april is the cruellest month

arci + dan

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    aidan kenneth gallagher


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    L'inverno se n'era andato piano, sussurrando, e poi tutto insieme, con la violenza di un temporale; l'acqua aveva impastato la terra sotto le sue unghie e si era portata con sé cieli lugubri e verdi fogliami, e quell'orribile senso di malinconia che gli si attaccava addosso come un parassita, stringendo al collo fino a bloccare le vie respiratorie.
    Eppure lui l'aveva sempre amata, la primavera; gli ricordava latte di mandorla e tè alla rosa canina, torte al rabarbaro e boccioli scarlatti, il profumo di vaniglia misto a quello dei viburni del giardino di casa Gallagher. L'intera villa sembrava risvegliarsi timidamente, in quei giorni d'aprile, quando le tende in taffeta venivano arrotolate in fili d'oro per far entrare luce nelle stanze e tutto sembrava più leggero; dagli abiti in tulle al peso delle parole e dei sorrisi, più morbidi ai bordi, più autentici.
    Alannah lo vedeva leggere Le Bestiaire ou Cortège d'Orphée sotto alle colonne tuscaniche del gazebo – agghindato in camice vittoriane che si abbinavano perfettamente al rosa antico delle sue labbra, i morbidi ricci ad accarezzargli il viso – e giurava di poter quasi sentire sua figlia cantare nel vento.

    A Hogwarts la primavera profumava di libri vecchi e prato bagnato, di caramelle alla fragola e tabacco bruciato. Non era la stessa cosa, ma era abbastanza: era quasi necessario, quel contrasto. Lo aveva abituato a separare le due case – quella vera e quella ideale – così da non confonderle o amalgamarle in un unico disegno. Dopotutto, quando l'estate batteva aggressiva sui vetri delle stanze di Villa Gallagher, le tende si abbassavano di nuovo; Hogwarts, invece, diventava solo più calda.

    Ebbene, di quell'aura fiabesca Bodie non ne era minimamente reminiscente; il paesaggio sembrava unificarsi fino a divenire sfocato come quello di un dipinto romantico, e il fango era solo fango, scuro e rivoltante e ovunque: sui muri e gli abiti umili, tra le strade e i capelli, fin sopra i pesanti stivali da lavoro e nel sapore dell'aria, del cibo, dell'acqua. E dove finiva il fango, cominciavano le erbacce, i fili d'erba taglienti come lame interrotti da sporadiche margherite selvatiche e niente più, se non forse il grigio spettrale delle nuvole e degli edifici abbandonati già da tempo, pregni di muffa e invasi dai ratti e dagli insetti. Così crudele, quella misera realtà: sembrava quasi che il tempo stesso lo deridesse, ricordandogli di minuto in minuto che di quella vita gli erano rimaste solo le ceneri, e i ricordi sparsi che conservava gelosamente, nel costante terrore che potessero sfuggirgli di mano e non tornare più – proprio come aveva fatto lui.

    I pleniluni, poi, erano tutta un'altra storia: il suo corpo aveva ormai rimosso cosa si provasse a passare la notte senza l'aiuto di pozioni tranquillanti. I miscugli della professoressa Queen non miravano ad eliminare il dolore, ma quantomeno lo intorpidivano abbastanza da renderlo meno intenso e duraturo; essere padrone della propria mente nonostante la forma da licantropo, poi, lo rendeva più sopportabile anche dal punto di vista psicologico – sapere di non doversi preoccupare di uccidere qualcuno accidentalmente era stata la garanzia che l'aveva convinto, al tempo, a ritornare a scuola.
    Ma gli avevano strappato via anche questo, e così si era dovuto abituare a una gabbia di carne che con lui condivideva solo il colore degli occhi, anche se pure questi ultimi erano annebbiati dal desiderio di violenza della bestia – così lontani dalla brillantezza tipica di quelli del ragazzo che si nascondeva dietro alle zanne e sotto alla pelliccia.
    Ogni notte gli sembrava l'ultima e forse, segretamente, ci sperava; e invece poi si risvegliava, raccoglieva i pezzi della sua testa e cercava di formare di nuovo qualcosa che potesse ricordare anche solo vagamente un essere umano e non più un mostro vorace. E poi ricominciava daccapo – ossa spezzate, urla disperate, e quella voglia di combattere che andava sempre di più scemando, sostituita dal bisogno di abbandonarsi una volta per tutte all'istinto animalesco. D'altronde cosa aveva da perdere, ormai?


    Si pentì all'istante della spallata data alla porta – morse il labbro inferiore per attutire il gemito di dolore, occhi serrati e dita tremanti a completare il quadro del ragazzo miserabile; il braccio non sembrava essersi ancora ripreso del tutto da Salem, quando il Leroy-Baudelaire glie l'aveva storto (per conversare, certo) al punto da lesionarlo, e se solitamente neanche ci faceva caso a quel leggero indolenzimento, quella sera ogni nervo sembrava tirato al punto da potersi spezzare con un soffio di vento. Prese un lungo respiro, infine si appoggiò delicatamente alla superficie legnosa; un rapido sguardo ai suoi dintorni gli fece constatare di essere ancora solo, il che, almeno, era a suo favore. Dell'effetto sorpresa non gli interessava più di tanto, dopotutto era più il tempo che passava nel cottage che in ciò che sarebbe dovuta essere la sua casa, se così poteva definirsi. Semplicemente s'illudeva ancora di poter nascondere la sua debolezza dietro a sguardi impassibili, come se non portasse ancora i segni delle catene attorno ai polsi sanguinanti; come se il suo viso non fosse di un pallido malaticcio, e i suoi occhi velati come quelli di un cadavere; come se non inciampasse su se stesso, debole come una foglia d'autunno, tenuto in piedi solo da quel che rimaneva dell'adrenalina. Poco importava, dopotutto – si era sempre vantato di essere un egregio bugiardo, e le apparenze contavano poco quando sapevi modellare le parole a tuo piacimento.
    Inumidì le labbra secche, soffiando un'imprecazione tra i denti, poi si sollevò per addentrarsi nella sala alla ricerca di quello che, nel lontano dicembre, doveva essere un armadietto degli alcolici, ma che si era ormai ridotto a una fila di bottiglie vuote e bicchieri rotti; sospirò, afferrandone una ancora piena a metà, e senza pensarci due volte buttò giù il contenuto – che si rivelò essere rum di seconda scelta, per la gioia del suo stomaco. Arricciò all'istante le labbra, ignorando il leggero senso di nausea in favore di un secondo sorso. Stronzo maledetto, almeno un po' di dannata vodka non poteva lasciargliela? Attese così il ritorno glorioso dell'ex marine da Ovunque Fosse Stato™, le gambe distese sui braccioli del divano e la testa abbandonata sui cuscini; una posizione che di amichevole o educato aveva poco, e almeno questo avrebbe reso le intenzioni del Grifondoro chiare sin da subito. Ma, inutile, il suono della porta che si apriva lo fece rizzare seduto come un gatto – e con una rapidità che, tra l'altro, finì per fargli girare la testa.
    «Hey, Cappuccetto Rosso.» Fece schioccare la lingua contro il palato, poi buttò giù nuovamente l'alcol; chiuse gli occhi, lasciando che il rum gli bruciasse la gola, poi puntò nuovamente gli smeraldi sul moro, il fantasma di un sorriso a piegargli quasi in modo impercettibile gli angoli della bocca. «Ti sono mancato?»
    Se solo il suo orgoglio non avesse avuto la meglio, la freddezza di quelle parole sarebbe stata spezzata da un silenzio; che forse, a lui, un non sarebbe dispiaciuto. Ma era realista, Aidan, un sopravvissuto: la speranza cieca la ripudiava. Piuttosto, invece, si alzò a fatica dalla sua postazione per venire incontro al padrone di casa, a cui avrebbe gentilmente offerto un drink se solo quel poco liquido rimasto non fosse finito a terra; insieme al resto della bottiglia, ovviamente, lanciata senza troppo ritegno contro la parete da un Gallagher particolarmente inviperito. E no, di minaccioso non aveva nulla; il suo scopo, piuttosto, era quello di provocare. E provocare ancora. E ancora. Un giochetto che al Leroy sarebbe dovuto risultare come familiare, viste le circostanze, no?
    Portò una mano sul petto di Danihel – una carezza di bentornato, e una dolcezza così innaturale in quello scenario da essere palesemente finta – e, con un sorrisetto vuoto dipinto in volto, strinse appena la presa sulla maglia di quest'ultimo così da trascinarlo verso di sé. «Dobbiamo parlare.»


    mixing Memory and desire
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    Edited by homini lupus - 6/4/2018, 19:02
     
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    danihel simmons was archibald leroy
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    and then I crash dramatically Into a wall I’ve hit a hundred times before And yet I still ignore the dark red blood stains on the floor
    Non faceva abbastanza male.
    Senza scarpe, seduto sul letto con le spalle contro il muro, la testa all'indietro e braccio posato sul ginocchio, Archibald si fissava con sguardo spento la mano abbandonata a pendolare nel vuoto e pensava che non faceva fottutamente abbastanza male. Insomma, con tutto quel sangue (cristo, era riuscito a sporcare ovunque) e un pezzo di vetro conficcato nel palmo, si potrebbe pensare che sia una ferita sufficientemente dolorosa, giusto? In una scala da uno a voglio morire almeno un sette... eppure più Arci restava immobile a pensarci (il petto che si alzava e abbassava velocemente, seguendo il ritmo sostenuto del suo respiro stanco), meno gli pareva una ferita soddisfacente. Bruciava, certo, e gli avrebbe sicuramente lasciato per un po' di tempo dopo la guarigione una cicatrice bianca aesthetic da esibire con orgoglio; normalmente sarebbe anche bastata per chiamare (con tutto il dramma di cui era capace) soccorso... ma non quella sera.
    Con un sospiro fra lo scocciato e il tremendamente stanco si passò la mano non tagliata sul viso accartocciato, e allungò dopo le dita verso il piccolo pezzo di vetro che lo guardava beffardo brillando in mezzo al sangue. Lo mosse leggermente, lasciando che la fitta di dolore per un attimo lo inebriasse, cancellando tutto il resto; durò poco, troppo poco, e con un verso insoddisfatto il Leroy-Baudelaire sbattè il capo dietro di sè con un tonfo.
    Avrebbe voluto, Arci, essere il pezzo di merda che si ostinava a mostrarsi agli altri, il cinico disinteressato che ride ai funerali facendo battute oscene sull'agganciare la vedova rimasta; avrebbe voluto non pensare a niente, sparire per qualche minuto o qualche ora sprofondando in qualsiasi oceano abbastanza profondo gli si fosse presentato - la vita di Danihel, l'ennesimo bicchiere scottante di alcol, il corpo caldo di qualcun altro - e invece era lì a disperarsi sulla morte di un uomo che, a ruoli invertiti, probabilmente si sarebbe acceso una sigaretta con tanto di spallucce alla notizia della morte di Arci. Era sempre stato così rammollito (possibile, in effetti), o era quel luogo a fare da parabola a qualsiasi sentimento negativo che si insidiava nelle crepe del cuore dell'ex serpeverde, allargandole?
    Se Cole Baudelaire era morto non dovevano essere problemi del Leroy.
    Se Cole Baudelaire era stato così stupido da farsi uccidere sui tetti di Bauexbatons mentre cercava di fare l'eroe per degli sconosciuti (che razza di coglione!) il suo fratellino avrebbe dovuto ridere, prendendo in giro senza pietà l'inutile sacrificio dell'uomo (le persone nella scuola francese erano forse sopravvissute qualche giorno in più, ma a quale prezzo? Secondo le congetture del Leroy se loro a Salem col chrono erano arrivati nel 1918, c'erano alte probabilità che gli altri Prescelti col Nos fossero andati nel futuro, e Arci aveva visto abbastanza film per credere che il 2118 non potesse che essere una falsa utopia che nascondeva un mondo ancora più marcio di quello del presente; se la nuova vita se la stavano vivendo male come il Leroy, forse meglio la morte). Era esilarante, non era drammatico, così com'era esilarante come la stesse prendendo a cuore lui.
    Archibald neanche conosceva Cole, e non dico come fratello, ma a livello base come persona. Era simpatico? Preferiva i gatti o i cani? Gli piaceva la torta al limone? Come prendeva il caffè? Sogno nel cassetto? A cosa stava pensando prima di morire? Il minore non ne aveva assolutamente idea. Arci e Cole avevano parlato - quante volte? Due, forse tre o addirittura quattro, e di certo mai di cose personali. La "conversazione" più lunga che avevano avuto era stata via lettera quando l'uomo aveva riferito ad Arci delle sue origini, e data la mancanza di un recapito del mittente, partito per fanculonia, l'allora ancora serpeverde neanche aveva potuto rispondergli. A parte avergli dato la grande notizia (che, effettivamente, gli aveva cambiato la vita), Cole non aveva mai fatto altro per o con Arci. Non era stato nella sua vita che un puntino, e neanche uno particolarmente a fuoco. La loro relazione - se di relazione si può parlare - era fatta di forse, di e se; di tutte le cose che Arci si era inventato nella sua testa per rendere Cole suo fratello, per renderlo il proprio Elijah, la propria Run o Todd, per tradurlo in tutto quello che non era mai stato e - ormai - non sarebbe mai potuto essere.
    Lo odiava. Lo odiava per essere morto, lo odiava per non essere stato un buon fratello, lo odiava per non avergli detto prima la verità, togliendo ad Arci del tempo prezioso che avrebbe potuto passare con Lydia (sei mesi, erano stati insieme solo sei mesi invece, forse, di anni). Lo odiava perchè finchè era vivo avrebbe potuto rimediare ai propri errori, alle proprie lacune, perchè avrebbe potuto essere il fratello che Arci avrebbe voluto e di cui avrebbe avuto bisogno e quindi era facile scusarlo, e invece ora Archibald avrebbe dovuto sopportare il fatto che era così e basta, un pezzo di merda che di fare il fratello e costruire una famiglia con i due pezzi mezzi rotti e bisognosi d'amore Baudelaire non aveva alcuna intenzione. Lo odiava perchè non si era mai fatto vedere, perchè a lui non era mai importato di Arci e non gli aveva dato neanche una possibilità. Lo odiava perchè per Arci o per Lydia non aveva mai fatto nulla (non si era mai degnato di fare nulla), e il fratellino l'aveva sempre giustificato con un "Cole è così" che non funzionava più, nel momento in cui quello stesso Cole aveva deciso di morire per altri, altri senza volto e senza nome di cui in qualche modo Arci si ritrovava ora geloso. Lo odiava perchè non lo odiava abbastanza, dopotutto.
    E lo odiava perchè la notizia della sua morte gli aveva ricordato (o forse fatto notare davvero per la prima volta) che Arci era lì, bloccato in un paese fantasma in mezzo al nulla, ma il suo mondo - quello vero che chiamava ancora casa - avrebbe continuato ad andare avanti senza di lui. Bells, Jeremy, Lydia, Eleanor, Eugene, Belladonna... non solo avrebbero continuato le loro vite forse credendolo morto, forse credendolo vivo e odiandolo (Lydia si sarebbe sposata facendosi portare da Sin all'altare? Gene sarebbe stato il primo della classe? Bells come avrebbe festeggiato la vittoria del campionato di Quidditch?), ma lui non avrebbe potuto sapere, andando avanti giorno dopo giorno, come stessero, se fossero felici e al sicuro, se fossero vivi. Si era sempre preoccupato su quanto a lui mancassero le persone importanti della propria vita, e mai a come loro dovessero starsi sentendo.
    In tutto ciò, ovviamente, odiava anche se stesso per come stava reagendo.
    "Ho un fottuto bicchiere infilzato nella mano" pensò, muovendo leggermente il suddetto "E non ho intenzione di fare niente per rimuoverlo perchè come un emo del cazzo credo che se riuscirò ad avere abbastanza male da avere il cervello annebbiato dalla sofferenza fisica, non sarò più in grado di pensare a Cole e tutte le fantastiche rivelazioni filosofiche che la sua morte comportano. Magnifico, davvero magnifico. Sono proprio una testa di minchia" non minkia, eh CIAO KINESE
    E dire che era successo quasi per caso; non si era certamente infilzato la mano volontariamente - aveva solo lasciato lì il coccio. Sunday, naturalizzato Banana Simmons, si era premurato di dare la lieta novella su Cole Baudelaire ad Arci quasi appena arrivato nella sua nuova dimora (giusto il tempo di un brindisi e di prendere in disparte il nuovo fratellastro), e la reazione del Leroy era stata pacata, disinteressata. Una scollata di spalle, un «Ah» non particolarmente sentito. Per un po' era davvero andato tutto bene. Almeno finchè non era rimasto solo. Almeno finchè, dopo aver guardato uscire Sandy, Gwen e Toothy (alludendo all'avere una certa età e un lavoro stancante, quindi di non poter reggere di uscire tutti i giorni), non si era servito con mano tremante altri due, tre, quattro bicchieri di vodka in camera propria, per poi... beh, fare l'Arci. Il Baudelaire aveva lanciato improvvisamente, apparentemente dal nulla, il bicchiere di vetro contro il muro, facendolo seguire a ruota dalla bottiglia di vodka non assolutamente vuota e guardando i vetri infrangersi contro la parete andando ovunque. Ci aveva messo un po' a tornare in sè o quasi, un calcio a ribaltare la sedia e un paio di mensole rovesciate a terra, cornici rotte che avrebbe dovuto riparare prima dell'arrivo della Markley, e quando si era accorto dello stato della casa la sua brillante idea per metterla a posto, invece che adoperare la bacchetta o una scopa, era stato col fiato grosso abbassarsi prendendo fra le dita i vetri sparsi in giro. Not his finest moment, ma incredibilmente vedere il sangue scorrergli verso il polso aveva in qualche modo attutito la rabbia, facendo da cuscinetto davanti ad una cascata pronta a riesplodere da un momento all'altro. Arci aveva ricordato il periodo in cui usava il dolore per sentire qualcosa di diverso dai propri problemi, e per qualche minuto aveva pensato potesse tornare a quei tempi, lasciare che il male cancellasse Cole e tutto il resto, che la mente venisse inibita dalla necessità di pensare a cosa stesse succedendo alla mano.
    Peccato che non facesse abbastanza male.
    Con un sospiro esasperato simultaneo ad un click nella testa - un interruttore sulla realtà che si accendeva - Arci si decise a staccare di netto il pezzo di vetro dalla mano, tappando veloce con l'altra la ferita che aveva iniziato a sanguinare più copiosamente finchè - leggermente traballante - si alzò per recuperare la bacchetta e fare alla bell'è meglio un incantesimo fasciante (la cui garza, ovviamente, si intinse di rosso in pochi secondi ma così va la vita). Tentò di muovere le vita, giusto per capire l'entità del danno; come immaginava, non era niente di grave.
    Non era più un sedicenne disperato. Non era un ragazzino senza famiglia, senza obiettivi, senza sapere cosa fare della propria vita... o meglio lo era (grz lancaster), ma se le cose erano migliorate una volta, potevano migliorare ancora. Aveva superato quella fase e non ci sarebbe ricaduto per colpa di Cole, per colpa di Bodie. Poteva ancora... sì, poteva ancora resistere. Poteva ancora essere un'essere umano decente.
    Forse. Possibilmente.
    Poteva?
    A giudicare dalla puzza di alcol che ora impregnava i mobili e le pareti della camera, doveva ancora imparare un paio di cosette sull'autocontrollo.
    Traballante si alzò, rendendosi conto troppo bene di aver perso le staffe e che non poteva essere trovato in quello stato al ritorno della comitiva, se non per Gwen che lo conosceva da anni e poteva non sorprendersi, per Sunday che aveva amici ben più psycho, per lo meno per il bambino che avevano deciso misticamente di adottare; non poteva permettersi che scatti del genere capitassero con Tooth in casa. Si ritrovò davanti allo specchio, e dopo essersi dato un'occhiata veloce e aver passato la mano sana fra i capelli incolti chiuse gli occhi. "Andiamo, su. Respira, calmati. Sei solo bloccato in questa merda di posto per l'eternità. Tuo fratello è solo morto. Cole era un coglione, se lo meritava".
    Doveva recuperare... un... qualcosa per il taglio alla mano e assicurarsi che non facesse infezione curandola meglio (avere una Bells nella vita l'aveva decisamente viziato sul lato degli incantesimi di guarigione), e non aveva intenzione di incappare in nessun amico che avrebbe chiesto spiegazioni, nè in alcun abitante del paese che riteneva Daniehl un così caro ragazzo, quindi la scelta ricadde sulla ragazza del bordello, quella che non si faceva toccare e lavorava nel tempo libero alla fabbrica dismessa di Bodie. Non esattamente una persona a cui avrebbe affidato la vita, ma Mads riusciva ad essere simpatica ed in qualche modo esuberante pur nel suo essere discreta e chiusa in se stessa. Non si mise neanche le scarpe. Scese le scale, ed entro qualche secondo era nella città a correre, una gamba dietro l'altra in automatico mentre la fatica che si faceva sentire e la sbornia passava di metro in metro.

    Mary Madelaine lo aveva ricevuto senza troppe cerimonie, degnando uno sguardo più che alla mano fasciata malamente di Arci, alla camicia sporca di sangue. «Spero faccia tu il bucato» fu il suo unico commento con un sopracciglio sollevato, e alzando gli occhi al cielo il ragazzo le aveva chiesto una medicazione migliore scoprendo - senza davvero sorprendersi - che la Wesley era piuttosto brava come infermiera, ma per niente delicata come poteva apparire guardandola destreggiarsi fra le ragazze del bordello. Arci non era rimasto a chiacchierare; lui non si sentiva dell'umore per due risate in compagnia e lei pur avendolo accolto gentilmente con un sorriso aveva chiaramente fretta di tornare al proprio lavoro di tuttofare nella casa del piacere... quindi il Baudelaire aveva ripreso a correre, lasciando che la stanchezza facesse il lavoro che la rabbia e l'alcol non erano riusciti a finire.
    Si fermò parecchio tempo dopo solo quando i muscoli ormai facevano male e i piedi non avrebbero sopportato un altro passo, avvicinandosi nuovamente verso Villa Simmons nella speranza che ancora non fossero rientrati i tre dell'Ave Maria. Prima di entrare in casa si premurò di buttare la faccia nel secchio d'acqua, sciacquandosi veloce acqua e capelli. L'odio verso Cole e il lutto per la sua morte ancora non lo avevano del tutto abbandonato, ma ora che era quasi del tutto sobrio si sentiva insieme meglio (era più facile indirizzare i pensieri) e peggio (avrebbe preferito non averne, di pensieri). Quando entrò, pronto per buttarsi a letto a dormire il più possibile (senza che potesse fregargli meno dell'ora), magari dopo un altro paio di bicchiere per conciliare il sonno, ancora Gwen e bimbi mancavano all'appello, ma non per questo la casa era deserta. Si fermò sulla soglia della porta, guardando l'ospite incuriosito.
    «Hey, Cappuccetto Rosso» Aidan non era esattamente una sorpresa in casa loro in solitaria, con in mano (in bocca) il loro alcol come se fosse stato lui il padrone di casa, ma per qualche motivo vedendolo ad Arci si accendeva sempre una scintilla. Aidan non era il sorriso spontaneo che gli faceva sorgere la visita di Jay, o il calore familiare di Gwen. La reazione alla presenza del Gallagher nel corpo e nella mente di Arci era del tutto personale, e bizzarramente non del tutto spiacevole, anzi. Aidan era presuntuoso, opportunista, spesso pesante nonchè il clichè vivente di tutto ciò che Arci odiava dei bimbi ricchi e viziati... ma Signore, era una caramella per gli occhi e una costante tentazione per la carne (a volte soddisfatta, troppe volte no). Soprattutto, Arci era ben conscio di fare acquolina anche lui al grifo, ed era ben lieto di approfittarne.
    «Ed ecco il lupo cattivo» Gli lanciò un sorriso accennato a bocca aperta, senza tentare di minimizzare il fiato grosso dovuto alla scapagnata in giro; fosse mai che Aidan credesse che era dovuto alla sua presenza.«Ti sono mancato?» «Dipende. Sei venuto per mangiarmi?» più uno per il tentativo, ma indubbiamente la frase non era uscita maliziosa come sarebbe potuta essere con un tono più accattivante o un'espressione meno stanca. Rendendosene conto, Arci cercò di correggere il tiro appoggiandosi allo stipite della porta mentre si passava la mano fra i capelli ancora bagnati da poco prima. Nailed it.
    Lo guardò alzarsi malfermo. Seguì con gli occhi il vetro andare contro il muro e frantumarsi (divertito dalla drammaticità del gesto perchè - davvero, Gallagher? Proprio quel giorno? Doveva essere il venerdì 17 delle bottiglie), e non commentò quanto accaduto, riportando invece lo sguardo sul ragazzo che si stava avvicinando a lui. Si mise ritto in piedi quando Aidan fu abbastanza vicino da sfiorargli il petto, da prendergli la camicia ancora sporca fra le dita; non si ritrasse, una scossa di eccitazione lungo la schiena e la gola secca nonostante la chiara presa in giro nel gesto quasi dolce del Gallagher. Il grifo aveva quell'effetto su di lui, anche quando lo fissava con quello sguardo assente del tutto distante dalle solite occhiate maliziose (totalmente apprezzate).
    «Dobbiamo parlare» Se Aidan - un qualsiasi Aidan in un qualsiasi stato - pensava che Arci avrebbe rifiutato delle avance solo perchè proveniente da un ragazzo sbronzo, sbagliava di grosso. Si chinò leggermente, annullando ancora di qualche centimetro la distanza fra i loro visi.
    «Non sembra tu voglia parlare» fece notare. Passare la notte con Aidan sarebbe stato logicamente molto meglio che passarla a cercare di addormentarsi, ed era convinto il ragazzino sarebbe riuscito a distrarlo abbastanza facendo più effetto di qualsiasi droga o alcolico.

    he had a violent uncontrolled temper, which sent him litelly insane when he was annoyed, but he was good-looking




    giphy

    980x

    non... è in italiano ????????? non è sensato ???????????? cos'è ??????????????
    scusami, volevo postare prima della miniquest sennò lo sapevo non avrei mai più risposto. Me ne pento? Sì. Lo rifarei? *prende fiato per rispondere* *scappa*
     
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    Portò appena indietro il viso, sfuggendo rapido al contatto; con gli occhi sbarrati dalla (finta) sorpresa posò quindi il pollice sul mento di Archibald prima di lasciar trapelare la risata repressa, uno spiraglio di sincero nervosismo a rendere il gesto macchinoso. «Non mi credi?» Difficile farlo, dopotutto; Aidan non necessitava di scrutare il proprio riflesso nello specchio all’entrata per constatare di essersi fregato da solo. Lo percepiva dal battito frenetico del cuore, dalle labbra che si schiudevano in cerca d’aria – palese, il desiderio che velava gli smeraldi del Gallagher fino a renderli foschia. Percorse delicato i tratti del viso, andando a solleticare con la punta delle dita la pelle olivastra per poi giungere alla nuca: «così mi offendi.» E sorrise ancora, le iridi fisse sulle labbra spaccate dell’altro, la mancina a stringere laddove si era posato il palmo – e solo allora si mosse tentativamente in direzione del Leroy-Baudelaire con uno scatto quasi impercettibile, all’apparenza incerto, seguito da un più lento movimento che di nuovo avrebbe annullato la distanza tra i due. Si sarebbe imbarazzato del sospiro spezzato se solo gli fosse interessato qualcosa di mantenere una facciata neutrale; invece carezzò la pelle scoperta col pollice e passò la lingua sulla bocca di Archibald, percorrendone la sagoma con minuziosità. Una lenta tortura, la sua, a contrastare i modi più diretti del francoinglese che toccava, afferrava, stringeva, si appropriava. Ma non era una bestia in gabbia, Aidan. Scivolava come sapone, da quelle attenzioni lusinghiere; lasciava che le guance si tingessero delle più graziose sfumature rosee e giocava il suo ruolo, ma rimaneva lontano anni luce, disinteressato. Persino quando la lingua andava a cercare quella dell’altro, e un gemito melodioso accompagnava l’inclinamento della sua testa, il busto rimaneva rigido in una posa plastica. Circondava le spalle di Archibald con le braccia, ma le unghie non premevano possessive contro la stoffa. Quei mesi passati a Bodie non avevano di certo spezzato la sua ascia di guerra; anzi, se non altro l’avevano reso più violento, più vorace. Il flebile fastidio, ora era divenuto odio. E la mera attrazione, inevitabilmente, si era trasformata in bisogno. Ma ciò non si tradusse nei placidi movimenti, nelle sfumature dolci dello sguardo che, quando il respiro mancava, incontrava quello del Simmons per pochi attimi. Né tantomeno tali contraddizioni erano evidenti nei baci umidi sul collo, nelle spinte leggere per trascinare il maggiore verso il divano; si sarebbe adagiato a cavalcioni sulle gambe di Archibald, lo sguardo basso così che le ciocche potessero coprire l’espressione contratta dal dolore – lo stesso dolore che lo fece tremare per qualche millisecondo, e che Aidan coprì con una risata languida. «Sai, ci ho riflettuto sopra.» Le dita, maliziose, andarono a giocare con il colletto della camicia, per poi racchiudersi attorno al primo bottone, e poi al secondo, e al terzo, fino a poter separare i lembi del tessuto e rivelare il petto marmoreo del Leroy-Baudelaire. Solo allora gli occhi cercarono quelli del ragazzo in questione, a cui spostò una ciocca ancora bagnata dal viso, prima di far schioccare la lingua contro il palato: «ero sinceramente convinto che il mio interesse nei tuoi confronti fosse dovuto ai tuoi modi, hm,» e arricciò quindi le labbra, sovrappensiero, «bruschi?» Un modo particolarmente elegante, insomma, per dirgli che era il suo fare scontroso a renderlo eccitante agli occhi dell’allora Grifondoro. Mise il gomito sullo schienale del divano, poi appoggiò il mento contro il palmo della mano. «Ma mi sbagliavo. Dio.» Sospirò, e mentre con la destra intrecciava le ciocche corvine attorno all’indice, si chiese a cosa stesse pensando. Se quell’improvvisa affettività lo stesse turbando tanto quanto avrebbe turbato il Gallagher. «Totalmente fuori strada.» Scosse la testa, e lasciò scivolare il palmo sulla camicia sbottonata, scoprendo la pelle quasi con pigrizia. Abbozzò quindi l’ennesimo sorriso malizioso, preludio di una serie di baci che partivano dalla bocca per poi finire sul petto del ragazzo, per poi tornare alle labbra morbide, contro cui avrebbe soffiato un «la verità è che non riuscivo a leggerti» prima di occuparle di nuovo per qualche attimo di troppo. «Eri misterioso ai miei occhi, e lo sei rimasto per così tanto tempo. Ma ora» e ancora le mani s’insinuarono sul corpo di Archibald, stavolta scendendo in basso fino a raccogliersi attorno ai lembi dei pantaloni. «Ora penso di averti inquadrato.» E dunque, davvero, cosa stava pensando? Nulla di buono, sperava. Che nonostante le apparenze, Archibald sapeva ragionare, e da buon intenditore avrebbe dovuto captare, finalmente, il veleno nascosto in quel bicchiere di champagne. «Ho un debole infinito per te» e piano il pollice tastò la pelle nascosta, senza mai veramente arrivare a sfiorare oltre il consentito: una provocazione che non sarebbe terminata con del soddisfacimento. «Fingi che nulla ti tocchi – e sei credibile, ah, almeno all’inizio. Poi ti tradisci da solo.» Inclinò la testa con fare innocente, nonostante le iridi fossero ancora oscurate dal piacere. «Giochi a fare l’eroe. Rischi la tua stessa vita per salvare quella di persone che, alla fine, ricoprono un ruolo marginale nella tua storia.» Scontato che stesse parlando di se stesso; più volte si era chiesto a cosa fosse dovuto, in quei giorni a Salem, lo spirito benevolo che lo spingeva a evitargli la morte precoce ogni qualvolta si muoveva di un passo. Non era stato poi così tanto difficile arrivare a una soluzione. «Tutto ciò per un po’ di riconoscimento. Tu vuoi essere qualcuno, alla fine, perché sai di essere una nullità, e questo ti consuma.» Minuti di tenerezza ripagati in pochi attimi: spingendo il gomito del braccio libero contro la sua trachea, avrebbe quindi tentato di tenerlo fermo ancora un po’. Il sorriso gioviale venne sostituito allora da una smorfia astiosa: «patetico come tu non sia capace di esprimere il tuo disgusto–» e alzò quindi il polso ancora pregno di sangue raffermo, in un tentativo di spostare l’attenzione del ragazzo su di esso «…senza ricorrere alle tue solite battutine del cazzo.» Da sua madre di certo non aveva ereditato la pazienza. Era un tripudio di emotività, il Gallagher, una pulsazione nervosa senza fine. Non li aveva mai amati, i giochetti, tranne quando era lui stesso a dirigerli. «Ma ora è il tuo momento, quindi dimmi che ti faccio schifo, Archibald.» Un ghigno crudele non dissimile dal ringhio di una bestia, il suo, mentre gli occhi chiari rimanevano incastrati in quelli del maggiore con l’audacia di mille fuochi. «E finiscila con queste stronzate.»


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    C'erano persone, al mondo, a cui flirtare piaceva più che concludere effettivamente; che si dilettavano nel gioco della seduzione, in vedo non vedo e cose dette fra le righe; persone a cui andava bene lanciare il sasso e ritirare la mano perchè - testuali parole - ciò accresceva il desiderio. Gente per la quale la tensione sessuale era più importante e appagante rispetto alla realizzazione delle proprie fantasie a lungo immaginate (e spesso deluse arrivati al fatidico momento).
    Bene, ad Arci questo gente di persone stava davvero sul cazzo. Gareggiava per il premio quanto era necessario, certamente, e poteva essere interessante a volte doverselo conquistare, ma l'attesa, quella non faceva per lui. Non era abbastanza paziente o disperato. Quando Aidan si scostò, quel tanto per sfuggire ad un bacio, Arci cercò di impegnarsi a sorridere ancora e non mostrare quanto lo infastidisse venir - come si può dire? - illuso. Considerando che poteva vederlo dal corpo fremente del ragazzino che questi era venuto lì per un motivo ben preciso, non capiva cosa fermasse il grifo dal saltargli addosso e lasciare da parte parole e vestiti.
    «Non mi credi?» No. Per niente. Il corpo di Aidan stava effettivamente gridando, ma Arci non sentiva affatto desiderio di una chiacchierata tra amici, quanto la voglia di una scopata che avrebbe fatto bene a entrambi - ad Aidan perchè sembrava più scosso e arrabbiato del solito, ad Arci per non pensare a Cole e alla situazione in cui erano tutti, bloccati in un buco nel deserto medievale. Socchiuse la bocca, il respiro forzato dalla corsa che, invece di essersi calmato in quei secondi di pausa, aveva ripreso a farsi ruvido contro la pelle del Gallagher. «così mi offendi.»
    «Oh, ti prego» C'era davvero qualcosa al mondo che potesse offendere il grande Aidan Gallagher? Era un ragazzo che rispondeva ai graffi con morsi, ed era difficile per Arci pensare ci fosse alcunchè di astratto che potesse davvero ferirlo; non riusciva a vederlo come emotivo o guidato dalle passioni: era calcolo, precisione, opportunismo.
    Il Leroy aveva già gli occhi chiusi quando il ragazzo prese a tastarlo, lasciandosi fuggire un sospiro soddisfatto mentre le sue mani scivolavano sui fianchi dell'altro, senza particolare premura o lentezza, stringendo le dita nella carne, sollevando lembi di vestiti per cercare la pelle mentre Aidan come al solito pareva resistere meglio di lui alla voglia calda e bruciante di sentirsi a vicenda. E' già stato accennato quanto Arci detestasse dover fare le cose con calma, giusto? Quanto lo facesse impazzire quel prendersi tempo che non era preliminari, che era letteralmente stuzzicarsi per il gusto di farlo, dare al cane la pallina quando questi sa che potrebbe avere l'osso subito? Aidan lo faceva impazzire, ma doveva ammettere che non fosse del tutto un male; almeno lo distraeva.
    Premendo di più sui fianchi di Aidan fece un passo all'indietro, tirandolo verso di sè al divano (o fu Aidan a spingercelo?) e un attimo dopo avergli morso piano il labbro in un bacio Arci si ritrovò seduto, il Gallagher a cavalcioni su di lui. Le mani di Arci ancora lo tenevano fermo, e mosse leggermente il pollice da sotto la camicia sollevata, accarezzandogli la pelle.
    «Sai, ci ho riflettuto sopra» Oddio, voleva davvero parlare, quindi? «Non è un buon momento» mormorò già con voce roca, spostando una mano per cercare di tirarlo a sè e riprendersi le labbra del gallagher, tornare per un attimo a pensare a lui e non a tutto il resto. Credette per qualche secondo che la sua preghiera implicita di scopare e basta - e farlo possibilmente in silenzio - fosse stata accolta, visto che il ragazzo lo stava svestendo con cura. Si sbagliava.
    «ero sinceramente convinto che il mio interesse nei tuoi confronti fosse dovuto ai tuoi modi, hm, bruschi?» Arci sollevò un sopracciglio, prendendo a sbottonare la camicia del ragazzo impaziente come a dimostrazione delle parole appena sentire. Brusco, pff. Impulsivo, passionale, animalesco piuttosto. Erano tutti aggettivi molto più carini e sensuali di brusco, visto che non si trattava di una critica. Arci sapeva che al sedicenne faceva uscire di testa il suo modo di fare un po' selvaggio senza tante perdite di tempo (c'era abbastanza Aidan l'affettato per entrambi). «Ma mi sbagliavo. Dio. Totalmente fuori strada»
    Arci sbuffò una risata, senza neanche cercare di capire dove stesse cercando di andare a parare; non aveva testa per un discorso serio, in quel momento «Invece ti ha conquistato il mio enorme cuore?» chiuse nuovamente gli occhi quando Aidan riprese a baciarlo, e arrivato quasi al pube Arci sorrise, sbirciando da un occhio socchiuso la nuca del ragazzo: «Oppure il mio enorme cazzo» Le labbra di Aidan furono di nuovo su quelle di Arci, e più il Leroy lo stringeva a sè, più inesorabilmente capiva che ci fosse qualcosa di diverso, nelle parole boccheggiate fra un bacio e l'altro, nel tono di voce languido che Arci aveva giustificato con la sbornia nella sua testa. Gli posò un bacio sulla gola, un rametto di pace eccessivamente dolce chiedendo di nuovo di farla finita con le parole. Cosa stava succedendo? «la verità è che non riuscivo a leggerti. Eri misterioso ai miei occhi, e lo sei rimasto per così tanto tempo. Ma ora... Ora penso di averti inquadrato.»
    Arci non provò a scostarsi, non ammorbidì la presa su di lui, neppure capendo che Aidan non lo stava soltanto elogiando a caso; neanche tutto l'alcol del mondo lo avrebbe portato a quello. Lo stava preparando con cura per ricevere una pugnalata, perchè questa facesse più male sulla pelle soffice e a muri abbassati. «Ma davvero?» E Arci sarebbe stato al gioco, se era quello che voleva. Aidan era così, e nelle ultime settimane stava imparando a non volerlo strozzare ogni giorno per questo suo atteggiamento. Spostò una mano perchè andasse sulla gamba del minore, carezzandola lentamente. «Illuminami»
    «Ho un debole infinito per te» Arci sbuffò dal naso, più per la mano del Gallagher che lo tormentava che non per le sue parole. Le dita del Leroy sulla sua coscia di spostarono leggermente, andando verso l'interno.
    «Fingi che nulla ti tocchi – e sei credibile, ah, almeno all’inizio. Poi ti tradisci da solo. Giochi a fare l’eroe. Rischi la tua stessa vita per salvare quella di persone che, alla fine, ricoprono un ruolo marginale nella tua storia.» se non avessero avuto posti migliori in cui stare, Arci avrebbe spalancato le braccia. E allora? «Tutto ciò per un po’ di riconoscimento» Ah, ecco che iniziava il vero divertimento. Strinse i denti, la mascella a farsi rigida nonostante il sorriso accennato fosse ancora sulle labbra. «Tu vuoi essere qualcuno, alla fine, perché sai di essere una nullità, e questo ti consuma.»
    Stava per rispondere, ma il gomito lo colse impreparato. Portò indietro la testa, boccheggiando leggermente, la presa su Aidan a farsi più dura istintivamente sia sul fianco nudo che sulla coscia. Non stava soffocando, non era in pericolo, ma era comunque un gesto inaspettatamente violento da parte di Aidan. E dire che di solito si limitava a ferire verbalmente o tradire passando dalla fazione opposta per salvarsi la pelle. Affascinante.
    «patetico come tu non sia capace di esprimere il tuo disgusto senza ricorrere alle tue solite battutine del cazzo» Arci mosse la lingua nella bocca, spingendola contro le guance per trattenersi dal rispondergli immediatamente, umettandosi le labbra per prendersi tempo. «Ma ora è il tuo momento, quindi dimmi che ti faccio schifo, Archibald.» non distolse gli occhi scuri a quelli verdi dell'altro, ignorando il sorriso finto, il polso ferito. «E finiscila con queste stronzate.»
    Mh. Wow, rude. Non gli piacevano le sue battute?
    Arci schioccò la lingua sul palato («Tz»), e si immaginò a guardare un orologio finto - se solo avesse avuto sbatti di muoversi dalla posizione piacevole in cui si trovava, la carne del gallagher sotto le dita. «Hai finito?» inclinò leggermente la testa di lato, o almeno ci provò. «E togli questo cazzo di braccio. Non è sexy, è solo fastidioso» scosse la testa sbuffando una risata. Davvero, non ce la faceva a stare serio. Si rendeva conto che Aidan gli aveva letteralmente detto di non fare il cazzone e non fare dei propri pensieri una barzelletta, ma era difficile non trovare quella situazione, quel discorso, quell'Aidan, ilare. Si chiese da quanto tempo pensieri simili frullassero nella testa del giovane. «Dio santo Aidan, per chi cazzo mi hai preso, il personaggio di un romanzo?» Forse doveva smetterla di farsi leggere classici da lui, lo rendevano troppo fantasioso, pronto a vedere in Arci sentimenti che non c'erano «Ti sei fatto diecimila film su di me e sarò sincero, ne sono lusingato» lo era, davvero. Pensare che Aidan potesse tornare a casa e pensare a lui lo eccitava. Chissà se si era immaginato più volte quella scena, se anche nella sua testa finivano per fare sesso come in quella di Arci. «Ma che problemi ti fai?» scosse di nuovo la testa, le dita ad accarezzare il corpo del ragazzo. «Voglio attenzioni e riconoscimenti, e allora? Tutti li vogliono. Solo perchè non cammino per strada atteggiandomi da principe del Galles come qualcuno, non significa che pensi di essere una nullità» Lo pensava, ma erano stra gran cazzi suoi. aidan non aveva ancora sbloccato quel livello di amicizia «E non mi fai schifo» lo disse lentamente, come sillabando la frase ad un bambino stupido; in quel momento, Aidan era anche peggio di questo. "dimmi che ti faccio schifo... Che drama queen" «Sono un po' masochista, te lo concedo, ma credi davvero che non mi libererei di te se non pensassi che ne vale la pena? C'è chimica fra noi, trovo sinceramente difficile non saltarti addosso quando siamo in giro» mosse la mano come a esempio, posandola fra le gambe del ragazzo, sopra i pantaloni. Toh, sincerità; non c'era niente di segreto, niente che Arci non pensasse fosse ovvio e di pubblico dominio... così come: «Non per questo, non odio tutto ciò che rappresenti» una normale constatazione, detta senza odio, senza rabbia. Non stava usando un tono malizioso misto a schifato come Aidan, era stranamente pacato, come se avesse già usato tutte le proprie energie poche ore prima per distruggere la propria camera e la propria mente alla notizia di Cole, come se preferisse usare quanto di Arci restava in altri modi, che non litigando. «Sei viziato, Gallagher, e sei una testa di cazzo. Ricco, abituato ad avere chiunque ai tuoi piedi, senza alcun valore in cui credere, egoista come le merde. Per salvarti non esiteresti a ucciderci... E tutto ciò non è neanche la cosa peggiore» sbuffò una risata, la mano che dalla coscia risaliva, cercando il lembo dei pantaloni alla ricerca di carne. «Sei un bugiardo, ti fingi qualcosa che non sei. Tu-» annuì, gli occhi spalancati e fieri nell'aver trovato la similitudine perfetta. «Prendi l'aspetto di un fiore innocente, ma sei il serpente sotto di esso.» uno sguardo allusivo. Era stato Aidan a leggergli Macbeth, in una delle sue letture ad alta voce. «Io sarò anche una persona di merda ma» "stavo provando a cambiare" «almeno non lo nascondo di proposito. Lo stesso non si può dire di te» Era strano, ma pensare ad Aidan, anche senza arrivare a scoparlo, lo stava comunque portando lontano da Cole e dal 2017, che bello. Certo, si era appena lasciato dire che fosse un fallito ma EHI, non era niente che non sapesse già, o che Aidan non gli avesse già fatto notare in passato. Faceva male? . Poteva fare qualcosa al riguardo? Non al momento. Dal millenovecentodiciotto era difficile essere una persona migliore, poteva soltanto convincersi di essere Danihel e sperare che tanto bastasse per sentirsi meglio. Arci sapeva di aver avuto una vita povera, di aver sempre desiderato approvazione di questa o quella persona di turno per sentirsi meglio con se stesso, ma non aveva intenzione di farsi giudicare per ciò da un ragazzino.

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    Edited by c'est la fucking vie - 1/9/2018, 14:08
     
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    «Hai finito?» arricciò le labbra, considerando la domanda per più tempo del necessario. Passò la lingua sulle labbra spaccate, un leggero «hm» mormorato come unica risposta; infine portò le ciocche dietro l’orecchio con la mano libera, le iridi chiare ancora fisse in quelle del Leroy-Baudelaire, un sopracciglio appena inarcato in vana attesa di un po’ di vero dramma. Necessitava della sua buona dose di veleno, il fu Gallagher, e sfortunatamente la scorta di vodka liscia non poteva venirgli in aiuto, per una volta. Fece quindi roteare le dita in un cenno sdegnoso, alzando le spalle per autorizzare l’altro a proseguire – eh, the garbage will do, nell’evenienza. «E togli questo cazzo di braccio. Non è sexy, è solo fastidioso» ovviamente. Batté le ciglia, disorientato da quell’affermazione: sexy? Gli angoli della bocca si curvarono lentamente in un sorriso incapace di raggiungere gli occhi, tale braccio ora poggiato sulla superficie ruvida dello schienale. «tu e gli undicenni avete le stesse priorità.» E infondo – ma molto, molto infondo – non si trattava d’altro che di un complimento: che dono all’umanità, Archibald, davvero. Si chiese se rivendendoselo in un qualche laboratorio potesse guadagnarci abbastanza soldi da poter scappare in una regione della Spagna. Magari aprendogli il cranio avrebbero trovato una seconda evoluzione meno sviluppata dei Sapiens; chiaramente la cosa necessitava d’essere ricercata da professionisti. «Dio santo Aidan, per chi cazzo mi hai preso, il personaggio di un romanzo?» e di nuovo fece spallucce, quella poca adrenalina ancora in corpo a consumarsi di minuto in minuto; dell’ennesimo discorso vuoto su quanto il francoinglese fosse in realtà cool & laidback non glie ne poteva fregare minimamente, e di certo questo non aiutava a fargli mantenere l’attenzione su di lui. Provò a rendere la cosa palese portando una mano ad altezza viso per studiare, seppur in modo distratto, le unghie, ma chiaramente il messaggio non fu recepito: «ma che problemi ti fai?» Fece roteare gli occhi al cielo con così tanta forza da riuscire quasi a vedere il suo stesso scheletro – e poi lo sguardo s’indurì, così come le spalle e il pugno chiuso nel tessuto che ricopriva il divano, cercando di non far trasparire quanto in quel momento detestasse il tocco leggero, quasi delicato, dell’altro. Per nulla necessario in un contesto simile; e lo fissò di nuovo, stavolta indecifrabile. Avrebbe voluto scacciarlo, ma non voleva mostrare più debolezza di quanto se ne fosse già concessa – quello era un gioco, dopotutto, che era determinato a vincere. «Solo perchè non cammino per strada atteggiandomi da principe del Galles come qualcuno e non resistette, lasciandosi sfuggire dalle labbra un «noioso» a malapena sussurrato, «non significa che pensi di essere una nullità» sure, jan. Attorcigliò l’indice attorno a un riccio cioccolato, il divertimento a farsi nuovamente strada sul suo volto. Ah, che enorme pecca quella di non saper difendere il proprio orgoglio senza nascondersi dietro a un dito; stava andando così bene. Si prese quegli attimi per guardarlo veramente, spogliandolo degli strati che fino a quel momento erano riusciti a renderlo cieco: oltre il fare indifferente, oltre il sorriso sghembo, oltre la presa sicura delle mani attorno ai suoi fianchi. Non era poi così difficile entrargli in testa, quando lui stesso non sembrava troppo interessato a mostrare una versione di sé che non fosse quella dell’uomo disperato in piena caduta libera. Di questo non ne fece parola: della pietà se ne faceva meno che niente, Aidan Gallagher, ma nei solchi scuri che pesavano sotto gli occhi del Leroy-Baudelaire ci leggeva molto più che un banale problema d’autostima, e non era nel suo interesse sbattergli in faccia ogni sua debolezza così da farlo cadere ai suoi piedi. Dopotutto la conosceva bene, quella sensazione di perdita che attanagliava il cuore di Archibald; l’aveva vista riflessa nei suoi stessi occhi, mille e una volte. L’aveva sentita stringergli lo stomaco ogni mattino, quando si svegliava e la speranza che quella realtà improbabile fosse stata frutto di un grande incubo gli moriva sulla punta della lingua, amara come una medicina. «E non mi fai schifo» assottigliò lo sguardo, le punte delle orecchie a colorarsi appena. Non era di certo quella la risposta che si aspettava – di non essere gradito l’aveva (non troppo) segretamente sospettato per anni, e se prima di quel momento la cosa non l’aveva toccato più di troppo, negli ultimi mesi sembrava essere diventato un pensiero fisso. Faticava a disfarsene quando le sue giornate sembravano ruotare attorno a quei pochi attimi spesi in presenza dell’altro – piccola, piccola fortuna, quella di poter mettere una mano sulla sua schiena e dimenticare, anche solo per qualche attimo, di vivere in una gabbia. Morse il labbro inferiore, fronte aggrottata e iridi smeraldo spostate sulla mobilia della casa, sulle proprie mani, sui vetri rotti, ovunque tranne che il Leroy-Baudelaire, perché questo complicava tutto. Niente sentimentalismi, solo vera e propria confusione; sia ben chiaro che non se ne faceva molto di quell’affermazione, ma l’idea di ricoprire un ruolo che non fosse solamente quello dell’hobby temporaneo in un momento di dispersione non l’aveva manco sfiorato. Perché mai avrebbe dovuto? Non vi era compatibilità, tra i due, o almeno questo si era ripetuto a mantra fino a quel momento, attaccato alla sua maschera di freddo distacco come se fosse un salvagente. Un pensiero non condiviso da Archibald, in ogni caso: «c’è chimica fra noi» e sbuffò, incredulo, nonché incerto di voler sentire ulteriormente. Cercò di forzare una risata, ma dalla sua bocca uscì solamente un rumore simile a un sospiro spezzato – concluse che era meglio di niente, e posò il palmo aperto sul petto dell’altro, stringendo poi i lembi dell’indumento tra i polpastrelli, le lunghe ciglia a creare giochi d’ombra sul viso mentre disegnava cerchi immaginari contro la pelle di Archibald. «Non per questo, non odio tutto ciò che rappresenti» e ancora si ritrovò a far roteare gli occhi al cielo, per poi farli cadere finalmente sul moro; una visione affascinante, quella del Leroy-Baudelaire, che sembrava averlo dipinto sotto una luce estremamente precisa, ricca di dettagli. Fu quasi tentato di fare un taglio netto nel bel mezzo del suo monologo, ma attese pacatamente: voleva prima capire dove volesse andare a parare.
    «Io sarò anche una persona di merda» e inclinò il capo, preparandosi all’attacco finale, che però non arrivò: «ma almeno non lo nascondo di proposito. Lo stesso non si può dire di te.»
    Si prese qualche attimo di pausa, girando e rigirando le parole dell’altro nella mente, assaporandone quell’acidità che lui gli aveva presentato con calma placida. E «dio santo, Archibald, per chi cazzo mi hai preso, il personaggio di un romanzo?» inarcò un sopracciglio, espressione impassibile e tono piatto. Se usare le sue stesse parole contro di lui fosse scorretto? Probabile. «noto che hai fatto i compiti a casa» un’altra pausa, poi portò le braccia attorno al collo di Archibald – un gesto che ad occhi inesperti sarebbe potuto passare come affettuoso, ma che era più simile alla presa di un serpente attorno alla sua preda. «ti dà fastidio perché è ciò che tu vorresti ma che non hai, e lo sai benissimo.» Un sorriso zuccheroso, e proseguì: «non fingere che sia una questione morale. Se tu avessi la metà di ciò che ho da perdere io–» e la curva della bocca sembrò inaridirsi, assumendo la sfumatura infelice degna di chi aveva già perso, e che continuava a perdere, incapace di uscire da quella spirale. Le aveva avute, le sue ancore: la ricchezza, l’onore, una famiglia da amare. Erano sfuggite come sabbia dai suoi pugni chiusi. «…faresti lo stesso.» Per una volta non c’era cattiveria, nelle sue parole: gli stava presentando la realtà, senza inganno. «tu non mi conosci, Simmons non ci aveva mai provato a conoscerlo, né Aidan aveva tentato di fargli cambiare idea sul suo conto. Perché sprecare fiato su qualcosa che non era destinato a durare? «sei libero di credere a ciò che vuoi.» Un colpetto sotto al mento, gli occhi a vagare sui tratti intensi, sul colore delle labbra. Stranamente terapeutico, quel loro rincorrersi come cane e gatto – si sentiva svuotato, gli effetti del plenilunio ora sostituiti da semplice stanchezza, il bruciore delle ferite ridotto a un solletichìo. «ma non illuderti di essere diverso.»


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    Per un attimo aveva pensato che Aidan ci fosse rimasto addirittura male, alle proprie parole, che si fosse aspettato qualcosa che un Arci non abbastanza ubriaco e non abbastanza sereno non avrebbe mai ammesso (che gli piaceva passare il tempo con lui, che da quando erano bloccati a Bodie non lo vedeva più solo a quel modo ma apprezzava la sua presenza in giro, e non solo fisicamente) - ma il Leroy aveva comunque continuato a parlare senza correggere il tiro o scusarsi, veleno al posto della saliva a inumidirgli la bocca. Quando ebbe finito, non c'era traccia della delusione che aveva colto nello sguardo del ragazzo poco prima, solo noia. Arci quasi sorrise, seppur il disinteresse del Gallagher fosse frustrante, quando l'altro citò la propria frase sul non essere il personaggio di un libro; non aveva provato a vederla a quel modo, il Leroy; non aveva pensato di essersi fermato anche lui allo stereotipo che Aidan aveva lasciato intendere di essere per anni a Hogwarts. Arci non era mai stato particolarmente bravo a leggere le persone; il loro futuro, forse, ma il loro cuore? I loro piccoli gesti? Era un ragazzo superficiale, e superficialmente si soffermava sugli altri. Evidentemente, era caduto nello stesso errore di Aidan - seppur fosse convinto di averci preso per la maggior parte della descrizione.
    «ti dà fastidio perché è ciò che tu vorresti ma che non hai, e lo sai benissimo.» Soldi? Ovviamente. Una famiglia grande e felice? Il pensiero andò a Cole, fuori per sempre dalla vita di Arci, e il ragazzo cercò di scacciare la faccia dell'uomo della propria testa con del sarcasmo, solito stupido meccanismo di difesa: «Vorrei essere uno stronzo?» Non era certo Aidan sapesse alcunchè sulla situazione famigliare del Leroy, nonostante Arci a scuola non l'avesse mai propriamente tenuta segreta, ma seppur non sapesse sicuramente della morte di Cole, non gliene avrebbe parlato - non ancora, almeno. Non cercava la compassione di un sedicenne che - chiaramente - se lo scopava solo per passare il tempo in un mondo che non conosceva e dove non aveva altri.
    «non fingere che sia una questione morale. Se tu avessi la metà di ciò che ho da perdere io– …faresti lo stesso.» la frase si era interrotta pochi secondi, il tempo di qualche respiro, ma il peso di quella pausa era stato tale che era stato difficile per Arci non notarla, non darci peso. Si limitò allo sbuffò ironico di una risata per rispondergli; non c'era bisogno che il panettiere gli ricordasse che entrambi avevano già perso tutto -già lo sapeva, già ci soffriva. In quel posto sia il ricco e amato Aidan, sia il ragazzo con la famiglia unita da scotch scadente che era Arci, possedevano le stesse cose, rimanevano gli stessi legami che non volevano perdere.
    «tu non mi conosci, Simmons il fantasma di un sorriso sulle labbra scure di Danihel; chissà se anche Aidan aveva notato come ad Arci piacesse fuggire nel proprio personaggio, mentendo agli altri e a se stesso per non impazzire del tutto pensando a tutto ciò che si era lasciato alle spalle a Londra; non andava fiero del proprio fingersi Dan, si vergognava di come dopo solo cinque mesi iniziasse a perdere se stesso, ma non abbastanza da smetterla. «sei libero di credere a ciò che vuoi. ma non illuderti di essere diverso.»
    La mano del Leroy, appena sotto il lembo della camicia di Aidan, si insinuò lentamente sulla pelle del fianco, le dita e la fasciatura fatta da Mads quasi un'ora prima a sfiorare il fu grifo. Morbido, bollente.
    «Cosa non so?» sentiva il respiro caldo dell'altro sollecitargli la pelle, ma sembrava strano buttarsi sulle labbra di Aidan in quel momento; non sbagliato - mai sbagliato - ma quantomeno affrettato. Quando baciava Aidan, non era mai certo di quando sarebbe riuscito a fermarsi, e per quanto assurdo, quel discorso fra loro sembrava ancora non concluso; lo stava distraendo a tal punto da Cole, che tanto valeva continuarlo e lasciare a dopo il sesso. «Qual è il vero Aidan Gallagher, se io non lo conosco? Presentamelo - magari scoprirò che è meno cagacazzo del mio» provò a stringere i fianchi del ragazzo con le mani, arricciando il naso quando una fitta al palmo della mano lo colpì. «Non che lui mi dispiaccia così tanto. E' insopportabile-» "ma è qui; ma si è fidato di noi, di me, ed è entrato nella barriera cinque mesi fa" «-ma piuttosto divertente da avere intorno»

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    Prese un lungo respiro, lo sguardo a cadere automaticamente in basso così da poter evitare quello inquisitorio del Leroy-Baudelaire; sentì qualcosa contorcersi alla base dello stomaco, lento e fastidioso, e di nuovo le mani di Archibald a contatto con la sua pelle gli risultarono terribilmente sbagliate, al punto da farlo saltare quasi impercettibilmente, come scottato da una fiamma. Nel momento stesso in cui l’aveva sentito pronunciare quella domanda, all’apparenza così semplice, si era pentito di aver anche solamente accennato a un qualcosa di vagamente personale; cosa non sapeva? Oh, cristo. La noia di vivere in una cittadina dimenticata da tutti e il quantitativo spropositato di alcol scadente consumato negli ultimi mesi avevano fottuto il cervello a entrambi fino a portarli alle conversazioni a cuore aperto? Bella merda. Fece schioccare la lingua contro il palato, le labbra a schiudersi prontamente – ma nulla uscì. Così le sigillò, poi si voltò di lato, lasciando che lo sguardo vagasse sui raggi che filtravano dalle finestre, il modo in cui colpivano la pavimentazione, il lento danzare della polvere nell’aria. Tutto, tutto, tutto ma non Archibald. «Qual è il vero Aidan Gallagher, se io non lo conosco? Presentamelo–» e scosse la testa, incredulo o scocciato o un po’ entrambe le cose – le mani ora a cingere i polsi dell’altro, tirando appena affinché allentasse la presa e gli lasciasse spazio per respirare. «…magari scoprirò che è meno cagacazzo del mio.» Corrugò la fronte; batté le palpebre. Aveva… sentito bene? Il suo? Che modo peculiare di avvalorare la sua teoria – era ormai chiaro che Bodie lo stesse mettendo sulla strada della pazzia. Buono a sapersi. Sbuffò divertito, dunque fece leva sulle ginocchia così da potersi alzare e, finalmente, mettere un po’ di sana distanza tra lui e Arci. Accucciato come un gatto sul bracciolo del divano, lasciò che finisse di parlare senza infierire minimamente; poi, quando sentì che il silenzio era durato abbastanza da confermare che non aveva altro da dire, incrociò le braccia al petto. «partendo dal presupposto che Aidan Gallagher non è un abatjour–» e inarcò un sopracciglio, inclinando il viso per enfatizzare; «…e che per questo non è di tua proprietà – in qualunque forma o dimensione, ci tengo a precisare –, chi ti dice che io sia intenzionato a parlarti dei cazzi miei?» Si strinse nelle spalle; rapido e coinciso. «ma soprattutto: perché t’interessa?» Passò una mano tra i capelli, visibilmente frustrato malgrado i continui tentativi di nasconderlo. La verità – quella che avrebbe voluto nascondere anche a se stesso, se solo avesse potuto – era che la sola idea di rendersi vulnerabile di fronte ad Arci lo terrorizzava. Ovviamente non aveva messo in conto che potesse effettivamente fregargli qualcosa di conoscerlo sul serio, qualunque cosa volesse significare. Era stato colto del tutto alla sprovvista; ne era chiara testimonianza l’irrigidimento improvviso, così come il bisogno di staccarsi fisicamente da lui – un meccanismo di difesa da se stesso, più che altro: la misura necessaria per evitare di aggrapparsi alle spalle di Arci e non lasciarlo più. Praticamente una maledizione, la sua: quelle rarissime volte in cui usciva dal suo nascondiglio finiva per affezionarsi e, inevitabilmente, si faceva male. Alzò una mano in aria per fermarlo dal rispondere e umettò le labbra, iridi spente ancora in cerca di una via di fuga; incapaci di trovarla, tornarono a incatenarsi a quelle più scure del Leroy-Baudelaire. «non ha più importanza, in ogni caso.» Non quando quella persona aveva smesso di esistere cinque mesi prima, sotterrata dalle macerie di Salem. Chiuse gli occhi per qualche attimo; dunque si alzò di nuovo, stavolta diretto verso il vaso del tavolo da pranzo dove aveva nascosto la sua bacchetta (una cosa che era solito fare in previsione della luna piena da quando era approdato a Bodie; non poteva pensare a un futuro senza quell’unica parte di sé che era rimasta intatta, quindi la lasciava in un posto sicuro in attesa di poterla riprendere in mano il giorno dopo). Una volta tirata fuori la puntò contro il disastro di vetri e rum, agitando il polso e mormorando la formula ormai familiare così che i pezzi potessero tornare al loro posto. «sono stanco.» E lo era davvero; le ossa, la testa e la gola dolevano ad ogni passo, ogni folata di vento, ogni sussurro. Persino la rabbia lo aveva abbandonato del tutto, sostituita dalla temporanea apatia che era solito provare in momenti simili, e che ormai aveva imparato a interpretare come calma prima della tempesta: arrivava tutto insieme, l’ansia e la tristezza e i dubbi e la paura – incessanti pugnalate al petto che lo consumavano finché di Aidan rimaneva solo una sagoma sbiadita.
    Lo studiò un’ultima volta, infine sospirò: «non metterci troppo.» E tracciò un cerchio immaginario attorno alla testa in riferimento alle ciocche ancora bagnate di Archibald: un invito (leggi: obbligo) a sistemarle prima di raggiungerlo nella camera da letto di casa Simmons.
    L’autocommiserazione poteva attendere.


    mixing Memory and desire
    code by g. gif by sstyles



    ottocento parole sudatissime
    c'est fini :perv kaffè:
     
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6 replies since 6/4/2018, 03:45   419 views
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