«chi vuole essere il prossimo?» Fece un passo avanti, Frederick Hamilton. Spinto non dal desiderio di farla finita, e alla svelta, ma dal rancore; poco importava, comunque, perché spinto da una forza o dall'altra sarebbe finito per incappare nella medesima conclusione. Non poteva fare nulla, il ventunenne, contro Seth, tranne forse offrirgli un secondo torace da trapassare a sangue freddo. Pulsava ancora, la carne tra le dita del mostro, la polpa cremesi che un tempo era stata il cuore di William Lancaster. «ma dove minkia-non-barrow vai?» si sentì tirare, forte, la stoffa della maglietta a tendersi fino a minacciare di mollare il colpo e lacerarsi, una volta per tutte. Non poteva pensare ai cazzi suoi, Ryder Hamilton, per una volta? O magari a quella ferita perforante al fianco che se gli si accucciava davanti poteva tranquillamente vedere dalla parte opposta? Ruotó la testa verso l'amico, il piede destro ancora cocciutamente premuto nel terreno più avanti del sinistro, il corpo proiettato verso una morte certa e altrettanto dolorosa. «ha ucciso gwen.» lapidario, scuro in volto, iridi grigio azzurre ad incrociare quelle di Amos ed un istante dopo le persone immobili alle sue spalle, compreso il fratello: persino gemes sembrava pronto a scattare, i muscoli già tesi nonostante l'espressione di atterrita confusione. Lo sapeva, freddie, che se avesse osato continuare nella sua avanzata suicida lui gli sarebbe corso dietro a costo di farsi ammazzare a sua volta. Un motivo sufficiente a fargli prendere un istante di troppo per riflettere, quello necessario ad un altro William Lancaster per spuntare dal fottuto nulla. L'ultima reliquia trovò il posto che le spettava. «e questo dovrebbe spaventarmi?» sembravano così piccoli, tutti loro, di fronte ai due uomini e ai loro segreti, impotenti al punto che frederick non fu l'unico a compiere un passo indietro, disorientato. «no, ma questo sì» Quando la terra tremò, scossa nelle fondamenta, non potè fare altro che stringere a sua volta la presa sul braccio di amos, le pupille dilatate dalla sorpresa a cercare la figura di del nemico, sbalzato in aria per decine di metri; provocava un piacere immenso, sentirlo urlare, quel genere di brivido lungo la schiena che nessuna persona sana di mente desidererebbe mai provare: sapeva di rabbia e vendetta, si scioglieva sulla lingua come fiele. Bruciava, nella gola e nei polmoni, come certi liquori invecchiati vent'anni capaci di farti sentire come in paradiso. Se esageravi, ti ci mandavano pure. «lo senti?» la voce spezzata, lo sguardo ancora perso ad osservare la gabbia dorata nella quale Seth giaceva ormai spogliato di ogni potere, solo l'ombra dell'incubo che aveva tormentato tutti loro sin dagli albori della vita così come l'avevano conosciuta; lo chiedeva più a se stesso, che all'amico, anche se la stretta delle dita aumentò d'intensità. Quelle dita che gli rimanevano, ovviamente. «lo senti, quel grandissimo pezzo di merda?» sorrise, anche se non avrebbe dovuto. E' che pensava Gwen, a come si illuminava tutta quando rideva, e chiunque le stesse intorno ad illuminarsi di rimando; a come l'avevano spezzata, strappandola dalle mani di chi l'amava, di chi l'avrebbe amata sempre senza dimenticarla mai. Lo odiava, quel figlio di puttana, perchè era uno stronzo psicopatico impossibile da uccidere; e odiava se stesso, Frederick Hamilton, perché in cuor suo sapeva che se Gwen non fosse morta lo avrebbe odiato di meno. Se ne sarebbe sbattuto le palle, come aveva fatto per anni, concentrato solo sulla sua sopravvivenza, troppo occupato a smaltire il rancore nei confronti dei genitori per pensare al disegno più grande. Non era un rivoluzionario, tanto meno un ribelle, non si era mai spinto troppo oltre a se stesso, il ventunenne. Lo avevano costretto, a preoccuparsi solo per sé, e anche quella pacchia era fottutamente finita. «oblivion» un istante, il silenzio opprimente a penetrare fin dentro le ossa. E la comprensione, sempre un secondo troppo tardi. «amy, cosa--»
«--cazzo faiiiihhh????????» soffriva come una bestia, oh. E quella testina di vitello di amos ryder hamilton che faceva? lo prendeva per il culo, l'infame. «non ce la faccio, aiuto, è troppo divertente.» lurido. Dieci minuti prima era in lacrime, praticamente con un piede nella fossa, pronto a girare il video d'addio per i suoi psycho!fans, poi i medimaghi gli avevano dato una raddrizzata e quel galletto malefico si era messo a gironzolargli intorno saltando come un grillo, le morbide manine da principessina a stringere l'arto ancora privo di ossa; «blurgh, blurgh, blurgh, ARRIVA IL CALAMARO!» fece ciondolare il braccio a destra e a sinistra, nella pessima imitazione di un tentacolo, e fu quello il momento in cui Frederick decise che l'amico aveva tirato troppo la corda. Gli bastò muovere la spalla con un movimento secco e rapido, sfruttando una forza fisica di cui rob comunque non conosce il nome, per colpire Amos con quello stesso braccio molle, schiaffando il ventunenne dritto sulla sedia posta accanto al suo lettino, sul quale giaceva immobile e ammorbato dalla presenza del biondo già da almeno un'ora. Quella precedente, se possibile, era stata ancora più confusa, caotica, priva di una logica che Frederick non aveva nemmeno provato a cercare: sentiva che gli mancava qualcosa, percepiva un vuoto all'altezza della bocca dello stomaco, la sensazione di un pugno in grado di comprimere i polmoni e privarli di tutto l'ossigeno. Ma respirava ancora, respirava di nuovo, e per questo non aveva fatto domande; meglio, non se le era fatte. Rimettendosi seduto, le dita della mano sana a stringere ciuffi d'erba umida, si era affrettato a scacciare ogni questione cui sapeva di non poter dare una risposta, troppo annebbiate e opache per dar loro una vera forma. Era vivo, erano vivi, gli mancava dannatamente gwen, per il resto fotte sega. «ouch!?» «eh, ouch un par di balle, ams. non sei di nessun aiuto.» lo osservò di sottecchi, sistemando meglio la schiena contro i cuscini che una delle infermiere aveva poggiato sul letto con la promessa che presto sarebbe arrivato un medimago a controllare le sue ferite, aka un'eternità prima; ok, c'erano feriti gravi che stavano per crepare male, ma lui proprio da solo con l'Hamilton brutto dovevano lasciarlo? E suo fratello, quell'altro ignobile, dove cristo era? Probabilmente già a correr dietro alla Harvelle, convinto di poterla conquistare snocciolandole tutto il codice penale punto per punto finchè la ragazza non fosse giunta a supplicare pietà e una morte rapida. Tutti infami, per loro solo salami, dal primo all'ultimo. «lo sai cosa mi ha detto, l'au!freddie?» corrugó la fronte, lanciando ad Amos un'occhiata in tralice di pura accusa, indicando il ragazzo sulla sedia con la mano sana, il dito puntato verso il suo volto «che devo fare amicizia con andrew stilinski.» e annuí, con un sospiro teatrale. Se stava cercando di stuzzicarlo un po'? per forza. Ma non mentiva, l'Hamilton, non su una cosa così importante: perché che lo fosse, jayson, lo credeva davvero; glielo aveva letto in faccia, il biondo, mentre l'altro gli raccontava di fremellanze e altre cose assurde, di feste cui non aveva mai partecipato, di film mai guardati in una casa che non gli apparteneva, di equivoci che - con quella faccia - a frederick non sarebbero potuti capitare. Bastava guardarlo, osservare con attenzione le iridi cioccolato e le ciglia scure a battere convulse, per capire quanto avesse significato stiles, per lui. Per quello, gliel'aveva promesso. «scommetto che lui non si approfitterebbe del mio dolore.» quanto poco era credibile, freddie hamilton. E quanta fatica bisognava fare per avere un po' di sano amore in amikizia oh.
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| frederick philipp hamilton |
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