A New Show is Going to Begin

Festa aperta a soli maggiorenni

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    👽✨ FEMALIEN

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    nicky winston Buthere Weare // heather morrison bunny tsukino
    here&bunny
    «Oh, perdonala!» AH! LA SUA CAVALIER(A?) SU CAVALLO BIANCO!!! Nicky (Here) lanciò uno sguardo colmo di traboccante amore e imbarazzato alla sua salvatrice, ricordandosi solo qualche istante dopo che quella top model altri non era che Hunter. "Oh." Beh dai, comunque l'aveva salvata quindi gli doveva un favore. Prese la sua mano per aiutarsi a mettersi s- «Sa, Here si è da poco rifatta il seno e non si è ancora abituata al nuovo equilibrio, camminare può risultare davvero tanto, tanto difficile!»
    Piccolo goblin stronzetto. Le guance di Here si imporporarono, e Nicky sentendosi scottare la faccia e il petto sperò vivamente il rosso non fosse altrettanto visibile sulla pelle cioccolato della Weare come lo sarebbe stato sulla sua color panna. "...E' razzista? E' un pensiero razzista????" Avrebbe dovuto googlarlo. "note to self: I didn't raise you that way"
    «Ho avuto il cancro.» si affrettò a precisare stizzita. Aveva una certa idea di Here, e non voleva che Niamh si facesse quella sbagliata perchè Hunter non si era premurato di leggere la scheda pg che gli aveva inviato quel pomeriggio. Here Weare era una ragazza poveraccia, una studentessa universitaria con un doppio lavoro part time che usava tutti i propri soldi per aiutare la famiglia e per pagarsi gli studi - non si sarebbe mai rifatta le tette per piacere. Hunter l'afferrò a braccetto prima che Nicky potesse continuare a raccontare la sua struggente storia a Niamh (l'avrebbe fatto; aveva pensato a tutti i particolari - non al cancro, ok, ma un piccolo plot twist ci stava - e anche se sapeva non fosse il piano dirli in giro, moriva comunque dalla voglia di avere una discussione sulla banda della scuola, le balene, o i libri di Fitzgerald - Here amava Fitzgerald, sebbene Nicky non avesse mai letto niente di suo), e insieme a Beh, dall'altra parte, la tirarono via «siamo di fretta CIAO!» «E' STATO UN PIACERE!» gridò alla Barrow prima di sparire nella folla.
    «Penn - e dico, PENN - ha appena postato una foto con STILES»
    «MADDAI!» libera dalla stretta dei due ragazzi si portò una manina al petto teatralmente con un sorriso, cercando gli Oakes per vedere cosa ne pensassero. Halley si stava divertendo come una pazza saltellando qua e là, mentre Hunter sembrava troppo preso a sgridare la sorella e ad avere a che fare con le avances di uno sconosciuto (cosa lo dico a fare, a Nicky erano già partiti i filmini "Tizio si innamora di Hunter mentre Hunter ha l'aspetto di una ragazza. Iniziano a provare qualcosa l'uno per l'altro. Nei giorni a seguire Tizio e Hunter si incontrano in versione maschile. Col tempo Tizio si innamora anche di Hunter. Hunter dice la verità, litigano, paccata arrabbiata per zittirsi che li porta a fare sesso appassionato e selvaggio a casa di Tizio. Vissero per sempre felici e contenti"). «E ora lei dov'è?»
    Se lo stava chiedendo anche Beh giustamente, e con l'amica cercarono di raggiungere Stiles, sicuri che avrebbe saputo dove trovare la sua nuova bff.
    Forse fu un caso, forse fu destino, forse furono i suoi tassoradar a farle portare lo sguardo su Erin, ciò che certo è che Nicky Winston, in quel momento, la vide.
    «Nicky. non è un sogno vero? Lo vedi anche tu??» La ragazzina, bocca socchiusa per la sorpresa e occhi spalancati, annuì leggermente. «è...»
    «Penn Hilton» «yale hilton»
    Avendogli parlato sopra, Nicky neanche sentì le parole di Beh, nè si accorse che stava guardando dalla parte opposta alla propria: aveva occhi solo per la ragazza.
    Doveva essere sincera: non era mai stata grande fan di Philadelphia Hilton - non sapeva neanche tutti i suoi nomi! La seguiva su instagram perchè era così che funzionava e perchè sperava sempre postasse foto con il cugino, e ovvio, sapeva che fosse bella. Lo sapeva. Lo sapeva?
    Non ne era più così certa, perchè dal vivo-... santo cielo, dal vivo non era bella, era divina. Aveva sempre pensato fosse troppo finta, di una bellezza irreale per la quale era difficile prendersi una sbandata, che avesse qualcosa di sbagliato che la rendeva più bambola che persona - senza contare che sembrava una trentenne. Ma in quel momento? Più Nicky la guardava, più pensava che nel suo essere irreale ci fosse qualcosa di decisamente reale. Qualcosa di decisamente eccitante e sexy che le faceva venire voglia di avvicinarsi e toccarla.
    Arrossì portandosi le mani sulla faccia vergognandosi di aver appena pensato di buttarsi addosso a Penn Hilton (lei! Che quando Beh ne parlava era sempre «Mh, sì, carina???» e si mordeva la lingua per non mettersi a dire di quanto Jk Lowell fosse incredibilmente migliore - cosa ancora innegabile), e solo a quel punto fece caso ad Erin - che tempo di Nicky di riprendersi dalle proprie fantasie ("Penn si innamora di Here. Iniziano a provare qualcosa l'una per l'altra. Nei giorni a seguire Penn e Nicky si incontrano. Col tempo Penn si innamora anche di Nicky. Nicky dice la verità, litigano, paccata arrabbiata per zittirsi che le porta a fare sesso appassionato e selvaggio nella ricchissima casa di Penn. Vissero per sempre felici e contente") si era già ripresa (o così ari spera ???). UEPPA BRAVA NICKY, MIGLIORE AMICA DEL MONDO!!!!!!
    «mi dispiace, non sto cercando… jeremy»
    My shipping sense are tingling.
    «sai dove posso trovare cj?» «cj chi?» «cj knowles.»
    Nicky voltò la testa, e vide tre cose molto importanti tutte insieme: Stiles strafatto come un cocco che non cercava Jeremy (how dare you), l'orologio dietro il bancone del bar che segnava l'inesorabile scorrere del tempo (i quattro cenerentola non ne avevano più molto a disposizione prima della fine dell'effetto della pozione), e last but not least: Thomas Yale Fucking Hilton.
    Emise un gridolino strozzato proprio mentre il professor Henderson annunciava qualcosa di deprimente (severo ma giusto), e con Beh fece un passo avanti.
    «Yale Hilton!» squittì a bassa voce senza riuscire a trattenersi, e se il cielo l'assisteva nessuno l'aveva sentita sopra la musica. Si schiarì la voce. «Signor Hilton» riprovò più forte con voce un po' tremante «Sono una sua grande f» figlia #oblivion «-f» filippina (cosa). «Fan» ciao b-b-b-barbie, ti pensiamo anche a decenni di distanza amiko <3 «Potremmo-» niente, di nuovo si interruppe, lo sguardo verso Stiles. EH, Nicky lo sapeva che quella era la sua grande occasione per parlare/avere una foto personalizzata/un autografo/YALEHILTON, ma non poteva semplicemente fare la fangirl mentre stiles, il loro stiles, era in quello strano stato. A chiedere poi di CJ Knowles???? «Stai bene?» domandò, sinceramente preoccupata per il loro guru; passò lo sguardo su Bells, più grande e sicuramente più intelligente di loro "Che cos'ha?" . tornò a fissare il ragazzo, avvicinandosi di un passo e guardandolo critica e allarmata; forse aveva battuto la testa e non ricordava più. Forse aveva bevuto troppo. «Ti portiamo un bicchiere d'acqua?»
    Amava Yale Hilton, davvero, ma amava di più stiles; anche quando lui non poteva riconoscerla.
    Buthere Weare | college student | 20 y.o.
    usagi "bunny" tsukino | magical girl | 19 y.o.
    I pray for the wicked on the weekend
    Mama, can I get another amen?
    Oh, it's Saturday night, yeah

    looks like a plot for a angsty gay fanfiction



    parla con niamh + hunter, e scappa da niamh con hunter e beh. Spia Hunter + stupratore segreto (chi sta palpando hunter? SEI TU??? RIVELATI necessito ship). Si avvicina a bells/stiles/yale/nate e prima fissa penn, poi parla con yale e stiles
     
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    it's a fact, kiss kiss
    A s s u r d o, a volte la vita sapeva essere divertente.
    A volte. La maggior parte delle volte la sua faceva schifo e quelli erano i risultati. «vi a effe effe a enne.... culo, c u l o, cUulLoo, te lo devo scrivere in faccia? O a modo tuo ci arrivi?» eddai, che lei tanto tempo da perdere ne aveva – il problema era, essenzialmente, che non aveva sbatti di spenderlo così, persino troppo pigra a volte per ascoltare gli audio che le venivano inviati e ancora di più per digitare le risposte. Roteò gli occhi pesantemente scocciata, sperando solo che se la morte fosse dovuta sopraggiungere, lo facesse in fretta – per una delle due. Non ce la faceva onestamente più con quella storia, e da più giorni iniziava a pensare di aver scelto una via di mezzo che le stava creando solo più guai che altro: fra lo sbattere la propria testa contro un muro cercando la morte rapida, l'ammazzare di pugni l'ennesima stronza di turno, billie aveva scelto di tirarle un solo dritto pugno sul naso – provocandole una leggera /così le dissero, almeno/ rottura del setto nasale e emorragia. Ma non certo eliminando il problema.
    E lei quella stronza avrebbe davvero voluto eliminarla.
    «serio, cazzo, lasciami entrare» guardò accigliata l'uomo certo più grosso che intelligente piazzatosi di fronte a lei con tanto di, attenzione, braccia incrociate «sono palesemente maggiorenne, a differenza tua – minorato mentale» ma invece di migliorare la propria posizione, l'uomo parve quasi comprendere l'insulto e per questo accigliarsi maggiormente «se non hai un documento non ti lascio passare» dio, ma sei serio, e certi sguardi bastavano a dire più di quanto la bocca, socchiusa in un'espressione sconcertata, potesse esprimere, infarcendolo di qualche insulto naturalmente.
    «ci vogliamo muovere? La festa sta finendo» eccolo lì, l'eroe di turno, la ragazza si voltò squadrandolo appena «amico, prenditela pure con questo decerebrato qui di fronte, pensa che io sia una minorenne» «forse perché la tua altezza ti permette di pagare la metà all'all u can eat di sushi» m a c h e c a z z o, come si permetteva quel deficiente? «dammi il braccio» a m e n, ma prima di poter alzare la felpa ecco che il tizio dietro di lei, il deficiente per l'appunto, la superò, si lasciò marchiare come un agnello e entrò nel locale, senza sprecarsi in altre parole. #ciao povery
    «a lui lo lasci passare eh?, sto ricch-- toh» frugò nella borsa e finalmente tirò fuori un documento con una sua foto e la benedetta data di nascita – manco sapeva di cosa fosse, ma subito glielo sbatté in faccia, sentendo di essere arrivata al limite, con tanto di telefono che nell'altra mano continuava a vibrare impazzito per le notifiche più stupide del mondo. Banalmente, più era impegnata più gente le doveva rompere le palle – stranamente quando riversava a letto con la bava agli angoli delle labbra non sentiva la gente per giorni. Giusto così, immaginava. Ma la questione della stronza era ancora in sospeso, e non credeva che sarebbe smessa una volta entrata lì dentro – in ogni caso, l'energumeno studiò attentamente lei, la foto, l'autenticità del documento e alla fine, alzando le spalle come a volersene lavare le mani dio mio ancora non ci credi??? ti ammazzo, non è colpa mia se le 2000 si riempiono di steroidi, le prese sgarbatamente il polso, le fece il marchio e le fece segno senza troppi complimenti di levarsi dai piedi.
    Bene, perché neanche lei aveva più voglia di vedere la sua faccia da minorato.
    Andò al bancone e vi si sedette, avvertendo solo l'ennesima vibrazione del telefono – già, aveva fatto un po' il giro la notizia del naso rotto, e lei con quella felpa stracciata e una borsetta a tracolla non c'entrava assolutamente nulla in quel posto questo non toglieva che vantava più stile di buona parte di gente lì dentro, con modestia lo ammetteva (...), ma andava bene così. Assolutamente, qualunque posto ora era meglio dello stare a casa o nel suo quartiere con la notizia (non propriamente falsa) che ora la giovane e difficile billie si divertiva a prendere a pugni ragazzine. Una cosa andava però detta, anche se non propriamente a suo favore: più ci ripensava e meglio si sentiva. Come se ora, alzandosi, potesse dirsi padrona di chissà quale mondo, o universo. Aveva nel cervello l'adrenalina, la meravigliosa pace in quella testa un po' scombussolata, difficile – ancora si ostinava a tornare quell'aggettivo che più di ogni altro /o quasi, diciamo in modo professionale/ l'aveva voluta descrivere, insinuandosi in lei senza chiederle permesso.
    Se la sarebbe goduta ancora un po', decise così, lasciando che una lenta consapevolezza la cogliesse solo dopo qualche ora, o giorno; chi poteva dirlo. Avrebbe lasciato agli altri i drammi per quella sera.
    «sorellina. Ne è passato di tempo.» wat???? cosa stava succedendo? Poteva ancora capire l'avvenuto abbordaggio di belladonna (no, non lo avrebbe capito perché lei a 'ste cose non ci arrivava), ma all'improvviso hel si era ritrovata di fronte una bionda palesemente sconosciuta che, non solo beveva dal suo bicchiere («ma??? non hai paura delle malattie degli estranei?, scellerata»), ma le si rivolgeva in modo strano. E non lo nascose, non cercò minimamente di fingere, semplicemente perché non sapeva nemmeno come fingere... specie con, di fronte, una donna che l'aveva chiamata “sorellina”.
    Fece, quindi, la sola che un essere sperduto e abbandonato come lei sapeva fare – si ritrasse sulla propria sedia irrigidendosi, fissandola con sguardo sospettoso e rigido, ma profondamente spaventato «stai... parlando con me? sorellina a me?» / o h / magari era tutto un film mentale, e la bionda si stava riferendo alla ballerina sul tavolo – che fra l'altro si era appena dileguata ad un cenno dell'altra. quindi no, non c'erano molte altre persone a cui rivolgersi... se non si voleva per di più contare quello sguardo diretto, quasi inquisitore e... divertito?, poteva davvero dire di vederci del divertimento?, e l'altra poteva davvero dire di trovare divertente la confusione sul viso della poverina?
    Ci ragionò su qualche istante. «cioè... ne sei certa?, non sei tanto ubriaca da... confonderti...?» non poteva certo immaginare quanto quella frase potesse suonare indelicata, ma anche volendolo non ci pensò un momento a cercare conferma, riportandosi piegata verso il tavolo per studiare quel viso, quel modo che aveva di fissarla l'altra.
    Non poteva dire di avere qualche fottutissimo /e molto da cliché/ deja-vu, o lampo di memoria... magari avesse funzionato come in quei dannati film di serie b – l'avrebbe aiutata di gran lunga. Eppure qualcosa la teneva a quel tavolo a fissarla la giovane come se lei stessa fosse la risposta, qualunque risposta hel stesse cercando.

    Nel mentre donna stava cercando di recuperare un po' di decenza, a partire dal fatto «bella amica di merda, mi faccio infinocchiare da una minorenne» e studiò la ragazzina che le si era letteralmente appolpata addosso – forse, qualche anno prima non ci avrebbe minimamente pensato su. /forse neanche in quel momento/ ma andava detto che non le era sfuggito nulla... sarà che a quelle cose ci era fin troppo abituata, «sì, ecco, non credere di poter davvero ingannare me – sono troppo vecchia per te» magari la scollatura l'aveva aiutata ad entrare passando /legalmente/ inosservata, ma bella riconosceva una bambina (o quasi) quando ne incontrava una. «per di più non mi è piaciuto il giochetto con la tua amica... quindi, se non ti dispiace» e afferrando il primo braccio a portata di bancone «ma che» «E S C AM O T A G E» si switcho col giovane e tornò verso il tavolo, giusto per controllare che nessuno stesse infastidendo la sua bimba. aspetta. Aspeeee...non mi dire che, e d d a i : ) ora voleva davvero sparire – possibile che quell'uomo fosse ovunque????, sinclair hansen /vecchio in anticipo/, che diavolo ci faceva a fare 'ste cose da giovani?? prima tinder, poi i party al lilum.... che potesse essere più... giovane di quanto veramente non sembrasse????, assurdo, ma per sicurezza si lanciò dietro un tavolo con due giovane impegnati in effusioni. Perché? Perché no.
    «onestamente, vorrei capire perché sono qui» e iden, sempre più scocciato per non riuscire a godersi in pace uno spogliarello (pure la tappa di prima, non sapeva come ma l'aveva trovato e aveva voluto sfidarlo a pugni – ma dico, si può?? lui non le alzava mica le mani sulle ragazze, e non sempre per una questione di sessimo vd. jericho) si ritrovò a chiedersi se non fosse il caso di aspettare un'occasione più intima per “fare le cose da adulti”. Poi aveva amici troppo sfigati, non ci voleva parlare più – possibile che per un solo anno di differenza loro potessero mostrare le loro facce da culo ma lui, l u i con una faccia bellissima, era costretto a 'ste cose? Una pozione di invecchiamento. G r a n d i o s o. stupidi, sì, odiava un po' tutti – e la poverina che gli capitò davanti non poté non finire nel suo mirino di odio impersonale. Per di più. P e r d i p i ù, c'era qualcosa che davvero non tornava. Possibile che un viso simile gli fosse al contempo sconosciuto e familiare?, sorella di qualcuno che conosceva?, un'altra sua sorella? ihihi, insomma – che aveva da guardare?
    Non che nel mentre avesse smesso di fissarla, perché ammettiamolo... era carina, ma aveva qualcosa di terribilmente disturbante che gliela faceva detestare a pelle (che in gergo ideaniano, poteva dire essere una “persona”), e faceva nascere sempre più dubbi sul perché si trovasse lì, incastrato fra il bancone e una ragazza. A proposito, «puoi ammettere tranquillamente di essere minorenne, chissà come ti hanno fatto entrare...» retorica domanda, persino adult!iden non mancava dei propri pezzacci quando aveva a che fare con una ragazza qualunque. È che lui con “quelle” non aveva poi così grandi modi di approcciare – perché??? non stava cercando mica di approcciare, pfff, era oltre “quelle cose”, lui.
    «bevi?» oh, ma allora perché si stava comportando come gli AdUltI nei film????, citando qualche triste falso eroe della dc/marvel??? doveva smettere, pussa via gatta del demonio «cioè, già che ti riesci a guadagnare dei drink sorridendo, io ne approfitterei» perché era così. /in quale momento della serata aveva spento il cervello e aveva lasciato che il sangue coagulasse, letteralmente, da tutt'altra parte?/
     
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    gallagher - once: washington hamilton-dallaire
    nadir // Wes
    Il numero di persone in grado di coglierla alla sprovvista si poteva contare sulle dita di una mano, e certo Wichita non rientrava tra quelle; sapeva esattamente quando il bambino sarebbe piombato in camera sua, senza nemmeno farle la cortesia di bussare prima di accanirsi sulla porta, contando mentalmente i suoi passi incerti lungo il corridoio al piano superiore. Wes ne aveva imparato a memoria la cadenza, ogni sottile sfumatura dovuta alla differenza di calzature, arrivando a riconoscere lo stato d'animo del fratellino dal modo in cui lui, trotterellando, percorreva l'esigua distanza tra le loro stanze per intrufolarsi nella sua. Quasi sempre non invitato, ma tant'è. Lo aveva sentito già mentre saliva le scale, quei sette tonfi ravvicinati che Chita si impegnava a far rimbombare nella casa saltando a piè pari, e per questo non si era nemmeno data pena di sollevare lo sguardo dal libro che teneva in grembo, continuando a fingere interesse per le parole stampate sulla carta spessa anche quando il biondino si arrampicó sul bordo del suo letto, le mani strette attorno al telefono cellulare che la gallagher aveva appositamente /dimenticato/ al piano di sotto. «wes.. wes! continua a suonare!» non sapeva ancora leggere né scrivere, quella bestiolina, ma gli apparecchi digitali non avevano più alcun segreto per lui. gen z. wes, al tempo nadir, distolse finalmente l'attenzione dal libro, posandola sui riccioli dorati del fratello, senza sentire il bisogno di controllare sullo schermo dello smartphone chi l'avesse insistentemente chiamata per tutta la mattina. Lo sapeva già. Quanti mesi erano passati, cinque? La notizia di era sparsa in fretta, grazie anche agli agganci della loro famiglia in gran bretagna e francia, e non ci era voluto molto prima di scoprire che tra le famiglie di custodi e messaggeri rimasti a londra qualcuno mancava all'appello. Molto più di qualcuno, a dire il vero. Wes se n'era accertata di persona, subito dopo l'uscita dell'articolo del morsmordre in cui si parlava di traditori e vittime, avvertendo puzza di bruciato prima ancora che i suoi genitori adottivi cominciassero ad attivarsi per ottenere ulteriori notizie. Se lo sentiva, sotto la pelle e nelle vene, che era successo un casino. E si era sentita una merda, quando il cuore aveva ripreso a batterle nel petto scoprendo che nella lista degli scomparsi non figuravano i nomi dei suoi genitori: quelli veri, che non l'avrebbero mai vista o conosciuta, ai quali non avrebbe mai stretto le braccia attorno al collo per baciare delicatamente una guancia ispida di barba color grano, o affondare il viso in morbidi capelli dalle sfumature del cioccolato fondente. Un sollievo, impalpabile quanto il pizzico istantaneo di un ago, che era durato altrettanto poco, per scemare nel momento in cui si era resa conto di dover tornare a casa con una responsabilità sulle spalle della quale avrebbe fatto volentieri a meno; avrebbe potuto mentire, tenere per sé i dettagli raccontando a Caleb una bugia, ma non sarebbe stato giusto. E comunque lui gliel'avrebbe letto in faccia, scavandole dentro con i suoi occhi scuri troppo simili a quelli della famiglia che non aveva mai avuto, ma della quale conservava gelosamente istantenee di un'altra vita. Murphy, Chariton, Leia Skywalker. Scomparsi nel nulla. «cita, quante volte ti ho detto di non toccare le mie cose?» gli rivolse la domanda smorzando il tono secco della stessa, incapace di mostrarsi nei suoi confronti fredda come riusciva ad esserlo in quelli di tutti gli altri; e non solo perché wichita aveva cinque, stramaledettissimi, anni. Se ne sentiva responsabile, un genere di sentimento che wes ricordava perfettamente di aver gia provato in passato e che aveva pregato di non dover provare più: ricordava ogni dettaglio dei loro volti, lo sguardo fiero di dave e le lunghissime ciglia di zenith, le piccole mani a stringersi attorno alla sua quando scendeva la notte e sulla testa dei bambini calava la paura di non essere desiderati, di non essere abbastanza; e, soprattutto, nadir ricordava il senso di colpa. Per non averli protetti, per essere uscita dalle loro vite quando ne avevano più bisogno. Troppo codarda per infrangere le regole e cercarli. «ma suonava!» la logica dei poppanti, non faceva una piega. Anche volendo, e wes non voleva, non sarebbe riuscita a spiegargli perché rispondere alla propria ragazza le risultasse un tale peso, simile alla classica spada di damocle pendente sulla testa. Kendall, lampeggiava insistente sullo schermo dello smartphone privato della suoneria, e non rispondere era l'unica cosa a cui riusciva a pensare. Non aveva motivo per cascarci di nuovo, l'ennesima caduta verso un baratro che, lo sapeva, diventava di volta in volta più profondo, la via di fuga sempre meno facile da raggiungere. Meglio perderla che trovarla, una come kendall price, con le sue crisi passive aggressive, le sue richieste opprimenti, la gelosia al limite della psicosi, un bisogno di attenzioni impossibile da soddisfare pienamente; meglio perderla che trovarla, come tutte le dipendenze dalle quali non esiste scampo. «pronto? kenny io--»

    «vado a prendere qualcosa da bere. ce ne andiamo fra dieci minuti.» non si stava minimamente impegnando a sembrare cortese, e comunque a kendall non poteva fragre di meno. Era il tipo di persona convinta che fosse il mondo a dover girare intorno a lei, e in quel momento si trovava sotto le luci scintillanti della ribalta - o, almeno, ne era convinta: nessuno al lilum se la cagava di pezza, non con una ventina di ballerine mozzafiato mezze nude a ballare sui cubi, ma a wes andava benissimo lasciarla crogiolare nelle sue convinzioni. Tutto, pur di levarsela di torno un istante e ricominciare a respirare. Perché andava sempre a finire così, tra loro due, un infinito tira e molla di sofferenza e rabbia, delusione e frustrazione: da parte della gallagher, non certo dalla sua corrispondente. Come l'avesse convinta a scarrozzarsela dietro nell'ennesima toccata e fuga in quel di londra, poi, washington proprio non riusciva a spiegarselo; c'erano troppe cose a cui dare la colpa, compresa una debolezza alla quale la ragazza sembrava non riuscire a porre rimedio. «si, si, vai. io faccio un giro» Il tempo di finire la frase e già si era dileguata tra la folla, una ciocca di capelli biondi a perdersi fra troppe teste e volti per lo più sconosciuti. Per lo più, ma non del tutto: wes dovette chinare lo sguardo, le mani a stringersi con maggiore forza sulla stoffa del cappuccio sistemato sul capo prima di entrare nel locale, quando le iridi verde scuro incrociarono per una frazione di secondo quelle limpide di Jaden Beech. Non ne aveva motivo, in realtà - la bionda non avrebbe mai potuto riconoscerla -, ma le venne comunque spontaneo dirottare la propria attenzione altrove; entrambe le zie, suo zio con un neonato addormentato nel marsupio, frammenti di una vita mai vissuta eppure tangibile, stampata su carta lucida e ormai consumata dal tempo. Poche foto e un'esagerazione di nomi scritti a mano su un foglio ripiegato alla bell'e meglio, a formare una famiglia allargata che forse nel 2043 doveva aver avuto un senso, ma che per wes rappresentava ancora un mistero. «merda.» un sussurro, gia pentita di aver messo piede al lilum, troppo poco spazio e decisamente troppi occhi intenti ad osservarla tra un bicchiere e l'altro; si era sempre data delle regole per gli /appostamenti/, in precedenza, e implicavano per lo più il mantenimento di una distanza di sicurezza che in quel posto non aveva. «ehi» con il busto premuto contro il bancone, washington richiamò l'attenzione del primo barista libero schioccandogli le dita davanti al viso, la punta dell'indice ad indicare qualcosa alle spalle del giovane. «un bicchiere con del ghiaccio e qualcosa di forte che non spacchi la testa. vai a sentimento.. e lascia la bottiglia.» frugó nelle tasche dei jeans sbiaditi, estraendone due banconote da dieci dollari, una cifra ridicolmente elevata, per gli standard delle bettole che la ventottenne era abituata a frequentare; l'idea che il locale si trovasse fuori dai confini della londra babbana, non le aceva ancora sfiorato la mente, assetata di alcol e risposte impossibili da ottenere. «non accettiamo valuta babbana. ordini della direzione.» cosa. cosa «cosa.» quanto le sarebbe piaciuto afferrare il barman per il colletto della camicia inamidata e trascinarlo di faccia sul pavimento, pestargli la suola degli scarponcini sul naso fino a sentire la cartilagine mollare il colpo; lo sentiva spesso, quel bisogno fisico di fare del male alla gente, e nella maggior parte dei casi la mancanza di un buon calmante - whiskey o vodka da discount, non faceva differenza - non era di alcun aiuto nel mantenere i nervi saldi. «stai scherzando, spero.» il per te era sottointeso. bastò il cenno di diniego con la testa, il gesto azzardato con cui le spinse nuovamente le banconote davanti, a farla scattare: la mano destra chiusa a pugno si mosse quasi per inerzia, contro la volontà della proprietaria, e se sul palmo non se ne fosse posata con fermezza un'altra, le nocche sarebbero giunte a destinazione. «pago io la bottiglia. a patto di dividerla, chiaramente.» In una qualunque altra occasione avrebbe rifiutato, nonostante il timbro femminile della voce; e se si fosse trattato del solito marpione di turno intenzionato a provarci con lei ignorando i segnali negativi che la ragazza emetteva costantemente, sarebbe potuta anche arrivare a qualche insulto. Era sempre pronta, per quelli: un sorriso affilato a tendere le labbra sottili, ma ben disegnate, magnanima nel dare allo sfigato in questione la possibilità di capire da solo la situazione, le dita incrociate sperando questi non ci arrivasse. Era più divertente, quando insistevano scambiandola per una preda facile, troppo sottile e minuta per opporre resistenza. Ma quando si voltò per rifiutare seccamente l'offerta della voce sconosciuta, e le iridi verdi screziate di nocciola incrociarono quelle più scure di Niamh, fece rapidamente dietrofront, ricacciando ogni parola giù lungo la gola. Non aveva mai avuto un tipo, Nadir Gallagher, come dimostrato dalla varietà delle ragazze con cui era uscita prima di kendall, ma se avesse dovuto descrivere una bella donna, probabilmente wes avrebbe descritto lei; con quegli occhi scuri nei quali ci si sarebbe potuti perdere, caldi e accomodanti lì dove quelli di kendall apparivano sempre distanti, interessati ad altro. Meglio così, per la ventottenne: sentirsi leggere dentro non era una sensazione che amava, e almeno con kenny non correva rischi. «posso darti i soldi.. non sono qui per fare le elemosine.» nemmeno un grazie, solo l'ennesimo ringhio sommesso rivolto al barista. Che di colpe non ne aveva mezza, ma con qualcuno doveva pur prendersela, no?

    27 yo | weather control | time traveler
    keeper | american girl | dangerous
    she smiled softly, but this time was different.
    her face smiled, but her eyes didn't
    I've got 99 problems. And men are all of them.


    eeee niente parla solo con niamh e spia la genteh
     
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    niamh lynch-barrow
    'WE LIVED LIKE WE WOULD LIVE FOREVER
    RAISE A GLASS UP TO EACH OTHER

    Decise di aver fatto fin troppa vita sociale tra Xavier e la biondina, e che per quella si sarebbe rifiguata nelle accoglienti braccia di un barista – o nel suo caso, dell’alcool. Si era dimenticata di quanto le feste fossero seccanti senza la sua squad preferita, e il fatto che fossero a cento anni di distanza a divertirsi senza di lei non aiutava. Si sentiva messa da parte, esclusa dal loro stupido klub dei bambini speciali. Non poteva neanche attaccarsi al braccio di Mitchell e lamentarsi, dato che quella sera aveva deciso di provare a mantenere un po’ di contegno. Portò il bicchiere alle labbra, bevendone avidamente il liquido mentre si dirigeva verso il bancone, la sua meta finale di quella sera. Quello che non si era aspettata era una ragazzina a- «PORCA KLANCE» palparle le tette, se non si sbagliava. Insomma, non le dispiaceva, ma avrebbe almeno potuto presentarsi prima idi farle quel tipo di avances
    «ciao anche a te?» accennò a un sorriso imbarazzato, procedendo poi a staccarle le mani dal suo seno «Niamh» arcuò un sopracciglio, ora confusa dalla situazione «come fai a sap-» «non è come sembra» cosa…..sembrava? Forse era una delle ragazze che aveva swipato su Tinder, ed era così ansiosa di palparla ?? che aveva preso la situazione in mano. Letteralmente. «Mi chiamo Here» qui dove??? Aveva per caso un biglietto di presentazione con sé? Eppure non teneva niente in mano, né lo facevano i suoi due amiki spuntati dal nulla «perché hai le mani sulle tette di Niamh? non che io sappia che tu ti chiami Niamh» [(chuckles) I’m in danger.meme] non aveva mai visto quella gente in vita sua, ma voleva sperare che la conoscessero per le sue leggendarie feste nella Torre, e non perché fossero tre stalker «sa, Here si è da poco rifatta il seno e non si è ancora abituata al nuovo equilibrio, camminare può risultare davvero tanto, tanto difficile!» «ah…….capisco?» non capiva, ma pensava di essere troppo distratta dal fatto che dall’altra amica per far tropo caso all’ennesima storia di tette. Fu sollevata quando decisero di schizzare via, sentiva che se fossero rimasti ancora un po’ le avrebbero raccontato una struggente storia di cancro, cosa per cui non era nel mood adatto. Quel tipo di storie erano per C’è posta per te e basta.
    Alla fine, dopo un travagliato e lungo viaggio tra tette, ragazzini e confusione, giunge al stop stop per la serata: il bancone.
    Amava quelle cannucce a forma di pene, chissà perché non aveva ancora pensato di prenderle per casa, e anzi, lei sarebbe salita a un livello superiore e avrebbe comprato quelle glitterate. Era sicura che Mitchell le considerasse inappropriate per Nicky ma a un certo punto doveva pur mettere in conto che vedesse dei membri, a meno che non fosse dell’altra sponda. Era kool anche con quello, anzi ancora meglio per lei, sarebbe stata unaffected dalle sue cannucce speciali!11! E chissà, forse avrebbe presto altro e ridecorato la casa. Con una finale aspirazione cosa strategica finì il contenuto del bicchiere, e se gli stampini dei drink gratis non mentivano, avrebbe potuto ancora uno gratis. Fece per girarsi verso il barista, quando qualcuno di più interessante catturò la sua attenzione «un bicchiere con del ghiaccio e qualcosa di forte che non spacchi la testa. vai a sentimento…e lascia la bottiglia» dopo la parte della bottiglia, l’aveva decisamente conquistata. Non era colpa sua se era attratta dai bevitori, doveva essere una cosa genetica. Abbassò lo sguardo sulle dita strette a qualche dollaro stropicciato, scuotendo la testa divertita: tipico errore da amerikani. Si sentiva particolarmente magnanima quella sera, tanto che avrebbe persino potuto osare avvicinarsi «non accettiamo valuta babbana. ordini della direzione» lo vide ancora prima che succedesse: l’uomo tenuto per il colletto mentre la ragazza gli sbraitava in faccia, o molto probabilmente dove gli tirava un pugno sul naso. Per quanto le sarebbe piaciuto assistere alla scena, non era ancora abbastanza tardi da simili scenate. «stai scherzando, spero» allo scuotere il capo del barista, il pugno della ragazza quasi non si sollevò dal legno per finire in faccia all’’uomo. Prima che gli tirasse davvero un cazzotto, Niamh intervenì: scivolò vicino alla ragazza, piazzandosi nello sgabello vicino a lei; allungò una mano per chiuderla su quella della sconosciuta, e tenerla lì dov’era. «pago io la bottiglia. a patto di dividerla, chiaramente» piegò la testa di lato, lo sguardo curioso a osservare i lineamenti dell’americana – che fosse attraente, non c’erano dubbi. Se programmava di provarci spudoratamente? Assolutamente sì, tanto quella sera aveva già perso la sua dignità dopo l’affare della palpata. «posso darti i soldi…non sono qui per fare le elemosine» tolse la mano dalla sua, sistemandosi meglio sullo sgabello e poggiando il palmo sulla guancia per poterla vedere meglio «no, direi che piuttosto hai l’aria di qualcuno che accetterà la mia offerta» scosse decisa la testa, un sorriso furbo a curvare le labbra. Non gliela stava offrendo perché era una samaritana, era chiaro che avesse le sue ragioni, qualcuna più importante di altre «perché è dannatamente conveniente, e sarebbe da idioti rifiutare» si strinse nelle spalle, dandole tutte le ragioni per cui avrebbe dovuto darle retta - e diciamocelo, chi avrebbe mai detto di no a dell’alcool gratis? Lei di certo non l’aveva mai fatto «posso sapere il tuo nome, straniera?» cosi, tanto per non continuarle ad affibbiare nomi a caso nella sua testa.




    hot tempered triad
    ex gryffindor
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    andrew stilinski
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    Fece guizzare la lingua sulle labbra secche, sentendo sulla pelle e nelle narici profumi d’altri tempi ed altre vite. Cercò d’ignorare il cuore a battere frenetico contro il petto, o la gola stretta dal bisogno di gridare ed afferrare qualcuno dal colletto per avere delle maledette risposte, ed averle ora: Andy sapeva di non poterselo permettere – che più di tanto, malgrado ne avesse un bisogno fisico e lancinante, non potesse esporsi.
    Neanche fisicamente. Cercò di rimanere nell’ombra, ringraziando mentalmente le soffuse luci del locale che impedivano allo sguardo di soffermarsi troppo a lungo sui dettagli – gli abiti troppo stretti, le spalle più larghe, l’adolescenza lasciata da un pezzo; perfino la voce era più roca e densa, ma confidava che fosse a malapena udibile nel trambusto. Non aveva scelto quella serata a caso, Andrew Stilinski; se avesse avuto altre opzioni avrebbe preferito non dover scegliere affatto, ma…non ne aveva, dannazione. Non ne maledettamente aveva, e l’inaugurazione del Lilum gli era parsa l’unica possibilità per uscire allo scoperto senza incorrere in esagerati, quanto superflui, rischi. Se l’avesse fatto qualcun altro, chiunque altro, gli avrebbe dato dell’idiota, scellerato, incosciente - ma gli altri non erano Andy. Si era studiato ogni dettaglio, di quel locale – ogni uscita, ogni entrata – si era assicurato che non facessero entrare né armi né bacchette, che le luci e la musica fossero quelle giuste, che Stiles fosse presente: non doveva rimanere molto, d’altronde. Giusto? Il tempo di trovare CJ, o Jayson, o Barry, o - Dio, chiunque altro che non fossero loro.
    Siete morti. Siete morti. Glielo suggeriva ogni cellula ed ogni nervo, ogni impazzito battito nello sterno: siete morti, non è reale; e se lo sentiva così pressante lui, lui!, che a malapena li aveva conosciuti, non poteva immaginare cosa avrebbero potuto pensare altri.
    Cosa avrebbero potuto dire.
    «Prova sottoterra. Lo sai che è morto a dicembre»
    Coprì nervosamente la bocca con la mano, il pollice a massaggiare il naso. Dovette deglutire più volte, ma nessuna fu abbastanza da convincerlo che avrebbe potuto parlare senza bisbigliare o sbraitare. Osservò, senza muovere altro muscolo, l’inarcato sopracciglio del Lowell, cercando di comprendere…qualcosa, quel non detto denso come caramello fra i presenti. Cosa sapeva Andy? Un cazzo. Linguaggio! Poco. Sapeva che, a Dicembre 2017, erano stati dichiarati morti e Traditori della loro patria, anche se non era certo della dinamica che aveva portato ad una tale, catastrofica, catena di eventi. Ma sapeva che, ad Aprile dell’anno seguente, erano decisamente vivi. D’altro canto, se lui fosse stato etichettato come Traditore, non avrebbe certo sbandierato il proprio ritorno ai quattro venti. Inspirò dalle narici, schioccò le dita per attirare nuovamente l’attenzione del Lowell, il quale pareva affascinato dal bicchiere nel proprio palmo. «ovviamente lo so, nath» play it cool, Andy. Play it cool. Ancora, morse l’interno della guancia avvicinandosi di pochi centimetri all’uomo. Dovevano essersi nascosti, dedusse lo Stilinski. Probabilmente vivevano in qualche… in qualche topaia in attesa di poter vedere nuovamente la luce del sole, un bunker sotterraneo magari? Prova sottoterra. «ovviamente» Tirò su l’aria dal naso, cercando di rimanere quanto più immobile possibile per non far notare le evidenti differenze con il se di quel mondo – Stiles. Non avrebbe ricevuto più informazioni di quelle, lo sapeva: se Stiles avesse saputo dove fossero nascosti, Andy avrebbe dovuto saperlo; se non l’avesse saputo…beh, non gliel’avrebbero certo rivelato all’inaugurazione di un locale di spogliarelli.
    Esisteva un termine, per situazioni del genere: cul-de-sac. Vicolo cieco.
    «Ti portiamo un bicchiere d'acqua?» Acqua? Cristo, in quel momento, se avesse potuto permetterselo (in senso metafisico, ma a dire il vero anche finanziario) avrebbe decisamente avuto bisogno di qualcosa di più forte: l’isteria ebbe la meglio, ed Andy si ritrovò a nascondere una risata vagamente folle nella mano. «sono solo -» stanco. Stanco. Non so che altro fare – Dio! NON SO CHE ALTRO FARE, LO CAPITE? Scosse il capo, abbassò la testa verso la punta dei propri piedi. «devo aver bevuto troppo.» concluse, le spalle a scuotersi ancora debolmente a causa della risata.
    Mon Dieu.
    Doveva tentare il tutto e per tutto? Aveva solo una (1) possibilità, poi sarebbe stato fottuto per sempre. Alzò lo sguardo assicurandosi che le vie di fuga, quelle rapidi ed indolori, fossero percorribili; osservò, metodico e attendo, gli individui che lo circondavano: non avrebbe potuto difendersi se l’avessero attaccato tutti insieme, ma poteva pur sempre assicurarsi la fuga prendendo uno dei loro come ostaggio – la ragazza gentile, magari? Cristo, Andy, ma ti ascolti? Si sentì colpevole pur non avendo fatto nulla, oratore di diplomazia a valutare di rapire una maledetta ragazza per poter fuggire – ma era il bene di molti a vincere sul bene di uno, giusto? E non le avrebbe davvero fatto del male.
    Sperava ancora che non sarebbe stato necessario, ma preferiva avere un Piano B. Alzò il capo, gonfiò i polmoni, e si allontanò di un passo dal piccolo anfratto d’ombra dov’era riuscito a rifugiarsi. Era identico a Stiles? A ventun anni lo era stato - ma ne era passato, di tempo.
    «non l’avrei mai chiesto se non fosse strettamente necessario» la voce appena udibile, le labbra a muoversi troppo veloci perché qualcuno potesse leggerle. «ipoteticamente parlando, ho bisogno di un modo per parlare con loro» strinse i pugni, li riaprì. «ho bisogno del loro aiuto» Una pausa, deglutì. Cercò un briciolo, un minimo di consapevolezza negli occhi blu di Nathaniel Lowell. «di nuovo.» sollevò, con lentezza studiata, le mani per mostrarsi inoffensivo – e senza braccialetto, per inciso. Se Nathaniel sapeva dove trovarli, doveva sapere dell’incontro con la sua realtà, giusto? «il mio nome è andrew stilinski» scandì, arcuando un sopracciglio: “ma non sono Stiles” «e sono dalla parte dei buoni.»
    Di nuovo.
    Sempre.


    psychowizard | 21 y.o.
    trying to keep it real
    That I'm losing my mind
    Trying to find the perfect line
    I think I'm running out of time
    This battle for gold is killing my soul


    Almost there, my fellows. Almost there, try again.
     
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    Gideon non era il tipo di persona che, di norma, infrangeva le regole. Non perché queste fossero sacro sante e ci credesse davvero così tanto da doverle rispettarle per forza, quanto perché andare contro il regolamento gli procurava una certa ansia, non poter mai essere sicuro di come sarebbe andata a finire e non avere il controllo sul futuro lo metteva a disagio. Era un tipo razionale, organizzato, fedele alla propria logica e ci teneva a sapere che due più due facesse sempre quattro, un risultato differente lo avrebbe spaventato. Non amava il rischio, anche perchè negli anni aveva sviluppato una teoria su se stesso: detta in breve era un tipo particolarmente sfigato, così tanto che quando provava a rischiare in qualsiasi cosa – anche la più semplice - perdeva sempre, era matematico e lo aveva appurato più volte. Lo aveva constatato in vari ambiti, per esempio quando durante un compito in classe alle medie aveva passato le proprie risposte ad Andrew Jones - che, poverino, gli faceva tanta pena, prendeva sempre 2! - ed era stato messo in punizione nonostante fosse la prima volta che tentava di infrangere le regole per aiutare qualcuno. O quella volta in cui si era fermato sotto un albero nel disperato tentativo di aiutare un gatto a scendere, e quello gli si era buttato praticamente sulla faccia senza rimorso. E ci sarebbero tante altre storie da raccontare, sul come la sua fiducia sia stata più volte tradita nel corso della sua breve esistenza. Era nato sfigato, ma nel vero senso della parola, e sapeva che nonostante tutto non sarebbe arrivato a compiere vent’anni, ma a parte questo aveva capito che non era una mossa saggia andare contro il karma, oltre che essersi convinto che vivendo una vita priva di rischi non avrebbe potuto farsi male. E poi, diciamocelo, non era stato baciato dalla stessa fortuna sfacciata che, invece, aveva sua sorella. Hazel riusciva ad essere balorda in maniera inimmaginabile ed a farla franca l’ottanta per cento del tempo, il restante venti per cento sembrava godere delle punizioni che le venivano inflitte, come se le collezionasse. A volte, avrebbe voluto essere come lei, osare di più, non pensare alle conseguenze delle proprie azioni e vivere la giornata come se fosse sempre l’ultima. Ma non ci riusciva, non era nel suo sangue (cit).
    Quella sera di metà estate, forse a causa di una girandola di ormoni che non gli aveva lasciato la testa per tutto il pomeriggio – gesù, si era abbattuto in un link che parlava delle sorelle Hadid ed era rimasto tutta la sera chiuso in camera non pensate male, eh- o forse perché si era studiato un piano nei minimi dettagli e non poteva andare storto, era riuscito a convincersi che quella cazzata avesse una logica.
    Dopo aver convinto i suoi di star andando a casa di un amico, si era recato nei pressi del Lilum, a Diagon Alley, sotto le false sembianze di una persona che non aveva alcuna possibilità di incontrare in quel luogo, il fratello di sua madre, Leopold.
    La serata nel locale notturno era stata pubblicizzata in modi audaci, tanto che il McPherson aveva fatto scorta di preservativi tutti i gusti + 1 piovutigli addosso dal cielo che, con ogni probabilità, non avrebbe mai utilizzato. La serata sembrava...tutto fuorchè tranquilla, sicuramente non il suo genere di serata tipo, ma la curiosità era tanta e sapeva che sarebbe rimasto lì per poco, solo per curiosare un po' e poi sarebbe andato via. L’entrata del locale era affollata di persone, comprese le veela che girovagavano nelle strade attirando nuove persone nel locale. Appena entrato gli venne sequestrata la bacchetta, con suo totale disappunto, ma lo aveva previsto.
    Si guardò intorno, quasi estasiato per le immagini suggestive che gli passavano davanti agli occhi. E no, tali immagini non erano le tette delle ballerine. O meglio non solo quelle. Dal soffitto pendevano nastrini colorati ed i camerieri strizzati in quei costumi che mettevano in mostra la giusta quantità di pelle da stimolare la sua fantasia, si aggiravano per la sala indossando una maschera che ne celava il volto. Forse, per ogni evenienza avrebbe dovuto indossare anche lui una maschera. Chissà cosa ne avrebbe pensato il suo babbanissimo zio Leopold se avesse visto la propria faccia aggirarsi in un locale notturno per maghi….ma non c’era alcuna possibilità che questo accadesse!
    Non conosceva davvero nessuno là dentro, ed era talmente incuriosito dall'ambiente da non soffermarsi su nessuna delle dinamiche che stavano avvenendo in sala. Si avvicinò al bancone, lanciò uno sguardo alla lista dei cocktail presenti.
    « Un dragon helley, grazie. » Nonostante il nome promettesse l'apocalisse, non era certo il cocktail più forte della lista, ma la percentuale alcolica gli avrebbe consentito di sciogliersi senza piombare nel ridicolo, e soprattutto forse avrebbe evitato il vomito. Fu in quel momento, mentre pensava al vomito, che una ragazza dall'aria del tutto disinvolta, si avvicinò a lui.
    « Cerchi compagnia? »
    Fu istintivo guardarsi alle proprie spalle, per assicurarsi che non stesse parlando con qualcuno dietro di lui - il che non sarebbe stato affatto strano, era abituato a trovarsi in mezzo al culo l'ottanta per cento del tempo - ma, non c'era nessuno.
    « S-sì...No...facciamo di sì, ma...in che senso? »
    « Offrimi da bere e te lo spiego. »
    Ecco, era appena arrivato e già volevano spennarlo. La solita fortuna.
    Gideon ZIO LEOPOLD! | 32 y.o. [sheet]
    ravenclaw | VI year
    american halfblood
    once: gideon rosier
    20/09/18 h 10.00
     
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    Ancora con un sorriso sarcastico, Nate guardava il bicchiere che veniva riempito nuovamente cercando in tasca del contante (come funzionava con i pagamenti? I prezzi erano cambiati rispetto all'ultima volta in cui era stato al Lilum per assistere allo spettacolo di Eugene nudo? La mente iniziava ad annebbiarsi, e non era certo di ricordare se avesse già chiesto al barista quanto gli doveva), e quando l'alcol venne versato mollò sul tavolo un paio di monete. Il ragazzo al bancone non commentò e Nate lo prese per buono, dedicando nuovamente la propria attenzione al fremello. "E' così diverso da Jay", non potè fare a meno di pensare, pur non certo, nella semioscurità in cui si trovava il giovane, di riconoscere in lui Stiles o Xavier. "Chissà come sta". Ogni tanto se lo chiedeva, riguardo a tutti loro. Guardava vecchie foto di passeggini e bambini un po' special, e si chiedeva se Gemes e Will riuscissero a comunicare fra loro dal 1917 e il 2117; osservava Lydia con sguardo perso oltre la finestra, e si domandava se stesse pensando al fratello e a Jay; si autoinvitava a cena da Euge e Jade e allungandosi sul divano pensava a quante volte Run ci si doveva essere coricata... li aveva creduti morti per così tanti mesi (morti e traditori), aveva rinchiuso il lutto cercando di negarlo per così tanto, che ora faceva fatica a ignorare i loro visi nella propria testa, e passare le giornate chiedendosi dove fossero, che stessero facendo, quando sarebbero tornati a casa, se sarebbero tornati a casa. Si stavano perdendo un mondo bello che fottuto.
    «ovviamente lo so, nath» «Nate» rettificò automaticamente, memore di un tempo in cui correggeva sempre i propri compagni di classe e cercava di allontanare il fantasma di Brandon dalla propria vita. Brandon era tornato, le cose fra loro erano - circa - a posto (quale miglior modo di uccidere tutti insieme la propria mammina per creare un sano legame fra fratelli???), ma i ricordi? Quelli facevano ancora male. I mesi passati senza sapere cosa fare della propria vita, la distruzione di ogni propria certezza, gli sguardi della gente, Jericho che cresceva senza di lui... Nath era ancora un nome tabù, colmo di troppi significati che Nathaniel preferiva scordare.
    «Sei nervoso» notò d'un tratto, commentando con tono distratto che nascondeva la sua reale preoccupazione; non era Jay, ma era comunque suo fratello e aveva imparato ad affezionarsi a Xav e Stiles. "A meno che... non sia Brandon?" avrebbe avuto più senso sia il suo comportamento, che il Nath buttato lì. Il ragazzo si avvicinò a lui, e Nate, più vigile, fece lo stesso. «Chi sei?» una domanda che, anche se origliata (da chi, poi?) poteva passare per innocente: in fondo non ci sarebbe stato niente di male nel chiedere ad un gemello quale dei due era - non era così facile riconoscere fra loro i fremelli, tanto meno in un locale con luci soffuse e dai colori forti.
    «Ti portiamo un bicchiere d'acqua?» si voltò verso la ragazza che aveva parlato, visibilmente agitata per il comportamento dello stilisnki. Fantastico. Non l'aveva mai vista prima, e se di Bells si fidava, di lei - beh. No. «Sì, vai a prendere qualcosa» ignorò il rifiuto del fremello, e prese dalla tasca uno zellino da dare alla tipa «Al piano bar laggiù c'è anche dell'acqua» la ragazza dai capelli rosa non sembrava molto convinta, ma dopo aver lanciato uno sguardo preoccupato a tutti i presenti si allontanò, tranquillizzando Nathaniel che tornò a dedicare la propria attenzione su di lui. «Ehi» cercò di richiamare la sua attenzione, vedendolo sperso a osservare in giro. «Sei per caso fatto? Tu ricordi dov'è Knowles, vero?» Avendo fra i propri migliori amici una Lydia, un Jay e un Elijah, non si sa mai. «Sai che giorno è oggi?» Quando il fremello uscì dall'ombra, Nate aggrottò le sopracciglia. «che cazzo era più grande? Sembrava più grande, più adulto. O forse solo molto - molto più stanco. «non l’avrei mai chiesto se non fosse strettamente necessario. ipoteticamente parlando, ho bisogno di un modo per parlare con loro. ho bisogno del loro aiuto» Gli occhi cioccolato del ragazzo erano in quelli chiari di Nate, ma l'uomo non aveva una risposta per lui. Dio! Se solo avessero avuto un modo per contattarli, che egli fosse Xav, Stiles o Bran pensava non glielo avrebbero detto? Ormai i rimasti che avevano partecipato alla reunion a casa di Rea erano una squadra; condividevano il segreto, condividevano le speranze, condividevano tutte le illusioni e i tentativi che facevano per trovare gli scomparsi. «di nuovo.» Di nuovo? «il mio nome è andrew stilinski» Nate strinse gli occhi, studiando il ragazzo, cercando di capire il suo tono di voce; non aveva mai sentito stiles presentarsi con l'intero nome e a dirla tutta- era così poco stiles, che ormai si era autoconvinto fosse brandon. «e sono dalla parte dei buoni.»
    E poi, dal nulla, una lampadina. «Porca puttana.»
    Un'idea così assurda, che Nate quasi volle ridere per averci anche solo pensato, mentre a bocca socchiusa si passava la mano sul volto osservando il ragazzo.

    «amalie è… credo sia ancora un po’ impegnata nel sottosopra. sì insomma: siamo finiti prima in una specie di universo alternativo del cazzo dove gli special sono al potere e sottomettono i maghi, ma, ehi!, stiamo tornando»
    «quelli che sono arrivati qui da quell’universo, dicono di aver… messo a posto, giusto?, qualcosa nella vita di alcune persone che sapevano essere errate.»


    «Porca puttana.» mandò giù il bicchierino intoccato, l'alcol a scendere caldo giù per la gola ma non abbastanza forte per soffocare i pensieri nella propria testa. Nate aveva sentito da Rea nello specchio quel ragazzino parlare di un universo alternativo ma- a dirla tutta? Non ci aveva più pensato. Non se lo sognava di notte, non si chiedeva se esistesse un altro Nathaniel- era troppo, da metabolizzare. Un solo universo, era troppo. Aveva già i suoi amici dati per morti e non morti ma bloccati nel futuro e nel passato a cui pensare, un regime che diventava giorno dopo giorno più spietato, la propria vita che andava a pezzi... un universo alternativo francamente era l'ultimo dei suoi cazzo di problemi.
    Eppure il Nath. L'essere così strano di Stiles. «sai dove posso trovare cj?» Il nervosismo. L'aspetto più adulto e sofferto. "gli special sono al potere e sottomettono i maghi". «il mio nome è andrew stilinski. e sono dalla parte dei buoni.»

    «diciamo una specie di purgatorio a metà tra il paradiso e l’inferno»

    «Porca...» scosse la testa, avvicinandosi a Stiles - Andrew? - e afferrandolo per la giacca mentre lo scrutava più da vicino. Se era uno scherzo, e quel ragazzo (a quel punto, chiunque fosse) era semplicemente strafatto-... «Non può-...» abbassò il tono di voce, ormai quasi un sibilo udibile solo al ragazzo sopra la musica «Tu sei Andrew Stilisnki. Ma tu non sei Stiles» Stava impazzendo? Era l'alcol a parlare? E dire che non pensava di aver bevuto così tanto. «Tu vieni da laggiù, dal-... purgatorio. Dal sottosopra» Spalancò gli occhi, un'altra informazione che improvvisamente aveva senso. Con il bicchierino ancora in mano che per poco non gli cadde a terra, afferrò anche l'altro braccio del ragazzo. «Quando ti hanno aiutati? Li hai visti?» Aveva... senso. Se da lì potevano andare nel 1917 e 2117, come aveva detto il fratellino di Friday, forse funzionava anche al contrario. Il cuore che batteva veloce, gli occhi lucidi e accesi. Il sorriso apparso sulle labbra lievemente necrotico. Non avevano più avuto notizie da nessuno di loro, nè sapevano come fare ad ottenerle (Nate aveva cercato vecchie foto americane all'archivio storico cercandoli, inutilmente), ma questo... questo era qualcosa di grosso, se era vero. «Come sei arrivato qui?» troppe domande febbricitanti, dettate dall'agitazione e dall'adrenalina. Già aveva messo da parte la richiesta d'aiuto del ragazzo; loro avevano bisogno di aiuto, del suo aiuto, per farli tornare a casa tutti. «Esiste un passaggio?» All'improvviso, la consavolezza del perchè Andrew Stilisnki fosse lì. il sorriso sparì dalle labbra di Nate, le spalle si abbassarono. «Tu non sai come comunicare con loro». Anche perchè sennò non avrebbe chiesto il loro aiuto. Cinquanta punti a grifondoro!
    Life isn't always what you think it'd be
    broken hearted & stupid | 1991's
    You'll never be loved till you've made your own
    You gotta face up, you gotta get yours
    You never know the top till you get too low

    A son of a stepfather, A son of a I'm so sorry



    what is happening ??????????'
    risponde solo a andy facendosi i suoi trip (dopo aver mandato via nicky). Parla piano ma... origliate pure e aggiungetevi anche se nate parla a vanvera mlmlml
     
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    Now, the party don't start till I walk in
    you-genius & baby beech
    sarebbe davvero - davvero voluto intervenire, il serpeverde, ma all'ultimo secondo si era imposto di osservare la scena da lontano, lasciando che la natura facesse il suo corso. Per quanto il dolore di Nate facesse soffrire anche lui come in una sorta di osmotica condivisione emotiva che si trascinavano dietro sin dai tempi della scuola, in cuor suo euge sapeva che certe conclusioni violente erano necessarie. Socchiuse gli occhi e digrignó i denti quando, il corpo massiccio sollevato sulle punte dei piedi per osservare meglio oltre le teste dei presenti, il drink al profumo di fragola di una donzella affatto dolce finì sulla testa del suo migliore amico, aggiungendo al danno anche la beffa. Nathaniel ci stava provando con tutte le sue forze - e, evidentemente, il metodo più sbagliato -, e il jackson lo ammirava per questo. doveva solo concedergli la possibilità di cadere e rialzarsi, invece che ascoltare i propri sentimenti i quali disperatamente cercavano di spingerlo a correre in suo aiuto. Si sarebbe beccato il cocktail in faccia per lui, se non avesse saputo con certezza che nate poteva fare tesoro di quell'imbarazzante conclusione. «non pensavo che nate fosse così tanto fuori allenamento.» inconcepibile. Un così bel ragazzo, un uomo!, pieno di fascino e talento!; ok, non aveva più un vero lavoro e il suo cuore sarebbe appartenuto per sempre ad elijah, ma non per questo il suo valore come scapolo scendeva di livello. Non per come la vedeva eugene jackson, quanto meno. Uran mandó un gridolino di disapprovazione, quasi avesse captato i pensieri del padre, evidentemente scosso quanto lui per la mancanza di delicatezza dimostrata dalle giovani d'oggi. Possibile che la gen z non si rendesse conto di quanto fragile fosse l'animo di certi anziani? Non avevano rispetto, ecco la verità. «cerca di essere sempre civile con chi non conosci, piccolo.» sussurró piegando il capo verso il marsupio, con i capelli biondi del bambino che gli solleticavano la punta del naso «hai sempre tempo per dargliele di santa ragione.» ah ecco, il buon vecchio euge con i suoi consigli da padre dell'anno. Gli bació la fronte, prima di avvertire un formicolio alla base della nuca, nella delicatissima zona creata apposta per i coppini, ed in cuor suo seppe due cose: 1) rea stava meditando di ucciderlo male e 2) le iridi verde chiaro di elijah dallaire si erano posate sul profilo del pavor, richiamando la sua attenzione senza dire una parola. Non ne avevano bisogno, i membri dei castafratti, in grado da sempre di comunicare grazie al delicato equilibrio dato dalla brotipatia. Rea - rearearea - poteva anche fingere di non crederci, ma certe verità erano ineluttabili quanto le tasse; solo quelle, perche ormai schivare la morte era diventato sport nazionale. «hai visto anche tu?» domanda retorica: chi altri doveva guardare elijah se non nate???
    ok, calmati teen!euge, datti un fottuto contegno.
    Quando l'amico annuì, euge scansó il tipo largo quanto un armadio a quattro ante che si era appoggiato al bancone proprio tra di loro, raggiungendo il biondo tenendosi entrambe le mani sulle reni. Non sembrava, ma uran e le sue gambette sempre in movimento cominciavano a pesare non poco. E poi euge era evidentemente fuori allenamento, nonostante un fisico invidiabile da figaccione qual'era - cit. jade, lo rivelano fonti autorevoli. «abbraccio di gruppo.» «abbraccio di gruppo.» che suonava un po' troppo come le ultime parole scambiate tra i due prima di correre come due cretini verso la morte certa, ma quel pensiero sfiorò il cervello dell'ex pavor e si dileguó in fretta, come molti altri precedenti. Cercava di concentrarsi solo su quelli positivi, anche se risultava complicato e doloroso persino per uno come lui; uno che raramente si soffermava sulle difficoltà, trovando sempre il lato positivo in una situazione di merda, anche quando questa gli arrivava fino al collo. Ma sapeva di poter resistere fino ad un certo punto, e che alla fine il sommarsi delle puttanate che morgan stava combinando a lui e alla sua famiglia avrebbe finito per travolgerlo. Fino a quel momento, però, eugene faceva di tutto per rigare dritto. Lo doveva a se stesso, a chi era rimasto a sguazzare nel guano con lui e a quelli di cui più sentiva la mancanza. «andiamo a dare un bacino allo zio nate» sistemò meglio uran nel marsupio, lasciando andare avanti eli così che creasse loro una strada tra schiene e gomiti - ondeggiava leggermente, il dallaire, ma chi era euge per rimproverare l'amico di aver bevuto un po' troppo? Se mai lo avrebbe bacchettato per non aver atteso che anche lui si rimettesse in pari - dopo aver opportunamente mandato a casa uran con il primo satan sitter di turno, aka amos -, ma non era quello il momento più adatto. Si limitò quindi a poggiargli entrambe le mani sulle spalle, guidandolo nella direzione giusta mentre il biondo continuava a fare da apripista, finché dopo una dura lotta con la folla non riuscirono finalmente a raggiungere nathaniel.
    E stiles.
    Che l'ex pavor non aveva notato dalla sua postazione, ma che fu ben lieto di riconoscere nonostante le luci stroboscopiche impegnate a distorcere i lineamenti delicati, da ragazzino; non sembrava più tanto giovane, a guardarlo da vicino, ma chi tra loro poteva dire di esserlo ancora? Avevano tutti perso qualcuno, e stilinski non era da meno, nonostante jayson fosse ancora vivo e compagnia bella; leggere per mesi sui giornali che tuo fratello dato per disperso è considerato un traditore non faceva certo bene all'anima, e non avere la più pallida idea di come riportarlo indietro certo non aiutava a migliorare la situazione. Il jackson sapeva quello che stava provando, perchè in un angolino del proprio cuore che tentava disperatamente di tenere nell'ombra, si sentiva dannatamente stanco anche lui; e vecchio, come se d'improvviso gli anni a venire gli fossero piombati sulle spalle con fin troppo largo anticipo. «ehi, roccia!» battè la mano destra sulla schiena di nate, interrompendo il discorso tra i due prima che stiles potesse effettivamente ribattere; non aveva sentito una parola, nel casino generale, e ovviamente non si era ancora reso conto della gravità della situazione. Per questo si affiancò all'amico sulla sinistra, lasciando a eli l'altro lato, avvolgendo il corpo snello dell'henderson - mlml - con entrambe le braccia, lasciando spuntare la testolina di uran tra di loro. tutto felice lui, testimone in prima persona di quanto fosse indissolubile il loro amore reciproco. «bella prova, prima. facciamo il tifo per te!» gli mostrò entrambi i palmi sollevati con un sorriso smagliante dipinto sul viso reso ruvido da una barba sottile, rivolgendo poi la sua attenzione allo psico mago. Non aveva messo in conto di incontrarlo proprio al lilum, ma visto che erano in ballo tanto valeva iniziare a ballare. «tieniti strette le mutande, stiles, perchè ho una notizia per te:» prese un bel respiro, sventolando le mani aperte di fronte al viso di andrew come il migliore dei prestigiatori, senza far apparire assolutamente nulla tra le dita. Eh, se avesse saputo che si sarebbero visti, si sarebbe preparato in anticipo. «ho /trovato/ i biglietti per la convention di northempton!» ueppa tra lallà carramba che sorpresa! Ne parlavano da mesi, e solo perchè sarebbe stato presente anche stan lee in tutta la sua gloriosità: stiles, da miscredente, non credeva sarebbero mai riuscito ad ottenere i pass per entrare, in quanto già esauriti da tempo, ma euge lo aveva subito rimesso al suo posto. Sempre la solita, eretica gen z - più o meno -.
    Alla fine aveva trovato a chi rubarli, quindi tutto sistemato.
    Fu in quel momento, tra un'occhiata ansiosa di nathaniel e l'avvicinarsi di Sin con tutta l'allegra brigata, che eugene si rese conto di quanto qualcosa non andasse. Più del solito, il che era tutto dire. Un po' per la mancanza di urla isteriche da parte di quello che aveva scambiato per stiles stilinski - il quale avrebbe certo reagito alla notizia con maggior entusiasmo, ma soprattutto per un secondo quanto fondamentale campanello d'allarme: uran non stava ridendo. Né, come il ventiseienne si sarebbe aspettato in condizioni normali, si stava sbracciando oltre il marsupio per essere preso in braccio dal ragazzo. Si limitava a fissare il falso stiles con quei suoi grandi occhioni blu, la fronte di solito liscia ora leggermente corrugata, quasi il piccolo radar di stronzate nella sua mente si fosse improvvisamente acceso; le captava tutte, come i cani che ululavano prima di un temporale, e nella maggior parte dei casi quell'espressione sul visetto di baby beech non preannunciava nulla di buono. Se poi la si confrontava a quella terribilmente simile di nate e alle profonde occhiaie a solcare la pelle tirata del giovane di fronte a loro, rimaneva solo da farsi il segno della croce. «ok, cosa-» sollevò entrambe le mani premendole contro le orecchie del figlio «-cazzo sta succedendo?» sempre sul pezzo, eugene jackson.


    euge | 27 yo | slytherin
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    Wake up in the morning feeling like P Diddy
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    'Cause when I leave for the night, I ain't coming back
     
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    «è la prima cosa sensata che ho sentito da stamattina» Non ebbe bisogno neanche di guardarlo, per sapere che evidentemente non conosceva Rea Hamilton; volse appena il capo nella direzione dell’uomo, sorridendo cortese e lasciando che fossero gli occhi bruni a concludere il pensiero per lei: probabilmente, è da molto più tempo. Non un segreto che la ex Serpeverde reputasse il resto del mondo indegno e non alla sua altezza, il che portava conseguentemente al fatto che non ci fosse altro senso all’infuori del suo - ovviamente. «e te come lo useresti questo potere, se ne avessi la possibilità?» Con l’eleganza data dall’esperienza, incrociò le gambe allungando appena il piede destro per far inciampare quella povera, povera anima di uno Stilinski verso Shanghai ed il suo sfortunato, quanto inopportuno, commento sulla fama. Aveva sperato in qualche rapida ma dolorosa morte a causa dei cocci del bicchiere, ma dovette accontentarsi di un Bond dall’outfit rovinato ed un triste sguardo da cucciolo (alcolizzato, e) bastonato di Stiles. Non perse mai il sorriso, freddo e brillante quanto il sole invernale, né la propria altera compostezza, nell’osservare battendo le ciglia tal…Prince Hilton? Nel mondo babbano avrebbe potuto mostrarsi ammirata e falsamente gentile, ma nel loro i ricchi, famosi Hilton, sulla carta valevano quanto lei – e non sulla carta, probabilmente meno.
    Adorabili. «chi ti dice che non lo abbia già?» Rimbeccò con un lento sopracciglio sollevato, alzando il proprio bicchiere per un invisibile brindisi con l’Hilton. Rea poteva essere ufficialmente caduta in disgrazia quando il Ministero aveva ben deciso di far piazza pulita di tutti i sangue sporco, ma l’inferno avrebbe dovuto cominciare a vomitare putti prima che la Hamilton perdesse il proprio potere – e, a voler essere onesti, per quanto seccante fosse, fare il Mercenario pagava dannatamente meglio su diversi fronti. «in ogni caso quel che farei» leggasi, nel sorriso sghembo e lo sguardo bruno chino sul proprio bicchiere, faceva. «sarebbe assolutamente nulla; non conosci niente di politica?» Il potere serviva a quello, d’altronde; per distruggere civiltà e storia bastava non aver nulla da perdere e diverso tempo da sprecare, ma quando si era un Hamilton, come nel suo fortunato caso, poteva lasciare il lavoro sporco agli altri mentre Amos glielo metteva, e lei faceva asciugare le unghie appena smaltate: che il popolo si cancellasse da sé, lei attendeva dalle retrovie.
    «bravo uran dí ciao a zia rea» Si rifiutò di voltarsi a guardare. Voleva convincersi che, se non l’avesse visto con i propri occhi, non sarebbe stato vero. Ridusse le palpebre ad una fessura, riempiendo i polmoni con misurati respiri dalle narici. Sentì una manina picchiettarle sulla gamba richiamando la sua attenzione. «jaden.» fu l’unico, secco e ruvido, commento di Rea nel ricambiare l’estasiato sguardo adorante di Uran Beech. Poteva (benissimo, e senza fatica.) credere di avere un amico conoscente abbastanza ritardato da portare un bambino al Lilum, ma si rifiutava di accettare che sua sorella potesse essersi fatta contagiare dall’idiozia del Jackson a tal punto da portare suo nipote alla notte d’apertura del locale. «l’hai rovinata» soffiò fra i denti, decidendosi infine a spostare i furenti occhi scuri sul Jackson, resistendo alla tentazione di picchiarlo (a sangue.) solamente perché (in pubblico, che figura avrebbe fatto?) teneva fra le braccia la pallina di ciccia bionda che, sotto sfortunate circostanze, portava parte del materiale genetico della sua sorellina adottiva.
    Doveva davvero cominciare a rivedere il proprio albero genealogico. Cercò la Beech fra la folla per poterle lanciare l’occhiata che meritava, e quando non trovandola decretò di sfogare il proprio disappunto sul (di gomma.) Serpeverde…niente, era già sparito. Puntellò la lingua sul palato, e finì in un poco raffinato sorso l’aspro contenuto del suo bicchiere. E la situazione peggiorò in maniera a dir poco drastica: c’era un Dallaire di troppo (aka solo una, Bells, ed era già troppo), gli Hilton invadevano i suoi spazi personali, ragazzini svenivano… Apatica quanto la Mona Lisa, Rea li guardò tutti ordinando il secondo (e non ultimo!) cocktail della serata; non le diede una gioia neanche quel fiore della Lowell, la quale non ricambiò il suo odio per l’umanità con altrettanto odio come suo solito. Gen z, mai fidarsi.
    «sai dove posso trovare cj? cj knowles»
    Ma quale immensa meraviglia, qualcuno s’era forse preso la sbronza triste ed aveva iniziato a vaneggiare sui morti? Ah, non vedeva l’ora. Piantò gli occhi scuri sul profilo di…Stiles?, mostrando la propria sorpresa in un cinico sopracciglio arcuato. Pur non esprimendosi, né dando segno di aver udito, non perse mezza parola scambiata fra il ragazzo e Nathaniel. Studiò il profilo del fremello, sentendo sbagliato in ogni angolo ed ogni curva incontrata – era come vedere una fotografia in negativo, o una figura fuori da un vetro appannato.
    «ovviamente lo so, nath»
    «nate»

    Si alzò in piedi senza realmente rendersene conto, il bicchiere oramai vuoto stretto nel pugno. Confidava che, in caso di emergenza, avrebbe potuto accidentalmente romperlo ed usarlo come arma. «nathaniel» ammonì, sgusciando al fianco dell’Henderson, il tacco già piantato sul piede dell’uomo. C’era qualcosa che non le piaceva, e Dio solo sapeva quanto poco volesse Nathaniel così vicino alla fonte del pericolo – sarebbe morta anche lei, e solamente perché lui si sentiva in luna per scrivere un nuovo utopico capitolo della sua fanfiction elite (sì, certo, come se Rea, tristemente per ella in primis, non fosse a conoscenza degli harmony di Nathaniel: siamo seri.). «respira» non lo spinse più lontano solamente perché, ora che lei era li, era certa non gli sarebbe accaduto nulla, ma l’espressione da fanatico dell’Henderson era difficilmente fraintendibile. Voleva evitare un infarto, possibilmente.
    Grazie tante.
    «jackson,» praticamente un ringhio, quello della Hamilton. Non scostò l’attento sguardo cioccolato da Stilinski, ma il gelo della propria voce era tutto per Eugene. «credo che uran abbia sonno» aka: portalo maledettamente lontano da qui. Non aveva dubbi sul fatto che Euge sarebbe morto per proteggere suo figlio, ma considerando che con lui sarebbe morto anche Gemes (e Run, la figlia di Al, che era legata a suo cugino Shia: fosse mai che al biondo girasse di fare harakiri, e portasse con sé anche l’hipster bello) preferiva tenerlo vivo ancora per un po’. Così, eh. «e andrew,» sorrise allo Stilinski, il capo lievemente reclinato sulla spalla. «una domanda rapidissima:» a caso proprio; non aveva sentito tutta la conversazione fra Nate e l’altro, ma non aveva avuto bisogno di farlo per sapere che - «dov’è stiles?» Non che avesse alcun obbligo morale nei suoi confronti, ma era per sempre il fratell…astro…? Di Jay. Si potevano dire tante cose dell’Hamilton, ma mai che non si prendesse cura della propria famiglia.
    A suo modo, ma sempre.
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    sinclair hansen
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    Stiles Stilinski era il suo faro nella tempesta, la luce verde che splendeva dall’altra sponda del lago. Era certo che suo figlio non l’avrebbe mai lasciato non come quell’altra, perciò una volta che lo trovò si attaccò a lui come una piovra «STILES» drammatico, avvolse un braccio attorno alla spalla del ragazzo mentre si avvicinavano al bancone «dimmi che almeno te ti stai divertendo» conoscendolo, non credeva che se la stesse vivendo tanto meglio dell’Hansen, ma voleva credere in un qualche miracolo. Eh vbb, amava la sua sqwad disagiata com’era. «è molto…» nuda? Inquietante? Vagamente interessante? «affollato» l’idrocineta annuì, concordando con il ragazzo. Sì, era effettivamente affollata, nulla che non avesse già visto ai suoi tempi d’oro. Se solo fossero stati con lui negli anni cinquanta a Bollywood, avrebbero capito che quella festa non era niente paragonato ai party indiani di Enrique Iglesias – sì, lo stesso di Bailando, sapete com’erano fatti gli spagnoli: si congelavano d’inverno e poi si scongelavano decenni dopo. «penso che…» l’Hansen andò a posare una mano sul cuore, già preoccupato di quello che doveva dire loro – aveva messo qualche ragazza incinta? Non poteva deal with quello, non con tutte quelle persone nude intorno. Non potevano discuterne in chiesa o al Mc? «che andrò a prendere da bere» «ah» tirò un sospiro di sollievo, ricacciando nella propria testa tutti gli scenari di uno Stiles che imboccava un neonato. Il conforto durò poco una volta che realizzò che anche lui l’avrebbe abbandonato, così come aveva fatto Hyde. «certo vai pure, noi rimaniamo qua» alzò il pollice in direzione dell’amico, non riuscendo nemmeno ad accennare un sorriso. Non se la sentiva, sapendo che con tutta probabilità lo Stilinski si sarebbe imbattuto in altre persone e queste non lo avrebbero più lasciato tornare. Era così che andava: tra una conversazione e l’altra finiva la serata. Sinclair si voltò verso Lydia, la quale non l’avrebbe abbandonato sperava «che ne dici se quando torniamo ci guardiamo b99?» chiese speranzoso, sapendo quanto la Hadaway fosse hansyosa qnt sn 6impa di arrivare alla puntata di Halloween – lui non ne capiva il motivo, e quando gliel’aveva chiesto lei aveva accennato a degli spoiler. Ora non stava più nella pelle di mettersi in pari. Doveva sapere, capite?? Non era giusto che il mondo fosse più avanti di lui, un po’ come quando gli avevano spoilerato il vincitore di Xfactor senza che lui avesse ancora guardato la finale. Era ancora segnato nel profondo. «dobbiamo anche finire new girl» gli fece notare, come se la sua coscienza non lo molestasse abbastanza. Sapeva di dover finire l’ultima stagione, ma non si sentiva psicologicamente pronto – era ancora troppo fragile per chiudere quella relazione. «non penso di essere pronto, è un capitolo importante della mia vita lo sai» e per quanto il tono fosse leggere, in un certo senso era vero: in quegli anni era passato dal lavorare nel laboratori a trovare sua figlia, aveva riallacciato i rapporti con la sua famiglia e aveva costruito una vita al di fuori degli estemisti. Poté sentire accanto a sé il roll eye di Lydia «drama queen» «volevi dire…….drama quinn?» ah ah ma qnt era simpa?? Netflix dagli il suo standup comedy subito. Peccato che la Hadaway non avesse il suo stesso, fantastico umorismo. Ogni tanto si chiedeva se gli avrebbe rubato la collezione di coppole vintage per vendetta. «sei il peggiore» avrebbe continuato la conversazione con la rossa, se una peculiare figura non avesse catturato il suo sguardo. E non sto parlando delle cameriere poco vestite – beh, c’era in effetti una ballerina poco vestita che si stava strusciando su un palo, ma non stava parlando di lei «scusa un attimo» si allontanò da Lydia per approcciare il tavolo di Bella, non preoccupandosi neanche di rendersi molesto. Doveva essere l’alcool, perché normalmente gli incuteva troppo timore per osare a tanto. Teneva stretto un bicchiere tra le dita mentre si avvicinava alla Baudelaire, passi cauti ma continui e se non fosse stato per un qualcosa sarebbe persino riuscito a raggiungerla «stiles» l’Hansen, al contrario di certe persone, quando vedeva che un suo amico era in difficoltà non lo abbandonava per seguire la patata in Francia. Si fece spazio tra la marea di gente per raggiungere lo Stilinski, preoccupato dalla cera che aveva – qualcuno gli aveva mica drogato il drink? Non era la prima volta che a una festa giravano droghe pericolose. Prima che potesse domandargli se volesse dell’acqua, udì cose che nella sua testa non avevano senso «come sei arrivato qui?» «esiste un passaggio?» «e andrew, dov’è stiles?» chi……….era andrew? In che senso com’era arrivato lì? Quale passaggio? Ci volle più del previsto affinché i neuroni di Sinclair riuscissero a mettere tutte le informazioni insieme, e si sentì stupido per esserci arrivato per ultimo: non stavano mica parlando dell’AU? Ne aveva sentito parlare di sfuggita quel giorno dove aveva visto gli Altri nello specchio, e a dir la verità aveva preferito concentrarsi su di loro piuttosto che su di quello «stiamo parlando dell’au, vero?» lui chiedeva nel dubbio, dato che una volta era stato biondo. Diede un’occhiata al fake!stiles, trovandolo quasi uguale al loro, anche se c’era qualcosa di decisamente differente nel vibe che comunicava «dov’è il nostro stiles?» prima le cose importanti.
    coppola lover
    ex extremist doctor
    1989's - rebel
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    made in china — I'm here at the beginning of the end


    Edited by cocaine/doll - 8/10/2018, 21:52
     
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    Dopo che suo padre le aveva chiesto di accompagnarlo sul set di un qualche nuovo film, Shiloh si era data da fare per trovarsi un qualsiasi altro impegno che la facesse uscire di casa, Almeno in quel modo Brad non poteva presentarsi nel suo appartamento e trascinarla sul set, come già era accaduto l’ultima volta. Non fraintendetela, le sarebbe piaciuto passare del tempo con lui, ma non parlargli tra una scena e l’altra ogni paio d’ore; aveva cose più importanti da fare, come fingersi la ragazza di Yale e ultimare la sua fan fiction.
    Quando aveva visto il volantino della festa non aveva considerato di andarci, era fin troppo il suo ambiente per essere lasciata andare in giro senza controllo, e sapeva che i fans della Shilton non avrebbero apprezzato una Jolie-Pitt che si strusciava su un cameriere qualsiasi. Beh, non era certo colpa sua se ci teneva a celebrare la bellezza in generale.
    E se all’inizio non aveva pensato di partecipare, con la proposta del padre aveva immediatamente cambiato idea. Dopotutto cosa poteva succedere di male? Avrebbe avuto anche il tempo per raccogliere references per sua storia!
    Il local era ancora più pieno di quanto aveva visto su Instagram, e per quanto si sforzasse non riusciva a vedere dove stessero gli Hiltons. In compenso aveva trovato uno dei suoi altri amici, la quale popolarità quasi uguagliava quella di Kim Kardashian «gay? GAAAYYY» poggiò le mani a coppa sulla bocca per farsi sentire dall’amico, un gesto disperato che alla fine funzionò. Che Gaylord avesse un udito fuori dal normale? Con un nome così doveva averlo. Ignorò tutte le occhiatacce che i presenti le rivolgevano, chiaramente non entusiasti delle urla della Abbot «anche te qui? Non pensavo che fosse il tuo ambiente» si appoggiò con il gomito sulla spalla del ragazzo, mentre sorseggiava il suo drink dall’intricata cannuccia. Che aesthetic che aveva quel posto, sembrava quasi un bordello francese di lusso - non che sapesse di cosa stava parlando, mica era mai stata in uno. Forse due o tre, ecco, ma non uno. «sono stato incastrato, pensavo andassimo al cinema» «beh, se ti impegni abbastanza tuffo può essere un cinema» annuì decisa, la mano a battere sulla schiena dell’amico per rassicurarlo. Gli era vicino con lo spirito, dato che sembrava uno di quei giochi che amava rifilarle Brad. «quindi cosa mi racconti? Li hai raggiunti i dieci milioni di iscritti?» lei, che era sempre stata una grande fan, non poteva fare a meno di informarsi sul suo canale. E poi le piaceva essere aggiornata sugli affari altrui.
    mhh qué dices
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    1994 - former hufflepuff - neutral - writer

    shiloh
    abbot
    Spinning this As-salamu alaykum
    Peace to M.O.N.E.Y



    è davvero molto a caso non leggete ciaux


    Edited by cocaine/doll - 17/10/2018, 21:36
     
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    Man, I'm stressed out, I need a cigarette
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    jack daniels / hyde cw
    wizlawyer / 1998's
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    too old for this shit
    Tirò su l’aria dal naso, roteò gli occhi verso una galassia far, far away, prendendo (l’essere ignorato.) il silenzio del proprio interlocutore come un no: davvero nessuno aveva visto Sin? Non era che l’uomo passasse propriamente inosservato, quindi era più probabile che alcuna anima viva si sentisse di prestare abbastanza attenzione al Daniels da rispondere alla sua domanda.
    Uno dei motivi per il quale le persone, le preferiva morte. «grazie tante» ribattè melenso al nulla, sollevando impercettibile un angolo della bocca. Umettò le labbra ed indietreggiò fino a trovarsi con le spalle a poche spanne dal muro, decidendo che la festa non facesse più al caso suo: aveva finto di provarci, aveva deciso di fallire, i giochi erano fatti. Il diciannovenne che, di lì a pochi mesi, sarebbe diventato Capo del Consiglio, decise di usare la propria naturale invisibilità per osservare impunemente gli individui presenti al Lilum, fissando le iridi cerulee un po’ sull’uno ed un po’ sull’altro. Più ne riconosceva, più sentiva la bile invadergli lingua e palato, il cuore ticchettare nervoso contro le costole; esteriormente, Hyde era impassibile ed impenetrabile, espressione annoiata e labbra curvate verso il basso – ma dentro? Dentro, dove il muscolo cardiaco pompava sangue antico e malato in ogni tessuto ed organo del suo corpo, era furioso: vedeva Dominique Gallagher chiacchierare allegramente con Camden Hilton, Washington Dallaire con l’usuale viso stanco e tediato che si portava appresso da anni e vite, Tupp e Cash slittare fra la folla come se quella fosse la missione di un’esistenza intera. Dimentichi, loro, di un tempo in cui tutto era perduto e la speranza un’ingannatrice puttana: niente lacrime o dolore, funerali e cimiteri, dolore e dolore ed ancora altro dolore ad accastellarsi come mattoni per costruire un fottuto muro di morti. Si limitavano a vivere, svegliandosi ogni giorno come fosse la prima maledetta volta – senza ricordare tutte le maledette volte in cui Hyde Crane Winston, senza farsi notare, era stato lì. E gli altri? Quelli troppo giovani, che non potevano ricordare di averlo cresciuto, o di averlo costretto ad uscire quando dopo la morte di entrambi i suoi genitori aveva deciso che l’esterno lo meritasse ancor meno: guardava Jade, guardava Eugene, guardava Sin e Belladonna, ma l’unica cosa che riuscisse a vedere era come non fossero i suoi. Hyde non era un Jekyll; non cercava d’infiltrarsi nelle vite degli altri scavando la pelle e creandosi un posto nuovo dove appartenere, non si rannicchiava in quei bricioli di carne riusciti a strappare per farsi un pezzo di casa – era un Hyde, rimanerne fuori era l’unico modo e mondo che conoscesse. Infilò una mano in tasca prendendo lo stropicciato pacchetto di sigarette, infilandone una fra le dita per potersi aggrappare a qualcosa d’immutabile e confortante. Non sapeva se potesse fumare lì dentro, e ad essere onesti non ne aveva granchè voglia: la tenne lì, fra indice e medio, continuando a scandagliare la folla e convincendosi maggiormente di quanto fosse stata una cazzata rimanere in quel tempo di merda. Non solo i suoi genitori, le sue sorelle, i suoi nipoti e cugini erano spariti, ma...niente, vaffanculo. Non c’era mezzo motivo al mondo che potesse convincerlo di aver preso la decisione giusta; stupido lui, per una volta, a farsi guidare dall’istinto più che dalla ragione. C’era un motivo, dannazione!, se la sua vita era calibrata da logica e razionalità: il resto non aveva senso.
    Non aveva senso.
    Alzò il polso sinistro osservando l’orologio nella flebile luce del locale, indifferente ai ballerini ed i camerieri che delicati come piume lo sfioravano passando da un alto all’altro del Lilum. Qual era il punto d’essere lì? Non c’era – non fottutamente c’era. Avrebbe potuto continuare a cercare Sin per avvisarlo che se ne stesse andando, ma era sicuro che suo zio se la stesse cavando una meraviglia anche senza di lui – anzi, probabilmente meglio. Al contrario di Jack Daniels, a quanto pareva il resto del genere umano amava circondarsi di amici ed affetti: evidentemente non sapevano cosa si provasse a vederli morire uno dopo l’altro senza poter fare niente. Aveva ancora diritto a diversi cocktail, e piuttosto che sprecare quei buoni, avrebbe fatto l’impensabile.
    No, non berli – era un Crane, certo, ma era anche cagionevole. «ehi,» abbassò lo sguardo su una ragazza mora e dal bel viso tondo, maledicendosi nell’istante in cui ne riconobbe i tratti per aver aperto bocca. Penn Hilton. Uau. Neanche a doverlo specificare, non gli erano mai piaciuti né Bang, né Cam, né Tiny – figurarsi se rientrassero nelle sue corde la madre o i vari cugini. Nel suo tempo non aveva mai compreso come avessero potuto diventare famosi, ed in quel tempo il dubbio continuava ad esistere: la società avrebbe davvero dovuto smetterla di rendere celebre la gente stupida. «ti offro da bere, cosa vuoi?» diretto, e davvero poco galante nel volgere nuovamente lo sguardo verso il bancone. Intravide perfino Sin, circondato – come prevedibile – da persone: non era interessato. Tornò a guardare Penn Hilton, una mano sollevata pigra in segno di resa: non che gli sarebbe dispiaciuto essere accompagnato fuori dalla sicurezza, ma preferiva non attirare l’attenzione del Ministero facendosi segnalare nella lista dei maniaci. «nulla di personale, sto uscendo e non voglio sprecare i drink» Si strinse nelle spalle, le palpebre sempre pesanti assottigliate. Non si sforzò di sorridere, perfettamente consapevole che sarebbe parso maggiormente inquietante con quell’assurda smorfia sulla bocca che, così poco, gli apparteneva. Arcuò le sopracciglia attendendo una risposta, lungi da lui l’idea di presentarsi – in ogni caso dubitava che a Penn Hilton interessasse il suo nome; Cristo, neanche interessava ad Hyde.

    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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    Con le ginocchia leggermente piegate e lo sguardo rivolto verso il basso, Halley provava lo stesso movimento da più di dieci minuti. Aveva sempre pensato che sarebbe stato semplice, naturale, che avrebbe dovuto limitarsi a seguire l’istinto e ciò che il suo corpo le avrebbe suggerito di fare; invece, ben presto, aveva dovuto ricredersi. Dopotutto, era più che comprensibile: era la sua prima volta, non avrebbe potuto pretendere la perfezione. Aveva cercato di rilassarsi e, pian piano, le sue movenze erano diventate meno goffe, sufficientemente fluide da renderla soddisfatta dei risultati che stava ottenendo. Di più, era entusiasta. Avrebbe voluto scoprire prima quel passatempo, piuttosto che sprecare l’inaspettata opportunità che le era stata concessa limitandosi ad osservare quel corpo scultoreo e studiarlo in ogni suo dettaglio. A sua discolpa, non capitava tutti i giorni di ritrovarsi a così stretto contatto con un uomo nudo; che poi fosse lei, l’uomo nudo in questione, era tutt’altra storia.
    «Un momento!» che aveva da urlare suo fratello? Infastidita, rispose adeguandosi al suo tono di voce, senza però interrompere l’attività in cui era impegnata. Per un attimo, un breve istante di lucidità, si domandò se quella sensazione irritante non fosse la stessa che provava Hunter tutte le volte in cui la grifondoro decideva di violare la sua privacy e piombare nella stanza. No, certo che no, lui adorava la sua presenza. «Perché stai strilland– oh.» avrebbe dovuto arrivarci subito, capire immediatamente il motivo dell’improvviso attacco di panico del corvonero, ma non era brava a mettere a tacere le decine di pensieri irrilevanti che le frullavano per la testa e concentrarsi su una sola questione. Le servì quindi un piccolo aiuto, fu necessario incrociare lo sguardo di Hunter, le cui iridi azzurre avevano assunto una tonalità differente, e poi spostarlo sui capelli, diventati più lunghi e fluenti, e sul fisico arricchitosi di curve che la sua natura da pertica (cit.) non gli aveva donato. «Sei bellissima.» fu l’unica cosa che riuscì a dire, mentre tentava disperatamente di non scoppiare a ridere e mettere a rischio il precario equilibrio mentale del fratello. Non aveva mentito, lo pensava davvero; tuttavia, non era previsto che lo fosse, non era così che sarebbero dovute andare le cose. Il piano che i Losers credevano di aver studiato in ogni minimo dettaglio, consisteva in una gita da Abercrombie & Fitch per prelevare un capello da un adulto a propria scelta, aggiungerlo alla pozione polisucco che erano riusciti a procurarsi e modificare le proprie sembianze per potersi intrufolare all’inaugurazione di un locale a luci rosse. Illegale Semplice, all’apparenza, tanto da non riuscire a capire come avessero fatto, gli Oakes, ad invertire le loro provette. «E che vuol dire che non lo usate per questo? È come giocare con l’hula hoop, ma in versione maschile!» si mostrò sinceramente sorpresa da quella rivelazione, dallo scoprire che i ragazzi non si dedicavano all’attività che l’aveva tenuta impegnata fino a quel momento, vale a dire ruotare il membro come se fosse un elicottero. La faceva sempre sorridere il fatto che Hunter utilizzasse certi termini: immaginava che un estraneo avrebbe interpretato quel comportamento come un chiaro segnale di imbarazzo, un modo come un altro per prendere le distanze da quella situazione; Halley sapeva, invece, che per il corvonero era del tutto normale esprimersi come un’enciclopedia vivente ed era sicura che lo avrebbe fatto anche in circostanze che avrebbero richiesto un altro tipo di linguaggio, come la sua prima dichiarazione d’amore: il cuore sarebbe diventato un organo muscolare, il battito accelerato sarebbe stato interpretato come tachicardia e le farfalle allo stomaco come un sintomo non ben precisato di cui non aveva trovato riscontri nella biblioteca scolastica.
    «Ok, ok, mi copro, rilassati.» afferrò la felpa che le era stata gentilmente lanciata addosso e sollevò le mani in segno di resa, continuando a gironzolare per la stanza completamente nuda. O meglio, nudo. Avrebbe dovuto farci l’abitudine in fretta. «Senti, potresti spiegar–» si interruppe quando Hunter uscì sbattendo la porta alle sue spalle e, per qualche istante, la grifondoro non fece altro che spostare lo sguardo dagli indumenti che avrebbe dovuto indossare al nuovo prolungamento del suo corpo. Avrebbe dovuto dargli un nome? Era piuttosto sicura che i ragazzi lo facessero – si ripromise di chiedere informazioni a Mehan, a riguardo –, ma decise presto di lasciar perdere. Non perché fosse stupido farlo, una motivazione del genere non avrebbe certo potuto fermarla; semplicemente, era giunta alla conclusione che sarebbe stato meglio evitare di affezionarsi a qualcosa cui avrebbe dovuto rinunciare di lì a poco. Abbandonò quei pensieri e tornò a concentrarsi sul dubbio che la attanagliava da quando Hunter aveva lasciato la stanza in preda ad una crisi isterica: come avrebbe dovuto gestire il coso che aveva tra le gambe? Avrebbe trovato da sé la posizione migliore all’interno della biancheria intima? Le sembrava un dubbio lecito. Concluse che la natura avrebbe fatto il suo corso e iniziò a vestirsi, intervallando ogni passaggio con saltelli, squat e altri movimenti ginnici per tentare di sentirsi a suo agio con il suo nuovo corpo. Dopo interminabili minuti di lotta e insofferenza, si guardò allo specchio: aveva un viso squadrato, dai lineamenti rigidi e decisamente meno infantili rispetto ai propri, occhi azzurri, un sottile strato di barba e capelli all’apparenza indomabili – e Halley non avrebbe fatto nulla per tentare di sistemarli. Doveva ammettere che suo fratello aveva avuto buon gusto e le fu presto chiaro, dagli apprezzamenti di Beh sui suoi addominali e dal fatto che Nicky avesse le mani poggiate sul suo stesso seno, quanto anche i Losers fossero soddisfatti delle rispettive trasformazioni.
    «Meh, il tuo pene ha un nome?» quale miglior modo per esordire? Non poteva farci nulla, non aveva filtri era come un tarlo da cui non riusciva a liberarsi. Inoltre, sapeva che per l’amico non sarebbe stato un problema rispondere, nonostante si conoscessero da poco meno di un mese. Li seguì all’interno del locale, senza prestare attenzione ai presenti o partecipare alla caccia all’Hilton – pur avendo accarezzato l’idea di tormentare convincere Yale Hilton ad allungare la lista delle sue attività benefiche e abbracciare una tra le tante cause appoggiate dalla grifondoro. «Hunter?» si voltò in direzione del fratello, perplessa. In qualità di magnete capace di attirare una discreta quantità di guai, capiva il motivo per cui fosse solito pronunciare il suo nome non appena le cose iniziavano a mettersi male; tuttavia, per una volta, Halley non aveva la minima idea di cosa la stesse accusando. Almeno fino a che non vide la mano di un uomo comodamente appoggiata su una natica del corvonero. «Ehi, come ti permetti? Stai cercando guai?» diede uno schiaffo sul tentacolo di quel polpo e si interpose tra lui e il fratello. «Tu non sai chi sono io!» non lo sapeva neppure Halley dal momento che si era preoccupata di leggere solo la scheda pg che Nicky aveva preparato per il suo personaggio. Poco male, avrebbe improvvisato. «Il cognome Lester non ti dice nulla? Dovrebbe! Siamo gente pericolosa.» sgranò gli occhi, assumendo un'espressione più spiritata che minacciosa, e rimase a fissarlo. «Girano storie, su di noi, da far accapponare la pelle.» sperò di non doverne inventare una per continuare quella messinscena e si limitò ad un gesto che non avrebbe lasciato alcun dubbio: usò il pollice per tracciare una linea immaginaria sul suo collo. E funzionò. Incredibile, ma vero, il palpeggiatore decise di allontanarsi dal gruppo. Non avrebbe saputo dire, Halley, se lo avesse fatto perché realmente intimorito o perché aveva riscontrato in Morris, detto Moe, dei disturbi tali non voler portare avanti la questione. Non le importava saperlo; le interessava soltanto approfittare dell’effetto della pozione polisucco e sfruttare al meglio il tempo che avrebbero trascorso all’interno del Lilum. «E se facessimo qualcosa da adulti? Tipo…» aprire un conto alla Gringott? No. Procreare? Assolutamente no, non riusciva neppure ad immaginarsi con dei figli. Cercare un lavoro? Non era il caso. Cos’avrebbe fatto un adulto, in locale a luci rosse? «… sfruttare le consumazioni gratis!» trasgressiva e totalmente fuori strada. «Uh, ok, ci sono! Vediamo chi rimorchia di più!» si lasciò andare all’entusiasmo per quella trovata stupida geniale, atteggiamento decisamente più adatto ad una fangirl davanti al suo idolo che ad un uomo adulto. Non si soffermò a pensare al fatto che Hunter fosse impegnato a contare i secondi che lo separavano dal riavere il suo aspetto o che Nicky e Beh fossero persone – normali, a differenza sua; ma anche – decisamente troppo timide ed insicure per poter importunare degli sconosciuti. Sapeva che Mehan non si sarebbe tirato indietro: davanti ad una proposta così allettante, la sua natura da provolone avrebbe preso il sopravvento.
    Senza neppure aspettare la risposta degli amici, si voltò e picchiettò sulla spalla della prima donna che le capitò a tiro. «Ehi, ciao.» si pentì di aver esordito senza neppure uno straccio di strategia. Halley non aveva idea di come si abbordasse qualcuno, non aveva mai avuto alcun motivo per preoccuparsi delle tecniche di approccio e, soprattutto, non nei panni di un uomo. Provò ad assumere un’espressione ammiccante – da marpione, ma non troppo –, sorrise e si passò una mano tra i capelli, dando fondo, in un attimo, alle idee che le erano venute in mente. «Ti andrebbe di bere qualcosa insieme?» avrebbe voluto ricorrere alla carta del tono di voce calmo e suadente, ma tra il volume della musica e il chiacchiericcio degli altri ospiti non era sicura che la ragazza sarebbe riuscita a sentirla. Quest’ultima sorrise, di rimando, e la grifondoro si trattenne dall’esultare, sollevare i pollici in direzione dei Losers e assicurarsi che avessero assistito alla scena; quando, però, la donna si avvicinò per sussurrarle frasi scabrose e farle capire che avrebbero anche potuto saltare i convenevoli, Halley arretrò, istintivamente, mostrandosi sdegnata per ciò che aveva appena sentito. Era pur sempre una ragazzina. «Merlino, fai sul serio? Non ho neanche provato a corteggiarti e ti sei svenduta così! Siamo donne, tu non puoi… cioè, sì, sei libera di farlo in realtà, ma… potrei essere un maniaco! O un serial killer!» gesticolò per tutta la durata del suo sproloquio, mentre il viso diventava sempre più paonazzo, e, una volta concluso, si voltò senza aspettare di conoscere la reazione della ragazza. «Ok, seguiamo gli Hilton.»
    HALLEY OAKES MOE LESTER
    You say we got no future
    You're living in the past
    So listen up
    That's my generation
    16 y.o.
    troublemaker
    rebel
     
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    Penn Hilton
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    Era diventata mamma
    Quella consapevolezza la investì all'improvviso, facendole tutt'ad un tratto venir voglia di andarsene di lì e tornare da suo figlio. Chiariamoci, non è che prima non se ne fosse mai accorta (#wat), anche perché i sette mesi di ritiro in Tibet li aveva fatti proprio per nascondere al mondo la sua gravidanza, ma quella fu la prima occasione in cui si sentì madre: forse perché era la prima volta, da quando l'aveva messo al mondo, in cui si era staccata da suo figlio, e inevitabilmente ne sentiva la mancanza.
    Insomma, Penn amava i suoi fanz ed in ogni occasione si mostrava ben disposta nei loro confronti, firmando autografi e scattando selfie come non ci fosse un domani: la cosa non le era mai pesata, anzi, era onorata del fatto di avere persone che la seguissero con così tanto trasporto e che molte ragazzine la prendessero ad esempio. Ma quella sera? Quando vide quella ragazzina svenirle davanti, per poco non andò nel panico, cosa che mai prima di quel momento le era successa: se c'era una cosa che Penn Hilton sapeva fare, era proprio il rimaner calma nelle situazioni più improvvise. Soprattutto quando richiedevano un intervento di soccorso: da bambina, era sempre stata lei quella che disinfettava e fasciava le ferite sue e di suo fratello, per evitare di dover andare dal padre e spiegare le dinamiche degli "incidenti" che avvenivano quando giocavano nel gran giardino di casa loro, ed era sempre stata lei a fasciare e prendersi cura dei poveri animali del ranch del nonno quando, inevitabilmente, diventavano povere vittime dei giochi sconsiderati dei più piccoli di casa Hilton.
    Ma, quando aveva visto quella ragazzina perdere i sensi, un solo pensiero aveva annebbiato tutto il resto: "Un giorno potrebbe succedere anche a Bang" . Mai, prima di quel momento, aveva riflettuto su ciò: Bangkok poteva ammalarsi?? Avere il raffreddore??? Svenire ??? Svenire in pubblico per aver visto la sua celebrity crush?? Avere una celebrity crush??????
    Non era pronta. Insomma, nemmeno il tempo di partorirlo e già lo immaginava catapultato nel mondo reale, alle prese con le prime cotte adolescenziali ed il dover gestire la fama: per lei, entrambe le cose non erano state affatto facili da gestire, ma fortunatamente, accanto alle difficoltà ed alle delusioni, le avevano portato anche gioie immense. Come una storia d'amore che, nata da una fissazione che aveva fin da piccola e finita nel peggiore dei modi, le aveva comunque fatto il miglior regalo al mondo che potesse desiderare. Non era per niente pronta, a vederlo crescere e diventare adulto. /e invece aveva già visto l'altro suo figlio cresciuto ed inserito nel mondo, CIAO GAY!/ «ho bisogno di un drink» lo disse più a sé stessa, che a qualcuno in particolare. Eppure, l'universo (cosa) sembrò accogliere la sua richiesta in un attimo «ehi, ti offro da bere, cosa vuoi?» Qui bisogna chiarire: Penn non era solita accettare richieste dagli sconosciuti così su due piedi, anche perché non si poteva mai sapere cosa potesse finire nel bicchiere quando non prestava attenzione. E quindi, dato che non voleva esser paranoica - e ridicola - come Paris a girare per i locali con l'assaggiatore personale (dai, ce l'ha sicuro su), di solito semplicemente non accettava le offerte degli sconosciuti. Ma quel ragazzo non sembrava un maniaco, e soprattutto non sembrava neppure conoscerla. O, semplicemente, sapeva chi era ma non gliene importava niente. «nulla di personale, sto uscendo e non voglio sprecare i drink»
    Mmmmmh «..okaay, grazie» non le capitava spesso di ritrovarsi a parlare con persone così...tristi. Insomma, stava già andando via?? Era prestissimo! «prendo..mh..» in una qualunque altra occasione, sarebbe andata senza esitazioni di negroni, ma aveva un bebè a casa!!1! Le conveniva andarci piano. O provarci, almeno all'inizio «..un mojito» Non ne beveva uno da una vita, così come non beveva alcolici da una vita. Poi porse una mano al ragazzo per presentarsi: mica tutto il mondo era tenuto a sapere il suo nome, quindi non le pesava affatto farlo. Anzi, era bello potersi presentare ufficialmente a qualcuno come una persona comune: era brutto anche solo pensarlo, ma c'erano momenti in cui odiava il fatto di esser nata in una famiglia come la sua, perché le era stata strappata un adolescenza normale senza che potesse far qualcosa a riguardo. «mi chiamo Penn» OMG L'AVEVA POTUTO DIRE SUL SERIO!! «...cioè, Philadelphia..» Sutton Maribel Soledad «...ma tutti mi chiamano Penn» Come l'università, ma questi erano dettagli che non doveva stare a spiegare.
    «Come mai stai già andando via?» A prima occhiata non sembrava proprio un tipo da ambienti del genere, certo, ma la ragazza odiava giudicare le persone solo in base al loro aspetto. Soprattutto perché, ogni giorno, sentiva il peso delle aspettative che le persone si erano fatte nel corso del tempo su di lei basandosi solo su di esso.




    1997's - 20 y/o
    model - mom
    hilton clan


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    made in china — I'm here at the beginning of the end
     
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    Hazel McPherson CASS HAT
    Aveva se-ria-men-te funzionato. Aveva funzionato. Hazzie l’aveva sempre detto, che veniva sottovalutata quando in realtà era un genio incompreso da… dal mondo intero, in effetti, ma non aveva importanza. Quella era la prova che non è che se tutto il mondo pensa tu sia stupido allora lo sei! Sì beh, diciamo che i mezzi non se li era fabbricati lei né li aveva ottenuti con mezzi che non implicassero minacciare di morte qualcuno MA alla fine era andato tutto bene. Voleva dire che aveva avuto culo era stata così intelligente da progettato la serata a meraviglia e nessuno l’avrebbe beccata!
    In realtà Hazel era cosciente di non aver progettato un fico secco, come si conveniva a una star dell’improvvisazione come lei – mamma mia, avrebbe dovuto fare teatro – e stava andando piuttosto allo sbaraglio. Senza il piuttosto. D’altronde era il brivido dell’ignoto, quello che le aveva fatto venire la curiosità di intrufolarsi al Lilum, il nuovo locale di cui tanto si parlava in giro e che, ATTENZIONE, era vietato ai minorenni. Era vietato ad Haz. Poteva accettare, un esserino così malefico, di sottostare in silenzio a un divieto? Ma ovviamente no. So, let’s go! (?)
    Haz era letteralmente su di giri, tanto che si era messa a dispensare pacche fin troppo virili a destra e manca alle persone nelle sue vicinanze, guadagnandosi più di un “Vai a quel paese” non espresso, desiderio di commettere un omicidio rivolto alla sua persona e parecchie occhiate stranite, perché non ci si aspettava mica un comportamento grezzo da una ragazza così fine! Era stra-
    Aspettate. Fermi tutti. Hazel una ragazza fine? Sarebbe stato come dire che un elefante in una cristalleria è piena di grazia, come insultare tutte le ragazze femminili sulla faccia della Terra, come dire che l’ananas sta bene sulla pizza. No, N-O, questa cosa non sarebbe dovuta accadere. Ma com’era possibile che Hazel venisse scambiata per una persona normale? Ce lo stiamo chiedendo tutti in sala. elegante?
    Per comprendere questo misterioso e alquanto inusuale fenomeno, occorre andare indietro nel tempo no scherzo, non era possibile in passato, figuriamoci nel presente, verso il pomeriggio inoltrato, in cui Haz aveva ricevuto una certa pozione da una certa persona che aveva ricattato – scoprire i segreti degli studenti faceva sempre comodo, considerando che lo faceva per puro caso ogni singola volta eheh. Le soddisfazioni della vita –. Non si era fermata nemmeno un attimo a riflettere sui pro e i contro, perché lei voleva a tutti i costi partecipare alla serata per quella sua incontrollabile curiosità riguardo ciò che avrebbe potuto metterla nei guai. No, non perché fosse un po’ pervertita, quel lato di sé lo scaricava tutto sulla McOakes, che poi era sempre cosa buona e giusta: animata da quelle nobili no intenzioni, non si era nemmeno curata di mettersi davanti allo specchio e aveva bevuto tutto d’un fiato la pozione Polisucco che aveva gentilmente commissionato a un povero Corvonero. Solo dopo si era concessa di guardarsi allo specchio et voilà, davanti a sé c’era il riflesso di una bella sconosciuta. Potremmo omettere la parte in cui Haz aveva dato un pugno contro il vetro per poi mettersi in posizione d’attacco, apparentemente dimentica che quello fosse uno specchio e quella fosse lei, ma non ci sarebbe gusto.
    Aveva gongolato per tutta la stanza, saltellando e ripetendosi: «Sono un genio sono un genio,» prima di mettersi a studiare veramente il proprio temporaneo aspetto. Capelli rossi e mossi, occhi dall’espressione snob di un azzurro che virava sul blu, così diversi dai suoi, e nel complesso l’apparenza di una donna sui ventiquattro, venticinque anni. «Sei un po’ troppo frufru per i miei gusti, ma… forse va bene così,» aveva detto a quella momentanea se stessa, con un sorriso enorme che, sul volto di quella sconosciuta, pareva più artificiale e affettato del suo. Certo, se avesse avuto l’opportunità di prendere un’altra Polisucco l’avrebbe fatto. Ew, una donna di classe!!!
    Se però non voleva dare nell’occhio e non destare sospetti, avrebbe dovuto essere il più possibile diversa e, questo, la McPherson lo comprese stranamente al volo. Shippeus(?) solo sapeva quanto le era costato vestirsi in maniera carina per la prima volta nella sua vita, se si escludevano le volte in cui sua mamma la obbligava a indossare orribili vestitini da piccoli con la minaccia di tenerla a stecchetto per una settimana, eppure la sua testardaggine le aveva dato la forza di farlo: aveva sbuffato come un cavallo e preso a calci una sedia per la frustazione, ma ora eccola al cospetto del buttafuori del Lilum, con aderentissimi pantaloni neri e una camicetta bianca a fiorellini – A FIORELLINI, se abbassava lo sguardo le veniva da strapparsela di dosso, ma immaginava avrebbe dato troppo nell’occhio –. Ah, e il motivo per cui, quando aveva provato ad allungarsi in un selvaggio stiracchiamento, aveva rischiato di rompersi l’osso del collo. Aveva delle… scaeowcoltachrh. Non era proprio in grado di dirlo senza inorridire, ma era evidente che aveva delle scarptroltaccj. Hazel Elizabeth McPherson indossava delle dannatissime scarpe col tacco!
    Ecco la verità, nuda e cruda. A stento aveva controllato come apparisse, visto che lì per lì avrebbe potuto vomitare. Le veniva voglia di darsi fuoco, seriamente. Non aveva neanche potuto risparmiarsi il trucco. Con quel corpo risultava un sacco sofisticata e femminile, che immensa tragedia . Di sicuro a nessuno sarebbe venuto in mente di pensare che Miss Eleganza fosse il maschiaccio scapestrato che giocava nella squadra di Quidditch della sua Casa! E ammazzava gente a suon di mazzate. Come odiava quegli abiti, che diavoleria era quella?
    Come in un flashback, le venne in mente lo studente che le aveva spacciato la pozione e che, povero, ignaro di quanto ogni informazione potesse ritorcersi contro di lui, le aveva fieramente sventolato davanti una foto dell’uomo in cui si sarebbe trasformato e la Polisucco avanzata nel caso in cui qualcosa fosse andato storto. Okay, nuova missione: trovare quel ragazzo, Rick, se necessario prendergli a forza la pozione e berla, sperando di trasformarsi in un esemplare maschile con tanto di attributi e tutto il resto. Sarebbe stata un’esperienza. Animata dal suo intento che pareva brillante in tutto e per tutto, raddrizzò le spalle e attese il suo turno.
    «Il tuo nome?»
    Il tuo nome? Eheh, già, bella domandona. Hazel fissò il buttafuori, il buttafuori fissò lei. Sbatté le palpebre, e lui ancora la guardava. Ma oh, cosa diavolo fissava a fare? Voleva molestarla per caso?? BRUTTO STRO- ah, giusto, aspettava ancora una risposta. Cercò di sembrare il più snob possibile, mentre una persona normale avrebbe invece girato i tacchi con la consapevolezza che quell’idea era stata una grande- «Cass Hat.» Atteggiò la boccuccia a cuore in un broncio infastidito e alzò platealmente il mento, forse in modo eccessivo. Non era proprio capace di fare la divah, niente da fare. «Cass Hat,» pronunciò con più chiarezza, come se fosse stata infastidita dal gesto e volesse schiacciarlo – differenza di mole a parte – sotto i tacchi di quelle schifose e scomodissime scarpe.
    Dovette funzionare, perché l’energumeno le sequestrò la bacchetta e le impresse il marchio distintivo. Haz ce la mise tutta per non mordergli la mano e, nonostante avesse rischiato di ammazzarsi un secondo sì e l’altro pure su quelle specie di armi travestite da trampoli infernali, tutta la sua reticenza ad abbandonare la bacchetta scomparve nel momento stesso in cui varcò la soglia del locale. «Che figataaa!» Emise un urletto entusiasta, ben poco di classe, e per poco non stramazzò al suolo spostandosi per far passare un tizio. Il suo sguardo avido di dettagli scrutò il palco che dava bella mostra di sé in fondo alla sala, ai tavolini di vetro e i cubi e i nastri che pendevano dal soffitto. Senza pensarci due volte, Hazel si addentrò nella marasma – UAO, c’era davvero un sacco di gente! –. Non era nuova all’arte di sgattaiolare dove non avrebbe dovuto; però non aveva mai messo piede in un locale del genere e aveva tutta l’intenzione di passare la serata a ficcare il naso e sbirciare. Nella sua lista di priorità, però, c’era il rintracciare il suo pusher.
    Andò a zonzo per la sala per minuti interi, forse addirittura circa venti minuti, prima che individuasse il suo obiettivo: un omone dai capelli fulvi e super muscolo. Ma questo avrà mica avuto la fissa per il rosso? Eppure non era Grifondoro eh.
    Con un sorrisetto vittorioso e contento, tentò malamente di avviarsi verso di lui. Hazel non era sicuramente il tipo da fermarsi e fare le cose con calma per evitare di ammazzarsi, perciò era l’inevitabile e naturale corso degli eventi quello che la faceva puntualmente finire con il musaccio spiaccicato contro qualcosa, col sedere all’aria o a fare l’involtino primavera per terra. Aspetto elegante o no, lei era quella che spesso e volentieri le scale di Hogwarts le faceva rotolando più che camminando, questo con delle scarpe umanamente accettabili: fatto stava che con quegli aggeggi infernali ai piedi ci mise meno di cinque metri a sbandare contro il suo compare, cui si aggrappò con la forza del non-voglio-rompermi-una-gamba-e-far-saltare-la-copertura.
    «Vuoi stare attenta?!»
    CosA? NESSUNO parlava così a una McPherson e rimaneva impunito, nossignore!!! Suscettibile com’era, Haz alzò di scatto la testa verso il tizio, che non appena la riconobbe spalancò la bocca, e con tono pungente sbraitò un: «Come osiH? Tu non sai chi sono io!» Non lo sapeva nemmeno lei sinceramente, ma dettagli. Gonfiò le guance come un pesce palla e lo fulminò con lo sguardo, staccandosi da Rick come se fosse stato un cactus ed emettendo un ringhio molto da Haz e poco da Cass. «Lo dirò al mio Magiavvocato!» Eh? Ma perché? Vabbè.
    «Ha-Haze-»
    «Zitto e seguimi, maleducato!» Maleducato lui eh. Fece uno swish di capelli fiammanti con tutto lo sdegno che le riuscì, apparendo più che altro una scimmietta troppo pelosa in una goffa parodia delle pubblicità dello shampoo, e gli calpestò per dispetto un piede prima di arrancare verso il bagno coi piedi in fiamme ma tanta determinazione(?). «Oooh!» Stentando a mantenere un contegno e non sfilarsi i tacchi, giunti dentro il bagno femminile si sedette con un piccolo slancio delle braccia sul lavandino. Incrociò le braccia al petto, impermeabile sia al disagio di Rick, che si trovava nel bagno delle donne e non sapeva che fare, e chi faceva avanti e indietro e li vedeva insieme. Oh insomma, sarebbero accadute cose molto più scandalose al Lilum, che non rompessero le pluffe.
    «Dammi l’altra Polisucco.»
    «Ma...»
    «So che ce l’hai, non raccontarmi balle.» Schioccò la lingua contro il palato. Voleva a tutti i costi un altro aspetto e l’avrebbe avuto.
    Rick si passò una mano sulla nuca sotto il suo sguardo minaccioso e allargò le braccia. «Non so se mi sia riuscita bene, l’ho fatta sbrigativamente, non conosco gli effetti di due Polisucco!»
    Hazel, a quel punto, scese dal lavandino e si accostò a lui. Gli puntò il dito contro il petto dal basso verso l’alto. «Vuoi che dica a tutti dei giornaletti che nascondi sotto il materasso? Eh? O magari di quel tuo compagno che ti piace tanto. Sarebbe spassosissimo, non è vero?»
    Se Haz avrebbe sbandierato ai quattro venti i piccoli segreti di Rick? Nah, non sarebbe stata così carogna senza una seria motivazione nemmeno lei, ma la reputazione che si era fatta in quei mesi la precedeva e, difatti, il Corvonero arrossì fino alla punta dei capelli – o dato che erano già rossi, delle orecchie – e sospirò sconfitto. Hazel lo guardò estrarre da una tasca interna del cappotto la pozione tanto agognata e si illuminò come il cielo all’alba. «Che gentile, grazie!»
    «NO, ASPETTA, NON BERLA TUTT-»
    Troppo tardi. Haz non vedeva l’ora di liberarsi di quei stupidissimi tacchi e l’aveva già trangugiata tutta. «Vado in una cabina, se provi a sbirciare ti castro!» esclamò allegramente, saltellando all’interno di un bagno mentre Rick impallidiva per la minaccia.


    «Ti ammazzo.»
    «Non l’ho fatto appost-»
    «Al tre comincia a correre.»
    «Ti avevo avvis-»
    «Uno, due, tr-»
    «VA BENE VADO.»
    Haz osservò Rick scappare come un coniglio con la coda tra le gambe, lasciandola sola a rimirarsi allo specchio. Be’, per essere trans era davvero un bellissimo trans e aveva due gran belle gambe muscolose. Sì, avete capito bene: l’effetto delle due Polisucco aveva dato come risultato l’aspetto che aveva prima incrociato con quello di un uomo. Risultato? Sentiva di avere qualche gioiello in più rispetto a prima e, cavolo, pesavano!
    In un primo momento avrebbe voluto davvero uccidere Rick, perché sì. Andava fatto fuori. #creepy Tuttavia, l’unica lampadina bruciacchiata che aveva come neurone aveva pensato che, in fondo, un travestimento migliore di quello non poteva esistere: una ragazza che si trasforma in ragazza che si trasforma in un ragazzo che si traveste da ragazza. che al mercato mio padre comprò. Era antisgamo all’ennesima potenza. Purtroppo i tacchi doveva tenerli. Un affascinante trans coi tacchi, avrebbe rimorchiato alla grande!!!
    «È così divertente!» commentò tra sé e sé con la sua nuova voce mascolina che, wow, era molto più gradevole alle sue orecchie di quella stridula che possedeva prima. Uscendo dal bagno, riprese ad assistere con un gran sorriso al via vai di gente e misteriosi camerieri con maschere di pizzo a celare il loro volto, ricevendo molta più attenzione rispetto a prima. Immaginava di risultare abbastanza… singolare, ecco.
    Chissà cos’altro sarebbe successo! Il Lilum era proprio un posto dove tutto era possibile. Attraversò malamente la calca, fino ad arrivare all’angolo bar che aveva intravisto dall’entrata e, preso posto su uno sgabello, ordinò tutta felice lo champagne che le spettava di diritto. Se Gid avesse scoperto che sua sorella era diventata trans e l’avesse beccata lì sarebbe andato su tutte le furie, ma il suo fratellone non frequentava locali come quelli. No? Impicciona com’era, nell’attesa si mise a origliare la discussione di una ragazza e un tipo dai capelli scuri che le dava le spalle. Gli affaracci suoi mai. «S-sì...No...facciamo di sì, ma...in che senso?»
    Le cadde la mascella virile. Tizio, ma cosa stai dicendo? Come in che senso? Che deficiente. Le sembrò persino più impacciato di lei con i trampoli maligni, tanto che quasi le fece compassione. Fissò la giovane donna; magari lei avrebbe risposto in maniera carina e gentile per mettere l’altro a suo agio e lei avrebbe assistito alla nascita di una ship in diretta, che poi avrebbe rintracciato con il suo intuito da segugio e continuato a stalkerare. E invece no, le fu negata l’otp e si ritrovò a infuriarsi per la risposta della tizia che, estranea ai metodi di rimorchio, trovò assolutamente opportunista e offensiva.
    In preda al fervore, si alzò e agguantò la donna per un braccio, prendendola in disparte. «INSOMMA, vuoi spifferargli tutti i soldi? Ma io non so, che mondo, ti sembra il modo? Non è così che nascono le ship, no, lui non ti offrirà proprio niente perché la McOakes non lo farebbe mai e tutti si meritano un amore come quello della McOakes nella vita e ora SMAMMA, TRADITRICE!!!» Inutile dire che, come ogni ragazza ragionevole, quella in questione la-lo – era sessualmente confusa al momento, sapete com’è – prese per psicopatico la era, good job e se la diede a gambe senza nemmeno ascoltarla.
    Fischiettando innocente, Haz sculettò verso il suo sgabello e vi si tuffò con un tonfo, dondolando le gambe che si sforzava di non tenere comodamente divaricate e nessuna traccia della rabbia che aveva in corpo l’attimo prima. Sarà stata pure bipolare? Chi lo sa. Fortuna che il tizio che aveva salvato non aveva potuto sentire nulla. Agguantò il calice di champagne che il barista mise sul banco assieme a un altro drink, presumibilmente quello dello sconosciuto, e tutta sorridente si voltò verso quest’ultimo. «Non c’è di ch-» C’era qualcosa che decisamente non quadrava. Com’era possibile che quell’uomo fosse identico al fratello Babbano di sua madre? Zio Leopold? Alcuni secondi di mutismo e un lampo di tenero disorientamento negli occhi scuri di suo zio riuscirono a donare un minimo di lucidità al cervello da troglodita della Grifondoro, sulle cui labbra dal taglio maschile e velate dal rossetto si disegnò un sorrisetto sornione. Era piuttosto certa di sapere chi si celava dietro l’apparenza di suo zio. Guarda un po’ il destino!! Che culo.
    All’inizio pensò che magari avrebbe potuto provarci con lui, così, per divertimento, ma la sua riflessione intraprese un pericoloso sentiero: era la sua occasione d’oro per fare cedere Gideon e fargli capire che era gay. Oh mio dio. Era pronta, pronta come non mai, anche se avrebbe dovuto flirtare con suo fratello. Faceva un po’ schifo, ma era per un bene superiore.
    Bevendo un sorso di champagne per farsi coraggio, lanciò un’occhiatina ammiccante a Leopold, dopodiché gli si avvicinò e gli circondò col braccio libero il collo. «Ciao tesoro, ti stai divertendo?» si approcciò. Era sensuale? Boh, speriamo. Che il regime del terrore abbia inizio. Mordendosi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere, sperando passasse per un gesto sexy, gli passò una mano tra i capelli morbidissimi fino a sfiorargli la nuca. Era da denuncia #wat «Quella ragazza sembrava proprio opportunista. Ti va di chiacchierare con me?» Mamma mia, era nata per essere un maschio, sentite che vocione sensuale. Meritava un Oscar!!1! D’altronde, ora o mai più. «Per te sono Cass, splendore,» aggiunse con un occhiolino. Era Cass per tutti, almeno per ora, ma tanto Gid non lo sapeva.



    Gryffindor | 15 24 y.o.
    Halfblood | Elephant Grace Manly
    High heels can be a
    dangerous weapon
    in her hands.
    It's boring to be feminine.


    Sto malissimo.

    Day 25: +2
    Day 26: +3

    candy shop: 19
     
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