rewrite your history

[post mini q] chiunque!!&&

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +6    
     
    .
    Avatar

    in ciao treno i trust

    Group
    Neutral
    Posts
    1,266
    Spolliciometro
    +1,185

    Status
    Offline
    Tossì, i palmi a premere sul manto erboso per cercare, fallendo, di alzarsi. Un senso di vertigini alla bocca dello stomaco, la vista offuscata ed il cuore bradicardico nello sterno – Andy ci mise più del dovuto, in quelle condizioni, a capire di essere ancora vivo. Socchiuse le palpebre, un’occhiata liquida intorno a sé. Ricordava le iridi chiare di Cole Baudelaire a ricambiare il suo sguardo confuse, e rimembrava di aver pensato che non fosse normale fosse lì – ma perché?; ricordava che, in quello che nemico non lo era mai stato, si era celato Isaac Lovecraft, e che esasperato e stremato non aveva resistito al corrergli incontro per stringerlo a sé, un sospiro umido ed un «ma che cazzo» sibilato in un singhiozzo secco che non ebbe bisogno di altre specifiche. Non ricordava come, Andrew. Non ricordava con precisione cosa, ma il sangue intorno a lui, l’odore di morte denso sulla lingua, non avevano necessità di rispondere ad un perché: avevano fatto quel che dovevano per impedire alla situazione di peggiorare. Avevano salvato il…mondo…da…? Corrugò le sopracciglia flettendo gli addominali per sedersi sul prato del Lago Nero, braccia a stringere le ginocchia al petto.
    Dio, doveva aver preso una bella botta in testa – o il suo cervello, cercando di salvaguardarlo, doveva aver rimosso gli eventi traumatici. Non aveva alcuna intenzione di indagare, finchè non fosse stato necessario. Domandò solamente, in un flebile sussurro appena udibile a sé stesso, se ce l’avessero fatta. Alzò gli occhi, lo Stilinski, trovando un paio d’iridi scure a sorridergli calde e confortanti: , diceva l’espressione rilassata di William Lancaster; ce l’avete fatta.
    «ce l’abbiamo fatta» ripetè ancora, deglutendo saliva e terra. Sentiva gli occhi pungere di lacrime stanche, il sollievo a scuotere le membra ad ondate. Era sensato che fosse lì a combattere il Potere, il quasi francese; era giusto che, dopo tutti quegli anni di sottomissione, qualcuno si fosse ribellato al medievale sistema delle caste in vigore fino a quel momento. Ma certo che sì, ribattè a sé stesso come un mantra, cercando di ingoiare il senso di panico a svuotare e riempire i polmoni. Si sentiva vuoto, Andy, qualcosa a mancare fra lingua e palato.
    Non aiutava il fatto che fossero ancora presenti i facenti parte della realtà alternativa, che nella confusione aveva voluto credere un’allucinazione, né che fosse ancora circondato da così tanti morti - o da una Hogwarts in macerie, certo. Chiuse gli occhi massaggiando le palpebre abbassate, un principio di risata isterica a prudere in fondo alla gola.
    Cristo, era impazzito. Lo sapeva, lo sapeva che sarebbe successo. L’aveva capito al primo, seccato, Houdini di CJ Knowles, che non avrebbe mantenuto la propria integrità fino alla fine della giornata. Non ci provò neanche a trattenerla, consapevole che poco avesse a che fare con la vittoria o l’essere sopravvissuto e tanto con la follia dell’intera situazione – rise, Andy, fino a sentire dolere lo stomaco ed il cuore. Perché lo sapeva, che non ci fosse un cazzo da ridere.
    Avevano solo fatto il loro dovere, ciò ch’era giusto fare. E ce l’avevano fatta, , ma a quale prezzo? Non aveva mai partecipato ad alcuna rivoluzione, mai si era interessato alla guerra intestina all’interno del Mondo Magico. Aveva preferito rimanerne fuori, trasferirsi lontano dal centro nevralgico di quel potere e mantenere un profilo basso, grato che il proprio dono nel Quidditch gli evitasse le torture più cruenti ed inutili: era un Indegno, ma sarebbe stato un peccato sprecare il suo talento spaccandogli polsi o gambe. Umettò le labbra sentendo le guance umide di pianto ilare ed isterico, le mani a prudere per il bisogno di prendersi a schiaffi o battere le mani. Un altro colpo di tosse, la testa ora sollevata di fronte a sé. Si alzò in piedi, spolverò gli abiti dal terriccio cercando di ignorare le macchie di sangue, e porse una mano ad uno dei presenti per aiutarlo a rimettersi in piedi: potevano anche aver vinto, ma la loro Missione era appena iniziata – lo sapeva Andy, e dovevano saperlo anche tutti coloro che, in primis, si erano uniti alla Rivolta. Spostò gli occhi scuri sui Viaggiatori, soffermandosi sul fremello e su quel disadattato di un Knowles che l’aveva accompagnato sino a quel momento - fino alla fine. «grazie» ripetè umile, seguendo il consiglio di Lancaster. Ci credeva davvero, Andrew – e sapeva perfettamente che senza di loro non sarebbero mai riusciti a portare a termine quella ribellione. Si strappò il bracciale, tenuto fino a quel momento stretto al polso per pura abitudine, e lo gettò al suolo. «non so cosa avremmo fatto, senza di voi» un sorriso più onesto, lo sguardo a farsi caldo e sicuro mentre drizzava le spalle riacquistando l’Andrew Stilinski che quella vittoria se l’era meritata e sudata. Porse la mano a ciascuno di loro, ritrovandosi più volte del previsto stretto in abbracci che era certo non dipendessero dal suo essere Andy, ma dal loro Stiles: uno dei ragazzi della California gli strinse le braccia al collo tenendolo stretto a sé più del necessari, bisbigliando un «ho s-s-sempre v-voluto f-farlo» che Andy, come prevedibile, non comprese. Ribattè con un sorriso incerto ed un sopracciglio arcuato, pacche sulle spalle ed un passo all’indietro. Perfino CJ Knowles, in un «vabbè, vaffanculo» anziché limitarsi alla stretta di mano lo abbracciò – Stilinski potè giurare di sentirgli ogni costola, in quell’abbraccio: Cristo, in tutti i sensi, ma mangiava? «sei davvero uno dei buoni, stilinski» Non ne era certo, l’Egaisson, ma annuì senza aggiungere altro. Avrebbe voluto avere più tempo per parlare con loro, chiedergli chi fosse Stiles, cosa avesse di diverso da lui? In verità, no: era felice di sapere che, almeno in un’altra vita, avesse persone che si preoccupassero per lui e gli volessero bene – qualcosa che Andy, fan a parte, non poteva vantare. Ma ci avrebbe lavorato - per tutta la vita, se necessario. Non voleva più rischiare di morire con il rimpianto di non aver fatto un cazzo, della propria vita. Non voleva passare a miglior vita senza mancare a qualcuno. Osservò di sottecchi Frederick e CJ Hamilton, Barrow Cooper – Billie Dallaire, Isaac Lovecraft e Dakota Wayne. Non era certo di poterlo, o saperlo, fare, ma almeno ci avrebbe provato.
    Se c’era riuscito uno Stiles, non vedeva perché non potesse anche un Andy.
    Schiarì la gola, avanzò verso il limitare della Radura lanciando un’interrogativa occhiata alle macerie della Scuola. Ruotò il capo a destra e sinistra, sguardi di sottecchi a coloro per i quali quella scuola era stata casa - ed a cui quella guerra aveva richiesto più sacrifici: «partitina?» «e ora?»
    Onesto, e coerente con sé stesso.


    andrew stilinski
    Go make a legacy
    Manifest destiny
    Back in the days
    We wanted everything
    quidditch player | 21.04.2018
    Had to have high hopes for a living
    Didn't know how but
    I always had a feeling
    I was gonna be that one in a million
    Always had high, high hopes
    Egaisson | canon: stiles
     
    .
  2.     +5    
     
    .
    Avatar

    «I'm being perfectly fucking civil»

    Group
    Special Wizard
    Posts
    877
    Spolliciometro
    +1,311

    Status
    Offline
    Le dita ancora sporche di sangue secco non proprio, Dominique si portò la mano alla fronte per soffocare un mal di testa dettato più dalla stanchezza che da altro. Fece vagare gli occhi per il giardino del castello - sui detriti, sulle vittime, sulla pace pervenuta al termine della battaglia. A quanto pare era davvero finita, anche se non era certo di ricordare come ciò fosse successo. Anche se non era certo di essere ancora pronto a mollare la presa dalla spada.
    Era vivo. Non un lusso che solo pochi minuti prima pensava si sarebbe potuto permettere, non un'eventualità su cui aveva davvero sperato nelle ultime ore o settimane. Lui era vivo, i suoi fratelli erano vivi, Cillian era vivo. Strinse la presa sull'elsa, espirando. Ophelia era morta, le sorelle Beech erano morte, il padre e lo zio delle Quinn erano morti. Charles era morto. Gwen era morta.
    Sospirò chiudendo piano gli occhi, e avrebbe davvero voluto restare così per sempre, immobile a contemplare la pausa di nero assoluto che si stava concedendo e di cui sentiva di avere bisogno per non sbottare, per elaborare i lutti senza reagire come un bambino con pianti disperati e rabbia che non sarebbero servita a niente e che non era il momento di fare, ma non riuscì a cancellare a lungo i suoni attorno a sè, i singhiozzi, i saluti.
    «Ehi» Non guardò Archibald, rimanendo a palpebre abbassate mentre cercava di riprendere fiato, di riprendere vita. Solo quando sentì le sue dita allungarsi verso il proprio braccio, spalancò gli occhi verso di lui, ritraendosi. Non gli parve particolarmente ferito dal movimento brusco, come se se lo fosse aspettato. «Hai sentito il vecchio; dovresti ringraziarci»
    Anche avesse voluto farlo, Dominique non avrebbe saputo come. Avevano vinto una battaglia che aveva il sapore del sangue e della sconfitta, e in quel preciso momento era difficile considerare l'idea che il mondo sarebbe cambiato, che quelle perdite fossero valse la pena. Era difficile considerare l'idea che sarebbe tornato a casa e avrebbe dovuto convivere la perdita, avrebbe dovuto spiegare alla zia cos'era successo a suo figlio, quando era stato quasi certo fino a poco prima di non sopravvivere lui stesso all'alba del ventidue aprile. Ripose la spada, i nervi ancora tesi. «Hai quasi ucciso Cillian» Non era forse stato Arci a ferire il corvonero, ma la sua lingua nella gola del ragazzo aveva certamente contribuito a distrarlo e impedirgli di difendersi... così come aveva attirato l'attenzione di Dominique stesso rendendolo inutile.
    «Oh, che palle. Se proprio un Vergine ascendente Leone» «Cosa-» Non riuscì a spostarsi in tempo o a fermarlo, non fu in grado di togliersi mentre le mani dell'altro se stesso gli prendevano il viso per tenerlo fermo e lo obbligavano a prendersi quel bacio sulla fronte, rapido e indolore. Arci si staccò subito, portandosi una mano al petto mentre istintivamente Dom con una smorfia si passava il dorso della mano dove le labbra del ragazzo lo avevano toccato. «"Grozie Arci du avermi salvato il cul. Mi mancherai beaucoup. E' un peccato che io voglia aspettare il matrimonio pour limonare, altrimenti mi ti sarei già fatto perchè ci amo e siamo bellissimi. Adieu, c'était magnifique» il suo tono di voce si abbassò improvvisamente, e Dom si accorse che nell'imitarlo lo aveva reso più acuto. «Oh prego, Dominique. E' stato un piacere. Lo so, sarebbe stato bello auto paccarsi per vedere se sono un bravo baciatore come dicono le fonti ma non importa, non ci scorderò mai» Il Leroy alzò due dita da portare alla fronte in segno di saluto, ma Dominique, che già roteava gli occhi, quasi non vide il gesto. «Parli davvero un sacco»
    «Mi piace sentire il suono della mia voce» provò a dargli un pugnetto sulla spalla, ma Dominique si spostò in tempo. «Andiamo musone, avete vinto! E' quello che volevate, no?»
    «E' morta molta gente»
    «La gente muore di continuo. Prima o poi lo avrebbero fatto comunque»
    E Dominique che pensava di essere cinico. Con un sospiro, tese la mano al Leroy, un gesto di pace che gli pareva più che abbastanza come ringraziamento per non averli lasciati soli, e in tutta risposta Arci gliela afferrò tirando il ragazzo a sè e avvicinandosi, in un mezzo abbraccio. Dom quasi si aspettava sussurrata all'orecchio una frase melodrammatica da film, un'informazione a caso che non gli sarebbe interessata, o ancora una battuta stupida e fuori luogo, ma il Leroy si staccò in fretta senza dire altro. «E' stato quasi un piacere»
    Lo guardò sorridere a Annie e arruffarle i capelli e si stupì non poco nel vederlo offrire un abbraccio a Cole («Ho scoperto tipo ieri che sei morto nel mio universo. Ti dispiace-..? Solo per vedere che effetto fa»), prima che si dirigesse verso Billie Dallaire.
    Non capiva il senso di salutare un fratello che non era il suo, per quanto fosse simile in aspetto, finchè poco distante non vide l'altra Gwen. Non era la Quinn, non le assomigliava neanche, ma Dominique si rese conto che era quanto di più simile a lei avrebbe mai più avuto - proprio come Cole per Arci. E che se ne stava per andare.
    Sfiorò la mano ad Annie con un «Torno subito», e si affrettò verso la figlia di Archibald già in procinto di scomparire oltre il portale. L'aveva osservata per tutta la durata della battaglia, e fu istintivo dirle per prima cosa un «Ci assomigli», sorpreso e un po' fiero. Lanciò una rapida occhiata a Arci poco distante, e tornò poi a fissare la ragazza. «Volevo bene a Gwen- e vorrò bene a Gwen, quando sarà il momento. Mi dispiace non averglielo detto prima» accennò un sorriso «So che non sei lei, ma avevo bisogno di dirlo per... chiudere. Spero davvero Archibald sia un assurdo amico-padre migliore di quanto sia stato io»
    Li guardò andare via con un braccio attorno alla spalla di Annie, e appena anche l'ultimo degli Altri fu sparito tornò a fissare la distruzione che regnava attorno a loro. Avevano vinto la guerra, avevano pagato un prezzo alto, ma a combattere e a morire erano bravi tutti; iniziava adesso la parte difficile. Cercò lo sguardo di Cillian, la sicurezza e la stabilità che gli dava sempre il suo profilo greco e gli occhi da soldato sicuro di sè, e dopo un bacio sulla testa della sorella, lasciata alle cure di Cole, si avvicinò lentamente e silenzioso al corvonero pulendosi le dita nel fazzoletto del taschino, lasciandolo rosso del sangue di Jaden che aveva spostato vicino al corpo morto del Jenkins prima della fine della battaglia, come richiesto da Cyl. Gli si affiancò sfiorandogli leggermente il braccio con il proprio. «A quanto pare, mi devi un viaggio» mormorò, spostando la mano perchè le dita toccassero appena quelle dell'altro, mi prima che il ragazzo potesse rispondergli era stato sollevato un lecito dubbio da Tre: «e ora?»
    Dominique si staccò in fretta da Cillian, come se fossero stati beccati a fare qualcosa di altamente illegale (il Baudelaire capiva quanto fosse fuori luogo pensare immediatamente ad una fuga romantica col ragazzo per cui aveva un'adorazione, quando ancora i corpi intorno a loro erano caldi e il mondo andava ricostruito), e schioccò la lingua sul palato prima di rispondere.
    «Si riparte da zero» aveva qualche problema a fissare nella mente cosa andasse cambiato, cosa ci fosse del prima che non andava bene che li aveva spinti a quella rivoluzione, ma al momento non erano i dettagli del passato a interessare a nessuno di loro; avevano un futuro da ricostruirsi. Alzò la mano staccandosi il braccialetto che ancora portava al polso, stringendolo nel pugno. «Dovremmo iniziare dal mandare un avviso al resto del mondo dicendo che la guerra è finita, che questi non serviranno più» Non era certo alcuni lì dentro fossero d'accordo con ciò, ma al momento poco importava. Portò lo sguardo sui corpi ancora disseminati in giro, lo distolse in fretta riportandolo sullo Stilisnki; per quanto lo riguardava, Tre era il più alto in carica fra loro, il leader di cui sapevano di avere bisogno. «E dovremmo parlare con le famiglie degli eroi che hanno reso ciò possibile, perdendo la vita»
    dominique jean baudelaire
    The true soldier fights not because he hates what is in front of him, but because he loves what is behind him.
    clairvoyance | 21.04.2018
    my dear, the problem is that you love him
    so much that you would allow him to
    drag you all the way to hell if it meant
    you could hold his hand on the way down
    PAOUNMORT | canon: archibald
     
    .
  3.     +5    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    790
    Spolliciometro
    +1,509

    Status
    Offline
    «ce l’abbiamo fatta» Quella che sarebbe dovuta esser una risata, dalla bocca della ragazza uscì come un lamento di dolore, mentre automaticamente portava una mano al fianco destro, all’altezza delle costole, mentre un dolore lancinante le opprimeva tutto il torace.
    Era viva.
    Lei, che aveva creduto di aver già un piede nella fossa. Lei che aveva lanciato quella che credeva sarebbe stata l’ultima occhiata ai suoi due fratelli, un muto mi dispiace che però non aveva avuto il coraggio di pronunciare. Ed in realtà non era certa che rimanere in vita fosse poi così positivo: avrebbero dovuto fare i conti con le conseguenze di quella guerra, loro.
    Perché inconsapevolmente sapeva che quelle morti l’avrebbero toccata dopo, e sarebbe passato del tempo prima che fosse stata in grado di metabolizzarle: era ancora certa che, il giorno seguente, si sarebbe svegliata a mezzogiorno e scendendo le scale di casa avrebbe trovato Jeremy spiaggiato sul divano del loro salotto a vedere un film insieme a Bells, sigaretta nella mano destra e ciotola di pop corn nella sinistra, come sempre. Che sarebbe uscita per andare al quartier generale, ma lungo il tragitto avrebbe fatto due pause: la prima al bar più vicino, la seconda al laboratorio nuovo di zecca per portare a Jade ed Euge i loro caffè. Che avrebbe letto l’ennesima fanfiction scritta da Erin, anche se le storie d’amore alla Dallaire facevano letteralmente venire il voltastomaco: si trattava pur sempre di Erin Therese Chipmunks, ed probabilmente era un crimine contro l’umanità intera strapparle il sorriso dalle labbra.
    Li aveva persi, eppure non se n’era ancora resa conto. Non era brava ad elaborare i lutti, Amalie Dallaire
    «Ams?» Avvertì una mano poggiarsi sulla sua spalla, e girandosi si ritrovò davanti la sua esatta copia: se non fosse stato per i capelli a sfiorarle appena le spalle e lo sguardo più morbido, sarebbe stato come guardarsi allo specchio. «gemella ucraina! Pensavo ti avessero fatta fuori» Ed anche se scherzava, un po’ aveva temuto sul serio per l’incolumità della sua controparte: non sembrava proprio il tipo da combattimenti, la Shapherd. «Sembri molto più morta tu di me» Ed a livello fisico, era vero: aveva riportato molte più ferite, lei. Ma emotivamente? Sembravano messe allo stesso modo. L’altra Amalie aveva gli occhi gonfi, e sulle guance ancora evidente il passaggio delle lacrime. Sapeva che, in quei mesi, si era notevolmente legata ad Hyde e Jekyll, più di quanto avesse mai fatto lei: e se da un lato la capiva, allo stesso tempo non poteva far a meno di non sopportarla per questo. Era ingiusto che fosse stata lei a piangere sul corpo senza vita di Jekyll quando era il suo, di fratello. Quando la Shapherd aveva un universo a cui tornare, un mondo in cui non aveva subito alcuna perdita ed aveva ancora la possibilità di recuperare i rapporti interrotti per prender parte alla missione.
    Da quando aveva ricevuto la lettera, Amalie aveva provato a non dargli peso: una famiglia la aveva già, e le bastava. Ma in cuor suo aveva sempre creduto di aver tempo per poter fare i conti con quel futuro quando si sarebbe sentita davvero pronta a farlo. E così, semplicemente, aveva lasciato il tutto in sospeso, ed ora doveva fare i conti con il fatto che le cose sarebbero rimaste per sempre così. «Lo so che hai sempre detto che non te ne importa nulla» L’altra Amalie aveva provato ad iniziare quel discorso parecchie volte, in quei cinque mesi, eppure lei l’aveva sempre interrotta. Perché? Si sentiva una stupida, ora «Ma è tua madre, ed avrà bisogno di te. Restale vicina» Lanciò un’occhiata a Maeve, poco distante da loro. «L’avrei fatto comunque» Perché, prima che madre, la Winston per lei era sempre stata qualcosa di più che una semplice amica: l’aveva sempre osservata con ammirazione, rappresentando ciò che la Dallaire in cuor suo avrebbe desiderato essere.
    Vide Amalie annuire, per poi voltarsi verso il portale. «quindi..immagino sia un addio» La bionda annuì, mentre i suoi occhi sembravano sempre di più pronti a trasformarsi di nuovo in rubinetti. Gesù, doveva avere un serio problema con le lacrime. «direi proprio di sì…sono stati cinque mesi parecchio strani, uh? » Non era sicuramente stato semplice, ritrovarsi da un giorno all’altro a vivere con la sua controparte da un’altra linea temporale. Soprattutto quando quest’ultima all’inizio si era presentata inventando storie assurde, e poi non aveva fatto molto per sembrare meno…particolare, con tutti i gatti che si portava dietro ed il fatto che guardasse i film della disney insieme ad Erin senza mai addormentarsi. Quindi sì, erano stati cinque mesi strani, ma non per questo meno belli. Anche se la Dallarie non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce: aveva una certa reputazione da mantenere «l’unica cosa strana eri tu, e le conversazioni infinite con i tuoi gatti» I gatti. Probabilmente entrambe avevano pensato alla stessa cosa, perché vide gli occhi dell’altra Amalie illuminarsi mentre.. «No. No no no no, non ci pensare nemmeno io..» «non ti chiederei mai di prenderti cura di tutti loro, sono abituati a vivere per strada. Ma sai che ce n’è uno che dovrai accudire» La Dallaire annuì, ripensando a quella palla di pelo che sicuramente non se la sarebbe cavata più di due giorni, a vivere senza qualcuno pronto ad ingozzarla quotidianamente: si sarebbe presa cura di Luna, perché era quello che una qualunque buona amica avrebbe fatto. Anche se odiava i gatti, o gli animali in generale, e nelle sue mani probabilmente persino una pianta carnivora rischiava di morire: ci avrebbe provato con tutta se stessa, perché Erin Chipmunks era una persona per cui valeva la pena fare un tale gesto.
    E mentre osservava la Shapherd allontanarsi verso il portale, la fermò un’ultima volta. C’era ancora una cosa, che aveva il bisogno di dirle, un pensiero che aveva tenuto per sé fin da pochi giorni dopo averla incontrata. «Ams? Se..quando tornerai a casa, lasciali andare.. » Forse quelle parole sarebbero state sufficienti per dare alla ragazza il coraggio di farlo «..gli Shapherd…loro non se lo meritano, il nostro affetto » Ci aveva messo persino troppo tempo lei, a rendersene conto. Era fuggita quando era poco più che una bambina, eppure non aveva mai smesso del tutto di chiedersi se avesse fatto la scelta giusta, e cosa sarebbe accaduto se fosse rimasta a vivere con loro: conoscere l’altra Amalie le era servito per rendersi conto che aveva fatto la scelta giusta, e gli Shapherd non le avrebbero mai dato l’affetto che meritava. «avevo già messo in conto di farlo dopo averti conosciuta» Le rivolse un ultimo sorriso, prima di afferrare la mano di un ragazzo vagamente familiare alla Dallaire – non l’aveva forse visto in alcune foto del 2043? – e scomparire davanti ai suoi occhi.
    Fu solo dopo aver visto tutti i viaggiatori passare il portale che riportò l'attenzione sui rimasti.
    «e ora?» Si soffermò ad osservare gli sguardi feriti dei suoi fratelli, per poi tornare a guardare Maeve. Aveva sempre ritenuto una grandissima stronzata la frase "è difficile per chi sopravvive, non per chi muore", credendo ingenuamente che il semplice fatto di continuare a respirare fosse abbastanza. Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse dura, dover fare i conti con una situazione simile.
    Con perdite simili.
    Non sapeva come fare, Amalie Dallaire. E così provò a fare l'unica cosa che le solitamente le riusciva bene: cercare di allontanare i propri sentimenti e non dargli peso. Doveva almeno tentare di rimandare il tutto, perché sapeva che una volta realizzate quelle morti, sarebbe stato impossibile cancellarne il dolore «dovrei tagliarmi i capelli? Sull'altra Amalie sembravano parecchio fighi.»
    amalie dallaire
    But my head's filling up
    with the wicked games,
    up in flames
    How can I fuck with the fun again
    rebel | 21.04.2018
    And I am only as young
    as the minute is full of it
    Getting pumped up from
    the little bright things I bought
    But I know they'll never own me
    wild heart | canon: amalie
     
    .
  4.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Born
    Posts
    331
    Spolliciometro
    +632

    Status
    Offline
    Passò la mano sotto il mento asciugando il filo di saliva scivolato dalle labbra dischiuse, stropicciando poi distrattamente gli occhi mentre rotolava supino sul prato. Sul prato? Arricciò il naso e si lasciò sfuggire un gutturale verso di gola, il corpo a rendersi conto, infine!, di dolere in parti in cui non avrebbe dovuto – e del quale Frankie a malapena era a conoscenza. Socchiuse le palpebre su un cielo più nero che blu, dita intrecciate sullo stomaco e bocca aperta alla ricerca d’aria semi pulita. Abbassando lo sguardo verso il proprio ventre, notò di avere ancora stretta al petto la chitarra – e notò di non essere solo, su quel campo di battaglia. Campo di battaglia. Schizzò in piedi prima ancora che il cervello avesse tempo di elaborare il movimento, vista ovattata e vertigini di chi guariva una meraviglia, ma aveva comunque la pressione bassa tipica della gen z malaticcia ed in astinenza da sole. Guerra continuava insolente a sussurrargli il suo subconscio mentre, come una trottola, girava su sé stesso prendendo nota di tutti i presenti - di tutti gli assenti. Non era raro, bruciato com’era già a sedici anni, che si perdesse pezzi di vita, ma gli ci volle più del solito per mettere insieme i pezzi di quel ch’era accaduto. Una parte di Franklyn Cobain, in fondo, non voleva: gli ignoranza gli piaceva e ci sguazzava, lieto di trovarsi all’infuori di questioni che non lo riguardavano in prima persona. Il suo metodo di sopravvivenza – forse non il migliore, ma funzionale.
    Ma quella volta, lo riguardava. Deglutì a vuoto un paio di volte, le guance sporche di polvere e sangue mentre sollevava liquidi occhi bruni sulle macerie di fronte a sé. Hogwarts è crollata, gli ricordò con un secondo di ritardo la sua mente, riportandolo piano con i piedi per terra. Volse lo sguardo attorno a sé sentendo il battito farsi pesante ad ogni rintocco di cuore, il sangue denso come catrame a trascinarsi nelle vene. Con le braccia abbandonate lungo i fianchi e quell’espressione ingenua a tirarne i tratti, Frankie pareva aver perso la finta reputazione di giovane tutto d’un pezzo costruita su battute dal pessimo gusto e sorrisi nei momenti sbagliati: solo un bambino troppo cresciuto, il Cobain, mentre infine abbassava lo sguardo a terra. Aveva voluto credere, fino all’ultimo, di averlo solo immaginato. Che all’inizio di quella Rivolta avesse preso un colpo alla testa ed avesse perso i sensi, concludendo la rivoluzione fra incubi ed epici cannoni dorati esistenti solo all’interno del suo cranio. Che, in realtà, fosse stata una passeggiata, e tutti si sarebbero stretti nelle spalle dicendogli che si fosse perso uno spettacolo d’inferno – uno di quelli che non si ripetevano se non a distanza di centinaia d’anni, come il passaggio delle comete.
    Ma era tutto vero. Era tutto vero. Umettò le labbra stringendo i pugni, un passo all’indietro che non aveva idea di dove portarlo. Dove poteva andare? Non aveva davvero uno scopo, un obiettivo – una casa a cui tornare. Non aveva mai davvero avuto, Franklyn Cobain, un paio d’occhi da guardare che gli dicessero sarebbe andato tutto bene, “è tutto finito”. Tenne quello sguardo per sé puntandolo sui propri piedi, schiena dritta e capo abbassato a nascondere il viso nel collo. Avrebbe voluto impugnare la chitarra e strimpellare i Queen mettendo a tacere i singhiozzi nella radura con un sentito, e meritato, We Are The Champions. Avrebbe voluto improvvisare un palco, lanciarsi sopra i suoi fan e festeggiare agitando bottiglie di coca cola e mentos.
    Ed avrebbe voluto raggomitolarsi in un angolino sperando che nessuno lo vedesse, permettendosi di piangere e di non fingere e di vaffanculo questa merda. Non fece invece nulla, mordendo il labbro inferiore e decretando che passare inosservato fosse la via di mezzo del quale in quel momento aveva bisogno. Non gli piaceva particolarmente rimanere con sé stesso, ma quando non avevi nessun altro da cui andare la scelta iniziava a farsi obbligata. Alzò il capo solamente quando iniziò a sentirsi osservato, una puntura fastidiosa sulla guancia a costringerlo a sollevare la testa per incrociare gli occhi scuri, e familiari, del ragazzo del Far West. Mentirei se dicessi che in quelle ore Frankie aveva riflettuto, ed aveva deciso di negare, su quanto detto dal Jagger alla morte di Gwen – e mentirei se dicessi che Frankie, di suo, non avesse la brutta tendenza di fidarsi di tutti, l’innocente credulone a pendere dalle labbra di chiunque. Distolse lo sguardo per primo corrugando le sopracciglia, sentendosi colto in flagrante di reato pur non avendo fatto nulla di colpevole. Perfino stizzito, il Cobain, nell’iniziare distrattamente a dondolare sui talloni piegando il capo dalla parte opposta per evitare il contatto visivo con Barbie. Infantile - eh vabbè, vaffanculo, dopo una giornata del genere aveva tutto il diritto di esserlo. Per amor proprio, si evitò di sobbalzare quando la mano di lui atterrò sulla propria spalla, testardo nel mantenere gli occhi altrove. «s-s-sei s-stato b-bravo» avrebbe voluto riderne, Frankie. Avrebbe voluto drammaticamente alzare le braccia indicandogli i morti a lato della radura, impotente nel stringersi poi nelle spalle continuando a ridere istericamente: “tu dici?” Ma non lo fece, mordendo invece l’interno della guancia in un sorriso sghembo ed appena accennato verso Barnaby. Perché fai il bravo, Cobain: «lo sono sempre» ribattè, facendo scivolare le dita fra gli scompigliati capelli castani. Barbie sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma si limitò a stringere ancora i polpastrelli sul suo braccio e ad allontanarsi. Lo guardò attraversare il Portale, la mazza a sparire con lui in un tempo ed una realtà diversi - c’era qualcosa che lo disturbava, nella forma delle spalle del Jagger. In come si muoveva. Ed avrebbe voluto e potuto dirglielo, ma non era mai stato bravo con le parole. C’era un motivo se girava sempre con la chitarra fra le braccia: la musica riusciva sempre a superare gli umani limiti del Cobain, sfiorando quelle corde che la voce di Frankie, di suo, non riusciva a raggiungere. Salutò con un cenno ed un sorriso appena abbozzato Floyd e Madelaine, rimanendo inutile ed inopportuno da una parte di quella Radura: già detto che non sapeva che fare? Aveva raggiunto Meara e Sersha, sentendo la prima parlare dei troni, così da poter dire la propria su tronisti e corteggiatori – si sapeva che la Cooper non fosse del tutto obiettiva, ci voleva una fonte più attendibile per una povera anima costretta al 1918 – e… fine, quando anche la biondina se ne andò, si trovò nuovamente privo di uno scopo.
    Vuoto. Innaturalmente, tremendamente, vuoto.
    «e ora?»
    No eddai Tre, che fai. Lo chiedi a noi? Strabuzzò gli occhi evitando ogni possibilmente contatto visivo, come quando gli insegnanti cercavano volontari per l’interrogazione del giorno. Perché non aveva lui le risposte? Infinito tradimento, Frankie in Andy credeva più che nella teoria del complotto secondo la quale Michael Jackson fosse ancora vivo. «Dovremmo iniziare dal mandare un avviso al resto del mondo dicendo che la guerra è finita, che questi non serviranno più. E dovremmo parlare con le famiglie degli eroi che hanno reso ciò possibile, perdendo la vita» Corrugò d’istinto le sopracciglia dimenticandosi, per un secondo infinito, come respirare. Iniziò a saltellare sul posto scuotendo la testa a destra ed a sinistra, sbuffi fra i denti degni di un pugile prima di salire sul ring. Okay.
    Okay. «la radio» asserì al nulla, reclinando il capo al cielo. «possiamo modificare il segnale e trasmettere un messaggio…in… giro, oltre che i…patronus….agli enti governativi esteri. Mandare delegazioni?» e piantò gli occhi in quelli di Andy, cercando conferma e pregandolo silenziosamente di non mandare lui da nessuna maledetta parte. «e, insomma, ci sono tanti feriti quindi io…ipoteticamente, potrei, boh, provare a fare qualcosa» grattò distrattamente la nuca sbocconcellando le parole a denti stretti, fingendo non curanza. Non era solito proporsi per fare effettivamente qualcosa, consapevole che a) probabilmente non ne sarebbe stato in grado b) avrebbe deluso qualcuno, ma insomma. Roy poteva aiutarlo, no? ed anche i cronocineti potevano…fare…qualcosina. «e mi piacciono i capelli corti. Fanno molto kool» specificò, tornando su un territorio più neutrale, spostando gli occhi sulla Dallaire con un sorriso sghembo. «volete un po’ di musica? Quello posso farlo, eh – accetto richieste, ma no country. Anzi, io lo bannerei. Eh? Dai, lo banniamo? Eh?» Non sapeva per quale motivo, ma sentiva che fosse malvagio. Gli bastava pensare a chitarre e balle di fieno per sentire un brivido lungo la schiena: potevano aver dimenticato Seth, i Sotto Sopra, ma certi traumi ti rimanevano nel flusso sanguigno. «pensateci. petizione?» Priorità.
    franklyn "frankie" cobain
    I knew a sick boy soldier
    Who laughed at life
    Slept soundly
    Through the darkness
    And whistled to the night
    healing factor | 2043: sander
    Oh carry on
    The ships and sails are gone
    This place is falling down
    Lord it’s crumbling
    It’s crumbling to the ground
    hufflepuff | canon: barbie
     
    .
  5.     +2    
     
    .
    Avatar

    起承轉結

    Group
    Member
    Posts
    343
    Spolliciometro
    +389

    Status
    Offline
    Fu un attimo, giusto il tempo di biascicare qualche parola che potesse avere anche solo un minimo di senso. Fu solo un secondo, il tonfo delle armi – che aveva stretto con così tanta forza tra le falangi – schiantarsi con un tonfo sordo sul prato. Quasi gli venne lo stimolo di rivalutare l’opzione di mettersi ad urlare come un bambino, benché fosse poco confacente al suo modus operandi ma, in realtà, Minkia Barrow, non aveva mai creduto abbastanza in quelle stronzante: si lasciò coccolare dal tiepido torpore delle sue attività celebrali, un groviglio solitamente ben funzionante, ma che in quel momento era come tenuto stretto da un nodo che non gli permetteva di compiere il minimo movimento, seppur in senso figurato. Le ginocchia toccarono il suolo come ad ammortizzare la caduta del resto del suo corpo che, solamente in quel momento, si rese realmente conto di quanto dolesse, probabilmente per colpa l’adrenalina che defluì dalle vene come i caldi sospiri del Barrow che fuoriuscirono dalle labbra socchiuse. Chissà se quel dolore poteva essere paragonato a quello che gli struzzi provavano quando deponevano le uova, si chiese il prode Minkia, mentre la guancia se ne restò sulla gamba di qualcuno a terra come lui e gli occhi chiusi, a non voler collaborare. Non sapeva se fosse stata l'aria a cambiare considerevolmente, o se fosse stato semplicemente lui a mutare prospettiva, abbracciandone una completamente nuova ed arcana. Probabilmente, entrambe le opzioni erano da considerarsi valide alla luce di quanto era accaduto negli ultimi tempi ma, fatto stava, che Minhyuk si ritrovò nuovamente in piedi dopo qualche secondo, o forse erano passati dei minuti, o qualche ora, quando il ragazzo che aveva deciso di usare bellamente come cuscino si spostò, tirandogli una ginocchiata in pieno volto. R U D E.
    « ScUsAmI, sai chi hai appena colpito? Minkia Barrow! IL Minkia. Però…dai, ti perdono solamente perché sei un bel pezzo di involtino primavera. » esordì, roco, le falangi incrostate dal sangue e dal terriccio a massaggiarsi il setto nasale ed il suo solito ghigno beffardo ad apparire dopo non molto sul volto « Beh, se mai vorrai inzuppare il tuo pezzo di sashimi nella mia salsa di soia, vado un attimo a controllare una cosa. Chiamami se non muori, un kiss. » e mentre quelle parole vennero pronunciate, il sedicenne si fece forza sulle gambe per potersi rimettere in piedi nonostante una fitta alla testa lo colpì, facendolo vacillare per qualche secondo. I polpastrelli di una mano alla tempia mentre totalmente spaesato si guardò intorno, facce sconosciute, corpi a terra privi di vita, lacrime, sangue, disperazione. Era davvero considerabile una vittoria, quella?
    E seppur l’espressione nel volto del Barrow non fosse cambiata, qualcosa dentro di lui mutò quando le sue iridi scure osservarono realmente quello che gli stava succedendo intorno. Non c’era felicità, non c’era una grande festa per la vittoria, solamente corpi stanchi a terra, altri chinati sui propri morti e lui, Minkia Barrow, era totalmente spaesato. La gola era prosciugata. Niente vocali, niente consonanti, neppure il riverbero debole di un filo di voce, come se perfino essa si fosse inchinata a quella stanchezza che permeava nelle ossa. Dove sarebbe andato? Non aveva davvero uno scopo, un obiettivo, un’altra ragione per continuare a camminare. Forse non ne aveva mai avuta. Provò a concentrarsi, non seppe neppure lui su cosa o su chi; gli bastava semplicemente qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse aiutarlo a non lasciare che le lacrime scorressero sul suovolto e, al contempo, a non pensare alle sue di perdite. Per quanto fuggire dai propri problemi fosse una scelta tutt'altro che assennata, la maggior parte delle volte si rivelava essere l'unica via possibile. C'erano dei frangenti in cui non serviva neppure rimanere lì e alzare la testa, semplicemente perché si finiva col peggiorare la situazione. E dunque, in quei casi, l'unica scelta contemplata era scappare, scappare a gambe levate, senza guardarsi mai indietro. Lui lo aveva fatto, fin troppe volte, e probabilmente lo avrebbe fatto anche in quel momento se non fosse stato per la mano di Sehyung sulla propria spalla, costringendolo quasi a voltarsi in un sussulto: « Ehi mio biscotto della fortuna, come va la spalla? Vogliamo sederci un attimo? » Glielo chiese con un tono appena udibile, flebile, che non palesava alcuna urgenza nonostante tutto. Sembrava stare bene e, almeno quello, sembrò strappare un sorriso sincero da parte del Barrow che gli si fece più vicino, andandogli a sfiorare il tessuto oramai reso in brandelli intorno alla ferita. Alzò nuovamente lo sguardo verso il volto del maggiore, ritrovandosi davanti un sorriso cordiale di chi, nonostante tutto, sembrava non aver perso la speranza. Era umanamente possibile essere davvero sollevati in una situazione del genere? « Sto bene, non preoccuparti…un po’ malconcio ma passerà. Tu, invece? Ho saputo di…tuo padre. »
    Girava tutto, come fosse sulla giostra di un luna park. E quella era l'unica cosa che riusciva a comprendere in quel momento. Il resto era tutto sfuocato, la sagoma di Sehyung gli appariva appannata, irregolare, dai tratti troppo sfumati ed approssimati; i suoni sembravano un continuo eco; le gambe riuscivano a muoversi soltanto pesantemente, compiendo passi irregolari, scomposti, il cui equilibrio minacciava di abbandonarlo da un momento all'altro e di farlo accasciare sul suolo. E invece, come fosse una manna dal cielo, percepì una stretta all'altezza del busto, un appiglio sicuramente non stabile data la sua stazza, ma che comunque gli permise di rimanere in piedi. Si strofinò gli occhi, mentre una mano andò a posarsi sulla spalla del maggiore, di modo da aiutarlo a reggersi meglio. « E’...morto combattendo per quello in cui credeva. O almeno credo.. S-sono orgoglioso di lui, e di essere suo figlio. Sto bene. » ma no, non stava bene. Cinque sono le fasi del dolore: negazione, rabbia, negoziazione, depressione, accettazione. Lo aveva letto anni addietro su uno di quei libri di testo che sfogliava con una certa svogliatezza, l'immaturità fanciullesca ed il senso di ribellione a spingerlo ad andare contro qualsiasi cosa gli venisse imposta da terzi. Eppure, quella piccola nozione elaborata da Elisabeth Kübler-Ross gli era rimasta in testa e non l'aveva più abbandonato, costringendolo, tuttavia, soltanto in quel momento a riflettere davvero sul senso di quelle parole. La verità era che lui non aveva elaborato nulla: era passato dalla fase della negazione a quella della rabbia, per poi compiere un salto verso quella della depressione. Non aveva seguito il circolo, non aveva fatto nulla; aveva soltanto saltato a piè pari la fossa in cui si annidavano i suoi problemi, scagliandosi contro tutti e tutti ed urlando un dolore che, tuttavia, si consumava soltanto nel suo animo. Si limitò solamente a cingere la vita di Sehyung in un abbraccio, celano il volto nell’incavo del suo collo mentre le falangi si aggrapparono quasi disperatamente al tessuto della sua maglietta. « Avrei solamente voluto abbracciarlo un’ultima volta, ma… Non preoccuparti per me, okay? Ho altri piani, tipo…combattere contro il capitalismo! Dovresti farlo anche tu. E’ stato bello conoscerti. » Non doveva essere così. Non poteva essere così. Poteva ambire a qualcosa di meglio, sperare in un futuro migliore, ma il punto era: ne sarebbe stato capace?
    Dopo aver salutato Swing, attese che il mago dalla zazzera rosa attraversasse il portale, accorgendosi solamente in quel momento di star trattenendo il respiro. Sbuffò pesantemente, le falangi tra i capelli ed i polpastrelli a sfiorarne le ciocche mentre, lui, si ritrovò nuovamente senza un posto in cui andare. Lasciò che i piedi vagassero in quella pianura di desolazione, concedendo alla mente di vagare nel passato, a quando si nascondeva in un negozio di articoli asiatici e si metteva di fianco ad altri bambini della sua stessa etnia, osservando il padre chiedere - a suon di menù da ristorante cinese - quale fosse suo figlio perché, beh, sono tanti perché sembrano cinesi. O quando erano semplicemente in piscina e chiese ad una vecchia signora di spalmare della crema su Minkia mentre lui era alla ricerca di una ciambella dato che Minkia Barrow era diventato troppo grande per dei braccioli.
    Mentre quei pensieri si fecero largo nella sua psiche, l’attenzione del sedicenne venne catturata da un vociare di persone che si raggrupparono tra di loro, discutendo su ciò che c’era a farsi.
    « FATE LARGO, HO IO LA SOLUZIONE. » esclamò, facendosi spazio a suon di gomitate e colpi di tosse. « Ora che nessuno è al comando, e se nessuno è al comando c’è solamente caos, io propongo di eleggere qualcuno come…persona importante che sta al comando. UN PRESIDENTE. In America funziona, no? NO??? Trump, dite? Eh…gli Americani sono un po’ particolari. Hanno rovinato l’America. » si schiarì la voce, sistemandosi quei lembi di tessuto rimasto che costituivano la sua maglietta. « SARO’ IO IL VOSTRO PRESIDENTE. MINKIA 4 PRESIDENT. VI PROMETTO… PIU’ PACCAGGI, SI’. »



    minkia barrow
    A flower that resembles you
    Blossomed in this garden of loneliness
    I wanted to give it to you
    As I take off this stupid mask
    #Minkia4President | 21.04.2018
    I’m crying
    At this sandcastle
    That’s disappearing
    And breaking down
    As I look at thisbroken mask
    And I still want you
    Barrow | canon: unknown
     
    .
4 replies since 4/6/2018, 16:27   348 views
  Share  
.
Top