A New Show is Going to Begin

Festa aperta a soli maggiorenni

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    LEWIS NORWOOD
    1996 | JOLLY | MAGIZOOLOGO | EX-CORNOVERO
    «Dobbiamo proprio farlo? Ci sono mille modi per festeggiare la tua promozione, sai? Potremmo... uhm… comprare dei cappellini colorati, dei fischietti e restare a casa, in modo che nessuno possa vedermi conciato così.» non era mai stato tanto a disagio come in quel momento. Eppure, si trattava di Lewis, Lewis Norwood, della stessa persona che ogni giorno induceva la gente a domandarsi quanto fosse stato malconcio il Cappello Parlante per decidere di inserirlo tra le fila dei Corvonero, che era stato in grado di rendersi ridicolo più volte di quanto fosse possibile immaginare e che poteva vantare una lunga lista di figuracce da aggiungere al suo personale curriculum. Paradossale, all'apparenza, ma il punto era esattamente quello: si sentiva in imbarazzo proprio perché non era se stesso, non quella sera e non per sua scelta. «Neal, non riesco neanche a camminare!» non mentiva, non solo perché non ne sarebbe stato capace, ma perché era palese che si stesse spostando come se avesse due blocchi di legno al posto delle gambe e notevoli difficoltà motorie. Colpa dei jeans che indossava, così aderenti da averlo costretto a trattenere il respiro per diversi secondi prima di riuscire a chiuderli, lasciandolo comunque con un vago velo di terrore circa la possibilità di uccidere qualcuno per colpa di uno dei bottoni che, era certo, sarebbero presto saltati via. Ovviamente non li aveva scelti lui, non aveva avuto voce in capitolo su nessuno dei capi d'abbigliamento che sfoggiava quella sera. Aveva fatto tutto Neal, il suo nuovo personal shopper: lo aveva trascinato a Quo Vadis Town, gli aveva lanciato addosso una quantità esagerata di indumenti e lo aveva obbligato a provarli tutti, commentando ogni abbinamento con una delle sue espressioni di puro disgusto oppure con una frase pungente volta a ricordargli quanto fosse grande il suo didietro, quanto la sua conformazione fisica somigliasse a quella di un pupazzo di neve e quanto fosse poco appetibile agli occhi delle donne. Risultato: avevano trascorso almeno quattro ore tra un negozio e l’altro e tutti i tentativi di Lewis di opporsi erano stati stroncati sul nascere, così come ogni possibile lamentela. E, anche quella sera, le sue richieste sarebbero state ignorate.
    «Apprezzo il fatto che ti preoccupi per me, davvero, ma non ho bisogno di rimorchiare utilizzò un termine che non rientrava nel suo vocabolario e che probabilmente non ne avrebbe mai fatto parte. Lewis aveva avuto una sola ragazza nel corso della sua breve vita e non aveva idea di come fosse riuscito a conquistarla: semplicemente, era successo, nonostante l’avesse incontrata tra gli escrementi di gufo, ad Hogwarts, e al successivo incontro l’avesse coinvolta nell’esplosione di un calderone e ricoperta da una viscida, puzzolente e appiccicosa melma verdognola; era assurdo avesse funzionato all'epoca, non sarebbe stato altrettanto fortunato in futuro. Eppure, per il momento, quel pensiero non lo sfiorava. Sognava una famiglia numerosa, una cucciolata che avrebbe riempito la sua casa con risate, pianti e urla, ma era fin troppo impegnato con il suo lavoro di magizoologo per poter anche solo sentire il bisogno di una persona da avere al suo fianco. Di certo, se avesse cambiato idea, non avrebbe cominciato dal Lilum.
    «E, soprattutto, non qui. Tutto questo non ha senso!» aveva ignorato l’esistenza di quel locale fino a pochi giorni prima, fino a che la massiccia campagna pubblicitaria messa in atto dalla proprietaria non si era abbattuta su di lui come le piaghe d’Egitto: era partito tutto con i volantini pubblicitari che si infilavano praticamente ovunque, nelle tasche, tra i capelli, precipitavano persino nel succo di zucca prima che Lewis potesse poggiare le labbra sul bicchiere; poi i boa canterini, accolti inizialmente con un sorriso e considerati una minaccia quando avevano iniziato a seguire i passanti e avvolgersi attorno a gambe, braccia e collo; per non dimenticare le frustate sulle sue discrete natiche o la maschera che aveva aderito al suo viso per ore, costringendolo a prendersi un giorno libero, o, ancora, la pioggia di preservativi e di indumenti intimi che aveva lo aveva portato a correre per le vie di Diagon Alley in preda ad urletti isterici. E anche senza quegli invadenti promemoria, ci avrebbe pensato Neal a fargli sapere dell’inaugurazione e imporgli di partecipare al grande evento. Era chiaro che Lewis non ne avesse alcuna voglia, che non gli interessasse né l’alcol gratis né gli spettacoli di quel locale a luci rosse, ma l’amico era stato irremovibile: sarebbero stati presenti e Lewis avrebbe conquistato una donna. E l'ex-Serpeverde non era lì in qualità di supporto morale, ma in veste di mentore, di guida, di esempio da cui prendere ispirazione. Nessuno, meglio di lui, avrebbe potuto insegnargli i trucchi del mestiere e, per cominciare, aveva deciso di lavorare su due fronti: tecniche di abbordaggio e aspetto fisico. Il primo era probabilmente lo scoglio più difficile da superare, dato che avrebbe dovuto imporgli di non essere se stesso, di fare il contrario di quello che di norma gli sarebbe venuto in mente e di pensare come Neal, pur non avendo neppure un briciolo della sua malizia, intraprendenza o sfacciataggine. Le operazioni che avevano portato alla sua trasformazione fisica, invece, erano state meno complesse soltanto perché il guaritore aveva già un'idea precisa dell'unico modo per farlo sembrare desiderabile: renderlo come lui. Lo aveva plasmato a sua immagine e somiglianza, aveva incenerito i cardigan e le tenute da scolaretto, lo aveva costretto a rivoluzionare il guardaroba e, infine, l'aveva preparato per quella serata nei minimi dettagli, fino a curarne la pettinatura. E non si era limitato a mettergli un po' di gel e sistemare i capelli in modo che non sembrasse un dodicenne, si era spinto oltre, aveva completato la sua opera aggiungendo uno dei dettagli fisici che da sempre avevano contraddistinto Neal Scamander tra i corridoi di Hogwarts: no, per gli addominali non avrebbe potuto fare miracoli; gli aveva sequestrato la bacchetta per impedirgli di annullare l'incantesimo subito dopo aver visto la propria immagine allo specchio e lo aveva reso biondo, orribilmente biondo.
    «Facciamo così: tu mi permetti di far tornare i miei capelli al loro colore naturale, io ti accompagno. Ma lascia perdere la storia delle conquiste, okay?» sistemò le pieghe della maglietta e spostò lo sguardo prima sui risvolti casuali della sua giacca, poi sull'inutile collana che era stato costretto ad indossare. Avrebbe voluto sistemare le maniche ed appuntarle fino all'ultimo bottone, piegare per bene il colletto e, soprattutto, togliere quegli stupidi occhiali da sole che il Troll aveva definito indispensabili come ogni altro elemento da lui scelto. Ad un certo punto aveva anche creduto che lo stesse prendendo in giro, che lo avesse fatto vestire così solo per prendersi gioco di lui senza un apparente motivo. Cos'avrebbe dovuto farsene di sera e, per di più, all'interno di un locale? Diede un'occhiata in giro, filtrando tutto attraverso le lenti scure che gli permettevano di dissociarsi ulteriormente da tutto quello che succedeva intorno e dai flash rivolti agli Hilton, e fece il suo ingresso nel Lilum.
    Sarebbe finita in tragedia, se lo sentiva.
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia
     
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    sheet Neal Scamander • 1996 • 22 •
    Scamander is back.
Quale altro avvenimento, se non la riapertura di uno dei suoi locali preferiti, sarebbe potuto essere lo scenario perfetto per il suo ritorno (momentaneo) in scena? In fondo, entrambi gli eventi non erano indispensabili, ma ciò di cui tutti (?) avevano bisogno. O, almeno, ciò di cui tutto il suo egocentrico mondo aveva bisogno.
    Se vi state chiedendo cosa sia successo in questi mesi, cosa sia passato per la sua mente, perché abbia preferito vivere nell'ombra piuttosto che far splendere la sua bionda chioma alla luce dei riflettori e dei flash tutti, vi basta sapere una cosa: aveva dimenticato chi fosse.
    No, tranquilli, non è stato vittima di un incantesimo di memoria, lanciato per sbaglio dal peggiore Obliviatore della storia del Ministero, non ha bevuto nessuna pozione in grado di resettargli il cervello o altro. Si era solo perso, annegando in quella pozza nera e vischiosa che molti chiamano dolore. Aveva scelto di vivere nel passato e di dimenticare il presente, aveva voltato lo sguardo indietro, ignorando il futuro, ignorando che anche lui avrebbe potuto avere dei sogni. Si era lasciato corrodere dal desiderio di vendetta fino a vedersi consumare l'anima, divorata da un cocktail di alcol e lacrime amare. Aveva scelto di salvare quante più vite fosse possibile, aveva scelto di percorrere una carriera che ogni giorno gli ricordava quanto fosse fragile l'esistenza umana, eppure, per un lungo periodo di tempo, aveva provato a mandare tutto alla deriva, annaspando in una realtà di cui aveva perso il controllo nel momento in cui era convinto di avere in mano le redini del suo mondo. Si era chiuso, nascondendo la chioma dorata al mondo, e si era rifugiato nello stakanovismo per affrontare i suoi demoni, sbattendo la testa prima sui libri e poi sulle barelle. Ogni giorno cercava il suo barlume di speranza negli occhi degli altri, ogni giorno scivolava sempre più in basso, costretto a indossare la sua scintillante maschera di ghiaccio, celando i suoi occhi spenti e vuoti nel disperato tentativo di cadere con le mani in avanti, proteggendosi il viso affinché quella piccola e fragile copertura non si frantumasse sulla sua pelle, segnandolo per sempre. Neal era un amante della bellezza, non avrebbe potuto portare i segni manifesti del suo fallimento. Preferiva vivere in una bolla di sapone, piuttosto che ammettere di essere umano, di non essere un Dio. E proprio questa parola, queste semplici tre lettere che racchiudono un significato mistico e impossibile da contenere, lo hanno spinto oltre, gli hanno fatto ricordare che anche lui, un tempo, lo era; forse più simile al Demiurgo platonico, ma sempre un dio: il Signore del suo mondo. Doveva solo ricordarsi come fare, spolverare il suo nome, tornare a risplendere e rimboccarsi, seriamente, le maniche. E aveva imparato una lezione fondamentale.
    Nessuno si salva da solo.
    Perché quando ormai le forze ti mancano, quando ormai sei finito, quando anche la speranza ti sta abbandonando, ti basta voltare lo sguardo e incontrare gli occhi di chi, come te, è caduto. Puoi scegliere due modi per rialzarti: fissare chi è con te nel baratro e supplicarlo di darti una mano, facendo leva sul suo spirito caritatevole, ammesso ne abbia uno, oppure ritrovare la forza per uscirne insieme, per far vedere che tu sei sempre il migliore, che tu sei forte anche quando tutta la forza che hai la ricevi dall'altro. Allora tendi la mano, afferri quella del tuo amico, e vi risollevate insieme, facendo perno sulle tue ginocchia tremanti, alzando la testa con la voglia di respirare, ancora una volta.
    Che poi per Neal Scamander questa ancora di salvezza, trampolino di lancio, materassino su cui saltellare allegramente per fare le acrobazie, ha come nome e cognome quello del magizoologo più scassapalle e fuori come il Platano Picchiatore della storia della comunità magica mondiale, è tutta un'altra storia. Era iniziato tutto quando, non ricordava più neanche quanto tempo prima, era dovuto intervenire per sedare la signora Norwood, disperata dal comportamento silenzioso, piagnone e anomalo del figlio quando l'unica ragazza toccata tanto quanto lui, rinsavendo, lo aveva mollato per inseguire la baguette di un francesino che, sicuramente, le avrebbe garantito una grande abbuffata -avendo come unico parametro il serpentello stordito di Lewis, ogni cosa potrebbe sembrare magnifica-. Se il Corvonero fosse stata un'altra persona, non gliene avrebbe fatta una colpa, sono cose che capitano a tipi come lui e si sa che le donne non cercano solo coccole e fiumi di parole, ma quel logorroico esemplare di pennuto era l'unica figura che Neal avesse mai considerato quanto più simile a un amico. Se ne era reso conto solo quando aveva quasi sfondato la porta per prenderlo a calci e ricordargli che no, la sua vita non era finita, che il suo cuore non avrebbe smesso di battere e che c'erano cose peggiori della Cavendish al mondo e lui lo sapeva benissimo. Per questo avrebbe preso Lewis per la collottola e lo avrebbe scaraventato fuori dal pozzo, restituendogli quell'aria che lui non poteva più respirare, sapendo che forse, almeno lui, lo avrebbe aspettato, pur non sapendo per quanto tempo. L'unica cosa certa era che non avrebbe più permesso a nessuno di fargli del male, perché salvando Lewis, avrebbe salvato se stesso, avrebbe sempre avuto un'ancora su cui aggrapparsi per tornare in superficie.
    E questo era stato solo l'inizio, il punto di partenza di tutto quello che sarebbe successo nei mesi a seguire, mesi in cui Neal aveva perso tutto, in cui si era dovuto sforzare per trovare un solo valido motivo per continuare a vivere, ripetendosi che per far restare gli altri aggrappati alla propria vita doveva essere lui il primo a crederci; non sempre era facile, non per chi, come lui, portava la morte nel cuore, per chi non riusciva a tornare a galla per prendere fiato che qualcos'altro di più grosso e indefinito lo avrebbe spinto più in basso, sempre più lontano dalla superficie, sempre più lontano da quell'alone di felicità che vedeva risplendere nel volto degli altri.
    Poi, un giorno, il cambiamento. L'impossibilità di rifiutare una proposta, che gli avrebbe permesso quella notorietà che tanto bramava e ambiva, gli diede la spinta necessaria per ripartire. Era uno dei nuovi Guaritori del San Mungo e aveva la consapevolezza di essere uno dei migliori, un modello da seguire (se non di vita, quanto meno nell’ambito lavorativo). La sua rinascita professionale sarebbe coincisa con quella carnale del suo amico, così aveva deciso e così sarebbe stato, ovviamente, senza prendere minimamente in considerazione un’eventuale opinione in merito di Lewis.
    Norwood neanche poteva immaginare cosa significasse tutto quel lavoro e quel darsi da fare, non poteva sapere cosa lo Scamandro avesse in serbo per lui. Era finito il tempo di piangersi addosso, di chiudersi in camera e ora bisognava chiedere scusa a quell'arnese inutilizzato da tempo immemore, ammesso l’ex Corvonero ne avesse mai fatto uso; era giunto il momento di rispolverare la carrozzeria e di farlo nell'unico modo ammesso dal Supremo. Neal avrebbe fatto in modo, o almeno ci sperava, che qualcuna degna di nota cadesse tra le gambe del suo neo eletto compagno di sventure, risvegliando quel piccolo prolungamento del suo corpo che meritava una leggera scossa, un cambiamento, qualcosa di nuovo che gli facesse dire: “Ehi, tranquillo, tutto bene qui sotto! Funziono anche io!”
 Lo aveva scelto come suo discepolo, pur aspettandosi picche su tutta la linea, e aveva deciso di plasmarlo a sua immagine e somiglianza. Lewis doveva solo ringraziarlo del fatto che non aveva fatto irruzione nella sua camera dando fuoco a ogni cosa e scagionandosi dicendo che era colpa di qualche animale selvatico che il pennuto aveva portato a casa il giorno precedente. Aveva trascinato Norwood nel suo regno, cercando disperatamente un abbigliamento degno per l'evento cui andavano a presenziare e ogni sua battuta, ogni sua frecciatina, ogni sua derisione era per provare a svegliare l'ex Corvonero, per motivarlo, per dargli una valida ragione affinché la smettesse di ingurgitare qualsiasi cosa si trovasse davanti e per iniziare a pensare al suo corpo, al suo potenziale. Concluso il pomeriggio di shopping, era stremato, ma soddisfatto di ogni capo acquistato e di ogni accessorio che avrebbero indossato quella notte, mancava solo una cosa: il tocco di classe, il marchio dello Scamander.
    Aveva smesso di ascoltare la voce di Lewis ore prima, quando, guardandosi allo specchio, aveva visto il suo capolavoro: capelli biondo Neal, sparati in aria e tenuti fermi da un incantesimo che, ormai, sapeva praticare alla perfezione. Andava fiero di quel tocco di classe, almeno avrebbe distolto l'attenzione da tutto il resto, e avrebbe spinto Lewis nella mischia, costringendolo a salire su quel treno che, sperava, lo avrebbe portato nel Paese delle Meraviglie.
    “Non ho investito tempo e denaro con te per finire in una bettola per farti soffiare in un fischietto, semmai il contrario. Quindi tappati quella bocca, prima che lo faccia io e continua a camminare!”
    Lo rimproverò per l'ennesima volta, tirandogli una gentile e delicata pacca su quel grosso airbag che oscillava a destra e a manca. Levò anche gli occhi al cielo, giusto per farla completa, ormai esasperato dal comportamento così remissivo del suo +1. Era un uomo, Merlino! Che diamine di fine avevano fatto le sue palle?! Oh, no! Fermi tutti! Era un Hobbit! E questo cambiava un po' le cose, o le rimpiccioliva di molto, rendendole quasi invisibili. Strinse le lunghe falangi sulle natiche di Lewis, rese sode solo dal tessuto strettissimo dei pantaloni, e puntò i suoi occhi di ghiaccio, celati dalle lenti oscurate degli occhiali da sole, in quelli di Lewis, serrando ancora di più la presa.
    “No. Non ti vedo con qualcuno da fin troppo tempo. Hai dei bisogni e questa notte vedremo di soddisfarli, in un modo o nell'altro. Devi sfogarti, seguire il tuo istino -o, quantomeno, trovarlo- e smettere di cercare l'amore della tua vita.”
    Sputò le ultime parole con rabbia, come se fossero veleno. Aveva creduto nell'amore il tempo di un battito di ciglia, troppo poco per restarne affascinato, abbastanza per restarne ustionato. Forse, era questa la lezione che Lewis doveva imparare: divertirsi. Divertirsi senza pensare a un domani, senza complicare le cose, senza dover per forza rovinare tutto. Doveva semplicemente prendere un numero, darci dentro per una notte e, nel caso lei non fosse rimasta traumatizzata, richiamarla ancora e ancora per placare quella fame che, sapeva, sarebbe rimasta insaziabile. Lo avrebbe messo davanti a qualcosa più appagante del suo dolce preferito, davanti a qualcosa di cui, finalmente, non avrebbe più potuto fare a meno. Bisognava solo accendere la scintilla e lasciare che tutto quello che si teneva dentro esplodesse come un colpo di cannone.
    Superarono la lunga fila dinanzi l'ingresso del locale, avere un certo nome garantiva determinati privilegi, e, mentre la musica ovattata che si sentiva nei pressi del locale invadeva la stradina facendo ancheggiare i fianchi e dondolare le spalle dei più impazienti, Neal arrestò il suo passo, inorridito da ciò che l'Hobbit aveva appena detto.
    “Non ti azzardare a chiedere bevande analcoliche o cocktail fruttati da femminuccia. Non hai ancora imparato niente?” gli cinse il volto con le mani e gli tirò un leggero schiaffetto sulla guancia. “La Burrobirra è per gli adolescenti, per i perdenti e gli sfigati. Non sei un bambino, non più. Devi crescere H., vuoi davvero diventare come mio nonno? Inizia a comportarti da Scamander, meritati di essere paragonato a lui. Mio nonno era un vincente, non una mammoletta attaccata a un biberon di pseudoalcolici per adolescenti. Questa sera solo Firewhiskey e, dato che ti sei mostrato tanto generoso, i primi tre giri, non inclusi nelle consumazioni gratuite, li paghi tu!”
    Gli rivolse uno sei suoi ghigni che non ammettevano nessuna replica e, sempre con la grazia che tanto lo contraddistingueva, lo spinse dentro nel locale, lasciandosi travolgere dalla musica. Aprì le braccia, respirando l'aria impregnata di ormoni a pieni polmoni, pregustando quello che quella notte avrebbe avuto in serbo per lui. Scese piano i gradini del locale, beandosi di quella sensazione mentre faceva scivolare gli occhiali da sole sulla testa, fissandoli tra i suoi capelli, regalando il suo sguardo a quel mondo di cui, finalmente, era tornato a sentirsi padrone e...
    “Stupido Hobbit!” Soffiò a denti stretti, avvicinandosi a lui, sfilandogli via gli occhiali da sole cercando di contenere il suo disappunto. “Cosa ti avevo detto? Qual era la prima cosa da fare una volta entrati nel locale e che tu, ovviamente, non hai fatto? Vuoi iniziare a sfigurare?”
    Lo prese per un gomito, portandolo rapidamente al bancone del bar, sperando che i primi shoots lo aiutassero a dimenticare quanto potesse essere inetto il suo compare e che quello che si stava ostinando a fare era lottare contro i mulini a vento, ovvero: inutile. Era così determinato che, questo piccolo e insignificante dettaglio gli era quasi sfuggito di mente.
    Prese in mano il bicchierino guardandosi intorno, fino a quando non trovò quella che, secondo lui, poteva essere la ragazza giusta per iniziare. Non era troppo carina, sembrava abbastanza svampita da poter iniziare a parlare con chiunque e aveva tutte le carte in regola per vedere se, almeno qualcosa, aveva attecchito nella testa vuota dell'ex corvonero. Più sarebbe andata avanti la serata, più lo avrebbe fatto salire di livello. Ovviamente, la portata più importante, sarebbe stata la sua.
    “La vedi quella lì?” disse sorridendo alla sua prima cavia, levando il bicchiere in cenno di saluto prima di tornare a fissare Lewis. “Va' da lei e... prova a conquistarla. Prima regola: non parlare troppo. Alle donne piace l'uomo che agisce.”
    Scolò il suo secondo drink e si sistemò meglio sul suo trono. Che lo spettacolo di capodanno, abbia finalmente inizio.

    «Hail to the Victor»
     
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    withpotatoes do it better

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    idem withpotatoes + chantelle avery cobalt
    idem&thea
    «vuoi…» Idem sollevò gli occhi blu sulla vetrina del Lilum, lo sguardo a guizzare dalle ballerine al viso rapito ed affascinato di Chantelle. «…entrare?» domandò cortese, sorridendo genuina – non che nel vocabolario espressivo della Withpotatoes esistesse finto, ma era sempre doveroso specificare quanto facile le venisse curvare le labbra in un sorriso.
    Perfino quando la prospettiva non era di suo gusto.
    L’ex Tassorosso non aveva nulla contro il locale di spogliarelli, anzi. Aveva spedito un mazzo di fiori colorati (ed incantati per profumare più a lungo senza divenire nauseabondi) alla proprietaria, felice che la piccola imprenditoria non fosse morta – e che, tra tutti, fosse stata una donna a prendere fra le mani le redini del Lilum: gli uomini, per quanto sofferta fosse quell’affermazione, strumentalizzavano nel modo sbagliato il corpo femminile; non amava fare differenze di alcun genere, ma sapeva che una donna avrebbe potuto trattare con una diversa delicatezza un argomento già controverso. Ne era orgogliosa, Idem.
    Ma quella sera, non poteva permettersi di entrare. C’era l’inaugurazione, e la maggior parte della cittadina magica aveva deciso, giustamente, di partecipare – tutte persone alle quali l’evento interessava più che non ad una Idem Withpotatoes, motivo per cui si era mostrata ben più che disposta a rimanere a casa con Amos. Considerando che quasi tutti, oramai, avevano figli a carico, lei ed Amos si erano ritrovati con un piccolo asilo: non poteva lasciarlo da solo, capite? L’Hamilton se la sarebbe cavata alla perfezione, ma voleva rimanere con lui – tenergli compagnia, ed essere una testa in più in caso d’imprevisti. Quando, mezz’ora prima, gli aveva detto che sarebbe tornata il prima possibile, lo intendeva davvero – il solo uscire, anche per pochi minuti, l’aveva messa a disagio quando sulla soglia l’aveva salutato.
    Ma non aveva avuto altra scelta, non davvero. Chantelle Avery Cobalt era giunta dalla Francia con un giorno di anticipo, ed affatto spossata dal viaggio si era mostrata (credeva?) entusiasta all’idea di poter visitare Diagon Alley. Un giro del quartiere, nulla più, s’era detta la Withpotatoes congedandosi momentaneamente dal lumocineta. Glielo devo, aveva cercato di comunicargli con palpebre dolorosamente socchiuse ed un’occhiata da sopra la spalla alla ragazza.
    Era stata un’amica di Nathan Withpotatoes. L’anno prima, quando nell’attentato erano morti sia lui che April, stavano alloggiando dalle sorelle Cobalt – la maggiore, come i due fratelli Withpotatoes, era in piazza quand’erano scoppiate le prime bombe: ed anche lei, non ce l’aveva fatta. Quando aveva ricevuto una lettera da Thea la settimana prima, Idem era stata più che felice di offrirsi di farle da Cicerone all’interno della Londra magica e non; le avevano sempre parlato bene delle sorelle Cobalt, e quella era la prima occasione nella quale le era stato possibile incontrarla.
    «è inutile che le parli» Idem corrugò le sopracciglia verso Alexander, il fantasma che le aveva seguite per l’intero giro turistico. «non capisce un cazzo» Curvò le labbra in un broncio severo, ammonendolo silente al proprio linguaggio, ma non replicò: Chantelle non capiva davvero quel che la Withpotatoes le andava narrando da un’ora a quella parte. Idem sapeva che Thea non parlasse inglese, ma le sembrava troppo maleducato non rivolgerle affatto la parola: riempiva i silenzi con lunghi racconti atti solamente a fare da retroscena, agitando le braccia e gesticolando più del dovuto per farle cogliere almeno le cose più importanti. Quella situazione sarebbe stata tollerabile, se il suo potere, almeno teoricamente, non le avesse permesso di parlare qualsiasi lingua. Omnilinguismo, le aveva detto Nate; una figata. Peccato che ancora, dopo un anno, il suo super potere non fosse entrato in azione, lasciandola impotente ed inutile di fronte a Chantelle Cobalt. Non che la ventiduenne glielo facesse pesare, per lettera (aiutandosi con un vocabolario, come le aveva scritto) le aveva già annunciato che fosse una ragazza di poche parole: un’osservatrice, le aveva detto. Le aveva raccontato tutto - credeva, ingenuamente, la Withpotatoes.
    Quel che Thea, invece, non le aveva detto, era che fosse una giornalista.
    E che quella, non fosse una visita di piacere. Odiava rimanere all’oscuro sulle dinamiche della drammatica situazione che stava sconvolgendo i continenti. Odiava che avessero distrutto la sua scuola, e che la giustificazione del governo fosse stata Traditori.
    Odiava che le avessero portato via la sua famiglia ed i suoi migliori amici, ma nessuno si fosse degnato di posarle le mani sulle spalle dicendole, per una volta, la verità – ne avrebbe accettata una qualunque, ed a quel punto non avrebbe battuto ciglio. Onestà, era chiedere tanto?
    Sì, e lo sapeva.
    Per quel motivo aveva deciso di cercarsi le risposte da sola, e Londra non era stata scelta per le attrazioni turistiche: a quanto pareva, tutto succedeva lì. Reclinò il capo verso la sorella di Nathan, studiando gli ampi gesti con i quali indicava il locale di fronte a loro; osservò poi i loro abiti, trovando alquanto inadatta la mise di Idem, con quella corta gonna blu e la canottiera bianca – lei, come sempre, era impeccabile in un corto vestito lilla: moda prima di tutto. «tu veux entrer une minute?» si scambiarono un’occhiata intensa e confusa.
    Generalmente, le piacevano i Withpotatoes – dai racconti di Nathan si era fatta un’idea piuttosto chiara dell’eccentrica famiglia. In pratica, le piacevano comunque ma non erano il suo genere: non era il tipo di ragazza che, per pura cortesia, sarebbe rimasta ad attendere una risposta affermativa «tu pouvais revenir à la maison.» tentò, con un sorriso gentile ed amichevole, stringendole piano il braccio ed indicandole la direzione dalla quale erano arrivate. Idem intrecciò le dita fra loro lanciando uno sguardo tentato verso la strada acciottolata; la vide indugiare, ma alla fine le porse le mano perché potesse stringergliela, indicandole poi l’entrata al locale: «cinque minuti» #sì
    Idem Withpotatoes, pur non essendo famosa per la propria altezza, alzò disperata un braccio cercando di farsi notare, l’altra mano a coppa attorno alla bocca: «scusate, qualcuno sa il francese?» No? Nessuno? «per favore?» aggiunse sottile, spingendosi sulle punte per potersi guardare attorno. Per Thea doveva trattarsi di una specie di disney land, perché sprizzava allegro entusiasmo da ogni poro caramello: solo per quell’espressione, Idem Withpotatoes decise che ne fosse valsa la pena d’entrare. Aveva (possibilmente.) tutta la vita per farsi perdonare da Amos, giusto? «amici?» Pregò, facendo ciondolare gli occhi da un profilo all’altro alla ricerca di qualcuno a cui lasciare in custodia Thea.
    A proposito. «thea?»
    Ma come la Laura di Nek, era andata via.


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    beauxbatons | 22 y.o.
    I can see you hurting
    I've been through the same thing
    Baby, don't you worry, I got you
    Let me be your friend, Baby, let me in, Tell you no lies, oh, nah
     
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    jaden beech & nathaniel keenan (lowell) henderson
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    «Era semplice curiosità, davvero» l'uomo alzò le mani in alto a dimostrazione della propria innocenza, e indietreggiò di un passo ritrovandosi spalle al muro. Damn. «Non volevo-» «MANIACO!»
    A niente servì provare a coprirsi: il drink colorato lo colpì in piena faccia, e pezzi di frutta nonchè qualche cubetto di ghiaccio gli si infilarono fastidiosamente all'interno della camicia, facendolo rabbrividire di freddo. Quando Nathaniel riaprì gli occhi stretti poco prima, ancora leggermente brucianti per l'alcol, le due ragazze se ne stavano andando borbottando inviperite. Abbassando lentamente le mani, l'uomo si passò la lingua sulle labbra, tastando il manhattan; almeno era buono.
    Non era neanche certo di sapere dove avesse sbagliato, a quale punto della conversazione. Ributtati nella mischia, gli avevano detto, sarà divertente... Divertente un par di zebre. Era al Lilum da... quanto, quindici minuti? E già era riuscito a far incazzare due tipe a casissimo meritandosi il loro cocktail addosso - e solo perchè aveva chiesto loro se potevano aprire le gambe il più possibile per fargliela vedere! Mica- "...oh. OOOH. Ok, fraintendibile, effettivamente". Colpa sua che aveva dato per scontato fosse chiaro parlasse dell'apertura delle gambe in vista di esercizi di yoga. E che aveva detto assolutamente fuori contesto di essere particolarmente flessibile grazie agli esercizi con Eli. E che sapeva fare la posizione della conchiglia. E che se volevano appartarsi un attimo glielo avrebbe fatto vedere.
    Rievocando la conversazione senza l'incipit "sto parlando di yoga", aveva senso se la fossero presa. Portò una mano sugli occhi, gemendo (suono soffocato, per fortuna, dalla musica in sala). Signore. Aveva appena molestato due ragazzine appena maggiorenni, e non se ne era neanche accorto! Forse era davvero fuori dal giro da un po' troppo tempo, con la storia del lavoro perso, di Aveline andatasene, delle teorie del complotto su Clarissa, di metà dei suoi amici scomparsi a spasso nel tempo.
    «Hai un po' di fragola nei capelli» Nathaniel si voltò lentamente verso la bionda, la mano a coprirsi la faccia che andava adesso fra i capelli umidi (dove, effettivamente, trovò ancora dei pezzi di frutta). Jaden sorseggiava tranquillamente un cocktail, ma quando Nate lo addocchiò fu rapida nel porgerglielo, come captando nell'amico il bisogno d'alcol. «Chissà perchè sei ancora single quando sei così in gamba col gentil sesso»
    Ahia. Nathaniel sorrise sbieco afferrando quello che pareva un martini e buttandolo giù senza ripensamenti. Non era colpa sua se si era innamorato di una persona che amava più la libertà e cazzate varie rispetto a lui. Non era colpa sua se ancora l'idea di Aveline, che potesse tornare, gli impediva di provarci anche solo in modo leggero con chiunque altro. Sapere che non sarebbe tornata, che non provasse lo stesso che provava lui, non era abbastanza per fargliela dimenticare dopo così pochi mesi. «Devo solo riprendere la mano»
    «Le mani. Passare il tempo con i quindicenni - e Euge fa parte di questi - ti ha reso tale» Ovviamente Jaden non aveva tutti i torti, ma Nate non aveva intenzione di darle ragione. Era un uomo adulto, era un sex symbol (???) e non si sarebbe offeso per la prima ventenne ragazza madre che gli diceva di darsi una svegliata. Poi una Jaden, che dopo due (2) anni di convivenza e un figlio ancora non ammetteva di provare qualcosa di forte per Euge... Nate moriva dalla voglia di intervenire nella loro relazione, ma con Lydia ne avevano già parlato: ci voleva la giusta situazione, il giusto momento. Le otp non sailgono itself. «Non riesci a fare a meno di citare Euge»
    «cosa.»
    «COSA» Fortunatamente, la sua ancora di salvezza venne data da un «scusate, qualcuno sa il francese? per favore?» dopo distante. OPS DEVO ANDARE FINIREMO IL DISCORSO UN'ALTRA VOLTA
    «CiaoscusaadopoReaèlaggiùcomunque» ignorando oltre Jaden (ragazza o no del suo migliore amico, non era lì per farsi giudicare da lei) (anche se aveva ragione) (non aveva una relazione, seria o da una botta e via, da cinque mesi, e inziava a sentirsi solo) (ma non era questo il momento per pensarci) si catapultò da dove era giunta la voce, trovando una Idem selvatica.
    - una Idem selvatica?
    «Cosa-» si morse la lingua. No, non avrebbe chiesto a Idem cosa ci faceva in uno strip club pur avendo a carico una bambina (tanto per iniziare, perchè anche gli Eubeech ce l'avevano, but here they were); se aveva degli impulsi, non sarebbe stato Nate a giudicarla. VAI IDEM, TOGLI PURE CON I DENTI QUELLA GIARRETTIERA O QUEL COSTUME DA POMPIERE!!!!111 «-ti serve? Vuoi ordinare del tè? So un pou de français» bugia. Il massimo che sapeva dire era vulevucusceavecmuasesuar, ed era piuttosto fraintendibile. Per quella sera, basta cocktail in faccia; ma poteva non aiutare un'amica? «Fra l'altro ho sentito che ci sarebbe stato-» «SOHO!» «-il clan Hilton, ma sì. Anche lui»
    Niente, Jaden era persa. Nate, al fianco di Idem, seguì con lo sguardo la bionda allontanarsi rapida, e facendo spallucce si sistemò il gilè in modo che coprisse la macchina del drink di poco prima; puzzava come un barbone ubriaco, ma almeno sembrava pulito.
    Jaden, l'altro canto, sembrava una dodicenne al concerto degli one direction quando si approcciò al rapper. Eh, non era colpa sua se era una sua grande fan da- sempre. Davvero sempre. Lo ricordava agli albori, quando ancora a dire il nome nessuno si girava, e su internet partivano le scommesse fra chi diceva avrebbe fatto grandi cose, chi che sarebbe scomparso nel nulla. «Sei quello vero» disse senza neanche prendere fiato, le guance arrossate per l'eccitazione. «Sei proprio tu. Si vede subito che non sei quello falso- ti si riconosce, sai? Un vero fan lo sente» si portò il pugno al petto. E se-?.. Poteva chiederlo? Poteva??? No, non poteva, doveva. «FacciamounastoriainstagraminsiemeesalutiilmioamicoBrodiFibrasarebbefelicissimo»
    Ne era valsa la pena rischiare la vita di Uran (che mai avrebbe lasciato con uno sconosciuto dopo tutti i bordelli degli ultimi tempi) per essere lì quella sera... ma questo non ditelo in giro #ciauHunter
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    Edited by Beech‚ pls - 2/8/2018, 23:44
     
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    Varcò la soglia del Lilum lasciando cadere il soprabito senza un minimo preavviso. Si voltò appena per cercare di scorgere Richard, il suo maggiordomo, effettuare una serie di manovre circensi per riuscire a prendere l'abito in tempo prima che cadesse, facendola sorridere. Oh, adorava metterlo in difficoltà in questo modo, era uno degli aspetti più divertenti dell'avere un servitore personale e devoto. Lui sapeva benissimo che se l'abito avesse anche solo sfiorato il terreno lei lo avrebbe torturato lì, davanti a tutti e poi lo avrebbe mandato direttamente in Giappone a farne cucire uno nuovo. Katja aveva girato il mondo, ricca ereditiera di una famiglia purosangue russa, ma era in Giappone che aveva trovato il divertimento maggiore, e gli abiti migliori. « Bravo, Ricky. » Ammise, senza troppe cerimonie, risollevando il morale dell'uomo che sapeva dipendesse dalle sue labbra come un vero imbecille, anche se poteva solo ipotizzarne il motivo. Era da tutta la sera che aspettava per mettere in mostra il suo abito nuovo che le era costato un occhio della testa ma che non aveva minimamente intaccato le sue finanze, così come aveva atteso per tutto il volo sul suo jet privato solo per mettere in mostra lo stacco di cosce del quale andava molto fiera. Era arrivata giusto in tempo per godersi la pessima figura che un ragazzo poco distante da lì fece con due ragazze. E se Katja, anche detta la fenice, avesse avuto un cuore, questo avrebbe perso qualche battito per lui. Era così affascinante quanto bizzarro.
    « Prendimi da bere ». Ordinò a Richard, puntando lo sguardo verso il tipo, era accompagnato da una mora della quale non poteva sapere il ruolo, ma aveva poca importanza. Richard si diresse verso il bancone, senza fiatare, mentre a lei sarebbe toccata la parte più piacevole della serata: socializzare. Tirò fuori dalla borsetta il suo Iphone X + III, fabbricato solo per lei da Steve Jobs in persona. L'ultima opera più interessante di Stevie prima di tirare le cuoia.
    « Ow ». Si lasciò andare ad un momento nostalgico di almeno due secondi. Si ammirò nel vetro del cellulare che fungeva da specchio, accarezzandosi una ciocca di capelli rossa, e...non ci fu bisogno di premere alcun tasto, bastò il pensiero per fargli scattare una fotografia. Il telefono già sapeva, ovviamente, se la foto fosse quantomeno decente (non vi era dubbio che lo fosse, comunque) ed avrebbe pensato lui stesso a condividerla su instagram con gli hashtag appropriati. Non perse di vista il giovane che aveva adocchiato e non appena Richard le portò il suo malibù con una parte extra di vodka, si avviò verso di lui. Lo avrebbe fatto voltare, richiamando la sua attenzione sfiorandogli una spalla con le dita e non appena si fosse girato avrebbe detto...
    « All'inferno i morti ballano ». Ma non era nemmeno sicuro che avesse usato queste parole, la musica era troppo alta per comunicare con chiarezza, ed era anche probabile che avesse detto "all'esterno i corvi gracchiano" o "nel forno i porri saltano", ma che senso avevano tutte queste frasi?
    Katrina "Katja" Sokolova
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    Edited by gideon‚ - 21/8/2018, 13:54
     
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    «Sono...» con un dito, Nicky andò a toccarsi il viso, passando dopo a sfiorarsi le labbra. Avvampò immediatamente per il gesto, ritraendo la mano, ma continuò a fissare il proprio riflesso nello specchio; abbassò lo sguardo, sulla maglietta che rimaneva attillata. Era tante cose, Nicky Winston, non tutte positive, ma la parola che stava cercando (semplice eppure così difficile da dire ad alta voce) non l'aveva mai usata per se stessa, non seriamente, non credendoci davvero. Lei, così bella, non ci si era mai vista, nè pensava sarebbe mai riuscita a vedersi; non era solo il trucco, la linea di eyeliner sopra le palpebre, il rossetto che entro fine serata si sarebbe mangiata, era... tutto. L'insieme. Le guance si imporporarono ancora di più, mentre la lingua finalmente riusciva a pronunciare l'aggettivo: «tettona» le dita, già a coppa, finalmente andarono a circondare i seni sopra la maglietta, strizzando leggermente. Brividi. Ok, non era una quinta, non era l'ex assistente di corpo a corpo Beech o quell'altra bionda scomparsa a dicembre che seguiva su instagram... ma wow. Per una Nicky Winston tavola da surf che non aveva mai avuto il piacere di toccare delle tette che non fossero i propri piccoli kiwi, era davvero... emozionante.
    Si era appena presa una cotta per se stessa. Onesto.
    Si voltò verso gli amici, gli occhioni grandi e scuri, quasi neri, spalancati per l'imbarazzo. Aprì la bocca cercando un commento che potesse giustificare il proprio entusiasmo senza farle fare il peggior coming out della vita, ma tutto ciò che riuscì a dire fu: «Mi piacciono le tette». No, non funzionava, troppo gay. In realtà alla fine non c'era niente di strano che a una ragazza etero piacesse avere il seno grosso, quindi poteva semplicemente dire- «Sono come due peni» "NO HOMO." Conosceva Halley da... quanto, un mese? Non voleva già pensasse le sarebbe saltata addosso, sarebbe stato troppo disagiante e avrebbe distrutto la loro amicizia sul nascere. «.........VABBE' RIPETIAMO IL PIANO, VI VA????»
    Il piano era semplice. Falsa identità per entrare al Lilum ad una festa per soli maggiorenni, foto a manetta agli Hilton e a tutte le altre personalità famose presenti (vogliamo parlare di Jk Lowell??? Nicky aveva una sua foto sul diario e aveva chiesto ad Halley se a settembre l'avrebbe fatta entrare nel dormitorio grifondoro femminile in modo da potersi sedere sul letto che era stato suo ai tempi di Hogwarts; IL LETTO DOVE JERICHO LOWELL AVEVA DORMITO E SOGNATO E INSOMMA TUTTO IL RESTO, CAPITE????), possibilmente ascoltare Soho parlare e diventare un po' etero a causa sua, già che c'erano, una guardatina al sedere delle ballerine del Lilum (ma questo non l'aveva detto ad alta voce), e poi video su video video video a Yale Hilton (e magari dargli un abbraccio; sarebbe stato un sogno).
    Nicky non ci poteva credere che avrebbe incontrato Thomas, il suo Thomas... Ok, non era Thomas, era Yale, ma nel cuore della tassa?? Nel suo cuore era Thomas, il pg bello e dannato che muoveva su quel gdr insieme a Beh e mille altre persone di cui non conosceva l'identità. Il suo bambino. Ovviamente Nicky amava tutti i propri personaggi (del gdr o delle fanfiction) come figli, ma Thomas era un po' più speciale, forse perchè era stato il primo, forse perchè era muovendo lui che si sentiva più se stessa che mai (pur essendo Thomas decisamente diverso dalla ragazzina; e con una vita sessuale più attiva), o ancora perchè aveva una chiara cotta per Yale Hilton. Le veniva da piangere alla sola idea di poterlo vedere in 3d... Thomas o no, neanche Yale Hilton come persona scherzava. Aveva forse scritto più fanfiction su di lui che su chiunque altro, e sebbene fosse una multishipper, ovvero non si fissasse sempre sulla stessa otp, erano un sacco le persone che leggevano i suoi scritti (tranne le hiltcest, loro la insultavano e basta; Nicky di solito le insultava di rimando quindi AAAACABBBBB).
    «Caldi persi??» no (e non solo perchè nessuno conosceva il significato di quell'espressione). Nicky si sentiva le gambe tremanti, e aveva una paura fottuta di venir scoperta e punita. Era pur sempre una festa per soli maggiorenni, e se si fossero messi nei guai?? «Nessuno gira da solo, mi raccomando. Non vogliamo essere stuprati da strani maniaci» sì, aveva una certa idea delle persone che giravano il Lilum.
    Un ultimo respiro, e Buthere Weare si avvicinò alla porta d'ingresso.

    Bunny si passò la mano fra i capelli biondi, ravvivandoli prima di avvicinarsi al bancone del bar incurvando le labbra ciliegia. «un boulevardier, grazie» Non si era preoccupata di cambiare aspetto, Heather Morrison, prima di entrare nel nuovo non nuovo locale. Truccata nel modo giusto, un vestito scollato e un po' osè con tanto di collare che, sapeva, avrebbe fatto impazzire troppi uomini lanciandoli nelle peggiori fantasie sessuali, il tutto condito da un atteggiamento sicuro e malizioso, appariva abbastanza grande e matura per essere lì senza essere accompagnata da mamma o papà. Era sempre andata al Lilum o altri locali con documenti finti senza preoccuparsi di usare un'altra faccia, perchè farlo adesso, per l'evento dell'anno? Si riteneva troppo carina per usare sotterfugi; possedeva un viso da bambola di cui andava fiera e che amava venisse elogiato, quindi perchè impegnarsi tanto e annullarlo per quella sera? Voleva che la gente la vedesse, che la amasse, che le facesse complimenti. Cos'era il peggio che poteva capitarle per essere entrata senza permesso, venire sbattuta in strada dal buttafuori? Per favore, era già stata sbattuta da quel tipo, e a George conveniva continuare a far finta che Heather fosse maggiorenne, se non voleva finire in carcere.
    Lo sguardo di Heather andò alla ragazza poco distante che continuava a fissarla. Con un sopracciglio alzato e un sorriso languido, la bionda alzò il bicchiere verso di lei, vedendola quasi sobbalzare di rimando e poi fuggire via rapida. Chi lo sa, forse aveva riconosciuto il viso di Heather, forse si era presa una (comprensibile) cotta per lei; forse era solo strana.
    Stiracchiandosi come un gatto, Heather si alzò lasciando sul bancone il bicchiere vuoto e i soldi con stanto di mancia. La tipa era sparita, ma poco male; per quanto fossero sempre piacevoli, Heather non era interessata a quel genere di interazioni. Non quando aveva una reputazione da farsi, e un'intero entourage di giovani uomini in cerca di un'avventura su cui poter fare affidamento.
    «Ehi» si avvicinò ad un ragazzo di cui aveva incrociato lo sguardo (SEI TU? VUOI ESSERE TU?????), e portandosi un dito alla faccia come pensierosa mentre lo soppesava, incurvò le labbra in un sorriso pigro. «Vuoi ballare?»

    «Ho visto Heather Morrison» bisbigliò rapida a Beh. «Giuro! Proprio... proprio lei! Ma non mi ha riconosciuta»
    E grazie tante. Con quel corpo addosso nessuno avrebbe potuto riconoscerla, nonostante i suoi atteggiamenti imbarazzanti... per questo dovevano usare altri metodi per trovarsi con i chips nella folla. Un rosa all'occhiello sarebbe stata più romantica e clichè, ma Nicky aveva optato per mettersi semplicemente una collana di starlight gialli e rosa come bracciali e intorno al collo. Non molto in tinta con le maschere dei ballerini, ma almeno visibili. Alzò lo sguardo cercandoli, ma quando incrociò gli occhi di una ragazza quasi completamente nuda (GIURO, nuda!!) che le ammiccò, lo riabbassò rapida. «Voi avete visto Erin e Scott? Dovrebbero essere già arrivati...»
    O almeno così sperava. Sarebbe stato più facile girare anche con loro, meno imbarazzante. Non avrebbe voluto obbligarli a stare insieme ai Losers in gruppo ma era certa che si sarebbero divertiti tutti di più, se avessero condiviso l'avventura insieme. Si era immaginata quella spedizione molto più epica, invece al momento voleva solo sotterrarsi - tutta quella gente svestiva che le lanciava occhiatine, uomini di mezza età che le offrivano da bere... e di Thomas neanche l'ombra.
    «HARVARD HILTON. QUELLO È HARD-VARD HILTON, CAZZO!»
    Nicky si voltò di scatto verso la voce, cercando il protagonista dell'esclamazione. Non muoveva lei il fratello di Yale, ma c'era sul gdr. Avrebbe fatto felici un sacco di persone se fosse riuscita a fargli un paio di video da giffare (c'erano sempre role con feste universitarie sul FRAT in cui avrebbero potuto usare le gif), senza contare che dove c'era harvard, di solito c'era anche yale. «VELOCI!» cellulare in mano pronto a riprendere, Nicky si fece largo fra la folla, cercando di raggiungere la provenienza della voce, cercando l'hilton tra la folla e- «PORCA KLANCE» inciampando rovinosamente su qualcosa (o qualcuno.), Nicky perse l'equilibrio. Allungò le mani per non cadere, posando le mani giusto giusto sulle tette di «Niamh». La sua Niamh, quella con cui viveva, quella che non sapeva Nicky fosse andata all'inaugurazione del Lilum e che probabilmente se lo sarebbe fatto scappare col fratello (che non avrebbe approvato). Fantastico. Nicky spalancò gli occhi «Non è come sembra» non sono ad una festa per soli maggiorenni per pedinare persone famose anche se avevo detto a te e Mitch avrei dormito dai Tryhard dopo il saggio di Meh COSA DICI. Ovviamente, si ricordò solo in quel momento che era lì con un'altra faccia. «Mi chiamo Here» eeee che aveva ancora le mani sulle tette della ragazza. Le ritirò rapida «E queste me le riprendo»
    Buthere Weare | college student | 20 y.o.
    usagi "bunny" tsukino | magical girl | 19 y.o.
    I pray for the wicked on the weekend
    Mama, can I get another amen?
    Oh, it's Saturday night, yeah

    looks like a plot for a angsty gay fanfiction
     
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    «parrish»
    Ah, ecco che iniziava il gioco finalmente. "Mi conosci?" avrebbe chiesto Gideon all'avventuriera, presentandosi successivamente come Gideon e facendo notare con poca grazia di non essere il gemello (a Gideon non piaceva essere scambiato per Noah, l'aveva appena deciso). Sarebbe stato divertente allora iniziare il dialogo con questo conoscente di Noah, magari il ragazzo sarebbe anche riuscito a captare cosa ne pensava di lui grazie ai panni di Gid.
    Si voltò volutamente lento, la flemma di chi sa di potersi far aspettare, ma il suo sorriso da conquistadores si raffreddò alla vista della ragazza; non tanto perchè Jericho non fosse carina e non meritasse una chance, o perchè non fosse felice di vederla - figuriamoci! -, ma perchè era una fottuta telepata, santo cielo. Era una partita persa in partenza per il povero Parrish, che fu rapido nel trasformare il ghigno sulle labbra in una smorfia più gentile e cordiale, più sua. Era stato quasi obbligatorio dire a Jericho di Gideon, e a dir la verità non se ne pentiva: qualcuno che poteva assicurare di averli visti insieme gli faceva comodo, anche se non poteva giocare con lei.
    «sono famosa.»
    «Oh» stupito, piacevolmente stupito, Noah si riscosse in fretta e spalancò gli occhietti belli, lesto nell'afferrare la ragazza cingendola dalle spalle. «Congratulazioni!»
    Si voltò verso il barista, alzando il braccio libero per richiamare la sua attenzione. «Garçon! Ci porti due bicchieri d'assenzio» Dovevano festeggiare! Noah, come Magnus prima di lui, aveva un certo fetish per la fama; non lo aveva mai nascosto, pensando fosse ovvio desiderare venir ricordati oltre la propria morte, ed aveva ovviamente preso la notizia dell'amica come qualcosa per cui brindare... e cosa c'era di meglio della Fata Verde, ispiratrice di tanti artisti prima di loro? Neanche sapeva come fosse diventata famosa, ma importava? Per i propri disegni, la propria parlantina o come killer, Jericho si meritava comunque tutte le attenzione che quel mondo sapeva darle.
    Senza contare che con Jericho famosa, sarebbe stato più facile diventarlo lui stesso.
    «Ora sei una influencer aveva sentito dire quel termine da Amos una volta, e sebbene non avesse ancora colto al cento per cento il significato, aveva capito che gli influencer erano i veri vip di quel millennio.
    Quando gli shottini verdi arrivarono, Noah alzò la mano al cielo col il bicchiere, inclinando leggermente la testa in basso continuando a guardare la ragazza... prima di notare che qualcuno stava facendo loro una foto. "E' stato veloce" sfoderò un sorriso brillante, e dopo aver battuto l'assenzio sul tavolo mandò giù l'alcolico. «Un piccolo passo per l'uomo, un grande passo verso la conquista del mondo»


    Quando qualcuno gli toccò la spalla, Nate si voltò sorridendo cordiale ma confuso «Sì?»
    No.
    «All'inferno i morti ballano»
    Il cuore a stringersi dolorante, espressione a farsi stupita, Nathaniel spalancò la bocca dimenticandosi la conversazione con Idem, occhi solo per la ragazza di fronte a sè. Non poteva essere lei, ma non poteva non essere lei. Non quando era così simile, non quando la sua voce era uguale, non quando era Aveline.
    Il primo pensiero fu di abbracciarla, o baciarla, o toccarla in qualsiasi altro modo. Prenderle il viso fra le mani guardandola negli occhi e imprimendosi il suo viso nella memoria dopo sei mesi di lontananza, annusare l'odore dei suoi capelli, sfiorare la sua pelle di pesca... come secondo cosa, si rese conto di essere arrabbiato con lei, che insieme al piacere la sua vista gli aveva dato anche una scarica di dolore. Ricordò le sue parole quando se n'era andata, i giorni che aveva passato distrutto sul divano, le sciocchezze che aveva fatto cercato di dimenticarla, e il male, il male al petto e alla testa che per settimane, mesi, non lo aveva mai lasciato solo. Aveline lo aveva scaricato, e ora tornava come se niente fosse successo quando Nate si dimostrava pronto a provare a dimenticarla? Tornava con un sorriso disarmante ad una festa in cui c'era il mondo, con un vestito sexy che a mala pena la copriva? "Una festa in cui c'è il mondo."
    Merda.
    Aveline non poteva stare lì, con quella faccia alla luce del neon. E se l'avesse vista qualche pavor? Forse era arrabbiato con lei, forse aveva pensato in certi momenti di odiarla, ma non l'avrebbe mai voluta morta. Non quando l'amava ancora.
    L'afferrò per il braccio, affrettandosi a tirarla via facendosi spazio con l'altra mano fra le gente, spingendola poi verso il muro più vicino, mettendosi avanti a lei per coprirla alla vista. Idem avrebbe capito, al momento gli interessava solo che nessuno avesse notato il fuggi fuggi. Guardandosi rapido attorno con la coda dell'occhio, vide che nessuno stava facendo caso a loro; non erano neanche l'unica coppia che cercava un po' di intimità, sebbene la maggior parte di queste fossero formate da spogliarellisti del Lilum.
    «Tu sei morta» sibilò senza riuscire a nascondere del tutto il tono di voce ferito avvicinando la faccia a quella di Aveline, perchè potesse sentirlo sopra la musica. Il suo sguardo finì inevitabilmente sulle labbra della ragazza (vicine, troppo vicine), e con un immenso sforzo lo riportò agli occhi chiari di Aveline, ignorando di soffermarsi sulla linea morbida del viso. «Non puoi farti vedere in giro. Se ti riconosce la persona sbagliata sei morta, Aveline» Aveline, insieme morbido e tagliente sulla lingua. Faceva un certo effetto dirlo ad alta voce, dirlo a lei, quando per mesi il solo pensarci era stato motivo di dolore. «Cosa ci fai qui?» Perchè sei tornata? Perchè sei venuta da me? Cercò di scacciare l'idea che fosse lì per lui, per riprenderselo. Perchè lo amava. «Non dovresti essere-» a fanculonia? «-da qualche parte a salvare balene o cose simili?» o a fare attentati ribelli. Nate preferiva far finta di non saperne niente, in modo da non diventare compromesso, e continuare a credere fosse andata ad affondare baleniere e salvare bambini poveri in Africa. Che importava dove era stata per quei mesi, quando aveva preferito questo fantomatico posto, questa fantomatica causa, a lui. A loro?
    mysterious & flirtatious | 1995's
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    erin (therese chipmunks) timberlake aguilera & (anastasie baudelaire) lydia hadaway
    erin&lydia
    «come sto?» domandò ancora in uno squittio nervoso, facendo scivolare le dita fra i lunghi capelli castani. Erin Therese Chipmunks, conosciuta pubblicamente come Erin Timberlake Aguilera, la cugina colombiana di Phobos Campbell, non ricordava di essere mai stata così agitata in vita sua – neanche il primo giorno di scuola ad Hogwarts, o quando Kieran aveva dato a lei e Scott le misteriose lettere del futuro. Sentiva le guance accaldarsi ogni qual volta lasciava la mente vagare sul goal della serata, il cuore frinire contro le costole come una cicala impazzita. Sollevò atterriti occhi color muschio su sua madre, sentendo la gola farsi, se possibile, ancor più stretta – ed il respiro affannato oramai vicino ad un vero e proprio attacco di panico. In risposta all’agitazione interiore, il suo corpo reagì strizzando più violentemente di quanto non fosse voluto la mano della Hadaway nella propria. Ogni volta che ne incrociava le iridi verdi foresta, troppo simili alle proprie perché potesse essere una coincidenza, sentiva il muscolo cardiaco accartocciarsi nel petto. Mia mamma, continuava a ripetersi rimanendone meravigliata come la prima volta, il sorriso a farsi umido del pianto nostalgico di un tempo che non poteva ricordare. Con lo sguardo cercò Scott, sapendo che suo fratello, il suo miglior amico, avrebbe saputo interpretare quell’espressione – che avrebbe capito. L’aveva fatto sempre. Talvolta, a pensarci con raziocinio e logicità, diventava tutto semplicemente troppo travolgente, minacciando di soffocare la Chipmunks nelle duemilaquarantatrè cose che non poteva dire. Frequentare Nicky Winston metteva già a dura prova la friabile emotività della Ribelle, la quale doveva combattere quotidianamente con il bisogno di poggiarle le mani sulle spalle e saltellare felice dicendole di essere sua cugina – l’unica cosa a frenarla era il fatto che se Gwen aveva resistito per mesi, poteva farlo anche lei, e che se ancora non aveva ricevuto la propria lettera, un motivo doveva pur esserci: Erin quelle regole le rispettava come dogmi religiosi. Gli unici con i quali poteva chiacchierarne a tempo pieno erano Scott, il quale però ne sapeva quanto lei, Jekyll, ma era di una tristezza allarmante vedere gli occhi chiari di lui farsi sempre un po’ più tristi, e Hyde, il quale di certo non contribuiva a qualsivoglia conversazione. Con Halley e Hunter era, se possibile, ancor più complesso che con Nicky: la possibilità di parlarne era limitata dal fatto che loro non sapessero di Eugene e Jade, ed Erin aveva sempre timore di farsi sfuggire qualche informazione di troppo. Resistette alla tentazione di lasciare la presa su Lydia per stringersi a Scott come un koala al suo albero di eucalipto preferito: poteva farcela. Lydia, elegante nel suo due pezzi nero, le sorrise con un sopracciglio arcuato, gli occhi di lei a guizzare dall’uno all’altro dei suoi figli - Dio, Erin poteva quasi percepire l’insegna al neon sopra la propria testa ad indicarglieli come tali. «sei bellissima» replicò ancora lei, sistemandole una ciocca bruna dietro l’orecchio. Non importava quante volte glielo domandasse, la risposta di Lydia rimaneva invariata – e così la reazione della Chipmunks, incapace di trattenere il sorriso gonfio di orgoglio e gioia. Pensava che fosse bellissima. Se avessero chiesto ad Erin un aggettivo per Lydia Hadaway, avrebbe risposto con bellissima senza dover sprecare un secondo del proprio tempo per pensarci; una lusinga del genere, da lei!, era più di quanto un tenero cuore come quello della Chips potesse sopportare.
    Ed aggiungiamo il fatto che gliel’avesse detto la sua mamma, Erin era già sul pericoloso ciglio delle lacrime. Sventolò le mani sotto al viso per asciugare gli occhi già gonfi di pianto – aveva un mascara waterproof, ma conosceva le proprie lacrime abbastanza da sapere che possedevano un sovradosaggio di water che interferiva con il trucco – e rivolse un enorme sorriso alla rossa. «lo pensi davvero?» una voce sottile e gravida di significati, le labbra color pesca curvate verso l’alto. Non possedeva vestiti eleganti, e non era abbastanza coraggiosa da domandare a qualcuno di prestarglieli, quindi aveva improvvisato con quel che possedeva nell’armadio: indossava un foulard nero ed uno a fantasia righe intrecciati fra loro ed avvolti sul petto, lasciando scoperto un triangolo di stomaco e ventre; una vecchia gonna che riprendeva il colore dorato del foulard era stata mutilata dando via a diversi strati di stoffa di cui i più spessi le coprivano le gambe fino a metà coscia, ed i più leggeri ed impalpabili arrivavano fino alle scarpe – dove non aveva potuto improvvisare più di tanto: il meglio che fosse riuscita a fare era stata colorare le stringhe delle scarpe di tela di nero. Dal basso del suo neanche metro e sessanta, il mondo era un fascio di luci e stoffa colorata. «ti ho mai mentito?» Era quasi un anno che Erin e Scott infestavano la vita di Lydia. Scosse il capo risoluta, sentendo gli occhi brillare di pura e semplice felicità. Era la prima volta dopo Dicembre che Erin si sentiva davvero felice, malgrado non riuscisse a opprimere del tutto l’acuta vena di tristezza data dall’assenza degli Altri. Sapere che fossero vivi le aveva permesso di tirare un sospiro di sollievo, ma non a rendere meno tollerabile la loro mancanza. «scott?» si trovavano all’entrata del Lilum, superato il controllo (con i documenti chiaramente falsi: Erin non poteva farsi conoscere con il suo vero nome) e direttamente nel locale – un locale dove una qualunque Erin, in un qualsiasi altro giorno, si sarebbe sentita a disagio, ma non quel giorno: aveva un obiettivo, e gli ammalianti camerieri e cameriere non avevano alcun effetto su di lei.
    E l’obiettivo, aveva un nome, anzi, quattro: Philadelphia Sutton Maribel Soledad.
    Penn Hilton.
    Era la sua icona, il suo modello di vita, il suo idolo. Tutte le fanfiction di Erin la vedevano, seppur in chiave fiabesca, come protagonista; quando immaginava Beatriz l’elfa o Livvy la DJ, era al viso di Penn che si ispirava – a tutto ciò che la ragazza rappresentava: sempre gentile, sorridente, indipendente e forte. Da quando gli Hilton avevano confermato di partecipare all’evento, Erin non aveva smesso un secondo, un secondo, dal fangirlare fino a sfociare nella follia. Quante ore aveva passato a stalkerarli su instagram? A guardare estasiata le loro live? A manipparli su photoshop? A scrivere loro lettere che mai aveva avuto coraggio di inviare? Erano davvero un’ideale di vita per la Chips, più per il rapporto fra loro (si rifiutava di credere alle faide spacciate da vip today: sapeva che si amavano) che per le comunità da loro create. Inoltre, entrare negli hil-tonoflove le aveva permesso di conoscere un sacco di fantastiki internet friend con i quali condividere le proprie passioni – non potendo uscire di casa per gran parte della sua esistenza, aveva espanso le proprie conoscenze sul web.
    Allungò un braccio per stringerlo attorno alla vita di Scott, le dita artigliate alla sua maglietta. Non avrebbe abbandonato il suo fianco neanche se l’avessero fisicamente strappata via, sperando che quel gesto bastasse a placare l’ansia del suo miglior amico: il Lilum era troppo affollato perché nessuno, anche solo passandogli affianco, lo toccasse, ed Erin sapeva quanto fosse sensibile al contatto. Quella stretta significava ci penso io, a te - come avevano sempre fatto.
    In ogni vita.
    «ho trovato sin» indicò qualcuno, di cui era visibile solamente la coppola, dall’altra parte della stanza. Erin ne seguì lo sguardo, saltellando ed afferrando per la spalla Scott. «c’è anche stiles!» Stiles avrebbe saputo dove fossero i Loser – ed insieme avrebbero potuto cercare gli Hilton. Si fece largo fra la folla con la testa bassa per farsi spazio, le dita intrecciate a quelle di Scott e Lydia. «STILES» «ho incontrato yale. e ho UNA FOTO CON PENN» ???????????? slacciò le mani dalla sua family per stringere le dita attorno alle spalle dello Stilinski. «SAI DOV’è? oh mio dio. una FOTO? Profuma vero? si, non dirmelo, sicuramente profuma di zucchero e panna montata. È BELLISSIMA NON è VERO? SCOOOO/OOOOOO/TT. SCOTT, HA FATTO UNA FOTO CON PENN!!» si sarebbe messa a piangere, lo sapeva. Lo sentiva. Nel mentre, una confusa Lydia Hadaway, osservava un cieco Sinclair Hansen con il capo reclinato sulla spalla ed un cipiglio curioso. Gli voleva bene anche così. Stiles si chinò per sussurrare qualcosa all’orecchio di Erin.
    Ed in quelle tre parole, l’inizio della fine.
    «è dal bancone»
    Prima di perdere coraggio, e già dimentica della dignità, rivolse uno sguardo di scuse a Lydia ed iniziò la sua Marcia della Gloria verso il bancone – con Scott appresso, chiaramente: i Chips erano pacchetto unico, sempre in doppio come gli oreo. «penn hilton?» appena un sussurro quello della Chipmunks, gli occhi chiari ad arrampicarsi sulla troppo bella figura di lei. era… era lì sul serio? Doveva dirle così tante cose, domandarle almeno un autografo ed una foto (possibilmente con anche i loser, quello sì che sarebbe stato un sogno!!), chiederle quale fosse il suo animale preferito…ma non riuscì ad emettere alcun suono se non un sofferto, agonizzante, mormorio. «penn hilton» e l’accesso di adrenalina ebbe la meglio sul corpo sottile della Chips, che non resse più la pressione abbandonandola a se stessa.
    Ebbene sì. Ancorata al fratello come una stella marina allo scoglio, Erin Chipmunks svenne.
    hufflepuff | 2000's | rebel
    1996's | empty memory | historian
    You won't believe what I've seen, momma
    There's a fire inside,
    there's a storm on the rise
    tonight you're perfect, I wanna fall in love with the stars in your eyes
     
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    I am not a hero.
    I am a loser scientist.
    Percepì l’urlo che gli sfuggì dalle labbra, piuttosto che sentirlo. O considerarlo proprio.
    Sapeva di aver aperto la bocca, sapeva di aver emesso un suono particolarmente acuto, sapeva di aver fatto qualcosa, di aver portato una mano alla bocca, ma non riusciva a capacitarsene, a pensare che, effettivamente, quel gridolino appartenesse a lui.
    Si portò una mano alla tempia, massaggiandola piano, mentre con l’altra si reggeva al muro del piccolo bagno, cercando di trovare un senso a quella situazione.
    Doveva pensare Hunter, compito particolarmente arduo in quel momento. Doveva provare a schiarire la mente, a inspirare lentamente, a espirare e a sopprimere l’impulso di spalancare la porta di legno, prendere la testa della sorella e farla collidere con gentilezza contro il lavandino.
    Il Corvonero non era una persona violenta. Non era istintivo, non si lasciava dominare dalle emozioni, era una persona cinica e razionale. Almeno fino a quel momento. Fino a quando, una volta bevuta la Polisucco, non si era ritrovato in un corpo dalle forme decisamente più morbide e delicate di quanto non si aspettasse. Ricordava piuttosto bene il modello a cui aveva preso in prestito un capello quel pomeriggio, se non per la sua bellezza folgorante, perché aveva girato per tutta Londra con Nicky e Halley alla ricerca della copertura perfetta. Erano stati da Tom Ford, Burberry, persino da Tommy Hilfiger, prima di approdare da Abercrombie & Fitch e sbavare scattare una foto col modello. Era stato facile: Hunter distraeva la fotografa mentre Nicky le prendeva un capello, Halley si beccava la foto e, nell’abbracciarlo, avrebbe fatto lo stesso. Semplice, lineare. Lei si beccava la pozione con quello lungo, femminile, lui con quello corto.
    E ALLORA COSA POTEVA ESSERE ANDATO STORTO?!?
    Se lo sentiva, sapeva che quando gli avevano passato la pozione da bere, questa avesse un colore troppo carino e delicato, decisamente poco mascolino, e che non prometteva niente di buono.
    Sospirò, staccandosi finalmente dal muro, e aprì la porta.
    Sarebbe andato tutto bene, meravigliosamente bene. Quella sera avevano già infranto almeno una decina di regole dello Statuto del mondo magico e ne avrebbero violate almeno altrettante nelle ore successive, che motivo aveva di mettersi altra ansia addosso? Doveva solo trovare uno specchio e ignorare quel vuoto che sentiva in mezzo alle gambe. Magari il modello non era particolarmente dotato, magari era Ken! O Action Man! Gli tirava anche la felpa sull’altezza del torace! Wow. Ok, non ricordava che il modello avesse dei pettorali così performanti e morbidi (perché i ragazzi sono attenti alla struttura fisica e al tono muscolare degli altri maschietti, giusto? Giusto.), magari era lui che era troppo magro e smilzo.
    Saltellò sul posto qualche secondo, aspettando che la Tassorosso, ormai Polisuccata e pronta per la serata, gli facesse un po’ di spazio, dandogli così la possibilità di…

    “IIIIIIHHHHH ANCH’IO.”

    Sentì l’aria graffiargli i polmoni, mentre quel respiro misto rantolio accompagnò il mutare della sua espressione che, da speranzosa, divenne la quintessenza del panico.
    Balzò indietro, come se lo specchio fosse diventato improvvisamente di lava, incredulo.

    “È uno scherzo, vero?”
    Domandò agli altri tre, prima di voltarsi nuovamente e accertarsi ancora una volta di non essere improvvisamente vittima di una fattura stordente.
    Osservò gli occhi chiari, di un azzurro non troppo diverso dal suo ma più limpido, il loro taglio delicato. Si portò una mano al viso, tastando quelle labbra morbide, carnose e decisamente troppo femminili. Spostò lo sguardo sui lunghi capelli castani che incorniciavano due guanciotte da criceto, sul collo lungo e delicato, sul tessuto che tirava.
    “Non può essere. Ho due… due…”
    Levò le braccia in aria, non sapendo che fare, non riuscendo neanche a completare la frase. Intrecciò le dita tra i capelli. Sarebbe stato più naturale portarle al petto, ma non poteva. Non riusciva neanche a sbirciare per accertarsene, per avere la prova inconfutabile di star vivendo un incubo.
    Hunter era un ragazzo normalissimo, con una reazione normalissima.
    Lui aveva troppo rispetto per ogni esemplare femminile, animale, vegetale, animato, inanimato o alieno; non le avrebbe toccate. Non avrebbe passato l’intera serata a trastullarsi in bagno massaggiandone prima una e poi l’altra. Non avrebbe saltato nud(a)o davanti allo specchio solo per vederle sobbalzare da una parte all’altra.
    Non avrebbe fatto niente di tutto questo. E non perché gli facevano tremendamente senso o perché non avrebbe mai sfiorato una ragazza in vita sua senza esplicito consenso, ma per una questione di tatto, considerazione e stima. NO HOMO, intesi?
    “Halley!"

    Tuonò ben poco credibile grazie alla sua nuova vocina, mentre spalancava la porta del bagno in cui la sorella, apparentemente, si stava cambiando.
    Non poteva credere, per l’ennesima volta nel giro di pochi minuti, allo spettacolo che gli si parò davanti. Non poteva credere, tra le altre cose, che entrambi condividessero i natali. Se fosse stato vero, se fosse stato effettivamente così (e sapeva fin troppo bene che era effettivamente così), avrebbe fermato i suoi genitori, bloccando sul nascere ogni possibile tentativo di avere un altro bambino. No. Don’t do it. Use condoms!
    “Uhm. Beh. Noi non usiamo il nostro membro per farci l’aeroplanino! Non è quella la sua funzione primaria.”
    Ogni intenzione belligerante scemò alla vista della Grifondoro alle prese con il nuovo prolungamento del suo corpo. Merlino, lo avrebbe decisamente notato se fosse stato lui ad averlo tra le gambe.
    “No.”
    Le puntò un dito contro, interrompendo qualsiasi cosa la ragazza gli volesse dire. O il ragazzo. Era un po’ confuso. Guardò suo fratello (?) e si sentì quasi avvampare. Aveva un fisico così perfetto, muscoloso ma non troppo. Era armonico, spigoloso ma non troppo. Era mascolino pur essendo perfettamente depilato sul torace, e la linea dura della mascella sicuramente non aiutava. Avrebbe voluto passargli la mano tra i capelli e…
    “NO!”
    Esclamò, questa volta più a se stesso che alla sorella, l’indice ancora teso verso la Grifondoro. Non doveva lasciare che i pensieri prendessero quella direzione. Anche perché erano gli ormoni che parlavano, giusto? Era tutta colpa dei ferormoni che stava inalando e dell’assenza di testosterone nel suo corpo. Non poteva esserci altra spiegazione. Non doveva esserci altra spiegazione. Non poteva avere un’erezione in quel momento e… effettivamente non poteva e basta. unico vantaggio dello scambio di pozione a meno che… Oh Morgana! E se fosse nel pieno di una crisi premestruale? Lui non poteva avere il ciclo, vero? Era pur sempre un uomo nel corpo di una donna, anche se polisuccato, no? Odiava non avere più certezze. Odiava perdere il controllo. Odiava non sentirsi più se stesso e quella confusione che provava da mesi non faceva altro che aumentare.
    “Copriti.”
    Si tolse la felpa che indossava, lanciandola contro Halley e le sue tendenze nudiste. Si voltò ad occhi chiusi, tastando la parete nel punto in cui aveva visto i vestiti che avrebbe dovuto indossare la sorella e che, sfortunatamente, erano destinati a lui. Non si premurò di controllare se avesse indossato correttamente quel triangolino che avrebbe dovuto coprire le sue nuove grazie, infilò i pantaloncini di pelle e le blusa verde, dimentico di un dettaglio di fondamentale importanze e che lo avrebbe fatto sentire libero per il resto della serata. Prese gli stivaletti e uscì da quel cunicolo sbattendosi dietro la porta. Non era una primadonna, ma in quel momento era tutto ciò che poteva fare per manifestare la sua rabbia e il suo disappunto.
    Per il resto, doveva solo attenersi al piano. Folle, ma pur sempre un piano.
    Si sarebbe concentrato sulle diverse fasi, una per volta, e avrebbe pregato anche nuove divinità affinché nessuno li beccasse. L’ultimo dei suoi desideri era quello di diventare maggiorenne ad Azkaban e festeggiare con i suoi amici e i Dissennatori.

    “Non ti allontanare. Stammi appiccicata tutta la serata. Abbiamo 40 minuti prima che l’effetto svanisca, ho controllato tre volte l’orologio. Sai cosa dobbiamo fare e… Halley, non distrarti!”
    Tirò un pizzicotto alla sorella, ormai fin troppo presa dalle luci e dall’atmosfera del locale.
    Rowena che posto! C’era, praticamente, di tutto! Le ballerine in vesti succinte, i camerieri che non potevano dirsi da meno, le gabbie. Per tutti i folletti, c’erano gabbie! Sperava, pregava, che la sorella non le notasse e che non iniziasse una delle sue filippiche contro lo sfruttamento e la salvaguardia dei diritti delle diverse specie.
    “Dicevo: andiamo in bagno, troviamo un modo per entrare insieme e ci scambiamo i vestiti.” La fissò negli occhi, che strano essere più basso di lei, con il più serio degli sguardi che quel nuovo viso d’angelo gli consentiva “O puoi benissimo dire addio alla tua fotocamera.”
    No, per Hunter Oakes quella non era una minaccia, bensì un constatare l’ovvio.
    Vide Nicky poco più avanti e decise di raggiungerla, quando non la vide più. Che si fosse emozionata a tal punto da avere un mancamento? Non potevano usare la magia, erano minorenni, non avevano la bacchetta, non avrebbero potuto far niente se non gridare aiuto o… tirarla fuori dai guai. Si bloccò a pochi passi da lei, paralizzata a terra con le mani fossilizzate sulle protuberanze altrui.
    “Oh, perdonala!” Si avvicinò, aiutando l’amica ad alzarsi in piedi. “Sa, Here si è da poco rifatta il seno e non si è ancora abituata al nuovo equilibrio, camminare può risultare davvero tanto, tanto difficile!”
    Sentì una gocciolina di sudore scorrergli lungo la schiena, raccontando più la sua situazione che quella di Nicky. Pur essendo piatta come il Lago Nero, era pur sempre una ragazza, avere il seno doveva essere naturale!
    “Oh, guarda! Quello non è il tuo Hilton? Mmmh, Yale?”
    Domandò mentre prendeva a braccetto la Tassorosso e la trascinava via dal pericolo di auto-denunciarsi. Fecero qualche passo quando, improvvisamente, si sentì violato. Se la sorella aveva deciso di importunarlo più del dovuto, aveva sbagliato serata, perché non era dell’umore. Non solo gli aveva fatto bere la pozione sbagliata, ma prendilo in giro anche toccandogli il sedere era fuori discussione.
    “Halley, ti prego smettilAAAAAAH!”
    
Halley?
    Hunter Oakes | 16 y.o.
    2043: Uran Jackson
    10.09.2001 | 10.06.2017
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    Da quanto tempo non metteva piede al lilum? troppo, era evidente – così come, probabilmente, il fatto che fosse anche invecchiata in quel tempo... altrimenti non avrebbe faticato così tanto ad accettare di uscire di casa e mettersi un vestito dei suoi, quelli che nemmeno troppo tempo prima le avevano aperto ogni tipo di porta nonché offerto le migliori serate di sempre. Che fosse la noia, l'età, la maledizione di sin, o semplicemente i nuovi impegni a cui non era semplicemente preparata... trovava il tutto estremamente lontano, infantile quasi, come se avesse bruciato quegli anni in pochi battiti di ciglia.
    Tre anni erano passati, eppure così tante cose erano successe... così tante morti, tanto dolore. Ma sicuramente, c'era una persona che di quei tre anni aveva vissuto il peggio, una di quelle persone che aveva perso molto più di amici o parenti. La giovane donna che l'accompagnava aveva perso se stessa troppo tempo fa perfino per ricordarsi quale fosse il suo nome, «allora, che te ne pare?» annoiata, rigirava la cannuccia nel bicchiere alto – nella testa, i ricordi di quello che fino a pochi anni fa era stato il lilum.
    Guardava con una certa nostalgia quel posto... certo, era stato completamente rifatto, l'aspetto era ben diverso e avrebbe potuto attirare le simpatie di chiunque, per di più si era affollato di così tanta gente come forse mai ne aveva vista lì dentro (persone, per di più, che conosceva – e a cui aveva rivolto un breve saluto prima di prendere un tavolo desiderando solo allontanarsi dai rumori) – ma. Ma a belladonna mancava terribilmente qualcosa, qualcosa che si era lasciata indietro con la fine dei tempi sereni, l'arrivo delle preoccupazioni e dei mille problemi che affliggevano la sua famiglia: con la morte del maggiore dei suoi nipoti, un altro scomparso nel nulla e ormai dato dai più per morto, un neonato che, da quando sua nipote morrigan era stata costretta a nascondersi, gravitava interamente sulla sua coscienza, e infine la giovane annie, con la memoria quasi più incasinata della giovane mora che le sedeva davanti al locale – gli occhi suoi persi fra le decorazioni e i corpi del locale.
    Le faceva tenerezza, con quello sguardo da cerbiatto, le labbra morbide e invitanti in quel loro essere perennemente schiuse come a voler far uscire un “ooh” ad ogni stregoneria – sembrava quasi l'abitante di un altro mondo. «è...straordinario, non ho mai visto nulla del genere. O almeno credo» non era facile per helena river-in-larrington, adesso conosciuta come hel, dare delle massime a cui aggrapparsi, non riuscendo nemmeno a riconoscere il proprio viso nel riflesso del proprio cocktail... qualcosa che ancora esitava ad avvicinare alla bocca.
    Sapeva della magia, ma quello che aveva scoperto fin troppo di recente era che tutta la sua vita era stata una bugia... e che quella stessa magia, che aveva sempre guardato con occhi distaccati, ne era la principale causa. Ma non voleva pensarci ora. Perché bastava il minimo ricordo, e gli occhi di lei tornavano a riempirsi di gonfie lacrime salate, che – come diceva spesso bella, negli ultimi giorni – scivolavano con una grazia quasi letale su quel viso morbido, pulito, ora pesantemente truccato dall'intervento di una mano più esperta. Hel, in quel momento, si sentiva come una bambina.
    Il profumo del locale era invitante, la gente si muoveva all'interno con una certa sensualità – dal primo dei clienti all'ultimo dei camerieri, e quel luogo sembrava stato messo su per far sentire a proprio agio anche le personalità più schive, come lei.
    Non che sapesse che genere di persona fosse... non poteva nemmeno descriversi, senza trovarsi dopo pochi respiri a non sentire più aria nei polmoni, la testa girare prepotentemente e le gambe tremare, nella consapevolezza di essere lei stessa una bugia.
    Helena river, moglie di keanu larrington.
    Che cosa diavolo significava?, chi era quella donna?, e dove erano i capelli corvini all'altezza delle spalle, le labbra carnose e la carnagione color caramello – quel naso leggermente aquilino, e quei grandi occhi neri intensi, più vicini, sotto due folte sopracciglia scure? Non c'era più nulla di helena river: quel guscio aveva lasciato spazio ad un corpo esile e martoriato dal peso di una guerra che non ricordava di aver voluto fronteggiare, il cuore ancora stretto in una morsa come se qualcosa dentro di lei avesse sempre sussurrato che sì, lei lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
    «merlino, sei tesa come se ti trovassi in mezzo a dei lupi... cielo, sei in mezzo a dei ragazzi, di questo passo non ne accalappierai manco uno» «a...accalappiare...?» fissò la bionda confusa, non potendo notare quel rossore improvviso sulle guance morbide, che nemmeno il trucco era riuscito a nascondere – per morgana, come si sentiva a disagio con tutte quelle schifezze in faccia...
    «certo, non vorrai per sempre restare legata al ricordo di quello stronzo che ti ha tenuta segregata» belladonna a volte non riusciva proprio a comprendere le donne come hel, così vittime, e con così poco istinto omicida – roteò gli occhi, alzando la mano per richiamare l'attenzione di una ballerina poco distante da loro «no, N O, enne o, donna che fai« donna, quel nuovo soprannome con cui si presentava e che preferiva, perché ormai bella era segregato a ricordi lontani e fin troppo piacevoli per quei tempi cupi – la ignorò, mentre hel cercava semplicemente di sprofondare nella poltroncina morbida, imbottita di cuscini rossi, sperando che non la si notasse troppo, e la ballerina, con passi suadenti, si spostava dal proprio cubo per avvicinarsi al loro tavolino.
    Con movimenti suadenti e attenti, salì sul tavolo facendo in modo di non sfiorare neanche i loro bicchieri o qualunque altro oggetto posto sull'ampio tavolo – mentre magicamente dall'alto compariva una sbarra verticava sulla quale la giovane donna iniziò ad arrampicarsi e a tenersi, con le gambe che sensuali che si muovevano senza fare apparentemente alcuno sforzo. Sorrise belladonna, trovandola estremamente brava; al suo fianco la stessa hel, superata la prima ondata di imbarazzo, seppe osservarla con occhi meravigliati da tanta tecnica mista ad una così dirompente sensualità... non doveva essere facile come sembrava, eppure ad osservarla anche per un po', la giovane appariva come una farfalla libera di muoversi senza costrizioni di alcun genere.

    34 yo vs uknown age
    deatheater vs no past
    You're so Art Deco, out on the floor
    Shining like gun metal, cold and unsure
    Baby, you're so ghetto
    You're looking to score
    Club queen on the downtown scene


    Essenzialmente non ho citato per la fretta e il caldo, ma bella saluta chi conosce ghgh perdonatemi ma la vita al pc è dura
     
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    andrew stilinski
    //s t i l e s
    Il suo progetto per la serata, da quel momento in poi, era piuttosto semplice: non lasciare il fianco di Sinclair Hansen neanche sotto tortura. Almeno, quella era la sua intenzione ideale: c’erano cose che Andrew Stilinski non aveva messo in programma, come avrebbe notato di lì a poco. In quel momento, però, dopo aver congedato un’entusiasta Erin ed il fedele compagno Scott, non si preoccupò d’altro se non di volgere un impacciato sorriso all’uomo ed un cenno con il capo in saluto a Lydia Hadaway. «è molto…» dondolò nervoso sui talloni, evitando gli occhi chiari ed impassibili di Jack Daniels – inutile specificare che, come gran parte della popolazione umana, gli incuteva un certo timore. Umettò le labbra ed infilò le mani nelle tasche, un velo di sudore sulla fronte e sulla schiena. «affollato» riuscì a sputar fuori, dopo un paio di tentativi, aggrappandosi maggiormente al fianco di Guru Sin per evitare di entrare in contatto con le persone. C’era stato un mondo, un tempo in cui a Stiles la gente piaceva, e le feste erano il suo pane quotidiano; un tempo in cui non era così paranoico, ed in cui non sentiva la necessità di bere per sciogliere la tensione alle spalle o rallentare il tachicardico battito del cuore.
    Erano cambiate tante cose – erano cambiati tanti Stiles. Maledisse la propria sbadataggine, l’eccentricità di Shanghai Bond, e l’essersi trovato sul cammino di Rea Hamilton, tutti fattori che avevano causato lo spreco del suo primo cocktail sugli abiti di Soho: una vera gioia che il locale ne offrisse tre in omaggio, perché significava che aveva ancora due (2) possibilità di tornare un essere umano decente e funzionale, non costretto dalla propria ansia a trattenere il respiro ogni millisecondo. «penso che…» deglutì, infilò inquieto una mano nel colletto della maglia. «che andrò a prendere da bere.» concluse, facendo guizzare gli occhi castani da Sin a Lydia: si fidava di loro abbastanza da sapere che non sarebbero spariti, altrimenti non si sarebbe mai azzardato ad allontanarsi nella bolgia senza un Isaac a cui abbarbicarsi. Restare solo non era una delle attività preferite da Stiles, caso mai non l’aveste capito. Lydia annuì con un sorriso confortante, allungando la mano per dargli un buffetto sulla guancia. Quel gesto, naturale ed affettuoso, bastò a sciogliere parte dell’irrequietezza dello Stilinski, che sospirò un poco della propria angoscia liberando polmoni e schiena. Annuì fra sé un paio di volte, decidendosi solo dopo un minuto a proseguire effettivamente verso il bancone, il più lontano possibile dal gruppo di gente kool – tipo i fighetti seduti nelle ultime file dei pullman, ecco. «vodka» riuscì a formulare, gridando sopra la musica ed agitando la mano con sopra tatuato il timbro magico. Il barista si piegò sul bancone nella sua direzione, le mani impegnate con diversi bicchieri di vetro: «andrew stilinski?» Oddio, lo conosceva? Perché lo conosceva? Cercò di non farsi prendere dal panico, palpebre assottigliate e lingua stretta fra i denti. «dipende» al scettico sopracciglio sollevato dell’altro, una delle poche parti visibili dietro la maschera, si affrettò ad annuire stringendosi nelle spalle. «cioè, sì, andrew stilinski» puntò l’indice contro il proprio petto, sentendosi – se possibile – più idiota del solito. «mi hanno lasciato un messaggio per te» ??? Ma cosa stava dicendo. Per lui? Sentì le guance avvampare, gli abiti appiccicarsi alla pelle sudata. Portò una mano alla fronte sentendola fresca ed umida. «per me? CHI» Il barista fece spallucce preparando il drink chiesto dall’ex Tassorosso. «un tuo amico, ha detto. Ti aspetta fuoriۚ» Un suo – un suo amico? Non erano molti gli amici del Tasso, decimati maggiormente dai Viaggi nel Tempo. «sì, ma il nome?» l’altro non rispose, lanciandogli un’occhiata che diceva chiaramente non è un problema mio. Non aveva alcun, alcun, senso. Isaac non avrebbe lasciato un messaggio al barista…o forse sì perché non l’aveva trovato? Effettivamente, non l’aveva visto. ERA SUCCESSO QUALCOSA A STICH? O magari… Jeremy? Magari voleva…evitare che le loro strade si incrociassero…? Magari voleva…voleva finire la loro finta relazione e preferiva evitare il suolo pubblico? Oh deì, cosa stava succedendo. I Loser? Erano troppo giovani per entrare, quindi… volevano un favore? O chiedergli di tenere aperta la finestra in bagno per farli sgusciare all’interno del locale?? «ed il mio amico ti sembrava… ti sembrava malintenzionato?» Di tutta risposta, il barista sbattè il bicchiere dal contenuto trasparente sul bancone, sorridendo morbido e malizioso – ci provò davvero con tutto il suo cuore a non avvampare maggiormente, o a mantenere un contegno malgrado lo stomaco si fosse temporaneamente serrato ed i polmoni avessero deciso che funzionare fosse di cattivo gusto. Passò la lingua sulle labbra secche, indietreggiando senza la propria ordinazione. «sì beh – sì hai ragione – vado eh, grazie eh, ciao?» Cristo Stiles, ma perché non stai ZITTO E BASTA? Decise che un po’ d’aria fosse, effettivamente, quel di cui aveva bisogno in quel momento – più gente vestita e meno nuda, ecco. Sfrecciò verso l’entrata mostrando il Timbro all’ingresso, scusandosi (di nuovo) per l’essere molesto (era già la seconda volta che passava di lì) ed avvisando che sarebbe tornato subito subitissimo (come se a qualcuno potesse interessare).
    Rispetto all’interno, l’esterno era fresco e ventilato. Sentì il sudore asciugarsi sulla pelle, ed ignorò il tonfo sordo del cuore contro le costole mentre si allontanava dalle (decisamente deconcentranti) vetrine del Lilum. «isaac?» tentò, avanzando di un passo. «jeremy un altro passo, sopracciglia corrugate mentre si guardava attorno. Si allontanò dalla fila per entrare, abbandonando alle proprie spalle i suoni ed i colori del Lilum. «tryhard?» fu in quel momento che udì, appena bisbigliato, «stiles?» Drizzò le orecchie cercando la fonte del suono. «nel vicolo» Non riuscì a riconoscere la voce, ma il luogo d’incontro non sembrava particolarmente…alettante. Morse l’interno della guancia, gli occhi a guizzare sul pavimento alla ricerca di cose da usare, in caso di necessità, come arma contundente. Decretò che un ramo fosse perfetto, e lo strinse nel palmo avvicinandosi all’imbocco della strada. «non è divertente» alzò il tono di voce di un’ottava inoltrandosi nel vicolo.
    Solo quando gli occhi si abituarono all’oscurità, riconobbe la sagoma staccarsi dal muro. Sospirò di sollievo abbandonando il ramo per terra. «cristo santo» esalò, sgonfiando i polmoni e portando i pugni sui fianchi indispettito. Corrugò debolmente le sopracciglia piegando il capo sul proprio fianco, l’istinto a suggerirgli di fuggire - resistette solamente perché, beh, gli capitava spesso quando si trovava a che fare con suo fratello, ma razionalmente sapeva che non gli avrebbe fatto del male.
    O almeno, ci sperava. «hai…» umettò le labbra lanciando un’occhiata dietro di sé. «hai fatto … che hai fatto ai capelli?» Un passo verso di lui, i palmi sudati. «xav?» l’ultima cosa che vide, fu la siringa stretta nel pugno.

    Mugugnò di quegli abiti poco adatti alla circostanza, le dita a scivolare fra ciocche brune che non portava così lunghe da anni. Infilò le mani in tasca, un cenno con il capo all’entrata da cui ricevette solo sopracciglia sollevate ed un cenno ad entrare. Andrew Stilinski respirò l’aria rarefatta del Lilum a pieni polmoni, gli occhi cioccolato a guizzare dall’uno all’altro degli ospiti – ed il cuore ad affondare nel petto, rendendo il costato debole ad ogni respiro. Dovette sforzarsi per tenere le spalle dritte, piuttosto che lasciare chiudersi sotto il peso di quello che, ai suoi occhi, era un inferno – letteralmente: un maledetto oltre tomba. Scosse il capo, strinse le labbra fra loro ed i pugni lungo i fianchi. Alzò il capo, una mano a scivolare dal naso alla bocca – senza darsi modo di pensare o riflettere, guizzò veloce verso il bancone.
    L’avrebbe riconosciuto ovunque.
    Non guardò nessun altro, nel sfiorare delicatamente il braccio della ragazza sulle spalle del giovane. Rivolse un sorriso educato ai presenti, ma gli occhi erano su «arabells» bisbigliato come una preghiera, lo sguardo ad addolcirsi trovando inutile, e superfluo, conforto nelle iridi di lei. «stiles?» Indietreggiò istintivamente di un passo, permettendo al duo di voltarsi nella sua direzione.
    In quel momento si rese conto che il ragazzo indossava i suoi stessi abiti. Gli offrì un’occhiata curiosa ma cordiale, ricevendo in risposta bocche spalancate ed un «cristo santo» sbottato dalla Dallaire, ed un’occhiata inquisitoria dalla punta dei propri piedi a quella dei capelli da Yale Hilton. «ti sei…ti sei DOPATO? Sei…» Arabells saltò giù dalle spalle del ragazzo, osservandolo dal basso verso l’alto come se non l’avesse mai visto. «diverso» Liquidò la questione con un sorriso gentile, sollevando un braccio – troppo spesso per quella maglietta – per passare ancora le dita fra i capelli. «saranno le luci» rispose sicuro di sé, stringendo appena le palpebre. «senti, hai visto -» «jeremy?» avrebbe dovuto? Lo colse impreparato, ed umettò ancora le labbra. Si spostò ancora verso l’ombra, sperando così di togliere l’espressione allibita dalla Corvonero. «milkobitch?» solo un sussurro, sopracciglia dolentemente corrugate. Arabells Dallaire portò spazientita i pugni sui fianchi. «mi stai prendendo per il culo?» Scosse il capo, il cuore ad accelerare la propria corsa. Mantenne comunque innocente contegno. «no» «allora cos’è sta storia dell’accento francese? Sérieusement, c'est pas drôle.» Deglutì. «mi dispiace» liquidò, sforzando la lingua a mantenere l’accento inglese. «non sto cercando …jeremy» obbligò la voce a rimanere impassibile, il naso a non arricciarsi. «sai dove posso trovare cj?» Arabells non battè ciglio. «cj chi?» Si guardò attorno sperando di trovare la testa rasata del ragazzo, così da togliersi dall’impiccio.
    Che ne sapeva, Andrew Stilinski. «cj knowles.»
    psychowizard | 21 y.o.
    trying to keep it real
    That I'm losing my mind
    Trying to find the perfect line
    I think I'm running out of time
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    Se Emaline avesse dovuto riassumere con una sola parola la morsa che le attanagliava lo stomaco mista alla sensazione d'abbandono, di inutilità, di rabbia e di frustrazione insieme, l'avrebbe senz'altro definita noia.
    Pura e semplice noia era in effetti quella che permeava la sua vita, anche se non era in grado di definire con precisione quand'è che fosse cominciata. Forse dopo la morte di Christian? Forse dopo i Laboratori? O magari dopo la scomparsa di Mephisto? Per Salazar, non ne aveva la minima idea. Sapeva solo che se non avesse fatto qualcosa sarebbe impazzita, e quel qualcosa non contemplava lo starsene seduta sul tetto del suo appartamento a bere vodka meditando vendetta verso chiunque le passasse per la testa, ma qualcosa che suonasse anche solo vagamente normale, che l'aiutasse a sentirsi, se non viva, almeno un po' meno morta.
    Con questo spirito si era ritrovata seduta ad uno dei tavoli del Lilium, tra le mani un bicchiere di vodka liscia ed i nervi a fior di pelle come nel novanta per cento delle volte in cui si trovava circondata da altri esseri umani. Non è che fosse un gran cambiamento rispetto alle sue abituali serate a pensarci, ma almeno poteva dire a sé stessa di averci provato.
    Vagò con lo sguardo per la stanza alla ricerca di un qualsiasi dettaglio che riuscisse a strapparla dalla convinzione di star sprecando il suo tempo, ed all'improvviso i suoi occhi si posarono su qualcosa, no, su qualcuno. Piegò le labbra in un appena accennato sorriso, poi buttò giù l'ultimo sorso d'alcol e rimase in attesa come un leone dinanzi alla sua preda.
    «Bonsoir.» era una ragazzina snella, dall'aria maliziosa e l'aspetto troppo giovane per un posto come quello ad esserlesi parata davanti senza troppi complimenti.
    Emaline la guardò con aria seccata, sperando che questi capisse da sé di doversi togliere di torno. Povera illusa.
    In effetti, se la bionda Serpeverde avesse avuto almeno una vaga idea di che genere di persona l'altra fosse, non sarebbe certo stata così stupita dal vederla prendere posto all'altro capo del tavolo, ignorando bellamente ogni sua più o meno silenziosa protesta.
    «Ma ce li hai diciotto anni?» senza degnarla di più di uno sguardo, spostò lievemente il capo per tornare ad osservare le due donne al tavolo poco distante che avevano precedentemente suscitato il suo interesse.
    «Ti pagano per fare la buttafuori in borghese o ti piace fare la stronza gratis?» ebbene sì, signore e signori: in tutto il suo splendore e acidità, Charles Dumont non avrebbe perso la sua lingua lunga neppure sotto l'aspetto di una giovane fanciulla innocente. Perché si trovava lì e perché non aveva la sua solita faccia da stronzo e due tette al posto del petto? Semplice, perché anche Charles Dumont si annoiava. La sua però era una noia diversa da quella di Emaline, dovuta al fatto di esser costretto a passare l'estate facendo su e giù tra casa dei suoi nonni ed il San Mungo dov'era momentaneamente ricoverata sua madre, assieme al fastidio procuratogli da un certo Corvonero che non aveva smesso di infestargli i pensieri neppure a kilometri da Hogwarts. Una buona dose di Pozione Polisucco e la sincera intenzione di provare a farsi piacere una ragazza più di quanto non gli piacesse /un/ certo ragazzo lo avevano dunque condotto al Lilium, gonna sopra il ginocchio e scollatura da non-così-brava-bambina e la sua solita, inaffondabile, arroganza.
    «...Sul serio?» dopo un attimo di smarrimento, neppure Emaline si era rivelata in grado di comprendere le oscure ragioni dietro alla faccia tosta di Charles—per quella sera Charlene. «Non sono interessata. Grazie. Ora sparisci.»
    «Se ce l'hai con quelle due, mi sa che caschi male. Sono già impegnate.» non è che fosse poi così celato l'interesse di Emaline, e d'altra parte Charles aveva sempre avuto un certo fiuto per quel genere di cose.
    «Non sono comunque affari che ti riguardano.» immediata mente sulla difensiva, la bionda non si era neppure accorta di starsi praticamente conficcando le unghia laccate di bordeaux sulla coscia. Non è che fosse proprio famosa per l'autocontrollo, questo bisogna ammetterlo. «Anche se... Una cosa utile potresti farla.» realizzò improvvisamente, corrucciando la fronte.
    «Ti sembro una prostituta forse?» pensandoci, sarebbe anche potuta passare come tale senza troppa fatica, ma non era quello il punto. Circa.
    «Vuoi un regalino?» sorriso incoraggiante, quasi stesse parlando ad un bambino o ad un cane.
    «Facciamo che mi devi un favore e ci posso pensare.» e d'altra parte Charles era un tipo pratico e, sì, anche parecchio opportunista.
    «D'accordo, sì, vedi di muoverti però. Portati via la tipa bionda con la faccia da stronza se riesci.» e così osservò Charlene alzarsi in piedi, stretta in quei suoi abiti fin troppo succinti, avanzare con passo suadente verso il tavolo alla quale era seduta lei. Rebecca, sua sorella. Quanti anni erano passati dall'ultima volta in cui l'aveva vista? Tanti, eppure l'odio che provava per lei non aveva mai smesso di bruciarle dentro. Inutile dire che non s'aspettasse di trovarla lì, né che avesse in mente di mettere in atto chissà quale diabolica vendetta. Aveva pensato diverse volte a come avrebbe voluto torturarla, ucciderla persino, ma trovarsela lì senza alcun preavviso l'aveva in qualche modo spiazzata, costringendola ad agire in maniera non troppo ragionata.
    Attese che Charlene si gettasse praticamente addosso alla donna che accompagnava Rebecca, in un bizzarro eppure potenzialmente efficace tentativo di sedurla (fortuna che almeno il fisico fosse dalla sua parte), poi si alzò in piedi e, senza dire una parola, si sedette accanto alla giovane Levitt. Accavallò le gambe sotto al tavolo, poi si avvicinò il bicchiere della sorella alle labbra e bevette un sorso.
    «Sorellina. Ne è passato di tempo.»
    Charles Dumont Charlene
    You were simple once before,
    But it's not like that anymore.
    You were patient once before,
    But it's not like that anymore.
    crazy bitch | queer as fuck
    26 YO | fake 18+
    wizard | slytherin
    Emaline Levitt Keira


    Ma io avevo pubblicato senza leggere l'ultimo post quindi adesso sono molto no-sense, ignoratemi pls :hero:
     
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    «Sono...tettona» Il ragazzo non poteva che condividere lo stupore dell'amica al suo fianco. E no, non per il fatto che la polisucco avesse donato a Nicky un paio di tette, il che era un evento straordinario e degno di esser inserito nel calendario come festività nazionale #cos ma perché anche a lui la pozione donata loro gentilmente da Jess aveva dato un aspetto del tutto nuovo e, sfidando ogni legge della fisica e della matematica, gli aveva dato qualcosa che il Tryhard non avrebbe mai creduto possibile poter osservare sul proprio corpo: degli addominali.
    Behan Tryhard se ne stava impalato davanti allo specchio, la maglietta stretta nella mano sinistra mentre con le dita della destra tracciava incantato le curve sul suo addome, solchi precisi a delineare il suo six pack: mai, nella sua breve vita, il sedicenne avrebbe immaginato di osservare il suo riflesso e vedere qualcosa di diverso dalla sua solita pancetta, presente fin da quando era un bambino. Non che avesse mai fatto qualcosa per eliminarla, del resto: Beh odiava gli sport, e il massimo di attività fisica a cui sottoponeva il suo fisico era il camminare intorno al proprio quartiere per catturare pokemon sul suo cellulare. Non aveva una passione salutare, come quella di ballare che aveva il gemello, e sapeva che il suo debole per dolciumi e torte non faceva altro che peggiorare la situazione: grazie a dio la pubertà gli aveva donato quei venti centimetri in più senza i quali sarebbe diventato tranquillamente una palla rotolante. Sapeva che nella vita non avrebbe mai avuto degli addominali. E dunque, fingere per qualche ora era così bello.«Io palestrato!» Guardò Nicky, consapevole che la ragazza fosse l'unica nella stanza a rendersi conto di quanto vedersi in quel modo rendesse il ragazzo felice: non si era ancora presentata l'occasione di rimanere a petto nudo (ma perchè) davanti ad Halley e Hunter, e dunque i due fratelli non potevano sapere quanto per Beh fosse una novità vedersi così: un'occasione più unica che rara, e che mai si sarebbe ripetuta in tutta la sua vita.
    A meno che non avesse chiesto nuovamente la polisucco a Jess avendo il bisogno di infiltrarsi ad una nuova festa vietata ai minori.
    «.........VABBE' RIPETIAMO IL PIANO, VI VA????» «...di nuovo??» Era rimasto troppo distratto dal suo riflesso e dal contemplare i suoi addominali per rendersi conto di ciò che gli stava accadendo intorno, aka Nicky che si ingarbugliava da sola parlando di tette ed Halley alle prese con il suo nuovo fisico mentre il fratello cercava di fermarla. Ma a Beh bastò guardarsi intorno per comprendere la situazione. «SÍ GIUSTO RIPETIAMOLO DI NUOVO, COSÍ SIAMO SICURI» E poi, il ragazzo aveva davvero bisogno che il piano andasse a buon fine: in una qualsiasi altra occasione, non gli sarebbe importato di partecipare ad una festa simile. Certo, si sarebbe sentito offeso ed impotente nei confronti del limite di età, ma alla fine ci avrebbe messo una pietra sopra e gli sarebbe bastato passare la serata a guardare un bel film su Netflix per non pensarci più. Ma quella festa??? Da quando gli erano arrivate voci sulla presunta partecipazione della famiglia Hilton, lui e Nicky avevano deciso che avrebbero fatto di tutto pur di partecipare. E con "di tutto", Beh era persino disposto ad arrampicarsi attraverso una finestra del bagno e rischiare la propria vita o spacciarsi come un dipendente del servizio catering o delle pulizie.
    Di tutto.
    Grazie a dio, Jessalyn Goodwin si era offerta di procurare loro la pozione polisucco: il perchè un fantasma ne avesse? Non ne aveva idea. E sinceramente nemmeno se l'era chiesto, troppo distratto ed emozionato dalla possibilità di partecipare all'inaugurazione come ospite vero.

    «penn hilton?» La ragazza alzò lo sguardo dal suo telefono, distogliendo l'attenzione dalla schermata di twitter: stava forse controllando i tweet dell'hashtag che era entrato in tendenza da quando aveva lasciato la limousine, #pennisback? Sì, lo stava facendo.
    Non era mai stata lontana dalle scene per così tanto tempo ma allo stesso tempo non era mai stata al centro dei riflettori per grandi scandali così come Paris o Yale: aveva toccato l'apice solamente durante il suo litigio prima di sfilare per Versace alla fashion week di Milano dell'anno precedente con Kendall Jenner. Che dire: il rapporto Hilton/Kardashian era sempre stato complicato. Ma comunque quella notizia non aveva poi fatto così scalpore, e mai nessun paparazzo l'aveva fotografata insieme a Di Caprio: per il pubblico, Penn era tranquilla. E per questo, la sua sparizione aveva destato ancora più scalpore, portando magazine e forum a speculare sul motivo del suo ritiro dalle scene. La Hilton sapeva bene che non avrebbe potuto mantenere nascosto Bangkok al mondo per sempre, ma sapeva anche che per il momento era il modo più semplice di andare avanti: non si sentiva pronta a venir bombardata dalle domande di giornalisti e fan, curiosi di sapere l'identità del padre del bambino, ma ancor di più non si sentiva pronta a confrontare suo nonno ed a non apparire più ai suoi occhi come la bambina di casa. Non era pronta, Penn, a lasciare andare quella parte di sè. Non ancora. «penn hilton» Ebbe giusto il tempo di posare lo sguardo sulla ragazzina, giusto un attimo in cui il suo viso si rilassò in un ampio sorriso, prima di vederla cadere davanti a sè. «AAAAHHH...» emise un gridolino spaventato, Penn, prima di ritornare in sè: perdonatela eh, ma non era abituata a giovani fanz che le svenivano davanti «...aiuto???» Respira, Penn. Per prima cosa, era diventata madre quindi per lei era arrivato il momento di risolvere i problemi da sola, e non aspettare che qualcun altro intervenisse in suo soccorso. E poi sapeva cosa fare, che diamine: anche se al mondo intero appariva il contrario, Penn sarebbe stata un bravo medico, se solo avesse continuato gli studi.
    Sarebbe stata in grado di riuscire in qualunque lavoro, se solo suo padre glielo avesse permesso.
    «FATE SPAZIO, bisogna sdraiarla a terra. E tu..» indicò il ragazzo a cui Olly (una sua fan su twitter si chiamava Olly, ed era sempre super carina con lei, magari era proprio la ragazza che era svenuta #cos) era aggrappata «..tienile le gambe sollevate, aiuta la circolazione» Non voleva esser la causa dell' attacco di cuore di una ragazzina, e aiutarla dunque era il minimo che potesse fare. Così si girò verso il bancone, schioccando le dita per attirare l'attenzione del barista «preparami un bicchiere di acqua e zucchero» E speriamo non me lo conti come uno dei tre drink
    Non si era portata il portafogli dietro.
    E diamine, era la prima volta che usciva in un locale da quando aveva scoperto di essere incinta.
    Avvertiva un bisogno matto di ubriacarsi.

    «NIIIC..» a no, che scemo. I travestimenti non erano decisamente fatti per lui «...HEREEE» Ma soprattutto, come poteva trattenersi dal chiamare l'amica a squarciagola quando sullo schermo del suo cellulare aveva una foto di Stiles e Penn Hilton insieme??? Cioè, Philadelphia Sutton Maribel Soledad detta Penn Hilton!!! Insieme a Stiles!! (No, non aveva controllato il tag e dunque non sapeva che il realtà nella foto non c'era davvero il guru dei Losers ma il suo fremello)( Ma in ogni caso !!!!!!) Quando guardò l'amica, si rese conto di ciò che stava facendo «perchè hai le mani sulle tette di Niamh?» e poi si ricordò del volto che aveva. E del fatto che la coinquilina di Nicky non sapesse nulla del loro piano per essere lì «non che io sappia che tu ti chiami Niamh» cosa? cosa. Stava semplicemente peggiorando la situazione «siamo di fretta CIAO!» afferrò l'amica per un braccio, trascinandola via da quel quadretto più che imbarazzante. «Penn - e dico, PENN - ha appena postato una foto con STILES» Messaggio implicito: dovevano trovarli al più presto. Beh sentiva il bisogno di incontrare Yale Hilton: gli bastava anche solo guardarlo da lontano eh, l'importante era vederlo.
    Finalmente, il ragazzo adocchiò il loro guru poco distante da dove si trovavano, e strinse ancora di più la presa sul braccio di Nicky, iniziando quasi a correre. «STILEEEES» si posizionò davanti a lui, non facendo caso a Bells. Rude, lo sapeva, ma priorità. «Dov'è Penn Hilton???? E YALE?????» Solo in quel momento si rese conto del fatto che lo Stilinski non potesse riconoscerlo, per via del suo aspetto, e forse per questo aveva quella strana espressione dipinta in volto. Ma poi...
    All'inizio, lo notò solamente con la coda dell'occhio.
    E per questo, si girò il più lentamente possibile verso di lui, aprendo e chiudendo gli occhi per accertarsi che non si trattasse di un sogno. «Nicky» poco più di un sussurro, il suo «non è un sogno vero? Lo vedi anche tu??» involontariamente, le strinse ancora di più il braccio «è...» se ne stava lì, a pochi centimetri da Bells.
    A pochi centimetri da loro.
    «yale hilton»
    Ora poteva morire felice
    college student | 20 y.o.
    top model | 20 y.o.
    I dreamed it all ever since I was young
    They said I wouldn't be nothing
    Now they always say congratulations
    say we changed and look we made it
     
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    Ciao, sono Katja.
    A quelle parole si sarebbe aspettata di tutto, qualsiasi reazione sarebbe stata ordinaria per lei, abituata a presentarsi senza timore a chiunque fosse piacevole alla vista, ma il tipo a cui aveva rivolto le sue attenzioni reagì in maniera davvero troppo strana, lasciandola inquieta per più tempo di quello a cui era abituata. Di solito era la norma che la gente la lasciasse confusa, e non certo perché il problema era suo, insomma...il problema era delle persone. Katja non era quel genere di ragazza nata con lo straordinario talento di capire chiunque a pelle. Lei non capiva le persone, non quanto avrebbe voluto e ci metteva un po’ per entrare in sintonia con qualcuno. Il fatto che fosse talmente ricca da comprare chi volesse era quindi un vantaggio. Ma quel ragazzo, quel ragazzo era il tipo più strano che avesse mai incontrato.
    Non tanto per come aveva esordito vedendola..."Tu sei morta".
    Tanto meno per lo sguardo che le aveva rivolto: in qualsiasi altro momento, quello sguardo d’interesse le sarebbe piaciuto, ma non quella sera, non dopo che le aveva dato del cadavere.
    E poi, parlandoci chiaro, nessuno, nessuno si era mai permesso di trascinarla via come fosse un cavallo da portare al maneggio. Ma lo perdonava solo perché era carino e sembrava parecchio disperato, aveva anche rischiato sul serio di prendersi un destro dalla sua guardia del corpo, ma per fortuna questo non era accaduto perché era riuscita a fermarlo in tempo.
    Ricky, fermo, è tutto okay. E poi, con più enfasi, aveva rivolto lo sguardo ceruleo sul ragazzo. Questo signore deve avermi scambiata per qualcun altro.
    Certo che...aveva una sfiga. Tra tutta quella folla con ogni probabilità aveva beccato il più ritardato della festa.
    “Non puoi farti vedere in giro. Se ti riconosce la persona sbagliata sei morta, Aveline”
    Era questo, ciò che l’aveva inquietata più di ogni altra cosa. Nessuno era mai stato in grado di premere così tanto sulle sue emozioni senza prima chiederle il permesso, ed aveva utilizzato solo una parola per farlo, anzi, un nome.
    Non si aspettava certo che il ragazzo a cui si era presentata fosse qualcuno di conosciuto, e subito, a quella reazione, Katja si mise sulla difensiva, riuscendo comunque a celare benissimo il panico nel suo sguardo, una paura che nemmeno lei sapeva da dove provenisse ma che risuonava come primordiale, risvegliata dalla voce di lui, dal suo tono, da ciò che le aveva detto.
    Aveline. Quel nome le risuonò nella testa come una formula magica, come se fosse in grado di sbloccare nella sua testa una porta sigillata ed avesse lasciato uscire un fantasma che adesso vagava nella sua mente in cerca di risposte. In quel momento, le sembrò quasi di vederlo, quel sottile filo rosso che l’aveva portata direttamente in Inghilterra ed alle spalle di quel ragazzo dall’aria familiare.
    Poi, il suo sguardo cambiò. Divenne più freddo, meno confuso. Si ripetè che nessun pavor avrebbe potuto farle del male, perché lei era Katrina Sokolova, figlia di un magnate russo che nel mondo della Magia era rispettato da tutti. Non dovresti essere da qualche parte a salvare balene o cose simili?
    A salvare balene? Tutti i suoi amici si sarebbero sbellicati dalle risate a sentire questo tizio parlare di lei. Ma non voleva sembrargli del tutto senza cuore. Così, si lasciò andare ad un sorriso.
    Ma certo, c’è sicuramente qualcuno che lo sta facendo per me... . Si fermò in cerca di un appellativo con cui rivolgersi a lui. Com’è che ti chiami? In ogni caso, Ricky. E voltò l’attenzione verso l’uomo poco distante da loro. Voglio quello che ha bevuto lui, qualcosa di forte. Insomma, era chiaro che il tipo fosse già particolarmente ubriaco e qualsiasi cosa stesse bevendo doveva averla anche lei. La guardia annuì, indecisa se lasciarli soli o meno. Poi si avviò al bar.
    Dicevo... Io mi chiamo Katrina. E...chi è Aveline? Domandò, rivelando un interesse che avrebbe preferito tenere per se.
    Katrina "Katja" Sokolova
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    the pureblood phoenix
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    curse my inquenchable thirst for a romantic relationship
    nate henderson
    Era tutto tremendamente sbagliato. «Io non-» capisco.
    Non capiva la presenza della guardia del corpo, non capiva l'aria da finta tonta di Aveline o il suo atteggiamento passato da provocante a freddo (era stata lei ad andare da lui; cosa si era aspettata, un abbraccio di bentornata e una pacca sulla spalla?), non capiva perchè fosse andata a quella festa in primo luogo, e non capiva a che gioco stesse giocando, insistendo con la farsa su una certa Katrina, Katerina, Katja o qualcosa del genere. E gli chiedeva il suo nome? Cristo, lo sapeva il suo nome, erano stati insieme due anni, e neanche l'allontanarsi della guardia (un uomo mai visto prima, nonostante gli sforzi di Nate di trovare qualcosa di familiare nei suoi tratti) fece desistere la special dal continuare la sceneggiata. «Che stai facendo?». Cosa. Stava. Succedendo? Aveline aveva bisogno del suo aiuto per qualcosa? Per scappare? Voleva solo salutarlo, senza compromettere la sua nuova identità? Con una smorfia guardò rapido a destra e sinistra, ma nessuno ancora pareva starli guardando; persino il gorilla non era più a distanza d'ascolto «Non puoi parlare? Qualcuno ti controlla?» non sapeva a cosa pensare, Nate, ma aveva due certezze: sperava Aveline non fosse in pericolo, e voleva capire le sue intenzioni.
    «chi è Aveline?» Se avesse bevuto leggermente di più, Nate si sarebbe chiesto se fosse colpa dell'alcol, se i suoi pensieri fossero così confusi e ingarbugliati per quello. Non l'aveva sfiorato neanche per un secondo l'idea che potesse essere una Freya o uno Stiles, convinto fin dal primo momento che dovesse trattarsi della ragazza che aveva amato (amava?) sotto mentite spoglie; non ne era più così sicuro. Aveline se ne era andata, ma non avrebbe mai buttato sale su una ferita che sicuramente sapeva ancora aperta. Indietreggio leggermente, perchè il respiro della ragazza non fosse più sul suo viso e gli permettesse di respirare normalmente un odore diverso dal suo. «Non farmi questo», pregò, "Non giocare con i miei sentimenti". Un altro passo per allontanarsi da lei mentre aspettava, sperava, che Aveline gli prendesse il braccio per fermarlo e fargli capire che era lei, che Nate non stava impazzendo. Ma non colse nessun segnale.
    «Devo...-» bere. Andarmene. Lasciarti. Lasciarti? Si accorse di starla ancora tenendo per il braccio, e con un'immenso sforzo si obbligò a lasciarla andare, sentendosi immediatamente privato di qualcosa di cui aveva bisogno.«-aver sbagliato persona» Attese qualche istante che Aveline facesse qualche gesto particolare, un segnale, ma nei suoi occhi Nate non vide niente del genere; doveva essere un'latra persona, ed essere andata da lui per puro caso. Un caso del cazzo, ovviamente. Si umetto le labbra. «Io-» scosse la testa, sbuffando una risata che aveva ben poco di divertito «Sei uguale ad un'amica» Non riusciva a credere potesse non trattarsi della sua ex, ma allo stesso tempo Aveline non sarebbe mai ricomparsa nella sua vita per giocarci così, ne era certo; se n'era andata, non l'aveva scelto, ma Nate sapeva che lo aveva amato - anche se non quanto lui aveva amato lei - e non lo avrebbe ferito così inutilmente di proposito.
    Si voltò affrettandosi al bar senza guardare nessuno in faccia (chi sarebbe stato il prossimo a fargli visita? Il fantasma di Clarissa?), senza controllare che Aveline - Katjia - lo stesse seguendo. Aveva bisogno di un viso amico, voleva cercare se Elijah o Lydia fossero già arrivati, chiedere a Euge se avesse più avuto notizie di sua sorella... ma prima necessitava qualcosa di forte.
    Arrivato al bancone neanche salutò Bells, lasciandola chiacchierare allegramente con un Jay2 alticcio e (OMG ma quello era davvero) Yale Hilton (!!!!!). Avrebbe dovuto chiedere un selfie al secondo entro fine serata; magari quando fosse stato un po' meno di umore spaccagioie e afflitto dal pensiero di Aveline.
    «sai dove posso trovare cj?» «cj chi?» Quando il barista glielo porse, Nate portò in aria il bicchiere di rum in un brindisi verso qualcuno di invisibile. «cj knowles.»
    E che cazzo.
    Nate battè il bicchiere sul bancone con più forza del necessario, e mandò giù il rum d'un fiato. Perchè continuavano a spuntare fuori nomi di gente presunta morta? Era pericoloso, non era un gioco; c'erano vite a rischio.
    «Prova sottoterra» alzò lo sguardo verso il ragazzo, cercando di incrociarne gli occhi. C'erano cose di cui non si poteva parlare in pubblico, neanche in un locale tranquillo come il Lilum; Vasilov aveva orecchie dappertutto, e Nate dubitava fosse una buona idea che venisse a sapere i loro amiki fossero vivi nel 1918 e nel 2118. «Lo sai che è morto a dicembre» sollevò un sopracciglio. "Come sai che non è vero, come sai che devi fingere di crederci". Distolse lo sguardo per rivolgerlo al bicchiere, sollevandolo e studiandolo alla ricerca di gocce di alcol residuo. «Oggi è il giorno del non ricordiamoci le cose e sputtaniamoci in pubblico?» mormorò a mezzavoce. «Com'è che ti chiami?» «Che gioco di merda» Agitò il bicchiere in aria per richiedere un secondo giro al barista sexy, ignorando i ragazzi appena giunti.
    ueppa altro schema role per nate
    broken hearted & stupid | 1991's
    You'll never be loved till you've made your own
    You gotta face up, you gotta get yours
    You never know the top till you get too low

    A son of a stepfather, A son of a I'm so sorry



    parla con Katrina, raggiunge il bancone dove ci sono bells, yale e andrew e gli risponde.
     
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46 replies since 19/7/2018, 00:56   2621 views
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