Friend or foe?

Charles x Iden

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    Potremmo fare mille sproloqui su quanto l'essere trascinato per i corridoi verso la Sala Torture rappresentasse già di per sé pugnalata per Charles, e sarebbe facile sottolineare quanto il fatto di trovarsi insieme al Kaufmann non giovasse certo alla situazione, ma quella all'orgoglio era una ferita che avrebbe cominciato a bruciare solo in un secondo momento, quando nel silenzio della sua stanza avrebbe realizzato che quella stronzata aveva quasi finito per costargli la reputazione.
    Nella strada verso il capolinea, in realtà, la sua mente era offuscata soltanto da due sensazioni che con la superbia c'entravano ben poco: la prima, senza dubbio, era la rabbia. In gran parte verso il Corvonero, che aveva dato inizio a quello scontro non necessario e che era riuscito a cavar fuori la sua parte peggiore, quella che di solito preferiva nascondere sotto un zelante (e spesso irritante) atteggiamento ossequioso; in più piccola parte verso sé stesso, che aveva commesso un evidente errore di valutazione nello scegliere come capro espiatorio qualcuno di decisamente non passivo e con una così scarsa capacità di contenere l'aggressività.
    La seconda era la paura. Non è che Charles fosse proprio del tutto un codardo, e non c'erano poi così tante cose in grado di terrorizzarlo, ma come poteva restare impassibile dinanzi al suo prossimo destino quando coi suoi stessi occhi aveva visto in che modo fosse possibile torturare qualcuno fino a condurlo alla pazzia? Semplicemente, non poteva. Sua madre, malgrado tutto, era stata coraggiosa; lui non lo era neanche un po' e, sebbene cercasse di non darlo a vedere, il suo respiro s'era fatto più pesante all'avvicinarsi della tanto temuta Sala.
    Prima di oltrepassare la soglia aveva sbirciato il volto del Corvonero, forse per trarre forza dal suo apparire assolutamente tranquillo, forse nella speranza che lui conoscesse chissà quale trucchetto per uscir fuori da quella situazione e avesse voglia di condividerlo.

    Poco più di un'ora dopo, la rabbia e la paura erano svaniti. Al loro posto era rimasto solo un grande vuoto, assieme all'acuta sensazione di essere ancora quel bambino spaventato che, dall'armadio entro cui era nascosto, osservava sua madre spegnersi senza poter fare niente per aiutarla.
    Era astuto, doveva ammetterlo, colpire i punti deboli delle proprie vittime per fargli ancora più male.
    Comunque con lui, in fin dei conti, erano stati clementi. O almeno, lo erano stati in confronto al modo in cui si erano scagliati su Iden: sebbene fosse noto a tutti il trattamento riservato ai Mezzosangue, assistervi lo aveva scosso più di quanto non avrebbe creduto.
    Era sempre rimasto neutrale dinanzi a quelle faide, specie dopo aver visto a cosa poteva portare trovarsi nello schieramento sbagliato al momento sbagliato, ma ciò non significava che si sentisse migliore degli altri solo per banali questioni di sangue. Insomma, per quanto generalmente non curante, doveva ammettere che quasi gli dispiaceva per il corvo. Quasi.
    Una volta essere stati entrambi sbattuti fuori senza troppi complimenti, Charles rimase in silenzio, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo dell'altro. Prese a esaminarsi, nel tentativo di tirare le somme di quella che era stata l'ultima ora e della rissa appena precedente. A parte un grosso livido sullo zigomo destro per cui doveva ringraziare il suo compagno lì presente ed un paio di graffi che sentiva infiammare sulla schiena, era la sua psiche ad essere stata maggiormente colpita.
    Nonostante ciò, portò la mano ad un livido immaginario sul braccio col solo intento di perdere altro tempo e di non doversi confrontare con il Corvonero. Che avrebbe dovuto dire, comunque?
    Dopo aver piegato la testa a destra e a sinistra ed essersi spostato i capelli dalla fronte, si decise finalmente a posare lo sguardo sull'altro.
    «Bella merda.» mormorò fra sé e sé, constatando che sì, ad Iden era senza dubbio andata peggio. Vagò lo sguardo per qualche altro istante, probabilmente anche per verificare che nessuno fosse nei paraggi, poi sospirò pesantemente.
    «Senti, dovresti andare in infermeria. Non mi va di averti sulla coscienza.» suggerì alla fine con il tono più acido che gli riuscì di usare. Attese ancora, rimuginando sulla possibilità che il corvo non fosse propriamente nelle condizioni di trascinarsi a poco più di qualche metro da solo.
    Per un attimo chiese a sé stesso cosa ci faceva ancora lì e perché non aveva lasciato che l'altro se la sbrigasse da sé voltandogli le spalle e dimenticandosi di lui e di tutta quella storia per sempre. Non riuscendo a trovare una risposta a tale quesito, sospirò ancora e gli si avvicinò, tentando di afferrargli goffamente un braccio e portarselo dietro il collo, per poi cingergli la vita con il proprio. «Vediamo di sbrigarci.»
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    Edited by selcouth - 19/12/2018, 00:00
     
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    Non che non se lo aspettasse – sia chiaro – iden aveva messo in conto sin da subito la punizione per tanta sfrontatezza, così come l'ingiusta realtà dei fatti – e ovvero che con lui non avrebbero avuto mezze misure. I torturatori del resto erano abituati alla sua compagnia tre giorni alla settimana circa, e il giovane kaufman ci aveva fatto, come dire, il callo alle punizioni corporali dell'istituto.
    Era rimasto decisamente più sorpreso dalla risposta del dumont, del non averlo visto cadere a terra come un sacco di patate o merda, come avrebbe preferito definirlo al primo pugno esattamente come tutte le fighette che si aggiravano per hogwarts manco appartenesse a loro.
    Aveva quindi messo in conto tutto, così come l'effetto di quel «guess who's back, back again bitch» non appena la porta della sala si chiuse alle loro spalle e i due studenti si ritrovarono di fronte ai torturatori di turno. Iden ne aveva visti girare parecchi, andava ammesso, ma gli ultimi che van lidova aveva piazzato a scuola erano straordinariamente più efficienti del dovuto... si chiedeva continuamente da dove diavolo li avesse pescati, potevano tranquillamente essere due tizi fuggiti da azkaban o qualcosa del genere... sì insomma, nulla che lui avrebbe piazzato in una scuola, eh, ma de gustibus, ormai quel carcere sembrava essere diventato la residenza privata di van lidova, dopo il ministero.
    Molte cose aveva calcolato, iden kaufmann, ma quando uscì da quella porta si rese conto di aver fatto qualche conto di troppo, o peggio – di essersi sbagliato nel tirare le somme, perché qualcosa era illogicamente sfuggito alla sua precisione maniacale nello stendere un sunto di quella giornata di merda. Aveva male, e più del solito: si vede che andare a toccare il culo ad un leccapiedi serpeverde /e non come, probabilmente, sarebbe piaciuto al suddetto/ meritava una pena più severa del solito. A fatica quindi si trascinò fuori dall'uscio, cercando malamente di non pensare a tutto quanto – a non farsi vedere per com'era, fottutamente stanco e ferito, tanto.
    Aveva anche previsto come, al contrario, il dumont se ne sarebbe uscito giusto con qualche bacchettata sulle mani e ramanzina – certo, erano stati più duri di quanto iden avesse scommesso, ma andava anche detto che se il serpeverde si fosse messo a dire in giro di essere stato torturato, iden si sarebbe occupato personalmente di prenderlo a pugni quanto bastava per fargli capire che quello che aveva subito era un niente in confronto a quello che periodicamente toccava al corvo – e non certo perché la serpe avesse un comportamento migliore del suo. Sia chiaro che il dumont non era certo un angioletto, e tutti lo sapevano – così come, chi doveva, gli occhi sapeva chiuderli anche entrambi.
    Da quando erano usciti dalla stanza piuttosto buia non una sola parola era volata fra loro, e iden preferiva di gran lunga così – sia perché non è che bramasse sentire proprio ora il tono altezzoso di charles, sia perché temeva di aprire bocca, di sentire il sangue secco per i morsi alla guancia rendere appiccicoso il palato e difficile pronunciare una parola senza temere di sentire il proprio tono tremolare incerto – una cosa che odiava, forse più del dumont.
    «bella merda» fu proprio lui a rovinare quel prezioso silenzio, col solito tono estremamente fastidioso e irritante che fece sbuffare iden, ora appoggiato – accasciato – ad una parete del corridoio, le braccia lungo i fianchi perché irrigidite dal dolore, come la schiena e il collo. Schioccò la lingua contro il palato, ingoiando quel misto di saliva e sangue cercando di liberare la via al prossimo insulto che gli sarebbe uscito /certamente verso la serpe/.
    Sbuffò, ostinandosi a non guardarlo, nemmeno quando «senti, dovresti andare in infermeria. Non mi va di averti sulla coscienza» oh, il principino aveva dei sensi di colpa?, quanto poteva sentirsi effettivamente una merda dall'alto del suo scranno da mr. Perfezione? – sentiva di odiarlo sempre un po' di più, soprattutto quando apriva bocca «oh no, sia mai» altrettanto acido, sentendo la bile andarsi a mischiare col sangue fresco; senza nemmeno essersi accorto di aver stretto i denti «non vorrei mai essere il primo ad aprirti gli occhi su quanto tu sia stronzo» non che fosse in una buona posizione per ricominciare a litigare. Strinse i denti e facendo appello a quel briciolo di forza nato dalla scossa di rabbia si staccò dal muro, accennando ai primi passi lontano da quella maledetta stanza.
    dio, perché diavolo restava lì?, ci voleva tanto a muovere il culo e levarsi dai coglioni? – ora iden voleva solo restare solo, come sempre, svoltare al primo angolo per non farsi vedere e finalmente cadere a terra, qualche minuto, il tempo – seduto – di ragionare e riprendere le forze. Col cazzo che sarebbe andato in infermeria: non ci andava più da molto tempo, anche quando le punizioni si susseguivano senza dargli il tempo di far rimarginare le ferite vecchie – essenzialmente perché lo infastidiva da morire dipendere dalle cure di qualcun altro... in secondo luogo perché odiava lo sguardo dei medimago: impietosito, manco avessero davanti un cane investito da un'auto. Come gli stavano sul cazzo.
    Eppure, ecco un'altra cosa che iden non era stato in grado di calcolare: non ora, ma nemmeno fra un miliardo di anni – qualcosa che superava l'eccezionale, sfiorava di peso la più importante scoperta del secolo, la rivelazione del millennio. Accadde qualcosa a cui nessuno sarebbe riuscito a dare un nome, uno di quegli eventi straordinari che eclissi lunare levati proprio. «vediamo di sbrigarci» ???? lo stava facendo davvero?, charles dumont, serpeverde più seccante del suo anno, non solo gli si avvicinò, lo toccò, «ma che» se lo caricò in spalla come poteva, conciato com'era, e iniziò a trascinarselo dietro – senza aggiungerlo dietro. Possibile che solo lui, fra loro due, si stesse accorgendo di quanto ciò fosse assurdo ??? cioè, ammettiamolo, in quale universo uno come il dumont aiutava uno come il kaufmann? Che lo avessero drogato mentre non guardava – non riusciva a spiegarselo in altro modo.
    Il problema ora nasceva dal fatto che, anche provandoci, non riusciva ad abbandonare il fianco del dumont, specie con l'alta probabilità che sbilanciandosi sarebbe sicuramente caduto – una vergogna che non avrebbe voluto concedere per nulla al mondo al viziato figlio di papà. Secondo, «non ci voglio andare in infermeria» cercando di modulare il tono affinché non sembrasse quello di un bambino colpito nell'orgoglio, si limitò a guardare i propri piedi che si trascinavano faticosamente sul pavimento del corridoio. Sbuffò, notando come le sue lamentele in quel momento venissero ignorate platealmente – tant'è che l'infermeria comparve dopo diversi minuti, più del solito, di fronte a loro. Roteò gli occhi, iniziando ad allontanarsi dal dumont: sentiva il fianco bruciare vicino al suo, e le ferite ribollire sotto fremiti di uno strano disagio – mettere centimetri e poi metri fra loro fu stranamente rilassante, quasi i suoi nervi – più che il suo corpo – avessero bisogno di prendersi una pausa dal casino che rappresentava quel ragazzo. «fantastico, vuota» e sollevato si lasciò cadere su uno dei lettini, ansimando appena per il dolore «prendi» perché “ruba” suonava male «tutto quello che ti sembra utile, bende, cerotti... una crema per le scottature, una per rimarginare le ferite, e una per i lividi» gli occhi cerulei si fissarono sullo zigomo di charles, con un'intensità quasi inquietante «stai da schifo con quella roba in faccia» no, charles non era come lui: non gli donava lo schifo in faccia, la rabbia sfigurava quel viso all'apparenza pulito e morbido.
    Erano due emisferi opposti della stessa arrabbiata medaglia.


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    Ignorando qualunque prevedibile eppur sempre irritante protesta del Corvonero, riuscì in qualche modo a trascinare entrambi in infermeria, scrollandosi immediatamente l'altro di dosso non appena giunti alla soglia della sala. Pensandoci, non è che portarlo fino a lì gli avesse poi comportato chissà quale grande fatica, solo che quel contatto ravvicinato -che era durato fin troppo per i suoi gusti- gli aveva impresso sulla pelle una sensazione persino più intensa di quanto non avesse fatto l'esperienza in Sala Torture pochi minuti prima, e lui non aveva più né le forze né la voglia di sopportarla o, peggio, di sforzarsi di darle un senso.
    Spostare lo sguardo verso qualcosa che non fosse la mal celata espressione dolorante sul viso dell'altro, tuttavia, gli risultò più difficile del previsto, tanto che si accorse di starlo ancora osservando solo quando lo sentì parlare.
    «Lo so come ci si occupa di quella roba.» rispose bruscamente, affrettandosi a dargli le spalle per cercare quanto necessario tra gli armadietti in fondo alla stanza. Senza neppure pensarci, afferrò un paio di barattoli dall'aria familiare ed un rotolo di classiche bende per le ferite più marginali, con l'accuratezza metodica di chi sa bene dove metter mano. Ed in effetti Charles lo sapeva bene, dato che aveva passato gli ultimi anni della sua vita tra medici e visite al San Mungo. Imparare ad occuparsi di sua madre era stata una conseguenza inevitabile e, sebbene le sue ferite fossero per lo più psicologiche, non era inusuale che alcune vecchie cicatrici sul suo corpo decidessero di tanto in tanto di riaprirsi a causa di spasmi o movimenti poco accorti.
    Tornò al lettino su cui si era disteso Iden poggiando sul tavolino al suo fianco quanto di utile era riuscito a trovare, scegliendo poi un piccolo contenitore scuro per porgerlo al compagno. «Per il dolore.» spiegò, indicandolo con un leggero cenno del mento.
    «stai da schifo con quella roba in faccia» Ma lo faceva di proposito per innervosirlo o era solo cretino? Probabilmente entrambi, ma di certo non era il caso di rimettersi a litigare nelle condizioni in cui si trovavano, così si limitò a piegare il capo con fare fintamente affabile e mormorare un «Indovina chi devo ringraziare.» per poi alzare gli occhi al cielo con un leggero sbuffo.
    Si portò una mano sul viso come a voler constatare l'entità del livido ma, una volta sfiorato, una fitta di dolore acuto lo spinse a ritrarsi con uno scatto. Per Salazar, faceva male. Prese la pomata per i lividi che aveva lasciato sul tavolo e si guardò attorno alla ricerca di uno specchio per aiutarsi a spalmarla.
    «Almeno mi dai una mano?» non è che fosse proprio così difficile farlo da solo, ma la sua bocca aveva parlato prima ancora di collegarsi al cervello, così aveva finito per chiedere esplicitamente al Corvo di toccarlo sebbene stesse fino a quel momento accuratamente evitando anche solo di avvicinarsi a lui più del dovuto. Dopo essersi mentalmente insultato con tutti gli epiteti in francese che riuscì a richiamare alla mente, fece un passo verso il lettino in attesa di una risposta da parte del Kaufmann che, a dir la verità, non sapeva se sperare positiva o negativa.
    Il fatto era questo: Charles vedeva da sempre le cose bianche o nere, specie quando si trattava delle persone. Non era il tipo di persona che cercava di comprendere le ragioni dietro i gesti degli altri, semplicemente evitava chiunque avesse l'aria di potergli causare problemi ed avvicinava solo quelli che non comportavano per lui troppe preoccupazioni. Secondo questa logica, ovviamente, Iden aveva tutti i requisiti per appartenere alla categoria off limits, ragione per cui neppure il fatto di averlo scortato fino all'Infermeria sembrava avere molta logica guardando dalla sua prospettiva. Si era giustificato con sé stesso dicendosi che l'aveva fatto perché ancora scosso dalla Sala Torture e perché quella situazione gli aveva in qualche modo ricordato sua madre, ma il trovarsi ancora lì e lo stargli persino rivolgendo la parola avrebbe rasentato l'assurdo in qualunque delle sue fantasie. Eppure era lì, e una parte di sé stava persino agognando un contatto come se si trovasse in una crisi d'astinenza tale da doversi accontentare delle attenzioni del tipo che lo aveva umiliato, menato e fatto finire in punizione. Quand'è che era caduto così in basso?
    «Dieu, dimmi che quella non è da ricucire.» si accorse con la coda dell'occhio di una piccola eppure evidente macchia scura sulla maglia dell'altro sul punto di allargarsi e, cercando di far mente locale su come potesse essersi procurato quella ferita, abbandonò ogni accenno autocommiserazione per concentrarsi su quell'ennesimo problema.
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    Dopo aver fatto la lista della spesa, iden non si aspettava di certo che quella testa di cazzo da serpe lo ascoltasse – lui era stato ragionevole e rapido, ma immaginava che i suoi schietti modi di fare avrebbero potuto offendere sua eccellenza, gran duca di finocchiolandia. Quindi si preparò psicologicamente a spiegargli in poche rapide parole perché il giovane e avventato serpeverde dovesse seguire gli accorti quanto saggi consigli di una mente sopraffina e ingegnosa come la sua. Ma stranamente, invece di lamentarsi su quanto mon dieu fosse così fuori luogo che una personalità del suo calibro si trovasse nell'infermeria /cioè, l' i n f e r m e r i a/ il luogo dei poveri ammalati di hogwarts!!1!, iniziò a... fare cose utili, e a cercare quanto gli era stato chiesto.
    Strabiliante.
    Non pensava sinceramente che gli sarebbe bastato così poco per dirigere una zucca vuota e riempita di ego come quella del dumont!, e chi se lo aspettava. Il francese iniziò a cercare nelle varie mensole dell'infermeria, quasi sapesse esattamente cosa e dove cercare – e approfittandone, iden si stese con un sospiro forzato sul lettino, chiudendo per qualche istante gli occhi. Avrebbe anche voluto dormirci su, se solo più parti del suo corpo non si fossero messe a pulsare all'unisono creando un concerto di dolore che forse – se non vi fosse ormai stato abituato – lo avrebbero portato a svenire.
    Era inutile, con lui si divertivano proprio.
    «lo so come ci si occupa di quella roba» e u l à, addirittura tirava fuori la lingua biforcuta – anche in quella maledettissima occasione. Fece appena una smorfia, quasi di indifferente rassegnazione, mentre si tirava su, appoggiato sui gomiti tesi dietro la schiena, a fissarlo tanto curioso quanto sospettoso. Del resto, chi gli assicurava che lo stronzetto non si fosse messo ad avvelenargli la pomata o – chissà – a fare qualche incantesimo sulle bende in modo che iniziassero a bruciarlo vivo? Troppo sospettoso?, forse – ma si trattava di essere prudenti e cauti, com'era giusto che fosse con quelli come lui. Diversi, puliti fuori e marci dentro – secondo una banalotta interpretazione un po' arretrata di iden – con un bel faccino che prometteva chissà cosa a coprire le peggiori intenzioni nei confronti del prossimo.
    Di gente così ne era pieno il mondo, e iden era stanco di giocare a “stana lo stronzo prima che ti apra il culo”, quindi tendeva per lo più all'isolamento e al lasciare davvero poco spazio agli estranei... commisurato da un certo mal velato astio nei loro confronti. Adesso toccava a charles, prima era toccato ad altri e nel futuro chissà quanti si sarebbero trovati a sbattere il naso contro la sua ostinazione.
    Lo vide ritornare e i suoi occhi non lasciarono per un solo istante la sua figura: solo nell'istante in cui fu charles a posare gli occhi su di lui, iden roteò lo sguardo da tutt'altra parte – quasi lo annoiasse ora quella vista. Non era così, non poteva dirsi annoiato dal ragazzo: incazzato, certo – magari incuriosito e sospettoso, ma certamente non annoiato. «per il dolore» esordì da subito, poggiando vicino a lui un piccolo contenitore scuro contenente una pomata color latte. Inspirò, e si tirò su quanto poteva, iniziando a sedersi sul bordo del letto, con le gambe penzolanti a raschiare il pavimento freddo con la punta delle sneakers, «ok ???» disse solo, vagamente confuso. Prese la pomata con due dita, e alzandosi la camicia della divisa iniziò a passarla su uno dei lividi che maggiormente pulsava – all'altezza del fianco. La crema era fresca, ed ebbe il benefico potere di annullare quasi istantaneamente il bruciore, così come il fastidio ogni volta che muoveva il fianco; se provava, adesso, sentiva solo la pelle tirare, una sciocchezza in confronto a prima.
    «wow, e dove l'hai trovata 'sta roba?, è tipo la morfina babbana» chissà se ingerita gli avrebbe cancellato tutti i traumi che si portava dietro ad un livello più intimo del suo inconscio? /nope/ non avrebbe provato, ma restava la curiosità mentre continuava a spalmarne un po' ora sulla schiena, poco sotto le scapole. Non guardava neanche più charles, ma non per disinteresse o vergogna – nemmeno sapeva perché avesse iniziato a sfuggire il suo sguardo. Forse perché aveva sempre ritenuto un momento intimo e privato quello che occupava nel badare alle proprie ferite e cercare di farle rimarginare; senza nessuno ad aiutarlo o a guardarlo, provando una compassione che iden non avrebbe sopportato. E la cosa, , lo metteva stra-maledettamente a disagio. «indovina chi devo ringraziare» acuto, ma «da quel che ne so, te stesso – per aver pensato che potesse essere una buona idea usare il mio nome e, soprattutto, per esserti fottuto con le tue stesse mani» perché ammettiamolo, chi va a confessare una stronzata con così tanta nonchalance senza prima essere /certo/ di essere già stato beccato? Da lui poi, il kaufman più terribile della storia di hogwarts, un vero piccolo bullo infame.
    Rise appena, a labbra chiuse – più un sospiro divertito, mentre guardava il dumont fallire nel cercare di occuparsi da sé del livido in viso. «almeno mi dai una mano?» cosa sentivano le sue orecchie?, «come scusi?» e lo fissò, scioccato e perplesso, simulando lo stupore che doveva appartenere alla gente dell'alta borghesia a cui sicuramente i genitori della serpe dovevano appartenere – per avergli insegnato certi atteggiamenti altezzosi e altisonanti «il giovane dumont necessita assistenza nella difficile impresa di medicarsi un livido? Mon dieu!, arrivano subito i soccorsi» e lo tirò per un braccio, in modo che – offeso – il francese potesse tirarsi indietro. Altrimenti dove stava il divertimento?
    Frenandolo con una mano quindi si sbilanciò verso il tavolino per prendere altra crema con la mano libera, e portarla allo zigomo di lui – una fitta appena all'altezza del petto, ma la ignorò, e piano, ma incapace di essere veramente dolce come avrebbe dovuto, iniziò a spalmare in modo abbastanza impacciato la crema sul livido, fino a coprirlo interamente. Il motivo di tanta handicappaggine? /semplice/ iden non si era mai occupato degli altri, al contrario di tutte le volte che aveva dovuto badare a se stesso e ricucire la propria pelle. Fare da crocerossina non rientrava proprio nei suoi hobby, e ora si muoveva impacciato in quel ruolo, cercando di non peggiorare la situazione ma non troppo sicuro di avere “le redini della situazione in mano” – come del resto non sembrava avercele dal primo momento in cui quello stronzo del dumont aveva deciso di mettere piede nella sua esistenza, incasinandola più del necessario.
    Lo fissò, quasi con cattiveria, si ostinò a puntare lo sguardo nel suo come a volergli rinfacciare che era tutta colpa sua se ora si trovavano a fare gli amiketti e a prendersi cura l'uno dell'altro. Ancora poco, e si sarebbero trovati ad infilare i propri peni l'uno nell'altro #omosessualità secondo iden#
    «dieu, dimmi che quella non è da ricucire» la voce del ragazzo gli allontanò tutti quei pensieri confusi e per lo più rabbiosi, creando piuttosto perplessità e sorpresa nel viso del kaufman: chinò lo sguardo e la vide, nitida come la prima volta, ad imbrattargli la camicia di turno. cazzo, «no, lascia stare» asserì immediatamente, allontanando le mani dal braccio e dal viso del dumont, per pulirsi dalla crema e portarsene una lì, sopra la ferita – quella ferita non sarebbe mai più guarita, di questo passo. «sono affari miei, tu non te ne curare» un po' rude, ma essenzialmente voleva evitare domande o fermarsi ancora qualche minuto in quella sala con lui – ci mancava solo di doversi stendere, alzare la maglietta e lasciare il maghetto a muovere la bacchetta con chissà quali conoscenze adatte a cicatrizzare la ferita. Chissà, esatto – e non ci teneva a scoprirle.
    Si alzò un po' frettolosamente, ignorando il fianco che tirava e le gambe che ormai per stanchezza non si reggevano troppo in piedi – simulò di stare meglio con un largo sorriso sprezzante, e rapido si prese tutto ciò che charles aveva trovato, e che certamente non sarebbe servito alla serpe... non come a lui, per lo meno. «mia droga» asserì, intascandosi anche la pomata miracolosa e facendo per uscire dall'infermeria con le tasche piene di roba.
    Andarsene così?, senza dire nulla?
    In perfetto stile kaufman, del resto: iden non sapeva essere carino, cordiale, o peggio – riconoscente. Non sapeva davvero avere a che fare con la gente, e per quanto i suoi amici più cari avessero cercato di farglielo notare, iden non aveva mai trovato una cura per il suo evidentemente disagio interiore. Tuttavia non riuscì a voltargli le spalle come se nulla fosse. Del resto. Del resto, se il dumont era finito in punizione era /anche/ colpa sua... avrebbe potuto cercare un altro momento per prenderlo a pugni e vendicarsi, e non davanti a mezza hogwarts. Avrebbe davvero potuto anche essere meglio di così, sotto molti punti di vista.
    Meglio di quello che appariva.
    Meglio del dumont – e invece, aveva deciso di rispondergli alla “occhio per occhio”, cacciando entrambi in un casino dalla portata maggiore. Quindi forse, /forse/, un minimo di attenzione gliela doveva.
    «se ti serve, sai dove trovarmi» e con un cenno della mano in cui teneva la pomata, si voltò e uscì dalla sala, cercando di mettere quanti metri possibili dapprima con un passo tranquillo, poi sempre più affaticato e incerto – fino a raggiungere finalmente la sala comune dei corvi /senza rivolgere la parola a nessuno/ e chiudersi nella sua camera con un ringhio dolorante e stanco, affondando fra le morbide coperte.


    | ms.

    Eeee con questo post si dovrebbe chiudere il passato dei kaufmont [fine scuola a.s. 2017/2018 #never too late#]
     
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3 replies since 19/7/2018, 11:00   307 views
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