It's been like a year since I've been home.

au!emaline x mephisto

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    «I said: heeeeey now, we've got to make it rain somehow.» canticchiava sommessa, una forcina tra le labbra ed il capo lievemente inclinato in avanti, intenta a sfilar via con una mano il caschetto sintetico che aveva indossato prima della battaglia. Una volta libera, la chioma dorata le ricadde morbida sulle spalle, ricordandole per un attimo di essere stata qualcun altro prima di quello: una guerriera, una ribelle, Keira Lewis. «She told me to and showed me what to do...» continuò, passandosi una mano fra i capelli per ravvivarli un poco. Si avvicinò lasciva al tavolo, adagiando la parrucca ed i fermacapelli accanto alla semiautomatica di cui non si era ancora disfatta. «...How Maggie makes it in her cloud.» afferrò l'arma, rigirandosela fra le mani con aria soddisfatta: avevano vinto. Non che avesse mai avuto dubbi in proposito, ma a fatto compiuto era più semplice ostentare quel sorriso di trionfo senza apparire bizzarra ed irresponsabile. Una vera fortuna che a lei non importasse comunque un granché di niente.
    «I said: heeeey now, I want to rock this rowdy crowd.» riprese a voce più alta, lanciando un'occhiata alle sue spalle per verificare in che condizioni si trovasse Mephisto: niente da fare, dormiva ancora. Non aveva ancora ripreso conoscenza da quando uno spuntone lo aveva colpito dritto alla tempia, così avevano dovuto trasportarlo fino al Quartier Generale sperando che non morisse durante il tragitto.
    Dal suo canto, Keira aveva continuato a ripetere per tutto il tempo che non c'era niente di cui preoccuparsi, che stava bene, che probabilmente era solo di uno dei suoi assurdi stratagemmi per evitare quello scontro a cui non aveva mai voluto partecipare. Lo diceva agli altri con una certa fermezza ma era chiaro a chiunque quanto, in verità, stesse solo cercando di convincere sé stessa. Lei era così: aveva sempre il disperato bisogno di alleggerire la tensione, di sdrammatizzare, di fingersi ottimista per non perdere il controllo.
    In ogni caso, non era stata lei ad occuparsi delle ferite di Mephisto: solo un pazzo avrebbe potuto affidare la vita di qualcuno a Keira.
    Aveva così atteso con impazienza che qualcuno più abile di lei con la Medimagia curasse quell'orrenda ferita sul viso del ragazzo, rifiutandosi però di lasciare la stanza e, ovviamente, di tenere la bocca chiusa. Alla fine, una volta assicuratole che l'altro stesse bene, a nulla erano servite le raccomandazioni circa il lasciarlo riposare: lei era rimasta lì, a cantare più o meno sottovoce e a dimenarsi su e giù per la stanza con fare irrequieto.
    «She told me to and showed me what to do...» francamente? Era parecchio stanca di aspettare. Lei odiava aspettare. Afferrò la bottiglia d'acqua sul tavolo e, versato un po' del contenuto in un bicchiere, si avvicinò con un sospirò al corpo addormentato di Mephisto.
    «...She knows how to make it loud.» e rovesciò l'acqua sul viso dell'altro, senza preoccuparsi troppo di osservare il risultato.
    Con un sorriso ancora più ampio, gettò via il bicchiere e diede le spalle al ragazzo, prendendo ad armeggiare con la zip del vestito -ridotto praticamente ad uno straccio- con la più sincera noncuranza.
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    All'improvviso era diventato tutto nero, la testa aveva iniziato a girare e gli occhi ad annebbiarsi – il corpo pesante era caduto senza far rumore, mentre il forte odore metallico del sangue si infilava nelle narici, divenendo una costante in quel turbinio di immagini che riempì la sua mente per... per quanto?, non avrebbe saputo dirlo, naturalmente.
    Non che potesse sapere di star dormendo... cercava di uscire da quella confusione mettendo in ordine i tasselli – ma era più difficile del previsto. Vagava nel vuoto, e nemmeno ricordava come ci fosse arrivato: aveva scelto di farlo, ma ora come ora restava solo qualche lembo di memoria, qualche strappo con immagini, voci, sensazioni.
    Sentiva freddo, il viso bagnato – eppure toccandolo i polpastrelli ruvidi sfregavano su pelle morbida e pulita, con una barba rada ed ordinata. A distanza, qualche voce: facevano casino, davvero troppo, avrebbe voluto gridare loro di fare silenzio, di tapparsi quella fottuta bocca e lasciarlo riposare.
    Perché sì, si sentiva anche dannatamente stanco; lì tuttavia poteva quasi riposare, senza doversi stendere o chiudere gli occhi, un senso di rilassamento percorreva le membra e stendeva i muscoli. Sospirò, guardandosi attorno con occhi pigri: nulla.
    «ora potete stare zitti.»
    Rivolto al nulla, a quelle voci che non avevano bisogno di un volto per farsi riconoscere e odiare: il moccioso a cui aveva dovuto parare il culo troppe volte, ad esempio, era lì, vicino – ne sentiva il respiro pesante, qualche parola detta prima nemmeno a lui, a rimbombare fastidiosamente. Poi lei, al di sopra delle altre, gridava così forte da far male alle orecchie... avrebbe voluto zittirla con due mani attorno al collo, gentilmente, per non sentire più quelle grida graffianti.
    Per non sentirla gridare più, non per lui, non per altri.
    «non sto morendo, quindi potresti anche smetterla» lieve e saccente, come suo solito, roteò gli occhi e si lasciò cadere a terra, senza fare un solo rumore. Non importava cosa dicesse o facesse – keira continuava a riversare nelle sue orecchie parole che, ai suoi occhi, non avevano alcun senso, non smuovevano nemmeno di un centimetro quel suo animo pigramente ovattato dal sonno. Sbuffò, non stava morendo davvero, no?, eppure lì da fare non vedeva molto... seduto, iniziò pigramente a girarsi (in modo piuttosto letterale) i pollici, tenendo il capo noiosamente abbandonato sulle spalle morbide.
    Poi eccolo, inaspettato: una fitta dolorosissima alla faccia lo fece gridare in quel luogo immenso e silenzioso, e una forte luce gli aprì a forza le palpebre serrate, portandolo a vedere qualcosa – una confusione di volti sopra il suo corpo steso inerme faceva venire la nausea. Tra questi, pochi i conosciuti – la rossa si ostinava ad apparire a tratti, quando le veniva lasciato spazio «che...cazzo...» sputò come poteva quel pesante grumo di sangue sulla lingua: aveva la bocca impastata di liquido denso e dal retrogusto metallico, mentre un orribile fetore di sangue gli dava la sensazione terribile di star affogando in un mare scarlatto. «non muoverti» il ché forse significava anche evitare di sputare in faccia alle persone che lo attorniavano «deve... non... mi serve addormentato, altrimenti...» parole a caso, a spuntare senza logica in una marea di discorsi di cui mephisto non riusciva a cogliere nulla: non le parole, non il senso, <i>non il rischio.
    Iniziò a muoversi – come poteva – scomposto e disordinato, le gambe che cercavano di piegare le ginocchia per portarlo in una posizione di superiorità, e togliendolo dalla subordinazione in cui lo stare steso, rispetto agli altri, lo aveva messo. Ma durò qualche istante, qualche lamentela da parte degli uomini che «vi sbrigate ad addormentare questo stronzo?» ringhiò, sentendo nuovamente la gola minacciata da saliva e sangue, «vaff...an» ma non dovette nemmeno sforzarsi di concludere la frase, che gli occhi rotearono all'indietro, la testa e il resto del corpo ritornarono pesanti, e mephisto perse coscienza.

    Che fossero ore o giorni, al ragazzo non gliene poteva importare di meno.
    In quel bozzolo caldo, lontano, mephisto non soffriva la fame, la sete, o gli altri bisogni fisiologici: era vivo, ma iniziava a godere dei benefici della morte apparente. Lui ci sarebbe stato ancora qualche anno, ma fu qualcun altro a decidere per lui – un infarto, ecco che cosa diavolo aveva appena rischiato quando, nel nulla più assoluto del suo sonno eterno, uno schiaffo gelato lo aveva colpito dritto in faccia, strappandolo con totale assenza di grazia al suo sogno. Gli occhi si riaprirono dopo tanto tempo, all'improvviso, strappando via i residui del sonno pesante – la bocca si spalancò in un grido muto, abbastanza da far sentire piccole fitte agli angoli della bocca quando si rese conto di non star ispirando aria dalla gola da tanto, troppo tempo. Soffocò nel rantolare faticosamente, mentre il corpo reagiva alla provocazione issandosi all'improvviso – membra ormai addormentate che furono spinte dal cervello a reagire, ma che non sapevano veramente reggere, ora come ora, tanto peso.
    Crollò ansimando pesantemente «che» puttana eva, le mani corsero al viso, ma fu diverso dai suoi sogni – si asciugò dall'acqua tiepida e i polpastrelli ruvidi toccarono la superficie del volto, non più liscia come originariamente ricordava. Qualcosa di ruvido, abbastanza definito, correva lungo il viso facendogli inarcare perplesso le sopracciglia – metà del viso sembrava essere percorso da una radice ancora gonfia, ruvida al tatto. Istintivamente volle toglierla, e con l'unghia iniziò a grattarne un fianco, fermandosi con un sibilo di dolore quando questa iniziò a pulsare come se mephisto stesse graffiando una parte propria del corpo, un qualcosa di suo – e l'unghia era sotto sporca di sangue.
    che diamine gli avevano fatto.
    Si voltò alla ricerca di un colpevole, o più semplicemente di qualcuno: riconosceva quel luogo, il problema era come diavolo vi fosse finito... o perché, semplicemente, ora fosse lì. Troppe domande, per chi non apriva occhio da troppe ore «cos'è successo...perché siamo vivi?» fissò la schiena di keira, impegnata a litigare con la zip di quell'abito con cui l'aveva vista giusto poco prima... poco, quanto?, quante ore erano passate dal momento in cui aveva attraversato un fottuto varco per ritrovarsi a prendere a calci i cadaveri nel ministero della magia?
    Keira non era cambiata di una virgola nel mentre, non pareva nemmeno affaticata o stanca – come al solito, non sapeva stare ferma. «mi hai gettato dell'acqua in faccia...?» notò la bottiglia poco distante sul tavolo, vuota per metà (o piena, come una persona più ottimista di lui avrebbe osservato), e tornò con uno sguardo severo e inquisitore sulla ex-rossa, chiedendosi – come sempre – che cazzo frullasse in quella testa sconnessa.

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    Edited by in/famous/ - 16/10/2018, 22:50
     
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    C'era una parte di sé che desiderava ardentemente che Mephisto tornasse in sé, che stesse bene, ma ce n'era un'altra, una più recondita, che preferiva invece colpirlo alla testa per farlo nuovamente addormentare così da prolungare ancora la sua permanenza in quell'universo che non gli apparteneva ma di cui era entrato a far parte più di quanto lui potesse immaginare. Ma Keira lo sapeva, lo sapeva sin dal principio che quel Mephisto se ne sarebbe andato alla fine, che l'avrebbe lasciata sola, di nuovo. In fondo era una cosa a cui era abituata, la perdita, l'abbandono e tutto il resto: per quel che ricordava, la sua vita era sempre stata segnata da cose come quelle; un tempo ne aveva sofferto, forse troppo, ma oramai aveva iniziato a prenderla con filosofia. "Non m'importa", si ripeteva, "Non importa", e sorrideva.
    «Ah, ti sei svegliato!» esclamò dunque, sfilandosi il vestito di dosso e ponderando per qualche minuto l'idea di restare in biancheria intima: almeno quella era pulita. Voltò solo il capo nella sua direzione, posando gli occhi su quella nuova cicatrice sul suo viso che probabilmente a Meph non sarebbe piaciuta affatto, ma che per lei era così aesthetic. «Che domande—abbiamo vinto, quindi siamo vivi.» d'accordo, non aveva particolarmente senso, ma... Si trattava di Keira, e se per lei la guerra funzionava così semplicemente, allora non bisognava porsi ulteriori questioni. Si allungò verso le sedia dove il cappotto di Mephisto era stato poggiato e se lo mise addosso, giusto per non morire di freddo, nient'altro: non si applicò nemmeno ad abbottonarlo.
    «Acqua? Devono esserci delle perdite sul soffitto.» fece spallucce, alzando lo sguardo verso un punto indefinito sopra di sé, per poi sedersi sulla sedia affianco al letto con le braccia incrociate al petto. «Beh, in ogni caso adesso potremmo anche buttare giù questo posto e rifarlo nuovo di zecca.» spiegò come fosse un'ovvietà «Insomma, non saremmo ricchi, ma... Abbiamo vinto.» ripeté, un sorriso ad illuminarle il volto.
    Se ne era felice? Certo che lo era, aveva investito tutte le sue energie sulla Ribellione. Era la sua causa, era stata quella del suo ragazzo, lo sarebbe stata sempre. Ed in ogni caso, non c'era nient'altro d'importante per lei, niente che contasse allo stesso modo. A dirla tutta, il fatto che fosse finita iniziava a farle paura, a farla sentire dannatamente spaesata ed inutile. E presto anche Meph sarebbe andato via.
    «C'è un portale qui fuori.» disse alla fine con solennità, pur senza perdere quel suo sorriso. «Credo possa farti tornare a casa.» e le dispiaceva che non fosse quella la sua casa, le dispiaceva davvero, ma cosa avrebbe potuto fare? Legarlo a quel letto ed impedirgli di andarsene? Allettante, ma lei non era così. La sua famiglia l'avrebbe fatto ma non lei, non Emaline, non Keira.
    «Avrai una bella ferita di guerra da mostrare all'altra me. Sono sicura che le piacerà, anche se ti dirà di no.» abbassò lo sguardo sulle proprie gambe, incapace di portare oltre quella farsa della finta felicità. Era triste, lo era dannatamente. «Non ti sta male, lo penso davvero...» mormorò, stringendosi ora le ginocchia con forza. Poi rimase in silenzio, e quella sì che non era una cosa da lei. Non da Emaline, non da Keira.
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    Sospirò profondamente, guardando ora keira nuda di fronte a lui.
    keira, quel nome gli suonava ancora lontano, considerando quanto fosse abituato alla emaline del suo mondo, la sua bionda scatenata /si chiedeva da un po' di tempo a quella parte se si fossero ispirati lei per atomic blonde./ Ma non era quello il punto. La verità era che ora, come non mai, si sentiva sperduto, in un mondo che non era il suo, coi piedi immobili per l'incertezza – la sua vita era incertezza, il suo futuro, d'ora in avanti, sarebbe stato al di fuori della sua capacità di sperare, immaginare. Lui – da sempre calcolatore – si trovava di fronte all'inevitabilità del non sapere cosa fare, chi sarebbe diventato, chi avrebbe rivisto. Perché sì, era innegabile; avevano vinto una guerra, ma quella non era una guerra per il suo mondo – e il suo mondo, ora come ora, si trovava così distante. Sperduto.
    E faceva strano, faceva paura, non avere neanche una certezza.
    La vita era un casino /per non dire uno schifo/ senza piani, concezioni, stime e progetti... era confusa, e improvvisata, e spaventosamente vuota. Questo temeva quello che ormai era divenuto un uomo. Il vuoto, l'aver perso lo scopo unico della sua vita... per cosa, poi?, per un fottuto caso, che li aveva spediti chissà dove nel tempo e nello spazio. Di quello mephisto non aveva paura: non lo spaventava il caso, non lo spaventava il tempo – ma era innegabile che più il tempo passava, più si formava in lui, e non solo, l'idea che nel proprio spazio/tempo non vi sarebbe mai più tornato. E che quindi la sua vendetta fosse stata vana.
    Che non avrebbe finito di portarla a termine mai più.
    Che non li avrebbe più rivisti: non chi aspettava un suo proiettile, non chi attendeva il suo ritorno a casa, chi tra i banchi di hogwarts – perché sì, solo adesso iniziava a sentire la nostalgia per quel lavoro tanto detestato. Ora tutto, di quella quotidianità tanto odiata, iniziava a creare nel suo stomaco un certo groviglio, una spiacevole sensazione di malessere senza sintomi – solo un lento e inesorabile divorarsi interiore, che a fatica sapeva ragionevolmente riconoscere come “mancanza”.
    Non era abituato a nulla di ciò – e per questo spaesato si fissava attorno come un cane che si morde la coda, ignorando che a nulla sarebbe servito.
    «ah, ti sei svegliato!» la voce stranamente squillante di keira perforò i suoi timpani, quando gli occhi osarono soffermarsi troppo sulla pelle bianca della ragazza, come se nulla fosse per entrambi – a volte si chiedeva che genere di rapporto avesse col suo mephisto, ma non era mai stato lì a sindacare «quanto ho dormito?» il tono roco uscì a stento, mentre si alzava un lembo della maglia per asciugarsi il viso – e ancora, dietro il cotone, sentì la ruvidezza del suo viso, la barba poco curata, le rughe d'espressione ora marcate dal viso corrucciato, e quella cicatrice, quella ferita che avrebbe dovuto spiegare una volta a casa. casa.
    «che domande – abbiamo vinto, quindi siamo vivi» logica ferrea, «già, avete vinto» e adesso?, non era affar suo... avrebbe lasciato a ema- keira, e alla gente come lei, il compito di ricostruire quell'universo. A cui lui, del resto, non apparteneva e mai sarebbe appartenuto. Mai. Ignorò il commento di keira, ben sapendo come con /certe/ teste fosse inutile star lì a discutere... probabilmente aveva avuto i suoi motivi per quanto potessero anche essere infantili per svegliarlo con un bicchiere d'acqua dritto in faccia – e ormai il danno era fatto, e la pelle asciutta. «Beh, in ogni caso adesso potremmo anche buttare giù questo posto e rifarlo nuovo di zecca. Insomma, non saremmo ricchi, ma... abbiamo vinto» e mephisto sentì, in cuor suo, che la ragazza era sincera. Non tanto per quanto stava dicendo, ma per come lo stesso facendo – quel sorriso che genuinamente sereno si allargava, gli occhi che parevano illuminarsi di volta in volta di più, al realizzarsi che quella parola, “vittoria”, valeva più di quanto potesse anche solo immaginare. Rivalsa, libertà, giustizia – tutti concetti astratti e perfetti, ma che certo non facevano per lui... Per una volta, però, si sentì forse fiero?, di quanto fatto non per se stesso – ma per altri. Perché appunto, lui in quel mondo non c'entrava; sarebbe tornato a nascondersi, a occuparsi di trovare un modo per andarsene. E d'ora in avanti, lo avrebbe lasciato a loro, affinché lo “aggiustassero”, seguendo norme e principi giusti che non erano il pane di mephisto... no, lui era decisamente molto più il tipo da essere buttato nelle carneficine.
    Era solo contento che amelia non avesse deciso di seguirli: strano, senz'ombra di dubbio, ma ugualmente una scelta di cui mephisto era stato più che contento. In quei mesi, aveva compreso alcune innegabili verità – e cioè che amelia aveva smesso di essere una studentessa, così come aveva ben compreso di non poterle recare più danno di quanto già non avesse fatto. Avevano capito come quello che stavano rincorrendo da anni, era quanto di più impossibile e tragico a cui si potesse condannare una giovane come lei. Così lontana dalle amarezza che al contrario mephisto aveva ancora negli occhi; così pura, in confronto alle mani sporche di sangue di lui.
    E ben presto, quel sentimento di soffocante attrazione era sfumato – non con una certa fatica – in tiepido e sincero affetto. Forse, poteva quasi ammettere di starla amando come un fratello ama una sorella... non che ne sapesse qualcosa, lui, di cosa fosse l'amore fraterno – certo provava per lei qualcosa che non aveva nutrito nemmeno per sbaglio nei confronti di emèric e yves, e certo, l'avrebbe protetta in ogni modo invece di ucciderla coffcoff. Ma da lì a definire in qualche modo il loro rapporto, c'era parecchia strada.
    «C'è un portale qui fuori» all'improvviso keira interruppe il flusso dei suoi pensieri, catturando nuovamente sguardo e attenzione del ragazzo – e di nuovo, una terribile sensazione alla bocca dello stomaco lo zittì prima che potesse effettivamente dire qualcosa. Portali. Onestamente era stanco di queste cose, non ce la faceva più a saltare da uno spazio all'altro senza sapere dove sarebbe andato... voleva, voleva... fermarsi «credo possa farti tornare a casa.»
    Casa.
    Non ne era certo, a voler essere sincero... gli sembrava tutto troppo semplice. Che il loro piano, voluto dal fato, fosse quello di far loro cambiare quell'universo per poter tornare nel proprio?, perché ammettiamo, non avevano salvato nessuno. Avevano solo cambiato la storia, modificato una situazione che già esisteva. Avevano “messo mani” dove altrimenti non avrebbero mai potuto, sconvolgendone l'equilibrio – non sarebbero stati puniti per ciò?
    Ed era così sicuro di volerlo sapere?
    Fissò keira, senza dire nulla, le labbra serrate e gli occhi cerulei fissi sulla sua figura. Perché più la guardava, le sue membra stanche desideravano soltanto tornare steso su quel letto, chiudere gli occhi e scordarsi per un momento chi fosse, e /ancora/ come quell'universo non fosse il suo? Il suo silenzio diede adito a keira di continuare a parlare, mentre fissava punti lontani da lui «avrai una bella ferita da guerra da mostrare all'altra me. Sono sicura che le piacerà, anche se ti dirà di no» pensare ad emaline gli strappò un sorrisetto, mentre il solo rivedere la sua espressione /possibile che potesse essere così diversa, pur essendovi uguale?/ creava un senso di nostalgica confusione in lui, la stessa che lo frenava dal correre via da quella stanza, verso il portale di cui keira stava parlando.
    Perché, allora, indugiava?
    Perché non riusciva nemmeno ad alzare lo sguardo stanco da quel punto indefinito del pavimento?
    «Non ti sta male, lo penso davvero...»
    «com'era lui? l'altro... me» ignorò le parole di lei, per porle quella domanda che forse keira stava aspettando da tempo, o che forse avrebbe preferito non ricevere mai. La verità era che mephisto non aveva mai voluto sapere nulla del proprio... se stesso di quell'universo – come se temesse qualcosa. Come se, in qualche angolino lontano del suo essere, mephisto avesse paura del fantasma di quel mephistopheles dallaire, morto accidentalmente ad un'età troppo giovane. Paura di poter scoprire una persona migliore del suo stesso essere, un confronto che faceva uscire di senno anche i più coraggiosi – e che ora, faceva rabbrividire tutta la schiena.
    Ma sentiva di doverlo fare, almeno per keira. Sentiva che ciò che nutriva il loro legame – fra keira e quell'altro mephisto – era stato forte, e che andandosene probabilmente lo avrebbe spezzato di nuovo... come se la loro separazione non potesse essere che necessaria, irreparabile, voluta dal fato; non una, ma due volte. E per quanto potesse dirsi che in fondo, /quella/ keira era una ragazza che aveva avuto modo di conoscere poco... era inevitabile che a sua volta non facesse altro che compararla a quella che lo attendeva nel suo universo. Più fortunati, senza ombra di dubbio. Il portale poteva aspettare ancora qualche minuto.

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