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xavier + brandon

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    xavier stevens
    La situazione è tragica, con una mini quest in corso e otto role da postare entro il dieci, e siccome Elisa ha deciso di buttari nella challenge con 400 parole per role non giudicate grz. E’ italiano? Chi lo sa, non io.
    Quando aveva deciso di lasciare Elsa alla sua sorte e prendersi le bambine, ancora non aveva idea di cosa signidicasse essere genitore, o perché i pannolini costassero così tanto. Aveva cambiato due (2) case prima di trovare pace nella sua vita e nel processo aveva perso i fremelli (uno per casa), aveva capito che alla fine era più facile così: non era facile ammettere che incrociare Stiles nel corridoio tutti i fottuti giorni gli faceva tornare alla mente i tempi in cui c’era anche Jay. Così aveva agito come meglio sapeva ed era scappato da quella casa, una flebile scusa a cui né lui né il fremello avevano creduto ed era subito fuori da quelle porte. Nell’ultimo mese i contatti con Stiles erano stati sporadici e tristi, della serie che Xavier pareva addirittura il più allegro dei due – e fidatevi se vi dico che era grave, un avvenimeno da Apocalisse.
    Nelle settimane passate lo Stevens aveva addirittura provato a contattare Elsa per controllare che fosse ancora viva, non perché gli importasse, solo per scaricarle le bambine per qualche mese. Persino lui stava capendo di non riuscire a reggere quei ritmi, e le ore che dormiva la notte erano sempre troppo poche per riuscire a funzionare come un essere umano (non tutti possono essere vampiri come i questanti). Regà dite che le 500 parole le raggiungo se continuo a deliare? Sì dai io credo in Morgan Freeman.
    Diventare genitore a vent’anni non era stata la migliore delle idee, in quel momento avrebbe voluto tirarsi un pugno per quanto era stato stupido a non ascoltare Jericho: aveva ragione, sarebbe dovuto scappare in Messico come Charmion. Ora, amava le sue bambine, ma ne avrebbe fatto a meno per altri dieci anni – non era evidentemente capace di fare il genitore, insomma, stava pensando di accoltellare persone come lavoro e viveva con un sicario. Xavier non aveva mai ambito ad essere un mercenario, né altro nella vita, ma quando il Ministero aveva smesso di erogare il sussidio mensile agli special, lo Stevens aveva dovuto cercare strade alternative per sopravvivere.
    Il fiato caldo si condensava davanti a lui, mentre rapido scivolava sull’asfalto lasciandosi dietro alcune delle zone più malfamate di Londra. Controllava continuamente oltre la spalla che non fosse seguito, mantenendo vive delle piccole fiamme sulle dita just in case, fino a quel momento aveva avuto abbastanza fortuna da non incorrere in nessuno. Ripensò per un momento a casa, dove aveva lasciato Jericho da sola con due bambine, pregando che nessuna di loro si fosse già uccisa accidentalmente; doveva ricordarsi di trovare un sostituto alla Lowell, magari uno che non era sparito nel nulla mesi prima. Vedete, Xavier non era una persona sociale e raramente si sprecava nel fare amici, se poi gli unici che aveva sparivano nell’etere, la questione diventava ancora più tragica: da tre amici era passato ad uno.
    Udì dei passi dietro di lui, e se all’inizio si limitò ad aumentare l’andatura, quando questi si fecero sempre più vicino non poté più ignorarli. Schiarì la mente e aguzzò l’udito per farsi una vaga idea di quanti potessero essere – troppi, aveva constatato dopo alcuni momenti. Prese a correre, certo di non poterli affrontare tutti, svoltando a destra e sinistra in strade dal nome sconosciuto, imboscandosi sempre più nel cuore di Londra. Non seppe neanche lui come finì a Diagon Alley (c’era sempre stato?), in quel momento pensò solo a fiondarsi nel primo locale a caso. Varcò la soglia del Lilum con un polmone che rischiava di scoppiare e lo sguardo di chi aveva appena trovato la Terra Promessa, per poi pentirsi attimi dopo – ora che ci pensava, avrebbe potuto scegliere meglio. Avanzò tra la folla per cercare di mescolarsi, lo sguardo a passare dai corpi (ignudi) dei camerieri ai ballerini sui tavoli, mentre decideva sul da farsi. Approdò al bar, unico porto sicuro in quel luogo, facendo cenno al barista di avvicinarsi «una burrobirra, per favore» ma sì, dieci minuti e avrebbe alzato i tacchi. E con questo, Elisa out.

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    who has he ever had to love him?
    as: newton smith
    brandon lowell
    muggle: metamorph
    1985's 1992's
    identity disorder
    Si morse le labbra in un tic nervoso, gli occhi castani posati sul fondo del retro intonso di una pagina stampata e le mani premute sulle gambe che non riuscivano a smettere di dondolare, nonostante la presa su d’esse nel vano tentativo di imporgli un freno.
    Brandon Keith Lowell era un uomo estremamente ansioso, dalla tachicardia facile e le paure più stupide a farlo saltare sull’attenti nei momenti meno opportuni; per quanto avesse tentato di annichilire se stesso dietro ad un nuovo volto ed una nuova storia, conservando di sé solo il raziocinio e l’autocontrollo, essere lo spavaldo ed ambizioso Newton Smith in un frangente come quello non aiutava a far smettere di palpitare il muscolo cardiaco sulla punta della lingua. Sapeva di essere completamente giustificato per stare in un simile stato d’agitazione – a prescindere dalla situazione presa nel suo contesto, era pur sempre un esperimento magonò non dichiarato, sotto falso nome e fuggito da un centro d’igiene mentale: non credeva sarebbe mai stato sereno in vita sua fuori dalle mura della sua stanza, ad essere onesti -, ma una consapevolezza del genere non faceva molto per aiutarlo. Se possibile, anzi, il solo rimuginarci sopra contribuiva a renderlo ancora più irrequieto.
    Era stata una pessima idea.
    Sollevò lo sguardo sull’uomo dall’altro capo della scrivania soltanto quando questo si schiarì la gola, e non si preoccupò nemmeno di mascherare la smorfia turbata a sformargli il viso quando incrociò gli occhi del capo redattore – un anziano signore che a dirla tutta, Newt, non aveva idea di come riuscisse ancora a mantenere il suo ruolo in quel giornale: più lo osservava e più temeva gli morisse davanti a gli occhi, e soltanto Morgan in persona sapeva quanto poco avesse bisogno di un altro cadavere nella sua stessa stanza. Brian Finnin, centotre anni e fiero direttore del The Shampoo Bludger - una delle più infime testate giornalistiche del Regno Unito magico, ma che assicurava di certo quel basso profilo e quella poca visibilità di cui il Lowell aveva bisogno - da almeno tre quarti della sua età, non era da meno nel nascondere le proprie impressioni: non ci provava minimamente a fare finta che il naso arricciato fosse per un prurito alle narici, o che gli sbadigli non fossero dovuti a nottate insonni regalategli dall’anzianità.
    O che il tutto non fosse esageratamente forzato.
    L’autostima non era sicuramente uno dei pregi di Brandon, e sebbene Newton l’ostentasse fin troppo nelle uscite che al trentatreenne non sarebbero state permesse quella non era una qualità che poteva sviluppare da un momento all’altro; ciononostante il metamorfo, in ogni sua forma, sapeva che quello non era il trattamento che un suo scritto poteva meritare. Di certo non s’osava dire d’essere uno Stephen King o un Rita Skeeter del nuovo millennio, lungi da lui il solo pensiero, ma sapeva di saper scrivere: il suo ego, già ferito senza l’ausilio di terzi, non poteva accettare quelle smorfie da un chiccheffosse – non su l’unica cosa che avesse, e che sapesse fare.
    Fece per parlare, per imporsi sopra quel silenzio acquoso e vuoto, ma non riuscì nemmeno a scollare le labbra tra di loro; continuava a stare fisso sulla faccia del direttore, facendo di tanto in tanto scivolare gli occhi sul proprio, breve manoscritto. Ancora confidava fosse soltanto un vecchio con tic nervosi tanto quanto i suoi, e che in fin dei conti avesse apprezzato il suo articolo di prova.
    Invece «tutto ciò non va bene», ovviamente. Rimase immobile a controllare il respiro, un tacito assenso con il capo alle parole dell’uomo. «un pezzo sulla discriminazione degli special e sui presunti abusi di potere del ministero, in un periodo storico come il nostro? è inaccettabile» il grande capo scosse la testa, puntando le celesti iridi in quelle cioccolato dello Smith; per un attimo, un singolo istante, il ragazzo pensò di sentire che l’indignazione dell’uomo non era tanto per l’articolo, quanto per la situazione stessa – e si disse che era normale, dopotutto: andiamo, chi mai poteva accettare un regime simile? Lui stesso era cresciuto in una famiglia di fieri sostenitori del Governo, e mai aveva creduto ci fosse niente di male nel vivere una normalità come la loro, ma a quel punto non c’era poi molto in quella nuova dittatura di cui andare fieri. «- che un aspirante giornalista si presenti qui senza nemmeno sapere le basi» scosse appena la testa, corrugò la fronte turbato. «ma io-» conosco le basi; ho passato dieci anni a leggere soltanto articoli di giornale, a studiarli, a scriverne di inutili per un pubblico immaginario; non ho fatto altro che studiare, non posso non sapere le fondamenta. Finnin alzò una mano a zittirlo, un morbido sorriso canzonatore ad incurvare le labbra rugose. «niente ma, signor…» «smith, newton smith» completò in un sussurro flebile, mentre il redattore schioccava le dita tra loro, come se avesse sempre avuto il nome del ragazzo sulla punta della lingua. «evidentemente non ha idea della censura che viene attuata sui giornali, e che richiedere l’approvazione per un articolo del genere equivarrebbe a strappare una pagina dal settimanale, a giorni interi sprecati ad inseguire una chimera togliendo spazio a chi potrebbe essere davvero mandato in stampa» abbassò il capo, mentre il più vecchio si alzava con il suo articolo tra le dita. «evidentemente, non sa che sbruffoni come lei hanno fatto chiudere giornali più grandi di questo, e che io non voglio fare la loro stessa fine» gli si avvicinò lentamente, e se Bran avesse alzato gli occhi era abbastanza sicuro che avrebbe potuto contare le pieghe della pelle dell’uomo. Deglutì soltanto, in un moto di reverenziale timore. «non voglio essere ucciso, o che dei miei ragazzi muoiano, per un coglione che decide di combattere le sue battaglie da dietro le mie scrivanie»
    Dell’ansia non v’era che il ricordo, a vibrare nel petto di Newton – solo rabbia a sostituirla, calma e pacata nello sguardo di denso cioccolato. «vigliacco» sibilò soltanto; passò qualche istante di corposo silenzio prima che il più giovane ritenesse opportuno alzarsi, raccogliendo la propria tracolla dal pavimento dell’ufficio. Dio santo, ma cosa si aspettava da un posto che si chiamava The Shampoo Bludger? «immagino di non essere stato preso» sorrise sarcastico, allontanandosi da Finnin. Allungò soltanto la mano per richiedere indietro il proprio articolo, che era certo qualcuno alla fine avrebbe apprezzato, quando il vecchio gli diede fuoco. «esattamente. e per inciso, quella era spazzatura» vecchio rancoroso di merda. «ti ho fatto un favore»
    Ritrasse il braccio, troppo educato e composto per chiudere la mano in un pugno lasciando soltanto il dito medio sollevato nella direzione dell’altro. «grazie del suo tempo» si congedò infine, secco, uscendo dall’ufficio e dall’edificio stesso.
    Per un attimo, fuori dal portone, sentì l’insano desiderio di dar fuoco a tutto il palazzo.
    Per un attimo.

    Se l’avesse fatto, a quel punto, sarebbe stato meglio.
    Avrebbe sfogato la frustrazione repressa dal momento che era uscito dall’ufficio, trascinandosi tronfio d’un orgoglio che era solo scena in una camminata diffamatoria tra le varie scrivanie dell’open space del giornale: l’avrebbe fatta franca, trasformandosi in qualche animale l’attimo successivo e fuggendo dal luogo dell’incendio; sarebbe tornato a casa, deluso per la mancata assunzione ma felice per aver arso vivi dei codardi sul loro posto di lavoro.
    Di certo, a quell’ora non si sarebbe trovato al Lilum.
    A quell’ora, non sarebbe stato ubriaco – non che ci volesse molto: astemio da una vita, e constatato nella mistica esperienza del Grande Oblivion che l’alcol non aveva troppi effetti indesiderati sul disturbo dell’identità multipla, Brandon era arrivato alla conclusione che bastavano tre o quattro giri di cocktail per farlo essere brillo; la convinzione di essere Newton Smith, e di non interpretare soltanto un ruolo, aveva contribuito a rendere la sbronza molto meno imbarazzante, e molto più interessante.
    A quell’ora, non - «una burrobirra, per favore» - avrebbe riconosciuto quella voce; non si sarebbe voltato sul profilo di Xavier Stevens, smorzando un’ebbra risata e non prendendo assolutamente più in considerazione tutti coloro con cui aveva condiviso il bancone fino a quell’istante.
    Oggettivamente parlando, Brandon Keith Lowell sapeva quanto di sbagliato ci fosse in tutto quello che gli passava per la testa in quel momento - e nel petto, e sulle labbra, e nello stomaco. Era perfettamente consapevole di quanto la cosa più opportuna da fare fosse voltarsi dall’altro lato, ignorare il pirocineta e tornare alla propria serata.
    Ma aveva bevuto, Newton Smith, e poco gliene poteva fregare di cosa l’altro sé ritenesse corretto o meno.
    Prese il suo cocktail, e sgusciando tra gli avventori che lo separavano dal moro gli si sedette affianco, un gomito poggiato sul banco ed il capo reclinato nella sua direzione. «mio dio, una burrobirra? non sei mica alla testa di porco» scosse la testa troppo velocemente per l’alcol già ingurgitato, e con uno sventolio della mano richiamò all’attenzione il barista che lo aveva servito poco prima. «portagli un margarita, offro io» con quali soldi.
     
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    xavier stevens
    Xavier era deciso sul mantenere lo sguardo fisso sulle mani giunte sul bancone, non interessato al resto del teatrino che lo circondava. Non faceva parte del resto della folla che lo circondava, disperato per una strusciata da parte di un ballerino o un’occhiata distratta da parte di una cameriera – non era mai stato il suo ambiente e non avrebbe cominciato ad esserlo in quel momento. Se si stava pentendo delle scelte di vita prese negli ultimi quindi minuti? Certo che sì, ma non era una novità. Almeno non l’aveva ancora avvicinato nessuno, cosa non così scontata dati i luoghi che frequentavano gli altri fremelli.
    Incominciò a grattare via una macchia sospetta (sangue) dal medio, chiedendosi per quanto ancora si sarebbe dovuto nascondere tra la folla. Non gli piaceva doversi nascondere, ma era anche abbastanza sveglio da sapere quando tenere un profilo basso in attesa di colpire. Al sentire una presenza accanto a lui, il suo corpo si irrigidì immediatamente, l’unghia a scavare nella pelle «mio dio, una burrobirra? non sei mica alla testa di porco» mantenne testardo lo sguardo sulla mano, decidendo di ignoralo finché non si sarebbe stancato. Prima di tutto ma chi sei?, e secondo ma cosa vuoi da me? Incredibile come lo Stevens sembrasse attirare solo casi umani, doveva essere un talento «portagli un margarita, offro io» ora che ci pensava, forse poteva accettare quel solo drink: era povero e aveva da sfamare che neonate, certo che avrebbe approfittato della situazione. «per inciso» iniziò il pirocineta, voltando il capo verso lo sconosciuto «non ti aspettare che ti ripaghi per il drink» non dovette specificarlo ad alta voce, che si riferiva a un pompino nei bagni o qualsiasi altra cosa facessero lì. Strinse il vetro tra le dita e mandò già una cospicua quantità di liquido, abbastanza da cercare di dimenticare di avere quello conosciuto davanti. Si prese il suo tempo per finire il margarita, determinato a mantenere lo sguardo davanti a sé e ignorare il tipo al suo fianco. Aveva sperato che facendo finta che non esistesse, avrebbe demorso dal molestarlo, ma con un rapido sguardo alla sua destra risultava ancora lì. Ma perché a lui. «senti miguel, o come cazzo ti chiami, che ne dici di toglierti dal cazzo?» così, un suggerimento che veniva direttamente dal cuore «a meno che tu non abbia una proposta più interessante» tipo offrirgli un altro drink, ma lungi da lui offrirgli qualsivoglia spunto.
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2 replies since 9/5/2018, 17:34   302 views
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