E all'improvviso ho così paura del buio, queste emozioni così confuse con la mia vita in gioco.

Sehyung & CJ

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    «Ho capito » iniziò con l’annuire distrattamente Adam Akers, lo sguardo socchiuso in due piccolissime fessure e le labbra allo stesso modo corrucciate in una piccola espressione di disappunto « non sono biondo, mh-mh. Te l’ho detto che non è stata colpa mia, no, ehi, ascoltami! E’ stato un nargillo: mentre io stavo pulendo come un bravo maggiordomo, è arrivato tutto saltellante dalla finestra e ha deciso di combinare questo casino. Ha detto che trovava quella statua troppo vintage. » concluse il coreano, andando a raccogliere i cocci da terra, testimoni dell’ennesimo soprammobile che aveva rotto cercando di spolverare la mensola sul camino. «Sì Run - - - Martina, Peppina, Fabrizia??? Esmeralda. AH SI’, MARTHAAAA. La casa resterà in ordine e sì, splenderà come i miei favolosi capelli, parola di maggiordomo ( non credo che i lupetti esistano in quest’epoca, o forse sì? ). Buon divertimento per questa sera! » iniziò con il dire il coreano prima che una lampadina si accese sulla sua testa, facendo cambiare il colore delle sue ciocche da un tenue rosa ad un giallo molto più acceso « E aspetta qui, torno subito, ho un regalo per te! » Mormorò pochi secondi dopo, e, se lei non avesse avuto niente da ribattere, si sarebbe allontanato, raggiungendo il fatidico stanzino in cui custodivano tutta la loro roba. Chiuse la porta a chiave quando entrò al suo interno, non voleva che qualche furbetto s'intrufolasse e mettesse mano sulla sua merce, e, qualche istante più tardi, giostrò con una delle buste di carta rigida presenti sugli scaffali. Conosceva a memoria la loro ubicazione, così come il loro contenuto, così non si stupì quando, frugando al suo interno, si ritrovò ad afferrare una piccola stellina fatta con delle foglie di barbabietole. Preso il necessario, insieme a qualche prodotto per la casa, uscì nuovamente dal suo regno, raggiungendo la ragazza e porgendole il piccolo la stellina. «Immagino tu sappia benissimo cosa farne.» Una frase pronunciata con voce atona, quasi indifferente; una semplice constatazione e quasi come se fosse un segreto di stato « U tried, hyung.» .
    E quando la padrona di casa lasciò la sua stessa abitazione, lasciando Adam Akers ai suoi pensieri, esso non fece altro che pensare a come avrebbero potuto dirgli che il mondo in quel momento peccasse di consistenza, e lui non avrebbe battuto ciglio. Aveva sempre creduto, invero, che ogni cosa, ogni singola cosa presente all'interno dell'universo, esistesse in virtù di un principio di utilità e riconoscenza che andava ben oltre l'umana comprensione. Aveva sempre creduto che ogni singola anima meritasse si essere trattata come se possedesse una dignità tutta propria, a prescindere da tutto; una massima che un tempo aveva messo da parte, convinto che il mondo tutto sommato fosse solo il regno di un'infamia mal gestita, ma che con il passare delle settimane, dei mesi, degli anni, era nuovamente riaffiorata all'interno della sua testa. Era come se non gli appartenesse, come se la sua presenza fosse soltanto una variabile effimera ed inaffidabile, e non la condizione reale e necessaria perché quell'ecosistema continuasse a girare. Probabilmente, la sua presenza o assenza non avrebbe compromesso le sorti di nessuno, una consapevolezza che un tempo l'avrebbe spinto ad infuriare contro il cielo che si estendeva sopra le loro teste, ma che con il tempo aveva assunto il sapore di una malinconia quasi amara. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò, qualcosa che non sarebbe stata in grado, da solo, di cogliere; eppure esisteva, e l'unica cosa che poteva fare, paradossalmente, era assecondarlo. Così come si era ritrovato ad assecondare la consapevolezza che nulla sarebbe stato più lo stesso e che, quel tatuaggio a marchiare la sua epidermide, era la prova che lui non fosse stato abbastanza per salvare tutti. Proprio lui, che il suo volere, i suoi desideri, aveva sempre proteso a metterli da parte in nome di un qualcosa di superiore, ciecamente convinto che fosse giusto additare gli aeroplani nella notte come stelle cadenti. E adesso, era solo una finzione. Lo era sempre stato, in fondo, solo che aveva fatto finta di non farci caso, di mettere a tacere quell'unico barlume di razionalità che l'aveva sempre spinto ad agire in maniera più libera, spontanea. Adesso, tutto stava andando in malora. Un tempo la cosa gli avrebbe provocato non pochi disagi, caparbio com'era a tenere su la propria maschera di apparente perfezione; adesso, invece, sentiva che qualcosa in essa si stava screpolando. Nonostante ciò, una volta sua sorella gli aveva detto che in Giappone, quando un oggetto di valore si rompeva, lo si riparava con oro liquido. Non per aumentarne il valore in termini monetari, non a fine speculativo; bensì perché erano convinti che un vaso rotto non potesse più tornare come prima, ma fosse in grado, in compenso, di divenire più bello di quanto già non lo fosse in origine. E così eccole lì, le cicatrici d'oro di un oggetto inanimato, un simulacro di ceramica privo di ragion d'essere, ma che in realtà possedeva l'egual valore di un corpo umano. Se fosse stato possibile applicare quel principio anche sulla figura di Swing, probabilmente questa sarebbe stata piena di linee auree, molto rassomiglianti a degli affluenti che, con foga, ricercavano il loro fiume principale; ma, in ogni caso, lui avrebbe sempre teso a nasconderle, semplicemente perché se ne vergognava. Provava ribrezzo nei confronti di se stesso, un odio silente, che strisciava come una serpe in attesa di strangolare la propria preda e che la osservava con machiavellismo, quasi si trattasse di una partita di scacchi.
    Sguardo verso il muro, le ginocchia puntellate a terra e qualche ciocca bionda a ricadergli sulla fronte mentre la lingua andò ad inumidire con meditata calma le labbra screpolate e doloranti. Ad accompagnare quel gesto vi furono le maniche della sua camicia arrotolate fin sopra i gomiti e il rumore dello straccio che venne passato sul pavimento della villa preceduto dal borbottare del coreano che, con la fronte imperlata dal sudore, rimpianse di essere nato. « 장미 들판에있는 사탕무가 손상 되었어. 그날 나는 그 침대에서 나를 짝사랑하지 않았기 때문에?! » “Mannaggia alla barbabietola nel campo di rose, perché quel giorno non mi sono fatto schiacciare anche io da quel letto?!”, già, perché non lo aveva fatto?
    Un caldo respiro lasciò le sue labbra rosee prima che potesse passarsi il polso sulla fronte e dunque a scostarsi qualche ciocca di capelli, i suoi bellissimi capelli, appiccicati all’epidermide. Avrebbe continuato a lamentarsi, Sehyung, fino a quando la sua attenzione non venne colta da un tonfo che colpì la porta d’ingresso; il collo venne teso per cogliere ogni movimento, ogni possibile sussurro, nonostante i suoi occhi fossero assenti a guardare il proprio riflesso nel pavimento appena lavato. Si alzò per poter prendere una bottiglia di sambuca lasciata qualche giorno prima da Shia e, con fare annoiato, il coreano tentò di raggiungere l’androne senza cadere miseramente. Le dita della mano libera vennero tese verso la maniglia della porta per poterla girarla e aprirla appena.
    « Shia, quante volte devo dirti che non può venire qui a riempire di povertà questa casa come se nulla fosse? Io mi impegno a --- guarda che sono armato, stai attento. Non ho paura di usare questo coso fatto di barbabietola. » e spalancò la porta, brandendo la bottiglia di vetro come se fosse un cavaliere dalla splendente armatura « CJ?! ACCIPICCHIOLINA. » e gli chiuse la porta in faccia, lanciando la scopa in aria per andare a nascondersi dietro una delle colonne della casa. Quel ragazzo lo spaventava, okay?
    Fine, elegante, totalmente normale: Park Sehyung.
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    «non so come abbia potuto andarci sotto» CJ strinse i denti attorno alla pipa scura, distratto sguardo acquamarina a posarsi sulla nuca ramata di BJ. Con la mano destra, spinse l’ormai affezionata coppola sulla fronte, aria e tabacco mal masticati fra i denti. «che ne sai,» commentò assorto, reclinando il capo sulla parete di legno dello stanzino. I pollici incastrati nelle bretelle nere, un piede contro il muro. L’odore di quel posto era confortante e stranamente familiare, in quel mescolarsi omogeneo di fieno, cuoio e fumo – di entrambi i generi. BJ Reynolds era chinato su qualcosa del quale a CJ, chiaramente, non poteva fottere di meno, ed il Tassorosso era impegnato nella sua attività preferita: irritare suo fratello. Non sapeva neanche da quanto tempo fossero nel piccolo capanno all’interno dell’abusivo ippodromo poco fuori Bodie, né perché, effettivamente, fossero lì: CJ faceva già la sua parte all’interno della famiglia risparmiando giornalmente la vita, e con loro immenso piacere le palle, dei suoi coinquilini slash parenti, perché occuparsi anche volontariamente del maneggio di Myles Shaw? Di fatti, non lo faceva.
    Ma BJ si divertiva con poco. Doveva essere uno di quei passatempi da ricchi, tipo fare foto con i bambini di colore e postarle sui social con qualche messaggio del cazzo sull’importanza di ogni minoranza, e come queste dovessero essere preservate – un discorso che di suo grondava razzismo ad ogni virgola, ma lungi dal Knowles fare polemica. «magari preferisce stare sopra» riflettè annoiato ad alta voce, biascicando le parole con la lentezza che il far west meritava. Avrebbero potuto affrontare decine – ma che dico, migliaia - di conversazioni intelligenti, BJ e CJ. Avrebbero potuto cercare di appianare i problemi che in passato li avevano divisi, avrebbero potuto cercare un modo per recuperare quei due minchioni di Sunday e Barrow. Avrebbero potuto scambiarsi konfidenze sulle loro famiglie ospitanti del 1918. Avrebbe potuto, CJ, sputare quel macigno che percepiva nei polmoni ad ogni respiro – quel nome che, testardo, si infilava in ogni cosa: perché credi che nostra sorella non sia qui? Od avrebbe potuto, l’ormai ex Tassorosso, vomitare le farfalle decadenti che masticavano la carne decomposta dall’interno, quel problema, un tempo impresso a fuoco sulla pelle, con due meravigliosi occhi azzurri ed un attitudine di merda.
    Invece. «in che senso» Riportò lo sguardo sul fratello quando sentì le iridi scure di lui su di sé, sopracciglia corrugate da entrambe le parti. «cosa in che senso» «sopra?» CJ annuì, una boccata tossica di pipa a bruciare la gola. «sì, sopra, bj. Sopra.» «ma sopra dove?» Oh, buon Dio. Davvero toccava a lui fare il discorsetto a suo fratello? Sperava che oramai a furia di siti porno fosse più acculturato. «allora blowjob, la sai la storia dell’ape e del fiore?» Sorrise a metà, la coppola ad adombrare lo sguardo maliziato. «cigei, ma di che cazzo stai parlando?» Era sempre stato un ragazzo letterale, CJ Knowles – quelle brave razze che decidevano di semplificarsi la vita rispondendo all’ovvietà altrui. Piegò la testa sulla propria spalla, un sopracciglio arcuato verso BJ. «quello di sin» Invidiò la mano con il quale il Reynolds si picchiò la fronte – ah, quanto avrebbe voluto fosse il proprio palmo a colpirlo, a quel punto della (vita) conversazione. «e di come belladonna preferisca stare sopra.» concluse ovvio, un’occhiata intenzionale al Serpeverde. Perché, di cos’altro avrebbe dovuto star parlando?
    «cigei…no» se avesse avuto un penny per tutte le volte in cui quella frase gli era stata ripetuta, sarebbe stato un De Thirteenth. «cristo santo, non era quello che intendevo» ah no? «intendevo – lascia stare. Possiamo non parlare della vita sessuale di /zio sin/? Non voglio sapere» Come non voleva sapere. Se non si interessavano loro degli amplessi di parenti che fino a due giorni prima (all’incirca letteralmente) non sapevano di avere, chi l’avrebbe fatto? Ed al Knowles certamente non interessava sapere se l’Hansen preferisse la fantasia scozzese o i pois sul sedile della sua sedia a rotelle, lui era maggiormente interessato a «probabilmente lui neanche si muove» sarebbe stato ipocrita dire che non si fosse mai posto domande del genere; lui e Sandy passavano ore a riflettere su come fossero possibili i rapporti sessuali fra Brooke Logan ed Eric Forrester, ipotizzando eventuale posizioni del kamasutra che avrebbero evitato al vecchio i prevedibili dolori alla sciatica.
    Era il modo di CJ Knowles di affrontare la questione 2043 senza fottutamente perderci il cervello.
    «possiamo cambiare argomento?» In momenti del genere, quelli più stupidi, sentiva la mancanza del De Thirteenth come qualcosa di fisico – nello specifico a premere sulle costole, salendo poi alla testa come un fottuto montante ben assestato. Il Tassorosso parlava poco o lo faceva troppo, e mai quel troppo andava a sondare la vera questione: ci girava attorno, la punzecchiava, la osservava analitico attendendo una reazione senza offrire alcuno stimolo. Apriva bocca per ascoltare il suono della propria voce, per alleggerire una testa rasata che di pensieri ne aveva fatto un abuso endovena.
    La maggior parte delle volte, si trattava di chiacchiere vuote a concreto rendere – letteralmente, concreto. Già detto che il suo passatempo preferito fosse spingere i suoi interlocutori sull’orlo dell’esasperazione, per poi tranciare il limite tollerabile spingendoli nel dirupo? No?
    Beh. «abbiamo un sacco di parenti» accennò languido, assottigliando le palpebre nel passare la pipa da una mano all’altra. «una discussioni che non riguardi il sesso?» CJ chiuse gli occhi, sospirò drammatico il proprio malessere. Perché doveva sempre rendere tutto così difficile? Il solo volerlo evitare rendeva il topic più volgare di quanto effettivamente non fosse, quasi non si trattasse di pratiche naturali – una perversione, e non nell’accezione che quel termine avrebbe dovuto, linguisticamente, avere. Una delle tante parole che il linguaggio aveva sporcato, rendendola nefanda e torbida sulla lingua. «okay,» concesse, umettandosi il labbro inferiore. E dire che a quel punto BJ Reynolds avrebbe dovuto saperlo che con CJ bisognava essere maledettamente più specifici. «vuoi sapere se secondo me maddox ingoia?» Un sorriso morbido, quello del Knowles. «preferirei un calcio nei denti» Un bravo ragazzo, Christopher, sempre pronto ad esaudire i sogni nel cassetto di suo fratello – era così che funzionavano le famiglie, giusto? Prima che potesse rendersene conto, la suola dello scarponcino stava impattando violenta contro il mento di BJ, la testa di lui a scattare sorpresa.
    Oh,«bastava dire di no» «ah, fuck. I can’t believe you done this» un ringhio basso ed offeso, una mano a stringere la mascella ed a sporcarsi del sangue proveniente dalla bocca. Prima che CJ potesse stringersi nelle spalle, il Reynolds gli era già addosso. Neanche cercò di difendersi, limitandosi ad attutire il colpo contro il muro alle proprie spalle quando l’altro lo placcò. Il Serpeverde era più basso di CJ, ma era il doppio più spesso di lui – esile, anche se mai delicato, CJ lo era stato sempre – quindi, quando lo prese in pieno al petto, i polmoni del Knowles si svuotarono come gli scaffali del market durante il Black Friday. «stronzo» usando la parete di legno come base di appoggio, il Tasso ricambiò la spinta del fratello cercando di allontanarlo, guadagnando un metro prezioso nel quale potersi muovere più liberamente. «sempre» concesse prima dell’affondo, scagliandosi contro di lui.
    Quello che non aveva previsto, era che la parete dello stanzino fosse fatta di sputi e poca voglia di vivere – certamente non creata con l’intento di reggere il peso dei bicigini nel pieno del loro abituale rito di fratellanza e sempiterno amore. Sentì il legno stridere, un boato sordo a ferire le orecchie mentre le schegge graffiavano superficialmente la pelle esposta di braccia e collo. Ruzzolarono al suolo, le mani di CJ già strette attorno alle spalle del Reynolds per tenerlo inchiodato a terra – e probabilmente avrebbero continuato a colpirsi finchè uno dei due (BJ.) non avesse dichiarato tregua, se solo.
    Se solo.
    «attenti – BARROW, NO» anche quella frase aveva il vago sentore del déjà-vu, impastando lingua e pensieri; fu quel Barrow inaspettato a far sollevare lo sguardo color giada del Knowles, il quale si ritrovò a fissare gli zoccoli sporchi di fango del cavallo adottato recentemente da Myles (e battezzato Barrow dai freaks: anche lui correva per la patata, la differenza era che solo uno dei due Barry alla fine riusciva a mangiarla davvero #ihih). L’animale s’impennò nitrendo agitato, scagliando la sua cavallerizza (comprata al mercato nero, chiaramente; già assurdo fosse una donna a cavalcare, di quei tempi. Si vedeva fosse povera perché non indossava il cappello tipico dei cowboy) sulla pista dell’ippodromo e decidendo, preso da una furia inconsueta, che fosse un’ottima idea… «merda»
    Scappare.
    CJ Knowles aveva ancora un ginocchio conficcato nello stomaco di BJ, il pugno abbandonato a mezz’aria e la mano sinistra stretta attorno alla camicia del Reynolds. Abbassò gli occhi su di lui, bocca dischiusa a deglutire aria e sangue. «merda» ripetè con più sentimento, allentando la presa e lasciandosi scivolare al suolo al fianco del fratello. Non… Non aveva neanche avuto tempo di pensare di agire, troppo allibito dal fatto che i cavalli avessero narici davvero enormi, da quella distanza. Avevano… avevano perso Barrow. Di nuovo. Beh, un nome una garanzia, oh. «signorina, sta ben-» Inspirò dalle narici abbandonando un braccio sulla bocca, l’altro allungato sopra il busto di BJ prima che potesse rialzarsi. «non guardare» mugugnò, socchiudendo appena le palpebre. «ed a meno che non sia Regan Teresa MacNeil, meh» un’occhiata liquida verso il collo visibilmente spezzato della donna, lo sguardo a soffermarsi sulla posa innaturale della testa. «probabilmente no.»
    E questa è la breve storia di come CJ Knowles e BJ Reynolds, in un tediato pomeriggio a Bodie (California), uccisero un’equestre. Fine.

    Quasi, fine – sarebbe stato trpp bello fingere di non essere neanche stati presenti, quindi si erano equamente divisi i compiti. BJ si sarebbe occupato di sostituire il fantino deceduto alla gara dell’indomani, considerando che erano l’unico (tsk, ricchi.) in grado di cavalcare; Sersha e Joey avrebbero sotterrato il cadavere.
    A CJ Knowles l’ingrato compito di recuperare Barrow. «platinato del cazzo» grugnì, sputando un grumo di saliva e sangue sulla nuda terra californiana. Non era una novità vederlo girare per quelle strade sporco di cremisi e polvere, quindi nessuno badò particolarmente alla sua indesiderata presenza – o meglio, finsero di non vederlo: padre Shaw aveva detto loro di non guardare, quindi le brave pecore del pastore non guardavano. Doveva essere bella, la vita dei credenti. Si ritrovò a ciondolare fuori dalla magione delle Fay, labbro stretto fra i denti e sigaretta incastrata pigra dietro l’orecchio. Odiava chiedere aiuto, ma sapeva anche di non essere in grado di recuperare un imbizzarrito cavallo del cazzo: a Darden quelle bestie piacevano, giusto? Avevano affinità, CJ certe cose le percepiva – e poi diciamocelo, quando non andava in giro a salvare casi umani, Logan Fay non aveva davvero un cazzo da fare. Perfino magnanimo nell’offrirle un passatempo, uh? Bussò seccato alla porta, una muta preghiera al Signore perché ad aprirgli la porta non fosse Run: doveva già sorbirsi papà, anche mamma iniziava a diventare inquietante e davvero non richiesto. «shia, quante volte devo dirti che non può venire qui a riempire di povertà questa casa come se nulla fosse? Io mi impegno a --- guarda che sono armato, stai attento. Non ho paura di usare questo coso fatto di barbabietola. » Ma cosa cazzo – aggrottò le sopracciglia quando Swing fece capolino dall’uscio, testa piegata leggermente contro la propria spalla. «ritenta» un sorriso lento e sghembo a curvare indolente un angolo della bocca. « CJ?! ACCIPICCHIOLINA. » Impassibile, il Knowles, quando il Park gli sbattè la porta in faccia. Alzò gli occhi al cielo, sospirò affranto. Fra tutti i bravi kinesi in circolazione, perché quel disadattato del Corvonero? Inutile dire che il Knowles si era sempre divertito a bullizzarlo amichevolmente – e che tale bullismo venisse preso un po’ troppo sul serio dal thai: okay, talvolta girava con motoseghe o mazze da baseball, ma non significava che le avrebbe usate contro di lui? Che giovane suscettibile. Scosse la testa, prese il coltellino nascosto nei calzini (ormai dovreste saperlo che senza almeno un’arma, CJ non si faceva manco la doccia) ed abile come solo un CJ Knowles, forzò la serratura così facilmente da togliersi ogni divertimento: nel Far West non avevano davvero idea di cosa fosse la sicurezza. Poggiò la spalla alla cornice della porta, caviglie incrociate ed un paio di seri occhi verdi a cercare quelli del Corvonero. «buh» lanciò il coltellino contro il muro troppo distante da Swing perché potesse essere una minaccia – almeno secondo i personali standard di CJ. Sorrise divertito, le iridi a brillare di malizia. «ehi swing. come te la cavi con i cavalli?» prese la sigaretta da dietro l’orecchio, infilandola fra i denti senza smettere di sorridere. «ti porto all’avventura.» davvero promettente come inizio, CJ. Davvero promettente.
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    Edited by later‚ sluts - 6/2/2019, 23:26
     
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    Quanto tempo era passato da quando erano arrivati nel 1918?
    L’unica cosa di cui era a conoscenza era il fatto che il buio lo stese fagocitando vivo. L'attesa, invece, era in procinto di staccargli tutti gli arti, lasciando sul pavimento qualcosa che un tempo doveva essere stato il suo corpo. E mentre la certezza di tornare a casa scivolava via, il timore diveniva una costante sempre più concreta, palpabile, portandolo a soffocare nella sua stessa mente. Quanto, esattamente, era arduo perfino respirare, adesso?
    Sentiva i polmoni accartocciarsi su loro stessi, la trachea stringersi, eppure non provava neanche a boccheggiare, quasi come se perfino Sehyung stesso avesse deciso di abbandonarsi, lasciarsi da solo, malgrado in quel momento sentisse perfino la mancanza delle braccia di sua madre che la stringevano con forza, come ad infondergli una sicurezza che in realtà non possedeva. Adesso capiva perché tutti si ostinassero a proteggerlo, adesso capiva perché tutti la vedessero come un bambino. Perché lo era. Lo era, diamine, e lui era stata così ottusa da negarlo, da desiderare soltanto di fingersi grande salvo poi finire ancora più in basso. Si sentiva ridicolo, incapace di fare nient'altro che non fosse pensare a dove fossero tutti quanti, se stessero bene, cosa avrebbe potuto fare qualora la situazione fosse degenerata, e si sentì peggio quando appurò di non avere neanche una dannata risposta, che fosse o meno superficiale non importava. Gli sarebbe bastato semplicemente qualcosa a cui aggrapparsi, un appiglio che potesse perlomeno dargli la speranza di avere un minimo la situazione sotto controllo, e invece no. Aspettava. Come al solito. Come quando si era detto che se fosse stato paziente allora la situazione avrebbe preso una piega migliore. Non era accaduto, alla fine, e si sentiva un po' come un bambino che scopriva che le favole in realtà non esistevano, che il lieto fine era solo un'utopia e che il tempo, in fin dei conti, non curasse tutte le ferite; al contrario, si ritrovava a scavare al loro interno e a crearne di nuove.
    Si ridestò soltanto nel momento in cui udì il rumore della porta venir scassinata, un sentore che poteva presagire solamente una cosa: la sua morta. Portandolo ad entrare nel più totale panico ed i capelli a cambiare, da un pallido rosa, ad un acceso blu scuro, sinonimo di paura, Swing si guardò intorno alla ricerca di un’arma – che ovviamente non avrebbe mai usato ma, come aveva imparato su un documentario sugli orsi, doveva sembrare molto più grane e minaccioso – optò per un candelabro lì vicino, bello luccicante a e s t h e t i c come piaceva a lui. «Non è che potresti almeno toglierti le scarpe prima di entrare? Capisco il voler scassinare la porta ma…non ci sono tè e biscotti per le persone maleducate!» e prima che potesse continuare la sua lezione di bon ton, o qualsiasi cosa fosse, Cj riuscì ad entrare, scagliando il coltello contro la parete, portando i capelli del ragazzo a diventare una palla di discoteca e, un attimo dopo, una di quelle lampade con la lava dentro. Il coreano sussultò, portandosi ad accovacciarsi a terra, le mani sulla testa ed il candelabro che venne lanciato con una mira tremenda contro il minore, finendo fuori dalla porta senza sfiorarlo minimamente. Nemmeno la sorte voleva essere dalla sua porte. «ehi swing. come te la cavi con i cavalli? (…) ti porto all’avventura.» Ed alzò il capo solamente quando la voce del tassorosso arrivò alle sue orecchie, lasciando che un sospiro venisse soffocato sotto la punta della lingua, lasciandogli il tempo materiale di poter riflettere prima di rispondere: «…non vuoi uccidermi, quindi?» okay, erano passi avanti e poté rilassare i muscoli, portando una mano sul divanetto lì vicino per aiutarsi con l’alzarsi, con un rumoroso “ohissa”, « Avventura, ci sto.»

    Nessuno glielo aveva chiesto. Solo se stesso, lui che si sentiva sempre più stretto nei vestiti da maggiordomo che indossava fino a sentirsi soffocare, il kinese dagli occhi da cerbiatto e le labbra sempre a formare un sorriso timido nonostante la situazione potesse essere delle più difficile, i modi pacati e composti, solo lui, solo Sehyung si era chiesto di reagire a tutto ciò, di non essere più un peso per gli altri. Lo aveva visto in America prima di essere sbalzato nel passato, di cosa fosse capace e di come, i suoi compagni di squadra, fossero totalmente ad un altro livello rispetto al suo: a stento era riuscito a brandire la sua spada per poterli difendere, di come fosse entrato nel panico dopo aver colpito un suo nemico e di come, alla fine, ne aveva strappato la vita. E quei pensieri tornavano in modo ricorrente, giorno dopo giorno, l’odore del sangue e la sensazione dello stesso a macchiargli le falangi ed i vestiti, fino a farlo vomitare. Sehyung non voleva essere più così debole, voleva almeno difendere le persone che gli stavano vicine senza pensarci due volte.
    Allora eccoli, Sehyung e CJ, a camminare verso un luogo al primo sconosciuto mentre, lo stesso Sehyung, allungò la mano verso la spalla del ragazzo, esitando qualche secondo prima di portare i polpastrelli a picchiettare su essa per attirare l’attenzione del minore. «Andiamo di fretta? Perché prima di andare all’avventura volevo chiederti una cosa…» tirò su con il naso, gli occhi che si chiusero per qualche istante come ad aiutarlo a mettere in ordine i propri pensieri, prima di tornare sul suo interlocutore «Prima di arrivare qui, quando eravamo in America, ho capito di non essere in grado di gestire una questione del genere e che, se mi ritrovassi davanti una persona con un’arma davanti, invece che farle del male, probabilmente darei via la mia stessa vita, quindi…» prese un attimo di pausa, il coreano, lasciando che le falangi venissero portate tra i capelli nocciola, cercando di sforzarsi a tenerli di quel colore per non dare troppo nell’occhio «Ti andrebbe di insegnarmi ad essere…come te? Nel senso…spericolato? In grado di tenere un’arma in mano senza entrare nel panico? Il sangue freddo non è tra i miei pregi.» quanto poteva essere imbarazzante Park Sehyung in quel momento? Portò comunque le mani ad unirsi e si inchinò davanti a lui con il busto in un inchino.

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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Ora, voglio dire: era il caso che ogni volta che CJ Knowles bussasse ad una porta, venisse accusato di essere lì per uccidere qualcuno? No: poteva non avere l’aspetto rassicurante di uno Swing, un carattere di merda con un’attitudine ancor peggiore, ed avere come migliore amica una motosega, MA non significava che fosse un fottuto assassino. Lo era solo quando le circostanze lo richiedevano - checché ne dicessero i Bodiotti e chiunque l’avesse visto in compagnia di Ellis Drinkwater, CJ non uccideva qualunque persona capitasse sul suo cammino: solo quelle che lo minacciavano, e si chiamava istinto di sopravvivenza. Non era colpa sua se di solito sulla sua strada inciampava gente che attentasse alla sua cazzo di vita, ed allora sì che doveva giocare pesante. Sehyung Park, perfino armato di candelabro, non era certo quel genere di pericolo: il kinese poteva dormire sonni tranquilli.
    Per ora. E visto? Erano quasi dieci minuti che passeggiavano per le strade sterrate di quel di Bodie alla ricerca di un cavallo smarrito, e Adam possedeva ancora tutte e dieci le dita, ed una lingua: era o non era, CJ Knowles, un fottuto bravo ragazzo? Il migliore. Infilò una sigaretta fra i denti ed intrecciò le dita dietro la nuca, gli occhi verdi a posarsi distratti sul cielo sopra di loro. Non amava parlare; non trovava obbligatorio, come invece capitava al resto del genere umano, occupare con chiacchiere quel tempo con il maggiordomo – nel silenzio, ci si trovava più che bene. Era cresciuto da solo, dicendo la cosa sbagliata anche quando non diceva un cazzo: aveva fatto di necessità virtù, imparando ad amare la quiete nello stesso sadico modo a cui un cane poteva affezionarsi alla catena - perchè non conosceva altro modo. Si irrigidì d’istinto quando le dita del ragazzo picchiettarono sulla sua spalla, ruotando uno sguardo non particolarmente amichevole verso l’altro. Non sopportava alcun genere di contatto fisico, perfino il meno intenzionale, ed il suo corpo tendeva a reagire prima d’individuarne la sorgente decidendo anche per il Knowles fosse un tocco indesiderato: erano rare le volte in cui qualcuno l’avesse sfiorato privo d’intenzioni belliche.
    Ancora più sporadiche quelle in cui qualcuno, dopo aver richiamato la sua attenzione, l’avesse guardato in quel modo – come se CJ, CJ Knowles, potesse davvero avere la risposta a qualunque domanda frullasse nelle loro menti. Con sporadiche, per inciso, s’intendeva freaks, perchè nel resto del fottuto universo non c’era mezzo cazzo di persona che avesse mai pensato il Knowles fosse un reale essere umano. La sua intera esistenza pareva troppo assurda, una realtà troppo lontana a quella cui chiunque altro fosse abituato. Dal suo quasi metro e novanta era difficile non spiccare nella folla, ma c’era sempre qualcosa a renderlo comunque invisibile: chiazze violacee di lividi recenti, sangue rappreso sulle nocche, un sorriso masticato e troppo vero per gente abituata a vivere d’apparenze; le persone quando lo guardavano vedevano un Concetto (ovverosia, tutto quel che fingevano non esistesse di modo da continuare a dormire sonni tranquilli), non un ragazzo di appena tredici, quindi – diciassette anni. «Andiamo di fretta? Perché prima di andare all’avventura volevo chiederti una cosa…» Dio, se esisti e se papà è davvero un tuo umile servo, fa’ che mamma non abbia di nuovo iniziato a spargere la voce che gli adolescenti possano approcciarsi a me caso mai avessero dubbi di natura sessuale, perchè ci metto davvero un cazzo a diventare orfano. E sì, era già successo. Osservò il Corvonero con un sopracciglio sollevato, stringendosi poi nelle spalle. «dobbiamo cercare un cavallo imbizzarrito scappato un’ora fa. a questo punto potrebbe anche già essere arrivato al fottuto vietnam» arricciò il naso prendendo la sigaretta fra pollice ed indice, offrendo al Park uno dei sorrisi meno rassicuranti che possedesse nel proprio repertorio. «quindi no, non andiamo di fretta» ma avrebbero potuto, se l’argomento non gli fosse piaciuto, e lo lasciò intendere nella poco delicata curva delle labbra.
    Quel che accadde dopo, fu davvero - davvero - inaspettato.
    «Prima di arrivare qui, quando eravamo in America, ho capito di non essere in grado di gestire una questione del genere e che, se mi ritrovassi davanti una persona con un’arma davanti, invece che farle del male, probabilmente darei via la mia stessa vita, quindi… Ti andrebbe di insegnarmi ad essere…come te? Nel senso…spericolato? In grado di tenere un’arma in mano senza entrare nel panico? Il sangue freddo non è tra i miei pregi.»
    Oh
    Oh my. Quando fu convinto che la situazione non potesse essere più assurda, Swing unì le dita sotto al mento volgendogli un inchino.
    Un
    Un inchino.
    Rimase in silenzio per un eterno minuto intero, le palpebre a battere lente sui sottili occhi acquamarina. Era…era… era serio? Perchè lo sembrava, ma il Knowles faticava a crederci. «come me?» ripetè interrogativo, lasciando che ambedue le sopracciglia schizzassero verso l’alto. Mai - mai! - era accaduto che qualcuno gli domandasse di insegnargli ad essere come lui. «“spericolato”» ripetè, scrollando il capo in una risata rauca. «cristo, è il modo più carino in cui sia mai stato definito.» Buttò la cenere al suolo, continuando a camminare e confidando l’altro lo seguisse. Aspirò dalla sigaretta fino a sentire le labbra bruciare, i denti digrignati a catturarne ogni sputo di fumo. «sei qui, no? direi che l’hai gestita piuttosto bene» un grande complimento, detto dal Knowles. Tornò a guardare Swing, studiandolo con piatto interesse accademico. «sai come ho fatto a diventare, come dici tu, “spericolato”?» E lo seppe, senza bisogno di uno specchio, quanto poco piacevole fosse il ghigno a curvargli la bocca – quanto crudele, ed ironico, e sempre tinto di una bonarietà fine a se stessa. «sopravvivendo.» Non sapeva un cazzo di Swing; non si sarebbe mai permesso di giudicarlo dall’apparenza mite e ingenua, perchè sapeva che l’aspetto - le parole - non volessero dire un cazzo. Non aveva idea di che vita avesse avuto prima di piombare a Bodie, California, 1918, ed anche la domanda non implicava in sè che mai avesse avuto a che fare con un mondo come il suo: poteva benissimo essere sempre stato una vittima, anziché ribellarsi e divenire aguzzino. «volendo sopravvivere» specificò. Anche se, detto fra noi, nel suo caso non era mai stato troppo vero, ma non aveva alcuna intenzione di spiegare i propri drammi etici e morali al Corvonero – nè in quel momento, nè mai. «non posso insegnarti a non avere pietà, park» quella e roba che t’insegna il mondo. «nè voglio» Si fermò, lo sguardo a saettare attorno a loro per assicurarsi che nei dintorni non ci fosse nessuno.
    Aveva una reputazione da mantenere. «non c’è nulla di sbagliato a non voler uccidere qualcuno – cristo, non ci posso credere che lo sto fottutamente dicendo ad alta voce: che mondo di merda» perchè avrebbe dovuto essere ovvio, cazzo – stra fottutamente ovvio, ed invece Sehyung Park sembrava aver bisogno che qualcuno glielo dicesse. «se non entri nel panico in situazioni simili, vuol dire che ti hanno fottuto il cervello una volta di troppo» lasciò che rimanesse implicito il fatto che lui, essendo spericolato, denotasse di essere stato impalato più di una puttana all’area di sosta dei camionisti: non vergognarsene non significava che fosse una specie di vanto, o qualcosa in più. «te la stavi facendo sotto? giusto così. hai comunque parato il culo ai tuoi compagni, e sei sopravvissuto per raccontarlo» Si strinse nelle spalle dando una pacca al compagno. «fattelo bastare, nano» Gli offrì un sorriso quasi amichevole – di più gentili, non ne possedeva. «posso aiutarti ad abituarti a sbattertene un po’ di più il cazzo, se proprio vuoi» Spense la sigaretta sotto il tallone, curvando bocca e sguardo verso il Corvonero. «ma farà un po’ male.»
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