Odiava la musica che mettevano al Fiendfyre. Odiava tutto ciò che il Fiendfyre rappresentava. Odiava la gente che frequentava il Fiendfyre. Odiava gli odori del Fiendfyre, e quelle stupide luci stroboscopiche che ti accecavano solamente per farti credere che lo sfigato di turno fosse il giovane Di Caprio del Titanic, pronto a morire per te malgrado la maledetta porta occupasse i culi di entrambi – sconsiderata, ed alquanto stupida, galanteria; la telepata avrebbe preso a bastonate Rose piuttosto che diventare un polaretto, e se necessario tutta la sua famiglia ed i suoi amici: immaginava fosse inutile specificarlo, ma sempre meglio aggiungere dettagli violenti e veritieri riguardo la sua scuola di pensiero. Sostanzialmente, Jericho Karma Lowell odiava il Fiendfyre punto. I clienti che le davano appuntamento in quel luogo di perdizione, più numerosi di quanto chiunque potesse credere (lei certamente non se l’era aspettato, altrimenti avrebbe percorso la carriera di dentista piuttosto che sicario: la differenza fra i due mestieri era sottile e quasi invisibile), meritavano di morire quanto la gente che era effettivamente pagata per uccidere. Socchiuse le palpebre, fissò corrucciata il proprio bicchiere colmo di liquido colorato e dall’aspetto poco rassicurante. Il giorno in cui avessero fatto un cocktail color inchiostro, possibilmente con essenza di Dissennatore che potesse privare chiunque nelle vicinanze della gioia di vivere, sarebbe stato il giorno in cui la Lowell sarebbe stata felice: non era quello, evidentemente. Mai fottutamente quello. Tamburellò con le dita sul vetro, cercando – per quanto possibile – di passare inosservata. Uno, innocentemente, credeva che la cecità di quel posto potesse talvolta tornare utile, probabilmente l’ideologia di ogni stronzo che decideva di sganciarle il cash fra un twerk e l’altro, ma evidentemente loro non erano dei @JKLOWELL (in caps, sì: fanculo il sistema, lei gridava anche sul web.), perché pareva invero ch’ella fosse stata dipinta di vernice fluorescente: «oh Mio DIOH» Ancora. Si sforzò di non distogliere lo sguardo dal liquido arcobaleno, senza riuscire però a frenare la dura e seccata linea delle labbra color prugna. Non era detto ce l’avessero con lei, giusto? Magari era solo qualche fervente religioso, o un Hamish impegnato nel suo viaggio per la riscoperta della gioventù. «GEIKEILOWELL» O forse no. Continuò a fingere di non vedere né sentire. Si era approcciata a Twitter in maniera innocente, decidendo di sfogare il proprio odio su più perfetti sconosciuti del solito: andiamo, era l’occasione perfetta per la sua vena sadica e crudele, con tutti quei profani a sparare puttanate sulla dashboard! Uscendo di casa poteva umiliare, non so, venti? Trenta persone massimo? E, per permettersi tanto, doveva effettivamente interagire con gli esseri umani, il che restringeva il divertimento di un tondo 30%. Ma internet? Un sogno, una manna dal cielo: comodamente spiaggiata sul suo divano, poteva far rimpiangere di essere nati centinaia di sprechi della società, e con un solo, semplice, click! Tutti individui che se lo meritavano, chiaramente – ossia…tutta l’utenza, perché era assai difficile, se non impossibile, trovare sara qualcuno che sul web fosse in grado di farsi i cazzi propri e campare cent’anni. Aveva iniziato con le critiche (poco costruttive) a tutti coloro che le stavano sul culo, perché impegnati a discutere l’importanza del millenial pink o per commenti poco civili nei confronti di minoranze etniche o religiose. Si era divertita a far piangere qualche fan di MKG, aveva fatto qualche manip poco simpatico su Paris Hilton ed il suo cane; aveva iniziato campagne di #onestà in cui odiava ed insultava chiaramente tutti, vantando un mondo in cui lei fosse stata Suprema Dittatrice Indiscussa e dove solo i meritevoli (una decina.) avrebbero potuto sopravvivere. Aveva iniziato la rubrica #omicidi e quella #torture, giusto per informare la società che non stava bluffando, ed aveva dei seri piani di conquista della Casa Bianca. Qualcosa doveva evidentemente essere stato frainteso, perché un bel giorno s’era svegliata con migliaia di followers che la adoravano. Ma perché. Cosa non va in voi. Chi siete. Domande che poneva giornalmente, e di cui loro (i Jokers, si chiamavano. Giuro. Avevano un nome, tipo i Little Monsters di Lady Gaga) ridevano retwittandola come se la Lowell fosse stata il fenomeno del secolo. Che. Cazzo. «sei proprio tu!!!&&» Quale gioia e quale onore. Battè le ciglia con studiata lentezza, sollevando il pesante sguardo zaffiro su un ragazzetto mingherlino e dai tratti affatto appariscenti. «me lo fai un autografo???» Gli sorrise, gioviale ed amabile, ed in modo molto zen accettò la maglietta che il ragazzino le porse. Declinò però l’invito a prendere la penna. Ed estrasse l’illegale coltellino svizzero incastrato nelle scarpe, strappando quel pezzo di tessuto come avrebbe tanto voluto fare con la faccia del fanciullo. Gliela rilanciò impassibile, nel proprio cuore soddisfatta da un tale, e non richiesto, atto di malignità gratui- «OH MIO DIO MA è FANTASTIKO» In che senso. Lo osservò, estasiato ed allegro come un bambino strafatto di zuccheri all’epifania. «ma ti ho appena…» rovinato una maglia? Distrutto i sogni di gloria? Lasciò, confusa, la frase in sospeso, le sopracciglia castane aggrottate. «facciamo anche un selfie????» No??? Lo guardò senza battere ciglio, sguardi che normalmente avrebbero fatto fuggire anche i malviventi più agguerriti, ma lui si limitò a ridacchiare ed estrarre il telefono. Molto zen, la Lowell lo prese e lo lanciò di violenza sul pavimento, fissando impassibile gli occhi scuri del fan mentre lo triturava sotto le suole degli scarponcini. Sti cazzi, un selfie. Inarcò un sopracciglio con aria di sfida. «uaaau» In Cre Di Bi Le. «grazie!!» Capite? Inspirando dalle narici, non smise di guardarlo neanche quand’egli si allontanò verso i suoi amici brandendo trionfante un non più utilizzabile apparecchio telefonico, e quella che fino a poco prima era stata una maglietta. Scosse il capo premendo il pollice sul labbro inferiore, domandandosi quale tossina avesse inquinato l’acqua del popolo magico (e non) per renderli tutti così…assurdamente sadici. Credevano fosse uno scherzo? Che fosse simpatica? Non ci si poteva stupire se quei pirla degli americani, in un voto di protesta, avessero messo a capo dei missili USA un Donald Trump: qualcosa non andava, nella gente. Qualcosa maledettamente non andava. «gikei?» Ancora. Non c’era pace. Sbattè il bicchiere sul bancone della discoteca e volse una seccata occhiata alla ragazza che le si era appena avvicina, una corta parrucca arancione ed un brillante sorriso sulle labbra. Con quale coraggio, proprio non riusciva a comprenderlo. «che c’è» ringhiò serrando le palpebre, un tic nervoso a sollevarle il sopracciglio ed un angolo della bocca. «un autografo!» E quando riaprì gli occhi…oh. Oh. Aprì la bocca e la richiuse, il palato secco e le guance porpora. Poteva uccidere qualcuno senza battere ciglio, bullizzare ragazzini problematici e divenire l’incubo notturno di ogni bambino e continuare a far sonni tranquilli, impassibile all’esistenza; l’odio era il suo pane quotidiano, così come un sarcasmo così spesso da poterci far ballare la salsa ad un paio di scheletri, ma quello? «oh, mh» distolse lo sguardo dalle tette in libertà della giovane, sentendosi ad un passo dallo svenire per l’imbarazzo. L’imbarazzo, capite – sì, proprio Jericho Karma Lowell, la stessa ragazza che sparava in fronte solamente per godersi lo spettacolo splatter delle cervella su tela. Deglutì e cercò d’indietreggiare, la solita freddezza smarrita da qualche parte fra ormoni e (legittima.) confusione. «io – no, beh, mh» si schiarì la voce e scosse il capo, la coda a solleticarle la schiena. «credo che – sì, mh, devo…» indicò (un punto a caso.) l’uscita senza incrociarne lo sguardo, scivolando dalla situazione scomoda con la grazia di un felino a tre zampe (quindi sì, incespicando. ma in modo cool). Quando fu abbastanza distante da avere nuovamente un contegno ed un briciolo di amor proprio, pallida in viso di rabbia e vergogna, fece scattare un dito medio verso l’alto – ed ignorò le risatine ed i flash alle proprie spalle. Mosse anche velocemente il braccio così che le foto venissero tutte mosse, merdine. «OVUNQUE TU SIA, TIENITI I TUOI CAZZO DI SOLDI» gridò verso il proprio cliente, cercando di sovrastare l’assordante musica del locale. «TANTO TI TROVERò, PEZZO DI MERDA» e ti ucciderò. Male. Solamente quando fu fuori dal locale, i rumori oramai ovattati e l’aria fresca a pizzicarle il volto, si permise di respirare. Le sembrava di aver appena corso la stra maledetta maratona di New York. Volle incolpare la confusione generale (i pensieri di decine di ragazzini guidati da pene e vagina, la musica trash, le luci.) alla mancanza delle proprie doti da ninja, per la quale neanche si rese conto di essere seguita, piuttosto che credere di essere stata destabilizzata da un paio di tette. Uno credeva di farci l’abitudine, avendocele attaccate al petto tutto il giorno, e invece. Poggiò i palmi sulle ginocchia e si chinò su se stessa, imprecando a bassa voce senza neanche preoccuparsi di infilare un soggetto. Fu in quel momento, i denti stretti e le palpebre socchiuse, che vide un paio di scarpe al proprio fianco. Non ancora, buon Dio. «Un bel salto di qualità.» Inspirò dalle narici, strinse i pugni sulla stoffa sottile dei pantaloni neri. «se qualcun altro mi ferma per un selfie, giuro che mi do fuoco» impassibile, si sollevò per incrociare lo sguardo del suo interlocutore, cosa che, essendo …molto bassina, richiese più energia del dovuto. «e do fuoco a lui. ed alla sua famiglia ed al suo can- oh» Oh. Battè le palpebre, dischiuse le labbra sentendo il cuore accelerare i propri battiti, stringendo la gola e pulsandole sulla lingua. A Jericho piaceva credere di non aver paura di nulla; più comodo, più semplice, meno impegnativo. Non si trattava propriamente di paura, la protagonista di quel caso specifico, quanto più……….ansia. Angoscia. (ed un po’ di sano terrore nato da senso di colpa e vergogna, siamo onesti.) Sapeva che Charles Dumont non poteva riconoscerla, ma non potè impedire alle iridi zaffiro, sempre le stesse, di guizzare da una parte all’altra della strada fuori dalla discoteca – alla ricerca di cosa, poi, non avrebbe saputo dirlo. Le veniva naturale cercare la via di fuga più vicina, memore delle volte in cui tentava (e riusciva.) di sfuggire alle feste in cui la costringevano. Un’altra vita. «si, beh» si schiarì la voce, morse l’interno della guancia. Sapeva che quella…diserzione fosse stupida. Razionalmente sapeva che con un Dumont essere la nuova Jericho fosse più facile che non con un Dakota, o una Niamh – che lui, eccentrico e fuori dagli schemi da sempre, l’avrebbe accettata meglio, ma… quando aveva perso i poteri diventando una telepata, era iniziata una nuova vita per Jericho. In tutti i sensi. Tagliare i ponti costruiti prima era stato…naturale. Scontato. E…credeva migliore, la Lowell; non poteva certo essere stata una gran perdita, di amici migliori di lei se ne trovavano ovunque – li davano perfino con i punti alla Basco, santo cielo – e la nuova Jericho 2.0. era… una nuova Jericho. Si era rifiutata categoricamente di vedere i visi un tempo amici storcere il naso di fronte alla versione post – laboratori, e non aveva voluto giustificare il come fosse finita a fare da cavia. Così stupido, ed imbarazzante. Degradante. Non aveva mai avuto una reputazione da cinque stelle, ma andiamo! «non lo definirei proprio un salto di qualità» da vera signorina qual era, senza distogliere lo sguardo da Charles, infilò una mano nel reggiseno frugando per trovare accendino, ed una sigaretta che aveva visto giorni migliori. Fu tentata di spingere il proprio potere per dare una sbirciatina alla testina verde-argento del francese, ma…un briciolo di morale l’aveva ancora anche lei. Giuro. C’era qualcosa di…disturbante, nello sguardo del ragazzo. Ogni cellula del suo corpo le gridava LO SA!!! LO SA, JERICHO, PLAY IT COOL, ma la Lowell decise di ignorare (l’istinto di sopravvivenza.) le avvisaglie, preferendo biasimarle ad una non indifferente paranoia. «al massimo un limbo, di qualità» alzò una mano per mimare il bastone del limbo, passando con l’altra sotto per indicare la bassezza nella quale era ricaduta – e nel mentre, giunta in prossimità della sigaretta, l’accese aspirandone una fosca e ruvida boccata. «sai…» deglutì, distolse lo sguardo – non era brava a mentire; era schietta, fin troppo. E socialmente imbarazzante, con quel senso dell’umorismo che in pochi capivano ed ancor meno apprezzavano. «proprio da scogliosi» Eh, ma quanto si odiava quando per il nervosismo apriva la valvola bocca e diceva le prime, non filtrate, cose che le passavano per la testa. Decise di occupare la bocca con la sigaretta, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e lasciando il cilindro di tabacco a penzolare fra i denti. «o letali lesioni alla spina dorsale» ed invece riusciva comunque a parlare, che affascinante dote. Meraviglioso. «meraviglioso» eeeee l’aveva detto ad alta voce. Beh. JERICHO LOWELL IS B A C K .
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