Serendipity

Sehyung & Arci

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    Forse solo una cosa non sarebbe mai cambiata: il fatto che quel vecchio saloon brulicasse, come al solito, di gente di dubbia moralità. Uomini che dimenticavano improvvisamente di essere tali venivano fagocitati dalle luci sfarfallanti del locale, venendo poi sostituite da quella delle candele, leggermente appannate dalla coltre di fumo che appestava l'aria, rendendola quasi irrespirabile. Non che gli dispiacesse, d’altra parte, dal momento in cui il modo in cui quell’odore si andava ad impregnava nella stoffa dei suoi vestiti, gli risultava fin troppo familiare da fallo sentire quasi a casa, sensazione che difficilmente avrebbe provato in quella città dimenticata da Dio. In linea di massima, però, non si lasciava coinvolgere più del dovuto, benché gli fosse stato suggerito di integrarsi in quel giro: se c’era una cosa che aveva imparato durante la sua adolescenza in Corea, quella che in quei posti non potesse lasciarsi sfuggire nulla, né una parola di troppo, né gesti particolarmente affabili. Doveva restarsene seduto, la testa china, se fossi stato costretto a scivolare tra i tavoli lo avrebbe fatto come se fosse stata un’ombra di passaggio.
    «Hey, amico.»
    Sehyung si voltò nella direzione dalla quale aveva sentito provenire quella voce, palesemente dilatata da un eccessivo consumo di alcool. Gli bastò ruotare il capo di quarantacinque gradi per intercettare la figura di un uomo di mezza età dai capelli scuri e la barba che sembrava non venisse rasa da almeno due settimane. Gli abiti stropicciati e luridi non facevano altro che alimentare quel senso di decadenza che si portava dietro. Probabilmente qualcuno tornato dalla guerra, pensò il coreano, mentre le sue iridi corvine andarono a scrutare minuziosamente il suo viso ricoperto da lunghe cicatrici che macchiarono la sua epidermide olivastra.
    «Dammi della coca.» Una richiesta lapidaria, al cui pronunciamento il ragazzo portò una mano all'interno della propria capigliatura, in quel momento castana, grattandosi la cute mentre un sopracciglio venne innalzato con fare interrogativo.
    «Mi scusi, signore, ma non sono un barista. E poi…esiste la coca cola? Non è qualcosa di mistico in questi anni? Gli austriaci non hanno rubato il segreto della coca? O sono stati i nativi americani? Non ho la coca-cola, mi dispiace. » bofonchiò Swing, i gomiti poggiati sul tavolo e lo sguardo che fece slittare verso il soffitto mentre la propria guancia venne poggiata sul palmo della mano, aperto.
    «Vedi di non prendermi per il culo, ragazzo. Dimmi il tuo nome e vedrai come ti farò sbattere fuori da questo buco di culo.»
    E Swing continuò a giochicchiare con le noccioline all’interno di un piccolo piattino piazzato sul tavolo in legno, inciso da scritte altrettanto non piacevoli, come ad esempio, “tua mamma è un lama” o roba di quel genere.
    «Allora?» Incalzò lo sconosciuto, la voce fortemente dilaniata da una rabbia improvvisa e da un'eccessiva disinibizione che soltanto una sbronza poteva causare. Per quanto fosse una situazione tutt'altro che favorevole, non poteva e non doveva lasciarsi intimidire più del dovuto, nonostante la mascella venne tesa e i polpastrelli strinsero con fin troppa forza una nocciolina tra le dita, riducendola in polvere.
    «Mi chiamo “ti faccio diventare come Edward Cullen a suon di schiaffi se non vai via” ma per gli amici “Per tutto il kimchi della Corea del sud, se non te ne vai giuro sui miei fantasticissimi capelli che ti prendo a morsi lo stinco destro”. » bel caratterino, Adam Akers, ora con gli occhi quasi fuori dalle orbite ed il viso arrossato sotto lo sguardo del tutto confuso del suo interlocutore che, seppur avesse voluto aprir bocca, si ritrovò con una mangiata di noccioline in gola prima che Sehyung potesse lasciare quel posto. La giacca della divisa da maggiordomo appena poggiata sulle spalle e le maniche della camicia arrotolate fin sopra il gomito così da lasciar intravedere il tatuaggio sulla sua pelle nivea. Il suo congedo venne accompagnato dallo scricchiolio del pavimento in legno sotto la sua delle sue scarpe, terminando quando il coreano lasciò il locale solamente per potersi sedere su un muretto non troppo lontano da esso alla ricerca disperata di qualcosa.
    Stava cercando di mettere in ordine qualsiasi cosa si fosse s'insinuata all'interno della sua testa, qualsiasi pensiero, qualsiasi azione gli facesse prudere le dita delle mani. Gli era stato detto che l'alcool solitamente era una buona soluzione, e di come le sue capacità disinibitorie possedevano l'innata qualità di sciogliere le briglie di un presunto autocontrollo ed avviare quel fatidico flusso di coscienza che aveva sempre tentato di tenere a bada. Forse per paura, forse perché tutto sommato si era quasi abituato a vivere in quel marciume. Non era una teoria così assurda, adesso che ci pensava bene. Adattarsi ad una determinata situazione era il primo passo verso l'evoluzione, un processo silente, probabilmente anche un po' doloroso, ma che contava sul fatto che, prima o poi, sarebbe tutto passato ed il mondo prima o poi sarebbe diventata soltanto una putrida sceneggiatura di uno spettacolo teatrale. Perché in fondo era così che andava: l'universo si autodistruggeva, le particelle si aggregavano e disintegravano, quelle che chiamavano persone altro non erano che dei semplici burattini. E non era un caso che, in Latino, il sostantivo persona venisse tradotto perlopiù con la parola "maschera", o, in alternativa, "personaggio". In ogni caso, niente che potesse lasciare spazio alla spontaneità; ma soltanto finzione e artificio, come fossero soltanto degli insulsi agglomerati di sostanze chimiche ricoperti di pelle. Non sarebbe stato poi così assurdo, pensare che la realtà stessa non fosse altro che qualcosa di inventato, una macchina ben funzionante che emulava alla perfezione lo smog cittadino, il fruscio del vento e perfino il rumore del mare, quando si aveva la fortuna di poterlo ammirare con i propri occhi.
    Non sapeva fino a che punto volesse spingersi Lancaster, non riusciva neppure ad immaginare, anche solamente, i confini che avrebbe voluto raggiungere; ma qualcosa fosse stata la risposta, non si sarebbe stupito più di tanto. E infatti, non si si stupì. Non si stupì di capire come Dio, sempre se ce ne fosse stato uno, avesse mille modi di farlo sentire solo.
    Non si stupì della pelle diafona illuminata in quel rumoroso silenzio che aveva formato la notte.
    Non si stupì di come cercasse di capire il mondo, mentre esso non cercava di capirlo, forse perché non ci stava provando abbastanza.
    Non si stupì, infine, di come avesse perso tutte le sue strade, ogni sua certezza, sempre, ritrovandosi in quel luogo sconosciuto dalla terra stessa.
    Sei sicuro di essere vivo? Si chiese, Sehyung.
    Se è vero, come puoi provarlo? E distrattamente prese un paio di noccioline che aveva in tasca ed iniziò a lanciare, altrettanto svogliatamente, contro un gatto di passaggio.
    Quando espiro, riesco a vedere il mio fiato, sulla finestra c’è la condensa?
    Tu sei morto, Sehyung, come fai a non capirlo?
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    Edited by cerbérus - 11/8/2018, 11:54
     
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    «Arci? Arci, mi hai sentito? Archibald» Un buffetto sulla spalla infastidito.
    Improvvisamente conscio di essere oggetto di richiamo grazie a quel gesto, Arci voltò la testa di scatto, un'espressione sorpresa e confusa in volto mentre guardava la ragazza seduta al suo fianco. «Mh
    «Ti ho chiamato almeno dieci volte»
    «No, non l'hai fatto»
    «Si invece. Sei sordo?»
    Arci minimizzò quanto accaduto con un gesto della mano, ben conscio all'improvviso di quanto fosse appena successo. «C'è un sacco di rumore qui»
    Il chiacchiericcio nel piccolo pub bodiano era sì vivace, ma in verità non abbastanza forte da rendere difficile le chiacchiere. Il piano che suonava allegramente da in fondo la sala si fermò concluso il pezzo, seguito da un paio di applausi annoiati, e via con un'altra canzone questa volta cantata da una bella donna che venne accolta con ben più calore; Arci dedicò alla scena uno sguardo distratto prima di tornare con l'attenzione su Gwen, poco convinta dalla spiegazione del ragazzo. «Cosa mi stavi dicendo?» Aveva fretta di cambiare discorso.
    Sapeva, e non senza un certo panico, perchè non aveva risposto al richiamo di Gwen. Sapeva che la colpa non era della musica, o della sua distrazione. Sapeva di aver sentito perfettamente Gwen richiamare un Archibald. Sapeva di non essersi reso conto che stesse parlando di lui.
    Erano passati quattro mesi.
    Fino a qualche tempo prima gli era sempre sembrato che il tempo gli scivolasse addosso veloce, che i giorni gli sfuggissero di mano e non ci fossero mai abbastanza ore per fare tutto quello che voleva - se decideva di passare la notte a bere con i Catafratti, l'alba arrivata in quelli che sembravano dieci minuti; quando prendeva il tè con Lydia, le ore passavano senza che se ne accorgesse. A Bodie era diverso: nel 1918 le ventiquattr'ore di una giornata si trascinavano una dietro l'altra con una lentezza da togliergli il fiato; i pomeriggi, per quanto provasse a riempirli, non sembravano mai voler diventare sera, e le le notti in cui non lavorava al forno sembravano eterne, claustrofobiche. In quella quindicina di settimane (quasi c e n t o v e n t i g i o r n i) Arci aveva dovuto trovare un modo per andare avanti che non gli giocasse del tutto la sua sanità mentale o fisica, e se aveva pensato che trovarsi un lavoro, crearsi una routine, lo avrebbe aiutato a farlo, se aveva sperato che rifugiarsi in Danihel per sfuggire ad Archibald fosse un'idea geniale... beh, aveva sbagliato di grosso, soprattutto con la seconda.
    I primi giorni era stata una novità divertente; aveva preso le informazioni date loro da Lancaster, ne aveva fatto un gioco, si era creato un personaggio con mille sfaccettature... ma con l'andare del tempo Danihel aveva iniziato sempre più non a salvare Arci, ma a soffocarlo per prendere il sopravvento - cosa che l'ex serpeverde, dal canto suo, gli stava decisamente lasciando fare. Se Danihel era inizialmente una facciata creata per sopportare le giornate, stava diventando le giornate; da qualche minuto al giorno in cui Arci viveva fingendosi lui, a giorni interi in cui non pensava più alla propria vita prima di Bodie a Londra; da personaggio che veniva indossato solo di fronte ai Californiani per salvare le apparenze, a seconda pelle con cui ormai conviveva anche in solitudine. Non rispondere al proprio nome di battesimo era un esempio lampante di quanto si fosse rifugiato nel Simmons: non aveva date segni al richiamo di Gwen ("Gwen, non Mariel", si ripetette) perchè non aveva collegato il nome a se stesso.
    In qualche momento di lucidità, si rendeva conto di star impazzendo, di essere fuori di testa a comportarsi in quel modo, ma aveva ottimi motivi dalla sua parte per preferire di gran lunga la vita del Simmons che non la propria (almeno da quando Archibald si trovava costretto in California senza sapere cosa diavolo stesse accadendo, ovviamente, o senza idee su dove cercare un modo per tornare a casa). Danihel aveva una madre che non lo aveva abbandonato, era cresciuto con sua sorella, aveva amici; era un uomo buono, un eroe di guerra, era stimato dai suoi concittadini e guardato con ammirazione dai bambini. Danihel non era bloccato nel passato.
    D'altro lato tornare Arci dopo essersi cullato nel senso di sicurezza che gli dava Dan era davvero una merda. Più si trovava a suo agio nell'essere il proprio alter ego, più la realtà di Archibald lo colpiva come un pugno in faccia con tutti i suoi lati negativi, e più questo capitava, più vestiva i panni di Danihel in un circolo vizioso. Non era molto lontano dall'essere considerabile un drogato. Buttò giù quanto rimaneva del whisky. E dire che già era un alcolizzato. Senza spirito in corpo, gli pareva impossibile riuscire a superare la quotidianità.
    «...-quindi credo che dovremmo fare qualcosa. Coglierlo con le mani nel sacco, spaventarlo a morte, non lo so. Non possiamo mica lasciarci derubare così» Arci annuì guardando il fondo del bicchiere vuoto che si stava rigirando fra le dita; si era di nuovo perso parte del discorso (l'alcol non rendeva facile essere attento alla parlantina veloce dell'amica), ma per fortuna sapeva bene di cosa stesse parlando Gwen. Erano giorni che sospettavano qualcuno si intrufolasse in casa per spiluccare cibo e altri viveri dalla dispensa (e non Aidan, ragazzo dai gusti troppo raffinati per sgraffignare pane secco e biscotti avanzati).
    «Sì, credo anch'io» posò con un tonfo il bicchiere sul tavolo «Organizziamo il piano davanti ad un altro giro?»
    Non era strano che Arci bevesse tanto, nè che lo facesse alle cinque del pomeriggio con la scusa che quella sera non avrebbe dovuto lavorare e poteva sbronzarsi fino a star male; che non fosse sano (per il suo fegato, le sue finanze o la sua sanità mentale), è un altro discorso. Lui agiva così, da sempre: se aveva un problema, lo evitava finchè questo non spariva infine da solo. Avrebbe evitato di affrontare il problema di quella che poteva essere una strana forma di schizofrenia o disturbo della personalità, avrebbe evitato di pensare che era bloccato in quel buco di culo per l'eternità. Avrebbe evitato di pensare che aveva chiaramente bisogno di aiuto - e lo avrebbe fatto, perchè sapeva che nessuno poteva aiutarlo.
    Delle ore successive avrebbe ricordato poco o niente: flash casuali, risate a battute che non capiva, il bacio a una sconosciuta. Si era ubriacato molto e in fretta, e quando la mente iniziò a ripopolarsi di pensieri meno ingarbugliati o offuscati, la notte era calata da un pezzo e Gwen non era in vista; un neurone più sveglio degli altri suggerì al ragazzo che fosse andata da Barbie o Aidan o una donna da consolare del paese o da chicchessia, e che gli avesse detto come al solito di non fare cazzate o andarsene troppo in giro. Con una risata gutturale di pancia, un Arci leggermente fuori di sè pensò che anche volendo non avrebbe potuto andarsene da nessuna cazzo di parte, perchè era in un cazzo di deserto nel cazzo di millenovecentodiciotto, durante la cazzo di prima guerra mondiale. E più precisamente era- già. Dov'era?
    Stringendo gli occhi e con una smorfia, si tirò leggermente su per guardarsi attorno. Era in un vicolo scuro, coricato contro un muro, e un lampo di memoria su come fosse finito lì gli arrivò purtroppo solo quando la sua mano finì su dei cocci di vetro a terra. Con un grugnito si guardò il palmo tagliato (non malamente, ma in modo fastidioso), e si incanto a osservare il rivolo di sangue che stava fuoriuscendo dalla ferita. Se la memoria non lo ingannava (ed era del tutto possibile) ad un certo punto della serata aveva iniziato una lite con l'uomo più spesso che aveva trovato, sfidandolo a pugni (anche se in un qualche momento imprecisato doveva essere comparsa almeno una bottiglia di vetro, ora frantumata); non era finita bene per Arci, chiaramente, e il ragazzo sghignazzò da solo quasi istericamente, il corpo ancora abbandonato quasi completamente a terra. Era quasi felice di essersi fatto pestare; era una cosa così da Arci, soffocare il dolore mentale con quello fisico, che lo trovava dannatamente divertente: per quanto di giorno cercasse di essere Danihel (il ragazzo perfetto con la vita perfetta), da ubriaco non riusciva a fare a meno di essere se stesso, e il se stesso peggiore. Nell'ultimo paio d'anni aveva abbandonato quasi del tutto la propria tendenza autolesionista, ma leggermente euforico si rese conto che poteva sempre ricaderci, che poteva essergli d'aiuto per superare le giornate a Bodie.
    Man mano che i minuti scorrevano lenti, accompagnati dal fiato grosso di Archibald, il ragazzo si rendeva sempre più conto del dolore a intorpidirgli le ossa e la pelle, dei lividi che doveva essersi procurato. Non senza un sorriso alzò la mano pulita sulla guancia, sfiorando un taglio ancora caldo di sangue. Premette un po' più forte, esalando un respiro veloce per il dolore che per qualche secondo gli offuscò la mente. Avrebbe potuto passare così il resto della serata, l'alcol che lentamente veniva smaltito e una diversa forma di dipendenza fra le dita, ma dopo qualche tempo Arci si alzò - non senza difficoltà, una mano sul muro per sostenersi. "Ho bisogno di un bagno", pensò dal nulla "E di cibo; non necessariamente in questo ordine". Non era più del tutto ubriaco, ma non era neanche del tutto sobrio (sebbene fosse più vicino alla prima), e ben presto si rese conto di non essere in grado di camminare su due piedi senza cadere (che fosse dovuto solo all'alcol o ai lividi riportati nello scontro che non ricordava se non vagamente, non lo sapeva). Con un'illuminazione, si ricordò che poteva non camminare su due piedi, e chiusi gli occhi lasciò scivolare il proprio corpo via da sè, mettendolo da parte, mentre cercava di mutare forma in qualcosa di più piccolo, di più agile e snello. Era così abituato a trasfigurarsi nella sua forma animagus da sbronzo con i Catafratti, che non trovò neanche particolari difficoltà nel farlo.
    Il gatto nero riaprì gli occhi, una zampa davanti leggermente sollevata dove il ragazzo si era tagliato con il vetro rotto, e vagamente traballare e zoppicante si diresse verso casa Simmons sotto il cielo scuro. Un piccolo colpo fastidioso contro il manto lucido. "Cosa-" Due. Tre. Il gatto si voltò turbato verso colui che, senza apparente motivo, gli stava lanciando quelle che agli occhi di Arci erano delle pietroline. Come se non fosse bastato, il tipo in questione era l'amiketto di Aidan, quello con cui flirtava ogni volta.
    Ora. Se Archibald fosse stato sobrio, forse avrebbe lasciato correre; era una persona dallo scazzo facile, ma non era neanche così stupido da prendersela se un tizio gli tirava addosso cose mentre era in forma da gatto (sebbene lo avrebbe trovato in qualsiasi stato estremamente rude). Ma Arci non era sobrio, e di certo non era del tutto in sè.
    Con andata titubante, si avvicinò verso Swing. «Che cazzo vuoi» sbottò, solo che quello che uscì fu: «Meow» "Vaffanculo". Doveva fargli sapere a parole quello che provava. Il gatto soffiò tirando indietro le orecchie.
    Forse era ancora in modalità combattimento, forse non se ne era prese abbastanza e desiderava ancora essere malmenato a caso, forse gli dava fastidio la faccia del coreano e basta, sta di fatto che così, dopo aver tenuta segreta la propria forma animagus per un anno a quasi chiunque, Arci si ritrasformò in umano di fronte al ragazzo, le braccia aperte e uno sguardo di guerra. «Cerchi botte?» biascicò mentre l'adrenalina gli pompava in corpo per prepararlo ad un nuovo duello, ma appena si sbilanciò leggermente in avanti perse l'equilibrio, e non bastò il rendersene conto per restare in piedi. Senza grazia, l'uomo cadde con un gemito di dolore faccia a terra.


    scusa ?????? cos'ho scritto, non è italiano, non è sensato, puoi leggere solo la fine


    Edited by perfectly f u c k i n g civil - 25/4/2018, 02:10
     
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    C’era molto dietro quel sorriso, e Park Sehyung lo sapeva benissimo. Dietro tutte quella luce c’era dell’oscurità, un dogma che non poteva essere ignorato nemmeno dai più sciocchi, il motore che portava avanti la stessa esistenza umana. Luce e buio, giorno e notte, ragione e sentimento, felicità e tristezza. Ed era incredibile come ci si sentisse maledettamente a disagio, quando si scavava troppo a fondo nella propria mente e nel proprio flusso di emozioni. Talvolta era anche sfiancante, soprattutto se, come nel caso di Sehyung, tali stati psichici apparivano del tutto confusi e deformi, un continuo susseguirsi di nodi e spirali che non facevano altro che rendere il quadro generale di gran lunga più complesso e difficile da decifrare. A lungo aveva provato a capire cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato, e proprio quando pensava di averlo compreso, quel fragile pavimento di certezze si era frantumato in mille pezzi, lasciandolo in balia di un'insopportabile agonia.
    Non amava affidarsi al caso, non amava avanzare senza avere una qualche certezza, il che sembrava buffo dal momento che la sua mente produceva una quantità spropositata di ipotesi, ma perlomeno quest'ultime possedevano una degna base empirica. O, almeno, lui la giudicava tale. Eppure, una piccola parte di se stesso era convinto che non esistesse progetto senza utopia; d'altra parte, era proprio l'idealità a far sì che l'uomo non venisse schiacciato ed avesse la possibilità, al contempo, di costruire la realtà.
    E a quel punto, non poteva fare a meno di sentir ronzare le parole della madre all'interno della propria mente, unica figura del suo passato che lo stava fermando dall'impazzire in quella futura città fantasma; un'intera ode tracciata al fine di lodare un equilibrio che, seppur secondo Sehyung fosse amorale e privo di facoltà di pensiero, per la donna era come il motore immobile aristotelico, un'entità invisibile ma estremamente necessaria che l’aveva mossa quando ancora era in vita. Un po' come quel presunto Dio che stava seduto lì, sul suo trono di preghiere ed angeli al suo servizio che non avevano neppure la forza di ribellarsi. Probabilmente, lui negli ultimi tempi era divenuto proprio uno di loro. Era stanco, stremato di girare senza una meta; aveva come l'impressione di aver raggiunto il limite della sopportazione, il che era tutto dire. Un tempo, forse, si sarebbe fatto torturare piuttosto che chiedere aiuto, ma adesso le cose erano diverse. Lui era diverso; o, ancora meglio, sperava di diventare tale, di avviare quel processo che lo avrebbe portato o a migliorare o a peggiorare. Sarebbe comunque giunto ad un punto migliore rispetto a quello in cui si trovava in quel momento, ne era più che certo.
    Ma a chi avrebbe potuto chiedere? Era inutile, lo aveva compreso, così come aveva compreso quanto deleterio fosse anche solo tentare di solvere il puzzle della propria esistenza bagnandosi in quella lavanda che sapeva tanto di rimorso e nostalgia, mentre tutto il resto non faceva altro che andare avanti, e avanti, e avanti.
    Il suo sguardo era perso nell’oscurità di quella notte, sotto quel cielo senza stelle, estremamente plumbeo, come un peccatore all'interno di un universo costruito sulla base dei suoi stessi vizi. E mentre l’ultima nocciolina venne lanciata al mal capitato gatto che non sembrò affatto felice di essere infastidito dal coreano, percosso da quel filone di malinconia, i capelli si ritrovarono a cambiare colore, da quel caldo nocciola al più spento dei grigi; tristezza. Seppur nel mondo magico quel gesto poteva essere visto come qualcosa di comune, lì si sarebbe scavato la tomba con le sue stesse mani se qualcuno lo avrebbe visto; portò per istinto una mano tra le ciocche, cercando di prendere il controllo della situazione a suon di pensieri positivi e dialoghi con gli stessi capelli, del tipo “ehi capelli, so che avete cambiato colore ma…non è che potreste tornare normali??? No??? Nemmeno se vi faccio un trattamento alla barbabietola??? O AL MIELE??? No??? Okay…”. Era parecchio triste, la sua vita.
    Alzandosi dal muretto sul quale se ne era rimasto “beatamente” seduto dopo essere uscito da quel covo di Satana, Sehyung estraette dal taschino del gilet un orologio - che Run gli aveva regalato non appena aveva iniziato il suo lavoro da maggiordomo ( SOTTO PAGATO!!!! ) – per poter controllare quanto fosse effettivamente tardi. Fin troppo, capì. E se ne sarebbe volentieri tornato a casa se non fosse stato per un tonfo preceduto da una voce che arrivò alle orecchie di Swing come un suono ovattato, lontano, molto più simile ad una folata di vento che a un "Cerchi botte?".
    «Mamma, sei tu?» iniziò col dire seppur senza voltarsi dove, ignaramente per Swing, Arci giaceva a terra dopo essere caduto. «Ma costa sto dicendo, lei è…morta. Eppure mi sembrava di aver sentito la sua voce…sto impazzendo? Dammi un altro segno!» La sua schiena tremò, al solo udire l'eco di quel rantolio. Forse era quella la chiave di volta di tutta la questione, ma, in ogni caso, era opportuno procedere con tutta la discrezione possibile, e, soprattutto, pazientare. «Mamma, se mi stai ascoltando…ho qualcosa da dirti. Quello che sono adesso, per me, è un ragazzo che ha perso di vista il proprio obbiettivo e che non sa, al contempo, cosa fare al fine di ritrovarlo. Un ragazzo che pretende di avere il completo controllo sui propri sentimenti, ma che brancola nel buio.» Sospirò, lasciando che il peso dell'ossigeno smettesse di gravare sul suo petto. «Alle volte ho come l'impressione di non capirci più nulla; e non mi riferisco tanto a ciò che mi circonda, ma a me stesso. O, forse, non voglio capirci nulla. Vorrei mandare tutto al diavolo, tapparmi le orecchie e fingere di non sentire niente, forse più per paura che per altro. Però...» Si interruppe, e soltanto allora ritornò a respirare correttamente, come a voler ricercare una sorta di spinta che potesse aiutarlo a far uscire fuori le parole. «C'è anche un'altra parte di me che non ha voglia di arrendersi, che vuole provarci fino alla fine. E - e qui arrivo al suo quesito - vorrei trovarla, darle una possibilità.» Piegò la schiena in avanti, poggiando le mani all'altezza delle ginocchia. «Vorrei darmi una possibilità. Com'è giusto che sia. Sarà un processo indubbiamente lungo e difficile, a tratti anche estenuante; ma ho intenzione di provarci. E non pretendo, ovviamente, di uscire fuori da questa casino con la soluzione tra le mani; d'altra parte, non posso pretendere, dopo diciannove anni, di cambiare all'improvviso. Cosa ne pensi?»
    E solamente in quel momento il Park prese coraggio e si voltò, ritrovandosi davanti tutt’altra visione, non piacevole quanto quella del fantasma della madre ma…non era da buttare, dai. Il volto del coreano si tinse di un rosso porpora ancora più intenso di quello che divenne quello suoi capelli, accentuando così l’imbarazzo e la sorpresa che non fecero altro che far balbettare a Swing cose del tutto incomprensibili, mescolando parole in coreano, in inglese e un pizzico di giapponese per non farci mancare nulla. Non era esattamente quel che si poteva definire un animale sociale; anzi, se la vita gliel'avesse concesso, si sarebbe volentieri rannicchiato in un qualsiasi angolino solitario dell'Universo a meditare sul senso della vita, o, in alternativa, su quello che avrebbe dovuto fare nell'immediato futuro. Ma mai, e dico mai, Sehyung si sarebbe aspettato di ritrovarsi a chinarsi vicino al corpo di un ragazzo - nudo e visibilmente ubriaco – per prestargli soccorso. Era in quel modo che le vecchie generazioni si divertivano? « Hyung…stai daijobu? Volevo dire…stai very well? Bene? Sei un angelo del paradiso mandato da mia madre? » e sfilandosi impacciatamente il gilet di dosso per poterlo adagiare sulle spalle del mal capitato, il diciannovenne si sarebbe approcciato a scostare qualche ciocca castana dal suo volto per accettarsi dell’identità del ragazzo. « …Arci? Vieni, dai, ti aiuto a…come si dice in inglese? Bagnarti? Inzupparti? ALZARTI, TI AIUTO AD ALZARTI. Anche se non te lo meriteresti, ti sembra il caso di andartene in giro nudo? Questi kink potresti tenerli per te! » e pronunciando quelle parole, lo avrebbe aiutato ad alzarsi per portarlo a sedere sul muretto lì di fianco a loro. « Mi stai ascoltano? Devo parlare in gattese? Meow meow prr prr? »
    Che il loro rapporto fosse dei più indecifrabili era oramai cosa certa e, quella situazione, non aveva fatto altro che confermare quella teoria. Avete presente quella faccia familiare, quella persona tra i corridoi della scuola che vedete ogni mattina senza però averci mai scambiato mezza parola? Ecco, quelli erano Sehyung e Arci. Sporadicamente si era ritrovato anche a medicargli qualche ferita, al castello, dopo qualche lotta del maggiore ma, a parte quello, di lui sapeva ben poco.
    « Riesci a camminare un po’? Ti porto al caldo, qui si gela… »

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    Ok, era impazzito (rip cervello, doveva immaginarlo che troppe canne l'avrebbero portato a tale momento), e quello era il suo personale inferno: essere ubriaco a terra in una cittadina del far west con un ragazzino kinese che diceva cose senza senso, parlando platealmente da solo. Arci forse non capiva esattamente quello di cui stava parlando il ragazzo riconosciuto come Swing ma- gesù. Stava sicuramente avendo un'intera conversazione botta e risposta con se stesso, Arci poteva sentire l'intonazione della voce cambiare. In responso a quello che gli parve un quesito, con tanto di pausa, Arci cercò di gracchiare qualcosa, senza grandi risultati. Con la testa che gli girava provò a rialzarsi, almeno a sedere. "Mh. No. Non funziona." Ricadde, questa volta più composto e su un fianco - non faccia a terra, almeno; erano passi avanti. Senza riuscire a evitarselo iniziò a ridacchiare silenziosamente, puntando lo sguardo sulla schiena di Swing. Era una scena piuttosto comica, vista dall'esterno, ed era un peccato il Leroy si rendesse conto che entro un paio d'ore avrebbe scordato tutto.
    Arci approfittò del tempo del suo monologo da Amleto per tirarsi su, seduto a gambe larghe per terra, e solo in quel momento si rese conto di essere nudo.
    Mh.
    Si dimenticava sempre che quando si trasformava in gatto senza pensarci, si perdeva in giro i vestiti; chissà se erano in zona da qualche parte. Non che avesse particolari problemi a esporre al mondo il piccolo Arci, ma era vagamente... poco igienico? Doveva farsi una doccia, maledizione, e magari evitare così di contrarre la peste o prendersi un'infezione. Si dispiacque qualche secondo di aver lasciato la bacchetta a casa prima di uscire (avrebbe potuto appellare delle mutande!), e poi si ricordò che l'avrebbe persa se se la fosse portata al bar. Quindi... era felice? Sì??? Che difficile la vita.
    Finalmente, Swing si voltò verso di lui, e Arci riconobbe nel suo volto una smorfia di imbarazzo. «Awww sei timido» scherzò, la voce impastata dall'alcol e già dimentico del fatto che il coreano ci avesse messo qualcosa come mezz'ora per accorgersi di lui mezzo morto a terra e lo avesse deliziato con degli sproloqui assurdi. Così come aveva scordato in primo luogo perchè ce l'avesse avuta con lui, se doveva essere sincero, o cosa avesse voluto dirgli. C'entrava forse Aidan? «Non hai mai visto un uomo nudo? Cuoricino»
    Probabilmente Swing neanche aveva compreso le parole ingarbugliate di Arci, ma il suo aspetto livido e la puzza di alcol dovevano aver risvegliato un infermiere nel giovane poichè ora stava accovacciato sul panettiere, occhi ben puntati sopra la vita.
    «Hyung… stai daijobu?»
    «Sushi.» cosa? Non dovevano dire parole a caso imparate dagli anime? Shook, sarebbe stato così divertente!!! Ancora, Arci si fece sfuggire una mezza risata.
    «Volevo dire…stai very well? Bene? Sei un angelo del paradiso mandato da mia madre?»
    «Forse sono un angelo» concesse, confuso ma non particolarmente sorpreso. Anche Lucifero lo era, perchè non poteva essere pure lui? «Ma mandato da tua madre? Non... credo? Voleva farti fare sesso?» allargò le braccia, e si stupì non poco quando il ragazzino provò a coprirlo. Arricciò il naso quando Swing allungò una mano sul suo viso, ma lo fece fare, lasciando che le dita di Sehyung gli spostassero i capelli dalla faccia. «…Arci? Vieni, dai, ti aiuto a… come si dice in inglese? Bagnarti? Inzupparti?»
    «Mlmlml» wink wink
    «ALZARTI, TI AIUTO AD ALZARTI. Anche se non te lo meriteresti, ti sembra il caso di andartene in giro nudo? Questi kink potresti tenerli per te!»
    «Non sono un maniaco!» ribattè subito offeso. «Cioè , forse...» #birci «Ma non giro nudo, al massimo mi giro nudo. Cosa? Cosa. COMUNQUE! Non vado per strada senza vestiti. Di solito. Da sobrio» socchiuse gli occhi «In effetti, chissà perchè non lo faccio» sarebbe stato così più facile la vita se tutti avessero iniziato ad andare in giro senza vestiti! Avrebbero risparmiato sull'acqua per lavarli, e in Africa i bambini avrebbero avuto da bere.
    Si aggrappò al ragazzo quando iniziò a sollevarlo («ce la faccio da solo» spoiler: non ce la faceva), facendosi accompagnare buono buono verso il muretto, un titubante passo dopo l'altro.
    «Mi stai ascoltano? Devo parlare in gattese? Meow meow prr prr?»
    Ok, lo stava sfottendo? Era serio? La mente di Arci era troppo offuscata per capire. Che anche Swing fosse un animagus, e stesse cercando di comunicare con lui? «Non sto capendo» si giustificò. «Mi stai facendo le fusa? E' un rituale di accoppiamento?» si trasformava in gatto, ma le dinamiche della specie non gli erano ancora molto chiare.
    «Riesci a camminare un po’? Ti porto al caldo, qui si gela…»
    «Mmmmmmmmh» appoggiò la testa alla spalla del ragazzino, abbandonandosi completamente. Effettivamente, ora che lo diceva notava quanto facesse effettivamente freddo; l'alcol lo aveva tenuto al caldo, come ora le dita tiepide del coreano, ma era ancora inverno, ed era tardi. Iniziava a sentire il freddo nelle ossa, e si strinse in un abbraccio a Swing per cercare un po' di calore. «Non ero nudo, prima» improvvisamente, si ricordò cosa l'avesse portato a quella situazione, e alzò di scattò la testa, il viso a pochi centimetri da quello dell'altro «Prima che tu provassi a lapidarmi» il gesto violento della testa gli aveva dato una fitta di mal di testa e si riappoggiò al ragazzo, iniziando a ridacchiare. «E' divertente. Tu mi tiri pietre. Io ti mando a fanculo, tu mi salvi... ehi, hai un buon odore» così, dal nulla. Spostò il viso, il naso nell'incavo del collo del ragazzo, le labbra posate appena sulla pelle. «Non mi stupisce Aidan abbia un debole per te, e invece a me mi odi» già, perchè poi? Arci era un po' rude, ma Swing oltre a essere carino cosa aveva da offrirgli? Fiori fra i capelli e pomeriggi passati a commentare haiku? Non poteva dargli una casa, o una famiglia. Arci l'aveva invitato un sacco - un sacco - di volte a vivere a casa Simmons, e il Gallagher aveva sempre rifiutato; anzi, non passava neanche tutto il tempo che avrebbe potuto e dovuto con lui e Gwen, per qualche motivo, preferendo starsene per i fatti propri nella propria bettola nonostante fosse chiaro che la porta di casa Simmons fosse sempre aperta per lui (e non solo per rubar loro l'alcol). A volte Arci credeva fra loro esistesse qualche problema di comunicazione, e che forse Aidan non si sentisse voluto; ok, Arci non aveva mai detto "ehi, viene a vivere con noi!!" ma il messaggio era chiaro anche se poco esplicito.
    «Non riportarmi a casa» sbottò all'improvviso, allarmato. Preferiva Gwen (Aidan??) pensassero che avesse passato la notte fuori, magari con qualcuno, che non lercio a farsi picchiare. La mattina dopo avrebbe potuto spacciare le ferite per bondage (????) o per un merito geloso; quella sera, difficilmente sarebbe riuscito a inventare alcunchè che giustificassero i lividi, l'occhio che si faceva nero. «Portami da te e... magari lasciami fare una doccia. Giuro che non graffio» prese con le dita il braccio di Swing, stringendo i denti per il male e lasciandogli sulla camicia una striscia di sangue «Posso tornare gatto, se vuoi che sia più leggero»
     
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    Il buio li stava fagocitando vivi. L'attesa, invece, era in procinto di staccargli tutti gli arti, lasciando sul pavimento qualcosa che un tempo doveva essere stato il corpo dell’asiatico. E mentre l'alba sembrava farsi più vicina, il timore diveniva una costante sempre più concreta, palpabile, come se la luce potesse portare a galla tutto ciò che sarebbe dovuto perire quella stessa notte. C'era solo il respiro, pesante e irregolare, di Arci a scandire quei minuti che sembravano a dir poco interminabili, mentre il proprio corpo cercò di reggere anche il suo peso nonostante il maggiore continuasse ad affermare come ce la facesse a camminare da solo. Sentì il suo calore, per un attimo. Proprio lì, dove le proprie dita sfioravano la spalla del suo interlocutore come aveva già fatto un miliardo di volte con i pazienti nell’infermerie di Hogwarts, eppure adesso pure quel semplicissimo atto sembrava possedere una sfumatura del tutto diversa. Disperazione, avrebbe detto. Un tentativo spasmodico di ricercare una qualche sorta di appiglio e che forse aveva trovato nell’alcol, data la situazione in cui si era cacciato; lapidato nudo e poi salvato dal suo stesso aguzzino (sembrava quasi uno di quegli yaoi che leggeva di nascosto!1!1!!!). Voleva che sapesse che fosse lì, in qualche modo, almeno in quel momento, non tanto perché volesse qualcosa in cambio o perché si sentisse in dovere di farlo, ma proprio per l’istinto da crocerossina che lo aveva spinto a proporsi come infermiere; e poi, seppur non volesse ammetterlo nemmeno a se stesso, Arci sembrò quasi una versione di sé a Bodie, perso, infreddolito, spaesato. E per un momento lo scorse davvero, il suo sguardo. Quell’essere perso, come fosse un cerbiatto in fuga dai propri cacciatori, il che era a dir poco ironico se si considerava il fatto che fosse un gatto, e, quindi, che incarnasse un parente del predatore per eccellenza.
    « Forse sono un angelo. Ma mandato da tua madre? Non... credo? Voleva farti fare sesso? »
    «Archibald Dom Leroy Baudelaire» docile, ancora una volta, come solo il suono del suo nome poteva esserlo. Avrebbe voluto fosse una carezza in grado di debellare ogni turbamento, un raggio di sole dopo una giornata piovosa, ma suonò come uno scaricatore di porto pronto a sbattere un polpo contro uno scoglio; e no, sbattere non in senso così positivo «TI SEMBRA DANNATEMENTE IL CASO? Guarda che so il kung fu, eh! Non ho bisogno dello spray al peperoncino.» e Swing probabilmente nemmeno capì cosa volesse dire “sesso” in inglese, scambiandolo con qualcosa di molto più simile a “sassofono”??
    Quella situazione stava sfociando nell’assurdo e, per quanto a Sehyung potesse sembrare imbarazzante, quasi lo fece sorridere; sadico? Gioiva per la sofferenza di un povero micio? No, semplicemente si sentiva utile. Fare il maggiordomo, aveva scoperto in quegli ultimi mesi a Bodie, non era il mestiere che a lui si addiceva maggiormente: troppa polvere (lui era anche allergico!), troppi bodiotti che entravano ed uscivano dopo che aveva finito di lavare il pavimento, troppe forchette da lavare e, soprattutto, i water intasati dopo le indigestioni da barbabietole.
    «Ma non giro nudo, al massimo mi giro nudo. Cosa? Cosa. COMUNQUE! Non vado per strada senza vestiti. Di solito. Da sobrio»
    «Ehi, ehi, ehi, eeeeeehi, frena un po’!» sbatté ripetutamente le palpebre perché, per quanto potesse essere fluente in inglese, stava andando troppo veloce e Swing capì solamente metà del suo discorso «Sono felice che tu sia cosciente e che voglia girare qualcos’altro, non so dove, ma che dici di…rispondere a qualche domanda? Così controlliamo che io non ti abbia fatto nessun danno celebrare con i sassi» okay, ora iniziava un po’ di più a sentirsi in colpa, utilizzando la mano libera per poter scostare i capelli dalla sua fronte – ancora una volta – e controllare che non ci fossero graffi o ematomi. Okay, quella sera aveva capito che le noci potevano far male più del dovuto, MA NON QUANTO L’AMORE!!!!! «Piuttosto…da quando riesci a trasformarti in un animale? Sei nato con questa capacità? Non fraintendermi, non voglio essere offensivo, perché la trovo una cosa fighissima!» si indicò i propri di capelli, questa volta, facendo notare ad Arci come da un tenue castano avessero iniziato a cambiare colore, fermandosi ad un rosa antico «E…immagino che non lo sappiano in molti, quindi stai tranquillo, ho le labbra cucite! SE, E SOLO SE, SMETTI DI PUNZECCHIARMI IL FIANCO.» ingenuo, Swing, ingenuo ?? E a dire il vero cosa sperasse di ottenere da quella conversazione, in realtà, non lo sapeva neppure lui. Non era neppure sicuro che ci fosse uno scopo di fondo, una ragion d'essere che potesse essere erta a movente di quello scambio inusuale ed inaspettato. L’importante era non farlo morire congelato.
    «Non mi stupisce Aidan abbia un debole per te, e invece a me mi odi»
    Sehyung rimasi quasi pietrificato, non sapendo se fosse per l’abbraccio in sé o le parole che uscirono dalle labbra di Arci, ad un soffio dal proprio volto. Un insieme di fattori che portarono il coreano ad arricciare come suo solito la punta del naso, facendogli schiudere le labbra per pronunciare qualche frase di sorte, ma tutto quello che ne uscì fu solamente un sospiro che si trasformò in condensa. Cercando di non sciogliere quell’abbraccio avrebbe tentato di sfilarsi la giacca per poterla poggiare sulle spalle di Arci, non era molto (ma era un lavoro onesto) ma almeno lo avrebbe aiutato un pochino a ripararsi dal freddo. «Mi...dispiace? Non penso che mi adori così tanto come pensi, e nemmeno ti odia» disse mentre poggiò il mento sulla sua spalla mentre le mani iniziarono a vagare sulla sua schiena, sfiorandola in quelle che sarebbero dovute essere delle carezze per poterlo confortare. Che avrebbe dovuto dire? A volte sì, gli era capitato di essere fermato dal Gallagher e essere baciato, ma…non era così che funzionava in Inghilterra? Aveva davvero un debole per lui? «Hai provato a fargli le fusa? Magari così sente il tuo odore di erba gatta e gin tonic e conquisterai il suo cuore! Con me ci stai riuscendo...credo???» e cercò di sorridere nonostante lui non potesse vederlo, quasi potesse dargli un po’ di fiducia, cosa assai distante anche dallo stesso Park.
    «Portami da te e... magari lasciami fare una doccia. Giuro che non graffio»
    «Okay, andata, ma poi mi spiegherai perché non vuoi tornare a casa. Ci sono i nargilli? Guarda che ho tutte le skills al 100 quando si tratta di quei mostriciattoli!» quando lo sentì allontanarsi la mano libera del minore andò nuovamente a poggiarsi sul suo fianco così da sorreggerlo, annuendo alla domanda che arrivò pochi attimi dopo «Sì, magari riesco a tenerti più vicino e a riscaldarti un po’ di più. Te la senti?»



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    Le grida del ragazzo nelle orecchie per poco non ribaltarono il povero (e ubriaco) Leroy, che si portò all'orecchio la mano fino a quel momento intenta a palpare swing ciondolare lungo il fianco, una smorfia infastidita ma terribilmente allegra in faccia. Sembrava probabilmente uno psicopatico ma EHI, capita questo quando hai il volto sporco di sangue e ti fa male anche respirare - figuriamoci sorridere. Ridendo, soffiò: «il micetto ha messo gli artigli» Cosa? Il gatto era Arci e non il kinese? Vabbè dai, dettagli. Alla fine, Swing era un gattino nel gran piano della vita (??????????)
    ...che poi. Jeckie Chan conosceva nome, secondo nome, cognome, nuovo cognome di Arci, mentre lui ricordava a mala pena il nomignolo; che merdaccia di ragazzo, il Leroy - in cambio del suo salvataggio avrebbe dovuto provvedere e imparare il vero nome - anche in caratteri strani !!! - del tipello!
    .............. ovviamente scherzo, non l'avrebbe mai fatto #seyhungchi ma non è forse il pensiero che conta?
    «Piuttosto…da quando riesci a trasformarti in un animale? Sei nato con questa capacità? Non fraintendermi, non voglio essere offensivo, perché la trovo una cosa fighissima!»
    Grugnì per le troppe domande (si era già scordato la prima; cos'è che gli aveva chiesto? Se era un animale? In effetti, anche Bells era solita dargli della bestia, nel ventunesimo secolo - e a ragione), e continuando a camminare (*arrancare) seguì il dito del ragazzo fino ai suoi capelli. «Ooooh» allungò una mano verso un ciuffo rosa, tastandolo incuriosito. «mi sono sempre chiesta come fosse essere un metamorfomagus... puoi farti venire il cazzo della forma che vuoi? Tipo, a forma di pannocchia?» signori miei, c'erano delle priorità nella vita; le dimensioni potranno anche non contare, ma fate causa ad Arci se voleva sapere se il gioiellino del suo amiko kinese potesse diventare letteralmente un elicottero o cose simili (e se la risposta era sì, doveva assolutamente avere la propria pratica e vederlo in persona . )
    «comunque, sono diventato animagus qualche anno fa» arricciò il naso «o fra... qualche decennio» aggrottò le sopracciglia, chiedendosi quale fosse la giusta risposta; doveva contare il tempo in base al proprio corpo e i propri ricordi, o era un pensiero egocentrico e doveva contarlo in base al mondo che lo circondava ????? america explain. NEL DUBBIO: «ma ora non ho voglia di parlarne» e no, non perchè la matematica gli faceva venire il mal di testa, ma perchè l'animagia era sempre stata un segreto e una cosa fra sè e i suoi amici; l'avevano studiata insieme, e insieme avevano scoperto quale animale sarebbero diventati. Non aveva voglia di parlarne con Swing, il toy boy di aidan. Bells e Jeremy gli mancavano da morire ogni giorno, ogni ora; pensare a loro anche in quello stato avrebbe solo peggiorato le cose. «se non lo dici a nessuno, un'altra volta te lo racconto... e ti regalo una caramella» gli diede una spallata - visto che a quanto pare non voleva le coccole - e gli sorrise nuovamente, con quel ghigno un po' storto di chi ha il labbro spaccato e dolorante «wink wink»
    Quando il discorso andò su Aidan, Arci non potè fare a meno di ridere sguainatamente (per quanto il male alle costole glielo permettesse), rischiando di cadere trascinandosi a terra il ragazzo; si spalmò su di lui quando perse l'equilibrio, restandogli poi ancora più appiccicato di prima in quella posiziona storta e scomoda, per rubargli il calore corporeo. Santo cielo, Swing aveva un corpo così caldo e invitante.
    «mi odia» confermò sicuro «L'ho fatto venire io in questo buco di culo. A volte credo preferirebbe essere morto che stare qua» ridacchiò. Era comprensibile, ovviamente. Con voce strascicata, continuò: «Mi sopporta solo perchè lo scopo da Dio. È uno dei miei tanti talenti» #quali «se vuoi una dimostrazione, basta chiedere»
    «conquisterai il suo cuore! Con me ci stai riuscendo...credo???» se fossero stati uno di fronte all'altro (e arci non avesse sentito lo stomaco ribollirgli e la testa girare) l'ex serpeverde avrebbe dato una carezza al kinese, o gli avrebbe arruffato i capelli intenerito, ma visto che, ahimè, il suo corpo pareva starsi sciogliendo su di swing, riuscì appena a tirare su un braccio per dargli uno schiaffetto leggero sulla guancia. «ma che pulcino. ti porterei a casa con me, da tenere lì sul comodino» o da scoparsi fino al mattino #haiku
    Non capì assolutamente la frase sui narcosilli, si limitò ad annuire, e all'offerta del giovane sospirò di sollievo. Sarebbe stato molto più facile farsi portare in braccio, che non continuare ad arrancare in quella maniera storta, e il pelo l'avrebbe tenuto al caldo molto più dell'adorabile - ma inutile - gilè del ragazzino. «sei un bravo ragazzo, Swing», mormorò. Si staccò tenendo solo una mano sulla spalla del ragazzo, e ci mise qualche istante a trovare il proprio equilibrio. «un giorno ci sederemo a prendere un tè, e rideremo di questa serata» strinse la presa sulla sua spalla, incurvando gli angoli della bocca in un sorriso triste ma sincero.
    Chiuse gli occhi, lasciò alle propria membra la libertà di ritrasformarsi, immaginando le dita ritrarsi, il corpo rimpicciolirsi e farsi snello e flessibile, la pelliccia farsi carico del suo freddo come una vecchia amica. Non era mai troppo difficile trasformarsi, ed era una cosa di cui era sempre andato fiero; finalmente, qualcosa in cui eccelleva davvero, per cui sembrava portato... peccato fosse un talento del tutto inutile.
    Il gatto non riaprì gli occhi, acciambellandosi invece a terra, e prima di cadere in un sonno agitato Arci - già dimentico che da gatto Swing non lo poteva capire - cercò di miagolare al ragazzo un sincero ringraziamento. Con uno sbadiglio, si addormentò.
     
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5 replies since 2/3/2018, 22:47   374 views
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