Le sentiva ancora prudere in gola, le parole appena pronunciate: siamo uguali, io e te - ed uguali, lui e l’Hamilton, lo erano davvero. Lo reputava una testa di cazzo, un pigro pezzo di merda, un sadico masochista arrogante e provocatorio? Sì, ma non era certo un qualcosa di nuovo per i fottuti CJ del mondo. Lo sapeva di non essere una bella persona, CJ Knowles. E lo vedeva, negli occhi arrossati dell’altro e nella sfumatura azzurra dell’iride, nel modo in cui stringeva la mascella ed i pugni lungo i fianchi, nel respiro a premere sul palato ed i denti a tagliare la carne – come aveva guardato BJ, come cercasse sempre lo sguardo di Roy, e come squadrava il Tassorosso quando credeva che non gli stesse prestando attenzione. Gli costava ammetterlo? Neanche troppo. Il telepata gli stava sul cazzo? Indubbiamente, ma nulla di personale: odiava anche sé stesso, e dire che di un CJ Knowles poteva almeno ignorarne i sorrisi spezzati evitandosi di vederli. Non mandare tutto a puttane, ammonimento che li perseguitava da anni e negli anni, indipendentemente da chi fossero o volessero essere. Perseverò nel ghigno sbilenco malgrado il sangue a colare dalle labbra spaccate, od i denti a martoriare l’interno della bocca, con un gomito poggiato al suolo ed il capo reclinato verso l’Hamilton –a sfidarlo a continuare, a picchiare un po’ più forte dato che qualche costola pareva essere ancora integra e pronta ad essere spaccata. «cj?» Solo quello, due sillabe del cazzo, lo distrassero dalla posizione costringendolo a rimanere immobile. Il cuore contro le ossa, la lingua a umettare le labbra ed il palato improvvisamente di vetro. Il CJ di quel mondo non battè ciglio, voltando solo pigro gli occhi chiari verso la sua destra – ed il Knowles ne seguì la direzione per inerzia, le sopracciglia che di aggrottarsi non ne avevano più alcuna forza. Cercò di deglutire, ma dovette chinarsi di lato e sputare un grumo di sangue. Finse che la mano stretta ai fili d’erba non avesse cominciato a tremare flebilmente, o che la forza della gravità non stesse minacciando di comprimergli i polmoni ad ogni fiato. Perché non dimenticava mai nulla, il Tassorosso – più passava il tempo, più si rendeva conto che si trattava di una condanna ed una maledizione – e quella voce, quella voce, l’aveva sentita nei propri incubi e sogni per mesi. Battè le ciglia dolente, incapace di distogliere gli occhi dalla ragazza poco distante o di privarsi del sorriso congelato sulle labbra sottili: per qualche secondo fu certo di confondere realtà ed illusione, passato e presente e futuro – quel ch’era stato, che ancora non era e forse non sarebbe stato mai. Gli occhi di lei guizzarono dall’uno all’altro dei CJ, labbra strette fra loro ed un sopracciglio arcuato; il Knowles si sforzò di reclinare il capo verso l’Hamilton, domande prive di senso a fischiare fra i denti rimanendo incompiute (tu lo sapevi?) perchè prima che potesse comprendere come formulare un qualsivoglia interrogativo, fu preceduto da un secco «non dovresti essere qui» del Grifondoro. Adelaide Milkobitch non sembrò far caso al tono d’accusa di CJ, ciglia corvine a battere languide sulle iridi blu e morbide labbra dischiuse. «sai chi sono?» l’Hamilton si limitò a ricambiarne impassibile l’occhiata. Tremava anche lui, sapete. Forse perfino più visibilmente del Knowles, che almeno nel terriccio poteva nascondercisi come un gatto nelle ombre. «e perché siete due?» domandò invece, e giuro su Dio che CJ sentì il proprio cuore rallentare nello sterno, attorcigliarsi alle costole e farsi un giro in altalena, quando ne incrociò lo sguardo. La vide indugiare, i polpastrelli a posarsi leggeri sulla spalla dell’Hamilton – e udì il singhiozzo secco dell’altro CJ, indispettito e disperato come ogni CJ che meriasse quel nome del cazzo. Lui non si mosse fisicamente, ma non ebbe bisogno di farlo per sciogliere la tensione accumulata sulle spalle, riempiendo quel vuoto con un languore che qualunque CJ conosceva fottutamente troppo bene: senso di colpa; la tentazione di volerci provare ancora una volta, a sperare. Ne dedusse che la presenza della sorella fosse una novità anche per lui. «che diamine hai fatto?» e fu istintivo, per Ade, chinarsi al fianco del Knowles allungando una mano verso il viso tumefatto ed insanguinato di lui – e fu necessità il ritrarsi di CJ allontanandosi da quelle dita pallide, strisciando al suolo prima che lei potesse raggiungerlo. «non toccarmi» voce roca e distante, le iridi una fessura smeraldo. «non fottutamente toccarmi,» ripetè, posando lo sguardo sul polso di lei - il bracciale, la stessa striscia di cuoio che il Knowles si portava appresso da Luglio. «cazzo.» scosse il capo sforzandosi d’ignorare l’espressione ferita di Ade e gli occhi di lei drammaticamente sollevati al cielo. «avete intenzione di spiegarmi cosa sta succedendo, o devo -» «perché sei qui?» Era troppo assurdo, troppo surreale credere a quello che i suoi occhi stavano vedendo. Era come avere una seconda, perversa possibilità all’incontro che un Knowles, il luglio precedente, non aveva potuto comprendere, dato che ancora non era a conoscenza dell’immane cazzata 2043. Ma il telapata? Lui era consapevole, negli occhi a farsi ferini e taglienti posandosi sul volto pallido di Adelaide – e non gli piaceva quel che vedeva, era chiaro. Conoscendosi, probabilmente perché gli piaceva troppo. Ma fu ancor più assurdo, ed ancor più surreale, origliarne la conversazione: «perché i miei fratelli, come prevedibile,» un mezzo sorriso ad ammorbidire labbra ed occhi. «hanno bisogno di me» In che senso. C’era chiaramente qualcosa che non funzionava, qualche ingranaggio fuori posto a rendere il ticchettio dell’orologio meccanico e sbagliato – un tassello fuori fase. Cercò di non capire, il Tassorosso – e ci provò così tanto da sentirsi in dovere di aprire la bocca e dire «bj è morto», giusto per strappare ad entrambi l’abbozzo di sorriso sulla bocca. Perché la sua Adelaide non aveva detto un cazzo, al Knowles. Passante provvisoria, aveva ritenuto opportuno solamente insultarlo e malmenarlo rinfacciandogli promesse che, ovviamente, non poteva rimembrare di aver fatto; non trovava giusto che all’altro fosse data quella possibilità, e fu felice nel notare come i denti del Grifondoro si fossero serrati nel sentir pronunciare il nome del fratello, e di come gli occhi blu della Milkobitch si fossero fatti più liquidi e distanti. «sono una medium,» ribattè, spostando lenta lo sguardo verso di lui. «lo so.» e quando tornò a guardare l’altro CJ, la schiena di lui a vibrare come un diapason, non ebbe bisogno di alcun invito prima di stringere le braccia attorno alla sua vita. Non parve neanche interessata al fatto che suo fratello non avesse alcuna maledetta intenzione di ricambiarne la stretta, rimanendo immobile e granitico fra le sue braccia. «sei solo di passaggio,» umettò le labbra, deglutì febbrile. Aveva bisogno di sentirselo dire, CJ Knowles. «vero?» se ne sbattè il cazzo di quanto lamentosa e supplichevole suonasse quella domanda, o di come le pupille si fossero leggermente dilatate rendendo l’iride un sottile anello acquamarina facendolo apparire più giovane e spaventato di quanto non fosse - di quanto volesse ammettere. Avrebbe fatto meglio a non domandarlo, ignorando la fitta alla base della gola tipica di chi cercasse sempre verità, e mai fosse pronto ad accettarla. «viene da un’altra realtà. non è uno di noi» tipico di un qualunque CJ cambiare argomento facendo apparire quello nuovo del tutto opportuno e giustificato, ma non poteva fottere il Knowles: non era un telepata, ma conosceva le sue, le loro tattiche per evitarsi verità scomode. Neanche lui voleva una risposta a quel quesito. Siamo uguali, io e te. Nei modi e nei tempi sbagliati, ma lo erano davvero. Adelaide spostò ancora gli occhi dall’uno all’altro, prima di osservarsi infine attorno. CJ non ebbe bisogno di seguire il suo sguardo per interpretare le sopracciglia corrugate e la smorfia ad arricciare naso e labbra, sporca d’ironia ed incredulità: sì, cazzo, sì, siamo tutti moltiplicati, fattene una ragione. Lei reclinò il capo distratta, udendo conversazioni a loro precluse mentre, seppur con eleganza, s’impuntava ad evitare la domanda del Knowles. «ade?» urgente e cocciuto ignorò l’occhiataccia dell’Hamilton, sforzandosi di sputare quel nome come se il solo pronunciarlo non scorticasse il petto. Non aveva avuto possibilità di dirlo, CJ, e mai l’avrebbe avuta – aveva detto addio anni prima, una vita prima, e poco importava che la lingua avesse memoria di aver pronunciato quel nome infinite volte, e con naturalezza lo facesse scivolare fra i denti: il Knowles se lo sentiva sul palato, che non fosse suo. Che fosse sbagliato. E che fosse ingiusto, terribilmente ingiusto, che le iridi zaffiro di lei si fossero soffermate brevemente nelle sue prima di cercare quelle di suo fratello in un «non ti lascio, cj» che costrinse il Knowles a chinare il capo sull’erba, uno sbuffo ferroso a svuotare i polmoni. Fu quasi felice quando apparì Seth, passivamente conscio che li avrebbe uccisi tutti: onestamente, non era certo di voler vivere abbastanza da dover affrontare le conseguenze di quel teatrino del cazzo. Si conosceva troppo bene, e nel troppo male per credere che con una scrollata di spalle ed un vabbè strategico potesse semplicemente passarci sopra fingendo che fosse corretto o normale. Troppo egoista, troppo infantile. Troppo Knowles nel scivolare ancora indietro ridendo amaro e secco, la testa a scuotersi debolmente di un’ironia incapace di fagocitarsi. «ma vaffanculo» sentito, a tutti ed a nessuno – più a CJ ed Adelaide che a Seth, il Dittatore Oscuro dai peculiari gusti musicali. Li capiva, quelli come lui. Aveva imparato ad accettarli, perché gente così l’aveva masticato da tutta una vita – ma quei due? Quelli non poteva tollerarli, e soprattutto non voleva farlo. Cioè. Cioè. Corrugò le sopracciglia trascinandosi verso un Sunday che, lentamente, iniziava a prendere conoscenza. A Barrow, a Sersha, a Joey – perché loro, e solo fottutamente loro, non ti lascio, cj. La sua, di Adelaide Milkobitch, aveva portato via il cazzo appena possibile. «ma vaffanculo» sibilato in sangue e carne, caso mai non fosse stato udito la prima volta dal Signore o chi per esso, con i denti rimasti a maciullare l’interno delle guance ed il capo volto al cielo evitando cocciuto gli occhi di tutti: non voleva parlarne; non voleva pensarci, non voleva esserci, e sicuro come l’oro non voleva nessun cazzo di uau, cigei, ma quella non è tua sorella? Perché no, vaffanculo. No. Non era sua sorella. E non lo sarebbe mai stata, perché la sua se n’era andata. «chi vuole essere il prossimo?» Aveva solo che da pescare dal mazzo, Seth Country Boi. Prese quel poco ch’era rimasto della propria maglia e la tirò verso l’alto scoprendo il busto marchiato per coprirsi il volto, asciugando così sangue e sudore dalle guance. Rimase con il tessuto sulla bocca e gli occhi, palpebre serrate e mani poggiate contro le orecchie, perché lì, CJ, non voleva più esisterci per un po’. Era chiedere tanto? Solo un fottuto po’ senza i drammi di quell’universo del cazzo – senza i drammi di quei tanti CJ del cazzo, finchè poteva evitarseli. Non alzò il capo il capo neanche ai bisbigli successivi o alla voce di Lancaster, decidendo in quel silenzio che non fosse più un suo problema. Sentiva i movimenti dei Freaks al proprio fianco, e tanto se lo fece bastare per tenere testardamente il viso incastrato nella sporca maglietta un tempo bianca: degli altri, sinceramente, se ne fotteva altamente. Neanche l’ululato di Seth bastò a convincere CJ che non fosse il momento opportuno per dissociarsi, ormai lontano dalla realtà quel tanto sufficiente a sopravviversi. «oblivion.» Fu solo a quel punto che, cauto, abbassò l’orlo della maglia scoprendo gli occhi segnati e stanchi – giusto in tempo per vedere gli Altri cadere, apparecchi improvvisamente privi di una fonte dalla quale succhiare energia. Lanciò uno sguardo interrogativo agli altri, che risposero semplicemente con strette di spalle. Il resto della discussione di Lancaster, il Knowles decise di risparmiarselo. Si alzò in piedi per mero dovere civico, spinto più da impulsi che da raziocinio. In lontananza percepiva l’uomo parlare, ne memorizzava passivamente le parole, ma non le elaborò sul momento – ci avrebbe pensato qualcun altro ad aggiornare CJ, se fosse stato necessario in tempo breve. Fece un paio di metri, si fermò al fianco di una priva di sensi Adelaide. Quando non lo guardava, era più facile. Quando non cercava gli occhi dell’altro CJ, era più tollerabile. Quando poteva fingere che non fosse reale, e che fosse solo parte di un sogno, poteva vivere. Così si chinò al suo fianco, gomiti poggiati sulle ginocchia ed una mano a indugiare sopra la ragazza; spinse le dita sul suo collo, l’indice ed il medio a cercare un battito che sapeva ci fosse, ma del quale voleva avere certezza sulla pelle. La favola di William non lo distrasse abbastanza da impedirgli, cauto e privo di spettatori, di far scivolare la mano sulla guancia di Adelaide spostandole delicatamente una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio, o di lasciare, per una volta, che gli occhi si facessero onesto specchio del vuoto allo stomaco, friggendo di quel dolore che raramente CJ lasciava a sporcare le iridi. Non era corretto, capite? Cos’aveva in meno dell’Hamilton, il Knowles? Doveva esserci qualcosa di profondamente sbagliato, nel Tassorosso. Qualcosa di così concreto e crudele da averlo reso non abbastanza perfino per sua sorella – qualcuno per il quale non valesse la pena. E dire che lo sapeva, CJ Knowles. L’aveva saputo per anni, educato a quella consapevolezza di sé con schiaffi e sangue sul cuscino, eppure non era comunque preparato ad accettarne così distintamente le conseguenze. Anche io avevo bisogno di te, diceva il pollice premuto piano sulla gota color panna della Milkobitch, perché con me non sei rimasta? ed il punto era che non avrebbe potuto rispondergli nessuno – che a nessuno avrebbe potuto spiegare perché facesse così male. Inadeguato nella sua stessa pelle, l’ennesimo fallimento da segnare sul Libretto ed il millesimo punto stella da dare a chiunque, in quei diciassette anni di vita di merda, avesse avuto ragione sul suo conto. Era la parte che più odiava, quella. La cattiva reputazione amava meritarsela, guadagnarsela senza spenderci fatica o carne gli pareva un merito di troppo; si sentiva pulito da quelle colpe. Innocente. Ed invece, puttana merda, per tutto quel tempo e per tutte quelle vite avevano sempre avuto fottutamente ragione. Si alzò di scatto ribollendo di rabbia fredda, un lontano «ecco perché vi ho mostrato tutto questo. Meritavate di saperlo, prima di scegliere» mentre, metodico e preciso, sollevava un piede sopra il petto di CJ Hamilton, la punta dello scarponcino a sfiorarne la gola pallida. Vulnerabile, osservò pragmatico, piegando il capo sulla spalla. Indifeso, prese scrupolosamente nota nel premere leggermente contro il collo dell’altro. Avrebbe ricavato qualcosa dalla morte del suo alter ego? No, ma gli avrebbe in ogni caso dato effimero, sbagliato, piacere. Una piccola soddisfazione del cazzo, ecco. Così, perché se lo meritava. Perché non era giusto. A malapena si rese conto di aver ripreso possesso di Houdini, della punta di lei a scivolare melliflua sulla guancia dell’Hamilton lasciando una ruvida traccia di sangue. Sarebbe bastato così poco - fottutamente poco. Si domandò perché il mondo l’avesse modellato così male da fargli trovare più semplice uccidere qualcuno piuttosto che sopravvivere a sé stesso. Deglutì, battè le palpebre. Ritrasse Houdini e ripiegò quell’ingiustificata rabbia in un calcio al costato dell’altro, un sorriso sghembo e gratificato nel sentire le ossa scricchiolare. «non te la meriti» interpretabile. E lì si spense, CJ Knowles, entrando in modalità pilota automatico. Salutò amichevolmente i pochi stronzi dell’upside down che gli piacevano, sprecandosi perfino in un distratto dita alla fronte ed un ghigno a metà verso au Gemes; riuscì perfino a sfottere Joey quando un piangente au-Joseph strinse le braccia al collo di Sandy, un «prendi esempio, frigido» bisbigliato da sopra la spalla diversi centimetri più in basso. Ma voleva solo andarsene, solo fottutamente andarsene. Voleva abbracciare BlowJob e dirgli che per quanto fosse un pezzo di merda, era il suo pezzo di merda – e non doveva neanche pensare di morire senza di lui, quel cazzone di un Reynolds. Voleva passare più tempo possibile con i Freaks, perché aveva visto che merda fosse un CJ senza di loro; voleva smetterla di procrastinare, vaffanculo, e prendersi di diritto la possibilità di baciare Sersha Kavinsky quando e come gli andava. C’aveva poco da girarci attorno, il Knowles, dopo tutti quei mesi e quei CJ: non si voleva, senza una Sersha o una Meara. Non voleva mandare tutto a puttane, non di nuovo e non così. Voleva dimostrare, almeno a quella piccola parte di Tassorosso al quale ancora importava, che valesse ancora la pena - che visto, Ade? Vaffanculo, non sono poi così male. Prese le guance di Barry con una mano e, tirandolo a sé, gli schioccò un bacio sulla punta del naso minacciandolo di non fare troppo la puttanella nel futuro, perché loro l’avrebbero saputo e l’avrebbero sfottuto tutte le esistenze a loro disposizione. Ed aveva già un piede al di là del portale, pronto a buttarsi alle spalle il nuovo mondo. Se ne sarebbe andato senza far ulteriore rumore, CJ Knowles, se solo - «mi dispiace» Si bloccò a metà di un passo, gli occhi chiari a scivolare dalla mano stretta attorno al suo polso al braccio sottile di Adelaide Milkobitch. Ma per cosa, cazzo. Per caso cazzo poteva dispiacersi, lei. Sentiva sulla punta della lingua il vaffanculo che quelle due parole meritavano, il medio già a prudere dal bisogno di sollevarsi e piantarsi di fronte agli occhi blu della ragazza. Deglutì, scosse il capo in un sorriso grezzo e ruvido. Le rispose nell’unico modo possibile, onesto anche quando faceva più male, indugiando con le dita sulla mano di lei prima di sottrarsi alla presa. Perché CJ Hamilton non se la meritava, ma erano uguali loro due. «non dovresti» e sapeva riconoscere la sconfitta, il Knowles. «non ne vale la pena.» Il respiro dopo, era già in California.
Un mese e mezzo. Cristo Santo. Inspirò dalle narici esitando fuori dalla porta di casa Shaw, la luna a brillare nel cielo segnando la fine di un’altra, entusiasmante, giornata di raccolta. Non sapeva neanche quale fosse l’ortaggio di stagione, ma aveva la netta sensazione che fosse sempre il periodo delle barbabietole nel Far West. Aveva cercato, e trovato, BJ, ed aveva incassato con classe la testata nei (pochi) denti (che gli erano rimasti) con cui il fratello aveva deciso di comunicargli il mese passato in solitudine. Era rimasto attaccato al culo del Reynolds per quasi ventiquattro ore, per la prima volta in vita sua timoroso di rimanere da solo - lui, che di pause ne aveva sempre avuto bisogno quanto ossigeno – ma… non sapeva che farsene di CJ, CJ. Doveva capire come approcciarsi alla Kavinsky, come ignorare di essere un CJ di seconda classe, e come evitare la Sagrada Familia finchè Lancaster non fosse andato a recuperarli per portarli nel 2018 – a Londra, il Knowles, un luogo dove sparire l’aveva sempre trovato. Si sentiva a disagio con tutto, CJ, ed il fatto che anche Gwen avesse deciso di vuotare il sacco agli Arcidan + Jay non lo faceva sentire meglio manco per il cazzo. Cominciava a diventare un po’ troppo soffocante, per il Knowles. Ecco perché aveva aspettato più di ventiquattro ore, prima di tornare a casa. Il tempo di far calmare le acque, ecco (e di permettere a Barbie di fargli ricrescere i denti: poteva sopportare gli ematomi e le ossa rotte, ma i cazzo di denti li rivoleva indietro), così che la sua presenza tornasse a passare inosservata. Confidava che Murdock si fosse fatto i cazzi propri, ma non abbastanza da azzardarsi un tête-à-tête ancora a caldo: fra un paio di (mesi) (anni) giorni avrebbe potuto tornare a parlare del fantastico nuovo cimitero fuori città con padre Shaw o delle corse a cavalli con Myles, ma fino a quel momento avrebbe mantenuto la propria posizione da Gen Z evitando incontri del terzo tipo. Lineare e logico. Aveva solo bisogno di una doccia, magari di dormire un’oretta, e di prendere i propri pochi effetti personali in camera – velocissimo, neanche si sarebbero accorti della sua presenza. Abbassò la maniglia lentamente, una silente preghiera a Beyoncè perché il legno non scricchiolasse; una ventina di centimetri gli bastarono per infilarsi dentro casa, sottile ed emaciato com’era. Riuscì perfino a sorridere, soddisfatto e strafatto dalla mancanza di sonno – e fu con quel ghigno sbilenco e tronfio sulle labbra, che si scontrò, quasi letteralmente, con Gemes Hamilton. Ma Porca merda. Cioè, okay, ci abitava, ma …boh, non dormiva come i bravi cristiani? O non aveva una bara in cui rifugiarsi la notte? «yo» salutò istintivo, dita alla fronte, fingendo di non aver appena perso venti preziosi anni di vita. «stavo giusto -» ed avrebbe concluso con un inutile e superfluo uscendo, se l’altro non l’avesse anticipato con un criptico e secco «dobbiamo parlare». Beh. C’erano sicuramente un sacco di argomenti di cui avrebbero potuto dover parlare - tipo il football, uh? Il baseball? Umettò le labbra portando innocente un indice al petto, un silente ma proprio io? negli occhi chiari e socchiusi. Sì, proprio lui. «dobbiamo proprio?» sopracciglio cinicamente inarcato, CJ s’immedesimò nella miglior versione dello svogliato di vivere Barrow Cooper pregando che bastasse a liquidare la conversazione. Ed invece no, perché a quanto pareva dovevano proprio. Annuì fra sé, un sospiro drammatico sulle labbra prima di abbandonarsi a peso morto su una delle sedie in cucina. Voleva ancora tenersi un certo margine di fuga, CJ. Un tavolo gli pareva uno spazio adeguato da mantenere fra sé e l’Hamilton. Intrecciò le dita di fronte a sé, espirò svuotando i polmoni e chinò il capo sulle proprie mani giunte. «mi perdoni Padre, perché ho peccato. sono passati diciassette anni dalla mia ultima confessione» si strinse pigramente nelle spalle con un sorriso ad un quarto. «inserire reati qualunque, è probabile li abbia commessi. sono sinceramente pentito, farò un’ave maria ad ogni happy hour. posso andare ora?» eh. La speranza era sempre l’ultima a morire.
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| christopher jeez "cj" knowles |
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