Can you hear it coming?

Il tempo passava inesorabilmente lento, troppo.
Per fortuna che -in quella che doveva essere la sua “camera” in una casa apparentemente confortante con brave persone, ma che non erano suoi parenti come questi ultimi invece credevano- aveva un calendario dove segnava con un pennarello rosso i giorni che passavano inesorabili, settimana dopo settimana.
L’unica cosa strana di quel calendario apparentemente normale era la data dell’anno ovviamente non la sua data, non quella che in realtà doveva essere, 2118.
Era il 20/04/2118 e era sera tardi, fuori tirava un po’ di vento, ma c’era caldo un caldo un po’ innaturale per essere aprile.
La gente camminava spedita per le stradine di Parigi, quella Parigi che l’aveva vista partecipe della sua nascita e della sua crescita fino all’età di nove anni.
Alcuni erano vestiti in modo elegante, forse intenti ad andare in un pub elegante a bere qualcosa o in una discoteca per svagarsi un po’, mentre altri erano semplicemente stretti nei loro cappotti leggeri girando verso una meta non precisa.
Nicole era seduta sul davanzale davanti alla finestra della camera -che l’aveva vista partecipe per buona parte delle sue giornate da quando era stata catapultata in un mondo che non era il suo- con sguardo vacuo, un po’ assente che scrutava il cielo senza una stella rigirandosi il pennarello rosso tra le dita con fare lento e annoiato.
Si alzò e andò a scribacchiare in modo veloce una croce sul numero 20 perché ormai la giornata era finita e sarebbe arrivato il fatidico 21 che non avrebbe cambiato la sua sorte, ma non per lei almeno, quella sera stranamente non sarebbe stata fino alle due di notte a guardare il soffitto, inerme nel suo lettone senza fare nulla.
Prese il suo giacchetto nero di pelle e uscì silenziosa da “casa”, se si poteva chiamare così, diretta a casa Hamilton.
Alec l’aveva chiamata poco prima dicendole che sarebbero dovuti andare lì perché c’era una cosa davvero interessante e strana che doveva vedere, avevano scoperto che potevano comunicare con gli altri dispersi che erano partiti in quell’assurda avventura con loro, attraverso uno specchio.
Aveva staccato un po’ allibita e anche un po’ delusa, ma con Alec si sforzó di essere contenta non facendo trasparire la sua indifferenza e delusione per una scoperta che non le faceva nè caldo nè freddo.
Lui era felice come tutti, aveva dedotto una volta che era entrata vedendo volti conosciuti e sorridenti che le davano il benvenuto.
Non si tolse il giacchetto nero perché sapeva che non sarebbe rimasta per molto, non aveva molto a che fare con lei e voi vi chiederete il perché...beh è così semplice da capire.
Vide Alec in lontananza sorridere a qualcuno che le era di spalle e si strinse dentro se stessa andando a vedere il famoso specchio magico.
Era uno specchio normale, come poteva essere normale uno specchio con la superficie liscia e lucente.
Guardò dentro e non ci vide nessuno, ognuno aveva raccontato che aveva visto il proprio caro amico disperso, o una sorella, lei vedeva l’ombra di se stessa.
Capelli biondi che potevano sembrare grano o oro che le ricadevano sulle spalle un po’ ondulati, una maglietta completamente nera come il giacchetto un po’ troppo grande per lei, dei jeans attillati e strappati e infine degli stivali neri borchiati.
Il volto era pallido e il trucco nero attorno agli occhi era un pugno in pieno volto, le labbra serrate in una lieve riga che poteva sembrare come una crepa nel muro.
Vedeva lei, non vedeva nessuno perché lei non aveva nessuno. Era un po’ improbabile che potesse vedere suo padre spuntare da quello specchio, ma anche divertente perché lo avrebbe visto portarsi una mano al cuore dicendole che doveva smettere di farle questi scherzi con la magia.
Avrebbe dato tutto pur di vedere quel volto stanco e che era famiglia per lei in un posto che era tutto tranne famigliare.
Distolse lo sguardo perché era troppo doloroso per lei vedere che tutti lì avevano rivisto qualcuno di importante e lei non aveva visto nessuno.
Stava per girarsi quando delle figure comparvero sullo specchio, volti noti, ma nessuno di amico.
Allora era vero che quello specchio poteva farti vedere i superstiti che erano anche loro intrappolati nel tempo.
Intravide su quei volti stanchi una figura che conosceva, o con cui almeno aveva parlato.
Freya.
Un groviglio di capelli rossi e sapeva che anche lei l’aveva riconosciuta perché le si avvicinò dall’altra parte dello specchio.
Freya disse solo sforzandosi di sorridere e toccando leggermente quella superficie liscia sentendo il freddo sotto le sue dita affusolate.
Spero che te la stai passando bene, per quanto si possano passare bene le giornate nel passato disse sforzando una leggera risata.
Era contenta di rivederla dopo tanto, si ricordava la loro prima conversazione solo poco tempo prima e era stata piacevole nonostante non lo volesse ammettere.
La salutó sperando di rivederla presto perché un volto famigliare faceva sempre piacere, giró le spalle a quello specchio e si appoggió al muro vicino ad esso vedendo che tutti si riunirono per parlare di quanto era accaduto.

qualche minuto dopo...

Stavano parlando di che cosa era successo e come poter uscire da quel mondo che non era il loro quando...
All’improvviso un fischio arrivò alle orecchie insistente e doloroso che le fece per un attimo coprire queste ultime con le mani.
Tutti si composero cercando di capire da dove venisse quel rumore che era tutto intorno a loro e ovunque.
Lo specchio come se non bastasse sembrava un cuore pulsante, stava prendendo forma e vita come se fosse una persona e una luce accecante inondó ogni cosa e furono tutti costretti a serrare gli occhi per poi riaprirli sconvolti.
Al posto dello specchio c’era un portale e stavano uscendo delle persone, tutte troppo sicure di loro stessi.
Non potevano usare la magia sia con le bacchette che non, per via dell’aggeggio che uno di loro aveva attaccato al muro.
Dicevano che erano dalla parte dei buoni e che sapevano come farli tornare a casa perché li avrebbero aiutati.
Drizzó le orecchie interessata perché se ci fosse stato anche un briciolo di speranza ci avrebbe provato. Sempre.
Seth. Era quello il nome che avevano usato più volte e con disprezzo perché era lui il capo di ogni cosa e di ogni persona in quel mondo.
Governava ogni cosa e tutto arrivava a lui.
Poi ecco le cose interessanti, avevano un piano per eliminarlo e loro erano questo piano.
Lui era fuori controllo e dovevano fermarlo, non sapeva che cosa li avrebbe aspettati, ma se volevano avere anche una sola possibilità dovevano tentare.
Il portale era lì che vorticava e che scaturiva un potere enorme, doveva solo attraversarlo e forse quella storia sarebbe finita.
Doveva fidarsi, e la fiducia era un lusso che non si permetteva mai, non si fidava di niente e di nessuno. Mai.
Ora però non poteva correre il rischio di rimanere lì e vedere le settimane diventare mesi e i mesi diventare anni, doveva tornare a casa, la sua vera casa.
Tutti erano perplessi e alcuni erano immobili aspettando che qualcuno facesse la prima mossa per decidere.
Lei aveva già deciso inconsciamente, nella sua testa la decisione era stata presa.
Strinse i pugni e sospiró, nessuno le dava la garanzia che una volta oltrepassato il portale sarebbe tornata a casa, o che non si sarebbe più macchiata le mani di sangue, ma per tornare a casa lo avrebbe fatto.
Fece un passo, poi un’altro e sotto gli occhi di chi ancora era lì si ritrovò davanti al portale.
Chiuse gli occhi e pensó che era giusto, doveva e voleva tentare perché se fosse rimasta lì non sarebbe cambiato nulla, lei sarebbe rimasta bloccata lì e non sarebbe più tornata a casa, sarebbe diventata vecchia e si sarebbe dimenticata perfino che non apparteneva a quell’epoca e sarebbe morta senza aver visto suo padre, non poteva permetterlo.
Chiuse gli occhi e si sentì risucchiare in un vortice strano, come una lavatrice, la mente libera da ogni pensiero, era iniziata. Aveva scelto.