draw a picture with your bloodlines

cj + gemes

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +4    
     
    .
    Avatar

    you want to take the lead and hurt first.

    Group
    Rebel
    Posts
    485
    Spolliciometro
    +1,048

    Status
    Offline
    Le sentiva ancora prudere in gola, le parole appena pronunciate: siamo uguali, io e te - ed uguali, lui e l’Hamilton, lo erano davvero. Lo reputava una testa di cazzo, un pigro pezzo di merda, un sadico masochista arrogante e provocatorio? , ma non era certo un qualcosa di nuovo per i fottuti CJ del mondo. Lo sapeva di non essere una bella persona, CJ Knowles. E lo vedeva, negli occhi arrossati dell’altro e nella sfumatura azzurra dell’iride, nel modo in cui stringeva la mascella ed i pugni lungo i fianchi, nel respiro a premere sul palato ed i denti a tagliare la carne – come aveva guardato BJ, come cercasse sempre lo sguardo di Roy, e come squadrava il Tassorosso quando credeva che non gli stesse prestando attenzione. Gli costava ammetterlo? Neanche troppo. Il telepata gli stava sul cazzo? Indubbiamente, ma nulla di personale: odiava anche sé stesso, e dire che di un CJ Knowles poteva almeno ignorarne i sorrisi spezzati evitandosi di vederli. Non mandare tutto a puttane, ammonimento che li perseguitava da anni e negli anni, indipendentemente da chi fossero o volessero essere. Perseverò nel ghigno sbilenco malgrado il sangue a colare dalle labbra spaccate, od i denti a martoriare l’interno della bocca, con un gomito poggiato al suolo ed il capo reclinato verso l’Hamilton –a sfidarlo a continuare, a picchiare un po’ più forte dato che qualche costola pareva essere ancora integra e pronta ad essere spaccata.
    «cj?»
    Solo quello, due sillabe del cazzo, lo distrassero dalla posizione costringendolo a rimanere immobile. Il cuore contro le ossa, la lingua a umettare le labbra ed il palato improvvisamente di vetro. Il CJ di quel mondo non battè ciglio, voltando solo pigro gli occhi chiari verso la sua destra – ed il Knowles ne seguì la direzione per inerzia, le sopracciglia che di aggrottarsi non ne avevano più alcuna forza. Cercò di deglutire, ma dovette chinarsi di lato e sputare un grumo di sangue. Finse che la mano stretta ai fili d’erba non avesse cominciato a tremare flebilmente, o che la forza della gravità non stesse minacciando di comprimergli i polmoni ad ogni fiato. Perché non dimenticava mai nulla, il Tassorosso – più passava il tempo, più si rendeva conto che si trattava di una condanna ed una maledizione – e quella voce, quella voce, l’aveva sentita nei propri incubi e sogni per mesi. Battè le ciglia dolente, incapace di distogliere gli occhi dalla ragazza poco distante o di privarsi del sorriso congelato sulle labbra sottili: per qualche secondo fu certo di confondere realtà ed illusione, passato e presente e futuro – quel ch’era stato, che ancora non era e forse non sarebbe stato mai. Gli occhi di lei guizzarono dall’uno all’altro dei CJ, labbra strette fra loro ed un sopracciglio arcuato; il Knowles si sforzò di reclinare il capo verso l’Hamilton, domande prive di senso a fischiare fra i denti rimanendo incompiute (tu lo sapevi?) perchè prima che potesse comprendere come formulare un qualsivoglia interrogativo, fu preceduto da un secco «non dovresti essere qui» del Grifondoro. Adelaide Milkobitch non sembrò far caso al tono d’accusa di CJ, ciglia corvine a battere languide sulle iridi blu e morbide labbra dischiuse. «sai chi sono?» l’Hamilton si limitò a ricambiarne impassibile l’occhiata. Tremava anche lui, sapete. Forse perfino più visibilmente del Knowles, che almeno nel terriccio poteva nascondercisi come un gatto nelle ombre. «e perché siete due?» domandò invece, e giuro su Dio che CJ sentì il proprio cuore rallentare nello sterno, attorcigliarsi alle costole e farsi un giro in altalena, quando ne incrociò lo sguardo. La vide indugiare, i polpastrelli a posarsi leggeri sulla spalla dell’Hamilton – e udì il singhiozzo secco dell’altro CJ, indispettito e disperato come ogni CJ che meriasse quel nome del cazzo. Lui non si mosse fisicamente, ma non ebbe bisogno di farlo per sciogliere la tensione accumulata sulle spalle, riempiendo quel vuoto con un languore che qualunque CJ conosceva fottutamente troppo bene: senso di colpa; la tentazione di volerci provare ancora una volta, a sperare.
    Ne dedusse che la presenza della sorella fosse una novità anche per lui. «che diamine hai fatto?» e fu istintivo, per Ade, chinarsi al fianco del Knowles allungando una mano verso il viso tumefatto ed insanguinato di lui – e fu necessità il ritrarsi di CJ allontanandosi da quelle dita pallide, strisciando al suolo prima che lei potesse raggiungerlo. «non toccarmi» voce roca e distante, le iridi una fessura smeraldo. «non fottutamente toccarmi,» ripetè, posando lo sguardo sul polso di lei - il bracciale, la stessa striscia di cuoio che il Knowles si portava appresso da Luglio. «cazzo.» scosse il capo sforzandosi d’ignorare l’espressione ferita di Ade e gli occhi di lei drammaticamente sollevati al cielo. «avete intenzione di spiegarmi cosa sta succedendo, o devo -» «perché sei qui?» Era troppo assurdo, troppo surreale credere a quello che i suoi occhi stavano vedendo. Era come avere una seconda, perversa possibilità all’incontro che un Knowles, il luglio precedente, non aveva potuto comprendere, dato che ancora non era a conoscenza dell’immane cazzata 2043. Ma il telapata? Lui era consapevole, negli occhi a farsi ferini e taglienti posandosi sul volto pallido di Adelaide – e non gli piaceva quel che vedeva, era chiaro. Conoscendosi, probabilmente perché gli piaceva troppo.
    Ma fu ancor più assurdo, ed ancor più surreale, origliarne la conversazione: «perché i miei fratelli, come prevedibile,» un mezzo sorriso ad ammorbidire labbra ed occhi. «hanno bisogno di me»
    In che senso. C’era chiaramente qualcosa che non funzionava, qualche ingranaggio fuori posto a rendere il ticchettio dell’orologio meccanico e sbagliato – un tassello fuori fase. Cercò di non capire, il Tassorosso – e ci provò così tanto da sentirsi in dovere di aprire la bocca e dire «bj è morto», giusto per strappare ad entrambi l’abbozzo di sorriso sulla bocca. Perché la sua Adelaide non aveva detto un cazzo, al Knowles. Passante provvisoria, aveva ritenuto opportuno solamente insultarlo e malmenarlo rinfacciandogli promesse che, ovviamente, non poteva rimembrare di aver fatto; non trovava giusto che all’altro fosse data quella possibilità, e fu felice nel notare come i denti del Grifondoro si fossero serrati nel sentir pronunciare il nome del fratello, e di come gli occhi blu della Milkobitch si fossero fatti più liquidi e distanti. «sono una medium,» ribattè, spostando lenta lo sguardo verso di lui. «lo so.» e quando tornò a guardare l’altro CJ, la schiena di lui a vibrare come un diapason, non ebbe bisogno di alcun invito prima di stringere le braccia attorno alla sua vita. Non parve neanche interessata al fatto che suo fratello non avesse alcuna maledetta intenzione di ricambiarne la stretta, rimanendo immobile e granitico fra le sue braccia. «sei solo di passaggio,» umettò le labbra, deglutì febbrile. Aveva bisogno di sentirselo dire, CJ Knowles. «vero?» se ne sbattè il cazzo di quanto lamentosa e supplichevole suonasse quella domanda, o di come le pupille si fossero leggermente dilatate rendendo l’iride un sottile anello acquamarina facendolo apparire più giovane e spaventato di quanto non fosse - di quanto volesse ammettere. Avrebbe fatto meglio a non domandarlo, ignorando la fitta alla base della gola tipica di chi cercasse sempre verità, e mai fosse pronto ad accettarla. «viene da un’altra realtà. non è uno di noi» tipico di un qualunque CJ cambiare argomento facendo apparire quello nuovo del tutto opportuno e giustificato, ma non poteva fottere il Knowles: non era un telepata, ma conosceva le sue, le loro tattiche per evitarsi verità scomode. Neanche lui voleva una risposta a quel quesito.
    Siamo uguali, io e te. Nei modi e nei tempi sbagliati, ma lo erano davvero.
    Adelaide spostò ancora gli occhi dall’uno all’altro, prima di osservarsi infine attorno. CJ non ebbe bisogno di seguire il suo sguardo per interpretare le sopracciglia corrugate e la smorfia ad arricciare naso e labbra, sporca d’ironia ed incredulità: sì, cazzo, sì, siamo tutti moltiplicati, fattene una ragione. Lei reclinò il capo distratta, udendo conversazioni a loro precluse mentre, seppur con eleganza, s’impuntava ad evitare la domanda del Knowles. «ade?» urgente e cocciuto ignorò l’occhiataccia dell’Hamilton, sforzandosi di sputare quel nome come se il solo pronunciarlo non scorticasse il petto. Non aveva avuto possibilità di dirlo, CJ, e mai l’avrebbe avuta – aveva detto addio anni prima, una vita prima, e poco importava che la lingua avesse memoria di aver pronunciato quel nome infinite volte, e con naturalezza lo facesse scivolare fra i denti: il Knowles se lo sentiva sul palato, che non fosse suo. Che fosse sbagliato.
    E che fosse ingiusto, terribilmente ingiusto, che le iridi zaffiro di lei si fossero soffermate brevemente nelle sue prima di cercare quelle di suo fratello in un «non ti lascio, cj» che costrinse il Knowles a chinare il capo sull’erba, uno sbuffo ferroso a svuotare i polmoni.
    Fu quasi felice quando apparì Seth, passivamente conscio che li avrebbe uccisi tutti: onestamente, non era certo di voler vivere abbastanza da dover affrontare le conseguenze di quel teatrino del cazzo. Si conosceva troppo bene, e nel troppo male per credere che con una scrollata di spalle ed un vabbè strategico potesse semplicemente passarci sopra fingendo che fosse corretto o normale. Troppo egoista, troppo infantile. Troppo Knowles nel scivolare ancora indietro ridendo amaro e secco, la testa a scuotersi debolmente di un’ironia incapace di fagocitarsi. «ma vaffanculo» sentito, a tutti ed a nessuno – più a CJ ed Adelaide che a Seth, il Dittatore Oscuro dai peculiari gusti musicali. Li capiva, quelli come lui. Aveva imparato ad accettarli, perché gente così l’aveva masticato da tutta una vita – ma quei due? Quelli non poteva tollerarli, e soprattutto non voleva farlo. Cioè.
    Cioè. Corrugò le sopracciglia trascinandosi verso un Sunday che, lentamente, iniziava a prendere conoscenza. A Barrow, a Sersha, a Joey – perché loro, e solo fottutamente loro, non ti lascio, cj.
    La sua, di Adelaide Milkobitch, aveva portato via il cazzo appena possibile.
    «ma vaffanculo» sibilato in sangue e carne, caso mai non fosse stato udito la prima volta dal Signore o chi per esso, con i denti rimasti a maciullare l’interno delle guance ed il capo volto al cielo evitando cocciuto gli occhi di tutti: non voleva parlarne; non voleva pensarci, non voleva esserci, e sicuro come l’oro non voleva nessun cazzo di uau, cigei, ma quella non è tua sorella? Perché no, vaffanculo. No.
    Non era sua sorella. E non lo sarebbe mai stata, perché la sua se n’era andata. «chi vuole essere il prossimo?» Aveva solo che da pescare dal mazzo, Seth Country Boi. Prese quel poco ch’era rimasto della propria maglia e la tirò verso l’alto scoprendo il busto marchiato per coprirsi il volto, asciugando così sangue e sudore dalle guance. Rimase con il tessuto sulla bocca e gli occhi, palpebre serrate e mani poggiate contro le orecchie, perché , CJ, non voleva più esisterci per un po’. Era chiedere tanto? Solo un fottuto po’ senza i drammi di quell’universo del cazzo – senza i drammi di quei tanti CJ del cazzo, finchè poteva evitarseli. Non alzò il capo il capo neanche ai bisbigli successivi o alla voce di Lancaster, decidendo in quel silenzio che non fosse più un suo problema. Sentiva i movimenti dei Freaks al proprio fianco, e tanto se lo fece bastare per tenere testardamente il viso incastrato nella sporca maglietta un tempo bianca: degli altri, sinceramente, se ne fotteva altamente. Neanche l’ululato di Seth bastò a convincere CJ che non fosse il momento opportuno per dissociarsi, ormai lontano dalla realtà quel tanto sufficiente a sopravviversi. «oblivion.» Fu solo a quel punto che, cauto, abbassò l’orlo della maglia scoprendo gli occhi segnati e stanchi – giusto in tempo per vedere gli Altri cadere, apparecchi improvvisamente privi di una fonte dalla quale succhiare energia. Lanciò uno sguardo interrogativo agli altri, che risposero semplicemente con strette di spalle.
    Il resto della discussione di Lancaster, il Knowles decise di risparmiarselo. Si alzò in piedi per mero dovere civico, spinto più da impulsi che da raziocinio. In lontananza percepiva l’uomo parlare, ne memorizzava passivamente le parole, ma non le elaborò sul momento – ci avrebbe pensato qualcun altro ad aggiornare CJ, se fosse stato necessario in tempo breve. Fece un paio di metri, si fermò al fianco di una priva di sensi Adelaide. Quando non lo guardava, era più facile. Quando non cercava gli occhi dell’altro CJ, era più tollerabile. Quando poteva fingere che non fosse reale, e che fosse solo parte di un sogno, poteva vivere. Così si chinò al suo fianco, gomiti poggiati sulle ginocchia ed una mano a indugiare sopra la ragazza; spinse le dita sul suo collo, l’indice ed il medio a cercare un battito che sapeva ci fosse, ma del quale voleva avere certezza sulla pelle. La favola di William non lo distrasse abbastanza da impedirgli, cauto e privo di spettatori, di far scivolare la mano sulla guancia di Adelaide spostandole delicatamente una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio, o di lasciare, per una volta, che gli occhi si facessero onesto specchio del vuoto allo stomaco, friggendo di quel dolore che raramente CJ lasciava a sporcare le iridi. Non era corretto, capite? Cos’aveva in meno dell’Hamilton, il Knowles?
    Doveva esserci qualcosa di profondamente sbagliato, nel Tassorosso. Qualcosa di così concreto e crudele da averlo reso non abbastanza perfino per sua sorella – qualcuno per il quale non valesse la pena. E dire che lo sapeva, CJ Knowles. L’aveva saputo per anni, educato a quella consapevolezza di sé con schiaffi e sangue sul cuscino, eppure non era comunque preparato ad accettarne così distintamente le conseguenze. Anche io avevo bisogno di te, diceva il pollice premuto piano sulla gota color panna della Milkobitch, perché con me non sei rimasta? ed il punto era che non avrebbe potuto rispondergli nessuno – che a nessuno avrebbe potuto spiegare perché facesse così male. Inadeguato nella sua stessa pelle, l’ennesimo fallimento da segnare sul Libretto ed il millesimo punto stella da dare a chiunque, in quei diciassette anni di vita di merda, avesse avuto ragione sul suo conto. Era la parte che più odiava, quella. La cattiva reputazione amava meritarsela, guadagnarsela senza spenderci fatica o carne gli pareva un merito di troppo; si sentiva pulito da quelle colpe. Innocente.
    Ed invece, puttana merda, per tutto quel tempo e per tutte quelle vite avevano sempre avuto fottutamente ragione. Si alzò di scatto ribollendo di rabbia fredda, un lontano «ecco perché vi ho mostrato tutto questo. Meritavate di saperlo, prima di scegliere» mentre, metodico e preciso, sollevava un piede sopra il petto di CJ Hamilton, la punta dello scarponcino a sfiorarne la gola pallida. Vulnerabile, osservò pragmatico, piegando il capo sulla spalla. Indifeso, prese scrupolosamente nota nel premere leggermente contro il collo dell’altro. Avrebbe ricavato qualcosa dalla morte del suo alter ego? No, ma gli avrebbe in ogni caso dato effimero, sbagliato, piacere. Una piccola soddisfazione del cazzo, ecco.
    Così, perché se lo meritava. Perché non era giusto. A malapena si rese conto di aver ripreso possesso di Houdini, della punta di lei a scivolare melliflua sulla guancia dell’Hamilton lasciando una ruvida traccia di sangue. Sarebbe bastato così poco - fottutamente poco. Si domandò perché il mondo l’avesse modellato così male da fargli trovare più semplice uccidere qualcuno piuttosto che sopravvivere a sé stesso. Deglutì, battè le palpebre.
    Ritrasse Houdini e ripiegò quell’ingiustificata rabbia in un calcio al costato dell’altro, un sorriso sghembo e gratificato nel sentire le ossa scricchiolare. «non te la meriti» interpretabile.
    E lì si spense, CJ Knowles, entrando in modalità pilota automatico. Salutò amichevolmente i pochi stronzi dell’upside down che gli piacevano, sprecandosi perfino in un distratto dita alla fronte ed un ghigno a metà verso au Gemes; riuscì perfino a sfottere Joey quando un piangente au-Joseph strinse le braccia al collo di Sandy, un «prendi esempio, frigido» bisbigliato da sopra la spalla diversi centimetri più in basso. Ma voleva solo andarsene, solo fottutamente andarsene. Voleva abbracciare BlowJob e dirgli che per quanto fosse un pezzo di merda, era il suo pezzo di merda – e non doveva neanche pensare di morire senza di lui, quel cazzone di un Reynolds. Voleva passare più tempo possibile con i Freaks, perché aveva visto che merda fosse un CJ senza di loro; voleva smetterla di procrastinare, vaffanculo, e prendersi di diritto la possibilità di baciare Sersha Kavinsky quando e come gli andava. C’aveva poco da girarci attorno, il Knowles, dopo tutti quei mesi e quei CJ: non si voleva, senza una Sersha o una Meara. Non voleva mandare tutto a puttane, non di nuovo e non così. Voleva dimostrare, almeno a quella piccola parte di Tassorosso al quale ancora importava, che valesse ancora la pena - che visto, Ade? Vaffanculo, non sono poi così male. Prese le guance di Barry con una mano e, tirandolo a sé, gli schioccò un bacio sulla punta del naso minacciandolo di non fare troppo la puttanella nel futuro, perché loro l’avrebbero saputo e l’avrebbero sfottuto tutte le esistenze a loro disposizione.
    Ed aveva già un piede al di là del portale, pronto a buttarsi alle spalle il nuovo mondo. Se ne sarebbe andato senza far ulteriore rumore, CJ Knowles, se solo - «mi dispiace» Si bloccò a metà di un passo, gli occhi chiari a scivolare dalla mano stretta attorno al suo polso al braccio sottile di Adelaide Milkobitch. Ma per cosa, cazzo. Per caso cazzo poteva dispiacersi, lei. Sentiva sulla punta della lingua il vaffanculo che quelle due parole meritavano, il medio già a prudere dal bisogno di sollevarsi e piantarsi di fronte agli occhi blu della ragazza. Deglutì, scosse il capo in un sorriso grezzo e ruvido. Le rispose nell’unico modo possibile, onesto anche quando faceva più male, indugiando con le dita sulla mano di lei prima di sottrarsi alla presa. Perché CJ Hamilton non se la meritava, ma erano uguali loro due.
    «non dovresti» e sapeva riconoscere la sconfitta, il Knowles. «non ne vale la pena.»
    Il respiro dopo, era già in California.

    Un mese e mezzo. Cristo Santo. Inspirò dalle narici esitando fuori dalla porta di casa Shaw, la luna a brillare nel cielo segnando la fine di un’altra, entusiasmante, giornata di raccolta. Non sapeva neanche quale fosse l’ortaggio di stagione, ma aveva la netta sensazione che fosse sempre il periodo delle barbabietole nel Far West. Aveva cercato, e trovato, BJ, ed aveva incassato con classe la testata nei (pochi) denti (che gli erano rimasti) con cui il fratello aveva deciso di comunicargli il mese passato in solitudine. Era rimasto attaccato al culo del Reynolds per quasi ventiquattro ore, per la prima volta in vita sua timoroso di rimanere da solo - lui, che di pause ne aveva sempre avuto bisogno quanto ossigeno – ma… non sapeva che farsene di CJ, CJ. Doveva capire come approcciarsi alla Kavinsky, come ignorare di essere un CJ di seconda classe, e come evitare la Sagrada Familia finchè Lancaster non fosse andato a recuperarli per portarli nel 2018 – a Londra, il Knowles, un luogo dove sparire l’aveva sempre trovato. Si sentiva a disagio con tutto, CJ, ed il fatto che anche Gwen avesse deciso di vuotare il sacco agli Arcidan + Jay non lo faceva sentire meglio manco per il cazzo. Cominciava a diventare un po’ troppo soffocante, per il Knowles.
    Ecco perché aveva aspettato più di ventiquattro ore, prima di tornare a casa. Il tempo di far calmare le acque, ecco (e di permettere a Barbie di fargli ricrescere i denti: poteva sopportare gli ematomi e le ossa rotte, ma i cazzo di denti li rivoleva indietro), così che la sua presenza tornasse a passare inosservata. Confidava che Murdock si fosse fatto i cazzi propri, ma non abbastanza da azzardarsi un tête-à-tête ancora a caldo: fra un paio di (mesi) (anni) giorni avrebbe potuto tornare a parlare del fantastico nuovo cimitero fuori città con padre Shaw o delle corse a cavalli con Myles, ma fino a quel momento avrebbe mantenuto la propria posizione da Gen Z evitando incontri del terzo tipo. Lineare e logico. Aveva solo bisogno di una doccia, magari di dormire un’oretta, e di prendere i propri pochi effetti personali in camera – velocissimo, neanche si sarebbero accorti della sua presenza. Abbassò la maniglia lentamente, una silente preghiera a Beyoncè perché il legno non scricchiolasse; una ventina di centimetri gli bastarono per infilarsi dentro casa, sottile ed emaciato com’era. Riuscì perfino a sorridere, soddisfatto e strafatto dalla mancanza di sonno – e fu con quel ghigno sbilenco e tronfio sulle labbra, che si scontrò, quasi letteralmente, con Gemes Hamilton.
    Ma
    Porca merda.
    Cioè, okay, ci abitava, ma …boh, non dormiva come i bravi cristiani? O non aveva una bara in cui rifugiarsi la notte? «yo» salutò istintivo, dita alla fronte, fingendo di non aver appena perso venti preziosi anni di vita. «stavo giusto -» ed avrebbe concluso con un inutile e superfluo uscendo, se l’altro non l’avesse anticipato con un criptico e secco «dobbiamo parlare».
    Beh. C’erano sicuramente un sacco di argomenti di cui avrebbero potuto dover parlare - tipo il football, uh? Il baseball? Umettò le labbra portando innocente un indice al petto, un silente ma proprio io? negli occhi chiari e socchiusi.
    Sì, proprio lui. «dobbiamo proprio?» sopracciglio cinicamente inarcato, CJ s’immedesimò nella miglior versione dello svogliato di vivere Barrow Cooper pregando che bastasse a liquidare la conversazione.
    Ed invece no, perché a quanto pareva dovevano proprio.
    Annuì fra sé, un sospiro drammatico sulle labbra prima di abbandonarsi a peso morto su una delle sedie in cucina. Voleva ancora tenersi un certo margine di fuga, CJ. Un tavolo gli pareva uno spazio adeguato da mantenere fra sé e l’Hamilton. Intrecciò le dita di fronte a sé, espirò svuotando i polmoni e chinò il capo sulle proprie mani giunte. «mi perdoni Padre, perché ho peccato. sono passati diciassette anni dalla mia ultima confessione» si strinse pigramente nelle spalle con un sorriso ad un quarto. «inserire reati qualunque, è probabile li abbia commessi. sono sinceramente pentito, farò un’ave maria ad ogni happy hour. posso andare ora?» eh.
    La speranza era sempre l’ultima a morire.

    christopher jeez "cj" knowles
    It ’s not that I’m lost,
    I know exactly where I am
    I’m in the middle of a mess
    that I don’t understand
    fucked up | freak
    Why does it feel like the world’s stealing every single thing that I have?
    I only got the air in my chest
    and even that won’t last
    hufflepuff | 1918: cj shaw
     
    .
  2.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    465
    Spolliciometro
    +556

    Status
    Offline
    gemes hamilton ( shaw ) // beating heart of stone
    Gli occhi celesti, fattisi un denso blu notte nella penombra della troppo umile magione degli Shaw, dopo diverse ore ancora indugiavano sull’uscio che dava sulla strada sterrata, rimasto chiuso dacché quello stesso tardo pomeriggio era rincasato, immobili.
    Gemes Hamilton era abbastanza certo del fatto che, piuttosto che attendere come un padre troppo apprensivo il rientro dello scalmanato figlio da una notte brava con gli amici, avrebbe potuto impiegare tutto quel tempo passato sulla sedia nella piccola sala d’ingresso, con i gomiti poggiati sul legno di quercia del tavolo e le mani come fossero giunte in preghiera davanti le labbra - come fossero, perché è persino inutile specificare che il presunto parroco non pregasse nemmeno dietro l’altare della sua stessa chiesa, non Dio né chi per esso, né tantomeno mai gli uomini stessi -, in diecimila altri modi, certamente più fruttuosi; persino andare per i campi con i contadini a raccogliere le barbabietole da zucchero (o meglio: fingere di farlo commentando e giudicando silenziosi gli operai al fianco di Martha Fay), sarebbe stato un passatempo sicuramente migliore di quello. Cielo!, avrebbe potuto letteralmente non fare nulla. Sarebbe potuto rimanere spoglio degli abiti talari ancora sporchi del sangue e la polvere di una guerra parallela, crogiolarsi nelle fine lenzuola di raso della villa di Run - nel suo stesso letto e con lei al suo fianco, gli occhi nascosti dietro un braccio piegato sul viso ed il caldo respiro della Crane a sfiorare soffice il suo petto. Senza davvero fare niente, per quanto lo potesse riguardare: stanco, frustrato, l’Hamilton poteva tranquillamente restare al fianco della ragazza per tutto il tempo rimasto a loro disposizione, scandito come in un orologio svizzero dall’incessante caduta dei petali della rosa nella teca di vetro – un tempo sempre più bastardo, che inesorabile giungeva alla sua triste ed ultima meta: era stato loro detto che sarebbero potuti tornare a casa, che avrebbero aggiustato tutto, prima o poi, ma non sarebbe stato propriamente da Gemes credere nelle parole di William Lancaster; ed anche queste fossero state vere, non era detto che il fiore di Heidrun resistesse fino a quell’utopica data.
    Non era pessimista, il ventisettenne. Soltanto, e tristemente, concreto: avevano meno possibilità degli altri di rivedere il loro presente. Onestamente, gli dispiaceva fino ad un certo punto. L’aveva scelto lui di dipendere dal respiro della mimetica, e malgrado a volte volesse credere il contrario, volesse odiare la ragazza per averlo messo in quella situazione, non si pentiva di nulla. E più la stringeva, meno gli importava. Naturale che, comunque, avrebbe preferito sopravvivere – ma quella era sempre un’altra storia.
    Era sicuro ci fossero altre cose da fare piuttosto che l’ardua impresa che aveva infine deciso di intraprendere, soprattutto considerando che oramai poteva dire di conoscere appena CJ Knowles da sapere che probabilmente l’avrebbe fatto pazientare lì davanti per altre ore, o addirittura giorni, ma amava le cause perse ad un livello viscerale.
    E non poteva rimandare quell’incontro. Procrastinare, semplicemente, non faceva per lui: se bisognava togliersi un dente, tanto valeva farlo nell’immediato piuttosto che attendere il dolore ed amplificarlo nella propria testa per tutti i minuti in cui si rimandava l’estrazione. Alla fin fine, le parole dei loro alter ego dell’universo di Seth potevano aver semplicemente voluto dire cose prive di un significato logico, mossi da altre vite ed altri scrupoli che non gli importava di approfondire. Magari - sicuramente - il tassorosso non aveva nulla da dirgli, o magari non c’era niente di così fondamentale che necessitasse un simile tête-à-tête, ma sarebbe stato sciocco da parte sua non, almeno, provarci.
    Non riuscì a tradire le sopracciglia arcuate a sorpresa quando notò la porta socchiudersi e Charlie Jebediah sgusciare al suo interno, magro e sinuoso come una sardina, prima di quanto le sue più rosee aspettative non avessero predetto; non fece comunque un fiato, abituato ad immedesimarsi nell’ombra appiattita di un incubo contro la parete, ad essere egli stesso quelle tenebre, gustandosi il momento in cui CJ si sarebbe accorto della sua presenza. Amava quando la gente, scorgendolo nel buio della loro stessa casa, sobbalzava istintivo.
    Peccato che il Knowles sapesse dissimulare parecchio: gli toglieva più della metà del divertimento, vanificando gran parte del tempo speso in silente attesa. Non ricambiò il saluto del più giovane, se non con un secco e lapidario, inequivocabile, «dobbiamo parlare.».
    Che dovessero proprio, era opinabile. L’assente voglia di esistere del ragazzo non tangeva particolarmente l’Hamilton, ma era il suo stesso dubbio a fargli chiedere se potessero evitarlo. Presumibilmente sì, avrebbero dovuto. Idealmente: non sapeva nemmeno cosa potesse uscire da quella conversazione. Aveva sentito, e visto, talmente tante cose negli ultimi mesi più che in tutti i suoi ventisette anni di vita, che ormai era pronto a tutto solo in maniera prettamente pragmatica ed oggettiva.
    Annuì in un cenno secco del capo, non lasciando modo all’altro di replicare in alcuna maniera – e se si fosse rifiutato di sedersi, l’avrebbe costretto con la forza. Fece scivolare un sospiro dalle labbra socchiuse, indice e pollice della destra a premere sulla radice del naso. «ti assolvo,» rispose automatico. «ma non puoi andare.» eh sks mi disp. Due bicchieri in vetro ed una bottiglia di scadente whisky della zona planarono sul tavolo ad un semplice sfarfallio della mano di Gemes, e senza chiedere se ne volesse versò due dita di liquore ambrato per entrambi.
    «non abbiamo mai parlato del tuo soggiorno in quell’universo,» iniziò mellifluo, gli occhi azzurri fissi sul liquido che lento ondeggiava sotto le morbide movenze del suo polso, e tacque quanto entrambi pensavano: perché mai avremmo dovuto parlarne? D’altronde, lì era suo figlio solo per cameratismo, giusto? Al Knowles non poteva fregare di meno di parlare con lo Shaw, ed a quest’ultimo di chiedere informazioni personali a Charlie.
    Invero, e dovette storcere il naso al solo pensiero, vagamente gli interessava: non sapeva se fosse dovuto ad un sentore di ciatelleria infusogli da Run ed Eugene, o se si stesse semplicemente affezionando a quel piccolo caso umano alto quasi quanto la loro maledettissima porta. «ed ero… mh, curioso.» schioccò la lingua sul palato, trangugiando un sorso di whisky e spostando il penetrante sguardo zaffiro sul ragazzo. «hai per caso niente da raccontarmi? qualcosa che mi potrebbe particolarmente affascinare… interessare, ecco.»
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Will you hold the line?
    When every one of them is giving up
    or giving in, tell me
    In this house of mine?
    natural - imagine dragons
    31.10.1990
    muggle, telekinesis
    parson abraham
    bodie, california




     
    .
  3.     +2    
     
    .
    Avatar

    you want to take the lead and hurt first.

    Group
    Rebel
    Posts
    485
    Spolliciometro
    +1,048

    Status
    Offline
    Spinse la lingua contro il palato, alzò gli occhi al soffitto spostandoli poi sul resto della stanza. Aveva una chiara e netta percezione del proprio fisico, di come la sedia premesse sulle gambe e costringesse la schiena a stare dritta, o del legno grezzo a pungere le mani poggiate distrattamente sul tavolo. Era uno di quei non troppo rari momenti in cui CJ Knowles era perfettamente consapevole di sé e del suo posto sul mondo, che dire nel mondo sarebbe parso eccessivo e poco veritiero. Il fatto che tutto in quella casa fosse familiare, dall’angolo smussato del lavandino all’asse disconnessa sul lato sinistro del pavimento, lo metteva a disagio, rendendo ancor più estranea ed aliena la costretta conversazione – che, decisamente, non voleva avere - con Gemes Hamilton. Da quanti mesi si trovava in California? Da quanto, CJ, viveva lì? Più di quanto certamente non avesse abitato in un qualunque luogo negli ultimi sei anni, abbastanza da rendere quel posto un po’ casa sua. Non che potesse affermarlo con certezza: nessun CJ, con nessun cognome fittizio, aveva mai avuto una casa. Dei posti dove dormire, forse – e neanche sempre – o dove talvolta si ricordavano di sfamarlo – e di nuovo, non sempre; non aveva mai avuto una casa concreta, lasciando che il corpo esile e sottile, martoriato da anni sulla strada, facesse da dimora per sé, o lasciando quell’ingrato compito alle poche persone che, con lentezza soffocante, erano entrate a far parte della sua vita: indipendentemente da dove fossero, da chi fossero, BJ e Sandy sarebbero sempre stati casa, per CJ.
    Ma era diverso; era un genere di familiarità differente ed effimera, quella del Knowles - del Shaw - con quelle quattro mura del cazzo: era potersi chiudere in camera senza dover necessariamente parlare con qualcuno, uscirne quando e come gli andava senza temere ciò che avrebbe trovato all’esterno, o senza che alcun pugno picchiasse con troppa violenza sul legno per costringerlo a fare qualcosa che non voleva fare. Il lusso di potersi sentire stanchi, l’avrebbe definito. Di poter dire basta, qualcosa che, rimbalzando da una parte all’altra di Londra con il cappuccio ben calato e Cocaine sotto braccio, non aveva mai potuto fare. Un mite, secco sorriso scompose le labbra sottili del Tassorosso nell’udire distante la voce dell’Hamilton («non abbiamo mai parlato del tuo soggiorno in quell’universo,»), rendendosi amaramente conto di quanto la vita, in ogni epoca o luogo, fosse sempre una maledetta puttana. Dire che si fosse affezionato a casa Shaw avrebbe richiesto un livello di emotività al quale neanche un disperato del cazzo come CJ era giunto, ma gli piaceva; sapeva, o almeno sperava, che tornando a Londra avrebbe perso quel piccolo pezzo di quiete tornando al familiare e crudele caos cittadino, ma era chiedere tanto durasse ancora un po’? Probabilmente sì, e probabilmente avrebbe dovuto saperlo. Cristo, ma che cazzo non andava in CJ? Perché non imparava mai? Si sentì stupido e patetico a posare lo sguardo acquamarina sul pavimento ed il lavabo, sulla finestra e la mensola delle spezie, su qualunque cosa non fosse Gemes Hamilton.
    Perché qualunque fosse l’oggetto della discussione, non prometteva nulla di buono per il Knowles, costringendolo a due sole strade – entrambe a senso unico, con un biglietto di sola andata per l’Inferno e tanti cari saluti del cazzo. «hai per caso niente da raccontarmi? qualcosa che mi potrebbe particolarmente affascinare… interessare, ecco.» Rimase perfettamente immobile, liquido nella sua posa tranquilla ed impassibile, muovendo solo gli occhi per sollevarli in direzione dell’Hamilton. Il problema di CJ non era Gemes in sé; non era il primo egocentrico, per quanto cortese, stronzo con cui avesse a che fare, e non sarebbe stato l’ultimo. Era quello che rappresentava, a coprire la vista di grigi puntini luminosi. Erano quegli occhi troppo blu di una ferita troppo recente e sempre sanguinante, a spingere irrazionalmente CJ ad abbassare lo sguardo, consapevole della propria esagerata, e crudele, e sadica onestà nelle iridi verdi; avrebbe potuto reggere il confronto ammettendo candidamente che il pus da infezione a far attorcigliare naso e viscere non avesse nulla a che fare con lui, mi ricordi qualcuno che conoscevo, ma non aveva idea di come farlo senza suonare pungente e polemico, e deluso e semplicemente troppo crudo e vuoto. Era facile ignorare quel sentore acido di familiarità incontrandolo di rado e brevemente, o circondato da altri – in quel momento il Knowles non poteva semplicemente, maledettamente, fingere.
    Ma c’era una cosa in cui CJ, un qualunque CJ, era sempre stato bravo, ed in cui Gemes, un qualunque Gemes, era sempre stato il migliore: rabbia. Il tassorosso ne aveva accumulata parecchia, fra una vita e l’altra; la teneva per le emergenze, a friggere sotto la superficie come elettricità statica, a bruciare le iridi acquamarina finchè non divenivano liquido e colloso metallo fuso. Un rancore suscettibile a contesti, più che persone – o almeno usualmente. Tutti avevano le proprie eccezioni, e Gemes Hamilton era sempre rientrato in quelle di CJ, da figlio a sconosciuto incontrato per caso in una missione suicida dall’altra fottuta parte del mondo. Perché non capiva, o lo faceva troppo; perché peccava del tatto richiesto dalle cose fragili; perché parlava poco o non abbastanza; perché in una vita o nell’altra, CJ si era fidato di lui, e lui aveva mandato tutto a puttane. Arcuò le labbra in una smorfia tirata e meschina, come un pupazzo cui qualcuno avesse tirato i fili per farlo sorridere, conscio di quanto poco piacevole od amichevole fosse un ghigno del genere sul suo viso ovale ed affilato. Una risata scheggiata spezzò incredula il silenzio seguito alla domanda dell’Hamilton, le spalle del Knowles a scuotersi deboli ed a fatica – le sopracciglia sollevate, le mani giunte fra loro. «affascinare?» ripetè, nel tono basso e denso che il calar del sole sempre richiedeva, sul filo sottile di una sanità venuta a mancare un pezzo di vita prima. «interessare?» scosse appena il capo, continuando a ridere di una battuta a senso unico ed alle spalle di entrambi. Cosa ti aspettavi, CJ? Non ne aveva idea, ma non - non quello. Erano appena tornati da una cazzo di missione in un universo alternativo dove metà della gente che conoscevano era morta; aveva dovuto, suo malgrado, conoscere quella testa di minchia di CJ Hamilton, sentendosi più vuoto e meno vivo di sempre. Aveva visto sua sorella, la scelta parallela del rimanere piuttosto che andarsene - ma non per lui, che non ne valeva abbastanza la pena - ed aveva perso più sangue di quanto avrebbe dovuto essere umanamente e fottutamente concesso ad un ragazzino di diciassette anni. Aveva ucciso, di nuovo. Si portava le cicatrici di quella guerra, e delle cento precedenti, nel sorriso e negli opachi occhi verdi, sulla pelle e nelle striature rosa di cicatrici mascherati da tatuaggi – e Gemes Hamilton gli domandava se avesse qualcosa di affascinante da raccontargli? Era la prima – la prima!- fottuta domanda del cazzo che gli veniva in mente? Smise di ridere chinandosi leggermente in avanti, il busto a sfiorare il tavolo. «ti sembro forse un cazzo di assistente google sorrise ancora, un sopracciglio sollevato ed il tono a farsi sottile come quello d’un segreto. «se so – si interruppe per un’altra risata piatta e soffocata, grezza e ruvida quanto carta riciclata - qualcosa che possa interessarti» battè piano le mani sul piano in legno di fronte a loro, la testa leggermente reclinata all’indietro. «questo è davvero – triste. patetico. ti prego, non farmelo fare -esilarante.» concluse, brillando di divertita malizia. Tacque, rompendo di tanto in tanto il silenzio per sprizzi di risata mal riusciti, tamburellando opaco le dita sul tavolo.
    Hai mai perso qualcuno? Hai mai amato qualcuno che non fottutamente conoscevi? Sai cosa si prova a perdere tutto – a perdere fottutamente sempre? Hai idea di cosa cazzo voglia dire non essere un cazzo di niente? Ti sei mai sentito così fottutamente vuoto da sentir riecheggiare la tua risata del cazzo da ogni fottuta ed incrinata costola?
    Non disse nulla, invece. Lasciò morire risata e sorriso sulle labbra, lo sguardo a farsi distante e freddo. Era sempre una questione di scelte, sapete; coraggio, codardia. CJ Hamilton era stato coraggioso a rimanere con i Reynolds, nell’universo dove tutto era appena andato a puttane, laddove il Knowles era stato abnegante nel privarsi di suo fratello per dargli un’esistenza migliore: Grifondoro, Tassorosso.
    Era sempre una questione di scelte: loro a modellare sguardo e bocca, pelle e carne.
    A fare il sangue più di una famiglia.
    «so un bel po’ di merda,» ammise, scandendo lentamente le parole e trascinandosele pigre dalla lingua ai denti. «ma merda che ti possa interessare Sollevò entrambe le sopracciglia squadrandolo schietto, la mandibola serrata e le dita intrecciate fra loro. Gli concesse un sorriso meno cattivo e più morbido, indietreggiando d’un passo dal piede di guerra. «ne dubito.» E ne dubitava davvero: perché avrebbe dovuto interessargli? Dio, non interessava neanche a CJ. Ed a quale pro, poi? Per fargli sapere quanto suo figlio, in un tempo e fra tempo, avesse avuto una bella vita del cazzo? Sarebbe stato quasi semplice buttargliela lì, lasciare che – credendoci o meno – sentisse il vago e presunto senso di colpa di aver mandato tutto a puttane; che lo guardasse, e lo facesse realmente, notando cosa fosse diventato, e cosa mai avrebbe potuto essere. Sarebbe stato catartico, in un certo senso. Facile. « sei stato…» corrugò le sopracciglia, espirò piano evitando il suo sguardo. «gentile» naso arricciato, smorfia dubbiosa a storcere la bocca. Gentile: non erano state molte le persone ad aver trattato il Knowles come un essere vivente, nella sua vita, e Gemes Hamilton rientrava in categoria. Non era un ingrato, era solo scettico; apprezzava quel che padre Shaw aveva fatto per lui. «con me; ti sono debitore» ed odiava, odiava essere in debito con qualcuno. Umettò le labbra e sollevò gli occhi di fronte a sé, prendendo il bicchiere ancora pieno fra le dita. Allungò il braccio versandone il contenuto ancora intatto nel bicchiere dell’altro, un sorriso ironico a scivolar sulla bocca come alta marea. «quindi ti dirò qualcosa di “affascinante ed interessante” del mio soggiorno nell’altro universo» Prese la bottiglia e la tirò verso il proprio petto, sorridendo cortese ed affabile nella sua direzione. «interpretalo come preferisci» strinse le labbra fra loro e svitò il tappo della bottiglia, mantenendo intenzionale contatto visivo, e di muta sfida, con l’Hamilton. Onesto, un consiglio spassionato: se l’avvocato l’avesse seguito, d’altronde, nulla di tutto quello sarebbe successo. «non dovresti farmi domande del cazzo» Ancora un ghigno, la bottiglia sollevata giovialmente per un brindisi prima di portarla alle labbra.
    Perché le risposte non ti piacerebbero.
    christopher jeez "cj" knowles
    It ’s not that I’m lost,
    I know exactly where I am
    I’m in the middle of a mess
    that I don’t understand
    fucked up | freak
    Why does it feel like the world’s stealing every single thing that I have?
    I only got the air in my chest
    and even that won’t last
    hufflepuff | 1918: cj shaw
     
    .
  4.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    465
    Spolliciometro
    +556

    Status
    Offline
    gemes hamilton ( shaw ) // beating heart of stone
    Posò distratto il bicchiere di whisky sul tavolo, e senza mai spostare lo sguardo da CJ si sistemò più comodamente – nei limiti, certo, offertigli dalle grezze fattezze di qualsiasi cosa in quella casa ed in quella cittadina – contro lo schienale della sedia, accavallando le gambe ed incrociando le braccia al petto. Sostenne quel cupo silenzio tra di loro con un cipiglio appena accennato a corrucciare le sopracciglia, ed ancora serio rimase ad osservare il ragazzo anche quand’esso prese a ridergli in faccia; Gemes Hamilton era perfettamente conscio di quanto fossero inappropriate le parole che aveva scelto per intavolare un discorso con il Knowles, ma onestamente non gli interessava abbastanza da pentirsene, o da dubitarne. Non era una sua priorità mettere a proprio agio il giovane mago, né gli importava quali oscuri fantasmi di un recente passato avessero suscitato quella melodrammatica risata: per quanto potesse piacergli, dal diciassettenne voleva sapere solo ed esclusivamente quel che gli aveva domandato – qualcosa che potesse interessargli davvero. Perché non nutriva mezzo dubbio, sul fatto che effettivamente ci fosse: idealmente parlando, il Gemes ed il CJ del sottosopra avrebbero potuto volergli dire ciò che avevano affermato con il solo proposito di rompere il cazzo, nascondendo l’illusione di un significato più profondo nei meandri della curiosità dell’Hamilton; più tecnicamente, per quanto sembrassero diversi dalle loro versioni originali, non credeva l’avessero fatto per un mero ed effimero piacere. Non in una situazione nella quale sarebbero potuti morire da un momento all’altro, lasciando che le loro ultime parole fossero uno scherzo inutile.
    Alla spezzata risata, a quell’eco del suo stesso intervento ripetuto con acido sarcasmo, non poté che rispondere sorridendo appena, spento ed emotivamente distaccato; accompagnò l’incontrollabile divertimento - quanto sicuramente inesistente: sapeva riconoscere quel tipo di infelice uscita, ed aveva un suono così familiare da aggiungere un pizzico di verità alla piega sulle labbra – per basilare cortesia, lasciando comunque intendere che non ci trovasse alcunché da ridere. Oh, certo, non metteva in dubbio che avesse smosso qualcosa nell’animo dello Shaw minore, tanto da portarlo sull’orlo di un’isteria onnipresente, ma non aveva tempo di bearsi degli altrui incubi: non lo conosceva abbastanza, né pareva volesse venirgli incontro in quel tragitto, per affezionarsi così tanto da voler anche soltanto provare a comprenderlo – che non avesse comunque quel minimo di empatia necessaria ad aiutarlo per scacciare quegli spettri, era un altro discorso. Magari , se gliene avesse dato l’occasione, ci avrebbe davvero tentato: era cambiato Gemes (a suo dire peggiorato, ma a voler sentire e dare adito alle contestabili opinioni altrui, anche migliorato sotto diversi aspetti di una vita sociale), quel tanto che bastava a far sì che gli importasse delle esigenze altrui senza andare a ricercarvi un tornaconto indispensabile, ma non ancora ai livelli targati Crane & Jackson. Non entrava nelle vite altrui come un fiume in tormenta, scavandosi la strada nel cuore delle persone - non gli interessava. Era più quel mite torrente che costeggiava l’accampamento, il cui scorrere era così quieto da non dare fastidio, ma rumoroso quanto bastava a rendersi conto esistesse, e che da lì non si sarebbe mosso per un po’; pazientava sulla soglia delle esistenze delle persone, osservandole in piena vista, aspettando solo che si rendessero conto d’essere pronte ad un Gemes Hamilton nella propria vita.
    Ma Dio ce ne scampi, se gli fosse mai venuto in mente di muovere il primo passo in soccorso di un’anima in pena, tormentata dalle sue stesse orme; poteva concederlo a Run, un trattamento del genere, a Jay ed alla sua famiglia – ma non di più.
    Cosa ne poteva sapere, lui, che CJ fosse la sua famiglia? Un vago cenno di déjà-vu a prudere sul palato, quegli occhi verdi ed il ghigno tagliente di una silhouette già nota – ma niente di più.
    Alzò distratto le sopracciglia, ed altrettanto sovrappensiero batté le ciglia scure sugli zigomi: se non avesse reputato tutto quel drama possibilmente funzionale e divertente, quanto, in qualche modo che non comprendeva appieno, vicino, e se soprattutto non fosse stato lui, l’avrebbe già liquidato – magari ucciso, non lo escludeva. Teatralmente impeccabile, il Knowles – non che credeva fingesse, assolutamente!, ma quell’esagerazione era da nomination ai Bodies’ Globes -, quanto fastidiosamente inutile. Credeva di essere tante cose, Gemes: eccezionale, affascinante, intelligente, appassionato; ma divertente? Vagamente, di sicuro non così tanto.
    Non gli domandò se ne avesse ancora per molto, o cosa lo divertisse così tanto; non era una fiamma che voleva alimentare, quella della psicosi galoppante di un ragazzino. Preferì, continuare a fissarlo, sorseggiando di tanto in tanto il liquido invecchiato e pensando che, se fossero rimasti lì ancora a lungo, avrebbero assistito in diretta al momento in cui quel distillato diveniva illegale per i tredici anni a seguire. Lesinò anche dal risultare antipatico – una delle sue migliori doti, un vero vanto! – chiedendogli se avesse finito di ridere, o se stesse bene nel momento in cui si spense, lento e pacato come un vecchio motore a benzina: quasi credette di averlo rotto, anzi. Schioccò le labbra tra loro, sciogliendo quel ch’era una piega di circostanza in un più morbido ed accomodante sorriso, facendosi più attento sebbene, le parole del Knowles, non gli dissero effettivamente nulla di nuovo. «potresti stupirti di ciò che mi interessa.» rispose, calmo e sincero, al dubbio del più giovane sulla merda che sapeva; in fin dei conti, anche a suo fratello fino ad un anno e mezzo prima i cavalli facevano schifo – ed invece, bello che era a coccolarseli come se fossero i suoi figlioli. Non metteva in discussione la possibilità che, come diceva, nulla di tutto quello di cui era a conoscenza potesse in qualche modo affascinarlo, ma il mettersi alla prova costantemente era una delle sue prerogative principali. Ad esempio, quella riconoscenza lo colse impreparato, facendo scattare entrambe le sopracciglia verso l’alto: non era un vero e proprio “grazie”, né desiderava riceverlo, ma era quanto di più vicino a quella singola parola magica avesse mai sentito pronunciare da lui, o da qualsiasi dei suoi amici del cuore.
    E glielo volle dire, che non gli era debitore di nulla. Che non gli interessava, che non voleva ci fosse una gerarchia di crediti e debiti tra di loro – senza un vero motivo, solo perché gli stava simpatico; poi, che tipo di favore avrebbe potuto riscuotere da lui? Era certo che se fosse servito picchiare qualcuno, sarebbe partito in quarta anche senza che glielo domandasse (o che, per puro caso, avesse già pestato a sangue il malcapitato senza nemmeno sapere perché l’Hamilton l’avrebbe voluto morto). O che in quella barca di merda ci navigavano insieme, loro due come tutti gli altri, e che il minimo fosse quello di aiutarsi il più possibile.
    Che rischiava la rosa di Run perdesse tutti i petali da un giorno all’altro, ed era arrivato ad un punto in cui l’ultima cosa di cui gli importasse erano tutti i debiti che non aveva riscosso – e di certo, non voleva quello di un ragazzo già spezzato a gravare sulla propria coscienza. Se doveva andarsene, voleva farlo senza alcun rimpianto. Avrebbe potuto dire quello, a CJ: che poteva morire in qualsiasi momento, lui più di altri, e che con lui se ne sarebbero andate persone che meritavano di restare su quel pianeta molto più di quanto non spettasse al telecineta; che aveva quel dubbio ad attanagliargli lo stomaco ed il cervello, che aveva bisogno di sapere – di avere il controllo, almeno sulla propria vita. Ahimè, l’ultima cosa che voleva era muovere a compassione qualcuno. Troppe cose lo stavano cambiando – Run, la carriera di vicario di Dio, quella di messaggero del suo arcangelo più bello, quella cittadina di merda, Run -, ma non così tanto da voler suscitare pietà: non era arrivato ancora così a fondo nel proprio personale inferno, ed ancora cercava inutilmente di risalirne.
    Perciò non gli disse nulla, limitandosi soltanto a scuotere impercettibilmente il capo – giovando dello sguardo dell’altro a fuggire il suo, confidando non vedesse alcunché. Arcuò un sopracciglio nel vederlo riempire il suo bicchiere ed appropriarsi del contenitore più grande, alzando la cristalleria in risposta al brindisi: di certo non era nessuno per impedire a CJ di attaccarsi direttamente alla bottiglia, ed in realtà nemmeno nei panni di Abraham Shaw, padre di Charlie Jebediah, credeva gli avrebbe detto nulla.
    Una sbronza con suo figlio? Epica. Già la pregustava, in quel sorso dal sapore d’orzo e torba d’infima classe. «penso tu sia una delle prime persone, se non forse l’unica, ad avermi dato del gentile ammise, sorridendo placido al bicchiere stretto tra le dita, che sospeso davanti allo sguardo azzurro ondeggiava torbido. «lo apprezzo - davvero molto, credimi -,» si liberò del bicchiere lasciandolo sul tavolo, sporgendosi e poggiando i gomiti sullo stesso per farsi un po’ più vicino al ragazzo. «ma devono averti trattato davvero di merda in questi anni, se arrivi a disgustare l’idea di gentilezza come se qualcuno ti avesse appena vomitato affianco.» non gli era di certo sfuggita la smorfia, anzi: era abbastanza certo che fosse dovuto all’associazione Gemes–gentilezza, che persino ad un estraneo doveva sembrare un’assurdità, ma voleva credere ci fosse dell’altro dietro. Non perché lo sperasse, giammai, ma perché lo vedeva: era rotto, com’era stato rotto un Hamilton di sei, otto, dieci, undici anni, e come uno di ventisette ancora si trascinava gli strascichi. «mi ha fatto, e mi fa tutt’ora, piacere aiutarti, cj, ma credo sia il minimo che io abbia potuto fare per te.» gli sorrise, ancora più morbido che non in precedenza – quasi negli abiti talari ci si fosse calato un po’ troppo a lungo negli ultimi mesi. Si accorse che forse poteva apparire come quando Idem e Nathan lo avevano trovato in una triste e piovosa nottata di settembre in giro, da solo, per Londra; ma buon Dio, non poteva nemmeno avvicinarsi lontanamente ai Withpotatoes. Non sapeva nemmeno perché gli stesse dicendo tutte quelle cose: non pensava di metterlo a proprio agio - non così. «non voglio farti domande del cazzo, per quanto solitamente mi diverta a mettere a disagio le persone con le stesse.» alzò le mani verso il soffitto, arretrando sulla sedia. «e mi sembra tu non abbia così tanta voglia di parlare e creare un legame con me» sporse, appena divertito, il labbro inferiore: rude, ma lo poteva capire. «quindi mettiamola così, e finiamola in fretta,» riprese un sorso di whisky, estraendo dalla tasca dei pantaloni una sigaretta – offrendo il pacchetto al ragazzo (oh, se tanto doveva bere, poteva di certo anche fumare) -, ed accendendo il cilindro di tabacco con un fiammifero – temendo sempre di dare fuoco a tutta la casa: quei cosi erano davvero lontani dai parametri di sicurezza basilari – tornò a guardarlo. «e se rientra nella tua concezione di domande del cazzo,» fece spallucce, soffiando il fumo acre verso il soffitto. «ti chiedo scusa da subito, ma non so resistere: se proprio vuoi sanare il debito che» pensi di avere: ancora, Gemes non riusciva a reputarlo tale; tuttavia, se poteva portarlo ad avere delle risposte, tanto meglio. Era sempre stato un approfittatore, e non avrebbe smesso quella notte. «hai nei miei confronti, dimmi soltanto…» si fece serio, puntando le iridi blu in quelle trasparenti. «perché sei andato a cercare il gemes dell’altro universo?» niente, più ci pensava più lo trovava inutilmente incomprensibile. Non poteva nemmeno essere che l’avesse fatto a caso: c’era intenzionalità, nelle parole dei loro cloni. «è qualcosa che può interessare anche me? e ti ripeto, non sottovalutare quello che credi possa interessarmi.» sospirò, senza distogliere lo sguardo. «è un tarlo che mi ronza in testa da quando siamo stati , e vorrei soltanto che tu fossi sincero.» ammise, scaricando la tensione in un angolo della bocca appena sollevato.
    In fondo, cosa poteva mai essere?
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Will you hold the line?
    When every one of them is giving up
    or giving in, tell me
    In this house of mine?
    natural - imagine dragons
    31.10.1990
    muggle, telekinesis
    parson abraham
    bodie, california




     
    .
  5.     +2    
     
    .
    Avatar

    you want to take the lead and hurt first.

    Group
    Rebel
    Posts
    485
    Spolliciometro
    +1,048

    Status
    Offline
    «perchè non sapevo da chi altro andare.» l’aveva lasciata cadere secca ruvida, quella replica, priva del sorriso sghembo che sino a quel momento aveva arcuato mezza bocca del Knowles. Non aveva alcuna intenzione di una chiacchierata a cuore aperto, CJ; non aveva voglia di spiegargli cosa ci fosse di tanto divertente, né che di merda ne avesse vista abbastanza da poter definire il genere di attenzioni ricevuto da Gemes, gentilezza: se non arrivava da sé che non fosse scontato pararsi il culo a vicenda, non spettava al Tassorosso quella lezione. E se voleva sdebitarsi, uno sputo di tagliente verità doveva concedergliela. Gli permise di leggere, nelle chiare iridi color giada, quanto quella risposta fosse semplice quanto onesta: omettere non era mentire. Gemes Hamilton poteva anche credere di voler sapere, ma – Cristo Santo – non gliel’aveva mai detto nessuno che la curiosità uccideva il gatto? Che c’erano stronzate ch’era saggio lasciare nell’ombra, piuttosto che affrontare a petto duro e denti stretti? «ti basta?» chinò il capo sulle mani strette attorno al tavolo, la mascella serrata ed il cuore a tamburellare nei timpani. Non erano né senso di colpa né vergogna a far abbassare la testa al Knowles - era rabbia. Sempre la stessa, amara e antica quanto il mondo, a bruciare e bruciare e bruciare finchè l’unico istinto rimasto era colpire qualcosa, perché in qualche modo bisognava lasciarlo uscire. Fluiva in sangue, quello del Knowles, più efficace del veleno o l’ironia con il quale tentava, fallendo sempre, di alleggerire il fardello: aveva ragione chi diceva che la violenza generasse violenza, ma mentiva quando diceva che alimentare l’una, non placava l’altra. E delusione, ad incollare la lingua sul palato. Difficile per CJ riconoscerne i sapori forti e pungenti, in quella sconsiderata fiducia d’essere mai disilluso al fottuto universo - ma era di quella che si trattava. Delusione perché, vaffanculo, non lo vedi? Non mi vedi? Una parte di CJ, quella più sadica e masochista, era ancora erede di un mondo a cui a Gemes Hamilton importava per forze di causa; e dopo quei mesi, quei fottuti mesi, era incomprensibile per il Knowles come l’altro potesse non…non capire.
    Non aveva alcun senso. Lo fottutamente sapeva, okay? Non aveva senso, e non avrebbe dovuto importargli considerando che, a conti fatti, non gli sarebbe comunque cambiato un cazzo – era semplicemente una merda di questione di principio: la delusione raramente affondava le proprie radici nel raziocinio. Spinse la sedia all’indietro assicurandosi di far scricchiolare ogni trave di legno, lento e pesante quanto il battito ad assordarlo nelle orecchie.
    è qualcosa che può interessare anche me?
    La cosa più assurda di tutte, che lo faceva sentire davvero patetico, era che avrebbe voluto rispondere sì. Ma non lo sapeva, CJ - né vedeva perché avrebbe dovuto importargli. Come poteva chiedergli d’essere sincero, quando il Knowles in vita sua non aveva mai fatto altro.
    A quel punto, c’era solo un modo per sanare il debito che aveva nei suoi confronti: «no» arrendevoli occhi giada alzati infine ad incontrare quelli blu mezzanotte del telecineta, labbra tirate e fronte liscia. Aveva lo sguardo d’un soldato che avesse visto troppe guerre, stanco di trovarsi di fronte ad un ennesimo conflitto che non poteva vincere: non poteva CJ, non poteva farlo Gemes per CJ – era fottutamente così e basta. Non c’erano vincitori.
    Non ce ne sarebbero mai stati.
    «nulla per cui valga pena parlarne» Non poteva dirglielo, il Tassorosso. Non poteva e basta, perché Gemes gli piaceva abbastanza da non augurargli un Knowles: ci sarebbe stato un altro CJ, nella sua vita, uno per cui ne sarebbe valsa la pena. Per quello lì, masticato una volta di troppo e spolpato fino all’osso, era tardi da un pezzo. «ero passato solo a prendere un paio di cose,» si alzò afferrando la sigaretta offerta da Gemes per infilarla dietro l’orecchio, già diretto alla propria camera. Non che avesse realmente una meta, ma – tutto era meglio che affrontare ancora quel curioso paio d’occhi blu. Aveva solo bisogno che dimenticasse, CJ.
    Poi sarebbe tornato tutto come prima.
    «ci si becca, padre il sorriso a metà non glielo tolse nessuno, nel portare una mano alla fronte per congedarsi dal Shaw. In un’altra vita, magari.
    christopher jeez "cj" knowles
    It ’s not that I’m lost,
    I know exactly where I am
    I’m in the middle of a mess
    that I don’t understand
    fucked up | freak
    Why does it feel like the world’s stealing every single thing that I have?
    I only got the air in my chest
    and even that won’t last
    hufflepuff | 1918: cj shaw
     
    .
  6.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    465
    Spolliciometro
    +556

    Status
    Offline
    gemes hamilton ( shaw ) // beating heart of stone
    Avvicinò il liquido ambrato alle labbra, cercando di nascondere in esso ed in un sopracciglio appena incurvato un filo di sorpresa – che, forse, sarebbe meglio definire confusione. «perché non sapevo da chi altro andare» da una parte, la replica di CJ non gli fece né caldo né freddo. Non era il primo, e non sarebbe stato l’ultimo, che, per un motivo o per un altro, reputava necessario cercare l’Hamilton perché incapace di trovare un’altra via – che non era certo confortante rivolgersi a Gemes per qualsivoglia bisogno, ma a volte poteva risultare necessario: solitamente quando le strade più “giuste” inesorabilmente fallivano, ed allora la cruda realtà del telecineta sapeva essere risolutiva. Era un assassino ed un ladro, un manipolatore ed un cinico bastardo, non una spalla su cui piangere; quando di lacrime da versare non ce n’erano più, era l’unica vera soluzione quella di andare da gente come lui.
    Tuttavia non aveva bisogno di chiederlo al Knowles, se era di quello che s’era trattato nell’altro universo. La risposta sarebbe stata naturalmente negativa, perché quel ragazzo bisogno di un Gemes che si occupasse dei suoi problemi non lo aveva mai avuto; lo conosceva da soli pochi mesi, ma era ovvio che qualsiasi tipo di problema sapesse risolverselo da solo e senza piangersi ridicolmente addosso. Ed era proprio il fatto che lo conoscesse da così poco, a confonderlo maggiormente – perché quando era capitato l’uno nel Sottosopra e l’altro nel fottutissimo Medioevo, già era tanto se mai avessero scambiato due parole. A malapena sapeva che esistesse, CJ; perché cercare l’avvocato, quando il sentimento avrebbe dovuto essere lo stesso da parte sua?
    Di certo, quanto gli aveva detto non era tutto; ovviamente, all’Hamilton non bastava. «ne sono lusingato,» schioccò la lingua sul palato, il pollice a scivolare lento sul bordo del bicchiere di vetro. «ed immagino di dovermelo far bastare comunque, giusto?» non guardò Charlie, non attese alcuna risposta a quella domanda retorica. Nel non detto, era palese che l’uno non volesse dire tutto, e l’altro non volesse fare pressioni – o meglio: avrebbe voluto farle, ma era un uomo di parola ed aveva già specificato di non voler essere troppo inopportuno; non voleva costringere un diciassettenne a dirgli i cazzi suoi. Non ne aveva le forze, non ne aveva la voglia, e per una volta voleva sforzarsi a riconoscere i limiti altrui piuttosto che solo i propri. Sapeva bene che, se solo l’avesse davvero voluto, una vera confessione gliel’avrebbe potuta estorcere – con fatica, molta fatica, ma alla fine cedevano tutti – , ma era una sincera quella che gli aveva chiesto: sebbene non stesse dicendo nulla, e benché stesse palesemente omettendo, quello del tassorosso non era mentire. Era una vita che faceva lo stesso gioco, e ad un certo punto riusciva a riconoscerlo nelle iridi stanche dell’altro.
    Nulla per cui valga la pena parlare.
    «capisco» alzò lo sguardo ceruleo sul giovane, la fronte corrugata e le labbra rilassate in una linea sottile. Dunque, qualcosa c’era; per una mera questione di principio, avrebbe scavato a fondo fino a scoprire che cosa fosse: non perseguiva le sfide perse in partenza, ma quelle disperate e tremendamente difficili da portare a compimento avevano un fascino a cui non sapeva dire di no. Erano un qualcosa che lo rendevano ancorato a quel Gemes Hamilton dal quale sentiva sempre più perdere la presa – un ritorno alle origini, ecco.
    Eppure «cj,» qualcosa gli diceva che premere troppo non avrebbe portato a nulla. Che quel diciassettenne, il telecineta non voleva spremerlo come un agrume; che – oh, santo cielo – si era affezionato a quel (non così tanto) piccolo caso umano, e se poteva evitargli altro preferiva farlo. C’era da dire che la vita fosse molto più semplice, prima che scoprisse di avere delle emozioni.
    Le odiava; chissà se poteva ridarle indietro. «se avessi bisogno di qualsiasi cosa - di parlare, di aiuto: che non fosse realmente suo padre era chiaro hahaha lol, ma ad un certo punto – sticazzi. - sai dove trovarmi» piegò appena la testa sulla spalla, gettando un’ultima occhiata al ragazzo prima che sparisse nelle sue stanze. «ma non venire in confessionale: giuro che il prossimo stronzo che viene a rompere il cazzo lo uccido ed uso il suo sangue come vino a messa» #abraham shaw out.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Will you hold the line?
    When every one of them is giving up
    or giving in, tell me
    In this house of mine?
    natural - imagine dragons
    31.10.1990
    muggle, telekinesis
    parson abraham
    bodie, california




     
    .
5 replies since 13/6/2018, 23:17   327 views
  Share  
.
Top