrato con lei, ok?, volevo farle compagnia» spinse gli angoli della bocca sulle gote, stringendosi nelle spalle. «mi ha cacciato via, ed ora» indicò di nuovo la porta scorrevole, inequivocabile dato di fatto. «sono chiuso fuori» diede una pacca sulla spalla al Wayne, un sincero sorriso a piegargli le labbra. «però se le fai chiedere da quell’infermiera se puoi andare, sono abbastanza certo ti lascerà entrare» non aveva dubbi che preferisse la presenza del ragazzo, piuttosto che la sua.
    Murphy e Dak, al contrario, sembravano averne. «nah, dovresti andarci tu»
    Avevano… lo avevano almeno ascoltato? Fatto finta, almeno?
    Quando lo alzarono a forza e fecero aprire la porta, spingendolo dentro, dedusse che no, non lo avevano fatto.
    Li guardò dall’altra parte dell’oblò, Al, tradito e davvero in trappola quella volta. «millenials» mugugnò, avviandosi verso la stanza di Maeve.
    Non aveva alternative, a quel punto. Ne era felice.
    Sebbene fosse inutile, quando giunse alla porta bussò tre volte, entrando poi senza attendere il via libera. «ehi» tentò cauto, infilandosi il camice fornito dagli ostetrici prima di avvicinarsi al lettino. «come va?»
    «AAAAAAAAAAAAAAAH»
    «hai ragione, domanda scemAAAAAAAAAH LA MIA MANO»

    «vuole prendere la bambina?» «cosa?»
    Per quanto ne sapeva, potevano essere trascorsi dieci minuti come quindici ore – a giudicare dalla riluttanza delle piccole ad uscire, tuttavia, propendeva più per la seconda ipotesi. Al, in quella sala parto, sapeva soltanto di avere una mano presumibilmente rotta: era incredibile, la scarica di adrenalina che il travaglio donava alle donne.
    L’infermiera gli si avvicinò con una delle bambine tra le braccia, mentre l’altra giaceva sul petto della madre. «ho detto: vuole prendere la bambina?» «io non…» schioccò la lingua sul palato, senza riuscire a smorzare il sorriso a premere sulle labbra – certamente felicità, non c’era da metterlo in dubbio, ma era anche convinto fosse frutto di isteria e stanchezza: ad un se stesso in simili condizioni, lui, non avrebbe affidato un neonato in fasce.
    Non dopo che aveva rischiato di far cadere di testa River appena uscito da una Charmion furiosa. «io non sono il padre» ammise mesto. Era andato lì soltanto per essere vicino a Maeve, per assicurarsi tutto andasse per il meglio: non voleva arrogarsi diritti che non gli appartenevano.
    Poi la bambina iniziò a piangere. «ok, dia a me» che sacrificio.
    Non sapeva fare tante cose, Aloysuys Angus Crane, ma di certo aveva imparato come cullare un neonato per farlo smettere di piangere.
    «sono bellissime» le parole fuggirono le labbra ancor prima che potesse rendersene conto, e dall’ammirare i teneri visi assopiti delle bambine fece scivolare le iridi chiare su quello più stanco ed adulto della bionda. Strizzò un occhio complice nella sua direzione, abbozzando un sorriso. «sei stata forte» continuò, prima che potesse ucciderlo con lo sguardo. «in tutti i sensi: mi devi aggiustare la mano, penso tu mi abbia fracassato qualche falange» wow, erano passati dal silenzio, alle urla, ai discorsi unilaterali. Che forza.
    «posso?» non si sprecò nemmeno di dare il consenso alla giovane Shapherd: che la risposta fosse affermativa o negativa, non spettava a lui darla. Così, si limitò unicamente a sorridere cordiale quando la ragazza si avvicinò al letto, scrutandola con un po’ più di apprensione quando, seduta sul materasso, indugiò lo sguardo sulla punta dei propri piedi. Stava succedendo qualc- «videvodireunacosa» «eh?» -osa. «vi devo dire una cosa»
    Arcuò un sopracciglio, titubante. Non era esattamente l’inizio di conversazione che il Crane preferiva in assoluto: il ti devo dire una cosa, nelle sue diverse varianti, l’avevano usato per dirgli che era stato adottato, che stava per diventare padre, che era già padre, o che qualcuno di caro era morto. Aveva le sue riserve, riguardo quell’incipit.
    «mmh..è una cosa un po' complicata da capire e da accettare» ok, aveva capito.
    Sospirò sollevato, sollevando l’angolo destro della bocca in un sorriso più rilassato – più di quanto non avrebbe dovuto esserlo, dato che «sei incinta.» secco, non una domanda la sua.
    Forse era ancora nel mood. Sicuramente, era ancora nel mood.
    Però dai, si capiva. «barry lo sa?» eh, le cose importanti. «se vuoi ci posso parlare io con lui, non ti preoccupare» d’aiuto, Al, almeno ci provava ad esserlo.
    «vengo dal futuro. non questo, ovviamente, ma il 2043. Da quanto ne so, era davvero un brutto posto in cui vivere» non esattamente quello che si aspettava. Nemmeno tentò di ricongiungere le labbra ancora socchiuse dalle parole precedenti, preferendo rimanere in quell’impasse di confusione e stupore – la sua stasi preferita. Aggrottò la fronte ed annuì piano, facendo cadere lo sguardo un po’ su tutti i presenti.
    Quindi non era incinta. Buono a sapersi.
    Se non fossero appena tornati da un viaggetto interdimensionale, dritti dritti nel duemilacento-fottuto-diciotto, probabilmente non avrebbe creduto ad una singola parola di quelle di Amalie: tuttavia, era stranamente plausibile che avesse viaggiato indietro nel tempo - com’era bella la vita, quando le possibilità immaginabili si limitavano ai diversi luoghi nascosti dell’ateneo di Oxford in cui fare sesso.
    Era solo molto confuso dal perché, lo stesse dicendo a loro.
    «ma io e mia sorella… non siamo tornate indietro per vivere in condizioni migliori. l’abbiamo fatto per voi»
    Strinse più forte la bambina al petto, istintivo, distogliendo lo sguardo dalla Shapherd per posarlo su Maeve – per cercare dalla bionda neo mamma una simile confusione, per sapere che anche lei non ci stesse capendo poi così tanto.
    L’abbiamo fatto per voi.
    «mi chiamavo mabel…» si piegò il più delicatamente possibile, cercando di vedere da più vicino la foto che la ragazza aveva dato alla bionda. «ma che-»
    C’era lui. C’erano loro: lui, e Maeve.
    «…winston crane»
    Winston. Crane.
    Ok. Ok. «in… che senso»
    Che significava.
    Era sua figlia? Era loro figlia?
    Stava per piangere? Non poteva piangere, doveva spiegare.
    Forse aveva troppo sonno, Aloysius Crane. Forse stava già dormendo.
    «potevi almeno portarmi un po’ di vodka, prima della bomba» lecito, eh. Nonché, l’unica cosa sensata che potesse dire.
    Era l’ultimo, l’ultimo!, che poteva permettersi di non credere di avere altri figli dall’età improbabile – senza contare che Will gli aveva presentato in conferenza stampa i figli sedicenni, quindi insomma: tutto era possibile.
    Il contesto, però, era strano. Cioè «a lei sto pure sulle pa-» si bloccò a mezza frase, la bambina stretta al petto con un solo braccio mentre l’altro indicava la Winston, gli occhi a scandagliare la stanza e chiunque vi fosse all'interno. Si sentiva osservato – anche dalle bambine assopite, sì.
    «-nnocchie. pannocchie.»
    former pavor | 29 y.o.
    special muggle | light bender
    I'm gonna pick up the pieces
    And build a Lego house
    When things go wrong we can knock it down
    And keep you sheltered from the storm that's raging on now
     
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    Ancora non se ne capacitava. Come avrebbe potuto? Pur avendole portate in grembo per nove mesi, pur avendo letto qualunque genere di saggio e libro in proposito, Maeve Regan Winston ancora non era, e probabilmente mai sarebbe stata, pronta per quello - dove con pronta s’intendeva anche, semplicemente, aver compreso la portata della situazione. Non si trattava dell’aver adottato un già adulto Leaf, o di essersi proposta per fare da tutrice legale a Scott Chipmunks; quello era stato semplice, ed entrambi i ragazzi non avevano avuto bisogno di lei per crescere: giovani già formati che la Winston aveva semplicemente aiutato a camminare più saldamente, su un pavimento più solido e concreto rispetto a quello cui erano abituati. Le conoscenze di cui li aveva (dolentemente per loro.) infarciti, erano solo addizioni rispetto a quel che già conoscevano e sapevano. Non li aveva cresciuti lei; non erano dipesi da lei; il loro carattere non aveva nulla a che fare con Maeve, malgrado la bionda sarebbe stata più che felice di potersene prendere il merito.
    Credeva di aver avuto paura nella sua vita, ma nulla si avvicinava al terrore provato nello stringere quella piccola, tenera ed indifesa creatura fra le braccia: Dio, Maeve stava di nuovo piangendo. Inspirò dalle narici sforzando i polmoni a funzionare come il Signore comandava, stringendo cauta la bambina al petto. La sua bambina - le sue bambine. E credeva di essere stata felice nella sua vita, ma nulla poteva equiparare il denso calore al petto dell’udire il primo pianto delle sue figlie graffiare le pareti della stanza.
    Figlie. Maeve Regan Winston era madre.
    Le sembrava ieri che iniziava Hogwarts, biondissimi capelli color argento a brillare sotto le luci soffuse della Sala Grande poco prima di essere smistata nei Corvonero – il sorriso di Aiden dal tavolo dei Tassorosso, i fischi d’ammirazione e gioia che l’avevano fatta arrossire rendendola la ragazzina più orgogliosa di Hogwarts. Ieri che veniva nominata Prefetto, e poi Caposcuola. Ieri che si diplomava, il buffetto sulla guancia di Mitchell ed una saltellante Nicky a lanciare coriandoli a forma di tocco, Dakota ad abbracciarla e Sharyn a scattare più foto di quanto qualunque pellicola potesse tollerare, Jade al suo fianco a sbuffare, sorridendo negli occhi, degli assurdi abiti di Ego e Nat. Solamente il giorno prima la sua vita era fatta di feste ed abiti nuovi, di bottiglie mai sigillate a lungo e mani sollevate al cielo; mettere la testa a posto, scegliere una causa a cui dedicare la sua vita.
    Quella causa, per la diciassettenne Maeve, era stata la sua famiglia: la Resistenza era solo un effetto collaterale.
    E le sparizioni. Ed i morti. E tutti quei timori che s’erano ingranditi di giorno in giorno spaccando ossa e timpani, rendendo impossibile dormire o rimanere sveglia. La paura, la stanchezza, e le lacrime di cui solamente il suo cuscino era stato silente testimone. Crescere - di cuore, di testa. Prendere responsabilità come fiori in un prato in Primavera, farne anima con cui migliorarsi e migliorare.
    Missioni. Isaac, Leaf e Scott. Scelte – sue, di altri.
    Solo ieri.
    «sono bellissime»
    Guardò le spesse palpebre chiuse della bambina contro il proprio petto, i corti capelli dorati e spettinati a darle un’aria buffa ed irreale. Le labbra sottili e semi aperte, lucide di saliva. La pelle più rosea che avesse mai visto, le guance tonde di chi ancora non conosceva il mondo e quella morbidezza poteva tenersela stretta. Ed era sua. Quando aveva scoperto di essere incinta, non aveva mai, mai valutato la possibilità di non tenerle. Se fosse accaduto nel suo tempo, avrebbe preso in considerazione l’opzione di non portare avanti la gravidanza: non era un mondo in cui crescere; non era pronta. Ma lì? Strappata dalla sua famiglia, dai suoi amici, dalla sua vita? Era stata una scelta egoista, la sua. Non erano ancora nate, e Maeve aveva già bisogno di loro - e quando avevano iniziato a crescere, gonfiandole pancia e cuore, aveva sentito che di loro avrebbe avuto bisogno sempre. Che nei loro battiti, ci fosse anche il proprio. Non aveva mai compreso come si potesse amare così tanto qualcuno senza aver avuto la possibilità di conoscerlo; aveva creduto di saperlo quando Jade era rimasta incinta, ma l’amore in quel caso era stato un effetto secondario: aveva amato quel bambino perché l’aveva amato Jade, e per quei sorrisi Maeve Winston avrebbe sventrato più di un mondo. Era diverso. Sentirle crescere dentro di sé, sapere che quando sarebbero nate avrebbero potuto avere i suoi occhi, o le sue labbra - era diverso. Il pensiero che non avrebbero mai conosciuto il padre non l’aveva mai privata del sonno; le bambine non avrebbero mai, mai sentito la mancanza d’amore nella loro vita, e quando fossero state abbastanza grandi da capire, Maeve avrebbe preso i loro visi fra le dita ed avrebbe detto loro la verità: eravamo diversi, io e lui; ma è sempre stato amore - a loro modo, nei loro disuguali tempi - prigionieri di tante scelte, troppo a lungo. Ma vostro padre è morto da uomo libero. Non voleva lo odiassero. Dio, non voleva odiassero nessuno - era troppo da chiedere? Non voleva che la loro vita fosse avvelenata da risentimento, senso di colpa. Faccende in sospeso. E voleva essere presente sempre, ogni giorno della loro vita – voleva essere lì per la loro prima parola, i primi passi, il primo dentino caduto. Voleva accompagnarle a scuola, salutarle sull’Espresso, asciugare le loro lacrime al primo cuore spezzato. Voleva essere una brava mamma più di quanto avesse mai desiderato qualcosa in vita sua. Voleva valerne la pena, per loro. Essere una persona migliore, la donna che quelle due bambine meritavano.
    Voleva che la amassero quanto lei già amava loro. Che non sentissero la sua mancanza perché ci sarebbe stata in ogni momento – voleva essere più brava di sua madre. Poteva farlo? Se gliel’aveste chiesto il giorno prima, avrebbe detto di no.
    In quel momento, facendo guizzare gli stanchi ed umidi occhi azzurri dall’una all’altra delle gemelle, la sua risposta sarebbe stata per loro, sì - poteva provarci, poteva riuscirci.
    Annuì ad Aloysius Crane senza riuscire a distogliere lo sguardo dalle sue bambine, un sospiro spezzato a bagnare ancora le guance di lacrime. Ormoni - nulla di cui vergognarsi. Stanchezza: travaglio, adrenalina. Gioia - e qualcosa che credeva di aver perso da tempo: speranza.
    Speranza.
    «lewis e carole» sussurrò, allungando cauta un dito per sfiorare la fronte di Carole, la bionda stretta fra le braccia. Lewis, i capelli di una tonalità più scura – come quelli di suo padre – dormiva beata contro il petto di Al. Aveva deciso i nomi delle bimbe durante il mese d’assenza degli altri, ma dire che si fosse trattato di scelta sarebbe stata una menzogna: erano stati i nomi, a scegliere lei – loro. Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie era sempre stato il suo romanzo preferito, nonché uno dei libri che avevano vissuto sulla propria pelle tutti i momenti più significativi della vita di Maeve: lo stava sfogliando distrattamente, la prima volta che aveva parlato con Jade; l’aveva dimenticato in Sala Grande, ed era stato un ancora sconosciuto Dakota a riportarglielo; l’aveva letto a Sharyn quando ancora era una bambina. Era diventato il suo porta fortuna, nonché il primo libro suggerito ad ogni persona che si fosse mai mostrata disposta ad ascoltarla. Si era separata dalla propria, vissuta copia solamente l’anno del suo diploma, quando l’aveva ceduto, come un testimone, alle mani di Amalie Shapherd. Non era neanche certa del perché l’avesse fatto – aveva sentito fosse giusto, e c’erano intuizioni impossibili da ignorare perfino per una ragazza cinica come l’ex Corvonero.
    Lewis e Carole: perché Alice alla fine si risveglia dal suo sogno. E torna a casa.
    Maeve Regan Winston voleva tornare a casa. Voleva che le sue (Dio! le sue) bambine potessero conoscere Jade, Mitchell e Nicky, Sharyn ed Isaac, Leaf e Scott. Voleva crescessero con Uran, che insieme a lui andassero a nuoto o a lezione di disegno o semplicemente esistessero. Voleva che avessero la possibilità di amare la loro famiglia – di essere a loro volta amate.
    «sei stata forte» Davvero, Al? Una mezza risata ironica e stremata le scosse le spalle, gli occhi azzurri a scivolare pesanti verso quelli del Crane. Ma poi perché era lì? Non ne aveva sinceramente idea, Maeve Winston. Non le doveva nulla, e considerando il modo in cui l’aveva trattato da quand’era tornato - una silente, seppur cordiale, convivenza – non si sarebbe meritata la sua compagnia in un momento del genere. A malapena lo conosceva, e la Winston non era certo rinomata per essere nella top ten delle persone che sapevano farsi voler bene in poco tempo, anzi. Probabilmente era lì per lo stesso motivo per il quale non l’aveva lasciata sola, nel buio, a Beauxbatons: non riusciva semplicemente a dare le spalle a qualcuno quando credeva che quel qualcuno potesse aver bisogno di aiuto. Maeve non era più nella posizione di poter, o voler, rifiutare: in una situazione normale il suo orgoglio gliel’avrebbe impedito, ma la nascita delle sue figlie (le faceva male il cuore solo pensarlo, le sue figlie) non rientrava certo in categoria. C’era qualcosa di particolare in lui, nel modo in cui si poneva al mondo e con il mondo, che la faceva stranamente sentire…compresa, al sicuro. Non si sentiva in dovere di proteggerlo, come invece le capitava con chiunque altro al mondo; non credeva che Al fosse una sua responsabilità, e le permetteva di essere più se stessa di quanto non lo fosse da anni – da tutta una vita. «in tutti i sensi: mi devi aggiustare la mano, penso tu mi abbia fracassato qualche falange» Poi faceva commenti del genere che le facevano rimpiangere tutto. Assottigliò le palpebre tentando di emulare il suo famoso marchio di fabbrica, l’occhiata ammonitrice, fallendo miseramente quando lo sguardo le cadde su Lewis – l’intero viso di Maeve ad addolcirsi. «ti ho anche lanciato da una catapulta, se è per questo» ed ancora, per inciso, si domandava il perché. Non voleva entrare nella zona grigia e difficile del perché sei qui, preferendo che la conversazione rimanesse nel non-detto comune che si portavano appresso da anni: il Labirinto, la Cura. Le tristi scelte in amore. «mamma è davvero un tipo forte» concluse in un sussurro intenerito, stringendo Carole contro il petto. Ogni respiro delle bambine era un suo respiro, ogni veloce battito mezza vita di Maeve. «aspetto con ansia il momento in cui potrà darmi manforte» chiuse la mano a pugno picchiandolo cauta contro quello della bimba. «grrrrrl power» Santo cielo, se avesse sorriso un po’ di più avrebbe perso l’uso della bocca.
    «posso?» Allontanò lo sguardo da Carole per alzarlo verso la porta, dove un’impacciata Amalie sostava sull’uscio. Annuì, sorridendo se possibile maggiormente, sollevando di poco la bimba in braccio perché la ragazza potesse vederla: non è meravigliosa? Sorrideva ancora, Maeve Winston, quando la Corvonero si sedette sul letto vicino a lei. Si domandò quanto sarebbe stato inopportuno domandarle un abbraccio – santa madre, da quando Maeve Winston aveva bisogno di abbracci? Da quel momento, a quanto pareva. Strofinò la guancia sulla spalla per asciugare i rimasugli delle lacrime, corrugando poi le sopracciglia al nervosismo della ragazzina. Era successo qualcosa? I suoi mom-sense schizzarono alle stelle; se non avesse avuto Carole in braccio, probabilmente sarebbe schizzata in piedi ed avrebbe cercato, e preso a calci nel sedere, la fonte di quell’improvviso disagio: c’entrava Barrow? Le avevano fatto del male? L’ospedale le aveva detto qualcosa di brutto? «vi devo dire una cosa» «tutto quello che vuoi» rispose spontanea, sperando che il condividerlo con loro potesse rendere quella…cosa più gestibile. Cercò anche di allungare una mano verso di lei per prendere la sua nella propria, ma rimase poggiata sul lenzuolo quando Amalie iniziò a trafficare nella propria borsa. «mmh..è una cosa un po' complicata da capire e da accettare» Il cuore iniziò a battere frenetico contro il petto, l’usuale preoccupazione ansiogena a farla da padrona. Quando Carole accennò a svegliarsi, cercò di quietare la propria angoscia cullandola dolcemente al petto, chinando il capo per soffiarle un bacio fra i capelli. «sei incinta» «COSA?» un grugnito seccato lasciò la bocca di Lewis, mentre Carole corrugò la fronte ed arricciò la bocca infastidita. Maeve si schiarì la voce cercando di darsi un contegno. «cioè: cosa?» perlomeno aveva abbassato il tono di voce. «barry lo sa? se vuoi ci posso parlare io con lui, non ti preoccupare» Ma cosa stava dicendo? Se non avesse tenuto in braccio sua figlia, gli avrebbe lanciato il contenuto del comodino vicino al letto in testa. «barry - cosa Non poteva essere incinta, era ancora una bambina! Spostò i terrorizzati occhi azzurri su Amalie, la quale fra le dita stringeva delle…foto. Forse voleva loro dire di essere stata adottata? «vengo dal futuro. non questo, ovviamente, ma il 2043. Da quanto ne so, era davvero un brutto posto in cui vivere» Inarcò un biondo sopracciglio, lo sguardo inquisitorio a studiare la Shapherd. Aveva forse… subito qualche strano lavaggio del cervello new age? Umettò le labbra, tacendo per consentirle di giungere al nocciolo della questione. «ma io e mia sorella… non siamo tornate indietro per vivere in condizioni migliori. l’abbiamo fatto per voi» Voi…voi chi. Sollevò gli occhi verso il Crane, sperando ingenuamente che potesse non mostrarsi confuso – gli ormoni dovevano davvero averle fritto il cervello, perché l’occhiata di lui trasmetteva solo una cosa: paura. Alzò lo sguardo al soffitto reprimendo un sospiro poco adatto alle circostanze, tornando invece a guardare Amalie. Non capiva dove volesse andare a parare, ma sapeva che non si stesse prendendo gioco di loro – di qualunque cosa si trattasse, per parlarne, doveva esserne davvero sicura. Le si strinse il cuore all’idea che qualcuno potesse aver giocato con a sua mente approfittando della sua vulnerabilità: era stata catapultata in un universo alternativo dove aveva passato mesi prima che, sorpresa sorpresa, le fosse concesso di giungere nel 2118 – quindi, ancora non a casa. Comprendeva quel genere di fragilità, pronto ad aggrapparsi a tutto pur di avere ancora qualcosa in cui credere. Affondò le labbra nel collo di Carole, respirando il suo battito contro la bocca. «mi chiamavo mabel…» un sorriso sfiorò distratto la Winston: buffo, era uno dei nomi che aveva valutato per Carol- «winston crane» ed il nome cadde nella stanza nel momento esatto in cui Maeve Regan Winston metteva a fuoco i soggetti in fotografia.
    Cosa…stava….succedendo. Ingoiò il panico cercando di mantenere una dignità, mostrandosi la roccia per la quale s’era spacciata per vent’anni: non avrebbe perso senno, o pazienza, quando chiaramente Amalie aveva bisogno di lei. Quando… non era possibile. Sembrava così reale, quella foto. Quella pacata felicità che fermentava dai sorrisi e dalle risate mute delle bimbe – l’una dai capelli corvini, l’altra biondi quanto quelli di Maeve. Scosse impercettibilmente il capo facendo scivolare lo sguardo da Lewis a Carole, prima di tornare su Amalie – pregandola, supplicandola di dare un senso a quella faccenda. Forse era semplicemente ancora confusa dai farmaci; forse aveva capito male. «potevi almeno portarmi un po’ di vodka, prima della bomba» Se fosse stata in grado di parlare, gli avrebbe poco gentilmente domandato perché fosse ancora lì, ed avrebbe accompagnato il quesito con un poco signorile dito medio. «a lei sto pure sulle pa-» Ti meno. «-nnocchie. pannocchie.» Spostò gli occhi azzurri dalla Shapherd per osservare, e farlo sul serio, Aloysius Angus Crane. Rimase a guardarlo fino a violare le norme del bon ton, dilettandosi fra il domandarsi dove avessero lasciato la sua bacchetta, perché le pareva proprio il momento di usarla, e quante volte il Crane fosse caduto dal seggiolone da bambino. Non sarebbe stata Maeve Winston a smentirlo, ma… santo cielo. Aveva assistito alla nascita delle sue figlie; ne stringeva una fra le braccia. Aveva forse bisogno di un certificato scritto, e contro firmato, per rendersi conto dell’idiozia della sua affermazione. Ruotò gli occhi prima verso il soffitto, e poi verso la propria destra, inspirando dalle narici per raccogliere la Forza.
    Decise che ignorare l’affermazione fosse la cosa migliore per tutti, ma non riuscì a cancellare del tutto la nota indispettita dal tono di voce. «non sono l’unica winston» sottolineò l’ovvio arcuando un sopracciglio, tornando a guardare il Crane con un espressione che diceva chiaramente sei imbecille di natura, o mi prendi in giro? «e non sei l’unico crane» Viaggio nel tempo… dopo essere stata abbandonata cent’anni nel futuro, sarebbe stato ipocrita da parte sua credere che nessun altro avesse potuto compiere il medesimo passo – semplicemente non capiva quale fosse il suo posto nell’equazione. Venticinque anni. Umettò le labbra, scosse ancora il capo tornando a guardare la fotografia. «sembra così reale» sussurrò appena, sfiorando con l’indice il proprio viso. «ma non può esserlo» fece scivolare l’indice sul volto di Al. «sei felice» deadpannò, rendendo molto fiero suo nipote duecento anni indietro nel tempo.
    Badumtss. C’era da dire che Maeve avesse incontrato Al solo in tristi momenti della loro vita. Romanticismo del ventunesimo secolo. Si strinse nelle spalle porgendo la foto all’uomo. «winston come…mitch?» era sua zia? Ma …perché Crane. Prima di credere, Maeve aveva bisogno di capire: perché di Winston ce n’erano tanti, ma per quanto ne sapesse la bionda, di Crane ce n’erano solo tre. «sei nonno
    Spoiler: sì. Anche bisnonno.
    21.07.2118 | proud mama™
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    But the blood on my hands
    scares me to death
    Maybe I'm waking up today
    at any rate, there's no harm in trying
     
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    2043: mabel winston crane
    Amalie Shapherd
    «in… che senso» Si sarebbe dovuta stare zitta. Perché non si era stata zitta? Avrebbe tranquillamente continuato a tenersi quella verità dentro e custodirla come un bene raro e prezioso, un qualcosa di suo, senza il bisogno di mostrarlo al mondo e rischiare di danneggiarlo. Perché aveva voluto dire tutto? Perché mostrare le foto e dire il suo vero nome? Che idiota. Per un attimo, si era illusa che sarebbe bastato dire davanti a loro quelle tre parole per sistemare tutto, e magicamente far capire a Maeve e Al tutto ciò che lei aveva scoperto da Kieran quasi un anno prima.
    Mabel Winston Crane.
    Non era abbastanza? C'era una vita intera, racchiusa in quel nome, ma era stato sciocco e ingenuo, da parte sua, credere che ai suoi genitori sarebbe bastato sentirlo per far scattare qualcosa in loro, così come era accaduto a lei quando l'aveva letto per la prima volta sulla lettera che le aveva dato la Sargent.
    Forse aveva ancora tempo di tornare indietro, strappare la foto dalle mani di Mae e buttarla sul ridere. Magari poteva persino dichiarare di essere incinta, assecondando l'ipotesi di Al. Tutto, pur di salvare quella situazione.
    Tutto, pur di non dover sopportare il loro rifiuto.
    Respira, Amalie.
    Kieran l'aveva fatto. Barry l'aveva fatto. Persino Gwen, anche se la bionda non poteva saperlo, l'aveva fatto. Era arrivato il momento anche per lei, e a quel punto non valeva la pena tirarsi indietro, giusto? Forse.
    «potevi almeno portarmi un po’ di vodka, prima della bomba» Mhh, per un attimo ci aveva pure pensato, eh. Poi naturalmente la sua parte razionale aveva avuto la meglio (come sempre) e aveva bocciato l'idea per svariati motivi, come per il fatto che non fosse di buon esempio far vedere alle bambine papà bere, o perché Amalie non voleva rischiare di ubriacarsi per l'ansia, o perché «siamo in ospedale», che era il motivo più logico. Però in quel momento si sentì comunque un po' in colpa: era la prima delusione ufficiale da figlia che gli dava.
    Ma quella sensazione passò subito in secondo piano, alle parole di Maeve. La Shapherd aveva temuto che non le credessero, che ritenessero la foto un fotomontaggio fatto da Kieran su Photoshop come espediente per far mettere i Mal insieme (#cos), o che, semplicemente, non la volessero. «non sono l’unica winston» Non era preparata, Amalie, al non venir riconosciuta, o almeno non così: perché Maeve le credeva sul fatto di venir dal futuro, ma non su quello di esser sua madre?
    Quando la ragazzina aveva letto il nome della Winston, sul suo albero genealogico, era rimasta chiaramente sorpresa, ma allo stesso tempo l'aveva considerata la cosa più naturale del mondo: se non lei, chi altro? «winston come…mitch?» Non l'aveva neppure mai visto di persona, Mitchell Winston, se non la sua versione nell'upside down. «sei nonno ( però questo non spettava a lei dirlo), ma seriamente credeva fosse figlia di Run??? Per quanto la adorasse, Amalie non era per nulla come lei: come faceva Maeve a non rendersene conto?
    Forse, semplicemente, non era pronta ad accettarla: insomma, aveva appena partorito due bambine, aggiungerne al pacchetto un'altra di diciotto anni forse era un po' troppo, per un giorno solo. Per un attimo quasi cedette alla tentazione di inventare un'altra storia e dire loro di esser figlia di Sharyn e Al, o Run e Jade ("Sì, nella linea temporale da cui provengo anche lei si faceva chiamare Winston!" ) ma..beh non tryhard, la ragazza non era brava a mentire, quindi non poté far altro che tentare di spiegare.
    Tenne gli occhi puntati sul letto, incapace di incrociare di nuovo i loro sguardi, le mani a giocherellare con un filo scucito del lenzuolo, per poi prendere un lungo respiro e dire ciò che, evidentemente, avrebbe dovuto dire fin dal suo ingresso nella stanza «siete i miei genitori» e dopo quello, trovare il coraggio per spiegare tutto il resto fu facile. Più o meno: quanto avrebbe voluto avere Jekyll ed Hyde al suo fianco. Del resto, in un certo senso, quello era il discorso che aveva impiegato giorni a preparare insieme ai suoi fratelli, durante i mesi bloccata nell’upside down.
    «l’ho scoperto a dicembre, me l’ha detto kieran» e prima di lasciargli aggiungere qualche commento, bisognava specificare «non è come una delle sue teorie sugli alieni, lei è una custode. È tornata nel passato con la missione di rivelare la verità agli altri viaggiatori, una volta cresciuti» La stavano seguendo? La stavano capendo? Chissà. Probabilmente no. «ah, è la figlia di Murphy» le #inforandom erano sempre necessarie.
    Dato che spiegare il tutto a parole si stava rivelando fin troppo complesso (e lì nella stanza non c'era un proiettore su cui far vedere il belliximo power point che aveva realizzato per spiegare le varie parentele della fam) non gli restò altro che tirar fuori dalla borsa il resto delle fotografie che custodiva gelosamente sempre con sé. «le bambine nella foto che avete voi siamo io e hemingway» Carole & Lewis
    Porse loro un'altra diapositiva, le stesse due bambine, cresciute di qualche anno, con un altro ragazzino biondo al loro fianco «qui siamo con River» e poi altre due, scattate a qualche anno di distanza l'una dall'altra «la ragazzina è Grey, mentre tra i due bambini quello più grande è Jekyll, il più piccolo Hyde» e mentre esaminavano le foto, preferì non aggiungere altre informazioni: tutto quello era sicuramente già troppo da metabolizzare. E così, si limitò a riportare loro le stesse parole che mabel le aveva scritto nella lettera. «non abbiamo avuto bisogno di avere tutti lo stesso sangue, per essere una famiglia»
    Li aveva lasciati senza parole? Stava per causargli un attacco di panico? O già l'aveva fatto?? Il loro silenzio le stava mettendo ansia. «..sentivo semplicemente il bisogno di dirvelo» anche se faticoso, si sentiva decisamente più leggera «non..non deve cambiar nulla. Potete anche far finta che non vi abbia detto niente. Se volete. Cioè...se per voi è un problema potete cancellare gli ultimi dieci minuti, davvero, non ci rimango male, COME VOLETE VOI» Era in panico? Si Forse.
    ravenclaw | 18 y.o.
    21/07/2118 | H: 13.20
    BUT DID YOU SEE
    THE FLARES IN THE SKY?
    WERE YOU BLINDED BY THE LIGHT?
    Cause someone's out there, sending out flares


    Edited by (kind)le - 1/4/2019, 22:53
     
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    aloysius angus crane
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    Volse con lenta intenzione lo sguardo dalla fotografia alla bionda, masticando tra i denti e celando dietro il sarcastico sorriso un sincero e decisamente poco cordiale fottiti, trattenuto unicamente per il bene delle bambine – tutte e tre, nel dubbio. Preferì concentrarsi sull’assente simpatia di Maeve, sulle sue lecite e da lui indubbiamente condivise osservazioni riguardo la presenza di altri Crane ed altri Winston nel mondo oltre a coloro ivi presenti, piuttosto che continuare ad osservare le immagini impresse sulla pellicola, prova tangibile ed indelebile di una memoria già vissuta e mai accaduta - ed onestamente, Al, non seppe nemmeno capire il perché di una tale riluttanza, tanto logorante quanto improvvisa.
    Credeva alla storia del viaggio nel tempo, senza alcuna remora, e con un po’ di sano riposo e le idee più raccolte di come le aveva in quella sala parto avrebbe persino potuto dare una parvenza di logicità a quel cognome che Amalie millantava di aver posseduto, prima di essere tornata indietro per loro. Così come, d’altronde, avrebbe potuto metabolizzare un perché rispetto alla fotografia: non riusciva a trovare troppo difficile escludere la possibilità di essere nonno, e con un alzata di spalle e le sopracciglia arcuate, ignorando le frecciatine di diversa entità e potenza lanciategli dalla neomamma, pensava di averlo tacitamente espresso quando la domanda, accademicamente interessata alla questione, permeò l’aria tra i cinque, e di Winston ne esistevano di sicuro più di quanti Aloysius avesse avuto la peculiare fortuna di conoscerne; le combinazioni potevano essere infinite, le spiegazioni logiche ai loro sorrisi in quell’istantanea altrettanti. Per quanto ne sapevano, e forse per quanto anche la ragazza era a conoscenza, era possibile che si fossero semplicemente trovati nel posto giusto al momento giusto, sebbene quella, per il fotocineta, fosse l’ipotesi più esilarante da prendere in considerazione, dopo un’intera esistenza alternatasi tra il dover scegliere l’istante meno adatto e il luogo più sbagliato possibile. Non trovava davvero modo di dubitare delle parole della giovane, e nemmeno quel «siete i miei genitori» riuscì a scuoterlo più di tanto – forse soltanto all’inizio, la mandibola serrata e le labbra carnose strette tra i denti; gli bastò un sospiro più greve e forzato a soffiare sui radi capelli scuri di Lewis, ancora assopita tra le sue braccia, ed un cenno del capo ad emulare un diniego volto unicamente a scacciarsi l’idea dalla testa, prima di ripetersi che tutto poteva essere. Più andava avanti, il biondo, più trovava difficile sorprendersi: aspettava unicamente qualcosa di meno assurdo, per tornare a sentire quel genuino battito tachicardico rimbalzare tra petto e palato, costringendo gli occhi alle lacrime; aspettava soltanto di stringere nuovamente i suoi figli al petto, promettere a suo fratello che avrebbe fatto in modo e maniera di non rischiare più di ucciderlo così, far giurare lo stesso a Shia.
    Voleva soltanto la normalità, per tornare a sorprendersi.
    Alla terza volta in due anni e mezzo che si sentiva dire di essere padre, e di tre figliate differenti, non sapeva più quale fosse il modo giusto di reagire. Doveva dire che era impossibile, che non aveva senso? Non avrebbe avuto alcuna ragione di farlo. Poteva non accettarlo, od affermare per l’ennesima volta nel giro di troppo poco tempo che lui, padre delle figlie di Maeve, non lo fosse?
    Non lo era, ma ciò non gli impediva di stringere un po’ più a sé la neonata, istintivamente protettivo nonostante non fosse suo quel compito. Aveva promesso a se stesso, dal momento in cui era stato catapultato a Beauxbatons contro la sua volontà, che si sarebbe preso cura delle persone che gli erano vicine, che non avrebbe permesso si facessero del male sotto la sua supervisione, ed era un giuramento che aveva portato con sé anche in quel di Parigi, nel duemilacentodiciotto: non era sua intenzione infrangere la parola data, ed era stanco di non riuscire a mantenere le promesse fatte. Si sarebbe preso cura di quelle bambine, come l’avrebbe fatto in ogni modo possibile con Maeve stessa, Amalie, Helianta e Barry ed Akelei - e chiunque altro fosse stato condannato al loro stesso destino, siamo onesti: che non potesse ovviamente riuscirci, era un altro paio di maniche.
    Eppure… eppure. Avrebbe voluto soltanto rassicurare Amalie, dirle che le credeva, ciecamente, ma che forse quello non era il momento emotivamente e mentalmente più consono a sganciare una simile bomba. Invece si ritrovò con la gola secca e le labbra asciutte, già troppe informazioni a vorticare nella testa e troppe immagine a scorrere sotto le iridi smeraldo, incapace di proferire parola ed in grado soltanto di domandarsi come avrebbe trovato il coraggio di dire a Sinclair che sua figlia aveva una figlia, e che sua nipote era già una diciottenne; quando strinse tra le dita quella foto, poi, dovette chiudere gli occhi e serrare la presa, rinsaldando quella sulla bambina più vicina al proprio petto.
    «qui siamo con river»
    River. Il suo bambino. Dovette recuperare tutto il coraggio a sua disposizione per dischiudere nuovamente le palpebre, allontanarsi un attimo e prendersi quel momento soltanto per sé ed osservare suo figlio ormai cresciuto sorridergli attraverso la carta, senza pensare che probabilmente non lo avrebbe mai visto crescere, come non aveva potuto fare nemmeno con Run – e consolarsi, dicendosi che almeno non aveva una foto con anche la mora, perché non avrebbe probabilmente retto anche a quello.
    Era tutto troppo reale, ed assurdo al tempo stesso.
    «“lo strano caso del dottor jekyll e del signor hyde” è uno dei miei libri preferiti» commentò infine, prima di voltarsi nuovamente verso le tre bionde e chiedendosi, guardandole più attentamente, come avesse potuto non scorgere una certa somiglianza tra le due in precedenza: non aveva avuto ragione di farci caso, evidentemente. Perché avrebbe dovuto?
    Che non avessero bisogno di condividere il sangue per essere una famiglia, il Crane lo sapeva benissimo: non ne aveva avuto bisogno quando aveva amato Eugene e Delilah come fossero non soltanto suoi cugini, ma suoi fratelli; non ne aveva tuttora bisogno, né con loro né con tutti quelli con cui condivideva un pezzo di sé. «se ne sei sicura al cento per cento, io ti credo» sussurrò, piegando mite un angolo della bocca. Cercò lo sguardo di Maeve, senza sapere cosa volesse cercare nei limpidi occhi azzurri di lei: appoggio, forse? Disappunto? Da una parte, sperava quasi lo riportasse con i piedi per terra, che gli ricordasse ancora una volta che non erano gli unici a condividere quei cognomi, che la Shapherd potesse essere soltanto stata confusa. «ma… cosa intendi quando dici che siete tornati per noi si avvicinò alla sedia vicino al letto della Winston, prendendovi posto: non sapeva a cosa avrebbe dovuto prepararsi, ma così le avrebbe risparmiato un plausibile “è meglio che ti metti seduto”. «anche gli altri sono tornati, o soltanto tu e lewis? scusa, hemingway» ormai, era curioso.
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    Forse aveva capito male. Forse gli antidolorifici del 2118 avevano allucinogene contro indicazioni, e la Winston era caduta vittima delle medicine di un secolo che ancora, dopo mesi, faticava a comprendere. Battè le palpebre più volte, lo sguardo vuoto e distante a posarsi su Amalie Shapherd senza realmente vederla. Un riflesso involontario le fece dischiudere la bocca, meccanicamente spalancata senza che Maeve ne avesse realmente intenzione – anche lì volle dare la colpa ai farmaci, perché da sempre Maeve Regan Winston era stata la miliare pietra logica in mezzo a fiumi di assurdità: difficile che non avesse qualcosa da dire.
    Difficile ma non impossibile, di fronte al «siete i miei genitori» della Corvonero.
    Riavvolgi. Ripeti.
    “Vengo dal futuro. Non questo, ovviamente, ma il 2043. Da quanto ne so, era davvero un brutto posto in cui vivere”.
    Okay. Assurdo, ma non impossibile – non dopo essere piombata, senza una minima pacca di avvertimento, da una realtà alternativa a cent’anni avanti rispetto al suo presente. Avrebbe avuto, ovviamente, necessità di altre spiegazioni in merito (era pur sempre una blu bronzo, ed una Maeve) ma fino a lì, poteva comprendere ed accettare: aveva, all’incirca, senso.
    “Ma io e mia sorella…non siamo tornate indietro per vivere in condizioni migliori”.
    Bene – perché no? Sapeva perfettamente che ogni individuo compiva scelte diverse a seconda della propria ideologia: era una ribelle, d’altronde. Non tutti i membri della Resistenza facevano parte delle sue fila per gli stessi motivi. E se non erano tornate indietro per condizioni di vita migliori…
    “L'abbiamo fatto per voi”.
    Voi. Un voi interpretabile, come aveva deciso Maeve Winston ad un primo ascolto: voi umanità. Voi biondi - cose così.
    “Mi chiamavo Mabel Winston Crane”
    A quel punto…e solo a quel punto, la mente dell’insegnante d’incantesimi aveva deciso d’incepparsi. Aveva smesso di avere senso; aveva smesso di essere comprensibile, e neanche Mae avrebbe potuto fingere il contrario: per quanto ci provasse, per quanto ci si arrovellasse, non riusciva a capire.
    O forse, non voleva.
    “Siete i miei genitori”
    Cioè.
    Aspetta. aSPETTA. Strabuzzò gli occhi azzurri stringendo convulsamente al petto Carole, percependo quasi concretamente il proprio cuore schizzare a velocità celeste brownin dornette contro lo sterno, rimbalzando in echi sul fragile corpo della bambina. Trattenne, malgrado la sentisse pungere nervosa sulla lingua, la domanda MA IO E LUI??????? INSIEMEH?, perché per quanto l’intero discorso potesse non avere senso, si trattava pur sempre di Amalie: Maeve aveva amato quella ragazzina dalla prima volta che il capo biondo argento aveva fatto capolino all’interno della sala comune de Corvonero, non voleva (non poteva) darle motivo di credere che fosse lenta di comprendonio. E non voleva deluderla. Il fatto che non…che non capisse, non significava che non credesse la ragazza fosse sincera – poteva leggerlo negli enormi, e liquidi e familiari occhi color cielo in primavera che non stesse mentendo. Perché avrebbe dovuto, d’altronde?
    Erano… erano i suoi genitori? Abbassò lo sguardo su Carole, sollevandolo lento verso la piccola Lewis stretta al petto di Al. Le sue bimbe. Corrugando le sopracciglia, alzò maggiormente il capo per incrociare gli occhi verdi del Crane, il quale però pareva troppo incuneato in una profonda riflessione sulla vita – a giudicare dall’espressione contrita ed assente – per ricambiare la sua occhiata. MA CERTO, ignorami pure e pensa all’esistenza, TANTO AMALIE SHAPHERD NON CI HA APPENA DETTO CHE SIAMO GENITORI DELLE STESSE FIGLIE. Scosse il capo secca tornando a guardare la ragazzina, la guancia stretta fra i denti mentre le dita, pigre e disattente, scivolavano sulle foto ancora in grembo. «l’ho scoperto a dicembre, me l’ha detto kieran» Kieran….Sargent? Perché Kieran avrebbe dovuto - «ah, è la figlia di Murphy» ah, ecco. Annuì diverse volte senza rendersene conto, le labbra piegate verso il basso e la gola arida e secca a supplicarla per avere un goccio d’acqua. «le bambine nella foto che avete voi siamo io e hemingway»
    Riavvolgi. Ripeti.
    Mise a fuoco i visi tondi ed allegri impressi sulla pellicola, sentendo il cuore stringersi mano a mano che - malgrado non avesse alcun senso - Maeve Winston notava le somiglianze fra la bambina ritratta nelle foto, e la bambina più cresciuta seduta sul letto. Togliendo la parte dei viaggi nel tempo, del siete i miei genitori, quel che più premeva nei polmoni della Winston era…come fossero già grandi, in foto come in carne ed ossa. Si era appena - appena! - abituata all’idea di essere mamma, respirando il dolce profumo di Carole, che già aveva la sua versione quasi adulta a ricambiarne l’occhiata da pochi metri di distanza.
    Un battito di cuore, ed era già indipendente. Non aveva più bisogno di lei. Aveva tutta una sua vita della quale lei, per ovvi motivi, non faceva parte. Normalmente una madre avrebbe avuto almeno una decina d’anni per abituarsi a quello.
    Non che nella vita di Maeve Regan Winston ci fosse mai stato qualcosa di normale.
    «qui siamo con River. la ragazzina è Grey, mentre tra i due bambini quello più grande è Jekyll, il più piccolo Hyde» Portò una mano alla guancia sentendola bollente sotto le dita, la bocca ancora incapace di chiudersi. Mabel. Hemingway. River. Grey. Jekyll. Hyde
    Non era una cima in matematica, ma: «quanti figli abbiamo» in tono del tutto incolore, piatto quanto il suo elettrocardiogramma di lì a poco, sentendo il sincero principio di un mini attacco di panico in piena regola. Decise che se voleva, se voleva!, sopravvivere abbastanza a lungo da poter davvero capire cosa stesse succedendo, doveva affrontare un dubbio amletico alla volta. Indicò il ragazzino più giovane, sollevando sospettosi occhi azzurri su …sua figlia. «è …vivo, vero?» Non le disse che sembrava una delle foto che andavano di moda un tempo dove le persone si facevano immortalare con i propri cari defunti, immaginava sarebbe stato rude considerando ch’era suo figlio, ma sarebbe una menzogna dire che non lo pensò. Le preoccupati iridi fiordaliso si piantarono in quelle altrettanto chiare di Amalie. «e…dove sono ora. sono-» tornati indietro? Morti? Non sapeva sinceramente come sentirsi in proposito.
    Era ancora bloccata a siete i miei genitori.
    «“lo strano caso del dottor jekyll e del signor hyde” è uno dei miei libri preferiti» Che osservazione stupida – soprattutto in un momento come quello. Sbuffò una risata di commiserazione, soffiando piano e distrattamente un «e di chi non lo è?» che da brava ammiratrice di Robert Louis Stevenson non riuscì a tacere. «non abbiamo avuto bisogno di avere tutti lo stesso sangue, per essere una famiglia» Sorrise sovrappensiero, entrambe le sopracciglia sollevate. Aveva Dakota; aveva Leaf e Scott; aveva avuto Jade prima di sapere che del sangue, invero, ci fosse. Perlomeno su quella parte del discorso, non aveva mezzo dubbio.
    «non..non deve cambiar nulla. Potete anche far finta che non vi abbia detto niente. Se volete. Cioè...se per voi è un problema potete cancellare gli ultimi dieci minuti, davvero, non ci rimango male, COME VOLETE VOI» Avrebbe detto qualunque cosa per cancellare il panico dalla voce di Amalie Shapherd. Sentì lo sguardo e l’espressione ammorbidirsi, il cuore sciogliersi sotto una questione difficile da accettare, ma già sotto pelle. Allungò la mano libera verso la ragazzina, esitando appena un secondo, appena un secondo, prima di stringerle il palmo nel proprio. «se ne sei sicura al cento per cento, io ti credo» Ruotò con lenta, troppo lenta, intenzione lo sguardo verso Aloysius Angus Crane, sorridendo amabile per il pubblico e ridendo istericamente all’interno. Vacci piano, cowboy, diceva lo sguardo omicida della Winston.
    Una cosa per volta. «non è un problema,» riprese il discorso tornando a guardare la ragazza, sopracciglia lievemente corrugate ed uno sguardo incredulo. Come poteva pensarlo? Come poteva credere che scoprire di essere la madre di una ragazzina brillante, intelligente, meravigliosa e buona come lei, potesse essere un problema? «è solo…difficile. per…» un rapido guizzare dello sguardo al proprio fianco, portandolo poi nuovamente su Amalie. Non avrebbe potuto essere più ovvia nel comunicare A MALAPENA LO CONOSCO ED è Già PADRE DEI MIEI FIGLI? alla Shapherd, ma a quel punto la discrezione non era – evidentemente – la reazione giusta. «tutto.» concluse, umettandosi le labbra. «ma… cosa intendi quando dici che siete tornati per noi? anche gli altri sono tornati, o soltanto tu e lewis? scusa, hemingway» Anche Maeve voleva saperlo.
    Insieme alle altre centinaia di domande che le frullavano nella testa, la maggior parte delle quali non erano realmente inerenti alla discussione in corso (beh? era una ragazza curiosa, facciamole causa). Decise di andare per gradi, stringendo impercettibilmente la mano di Amalie nella propria. «in quanti…in quanti eravate?» perché se fossero stati solo un paio, avrebbe anche potuto credere ad un mistico allinearsi delle stelle nel cielo – ma una decina? Una ventina? Di più? L’unica domanda che le veniva in proposito, a quel punto, era: «perché?» Dubitava che chiunque, perfino dei ragazzini, potessero tornare indietro per mero capriccio di avere una vita migliore. Certamente sapeva che i suoi, i suoi bambini, non avrebbero mai fatto una cosa del genere.
    Non li avrebbe mai cresciuti così.
    «e…» beh. Non potè ingoiare quella domanda oltre, considerando che avrebbe potuto - avrebbe potuto! - cambiare tutto, dando loro un’effettiva possibilità di tornare a casa. Almeno una base dalla quale partire. «come avete fatto?» che poi parlava, Maeve Winston, parendo perfino un essere umano senziente…ma, in verità, era ancora inceppata al siete i miei genitori.
    Oh, boi.
    21.07.2118 | proud mama™
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    2043: mabel winston crane
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    «quanti figli abbiamo» Eh, quanti fratelli aveva? Amalie Shapherd era passata dall'esser figlia unica allo scoprire di aver ben sette - dico, sette - fratelli (+ un'altra se si voleva aggiungere al conto la versione appena nata di sé che Maeve stringeva tra le braccia proprio in quel momento) soltanto per esser catapultata a cento anni di distanza da loro - duecento, nel caso di run - qualche giorno dopo aver appreso la notizia. «è …vivo, vero?» La ragazzina portò lo sguardo sulla foto che Maeve teneva tra le mani, e più precisamente sul volto di Hyde: bella domanda, era la stessa che si era posta lei non appena aveva avuto davanti quell'immagine. «non sembra, ma stranamente lo è» nel nostro universo. Non lo disse ad alta voce, Amalie: già era tanto - troppo - da metabolizzare per i due il fatto di avere, in poche parole, un esercito di figli adolescenti. Di certo non c'era il bisogno di girare il coltello nella piaga ed aggiungere che uh sì, nell'AU è morto davanti ai miei occhi. Era ancora una ferita aperta, quella, e faceva ancora dannatamente male, soprattutto perché la ragazza non aveva ancora trovato la forza di parlarne con qualcuno o affrontare quella perdita: da quando era arrivata nel 2118, aveva cercato di non pensare a tutto ciò che era successo nell'upside down, e nessuno oltre a Dakota sapeva dei problemi della ragazza ad addormentarsi, e la paura che aveva quando si risvegliava nel cuore della notte a causa degli incubi che, puntualmente, le facevano rivivere quella giornata. «e…dove sono ora. sono-» vivi. Era quello che si ripeteva ogni volta, quando pensava a loro. Aveva perso Jekyll ed Hyde, ma in un certo senso non aveva perso i suoi: una volta tornata nel presente avrebbe potuto imparare a conoscerli di nuovo, e sapeva che avrebbe voluto bene loro quanto ne aveva voluto alle loro controparti nell'au. «...vivi, perlomeno» spero stiano bene. Hemingway e River erano tornati indietro proprio come lei, e Amalie sperava che entrambi fossero finiti in una famiglia migliore di quella che era capitata alla bionda. Hyde e Jek li ricordava dal funerale dell'anno prima, quando ancora non aveva idea di chi fossero, mentre l'unica per cui aveva davvero paura era Grey: se tutti quelli che erano rimasti della sua famiglia erano tornati indietro, perché lei aveva deciso di restare? Ci pensava spesso, la ragazza, a quanto la sorella si dovesse sentir sola in un mondo dove tutti quelli che amava, volenti o nolenti, l'avevano abbandonata. In un certo senso, un po' di quella solitudine la bionda l'aveva sperimentata durante i mesi bloccata nell'upside down, e non poteva immaginare come potesse sentirsi Grey a provare una sensazione simile, ma decisamente amplificata, con la consapevolezza che si trattasse di un qualcosa di permanente
    E le parole di Al e Maeve, i loro sguardi sereni, tolsero un enorme macigno del petto della Shapherd: quella era la rassicurazione che aveva sentito il bisogno di avere fin dal momento in cui aveva scoperto la verità su di loro, ed era ciò che più aveva avuto paura di non ottenere. Ricambiò la stretta di Maeve, facendo il possibile per trattenere le lacrime che minacciavano prepotentemente di uscire, pizzicandole gli occhi.
    «ma… cosa intendi quando dici che siete tornati per noi Ah ecco, era arrivato l'inevitabile momento delle domande. Ed Amalie Shapherd era sempre stata il tipo di ragazza con la risposta pronta, e fortunatamente anche il quel caso non era da meno. Okay, non era preparata sull'argomento quanto poteva esserlo su qualunque pagina di un manuale di storia della magia o sugli ingredienti esatti per ogni tipo di pozione, ma era ben informata a riguardo, grazie a pomeriggi interi passati ad ascoltare i suoi (au)fratelli mentre raccontavano - anzi, raccontava: hyde si limitava a correggere il fratello ed interromperlo quando iniziava a lavorare troppo di fantasia - della loro vita nel 2043. «perché?» Da dove iniziare? Dalle basi, così come aveva fatto Kieran con lei e Barry quando aveva rivelato loro la verità per la prima volta. «il mondo era un disastro» easy peasy, meglio di così non si poteva riassumere «oltre alle guerre ed i combattimenti incessanti, a dimezzare metà della popolazione magica mondiale ci aveva pensato una malattia per cui non esisteva una cura» Non aggiunse che era stata proprio quella malattia, a portare via dai Crane Winston i loro genitori, ma i due forse avrebbero potuto capirlo dal modo in cui lo sguardo di Amalie non riuscì a staccarsi dal lenzuolo del letto su cui era seduta, incapace di guardarli dritti negli occhi mentre, in poche parole, annunciava la loro morte. «la missione è stata ideata proprio per trovare una soluzione» Da piano B, nel giro di pochi anni era arrivata ad essere l'unica alternativa «la possibilità di partire è stata data a tutti, e come me e hemingway, moltissimi altri hanno partecipato: barry, kieran, sandy, sersha, cj...» joey, isaac, nicky, ma non stava a lei rivelare determinati nomi, non quando i diretti interessati non erano ancora a conoscenza della verità «alcuni cronocineti avevano elaborato un modo per farci tornare neonati, e ci hanno riportati nel passato affidandoci a nuove famiglie e cancellando i nostri ricordi. Alcuni però sono stati cresciuti con il compito di custodire il segreto e dare agli altri le buste con la verità sul futuro una volta arrivati ad una determinata a età» Ancora non capiva il criterio con cui veniva scelto il momento in cui far scoprire ad un ragazzo tutta quella faccenda, ma immaginava ci fosse sotto un piano più grande e ben elaborato. «il perché in realtà quindi è semplice» non l'aveva capito subito, Amalie, ma finalmente ci era arrivata. «abbiamo rinunciato a ciò che eravamo per loro» passò lo sguardo da Lewis a Carole, e guardandole non poté far a meno di sorridere: erano così belle e così innocenti «e per voi» non se lo meritavano, di dover dire addio ai loro figli troppo presto, e dovevano avere la possibilità di vederli crescere e diventare adulti. «meritate un futuro migliore di quello che noi abbiamo abbandonato» Perché oltre alle gioie, ai momenti di spensieratezza ed all'amore, quella vita era stata segnata da un dolore che la ragazza poteva soltanto immaginare grazie alle parole della lettera e dei discorsi che le avevano fatto i suoi fratelli, ma che riusciva a capire e che non avrebbe mai voluto che sfiorasse le due bambine davanti a sé.
    Meritavano meglio di così
    ravenclaw | 18 y.o.
    21/07/2118 | H: 13.20
    BUT DID YOU SEE
    THE FLARES IN THE SKY?
    WERE YOU BLINDED BY THE LIGHT?
    Cause someone's out there, sending out flares
     
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    Spinse le spalle contro lo schienale della sedia, una gamba incrociata sopra il ginocchio e gli occhi fissi sulla bambina al proprio petto; li alzò soltanto un paio di volte, più che altro per cercare il limpido sguardo di Maeve dal letto sul quale era distesa – abbassando sempre poi la testa, le iridi verdi a scivolare sulla nuca di Lewis pur di non rischiare un vero e proprio contatto visivo con la bionda. Non voleva evitarlo, da che per primo lo aveva costantemente richiesto in una muta supplica di complicità ed appoggio, ma aveva imparato a conoscere i propri limiti e sapeva quando giungeva sulla linea di confine: in un certo qual senso Aloysius Crane di quella situazione era entusiasta, e non era certo che il sentimento fosse reciproco – non ancora, non del tutto. Tra tutta la merda che gli era capitata e quella che ancora lo aspettava, con il tempo a separarlo dai suoi figli ed il terrore crescente che la propria – e, come il cronometro che sempre portava con sé ci teneva a ricordargli, sempre più vicina - morte avrebbe portato via anche Sin e Shia dai loro affetti, sapere che in un altro tempo, universo o vita che dir si voglia, aveva avuto una famiglia del genere lo faceva stare un po’ meglio. L’idea che un altro Al ce l’avesse fatta, un po’ di speranza gliela dava – quando riteneva superfluo incazzarcisi perché lui aveva cresciuto Run e River, mentre i suoi erano a centinaia d’anni di distanza da lui, certo.
    Gli piaceva quella storia, gli piaceva quella versione dei fatti – ma non voleva essere invasivo, capite?
    Si era affezionato alla Winston, così come aveva fatto con Amalie, ma… non voleva pretendere nulla, da quella situazione. Non voleva far sembrare che si fosse già accomodato su quelle poche informazioni da un futuro passato; la neo mamma poteva tranquillamente decidere che okay, accettava i dati come realtà dei fatti, ma che ciò non doveva necessariamente significare che anche allora, in quella nuova linea temporale, loro dovessero essere quel ch’erano stati per Mabel.
    Aveva senso, si conoscevano appena - e com’ella aveva fatto notare, non era affatto semplice mandare giù quel groppo come se nulla fosse.
    Non sapeva nemmeno da dove cominciare, tra l’altro. «il mondo era un disastro: oltre alle guerre ed i combattimenti incessanti, a dimezzare metà della popolazione magica mondiale ci aveva pensato una malattia per cui non esisteva una cura. la missione è stata ideata proprio per trovare una soluzione» deglutì, le bionde sopracciglia corrugate sulla fronte e gli occhi smeraldo stavolta impossibilitati a non inchiodarsi in quelli di Maeve.
    Una cura. Istintivo, stringendo la neonata con il braccio destro, fece scivolare le dita sulla nuca – laddove il marchio a forma di beta ancora risaltava sulla carne, ed al solo tatto bruciava di ricordi che avrebbe preferito eliminare dalla propria memoria. Sarebbe stato davvero, davvero ironico, se fossero stati Al e Maeve la cura tanto cercata dalla gente di quella distopia. E dire ch’era anche morto, il lumocineta: che cazzo voleva curare, uno come lui? Al massimo la febbre dei figli, toh.
    «meritate un futuro migliore di quello che noi abbiamo abbandonato» ed allora sorrise, piegando il capo in direzione della Shapherd. Era padre oramai da diverso tempo, e non era sua consuetudine scivolare nei cliché, ma - «è assurdo» sollevò immediato una mano in segno di resa, tentando di evitare eventuali fraintendimenti. «non… non quello che hai detto, sia chiaro» dubitava che chiunque, a due persone spossate da quel parto – naturalmente la Winston più di lui, ma tutte quelle ore di travaglio iniziavano a farsi sentire anche su di un semplice spettatore -, avrebbe mai potuto pensare di raccontare simili e traumatici ricordi di una vita trascorsa per puro divertimento. Men che meno Amalie. «penso solo che un genitore cerchi sempre di fare tutto il possibile per lasciare ai propri figli un futuro migliore, e poi sono loro a doversi salvare da soli» si umettò le labbra, scosse morbido la testa; non era giusto.
    Non era così che doveva andare. «non so cosa dire» onesto, nell’alzare lo sguardo sulla bionda. Non era analitico, il Crane; non aveva bisogno di dati tangibili per essere sicuro della storia narrata dalla ragazza. Si fidava delle sue parole, forse più di quanto avrebbe dovuto, ma non pensava lo avrebbero rattristato così tanto. «ma immagino che grazie non sia abbastanza» e sorrise, gentile e mesto. Dirle che gli dispiaceva per quel ch’erano stati costretti a passare, gli sembrava scontato.
    «maeve, tu pensi…» piegò quindi la testa verso la bionda più grande, mordendosi le labbra. «pensi che in questa cosa della cura c’entriamo qualcosa?» così, eh – a titolo informativo. «noi, il labirinto…»
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    «il mondo era un disastro. oltre alle guerre ed i combattimenti incessanti, a dimezzare metà della popolazione magica mondiale ci aveva pensato una malattia per cui non esisteva una cura» sopracciglia corrugate, quelle di Maeve Winston, mentre Amalie raccontava del 2043; pensosa, logica, incapace di arrotolare la mente attorno all’idea che un universo del genere fosse esistito, e che da quel posto fosse partita una missione con i suoi figli. Dopo un anno nel ventiduesimo secolo, avrebbe anche potuto essere abituata all’idea del futuro - ma no, era sempre una sorpresa. Forse le pareva più surreale perché 2043 era dannatamente più vicino a 2017, che non 2118 alla sua epoca originaria; una roba strana, il concetto di tempo. «la missione è stata ideata proprio per trovare una soluzione» era davvero assurdo, come potevano sapere quando arrivare per sistemare le cose? Come funzionava? Avevano una timeline con i punti caldi da modificare? Avrebbe voluto poter dare un’occhiata a quei documenti, certa che vedendo le nozioni nero su bianco, avrebbe avuto più senso. Non che non si fidasse di Amalie, ma sembrava tutto così…astratto, senza una base di studio dalla quale partire. Non voleva solo risposte, Maeve - voleva anche le domande, perché non ve n’era alcuna di utile in quel momento a pungerle la lingua. Cosa chiedere? Cosa voleva sapere? Le sembrava tutto, ma in realtà, probabilmente niente: aveva già la sua dose d’incubi con il suo presente, perché dovesse aggiungere i fallimenti di un tempo che ancora doveva vivere. «la possibilità di partire è stata data a tutti, e come me e hemingway, moltissimi altri hanno partecipato: barry, kieran, sandy, sersha, cj...» Pausa.
    Riavvolgi (ancora? sempre). «barry…sarebbe…il nostro barry Barrow Cooper, il fu prefetto dei Corvonero? Il loro compagno di squadra? Arrivava dal futuro?? «sandy…sarebbe….il de thirteenth?» quel ragazzino mingherlino ed altissimo che durante le sue lezioni agitava la bacchetta a caso inventandosi parole perché prof, potrei scoprire un nuovo incantesimo!!?? «sersha…kavinsky? E cj…knowles Forse ad Al non faceva lo stesso effetto sentire quei nomi, ma per Maeve - erano i suoi studenti.
    Soprattutto, e detto con tutto l’affetto del mondo, non fra i più brillanti. Dovevano essere proprio disperati per fare affidamento su un sandy o un cj (BRO), ma quello lo tenne per sé. «kieran KIERAN?» kieran la mini reb? Kieran la loro kieran?? «cioè – tutti gli adolescenti vengono dal futuro? @2043 EXPLAIN» non avrebbe più guardato Hogwarts allo stesso modo, Maeve.
    Sempre che avesse la possibilità di rimetterci piede, certo.
    «meritate un futuro migliore di quello che noi abbiamo abbandonato»
    Santo cielo – avevano mandato così tanto tutto in crisi da far credere a dei ragazzini che dovessero farlo per loro? Cavoli, era colpa anche di Maeve Winston, se il futuro descritto da Amalie - da sua figlia - era così…deprimente. «non so cosa dire» ecco, finalmente si trovavano d’accordo su qualcosa. Non sapeva cosa dire, Maeve - cosa pensare.
    Se ce ne fosse bisogno. Forse avrebbe potuto non dire niente, non pensare a nulla, e sarebbe andato bene uguale. Per una, una, volta, poteva accantonare qualcosa senza cercare di smontare e capirlo, ma semplicemente accettandolo. «ma immagino che grazie non sia abbastanza» Grazie? Prese le mani di Amalie nelle proprie, un sospiro a premere sulle labbra. «mi dispiace.» che sia toccato a voi, che abbiamo fallito così miseramente. Un sorriso timido curvò le labbra di Maeve, gli occhi azzurri a cercare quelli della ragazzina. «quindi sei mia figlia faceva sempre bene ripeterlo, che ogni volta che quella frase lasciava la sua bocca, la sentiva più concreta - la voce più venata d’entusiasmo.
    Cioè.
    Accipicchia. «sei sempre stata la mia preferita» ammise, sentendosi vagamente in colpa nei confronti degli altri, cullando la bimba stretta in braccio e facendo nel mentre dondolare le mani di Amalie. «fra gli studenti, intendo; sapevo avessi qualcosa di speciale» tentò – fallendo, dato che era ancora debole come un’ameba – di scrollare la chioma argento, ciglia a battere veloci sugli occhi zaffiro. «si vede che hai preso tutto da me» scherzava? certo - fino ad un certo punto, ecco.
    «maeve, tu pensi…pensi che in questa cosa della cura c’entriamo qualcosa? noi, il labirinto…» Sapete cosa pensava Maeve Winston, nel fissare Aloysius Crane sperando cogliesse l’hint? Che davvero non dovessero parlarne di fronte a loro figlia. Si trattava di informazioni sensibili? POTEVANO METTERLA IN PERICOLO? Okay, si trovavano cent’anni nel futuro quindi le probabilità erano davvero inesistenti, ma NON SI SAPEVA MAI. E poi sperava sempre di poter tornare, Maeve. «non so di cosa parli»
    Hint
    Hint
    HINT. Cambiando argomento: «al, tu sai cucinare?» perché altrimenti, loro e la tribù mal avevano avuto seri problemi di alimentazione, nel futuro di Amalie. «così, informazione di servizio»
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