no tears for the creature of the night

pearl x phobos -capanna

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. pe(a)r(l)fect
        +2    
     
    .

    User deleted


    they say you're a lonely soul with a heart of stone
    that rakes against your thirsty bones
    Pearl O'Sullivan | 1992's
    deatheater | animagus
    0.03.2018 | H 06.00 am
    gamekeeper
    04.12.2017 | h 07.40 pm
    Non aveva ben capito come e quando, ma improvvisamente Pearl era diventata la cosa più simile ad un consulente scolastico che gli studenti (ma anche i prof, eh) avevano. Certo, c'erano i magi-strizzacervelli a fare il loro dovere, ma c'erano cose che si potevano dire solo davanti ad una tazza dell'ottimo caffè dell'O'Sullivan, il vento a battere contro le finestre e il fuoco a scoppiettare rassicurante nella capanna. «cosa significa che è sparito di nuovo Arabells Dallaire era piombata con la furia di una tempesta nella sua capanna, impronte di neve sporcavano il tappetino all'ingresso della casa decisamente più ampia all'interno di quello che poteva sembrare da fuori. Era passato più di un anno da quando si era trasferita lì e senza accorgersene aveva reso quel posto sempre più suo, fino ad arrendersi e decidersi ad arredarlo con i mobili più economici che potette permettersi. Non guadagnava una fortuna per stare dietro a quei marmocchi, ma almeno aveva un tetto sopra la testa. «non è la prima volta che scompare così, senza lasciare traccia» raccontò la corvonero afferrando con le mani tremanti la tazza che la bionda le porse. Un'altra cosa che non capiva era cosa avesse di così speciale il suo caffè che portasse le persone a tranquillizzarsi. Non era quel tipo di persona, Pearl, quella che dava consigli e aiutava le persone, no, non era nel suo stile. Doveva ammettere, però, che sapeva ascoltare le persone, pur non sapendo mai cosa dire. Non ci provava nemmeno ad essere consolatrice, preferiva dire la verità nuda e cruda piuttosto che rendersi pateticamente comprensiva con quegli adolescenti. Avrebbe dovuto scambiare quattro parole con Shane Howe perchè non era possibile che la fila fuori dalla sua capanna e quella dello studio dello psicomago avessero quasi la stessa lunghezza. «lo sai come è fatto Arci, sarà da qualche parte a leggere i tarocchi a qualcuno per portarselo a letto» avrebbe voluto dire che stava scherzando ma i precedenti del serpeverde non avrebbero certamente aiutato a smentire quell'affermazione.
    «non è il solo, Pearl, sono sparite più persone dell'ultima volta» e quell'ultima volta sapevano tutti (o quasi) come erano finiti. Improvvisamente essere in una capanna non fu più così confortevole come lo era stato e giurò quasi di poter sentire ticchettare l'orologio di una bomba nascosta chissà dove. Non erano bei ricordi ma non poteva essere vero, non poteva succedere di nuovo. I Cacciatori erano morti, li avevano visti cadere a terra esanimi, loro stessi avevano sentito la vita scorrere via tra le loro mani. Erano sempre loro o il nemico, ma non poteva succedere di nuovo. Vide la minuta studentessa tremare, gli occhi puntati intensamente sulla tazza come se i fondi del caffè avrebbero potuto dirle qualcosa, come se quella bevanda fosse tutto ciò che le era rimasto, un ultimo appiglio prima di lasciarsi cadere. E infranse una di quelle regole che si era auto-imposta e che tutti rispettavano, una di quelle regole le quali le eccezioni era per persone speciali. Raggiunse la mano della Dallaire con la sua, la strinse tentando di infonderle sicurezza, che non le avrebbe mentito, mai, ma doveva pur dirle qualcosa «resisti, Bells, resisti ancora un po'» e in quel momento si odiò per non essere come la Winston, che sapeva sempre cosa dire, che lei ci sapeva fare con quei fottutissimi ragazzini. Un timido sorriso di cortesia si dipinse sul volto della catafratta, una magra ricompensa per lo sforzo della O'Sullivan, come le stelline "u tried" che il professor Handerson appiccicava su chi non riusciva a padroneggiare i poteri. Sapeva di non aver fatto molto, anzi quasi niente, ma sperò che alla diciassettenne bastasse qualcuno che stesse lì ad ascoltarla, che quando li aveva avuti lei diciassette anni sembravano tutti troppo impegnati per dar retta ad una giovane Pearl che aveva perso una sorella. Parole e sentimenti repressi che l'avevano portata a diventare quella giovane e burbera donna sempre avvolta in una giacca di pelle.

    06.12.2017 | h 08.00 am
    Quando Heather apparì alla sua porta con un giornale in mano e un'espressione funerea in volto Pearl temette per il peggio. Ma non avrebbe mai potuto immaginare quello che il MorsMordre narrava quel mattino. «pensavo volessi leggerlo, visto che non sei abbonata come qualsiasi altra persona normale» erano quel genere di commenti che ricordavano alla ex grifondoro perchè la cugina minore e Yvonne andassero così d'accordo «non ho intenzione di spendere nemmeno uno zellino per questi buffoni» borbottò facendo scorrere gli occhi sulle fitte righe del giornale saltando frasi intere. Dalle immagini sembrava una questione urgente, avrebbe riletto con più calma l'articolo quando non sarebbe stata fremente di curiosità. Beauxbatons... Ministro... distrutta... Lamovsky... traitori... Lancaster... tradimento... Van Lidova e non poteva crederci, che si era sbagliata, che aveva detto a Bells di resistere solo per vedere questo, rovine a coprire i cadaveri dei suoi amici. «hai del caffè? Ho saltato la colazione per venire qui» la Morrison si aggirava per il cucinino cercando la caraffa del caffè, che non mancava mai, sebbene la guardiacaccia le disse il contrario «è finito, torna al castello» gli occhi ancora puntati sul giornale, i bordi accartocciati nei palmi della strega che non voleva credere a quello che era successo. Non dubitava che fossero stati coinvolti adulti e ribelli... ma gli studenti? No, non poteva crederci. Sapeva come era Vasilov, lo aveva visto in azione, lasciando dietro di sè chi non riteneva degno di essere salvato. Lo aveva visto all'Aetas tirar fuori da un funerale una carneficina. Non aveva interesse per il prezzo che pagava per ogni sua azione, che finchè raggiungeva i suoi obbiettivi quel mondo poteva pure crollare sotto le sue prepotenze da bambino viziato. «sapevo che non sarebbe stata una buona idea consegnarti il giornale» la serpeverde doveva aver evidentemente trovato il caffè dal momento che ne stava sorseggiando una tazza con placida tranquillità, come se la caduta della sua scuola non la toccasse minimamente. «se... se vuoi parlare di Salem»
    «si si, Yvonne mi aveva detto che me lo avresti chiesto, okay baci!» e, senza dare il tempo alla guardiacaccia di capire cosa era successo, la cuginetta si era già richiusa la porta dietro le spalle, portandosi via la tazza ancora mezza piena. E rimase lì Pearl, il giornale stretto tra le mani quella mattina come tante altre passate, gli occhi a leggere per l'ennesima volta quelle frasi sentendo la propria impotenza nei confronti dell'accaduto. Non potè che pensare a quei soggetti che erano stati coinvolti nell'ultima missione e a come si erano sentiti a rivivere tutto d'accapo, tutto di nuovo. E non potè pensare alla sua gemella che aveva chiesto a Heather di darle il giornale, che le aveva detto di parlare con lei se ne avesse avuto bisogno. Eventulamente, dopo minuti o forse ore, la bionda trovò la forza di uscire da quello stato di trans in cui era stata catapultata.
    Indossò un'altra giacca di pelle e l'ennesima espressione burbera a difenderla come un finestrino oscurante.
    Chissà quante nocche avrebbero bussato alla sua porta dopo quelle notizie.

    03.03.2018 | h 00.25 am
    Nemmeno provò a dormire, ci aveva rinunciato mesi prima a quell'inutile spreco di energia. Fatica spesa nel vano tentativo di trovare un riposo che sapeva sarebbe giunto sempre troppo tardi, che era sempre troppo tardi per lei e con lei. Si versò uno shottino di Whisky Incendiario, rimo di una lunga serie, e si lasciò avvolgere dal bruciore che le percorse la gola, annebbiata dalla sensazione si cullò in quel momento finchè la saliva non placò le fiamme dell'alcol. Seduta al tavolo circolare della cucina c'era solo lei e la sua bottiglia, sempre diversa, sempre con un sapore diverso, ma mai insoddisfacente. Pensava, sperava, che la questione delle scuole ormai non la toccasse più, ma era proprio quando era più sola che le debolezze la colpivano. Nessun paio di occhiali con quale schermarsi da quei pensieri subdoli che come rampicanti mettevano radici nella sua testa. Il mattino dopo si sarebbe risvegliata sola come sempre, gli stessi pensieri e dolori a premere sulle tempie di una giovane donna che aveva dormito si e no un'ora. Era la sua routine notturna, che quando era fortunata era alla pallida luce della luna che spesso si ritrovava a svolgere davvero il suo lavoro, non che salvare kinesi albini da continui incidenti mortali fosse una passeggiata, ma non poteva nascondere che si era aspettata un poco di azione da quel lavoro. E invece quei marmocchi sembravano essere abbastanza bravi e coscienziosi da non cacciarsi nei guai, da non attirare mai l'attenzione delle creature che vivevano nascoste a pochi metri dal fitto confine della foresta. Li sentiva muoversi, il fruscio delle foglie e i rami a spezzarsi sotto quei passi che di umano non avevano nulla. Erano pochi centimetri a separarla da misteri che nemmeno lei avrebbe potuto immaginare, che forse non avrebbe mai visto, ma la speranza era l'ultima a morire. Mandando giù un altro bicchierino lanciò un'occhiata alle armi poggiate al muro: un fucile a canne mozze, la sua fidata lancia, coltelli e pistole varie e un moschetto regalatogli per natale dalla sorella gemella: poteva sembrare una normalissima arma, niente di particolare nel modello o nelle rifiniture, un comunissimo fucile se non per il semplice fatto che era usato per la caccia ai licantropi. I babbani avevano pensato per anni che un poco di argento avrebbe potuto far fuori quei bestioni disumani, senza rendersi conto che li avrebbero messi fuorigioco solo nei loro sogni. Ma alla guardiacaccia poteva tornare utile quel gioiellino, visti i numerosi studenti affetti da licantropia che la scuola accoglieva. E parlando del diavolo...
    Un lungo ululato ruppe il freddo silenzio di Marzo, che di primaverile non aveva proprio nulla. «Grazie al cielo» la strega scattò in piedi, giacca di pelle imbottita sulle spalle e stivali da neve per non affondare sul bianco tappeto che si stendeva sul prato. Non aveva mai visto un inverno così lungo e così freddo come quello, là in Scozia la neve sembrava non essersi mai fermata dal cadere rendendo quasi più piacevoli le gelide giornate di lavoro o di studio. Il moschetto in mano con già un proiettile in canna, il bianco manto scricchiolava ovattato sotto i passi cauti della bionda che, doveva ammetterlo, sentiva l'adrenalina della paura scorrerle nelle vene. Non era la prima volta che rincorreva uno studente così... particolare, ma per qualche motivo lo scenario della foresta innevata faceva sembrare quella situazione tutt'altro che piacevole. Tolse la sicura al fucile e lo portò all'altezza degli occhi, il dito impassibile sul grilletto pronto a far fuoco.
    La pallottola non avrebbe ucciso il lupo mannaro ma lo avrebbe tenuto a bada per tutta la notte evitando che uscisse dai confini della scuola, inoltre il mattino dopo sarebbe potuta andare in infermeria a controllare la sua vittima, che con un po' di speranza doveva essere ritornata umana. Ripensandoci non aveva davvero idea di chi potesse trattarsi dal momento che il Gallagher era... scomparso.
    La luce della luna era soffocata dalle nubi cariche di fiocchi, solo il Lumos della bacchetta stretta tra i denti avvolgeva Pearl di una luce celestina evitando di farla brancolare alla cieca nel bosco. Nonostante il freddo e il vento che si infiltrava fin nelle mutande, gocce di sudore imperlavano la fronte e appiccicarono la maglietta alla schiena umida. Se non l'avesse uccisa la creatura ci avrebbe pensato il raffreddore del giorno seguente. «andiamo cagnolino... who's a good boy?» sussurrò con ancora la bacchetta in bocca tentando di farsi ridere. L'aria carica del respiro suo e del lupo mannaro che sapeva essere vicino. Non appena aveva messo piede nel suo territorio l'animale l'aveva fiutata, erano le basi della caccia al licantropo, e nemmeno il buon senso avrebbe potuto frenare l'istinto di succulente carne umana. Se ne fosse uscita indenne, la volta successiva si sarebbe portata uno studente sacrificabile che non era davvero possibile fare da esca e pescatore allo stesso tempo.
    Un nuovo ululato la fece voltare, le fioche e piccole luci della capanna alle sue spalle furono oscurate da un'ombra che veloce passò da un albero all'altro e il primo proiettile si scontrò sul tronco di un pino, una pioggia di schegge e ricadere sulle impronte canine lasciate dalla preda.
    «spero che tu abbia preso la tua antilupo, signorino, o domani mattina verrai punito seriamente» disse a gran voce, il vento a trascinare via il suono di quelle parole mentre riponeva la bacchetta in tasca lasciando spuntare solo la punta luminosa fuori. Rapida caricò un'altra pallottola d'argento continuando a guardarsi attorno, le orecchie tese per captare qualsiasi traccia di un movimento non suo. Se lo studente aveva assunto la antilupo c'erano buone probabilità di non essere attaccata, in caso contrario, dopo la terza pallottola sarebbe corsa via di lì il prima possibile, sperando che il licantropo non la seguisse fino alla capanna. Era una misura di sicurezza che si era auto.imposta, così come molte delle sue altre regole, perchè solo le leggi che dettava lei erano degne di essere rispettate e, anche in quei casi, le eccezioni non mancavano. Ma quella notte non ci teneva affatto a rischiare una quarta pallottola, già la terza sembrava una follia quando la seconda era ancora in canna e la sua caccia non era nemmeno vicina alla fine. «madonna se non mi merito una vacanza» che adesso si pentiva seriamente di aver pregato per un poco di avventura, era troppo vecchia per quel tipo di lavoro e troppo giovane per morire: breve riassunto della vita di chi si avvicina ai trenta anni (altra cosa che ultimamente spaventava a dir poco a morte la ragazza).
    L'orecchio sentì il fruscio alla sua sinistra e ancor prima di chiedersi se fosse stato vero o solo immaginazione, l'esplosione della pallottola numero due risuonò nell'aria. Non capì se il colpo fosse andato a segno, ma non attese oltre e, non appena l'ultimo proiettile fu pronto per essere sparato premette il grilletto lì dove sperava si trovasse il lupo mannaro: «buonanotte, tesoruccio». E madonna se si mise a correre calciandosi la neve nei capelli ad ogni passo, il fucile stretto in una mano e la bacchetta nell'altra, pronta ad usare un qualsiasi incantesimo per non morire xk skste ma a lei piacevano solo i licantropi vegani.

    h 06.00
    Pearl si era addirittura concessa due ore di sonno, un meritato premio per la sua impresa che, a mezzanotte e mezza, avrebbe messo fuori gioco buona parte di coloro che ci avrebbero provato. Fatto sta che, per l'ennesima volta, il legno della porta risuonò del bussare di qualcuno, lì dove numerose nocche aveva iniziato a scalfire leggermente il materiale scavando una quasi impercettibile concavità. Erano quei piccoli dettagli della capanna che Pealr non poteva fare a meno di notare, come il tappeto del bagno dai bordi bruciacchiati su un lato o l'anta di un armadietto che scricchiolava meno delle altre o ancora quello sgabellino che aveva una gamba leggermente più corta, dove tutti i suoi ospiti ci si dondolavano inconsciamente, cullando qualsiasi pensiero facesse perdere il loro sguardo nel vuoto. Delle volte i ragazzini andavano da lei solo per stare lì in silenzio e Pearl semplicemente li ignorava, lì in un angolo a fari ordine da soli, che finchè non saltavano le lezioni e non toccavano le sue cose potevano rimanere quanto tempo volevano. Non riteneva la sua capanna un luogo sicuro o definibile casa, ma se qualcun altro lo preferiva ad altri angoli solitari di Hogwarts chi era lei per negarne l'accesso. Si alzò dalla poltrona sulla quale si era afflosciata due ore prima in una sonno profondo, un pigiama (nero) caldo e un burrito di coperte (nere) ed avvolgerla prima che si decidesse a smettere di ignorare chiunque volesse entrare in casa sua alle «sei del mattino?! Giuro che gli spacco il naso». Afferrò il più piccolo dei lenzuoli e se lo buttò sulle spalle prima di spalancare con rabbia la porta. La mano sospesa in aria busso un paio di volte sulla sua fronte fino a che il proprietario del suddetto pugno non si ritrovò il braccio torto da una mossa tanto rapida che nemmeno Pearl si capacitò di aver messo in pratica. Ma, non appena riconobbe lo sguardo sbigottito e la leggera smorfia di dolore, mollò la presa sull'arto del professore «santo cielo, professor Campbell, non poteva aspettare fino alle otto per venire a ritirare i suoi guantoni da pugile di pizzo?» quasi esasperata ritornò sulla poltrona, aspettandosi che l'uomo si accomodasse su una sedia del tavolo. Lì, in un angolo poco lontano dal camino le cui braci ardevano timide, giacevano vari scatoloni: materiali e consegne da dare ai professori che arrivavano alla sua porta. Su uno di quelli c'era scritto con un pennarello "Phobos Cappell" «hanno scritto male il suo cognome» lo avvisò massaggiandosi le tempie e indicando con un piede (che calzava un calzino nero) il pacco destinato all'insegnante di Corpo a Corpo. L'uomo sussurrò forse un buongiorno o comunque qualcosa che un terribile fischio nelle orecchie impedì di essere compreso dalla donna che si limitò a rispondere con un biascicato «certo certo...».
     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    484
    Spolliciometro
    +537

    Status
    Offline
    «an» il capo poggiato contro la porta di mogano, le palpebre calate sugli occhi verdi e stanchi. «je» tenace, Phobos Campbell, nel battere la fronte contro l’uscio sigillato a chiave. «li» dopo la trentaduesima volta che chiamava il nome della Queen bussando con il pugno aveva capito che non avrebbe aperto nessuno, ma non per questo si era arreso all’evidenza: non era il tipo di persona che si scoraggiava, il trentenne. Per questo era passato alla testa: si poteva dire che l’avesse fatto per semplice spossatezza, ed in parte era così, ma se qualcuno gli avesse chiesto cosa, per la barba di Merlino, stesse cercando di fare, avrebbe senza alcun dubbio risposto che sperava, in quel modo, di sfondare la porta a testate – aveva la capoccia dura, era un dato di fatto. «ka soffiò l’ultima sillaba in un moto di disperazione mentre sentiva le mani spinte sugli stipiti scivolare per la forza di gravità, e la voglia di accasciarsi a terra crescere in maniera esponenziale.
    Cristo santo, era l’unico oramai che non chiudeva la porta del proprio ufficio a chiave la notte, e che non applicava alla serratura un qualche mistico incantesimo bloccante atto a neutralizzare un innocente Alohomora? E dire che era lui, lì dentro, quello che avrebbe dovuto nascondere troppe cose e sigillare tutto a tripli mandati – invece, pareva davvero che solo le sue stanze fossero costantemente aperte al prossimo. Non c’era più religione, in quel posto.
    E a quanto sembrava, non c’era proprio più nessuno in giro per il castello di notte – qualcuno a cui chiedere qualcosa, o che gli facesse passare il tempo speso invano nei Sotterranei: persino gli studenti che non rispettavano il coprifuoco, troppo intimoriti dalla figura di Van Lidova, lo avevano tradito.
    «ti prego» biascicò, appoggiando la guancia contro la spessa porta ed abbandonandosi al suolo, scivolando come la mano appiccicosa di un bambino lanciata contro una parete liscia. Chiuse gli occhi, dando le spalle alla soglia e sbattendo la nuca contro d’essa un’ultima volta – forte, giusto in caso -, le gambe stese sul pavimento antico.
    Quello era un enorme problema, ed avrebbe dovuto dare ascolto a Keanu. Glielo aveva detto, il migliore amico, di non rimanere a scuola quel giorno, di andare alla Testa di Porco e brindare alla luna piena nell’unico modo che potevano, che tanto sapevano entrambi che da solo Phobos si sarebbe dimenticato di prendere l’ultima dose. Cosa che, come volevasi dimostrare, era accaduta: quando aveva alzato gli occhi dalle pergamene nel suo studio, realizzando di non aver ancora rigettato la poltiglia ch’era l’antilupo in un concerto di succhi gastrici e lamenti da dopo sbronza, era già – ed inevitabilmente – troppo tardi.
    Tristemente, non quel troppo tardi che poteva facilmente trasformare in una corsa sfrenata verso (l’infinito ed oltre!) i confini del perimetro scolastico, abbastanza lontani da permettergli di smaterializzarsi e raggiungere la casa del leader della Resistenza, trovarlo ancora sveglio e scroccargli un po’ di pozione. Quella volta, non si era dato una mossa due ore prima del plenilunio – ovviamente era già successo che non rispettasse le tabelle di marcia: era un ribelle!, non era solito seguire gli schemi.
    Quella volta, mancavano sì e no quindici minuti alla mezzanotte quando aveva preso a correre per la scuola come un velociraptor impazzito. «scott!?!?» spalancò immediatamente gli occhi, quando udì dei passi per il corridoio dell’aula di pozioni. Nella penombra delle fiaccole, il giovane Chipmunks sobbalzò colto sul fatto, un gridolino trattenuto in un mugugno ed il volto pallido a risplendere nel buio. «sai che ore sono?» evidentemente, l’urgenza del professore allarmò ancora di più il tassorosso, che prese a balbettare in preda al panico. «mancano… mh… due minuti a mezzanotte?» ah, bene.
    Phobos si alzò, un sorriso intriso di isteria a piegare le labbra nella direzione dello studente. Chinò appena il capo in un inchino di riverenza, le mani a premersi il petto. «grazie mille» rispose solamente, prima di schizzare via di lì alla velocità di Celeste Bronwin Dornette.
    «NON SONO NEI GUAI PROF?» perché mai. «DIECI PUNTI A TASSOROSSO!» rispose semplicemente, già pronto a spogliarsi in movimento una volta oltrepassato il doppio portone della Sala d’Ingresso.

    Rotolò sul fianco ancora in dormiveglia, piegando il braccio sotto la testa per afferrare il cuscino e portarlo più vicino alla faccia; scalciò con i piedi tentando di riassestare le coperte, sentendo che nella notte doveva aver avuto tremendamente caldo per scoprirsi del tutto.
    Soltanto che non giaceva su un materasso, Phobos Xavier Campbell, ed aprendo gli occhi di giada poté notare che quello era il manto innevato di una radura – nonché, di essere completamente nudo come mamma lo aveva messo al mondo.
    E che, no, quello non era un cuscino. «aaaw» mormorò estasiato, sistemandosi in posizione prona, i gomiti puntati al suolo ed il mento adagiato sulle mani a coppa – e per quanto quello scoiattolo barra cuscino sul quale s’era adagiato fosse davvero adorabile, si pentì di tutto quanto immediatamente, scattando in piedi e facendo scappare Tom (lo scoiattolo: sì, aveva già un nome). Tralasciando il fatto che immergere le proprie grazie tra la neve dimostrava in maniera lampante perché, vent’anni addietro, il Cappello Parlante non avesse nemmeno lontanamente preso in considerazione la casata di Corinna Corvonero, c’era un altro motivo per il quale il professore di combattimento reputò uno sbaglio madornale, quello di ribaltarsi.
    Sfiorò con le dita l’addome, passando cauto sui bordi frastagliati di quello che, a tutti gli effetti, risultava essere un foro di proiettile – e, spingendovi appena, avvertì che non era uscito dall’altra parte.
    Che bel modo, di svegliarsi la mattina.
    Ad ogni modo, non aveva nulla con sé: vestiti, bacchetta, caramelle di emergenza o canne preparate. Decise quindi di rimediare almeno ad uno dei problemi e, sebbene le priorità in casi come quelli fossero canne e caramelle per iniziare bene la giornata, faceva troppo freddo per restare senza indumenti addosso.
    «meh» - non suo figlio. L’ultima cosa che ricordava della sera precedente, era di aver gettato i propri abiti ai piedi di un salice sulle sponde del Lago Nero mentre fuggiva verso la Foresta Proibita.
    Doveva non aver considerato, nella fretta, che fosse inverno, e che i vestiti tendono a volare al minimo soffio di vento.
    Osservò malinconico la toga e i pantaloni scuri in balia dei tentacoli della Piovra Gigante, la camicia a galleggiare inerme insieme a mutande e pedalini. «fantastico» commentò, braccia strette al petto ed un principio d’ipotermia a farlo tremare da testa a piedi.
    Entrare al castello, in quel momento, era impensabile: se non gli studenti, di certo buona parte del personale scolastico era già in piedi e vigile. Non poteva certamente presentarsi nudo e con una pallottola nel ventre come se nulla fosse.
    Optò per il male minore, quando si diresse alla capanna del guardiacaccia di Hogwarts.
    Conosceva Pearl O’Sullivan quel tanto che bastava per immaginare che, se a quell’ora era già sveglia, doveva essere decisamente rincoglionita da sonno ed alcol della sera prima.

    «sei del mattino?! Giuro che gli spacco il naso» rude. Continuò a bussare insistente, più mosso dai tremori che dalla voglia di buttare giù la porta – cosa che, per inciso, non doveva essere così difficile come lo era stato provarci con l’aula di Pozioni. Non si arrestò nemmeno quando l’uscio si spalancò, ritrovandosi a colpire la testa bionda della ragazza. «ma che – ahia!» già detto quanto, quella giornata, fosse iniziata bene?
    Probabilmente no, perché non lo aveva fatto.
    Avrebbe voluto complimentarsi della presa feroce della strega, ma predilesse afferrarsi la mano dolorante e mugugnare in sottofondo. «uh, sono arrivati?» aveva una capacità di compartimentare le reazioni alle varie dinamiche della vita decisamente unica, Phobos: se l’istante prima soffriva di freddo e polso probabilmente slogato, quello immediatamente successivo già non sentiva più nulla, estasiato dalla notizia del pacco che aveva ordinato su WiZalando solo il giorno prima. Avanzò nella modesta abitazione della O’Sullivan, felice che questa fosse – come previsto – così intontita da non essersi resa conto delle condizioni del ribelle. «come hanno fatto a fallire così tanto?» però era buffo, Phobos Cappell. L’avrebbe riutilizzato prima o poi, ne era certo. Senza pensarci troppo, afferrò il pacco e lo mise davanti al proprio (mlml #cosa); si schiarì la voce, austero e rispettabile come avrebbe dovuto mostrarsi a lezione – cosa che non faceva mai. «buongiorno. avresti per caso qualche cosa da prestarmi?» chiese, schietto e senza troppi giri di parole. Meno perdeva tempo, meno moriva – e prima poteva fuggire dal Larrington o al San Mungo, per farsi estrarre la pallottola prima che facesse infezione. «certo certo…»
    Okay, bene. Attese, davanti la porta chiusa e facendo scivolare cauto lo sguardo sulle decorazioni vintage di quel capanno.
    Ed attese ancora. E ancora. «mh-mh» grattò nuovamente la trachea, richiamando l’attenzione dell’altra. «mi vanno bene anche un paio di coperte, o un tappeto» a mali estremi.
    phobos xavier campbell
    I don't wanna waste a minute
    But if I gotta waste a minute
    I'd spend the time tryna' get my vibe on track
    thirty | rebel scout
    hand-to-hand
    werewolf
     
    .
1 replies since 2/3/2018, 02:00   154 views
  Share  
.
Top