Vi lascio solo immaginare quanto poco quella faccenda toccasse Jameson Black Barrel Hamilton, il cronocineta del secolo successivo. Un braccio piegato sul petto, il gomito sul palmo e le dita della mano opposta a sfiorare mento e labbra, con pesanti occhi di un liquido blu a scivolare sul teatrino organizzato da Lancaster non sapeva in quale altro modo mostrare, rimanendo maturo e diplomatico, che non gliene fottesse una sega di una lezione non richiesta di storia della magia: se n’era sbattuto di Seth e c’era stato dentro, figurarsi dell’ennesimo dittatore ch’era morto anni prima della sua nascita – o di quei poveri, poveri viaggiatori nel tempo ancora incastrati in epoche che non gli appartenevano. «si torna in patria, forestieri. a tempo debito, avrete mie notizie.» Ma quale immensa, infinita, gioia. Jamie battè le palpebre, la lingua a picchiettare sull’interno della guancia. Si chinò per raccogliere la bottiglia lasciata a terra poco prima, accucciandosi poi al fianco di un semi cosciente CJ Hamilton: «serve più a te che non a me» biascicò in un mezzo sorriso, rialzandosi prima che il ragazzino potesse tornare a comprendere come comunicare. Era troppo bello, l’Hamilton, per mettersi a discutere con un diciassettenne dalle perverse manie di protagonismo ed un indole sadica quanto patetica. Si permise uno sbuffo solamente quando la poco delicata Melvin Diesel, prendendo la rincorsa da notevole distanza (soprattutto considerando che fino a poco prima era stata priva di sensi: che magnifico tempo di ripresa, i giovani), riuscì ad aggrapparsi alle sue spalle come il primate ch’era, gambe intrecciate sul suo stomaco e braccia sul petto. Non glielo disse che sentire il suo battito sulla schiena, lo facesse sentire più tranquillo - né le disse che su quello sincronizzò il proprio, cercando una vita da plagiare che non fosse la propria: ne aveva abbastanza perfino di sé stesso, Jamie. Chi l’avrebbe mai detto, che sarebbe infine giunto quel giorno. Come semi dovere civico, il ventiquattrenne avrebbe dovuto attendere che fossero gli altri ad attraversare il Portale per primi, così da assicurarsi che non rimanessero incastrati in quel crudele universo alternativo: quella patata di Lollo, il Fetcher Junior dallo sguardo provato e le spalle dolorosamente dritte, il nanetto Lewis del palazzo di fronte al suo, una Tokyo che ancora non sapeva dove fosse girata – ma indovinate a chi, di nuovo, non fotteva una sega? Jamie, la risposta era sempre Jamie. Non aspettò neanche Leonard o William, prima di portarsi la mano alla fronte e congedare quel manipolo di stronzi con i quali aveva condiviso l’avventura: non li avrebbe più rivisti, a quale pro mostrarsi cordiale? Non lo era, cazzo. Non lo fottutamente era. «possibilmente, a mai più» un sorriso sghembo ed un sopracciglio arcuato, ignorando con classe Lancaster e Lafayette per tornarsene, maledettamente, a casa propria. Gli altri rimanessero quanto gli pareva a salutare i loro amiki, lui aveva già fatto più che abbastanza. Si sentiva quasi sporco, Jamie, da quella…sobrietà - nei modi, non nel sangue. Si concedeva al pubblico in piccole dosi proprio per evitare situazioni simili, dove la maschera rimaneva incollata così a lungo sulla pelle, che a strapparla faceva male – ma lungi da Jamie privarsene prima. Quel sorriso caldo e quelle battute morbide ed affettuose, per l’Hamilton era un accessorio: una collana amavi indossarla in pubblico fintanto che ci fosse qualcuno a vederla, ma non ci andavi a dormire la notte. Ti apparteneva, ma non eri tu. E non era Jamie, quello. Quando attraversò il Portale non sentì, di nuovo, alcun cambiamento sostanziale: valicare i confini di spazio e realtà non era differente dall’entrare in un negozio sprovvisto di aria condizionata nel cuore dell’estate. Triste, poco scenografico, ma reale. E la prima cosa che notò, fu la polvere. La seconda, l’odore stantio e denso di una casa abbandonata. Il terzo, portandosi le dita alla bocca per fischiare, l’assenza di Hachiko. La quarta: «dio beato» o almeno sperava lui lo fosse, perché Jamie senz’altro non lo era. «ma che cazzo?» scrollò l’anteprima dei messaggi sullo schermo del proprio telefono, abbandonato sulla specchiera in bagno prima di unirsi alla Missione. Aveva centinaia di chiamate, Jamie – fottuti migliaia di messaggi, notifiche da applicazioni che neanche ricordava di avere. Corrugò le sopracciglia volgendo appena il capo per incrociare gli occhi chiari di Vin, il mento di lei infossato sulla sua spalla mentre, pigramente, allungava l’indice ad indicargli la parte superiore dello schermo: «beh, che ti aspettavi? È passato un mese e mezzo» La Madonna del Cancelliere Rollin (olio su tavola, Jan van Eyck). Lo stavano prendendo per il culo. Avanzò di un passo permettendo agli altri di entrare (e proseguire per la loro strada, possibilmente verso fanculo ed oltre), sistemandosi in un angolo della stanza con la spalla poggiata al muro. Aveva perso quasi due mesi di vita? Dio santissimo - ma lo sapevano che cazzo significava, per i Jamie Hamilton di quel mondo, perdersi tutto quel tempo? Soldi, principalmente. Potere. Posizioni, sapete. Ma soprattutto: «hachiko?» il suo cane, ritratto in più foto di quante Jamie mai gliene avesse fatte nei suoi precedenti cinque anni di vita, in compagnia di un sorridente Just che, di scatto in scatto, perdeva il sorriso per corrucciare offeso le sopracciglia. E – ma porca merda, quello era l’interno di un fottuto BUNKER? Ed il suo maledetto cane aveva un passamontagna? JUSTIN EAT AVEVA PORTATO HACHIKO ALLA SUA PRIMA RAPINA SENZA DI LUI? «davvero inopportuno» osservò apatico, bloccando lo schermo del telefono ed infilandolo nelle proprie tasche. Avrebbe potuto rispondere ai messaggi facendogli notare che sia lui che ”MA DOV’è LEO? NON è DIVERTENTE RUBARE SE LUI NON CI INSEGUE” fossero vivi ed in ottima salute, ma perché farlo quando poteva continuare a farsi i cazzi propri fingendosi morto ed evitandosi un infinito mare di merda e chiacchiere che non aveva alcuna intenzione di sostenere? Eh.Invitò Vin a scendere cercando di scrollarsela di dosso, ma quando il piano fallì decretò che farla incollare a Leonard fosse un’ottima alternativa: lei sarebbe stata brava, e lui avrebbe subito. Aveva sopportato Jamie per quasi ventiquattro anni, poteva resistere una mezz’oretta a Melvin Diesel. O forse un po’ di più: quando il cronocineta non fosse più stato nei dintorni, qualcuno avrebbe dovuto occuparsi della biondina. Ed il cronocineta in questione, voleva portare via il cazzo il prima possibile. «li porti te in ospedale?» domandò al padre, senza realmente attendere risposta: sapeva che Leonard avrebbe preferito non farlo, ma sapeva anche che non avrebbe lasciato morire dissanguato un Laurent o un…niente, forse solo Lollo e Vin perché sapeva fossero suoi amici. L’occhiata torva dell’Hamilton non ebbe bisogno di parole per essere tradotta dal figlio (portaceli te, dopotutto non ti farebbe male una controllatina.) e la smorfia di Jamie, ambedue le sopracciglia inarcate, non aveva mai avuto necessità di essere esplicitata a voce (manco per il cazzo) quindi risparmiò fiato anche quel giorno. Proseguirono fianco a fianco nel corridoio, una Melvin aggrappata come uno zainetto alle spalle di Leonard, finchè non giunsero alla porta – e quasi fu tentato di fermarlo, Jamie. Di dirglielo, che stava per andarsene - e che in un futuro particolarmente prossimo, non aveva alcuna fottuta intenzione di tornare. Troppo drama, in quella Parigi. Troppo Hamilton nell’Hamilton che per un mese e mezzo aveva lasciato i propri affari privi di un direttore generale , e troppo Jamie per un Jamie che in quelle ore aveva compreso troppe cose. Non aveva mai partecipato ad una Guerra (non nel senso stretto del termine) prima di ritrovarsi in un cazzo di universo alternativo – l’aveva sempre reputata astratta, qualcosa di leggendario. Non aveva mai realmente pensato che qualcuno (fosse suo padre, fosse William, fosse un Lollo) potesse morire per qualcosa del genere, troppo moderno per quel concetto di morte che prendeva i buoni e lasciava i Jamie a piede libero, pronti a distruggere la prossima mercanzia offerta dal Banco. E sì, certo, se n’era sbattuto altamente il cazzo di una Rea Hamilton passata a miglior vita. Ma. Ma. Erano stati i sopravvissuti, a tormentarlo. In quella piccola parte di Jamie dove non guardava nessuno, figurarsi Jamie, lì nell’angolo delle labbra piegate verso il basso: avrebbe potuto essere un Elijah, un Ryder, e quello non lo accettava, Jamie. Non più. Ecco perché, nel momento in cui aveva messo piede nella Radura ed intorno a lui avevano iniziato a crepare, aveva deciso che se ne sarebbe andato da Parigi: non avevi qualcuno da piangere, se non avevi nessuno. E poi, vaffanculo, rimandava quel viaggio da tutta una vita. Gli avevano solo dato la spinta giusta. Magari un giorno sarebbe perfino tornato, Jamie, rendendosi conto di non sapere come vivere senza nessun genitore da cercare (fallendo. Madonna santa, Leonard era così difficile da indispettire. Per poco non aveva applaudito al limone duro con Neal? Cazzo pà, fai la tua parte) di deludere, o un Gugi a cui fottere (letteralmente) la ragazza - magari, in un paio di mesi o d’anni. O magari no. In ogni caso, non l’avrebbe certamente scoperto rimanendo lì a girarsi i pollici. Aveva bisogno di aria nuova, di un Jamie nuovo – ricominciare, giusto? Fottutamente ricominciare da zero. «ti chiamo più tardi» fu invece l’unica cosa che disse, un sopracciglio inarcato ed una pacca sulla spalla di Leonard. Non l’avrebbe salutato, Jameson - che quelle cose lì, non era capace a farle né era mai stato intenzionato ad imparare. Si parlava dello stesso Jamie che, da ragazzino, partiva nel cuore della notte da solo per giungere a scuola, così da levarsi il peso dell’indugio: odiava non sapere cosa dire, come muoversi. Odiava sentirsi a disagio, avvezzo com’era a trovare conforto in sé stesso prima che in chiunque altro – casa, per Jamie, era Jamie. Inoltre, non era un ammiratore delle chiacchiere futili. E per quanto per anni avesse cercato di ferire suo padre, più intenzionalmente di quanto volesse credere, non voleva sul serio assistere a quello: perché lo sapeva, che Leonard aveva solo lui. Lo sapeva, che non voleva – né poteva – perdere l’unico figlio che gli fosse rimasto. Troppa responsabilità, per Jamie. Meglio saperlo a vivere la bella vita in qualche capitale del Sud America che ritrovarselo un giorno con una pallottola conficcata nella calotta cranica perché aveva fatto incazzare la persona sbagliata – e di certo sparire per un mese e mezzo non aveva aiutato la sua già fragile reputazione nei bassifondi. Voleva tempo, Jamie. Lui che del tempo non se n’era mai fatto nulla, che l’aveva piegato ed accartocciato nel palmo per pura noia, si ritrovava a non averne abbastanza per sé stesso. Si amava troppo, per lasciare che gli facessero quello. Si amava fottutamente troppo per rimanere in quel posto del cazzo dove, da quattro mesi a quella parte, l’equilibrio era andato a frantumarsi giorno dopo giorno, caracollando infine nel momento in cui era sopraggiunto il Portale. Probabilmente sarà solo qualche settimana. Un anno, a voler essere di maniche larghe. Umettò le labbra e scosse il capo, indietreggiando di un passo per poggiare la schiena alla parete afferrando nel mentre il proprio telefono. «ehi just – sì, una favola – sì, leo è vivo – eh, maledetto fuso orario, niente più mezze stagioni - vabbè senti potete tenere hachiko ancora un paio di giorni? devo...» piegò le labbra verso il basso, un saluto formale a Fetcher Senior ed un occhiolino a Mic. «cercare una nuova sistemazione.» Sorrise di sè stesso, in quella menzogna quasi onesta. Guardò tutti i Volontari di quella Missione lasciare, finalmente, il suo fottuto appartamento: diede un bacio in fronte a Laurent prima che sparisse diretto verso l’ospedale, un buffetto sulla guancia a Kieran, un cenno con il capo ed un sorriso a metà verso Neal – che si vedeva lontano un miglio, l’amico di Lewis volesse tirargli una testata: eh beh, mi amigo, è rozzo e volgare rimpiangere le paccate, ma se ti fa sentire meglio possiamo dare la colpa al whiskey. Liquore che, per altro, pareva aver già abbandonato l’organismo di Jameson. Ne sentiva ancora il sapore sulla lingua, ma era incredibilmente, maledettamente lucido per essere lo stesso ragazzo che un quarto d’ora prima rideva del cielo e delle stelle e della morte e di quanto poco se ne fottesse: avrebbe preferito essere ancora ubriaco, Jamie. Avrebbe preferito che ogni sua decisione, ogni suo gesto, fossero dettati dall’alcool piuttosto che credere si trattasse semplicemente, inevitabilmente, di Jameson Black Barrel Hamilton. Sarebbe stato più facile. Perché era stato semplice guardare le spalle di Lollo o Vin mentre uscivano da casa sua, e tollerabile non aver salutato suo padre: non c’era nulla che Jamie avesse loro da dire, nessun rimpianto nella valigia a trascinarsi per l’Europa od il Canada. Anzi, sperava sinceramente che sparendo dalla circolazione Leonard avrebbe finalmente compreso chi fosse realmente Jamie, togliendo all’unico superstite dei gemelli Hamilton la soddisfazione di essere riuscito nel proprio intento: erano anni che cercava di fargli capire che non meritasse di essere lì – che quel posto avrebbe dovuto spettare a Katy, che lui non lo voleva. Era stato un delinquente quando ancora sua sorella e sua madre erano vive, figurarsi dopo la loro morte – aveva ampliato la scala dei propri crimini. Il fatto che Leonard fosse di coccio, non avrebbe fatto desistere Jameson dal picchiare più forte. Lo odiava? Talvolta, ma odiava più sé stesso che non suo padre. Voleva punirlo? Spesso, ma più per ferire Jamie che non Leonard. Non funzionava bene, e ne era dolorosamente consapevole. Inspirò dalle narici, bocca serrata in una linea severa e distratta. Ignorò volutamente ed intenzionalmente William Secondo d’Inghilterra, palpebre serrate e mani intrecciate dietro la schiena, mentre percorreva il corridoio dell’ingresso. Will gli aveva parlato? Gli aveva chiesto qualcosa, da quando erano tornati in patria? Domande del tutto legittime ed oneste, perché Jamie non ne aveva idea: l’aveva escluso nel momento esatto in cui gli scarponcini avevano infangato il pavimento del bagno, consapevole che fossero tornati a casa e che lui non sarebbe rimasto abbastanza a lungo da festeggiarlo. Era permaloso, Gugi. Non avrebbe preso bene il fatto che il suo amico se ne sarebbe andato a) senza salutare b) abbandonandolo da solo alle avances di Helianta (oh, Jamie aveva proposto di ucciderla eh, ma William non aveva voluto: ora t’attacchi al cazzo, Guglielmo letteralmente, sempre qui per te eh! #fine fascia protetta) c) senza portargli una calamita. L’Hamilton non aveva dubbi che in un paio di giorni se ne sarebbe fatto una ragione, quello che lo turbava era che quella ragione non l’avrebbe incluso: avevano un rapporto particolare, sicuro, ma c’erano sempre stati l’uno per l’altro – in morte ed in malattia, eccetera eccetera amen. Perfino il fatto che, ogni volta, gli spezzasse il kwore mostrandogli che le sue ragazze preferivano Jamie a lui, era implicito nel patto di fiducia - una costante. William poteva dire il cazzo che gli pareva, e fare l’offeso quanto preferiva, ma se Jamie avesse davvero smesso di torturarlo psicologicamente privandolo delle sue patate, ne avrebbe sentito la mancanza. Credeva. Ci sperava, più che altro. Volle biasimare anche a quello, il sollevare appena gli occhi sul pianerottolo deserto: poteva già star mandando tutto a puttane, quindi conveniva farlo in pieno stile Hamilton - eccessivo, ed insopportabile. Avrebbe potuto fingere fosse l’alcool. Dio, avrebbe perfino potuto fingere fosse normale amministrazione, quasi una noia necessaria. Ebbe bisogno di accamparsene tante di scuse per rendere necessario quel passo in avanti, anziché credere fosse solamente Jamie - più facile. Più tollerabile e naturale, allungare il braccio sinistro per chiudere la porta d’entrata, il destro a premere sul petto del Barrow spingendolo contro il muro opposto. E non si permise di pensare sul serio, gli occhi ancora ad evitare lo sguardo di William – perché ne aveva abbastanza di quelle pallide iridi confuse a cercare di capire, quando Jamie da capire non voleva ci fosse niente – mentre deglutiva aria e saliva in un sorriso sghembo e piatto, un palmo premuto sulla parete a preferire stringere la carta da parati piuttosto che il viso dell’altro. Sarebbe stata una menzogna dire che l’Hamilton, certamente più nolente che volente, non avesse mai immaginato quel momento – o che il suo subconscio non gli avesse mai offerto quel che voleva e non poteva avere, svegliandolo poi con ironia in un mondo che quel Jamie, il gusto della pelle di Will ancora sul palato, non l’avrebbe capito – e dovette ammettere a sé stesso, evitandosi di respirare in quello spazio troppo stretto, che non l’aveva certamente pensato così. Con quello sconnesso «par condicio» che tentò banalmente di giustificare l’indice premuto sotto il suo mento, il naso a sfiorare appena quello di lui in un soffio rapido con il quale svuotò i polmoni. C’erano almeno novantanove motivi che avrebbero potuto e dovuto fermarlo finchè fosse stato ancora in tempo di indietreggiare e, del tutto innocente, stringersi nelle spalle – ma fu per quell’uno a completare il cento, che si spinse verso il baratro. Jamie si allontanò quel tanto che bastava a permettersi di scuotere il capo senza sfiorare colpevole le labbra di Will, prima di mandare tutto a farsi fottere e sopprimere quella stupida distanza del cazzo. Premette la bocca sulla sua sforzandosi di non volerlo, Jamie – fingendo che non fossero familiari sulle proprie, che quel bacio fosse amichevole e disinteressato, che Dio! non fosse il lembo di terra sotto i piedi di un naufrago che vagasse per l’oceano da giorni. E quando dischiuse appena le labbra, l’Hamilton avrebbe potuto essere coerente con sé stesso mostrando che della delicatezza non conoscesse neanche sinonimi, insinuandosi volgare e rozzo come piaceva a lui, lasciando che il corpo reagisse sordo al battito nello sterno - ma non l’avrebbe fatto, perché era pur sempre un Gugi. Ed allora indugiò, Jamie, prendendosi il proprio tempo per umettare gentilmente il labbro inferiore di William con la punta della lingua, allentando la spinta sul petto del braccio ancora frapposto fra loro - evitando di soffermarsi troppo sul suo sapore, su come dopo tutti quegli anni non fosse cambiato, su come fosse esattamente e fottutamente quello che aveva sempre voluto - ma non attese risposta nell’approfondire quel bacio non richiesto, trovando nella bocca del suo maledetto migliore amico tutti i punti agli interrogativi che troppo a lungo, e troppo strenuamente, aveva ignorato. Quanto meravigliosa sarebbe stata la sua vita, e solo fosse stato fottutamente più semplice. Si ritrasse di scatto indietreggiando di due passi, sopracciglia corrugate ed una smorfia incredula ed ironica sulle labbra: si obbligò a sentirsi giustificato e dalla parte della ragione, Jamie, nascosto dietro la blanda scusa del par condicio – beh? Aveva limonato un perfetto sconosciuto, non poteva certo privare un suo amico di quella meravigliosa esperienza. Avrebbe potuto dirgli di non farne un dramma, Jamie. Che si trattava solo di un bacio, e non significava nulla su alcun fronte. Ma passando il pollice sotto il labbro inferiore e riaprendo la porta fra loro, l’unica cosa che disse fu «da qui la strada la conosci, io ho ancora un paio di cose da sistemare.» Onesto.
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| jameson "jamie" b.b. hamilton |
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