who ya gonna call?

mystery inc.

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    withpotatoes do it better

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    idem withpotatoes
    medium | 24 y.o.
    28.02.2018 | h: 15:45
    Strinse il coltello nel pugno, sopracciglia aggrottate mentre la lama affondava nella buccia dell’arancia tagliando l’agrume a metà. L’odore dei pancake appena cotti le solleticò le narici, lampone misto a vaniglia ad impregnare le pareti del piccolo appartamento di New Hovel. «una volta cantavi quando preparavi la colazione. Te lo ricordi?» Non sollevò lo sguardo, ma lasciò che le labbra si curvassero appena nell’abbozzo di un sorriso. Dovette deglutire, Idem Withpotatoes, e costringere la mano a non tremare – ma l’arancia ne risentì, un taglio poco netto a deturparne la superficie. Te lo ricordi? Sembrava un tempo troppo lontano perché potesse definirlo memoria.
    Un anno. Era bastato un anno perché il mondo le strappasse sfoglia dopo sfoglia, e sfoglia dopo sfoglia, finchè di lei non aveva lasciato che l’ombra di ciò che un tempo era stata. Non aveva smesso di sperare, non aveva cessato di credere, ma era difficile ricordare cosa si provasse a non dover lottare ogni secondo per impedire che le portassero via quel di sé stessa che ancora aveva. Una vita prima, che se felice non lo era mai stata, perlomeno ricordava come sicura - fondata su certezze inalienabili.
    La magia, ad esempio. E gliel’avevano portata via, soffiata lontana come i semi di un dente di leone. Era diventata una medium: Idem poteva comunicare con i morti, e che non fosse facile l’aveva compreso subito – chi non poteva più permetterselo, di cose da dire ne aveva sempre troppe. Occupavano ogni spazio, soffocavano ogni pensiero, invadevano sogni ed incubi tingendoli a proprio gradimento. Sussurravano al suo orecchio nel buio, le sfioravano la pelle facendola accapponare. Le chiedevano favori - le chiedevano di sistemare questioni in sospeso, le pretendevano compagnia.
    Le domandavano perché, ed Idem una risposta non l’aveva mai avuta. Le raccontavano la loro storia, straziandole il petto parola dopo parola – e quando le rivolgevano un sorriso, sentiva d’essere sull’orlo di un impotente crisi di panico: perché, se lo domandava anche lei.
    Ma ci si abituava, all’assenza di magia. Non sentiva la mancanza della propria bacchetta, non odiava gli Estremisti per ciò che le avevano fatto - perché avrebbe dovuto? - ed era riuscita ad andare avanti con la sua vita.
    C’era solo una cosa, soltanto una cosa, in grado di spezzare una Idem Withpotatoes – qualcosa che mai, la ex Tassorosso, aveva avuto il coraggio di mettere in dubbio. In un mondo come il loro avrebbe dovuto, ma non l’aveva fatto: non era nella sua indole, capite. Non era contemplato.
    Poi Nathan ed April erano morti.
    «com’era che faceva quella canzone?»
    Non erano partiti per andare in vacanza. Non avevano finto. Loro, che casa lo erano stati per tutta una vita, non c’erano più - anzi, peggio: «non voglio svegliare gli altri» c’erano ancora, ed erano nella sua cucina. Aveva bisogno che andassero avanti, che si allontanassero da quella vita che non potevano più avere – che non la illudessero di poter rimanere, sapendo che non avrebbero potuto farlo. I fantasmi erano creature instabili, appannaggi di quel ch’erano stati prima di morire. L’impronta lasciata da un fulmine su una Terra che non gli apparteneva più. Eppure sembravano così reali, seduti al tavolo ad osservarla mentre preparava la colazione. Sembrava così normale sentire la risata di April echeggiare nella stanza, o guardare Nathan cercare di sbirciare attraverso le pagine del giornale – e le spezzava il cuore, ogni giorno. Dovette chiudere gli occhi, il coltello poggiato sul tagliere, per poter ampliare il sorriso sulla bocca. Si concesse un respiro – due, tre – prima di aprire le palpebre, sapendo che così facendo avrebbe spezzato l’illusione: non erano i suoi fratelli, quei due. Erano solo una testimonianza.
    Nathan ed April Withpotatoes erano morti, e la vita di Idem era diventata la terribile parodia di ciò che avrebbe dovuto essere. Deglutì ed umettò le labbra, le iridi cerulee a scivolare sui fantasmi. Perché, continuava a domandarselo.
    Ed aveva innocentemente, ingenuamente, creduto che fosse abbastanza. Che non potessero toglierle molto altro, che c’era già passata - che faceva male, ma sarebbe sopravvissuta: lo doveva a loro, lo doveva a sé stessa. Lo doveva alla sua famiglia.
    Lo doveva alla sua famiglia.
    Lo doveva alla sua famiglia.
    «e ti ricordi il periodo in cui darden - » i fantasmi non si interrompevano come qualunque altro essere vivente. Non c’era un labile stacco smorzato da respiri: se Idem non li avesse guardati, avrebbe potuto facilmente credere che non fossero più lì – che quel silenzio, non avesse alcun sapore in bocca. Strinse i denti, un istintivo passo all’indietro mentre le dita si stringevano al bordo della cucina. Respira, Idem. Andiamo. Respira.
    Sempre più facile a dirsi che a farsi. Ogni presenza che le scivolava sulla pelle, la faceva sobbalzare per un unico, viscerale, motivo: ogni volta, ad ogni battito di cuore, Idem credeva che sarebbe successo. Che sarebbe stata La Volta - la volta in cui, alzando gli occhi, avrebbe incrociato il sopracciglio inarcato di Darden o Gemes. Aprì la bocca in un respiro forzato, il capo leggermente piegato verso il proprio busto. Dubitava che avrebbero mai smesso di essere un tasto dolente.
    Erano passati quasi tre mesi. Tre mesi erano davvero molto tempo quando ogni squillo del proprio telefono, ogni brivido lungo la schiena, avrebbe potuto mettere un punto laddove vigevano, per obbligo morale, solo virgole. Tre mesi erano un sacco di tempo passato a fissare il soffitto ed a domandarsi ancora perché - erano innumerevoli notti insonni ed agitate trascorse a guardare il triste paesaggio di New Hovel fuori dalla finestra. Quasi tre mesi in cui Idem Withpotatoes non aveva mai smesso di domandarsi quale fosse stata la sua ultima conversazione con loro.
    Di nuovo. Di nuovo. Non poteva permettersi giorni in cui dirsi che fosse abbastanza, che se si fosse raggomitolata su una poltrona a piangere per ore, nessuno ci avrebbe fatto caso – eppure voleva, Dio! A volte sentiva le forze mancare senza apparente motivo, gli occhi lucidi per una voce familiare che di famiglia non aveva realmente nulla – ed il cuore, poi? Quello non ascoltava mai quel che la ragione aveva da dire, sbattendo contro le costole ed implorandola di vedere quel che altri non vedevano. Di cercare quel che non c’era.
    Quel che non c’era, e che Idem Withpotatoes non era in grado di accettare. Darden e Gemes avevano sempre avuto più cose in comune fra loro che non con lei - o con Nathan, od April, o qualunque altro membro dei Withpotatoes. Si erano creati un mondo a parte dove potevano fingere di non essere come lei – o come Nathan, April, o qualunque altro membro dei Withpotatoes. E potevano andarsene, potevano continuare a farlo come avevano sempre fatto, ma non se ne sarebbero mai andati davvero.
    Non se ne sarebbero mai andati davvero.
    Non se ne sarebbero mai andati davvero?
    Se l’era ripetuto così spesso, così spesso, Idem, che non sapeva come esistersi senza crederlo. Non le era neanche mai importato che effettivamente non fossero tornati affatto, che lei non fosse mai stata abbastanza per farli rimanere: non li avrebbe mai obbligati a restare, Idem. Chiedeva solo che non se ne andassero per sempre - era tanto? Era troppo? Non era mai stata la sorella, sorellastra, coinquilina, amica, quel che gli paresse, perfetta, ma… era Idem, no? E sarebbe sempre stata Idem, loro lo sapevano. Dovevano, saperlo. Non avrebbero mai potuto farle una cosa del genere. Non avrebbero mai dovuto farle una cosa del genere.
    Damian, si era detta. Damian avrebbe potuto aiutarla a cercarli – e Damian se n’era andato.
    E Shane non era più tornato.
    Isaac - e l’avevano strappata anche a lui, costringendola a vivere nel quartiere dedicato agli special.
    Fino all’anno precedente, Idem Withpotatoes non aveva mai saputo cosa fosse la solitudine. Ora perché non riusciva a togliersela di dosso? La perseguitava, le stringeva la gola soffocandola, le faceva tremare le dita. Cercava ogni scusa, perfino la più banale, per evitare di rimanere a casa da sola, o alla sera per tenere svegli Noah ed Amos solo un po’ di più - solo quel tanto che bastava a donarle uno spiraglio di ossigeno. Quando infine la notte premeva contro le finestre ed Idem rimaneva l’unica in piedi al centro della sala, si spingeva fino nella cameretta di Tupp implorando alla bambina di farle un po’ di posto, solo quel tanto che bastava a donarle uno spiraglio di ossigeno - ed allora si addormentava accarezzandole i capelli, o stringendo la mano di lei nel pugno.
    «… in cui darden mangiava solo pizza a colazione?» arricciò il naso smettendo di respirare, lasciando poi uscire lo sbuffo di una risata secca fra i denti. Non voleva che il mondo le facesse quello. Non voleva dargli il potere di privarla del sorriso – della speranza, della fede. Idem Withpotatoes, in quella vita, ancora voleva crederci. Sapeva che esistevano cose buone, al di fuori del regime tiranno nel quale vivevano; sapeva che non c’erano solo torture, sangue, o morte nell’esistenza – che era molto più di quello.
    Cominciava solo a domandarsi se per lei, una fetta di quel più, ci fosse ancora.
    Si rispondeva che non aveva alcuna importanza, perché non avrebbe mai smesso di cercarla.
    «difficile dimenticarlo» concluse sottovoce, sistemando il piatto con i pancake al centro del tavolo. Osservò i tovaglioli, piegati ovviamente a forma di cigno come la tradizione richiedeva, ordinatamente posti di fronte a ciascuna sedia – una per Amos, una per Noah, e due più piccole per Cash e Tupp. Il proprio posto era sgombro e pulito, avrebbe fatto colazione una volta arrivata al San Mungo. «ehi, raggio di sole» un sorriso morbido si dipinse sulle labbra della Withpotatoes, mentre un’assonnata Tupp Jackson – Armstrong entrava nella piccola cucina. La bambina le rivolse un mesto cenno del capo, le dita a stropicciarsi gli occhi, prima di raggiungere il tavolo sul quale abbandonò pesantemente i gomiti. La vide afferrare il proprio cigno, gli occhi verdi a scivolare sui dolci ancora caldi. «posso portarli a uran?» dondolò sui talloni, il labbro inferiore sporto all’infuori. «non aspetti cash?» le corrugò risoluta le sopracciglia scuotendo il capo, le braccia incrociate sul petto. Idem inspirò dalle narici fingendo un’esasperazione che non provava, il sorriso ad allargarsi. Lasciò un post it sul tavolo con la canzone del giorno per i suoi coinquilini. In una delle tante serate passate a girarsi i pollici, avevano scoperto un articolo riguardo a come le canzoni, se ascoltate di primo mattino, rimanessero in testa tutta la giornata – ovviamente erano riusciti a trarne una conversazione altamente filosofica e dibattuta su vari gruppi old but gold e solisti impossibili da dimenticare.
    Per quasi tutti. Non c’era voluto molto ad Idem ed Amos per capire che Noah non avesse la più pallida idea dell’argomento trattato – il suo sorriso poteva ingannare chi non lo conosceva, non chi sapeva perfettamente quanto amasse il suono della propria voce: se Noah non parlava, Noah non sapeva.
    Errori fatali che non andavano commessi se nella stessa stanza dimoravano Brodi Fibra e 55 Cent (eh sì, aveva cinque cent in più). Per concludere in bellezza il ventotto febbraio, Idem scelse Party Rock Anthem degli LMFAO. Porse poi la mano a Tupp, sospirando piano quando il peso delle dita di lei si intrecciò alle proprie. Cinque minuti dopo si trovavano sulla veranda dell’appartamento di Jade ed Euge, un sacchetto con la colazione fra le mani e l’immancabile cigno di carta stretto al petto della bambina. Dopo aver bussato, dovettero attendere una manciata di minuti prima che un comatoso Eugene aprisse loro l’uscio; Tupp, d’istinto, si avvicinò ad Idem afferrandole una gamba. Da quando Delilah e Neil erano morti, era la sua reazione naturale non appena vedeva qualcuno, chiunque - era diffidente, perfino con la sua famiglia.
    Soprattutto, forse. Ma al Jackson bastò allungare la mano verso di lei, chinarsi e sorriderle. Idem, sorriso a labbra strette e cuore pesante nello sterno, la osservò entrare senza dire una parola. Era uno di quei momenti suoi ma che non le appartenevano.
    Non era lei a dover dire qualcosa, mentre Eugene Jackson la salutava con un cenno della mano e richiudeva la porta. «è bellissima» Inspirò dalle narici senza voltarsi, il sorriso ancora ad ombreggiare gli angoli della bocca. «sì, » rispose a Delilah, volgendosi infine verso di lei.
    E Neil. E Donnie. Deglutì, chiuse gli occhi. «sì, la è.»

    «ehi, idem» uno sbuffo di fiato si condensò davanti alle sue labbra, mentre sollevava gli occhi cerulei su Stiles. «vuoi un passaggio a casa?» Affondò maggiormente le mani nelle tasche del cappotto, le dita a stringersi attorno al Cartoncino con il quale Dick III li avvisava di una riunione. Guardò con desiderio e tentazione le chiavi della Jeep di Andrew sventolarle davanti agli occhi, ma si costrinse a scuotere debolmente il capo e rivolgergli un sorriso. «farò una passeggiata» rispose pacata, stringendosi nelle spalle alle sopracciglia arcuate di lui. Lo psicomago si limitò a sbuffare, mani alzate in segno di resa. «se senti che stai morendo di ipotermia, fammi uno squillo così ti saluto» Battè lentamente le palpebre e reclinò il capo da un lato, un’occhiata interrogativa nella sua direzione. «grazie…credo?» lui si limitò a darle una pacca sulla spalla, prima di rifugiarsi all’interno della sua auto. Di neve, in quel finire di Febbraio, non v’era più traccia alcuna, ma la morsa del freddo non aveva ancora (mai.) abbandonato Londra. La pioggia e l’umidità non aiutavano a salvaguardare i corpi di chi, quel freddo, se lo sentiva fin dentro le ossa - chi quel freddo lo era.
    Ma aveva davvero, davvero bisogno, Idem, di quella passeggiata. Aveva sempre amato il sapore bagnato dell’aria dopo un acquazzone, le pozzanghere ad allargarsi sui marciapiedi riflettendo i rami affilati degli alberi a bordo strada. Stranamente, la aiutava a non pensare, lasciando che quel poco di natura che la City aveva da offrire parlasse per lei – ed in città era assai raro trovare fantasmi che avessero sbagliato strada verso l’Aldilà, anche se il motivo le era del tutto oscuro. Non che Idem avesse bisogno delle manifestazioni esterne, per vedere cose che non c’erano.
    Londra parlava la lingua dei ricordi. Sadica, e dannatamente umana, la Withpotatoes, a volerli ascoltare tutti.
    Si incamminò, mento affondato nella sciarpa, lasciando che il rumore dei propri passi la guidasse attraverso marciapiedi che conosceva a memoria – e lasciò i piedi fermarsi di fronte a panchine che potevano non dire nulla a chiunque, e che per lei possedevano un’intera storia: quella dove Darden aveva inciso le proprie iniziali vantandola come propria, quella dove Gemes aveva legato Nathan per evitare che facesse il Nathan, quella dal quale lei ed April avevano spiato il primo appuntamento del fratello maggiore (e dove l’avevano consolato quando una certa Abbie gli aveva detto di non essere interessata ai droni libellula). Le gite a Londra della famiglia Withpotatoes, residenti a Brighton, erano sempre state ricordate per il loro non avere mai un lieto fine, e per le rocambolesche avventure che perduravano negli anni a seguire: quando Idem aveva accidentalmente firmato una petizione a favore del nazismo perché il signore sembrava tanto gentile; quando April si era intrufolata nel canile liberando gli animali dalle loro gabbie; quando Darden era stata arrestata per possesso e spaccio di droga. Una volta le raccontavano ridendo, quelle storie.
    Una volta cantavi quando preparavi la colazione.

    Il furgoncino della Mystery era parcheggiato, male (o bene, a seconda dei punti di vista: dopotutto quando non c’erano loro, a guidarlo era Dick III), poco fuori l’Aetas. L’interno era sorprendente come la prima volta nel quale Idem era entrata a far parte di quell’assurda cerchia: pareva un pullmino normale, di quelli un po’ hipster ed un po’ vintage, finchè non si prestava attenzione (ed era difficile non notarlo) al palo posto al centro del vano passeggeri. Da lì, si passava al livello successivo.
    Un intero piano segreto, situato nella parte inferiore – enorme, con tanto di muri in mattoni rossi e pavimento in lucide mattonelle nere. «OH – non mi toccare non sono un animale» Idem si era fermata con la mano a pochi centimetri dal collo del Corgi, la lingua stretta fra i denti. Non riusciva a resistere quando c’era un animale nei paraggi, era più forte di lei. «neanche se rimane il nostro segreto?» bisbigliò tentatrice in tono cospiratorio, sbattendo le ciglia corvine sui grandi occhi azzurri. Idem Withpotatoes era nata e vissuta nel mondo magico, ma nulla l’aveva preparata ad un High Tech cane sulla sedia a rotelle in grado di parlare: stupefacente. Non sapeva se fosse una prerogativa dei Corgi o solo di Richard III, ma lui sospirò – o almeno, Idem l’aveva sempre interpretato in quel modo – «una grattatina dietro le orecchie, ma non dirlo a frobos» «phobos» «sì, lui, ether» «idem» «fammi i grattini e basta.» ben contenta la Withpotatoes di soddisfarlo. In ogni caso, se non aveva imparato i loro nomi nei mesi precedenti, dubitava avrebbe cominciato in quel momento – anche se era piuttosto certa che lui li sapesse perfettamente, ma preferisse quelli che gli aveva affibbiato di proprio pugno. Propria zampa? Quello. D’altronde costruiva gadget che CIA aggiornati, non poteva non ricordare dei banalissimi nomi. «hai chiamato tutti?» domandò, allontanandosi per stringere con un nastro rosso i capelli in una coda alta. Dire che la Withpotatoes fosse banale nei propri abiti, sarebbe stato solamente sincero – cosa che Dick le ricordava quotidianamente, invitandola ad usare più cuoio e collane di borchie; Idem non gli aveva mai fatto notare che il cane fosse lui, e non lei, solamente perché era una signora. Anche quel giorno, come prevedibile, indossava una gonna azzurra, camicia bianca, e spessi collant neri («niente cardigan oggi, ether?» «è in borsa»), uno dei rari indumenti scuri permessi nel suo armadio. «ovviamente.» il Cartoncino del quale ciascuno di loro era stato dotato, era …un cartoncino sul quale il Corgi, a piacimento, li avvisava dei luoghi e dell’ora dei loro incontri. La Withpotatoes strinse le braccia al petto avvicinandosi ad una delle pareti della Base, dove avevano istituito le bacheche sui loro casi – quello della Migrazione di Dicembre, compresa; nei mesi, Idem aveva reso quello spazio sempre più personale, appendendo a tradimento le foto scattate agli altri membri durante le indagini, o quelle tutti insieme per celebrare una vittoria. C’era perfino La polaroid, l’unica foto in cui erano riusciti ad immortalare un Noah non perfetto – era diventata una challange fra i membri della Mystery, Barney Stinston levati. «qual è la Questione del giorno?» domandò distrattamente, la testa piegata sulla spalla destra, sfiorando con l’indice gli angoli delle fotografie. «mi sentivo solo» Credeva di far breccia nel cuore di Idem, con una risposta del genere? Sì, e funzionava - ma sapeva ch’era solo una menzogna. Gli lanciò un’occhiata di sottecchi, e fu quasi certa di vederlo agitare sulla sedia. «e non arrivavo al telecomando» ah, ecco.
    «e non so scegliere fra coca cola e pepsi: eccoti la Questione.»
    Ah, ecco.
    Ora sì che lo riconosceva.


    I'm fighting with gravity Trying not to fall
    But how come the ones we love can make us feel so small?


    Edited by ghost hotline - 24/6/2018, 14:24
     
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    Nate e Jess erano arrivati alla conclusione che i McDonald's non erano fatti per essere silenziosi e puliti come quello di cui la Stanza delle Necessità aveva assunto le sembianze. Non conosceva bene i fast food babbani, ma era certo che ci sarebbero dovute essere più persone sedute ai numerosi tavolini adesso vuoti e immaginava che ci sarebbe stato bisogno di cassieri e cuochi per far arrivare a tutti i loro ordini. «mi sta quasi passando la fame» affermò mogia Jess, lasciando a metà il suo crispy mcbacon. E aveva ragione, quel posto era un cimitero e la presenza di due supposti morti non faceva che confermarlo. A colazione riuscivano a convincere ogni tanto i Chips a trattenersi, lasciandoli meno soli, ma non potevano rapirli anche a pranzo quando tutta la scuola avrebbe notato quell'insolita assenza. «dobbiamo trovare un modo di far venire più gente qui» tre quarti del tavolo erano occupati da bicchieri vuoti di soda, confezioni di patatine con solo il sale a raschiare il fondo e tovagliolini sporchi accartocciati qua e là. Avrebbero lasciato gli onori di casa alla magia, bastava chiudere la porta e la volta successiva sarebbe tornato tutto splendente come una catena di fastfood non sarebbe mai potuta essere. Quel silenzio riusciva addirittura a rendere meno saporito il prepotente sapore della salsa barbecue, una delle migliori scoperte che i minireb avessero potuto fare.
    Era strano trovarsi di nuovo in quella scuola, i sentimenti per il suo periodo passato in quei corridoi come studente erano contrastanti. Ricordava con nostalgia gli amici, le partite di quidditch vinte e quelle perse, gli ultimi mesi di scuola da passare crogiolandosi al mite clima dell'estate Inglese. Allo stesso tempo, però, ricordava con estrema lucidità il dolore dei pomeriggi passati nella sala delle torture, il terrore psicologico con il quale i professori li schiacciavano, il peso dei lunedì mattina dove i ritardi a Pozioni erano puniti severamente, tutte quelle cose che l'Oblivion aveva reso diverse dal passato, ed era certo di averla vista la realtà, quel pre Oblivion che era stata la ragione che lo aveva spinto ad arruolarsi, a sacrificarsi. Chiamatelo sognatore, ma lui ci credeva ancora, non era disposto ad accettare quelle verità e non gli bastava detronizzare il Regime, non gli bastava un governo più giusto, lui voleva la verità.
    Che fosse l'unico? Possibile che tutti gli altri avessero rinunciato a ciò in cui il Barrow aveva creduto? Non era un tipo diplomatico, il Wellington, e nemmeno la strategia o la politica erano il suo forte, ma se c'era qualcosa in cui era imbattibile, probabilmente quello era credere nei suoi ideali, non lasciarsi scoraggiare, fare l'impossibile per raggiungere l'obbiettivo senza compromessi, niente scorciatoie. Ed essere così irremovibile era anche il suo più grande difetto, quell'ottusa testardaggine di chi non riusciva a vedere il quadro generale della situazione. Voleva la verità per tutti, nient'altro, voleva rendere consci tutti quanti di quello che era successo, perchè distruggere il regime non avrebbe distrutto chi aveva assorbito e resi propri gli ideali che i Mangiamorte avevano diffuso.
    Stavano agendo in modo sbagliato, lo sapeva, voleva crederci, e nessuno gli dava ascolto, il giovane Wellington le cui immature scelte lo avevano sempre ostacolato, vittima e carnefice di sè stesso. Non era abbastanza adulto e responsabile per capire che la vita non avrebbe seguito i suoi piani, eppure dopo diciannove anni vissuti come li aveva vissuti lui, ci si aspetterebbe un minimo di comprensione. O forse, proprio perchè era ben consapevole di come il futuro non potesse essere in alcun modo prevedibile e pianificabile, si ostinava a renderlo tale, che almeno quel sogno poteva farlo avverare, che almeno per quella volta il destino poteva farsi da parte.
    Non aveva avuto il suo diploma nè il suo lavoro dei sogni, non la vita semplice di coloro che a capo chino camminava ignorando gli evidenti problemi di quel mondo malato e ne era grato, era grato di essere stato tirato con la forza dentro quel macello, era grato di far parte di coloro che avevano messo in dubbio sè stessi e il Ministero.
    Ma adesso?
    «devo andare» bevve l'ultimo sorso di milkshake e afferrò la giacca e il cappello «andare? dove? e la lezione di cura delle creatue magiche?» la Goodwin lo osservò, ancora seduta davanti ad altri due hamburger. Avrebbe voluto non lasciarla da sola, ma il bigliettino che aveva ricevuto quella mattina lo convocava con estrema urgenza al punto di incontro. «ho lasciato delle cose a casa di Mae, dovrei tornare prima di cena» disse in tutta fretta, sperando di non dare il tempo alla ragazza di fare altre domande o, peggio, chiedere di aggiungersi a lui. Per quanto amasse i suoi amici, Dick aveva reso chiaro che la Mystery non poteva coinvolgere nessuno all'infuori di loro. Era eccitato all'idea di condividere le teorie cospiratorie con Scott e non vedeva l'ora di raccontare ad Erin quanto fosse soffice e coccoloso lo scontroso Corgi a capo della squadra, ma non poteva, lo sapeva bene... a dire il vero no, non aveva capito perchè nessuno potesse venire a sapere della loro organizzazione, non era nemmeno certo che dovesse essere mantenuta segreta ma, come già detto, il mimetico aveva problemi nel visualizzare lo scopo finale e primario di qualsiasi cosa e, almeno per quella volta, avrebbe fatto il bravo.
    Credetemi quando vi dico che prendere un cazziatone da un cagnolino parlante non è così bello come possa sembrare.
    Si chiuse la porta della stanza delle necessità dietro prima che la special potesse seguirlo e raggiunse il passaggio segreto più vicino: un mezzobusto di un goblin con una benda sull'occhio. Tale benda era uno sportellino di marmo che nascondeva una sorta di pulsante che, premuto, rivelò un arco di passaggio nella nicchia della statua. La rete di tunnel e gallerie si intrecciava fittamente e passava quasi dappertutto, causando a volte spiacevoli incontri con studenti in ritardo che cercavano scorciatoie da un'ala all'altra del castello. In quei casi non aveva nemmeno bisogno di nascondersi, gli bastava stare fuori dalla portata dei suddetti studenti per poter passare inosservato nel dedalo di muri e porte. Un'altra cosa che aveva scoperto esplorando i passaggi segreti era che le distanze tendevano ad allungarsi e accorciarsi senza alcun senso logico, non a caso aveva scelto quell'entrata segreta piuttosto che un'altra. Se il goblin bendato lo aveva fatto arrivare all'ingresso di Hogsmade in poco più di cinque minuti, un altro varco avrebbe potuto farlo girare in tondo per mezz'ora - non aveva mai trovato scheletri nelle gallerie, ma la possibilità che qualcuno ci avesse lasciato la pelle non era così improponibile.
    Capì di essere arrivato quando il pavimento in pietra lasciò il posto alla terra umida, bagnata dalle numerose piogge e nevicate. Il freddo pungente lo avvolse, spingendolo a chiudersi il cappotto fino alla gola e ad abbassarsi il berretto di lana fino alle sopracciglia. Ricordava ancora quando Idem, qualche anno fa, glielo aveva cucito su misura: stare fermo per tre ore mentre la ex segretaria gli punzecchiava la testa con i ferri gli aveva fatto guadagnare il più caldo dei copricapi che avrebbe mai potuto possedere. Prima id uscire allo scoperto lanciò un'occhiata al telefono, osservando la marea di notifiche mandare in pappa lo smartphone, il quale era rimasto per quasi un mese senza rete (grazie Hogwarts per essere così conservatrice). Avrebbe voluto fare uno squillo a Freya, sentire come stava e semplicemente parlare con lei, magari passare da Different Lodge solo per un secondo, ma quando vide la vicinanza tra l'ora sullo schermo e quella segnata sul cartoncino di Dick, il mimetico dovette resistere all'impulso di comporre il numero della ragazza. Mise le mani in tasca si strinse nelle spalle, il volto nascosto nel cappotto pesante non tanto per non farsi riconoscere quanto più per il freddo, il passo svelto di chi non vedeva l'ora di entrare in un posto con del riscaldamento e un pasto bollente.
    L'ex tassorosso fece quello che dopo i laboratori era destinato a fare: mimetizzarsi. Fingersi parte di quella massa ignorante, pedone sulla scacchiera monocromatica del ministero, rendendosi ciò che non voleva essere mai più: ingannato. Era per quello che credeva ancora in un anti-oblivion, perchè era stanco di non poter urlare ai quattro venti che no, le cose non dovevano andare in quel modo, che c'era sempre stata un'altra possibilità.
    Spintonando e ignorando gli individui contro cui sbatteva nella folla di Hogsmade, raggiunse l'Aetas, fuori dal quale era parcheggiato il furgoncino che spiccava come un pugno nell'occhio con i suoi colori neon sullo sfondo grigio e mogio della neve sporca. Prima di far scorrere il portello di lato si assicurò che non ci fosse nessuno nei dintorni.
    Il pulmino in sè poteva sembrare quasi normale, a metà tra l'hipster e l'hippie, rubato da chissà quale concerto dei Beatles negli anni '80, ma non così insolito nel mondo magico. Ciò che lo rendeva davvero speciale era il piano inferiore (sì, inferiore) raggiungibile da quello che quel giorno era un palo dei pompieri. Senza esitare, il Wellington ci si aggrappò scivolando in una sinuosa spirale, accompagnata da un'entusiasta ma contenuto "wiiiiiiiiiii!!" fino a toccare terra. «Idem, Dick» li salutò con un cenno del capo mentre lasciava il cappellino e la giacca su una delle tante sedie a rotelle da super spie. «è Gansey III» ringhiò seccato il corgi parlante che li aveva convocati lì per la prima volta. All'appello mancavano ancora Noah, Phob e Amos, ma la Medium e l'animale sembravano già essersi addentrati nel mistero del giorno. «novità?» chiese pensieroso affiancandosi alla Withpotatoes, osservando con lei la tavola di sughero delle scomparse di dicembre dove ogni tanto spuntavano nuovi oggetti decorativi. L'ultima aggiunta era stato un bigliettino trovato in un biscottino della fortuna: "domani mangerai alette di pollo". Ed era stato talmente profetico che la sera dopo avevano tutti ordinato il loro secchiello di pollo fritto dal KFC più vicino. Inutile dire che Dick aveva tentato di spiegare che se lo avevano ordinato dopo aver letto il biglietto non era una profezia, ma i cinque investigatori erano troppo impegnati ad annusarsi le dita unte di olio cercando di capire se era solo Amos o se tutti profumavano di detergente.
    La ventiquattrenne sorrise senza troppo entusiasmo al Wellington, quella parte della parete era sempre un punto critico, un nervo scoperto un po' per tutti: vedere tutti quei volti riuniti rendeva quasi reale quella sofferenza, come se prima ci fosse stata la possibilità di rivederli varcare la soglia di casa in qualsiasi momento. Scrivere "scomparso" sotto le foto significava ammettere a sè stessi che se li avessero rivoluti tra le loro braccia, si sarebbero dovuti attivare per cercarli. «Matthew-» «dai, nemmeno somiglia a Nathan!» «passami il telecomando» «l'ultima volta che hai scelto cosa guardare ci siamo sorbiti due ore di mostre canine» «...e?» «ed è stato BELLISSIMO! Rifacciamolo!» quasi non stava nella pelle all'idea di fare il tifo per Daniel, il pastore tedesco col pelo più lucido della sua categoria. Accese la tv e si accomodò accanto al corgi scontroso, sperando che il rpograma lo distraesse abbastanza da permettergli di coccolarlo. Se scattare la foto peggiore a Noah era difficile, lasciare che Gansey si lasciasse accarezzare era probabilmente impossibile, ma la speranza era l'ultima a morire.
    «ah, perchè ci hai chiamati?» «sssh! Odette sta per fare lo slalom!» per il cane doveva essere come assistere a delle olimpiadi con Usain Bolt in versione carlino.
    Don't tell that it's over when I'm just getting started, I'm done with waiting for them 'cause my ship has departed and I can't slow it down, no
     
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    28.02.2018 / afternoon
    L'alleanza aveva avuto inizio un martedì; fino a quel momento, francamente, Noah aveva pensato che fosse una presa in giro bella e buona il dover condividere la casa con non uno, ma ben due bambini.
    Poco più di un anno prima (un anno per lui, cinquanta per il resto del mondo) senza troppi ripensamenti aveva abbandonato il proprio unico figlio; a ottobre se n'era andato da villa Hamilton perchè Antares non lo lasciava dormire di notte (e odiava fosse al centro dell'attenzione manco fosse stato il Signore Oscuro in persona); aveva lasciato la casetta che condivideva con Jericho perchè con l'arrivo di Xav erano arrivate anche loro, quelle due bestie di Satana fatte di lacrime e pannolini sporchi. Ma alla quarta casa che cambiava cercando di scappare dai bambini, si era forse liberato della presenza di questi? Oh, certo che no. Eccoli qui, i gemelli diversi (diversi neanche troppo) con i nomi da veri bimbi speciali: Contante e Contenitore (che col tempo erano diventati Con1 e Con2 per semplicità, dove ovviamente Noah aveva dimenticato quale fosse la femmina e quale il maschio; i nomi erano dunque interscambiabili), al seguito l'una di Idem e l'altro di Amos, usciti direttamente dagli incubi del Parrish per perseguitarlo con le loro manine appiccicose e i pennarelli lasciati sempre in giro. Possibile che i bambini lo seguissero ovunque andasse? Possibile che non esistesse pace? Perchè la gente continuava a riprodursi, quando c'erano i chiari segni di un sovraffollamento mondiale? Dovevano proprio iniziare ad aprire un giornale - o a farsi un giro per New Hovel.
    Noah si sentiva privato dei suoi diritti di cittadino inglese che paga le tasse (ma le pagava le tasse? Non ne era del tutto sicuro, ma l'anima da settantenne che grida davanti ai cantieri "io le pago le imposte!" a volte prendeva il sopravvento). Se avesse creduto nel karma avrebbe forse dato la colpa di tutti quei bambini nella sua altresì vita perfetta all'abbandono di William, al destino che cercava di fargli entrare in testa che UH, HAI LASCIATO CHE TUO FIGLIO CRESCESSE SENZA UN PADRE?? ECCOTI DELLE PALLINE DI LARDO UMANE PER FARE AMMENDA (o torturarti che sia), ma ahimè, Noah non credeva nella giustizia divina, ma soltanto nel potere dell'aesthetic e nella rottura di palle che erano le persone sotto i sedici o diciassette anni.
    Questo ovviamente non lo diceva esplicitamente. Aveva più volte lasciato intendere i primi giorni quanto fosse turbato nell'animo dalla presenza molesta di Con1 e Con2, ma non si era lasciato sfuggire di fronte a Idem e Amos alcun commento troppo cattivo nei confronti dei piccoli di casa, riconoscendo (con un certo oltraggio ovviamente) che probabilmente i due avrebbero mandato alla porta Noah piuttosto che i bambini (il che era già di per se oltremodo inconcepibile, e non faceva che aumentare l'astio di Noah nei confronti dei piccoli - era sempre stato particolarmente egocentrico e poco propenso a condividere le attenzione altrui, soprattutto se non ne capiva il motivo).
    Poi era arrivato quel martedì.
    «Cristo, stai fermo» aveva borbottato con una certa nota di stizza Noah lanciando un'occhiata severa all'uomo. «Non riesco a segnare le ombre, se continui a muoverti» Il sorriso sereno del modello, drappeggiato in un telo bianco e accomodato sul letto di Noah, non era diminuito.
    «Tutto è possibile per chi crede»
    «Credo che tu debba stare immobile» Mordendosi il labbro, il metamorfo era tornato con l'attenzione sulla tavola dove aveva installato la tela, come ogni martedì. Già nel periodo in cui aveva condiviso casa con Jericho (spinto dalla stessa vicinanza della special a voler diventare più forte) aveva preso l'abitudine di unire l'utile al dilettevole, tirando fuori i soggetti per i disegni da libri per allenare il proprio potere oltre alla propria mano, e quel giorno era particolarmente soddisfatto dell'uomo che si trovava di fronte a lui - fuori dal tempo, fuori dagli schemi; purtroppo, anche fuori di testa. Noah non era un esperto di cultura babbana, ma era piuttosto sicuro che non fosse troppo normale neanche per loro definirsi figlio di Dio.
    Vedendo la porta già accostata aprirsi leggermente Noah aveva alzato esasperato la testa, beccando la bambina di Idem a spiare dalla soglia. Si erano fissati per qualche secondo, il ragazzo ad aspettare che la piccola - come ogni volta in cui veniva guardava troppo a lungo - sparisse dalla sua vista; non lo aveva fatto. «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli»
    La piccola aveva passato lo sguardo dal quadro di Noah all'uomo nella stanza. Noah aveva dubitato che una bambina come lei, diffidente verso chiunque, potesse davvero accogliere l'invito di uno sconosciuto, ma forse questi aveva occhi abbastanza gentili, un sorriso abbastanza caldo, per non farla per lo meno scappare ma lasciarla invece dubbiosa sul ciglio, mezza nascosta dalla porta.
    «Puoi restare» il tono fintamente cortese che riservata a chiunque, una scrollata di spalle, ed era tornato a dipingere. «E prendere quei disegni, se ti interessano tanto» La bambina non se ne era andata. «...cosa? Cosa c'è?» aveva aggrottato le sopracciglia «Non leggo nel pensiero» Lei, in tutta risposta, aveva alzato il braccio indicando qualcosa. «La mia faccia? E' bellissima, si» Ed era tornato spazientito a dipingere. Quando aveva guardato nuovamente verso la porta diversi minuti dopo Tupp era sparita, e con lei i bozzetti di Gesù. «Penso, Noah, che volesse dirti che hai il viso sporco di pittura, e fosse il suo modo di ringraziarti»
    Era iniziata così la pace fra Noah e i bambini di casa Wisham. Il giovane uomo aveva scoperto che anche Cash, sicuramente più agitato dell'esemplare femmina, poteva apprezzare un buon disegno («Cosa vuoi oggi?» «Peppa pig!» «... ok decido io, vada per l'Ophelia di John Everett Millais»), e col tempo aveva quasi iniziato ad apprezzare i due, quando non erano troppo al centro dell'attenzione a suo discapito. Noah non proponeva sottotono a cena di venderli a un mercante di schiavi, loro non entravano in camera sua se non espressamente invitati, e se nel caso di Tupp lei faceva da silenziose (e a volte ignara) modella, nel caso di Cash questi gli insegnava a usare lo smart phone e altre tecnologie (magiche o babbane) con cui il bambino era cresciuto e che Noah ancora non capiva. Dopo qualche settimana il Parrish si era abituato alla nuova routine fatta di cartoni e pasti in compagnia, canzoni del giorno e origami sparsi in giro, routine del tutto lontana da quella che aveva avuto vivendo con Jericho; non peggiore, solo diversa, come un po' tutto da quando Van Lidova era diventato ministro. Noah aveva perso il lavoro a Hogwarts nonostante la richiesta a Damian di intervenire facendo leva sul suo cognome, ma la vita da mantenuto l'aveva perseguita per vent'anni, quindi non si sentiva particolarmente offeso dal licenziamento, e anzi continuava ad andare a feste, tornare tardi la sera, girare per Londra a qualsiasi ora del giorno e della notte.
    Anche in quel momento, pur essendo ormai più mattina che altro, camminava per la strada buia illuminata solo da lampioni annaspanti, fogli in mano e occhi a vagare in giro. Quando vide uno spazio vuoto su un muro si avvicinò, incollando uno dei cartelloni con il magiscotch. Si allontanò guardando il volto serio del bisnipote che lo scrutava. Accanto a lui, posizionò il ritratto di una ragazza dallo sguardo truce.
    Levi aveva scosso la testa quando aveva visto i manifesti, Noah aveva risposto facendo spallucce. «Cercare lui non riporterà indietro William, Mag, nè ti renderà una persona migliore» «Non lo faccio per William» «Ancora peggio»
    Noah aveva iniziato a mettere in giro anche nella Londra babbana quegli annunci di sparizione sapendo che non avrebbero probabilmente fatto la differenza, ma sebbene fosse sempre stato bravo a starsene con le mani in mano non riusciva a farlo in quel momento. Aveva ragione Levi, ovviamente: fare qualcosa per cercare Shane e Darden e Will e tutti gli altri scomparsi non avrebbe riportato indietro suo figlio, ma Noah era stato altrettanto sincero: non lo faceva per William in sè, ben conscio che ormai per lui fosse troppo tardi, e neanche lo faceva per gli spariti. Lo faceva per se stesso, per il dolore che gli prendeva alla bocca dello stomaco quando pensava che Shane o Run o altri potevano essere morti - come i suoi vecchi amici, come sua madre, come suo figlio e come sua nipote. Lo faceva per Idem, per le volte in cui - credendosi non vista - restava immobile con un sorriso stiracchiato a guardare un punto fisso dove Noah sapeva esserci questo o quel fantasma in cerca di aiuto. Per essere una persona migliore avrebbe potuto dire di starlo facendo anche per Lydia, Sin, Amos, Levi, Damian, Phobos... ma non trovava avesse senso mentire a se stesso inventandosi più altruista di quanto non fosse; se stesso e Idem erano più che abbastanza.
    Quando tornò a casa, cercando di fare meno rumore possibile, l'alba era già passata da un pezzo. Attraversò in punta dei piedi il corridoio sentendosi di nuovo un dodicenne braccato dai genitori, ma si fermò prima di entrare in camera notando un movimento in cucina. Sporgendosi leggermente, vide Idem già intenta a preparare la colazione, le labbra a muoversi leggermente mentre sussurrava qualcosa ai suoi ospiti invisibili. Quando lei strinse le mani sul bancone, Noah chiuse le proprie a pugno. Aveva conosciuto praticamente solo quella Idem, una Idem un po' rotta fatta di sorrisi che dispensava al mondo anche quando agli occhi del ragazzo era chiaro che non fossero sinceri. Non giudicava la falsità nella vita di Idem - chi era lui per farlo? - ma non l'approvava, se la perseguiva solo per far felici gli altri e non se stessa. Non riusciva a capire del tutto il comportamento della ragazza o l'altruismo spassionato che riservava ai morti, a chi un'occasione l'aveva già avuta, poichè per ogni favore che concedeva ad una di quelle anime, Noah poteva vedere una parte di lei incrinarsi un po' di più. Se non fosse stato certo che dirglielo era del tutto inutile, le avrebbe detto di lasciar perdere, e usare il proprio potere per sè invece che per loro. Avrebbe preferito, in ogni caso, non interessarsi affatto alla questione; sarebbe stato più facile anche per lui lasciarla affogare e basta nel dolore di altri.
    Si era dato diverse risposte del perchè Idem gli stesse a cuore, tutte vere e tutte in qualche modo incomplete. All'inizio era stato perchè quasi unica compagnia in una prigione di un mondo che a mala pena conosceva, poi perchè famiglia, così simile nell'aspetto a sua nonna da ragazza e a quella che era stata moglie e in qualche modo migliore amica di Magnus, e si era avvicinato ancora di più a lei per ripicca verso Levi che gli aveva detto di lasciarla in pace se non aveva intenzione di dirle la verità sul proprio conto. Ma sapeva che non fosse tutto, o abbastanza; per chiunque altro motivi del genere non sarebbero stati sufficienti a tenerlo tanto attaccato a questa o quella persona, cosa rendeva diversa la ragazza?
    Si stropicciò gli occhi, stanco per la nottata passata fuori casa, e dando le spalle alla cucina per andarsene non visto quasi si scontrò contro Tupp. Non cercò qualcosa da dirle (affascinare i bambini non era affatto divertente quanto lo era con gli adulti), ma si limitò ad un breve sorriso facendo il gesto di togliersi dalla testa un cappello invisibile in segno di saluto, prima di andarsene e rintanarsi in camera propria, dove si buttò sul letto ancora vestito togliendosi solo le scarpe e la giacca. Con gli ultimi residui di forza che gli restavano si mise al cellulare per pinnare, sprofondando nelle bacheche e infine nel sonno.

    Come direbbe guru Elisa, cinque ore di sonno a notte (mattina?) sono più che sufficienti, ben oltre la media di un liceale che deve censire quattro pg in un giorno. Il Cartoncino scottante nella tasca aveva destato Noah dal suo letargo, e dopo aver letto del luogo dell'incontro della Mystery gli si erano prospettate due alternative: cercare Amos sperando fosse in casa per scroccare un passaggio (una cosa che un corgi parlante in sedia a rotelle spesso non pensa, è che ci sono special che vivono a Diagon Alley e non hanno ancora ben chiaro come raggiungere Hogsmeade) oppure non rischiare che il lumocineta lo portasse di peso volando come l'ultima volta («Almeno prendimi in braccio come una principessa, altrimenti è antiaes») e trovare un'alternativa. Aveva optato per l'alternativa.
    Se ne era pentito in tempo zero.
    "Questa è la volta buona che muoio", pensò, «DO IT FOR THE AES» gridò però al vento.
    I capelli erano schiacciati per metà davanti alla faccia a causa del casco che - fosse stato per lui - non avrebbe usato (ma che col senno di poi era molto felice di avere), il busto fasciato in una giacca nera trovata qualche tempo prima in un negozio vintage. La mirabolante storia di come Noah per la prima volta guidò una moto pensando "beh, la usa Jericho quindi posso farlo anche io" e quasi si uccise (non solo schiantandosi, ma soprattutto a causa della borsetta lanciatagli dietro da una vecchietta quasi investita che a quanto pare si portava dietro mattoni per costruirsi un taj mahal grandezza naturale), ve le racconterò un'altra volta. Per ora basti sapere che la moto non era quella dell'ex coinquilina (gli piaceva il rischio, ma non così tanto) e che in qualche maniera (mistica, indubbiamente) arrivò a destinazione vivo e con tutti e quattro gli arti ancora attaccati al corpo. «Everyday I'm shufflin» ansimò fra i denti come grido di vittoria. Cosa? Se non aveva capito il senso della canzone del giorno e pensava fosse gergo da ggggiovaneh per esultare? Certamente.
    Scese dalla moto leggermente tremante, il fiato grosso, e resistette alla tentazione di inginocchiarsi a baciare la terra solo perchè un paio di ragazze dall'altro lato della strada lo stavano guardando, e voleva mantenere l'aria da figo che sicuramente aveva. Conceal don't feel don't let them know. Si tolse il casco passandosi una mano fra i capelli per ravvivarli, ma quando con un sorriso si inchinò leggermente verso le due (dai, che figata doveva essere l'unione di badboy in motocicletta e gentiluomo?? L'apoteosi della perfezione (???)) sentì un conato di vomito. Si voltò velocemente verso un cespuglio rimettendo insieme alla colapranzo anche l'anima. Well now they know.
    Si rialzò col viso più verde che rosa (di che colore vedi Noah, rosa e bianco o verde e nero?), e senza girarsi ulteriormente verso le tipe che ora sentiva ridacchiare alle sue spalle si diresse col casco sottobraccio al pulmino della Mystery, il passo incerto e scosso ma sul viso una maschera di indifferenza.
    Tenendosi con una sola mano si calò giù dal palo, e arrivato in fondo si mise a studiare il resto della sqwad - o chi di loro comunque era già arrivato. Meh, peccato mancasse ancora gente: gli piaceva arrivare in ritardo per mantenere quall'aria di mistero. «Buongiorno. Nathan, Richard, I-»
    «Zitto, Mosè! Freddie ha centrato un birillo»
    Uh, allora era giunto proprio nel momento topico.
    «Chi vince?» chiese con tono disinteressato coro in risposta da spero tutti «WILDCATS!»
    Non gliene fregava davvero granchè della gara canina (o meglio, voleva che loro pensassero non gli importasse, ma in realtà gli importava #psicologiainversa), ma desiderava si voltassero a guardarlo, con quel sorriso appena accennato, i capelli sbarazzini, e la giacca di pelle; con il casco tenuto fra fianco e braccio, stava dando loro materiale per nuovi pin, e sperava se ne rendessero conto. Le bacheche non si riempiono da sole.
    E a proposito di bacheche.
    Si girò, finalmente, guardando Idem intenta a studiare la mystery board. Posò il casco, e lentamente si posizionò al suo fianco, mani in tasca. Lo sguardo gli scivolò dalle foto sfocate di quello che doveva essere uno gnomo armato di ascia, a quelle degli scomparsi di dicembre (ignorando volutamente la Foto della Vergogna).
    «Ehi» non si voltò a guardarla, ma mosse comunque gli occhi per cercare di vedere la sua espressione. «Com'è andato il lavoro?»
    Nothing ever ends poetically. It ends and we turn it into poetry.
    All that blood was never once beautiful. It was just red.


    Edited by parrish‚ - 18/8/2018, 20:25
     
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    Scrollò le spalle, la fronte corrugata mentre sfogliava il libro di Peppa Pig. Incredibile, ogni volta era sospreso dal livello di volgarità e disagio che quei maiali potevano raggiungere, non poteva credere che fosse un libro per bambini «lo sapete che non è educativo, vero?» figurarsi se non si era informato sui blog per le mamme, lui. «ha sei mesi, figurati se fa caso a quello che c’è scritto» onesto, Jade, but not good enough. Se anche Cash avesse avuto pochi mesi, neanche lui si sarebbe preoccupato del contenuto dei libri, ma non era così: il suo bambino stava crescendo e l’Hamilton non stava ancora facendo niente con la propria vita.
    Amos scrollò le spalle, promettendosi di far sparire Peppa Pig dalla libreria Eubeech, prima di cambiare argomento «eee jade?» si grattò la nuca, lo sguardo a guardare ovunque tranne che il volto della ragazza «potresti aiutarmi a buttare giù un paio di barre?» la nuova passione dell’Hamilton era così trash che aveva timore ad esporla ad alta voce, non sapendo che opinione avesse la coppia? sul rap. Avrebbe potuto fare tante altre cose, il lumocineta, anzi di improvvisarsi il nuovo Soho, eppure aveva bisogno di qualcosa da fare; dopo che i suoi amici erano scomparsi e il Ministero l’aveva cacciato fuori di casa, doveva elaborare i suoi pensieri in qualche modo, e poi aveva scoperto di non essere bravo a dipingere. I suoi “quadri” assomigliavano più a quelli di Cash, che a quelli di un artista. «quando vuoi» un sorriso fece capolino sul volto dell’Hamilton, insieme a un paio di finger guns rivolte alla bionda «luv ya beech, never stop luving ya beech» gli mancava la chitarra, ma i feels ce li aveva messi tutti.
    Eugene, nel frattempo, era emerso dal mondo di Peppa Pig non appena aveva colto la reference ai vines – sì, perché Amos aveva molestato anche lui con la sua nuova ossessione. «sensei, ho bisogno del tuo aiuto» la determinazione negli occhi dell’Hamilton significava solo una cosa: era ora della cazzata settimanale.

    Nel momento in cui Lydia gli aveva detto che non avrebbe avuto mai il coraggio di farlo, sapeva che quella sarebbe stata la fine della dignità di Amos. Da quando lui e la Hadaway si erano infognati con i vines, non erano più stati gli stessi: coglievano /segnali/ laddove altri potevano vedere, per esempio, delle capre. Ancora qualche compliation su YouTube e sarebbero passati per qualcuno della gen z, loro e la loro infinita conoscenza del web.
    Peccato che fossero in ritardo di anni: Vine era ormai morto.
    Quando l’avevano scoperto ci erano rimasti quasi più male che con la sparizione dei loro amici e famiglia, tale era il lutto che sentivano: era come aver perso un fratello.
    L’Hamilton inspirò ed espirò rumorosamente, cercando di ignorae il cuore a martellare furiosamente nella gabbia toracica, non aveva idea di cosa stava facendo e del perché si dovesse cacciare in quelle situazioni. Stava mettendo in discussioni tutte le scelte della sua vita, in quel momento. «fuck me» quando vide il segnale di Eugene, incominciò a correre a petto nudo lungo il McDrive alzando le braccia al cielo – col senno di poi, avrebbe potuto anche considerare la bassa temperatura. Si fermò davanti allo sportello e prese in mano la coca cola che la donna stava tendendo in mano, per poi voltarsi verso l’auto e fare l’occhiolino alla telecamera «PER NARNIAAA!!!! » si rovesciò il contenuto della bevanda sulla testa e sul petto, stando attendo a spalmarsi bene i cubetti di ghiaccio sulla pelle. Voleva un po’ morire, se pensava ai suoi capezzoli diventare ancora più turgidi e la pelle d’ora a rizzargli i peli in diretta Instagram.
    «non avete aperto instagram nell’ultima ora, vero?» esordì in quel modo, appena aprì la portiera del van, con una ciocca di capelli ancora a gocciolare sull’occhio. «e buongiorno gente» portò due dita alla fronte, salutando coloro che erano già arrivati. In quel momento, quando sentì gli occhi dei suoi compagni sulla felpa un po’ umidiccia, desiderò di aver avuto più di cinque minuti per mettersi apposto. Amava così tanto il tempismo di Dick, sempre a coglierlo impreparato ne momenti meno opportuni. Si avvicinò alla televisione, mentre lasciava i discorsi sull’aesthetic alla Wish, e si chinò alle spalle di Nathan per osservare le figure sullo schermo «avete già piazzato le scommesse?» perché, nel dubbio, non si era mai troppo poveri per scommettere sui cani.
    I wish I didn't care all the time


    SISTEMO DOMANI NON LEGGETE DAVVERO


    Edited by cocaine/doll - 27/3/2018, 09:54
     
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    28.02.2018 | h: 15:45
    Sentiva la tifoseria del resto della squad distante, quasi non si fossero trovati nella stessa stanza. Ovattata, coperta dal ronzio opaco di pensieri che aveva smesso di cercare di districare quando aveva capito che non ve ne fosse alcuna necessità – non aveva bisogno di comprenderli, per sentire lo stomaco serrarsi. Indugiò con l’indice sopra la fotografia ritraente il viso di sua sorella, gli occhi color ghiaccio in netto contrasto con la pelle chiara, seppur non quanto quella di Idem, e le sottili sopracciglia corvine. Cercava di convincersi che non fosse così diverso dalle altre volte in cui Darden, o Gemes, se n’erano andati; che loro facevano così, e non significava nulla. Non avrebbe dovuto sentire quella mancanza pesare sui polmoni, consapevole che la situazione non fosse particolarmente diversa rispetto a un anno, o due, prima. Socchiuse le palpebre, strinse le labbra fra i denti chiudendo la mano a pugno per trarla contro il proprio petto. «Ehi» Volse il capo verso sinistra, un sorriso distratto ed istintivo sulle labbra. «Com'è andato il lavoro?» Idem Withpotatoes sapeva che in realtà, a Noah Parrish, non interessava affatto come fosse andata la sua giornata lavorativa: era ingenua, non stupida – e bisognava esserlo parecchio per convivere con lui e non comprendere quanto diverse fossero le loro scuole di pensiero. Eppure, quel genere di convenevoli erano ciò che facevano sempre sorridere la Withpotatoes, poco importava che fossero ritenuti superficiali o falsi dalla mentalità comune: contava il concetto di base, il solo applicarsi a mostrarsi gentile sapendo che al proprio interlocutore potesse far piacere o l’essere cortesi per buon vivere comune. Erano cose sciocche, scontate, ma non per Idem. Mai, per Idem. Dondolò sui talloni stringendosi nelle spalle, bocca storta da un lato e sopracciglia arcuate. «è un periodo complesso» rispose diplomatica, stringendo le mani fra loro di fronte a sé. «vorrei…» voleva un sacco di cose, la medium. Voleva che gli Scomparsi tornassero; voleva che Van Lidova si rendesse conto del Governo distopico che aveva creato, e smettesse di uccidere ragazzini il cui solo peccato era stato quello di finire nei Laboratori; voleva eguaglianza, libertà. Un periodo di pace, dove respirare non fosse così dannatamente difficile. «poter essere più d’aiuto.» concluse invece in tono basso e assorto, la guancia stretta fra i denti. Non una lamentela quella di Idem, non un vittimismo ingiustificato: era un semplice dato di fatto, e certamente non una novità per chiunque avesse parlato con lei per più (ma anche meno.) di cinque minuti. Le piaceva sentirsi utile, sapere di aver migliorato, anche se di poco o per poco, la vita di qualcuno. Ci credeva davvero che tutti nel loro piccolo potessero fare qualcosa, che perfino un’anonima Idem potesse, nel suo piccolo ufficio al San Mungo, cambiare la storia – ma era difficile mantenere salda la fede quando i suoi pazienti le si disfacevano davanti agli occhi in lacrime e suppliche, in polsi graffiati o attacchi di panico. «sarebbe più semplice se potessero rimanere con le loro famiglie» osservò, piegando il capo sulla propria spalla. Cosa? Se Idem aveva cercato di parlare con il responsabile degli Special per avere un colloquio con Van Lidova? Se aveva stampato magliette e spille con l’hashtag #familyreunion? Certo che sì. Era una Ribelle da quasi tutta la vita, non avrebbe smesso di lottare solamente perché l’avevano spinta ancora un poco nella fossa – e nel sangue, nelle rivoluzioni, non aveva mai creduto: servivano compromessi; serviva una tregua.
    Serviva che il mondo si rendesse conto di quanto tutto fosse sbagliato. «almeno i minorenni» uno sbuffo d’aria fra i denti, lo sguardo a farsi triste e morbido. Scosse impercettibilmente il capo, curvando ancora le labbra in un sorriso verso il metamorfo – e guardandolo più attentamente, non potè che aggrottare le sopracciglia. «hai…» una brutta cera? Non si sarebbe mai permessa di dirlo ad alta voce ad un cuore sensibile come quello del Parrish. «preso la moto.» osservò invece divertita, facendo scivolare lo sguardo dal casco alla chioma artisticamente spettinata del moro. «mi ricordi un po’ fonzie» allungò d’impulso una mano per spostare delicatamente una ciocca di capelli nel verso corretto. «è un complimento» specificò, annuendo fra sé.
    Fu in quel momento che ebbe l’illuminazione.
    «dovremmo fare delle giornate a tema» si volse verso il resto della squad, impegnato (come al solito) a non far nulla. Raggiunse il frigo (si, abbiamo un frigo) e prese, come da manuale ogni volta che aveva un’idea, il fruttolo con i m&m’s – sì, amava lo yogurt; aveva passato troppo tempo con il prof di Corpo a Corpo – lanciando i cioccolatini ad Amos per tenersi solamente la crema alla vaniglia. «tipo happy days» affondò il cucchiaio nel dolce, sopracciglia lievemente corrugate. «e indaghiamo sui cold case» perchè? Ma perché no, vi direi io. «negli anni cinquanta erano nel cuore della questione bigfoot, no?» Probabilmente no, ma lei alzò comunque il cucchiaio verso l’alto in segno di vittoria. «riapriamo il caso!!&&» eh, brutta la disoccupazione.
    «e comunque no, non ho aperto instagram» osservò Amos a palpebre socchiuse, la testa leggermente sollevata. «avrei dovuto?» COSA CI NASCONDI BRODI FIBRA, EH? CON CHI CI TRADISCI? cosa.
    I'm fighting with gravity Trying not to fall
    But how come the ones we love can make us feel so small?
     
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    Amos si sentiva bagnato e condito come un tacchino al Ringraziamento, e non era sicuro che la similitudine gli piacesse. Insomma, era chiaramente più bello di un tacchino - se avesse dovuto scegliere un uccello, di certo non sarebbe stato quello. Non aveva idea di quale sarebbe stato però, sentiva di dover avere prima un’intensa conversazione sui volatili e sul loro aesthetic con Noah. Se l’Hamilton avesse potuto, si sarebbe tolto quella felpa che si attaccava alla pelle e avrebbe mostrato a tutti il suo (poco) fisico, peccato che qualcuno (Rea) gli aveva detto che non fosse carino andare in giro a petto nudo. Beh, era solo gelosa perché lei non poteva farlo, anche se a quel tempo aveva evitato di dirglielo: voleva vivere. «dovremmo fare delle giornate a tema» il fotocineta spostò gli occhi chiari sulla ragazza, un sorriso entusiasta a curvare le labbra non appena sentì la sua idea. Amava le giornate a tema, specie quelle dove ci si doveva vestire secondo diverse epoche, anche se dubitava che in quel caso si trattasse di quello. «uh, è un’ottima idea! così variamo anche un po’ » cosa, non aveva ancora idea dei temi? Dettagli, e poi si fidava di Idem. «tipo happy days» non aveva capito, intendeva la canzone? Era molto confuso, ma lo mascherò addentando le caramelle che Idem gli aveva passato, così da sembrare occupato senza dover davvero parlarle. «negli anni cinquanta erano nel cuore della questione bigfoot, no?» gli occhi si illuminarono all’improvviso, diventando due fari a led nella notte (cosa). Aveva forse sentito bigfoot? Era uno dei suoi casi preferiti, un po’ come quello degli alieni nell’area 51 e dei cerchi nel grano. L’Hamilton si ricordava quando in gioventù aveva perso ore della sua vita a cercare quante più informazioni su questi casi, infognandosi a un livello imbarazzante. «riapriamo il caso!!&&» quel giorno, lui è Idem erano connessi a un livello spirituale superiore, lo sentiva nel flusso dell’aria calda. «ti prego‼&& sarebbe il mio sogno» posò una mano al petto nel tipico segno julie, cercando nel resto dei presenti un segno di approvazione «siete con noi?» voleva sentirsi rispondere SÌ, SIGNOR CAPITANO nel caso non l’avessero capito, come aveva risaputo loro diverse volte. C’era una leggenda che narrava che se ripetuta tre volte davanti a uno specchio, questa formula avrebbe fatto apparire il Capitan Nathaniel Henderson. Amos aveva provato, peccato che non avesse funzionato. «e comunque no, non ho aperto instagram» tirò un sospiro di sollievo, lanciando l’ennesima m&m’s in bocca e facendo centro, mostrando quanto fosse impegnato a Idem. Dai, a vederlo così indaffarato non gli avreb- «avrei dovuto?» ecco, come non detto. Si grattò nervoso la nuca, dibattendo se dire la verità o aggirare la questione - per carità, non era niente di grave, era solo imbarazzato da quello che aveva fatto. E se avessero cambiato l’opinione che avevano su di lui? E SUI SUOI CAPEZZOLI?? Non voleva diventare il nuovo Nick Jonas «oh, non è niente» mosse la mano in aria come per scacciare una mosca, un sorriso imbarazzato in volto «diciamo che ho accettato una scommessa e ho fatto un dove dove sono mezzo nudo. Niente di che, ma è una cosa imbarazzante‼&&» si fermò un attimo, gli occhi a vagare per la stanza «sapete, è un vine» disse, come se spiegasse tutto quello che c’era da sapere sulla questione - e, in effetti, lo faceva.
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    Quasi non si accorse Nathan dell'arrivo dei due ragazzi, troppo preso dall'avvincente e spietata competizione che si stava tenendo in chissà quale parco chic della Londra babbana. Non avrebbe mai potuto immaginare come potesse essere dura la vita per un cane da mostra, ma era quasi certo che Dick III stesse avendo i war flashback assistendo a quello spettacolo, come un vincitore degli Hunger Games costretto a guardare la nuova edizione dei giochi. Non sapevano molto del cane, potevano solo immaginare le centinaia di avventure che aveva vissuto nella sua splendida e inusualmente lunga vita canina.
    «Chi vince?» lanciò uno sguardo veloce al ragazzo appena entrato nel Quartier Generale, un saluto di cortesia per poi riportare la sua attenzione allo schermo «credo che il barboncino stia passando in vantaggio»
    «santi numi, Tristan, come ti sentiresti se le persone iniziassero a chiamarti usando la tua razza?! Quell'eroe ha un nome ed è meglio che tu lo impari» non si era reso conto di quanto il loro boss avesse preso sul serio la situazione, certo, la sua ramanzina avrebbe avuto più senso se lui stesso avesse seguito quell'esempio, degnandosi di ricordare i nomi dei suoi agenti. «comunque io sono Nathan... o Nate... ma anche N se preferisci...»
    «va bene, M, adesso basta chiacchiere»
    Sospirò esasperato, prima o poi si sarebbe dovuto arrendere sperando che ricordasse almeno i loro nomi in codice, ma ovviamente il Wellington era troppo cocciuto per rinunciare, ma allo stesso tempo troppo buono per arrabbiarsi con quella creatura decisamente in sovrappeso per la sua statura.
    «avete già piazzato le scommesse?» arrivò prima l'odore di cocacola che le parole alle orecchie di Nathan, che guardo perplesso il nuovo arrivato nel minivan. Era ovviamente bagnato (mlml) ma il mimetico decise di non voler sapere nè perchè, nè di cosa e soprattutto non volle intromettersi nella nuova discussione che sarebbe scaturita da quella domanda. Era ovvio che il corgi avesse scommesso sui suoi simili ma non lo avrebbe mai ammesso.
    Non prima di un'ennesima paternale su come quello sport fosse una nobile arte da apprezzare nella sua genuinità senza pensare a doppi fini.
    Ad ogni modo erano quasi tutti lì, mancava solo il più grande e il meno maturo dei componenti e Nate iniziò a chiedersi se forse non avesse dovuto organizzarsi con lui per raggiungere la squad, in fondo si trovavano entrambi ad Hogwarts e il mimetico aveva una segretissima (ma non troppo) cotta per l'automobile volante posseduta dal professore. Aveva ancora un po' paura delle alture e sapeva che non erano i mezzi più affidabili del mondo, figuriamoci nelle mani del Campbell, ma cosa ci poteva fare se era un amante del rischio? E no, non era solo una scusa che usava per non rivelare che aveva seri problemi ad allacciarsi le scarpe, lasciando dunque i lacci completamente slegati e pronti ad attentare alla sua incolumità.
    Probabilmente dovevano ancora informarlo del fatto che avesse diciannove anni suonati, ma in fin dei conti lui sarebbe dovuto essere morto già da un pezzo quindi gli si poteva solo fare un grande applauso per non essersi fatto sgamare.
    Per adesso.
    Ad ogni modo erano riuniti lì senza ancora saperne il vero motivo o probabilmente il boss li aveva chiamati per sbaglio e, conoscendolo, non aveva avuto il coraggio di dire di aver sbagliato, dovendoseli sorbire lì, quei quattro scalmanati a fare casino mentre cercava di seguire la televisione. Non si sarebbe nemmeno stupito se fosse successo esattamente quello, ma per fortuna Idem riuscì a distogliere l'attenzione dal quel quesito prima che Dick potesse vergognarsi così tanto da rotolarsi sulla pancia e lasciarsi fare i grattini, unica ed efficace tecnica per distrarre tutti i presenti.
    «dovremmo fare delle giornate a tema e indaghiamo sui cold case, negli anni cinquanta erano nel cuore della questione bigfoot, no?» vorrei potervi dire che lo sguardo pensieroso del giovane fosse dovuto all'architettare trappole e teorie sul fantomatico anello mancante tra la scimmia e l'uomo, ma nessuno di voi mi crederebbe e probabilmente già saprete che in realtà Nate J stava ripercorrendo mentalmente gli outfit di tutti i personaggi di Happy Day alla ricerca di quello che gli sarebbe calzato a pennello. Se pensate che fosse un ragazzo superficiale che prendeva tutto alla leggera, siete in errore, perchè vestirsi a maschera era una di quelle cose che Nathan riteneva sacrosante e da prendere in tutta serietà.
    Ovviamente anche la cosa del bigfoot aveva il suo fascino #nokinkshaming.
    «Dite che riesco a trovarlo il costume da cugina campagnola di Fonzie?» chiese fingendo di non essere rimasto troppo offeso dal non aver ricevuto nemmeno uno degli m&m's brutalmente rubati al loro scopo (ovvero affogare nello yogurt fornendo uno snack fitness ma non troppo al consumatore), ma probabilmente nessuno notò la sua domanda, grazie al cielo, troppo impegnati a scoprire cosa fosse successo ad Amos.
    Se prima aveva paura della storia dietro alle chiazze di bagnato sulla felpa del lumocineta, adesso il gioco di scommesse, video e cose imbarazzanti lo allettava in modo a dir poco alalrmante. MYSTERY LEGATELO O VI DA FUOCO AL VAN #doitforthevine
    #ain'tgoingdoit
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    «è un periodo complesso. vorrei… poter essere più d’aiuto.» Seppur non si stessero ancora guardando, il sorriso di Noah si adattò al tono di voce di Idem, diventando quasi triste. Avrebbe potuto dirle che capiva quel bisogno, che anche lui si sentiva così e avrebbe desiderato essere un uomo migliore in grado di salvare gli altri... ma mentire su certi argomenti, con Idem, era sempre inutile; la medium sapeva perfettamente che al Parrish interessavano si e no cinque o sei persone, e che le difficoltà di sconosciuti, finchè non riguardavano lui, non lo toccavano minimamente. Poteva, comunque, essere sincero: «Stai già facendo più di molte persone, Idem» Voltò la testa verso di lei, guardando il suo profilo qualche istante prima di tornare a osservare la bacheca; con gli occhioni e la frangetta, sembrava perennemente una ragazzina. «Sei una psicomaga eccezionale, e come persona fai il possibile per rendere tutti felici. Il mondo non potrebbe chiedere di meglio» il fatto che Noah non fosse un Idem, e non avesse intenzione di diventarlo, non voleva dire che non ne riconoscesse la bontà. Non era così stupido da pensare che sarebbe uscito sano di mente dai laboratori se non avesse avuto il privilegio di incontrarla prima che fosse troppo tardi.
    «sarebbe più semplice se potessero rimanere con le loro famiglie. almeno i minorenni»
    Fece spallucce. Aveva ancora attaccato alla giacca di jeans la spilla #familyreunion che idem aveva dato lui, ma aveva sempre preferito non parlare dell'argomento, appoggiandola solo perchè lei ci teneva, ma non andando a mettersi nei casini con cariche del ministero. Per una volta, il motivo per cui non voleva discutere sull'importanza o meno di far vivere gli special con le proprie famiglie era qualcosa di reale; Noah era stato per più di vent'anni sotto lo stesso tetto dei propri genitori, e non era sicuro la cosa gli avesse fatto particolarmente bene. (E qua salutiamo Amos? Facciamo di sì, linea temporale cosa sei NON TI STO IGNORANDO, BRO)
    Quando vide con la coda dell'occhio Idem voltarsi verso di lui fece lo stesso, incrociando e ricambiando il suo sorriso. «hai… preso la moto.»
    Ah, ecco. Adesso parlavano di cose interessanti! Mostrando i denti in maniera spavalda, sollevò le spalle minimizzando la cosa. «Un giorno ti ci porto» Un giorno molto molto molto molto lontano, vicino al mai; non solo voleva ancora ucciderla, ma avrebbe preferito anche evitare di rischiare nuovamente la vita. Magari prima avrebbe visitato wikihow per imparare a guidarla, una moto, mh?
    «mi ricordi un po’ fonzie» Seguì la sua mano, deliziato da come gli sistemò i capelli stile mamma, ma aggrottando le sopracciglia cercando di capire a cosa si stesse riferendo.
    «Come le patatine?» il ventunesimo secolo era strano, una volta aveva sentito dire ad una tipa "sei una figa paura" e insomma, ai suoi tempi la gente non dava della vagina come complimento... magari dire che era un fonzie era sempre un modo per dargli della patata?? L'importante ovviamente era che fosse un complimento.
    Niente, comunque: Idem l'aveva già persa, e probabilmente non gli avrebbe più risposto. La seguì con sguardo divertito mentre si serviva da mangiare e spiegava il proprio piano sulle giornate a tema, e si avvicinò al frigo anche lui per prendersi - mh. Ovviamente, quella non era la propria versione del mini van, quindi niente alcol. Con un mezzo sospiro prese una bottiglietta di coca cola (meno buona della pepsi ma più aes sks), cercando rapido l'apribottiglie.
    Portò il vetro alle labbra e iniziò a sorseggiare continuando ad ascoltare il resto dei suoi compagni esaltarsi per la storia delle giornate a tema, e doveva dire la verità: piaceva un sacco anche a lui l'idea. Adorava travestirsi, ed ogni scusa era buona - poteva sempre cercare su pinterest di cosa diavolo stessero parlando (happy days??? nel senso che dovevano mettersi smile e cose simili addosso?)
    «negli anni cinquanta erano nel cuore della questione bigfoot, no?»
    «Anni cinquanta?» ridacchiò, prendendo un altro sorso. «Si vede che ancora non eri nata nel 1967. Patterson e Gimlin ci hanno fatto impazzire con quel video» bloccò la mano con la bottiglia a mezz'aria. fuck. «Li hanno fatti impazzire; i ricercatori di sasquatch dell'epoca, dico» nailed it. Si buttò rapido nuovamente sulla bibita, come se niente fosse successo.
    «e comunque no, non ho aperto instagram. avrei dovuto?»
    «oh, non è niente. diciamo che ho accettato una scommessa e ho fatto un video dove sono mezzo nudo. Niente di che, ma è una cosa imbarazzante‼&&. sapete, è un vine»
    Cosa... di cosa stava parlando. «...ah» annuì. "sapete, è un vine" No, non sapeva. Avrebbe dovuto? Che cos'era un vine ??? «Possiamo vederlo?» DANNAZIONE e se era un sentimento e non si poteva vedere?????? «Sul tuo instagram» ovviamente. Insomma, se aveva paura l'avessero visto da lì, voleva dire che qualcosa c'era da vedere.
    anche se...
    cos'era instagram? non era certo di saperlo; Con!maschio non gliel'aveva ancora fatta quella lezione.
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    «oh.» Phobos sospirò, premendo i pugni contro i fianchi. Socchiuse gli occhi alzando il capo verso l’alto, lo sguardo verde ad osservare attraverso il tulle protettivo il timido sole di fine inverno: era davvero una bellissima ed inaspettata giornata. Ottima, per ciò che poteva riguardarlo, al fine di dedicarsi corpo ed anima alle proprie arnie, costruite artificialmente dal Campbell stesso in un campo di sua proprietà poco fuori dalla cittadina di Inverness – completamente isolato, inabitato in un raggio di circa tre chilometri, insensibile alle insofferenze della vita mondana e dal terribile caos che ne era parte integrante e fondamentale. «mh,» rimase a studiare il cielo per più tempo di quanto quel lavoro gli permettesse di fare, trascurando momentaneamente tutti gli alveari (ed erano… davvero tanti: not gonna lie) che ancora doveva passare a controllare e curare. Doveva davvero prendere in considerazione l’idea di assumere qualcuno che lo aiutasse, dato che le sue adorabili figlie passavano più tempo su Instagram, quando chiedeva loro di andare con lui a fare il lavoro sporco, che effettivamente sul campo - da una parte ne era anche contento: forse avrebbero seguito la moda e sarebbero diventate bellissime e fantastiche influencer (a patto che sponsorizzassero i suoi prodotti e l’apiterapia che aveva iniziato a praticare nello stesso terreno, in un rustico poco distante dalle arnie) -; dovevano essere passate una mezza dozzina di ore da quando erano lì, ed ancora mancavano un centinaio di alveari da pulire e da cui aspirare la pappa reale.
    Ci sarebbero morti, in quella colonia. Umettò le labbra per poi mordersele distrattamente, assorto nella contemplazione dell’infinitezza e magnificenza della natura. C’era qualcosa che gli sfuggiva, qualcosa che non tornava, e che lo faceva sentire terribilmente a disagio - lui, che a disagio non lo sarebbe stato nemmeno nudo davanti ad un auditorium pieno di maghi insigniti dell’Ordine di Merlino, Prima Classe, riuniti in conferenza. «zenith, sai dirmi che ore sono?» non ebbe nemmeno bisogno di urlarlo, sebbene la bionda fosse a qualche decina di metri di distanza: c’era talmente tanto silenzio, che avrebbero potuto sussurrarsi da una parte all’altra del campo e riuscire comunque a sentirsi a vicenda. Un tempo, quando era un bravissimo lupetto della divisione dei boyscout delle Highlands scozzesi, avrebbe saputo dire con certezza che ore fossero soltanto osservando il cielo – ma a quel punto aveva una certa età, ed era fatto: necessitava dei suoi bastoni della vecchiaia.
    Ciononostante, la ragazza non rispose. Il professore, statuario nella tuta d’incerata bianca, non ci provò una seconda volta, consapevole l’avrebbe nuovamente ignorato – quanto era adorabilmente stralunata, la Gallagher. «phoebe?» tentò, cambiando preda. «eh?» «che ore sono?» «no, non mi pare» «mh?» «eh!» batté le palpebre un paio di volte, decidendo che fosse il momento opportuno per scollare lo sguardo dal sole e portarlo sulla figlia. Sì, okay, aveva fumato anche lei nella pausa pranzo, ma non… così tanto. Riusciva a raggiungere livelli di confusione così alti, che riusciva a complicare la vita di chi, perplesso, lo era molto di meno. «cosa ti ho chiesto?» a quel punto, non ne era più così sicuro. «se ci sono le stelle nel cielo?» era… una domanda? «no? non credo?» «eh, quello che… ti ho detto anche io??» «non… era quello che…» intendevo, ma non concluse: avrebbe al cento percento lasciato cadere un accento interrogativo, il che li avrebbe chiusi in un loop spazio-temporale che avrebbe spaccato la realtà ed aperto le porte ad un universo alternativo.
    Non che fosse possibile, eh. Figurarsi. Universi alternativi! Fantascienza, altro che magia.
    Beh, assurdità a parte. «mi dai il tuo telefono?» «nO» «devo solo vedere l’ora???» «potevi chiedermelo ??????» «l’ho fatto????» «l’hai fatto?????» - ed andò avanti così, per almeno una decina di minuti. Solo alla fine, i due Campbell riuscirono a contrattare: due grammi per sapere l’ora esatta [ tg5 theme.mp3 ]. Come fosse riuscito a farsi fregare di nuovo, è tutt’ora ignoto al trentenne.
    «ah,» sospirò nuovamente, tornando ad ammirare l’orizzonte. Sorrise ancora, più consapevole del tempo. «merda.»

    Phobos Xavier Campbell era un maestro nell’arte del ritardo agli appuntamenti. Un dono, l’avevano definito più volte i suoi professori, i suoi diversi datori di lavoro, i suoi colleghi e compagni alla resistenza ed, infine, i suoi stessi studenti: lui, com’era giusto che fosse, non l’aveva presa come un’offesa, o una critica. Era un dato di fatto, un assioma, e come tale impossibile da modificare.
    Chiariamoci: molto difficilmente si dimenticava di un impegno preso, o di una data prefissata a cui non mancare per alcun motivo al mondo. Semplicemente, si perdeva in un bicchiere d’acqua – e mentirei, se qui vi dicessi che non capitò mai nella maniera più letterale che la metafora potesse concernere. Scese dalla macchina quasi lanciandosi nell’Aetas, sbirciando il biglietto incantato sul quale era apparso il luogo e l’ora della prossima riunione, e chiedendosi ancora quanto avesse tardato lungo il tragitto – senza, ovviamente, potersi rispondere: troppo mainstream portare con sé un orologio, o perdere ulteriore tempo a cercare il telefono. Di quanto era in ritardo? Minuti, ore? narrator’s voice: mesi. NON ERA IMPORTANTE!!!&& Tutti lo conoscevano e lo amavano così com’era.
    Si tuffò – letteralmente, sempre – nel camioncino parcheggiato alla bell’e meglio, buttandosi a peso morto sul tubo e scendendo nel piano inferiore della Mystery Machine, piroettando con la mancata grazie ed eleganza che avrebbero potuto far di lui un fantastico pole dancer ai tempi d’oro (quali.). «eeeeeEeEeEhi!» si annunciò, lanciando pastarelle e dolci d’ogni genere che si era fermato a comprare per la strada – eh, ovvio: che non la fai una tappa in pasticceria? Certo che la fai. «amos, ho visto il video! sei un grande!» alzò i pollici verso il biondo, sorridente e sinceramente entusiasta del gesto del fotocineta – sicuro, aveva fatto un breve pit stop per guardare tutte le varie stories di Instagram che si era perso nel corso della giornata. «noah, bella giacca!» attese un high five che non arrivò repentino come aveva sperato, e si fermò ad osservare l’oggetto dell’interesse di tutti i presenti. «uh, chi vince? WILDCATS – no, scusa bello, intendevo WILDOGS! oh mio dio quanto sei COCCOLOSO» cosa, se sapeva che il corgi odiasse le coccole? Sì. lo avrebbe fermato dal prenderlo in braccio, piroettare con lui e strapazzarlo tutto? «mettiMI Giù FABIUS» no, non lo avrebbe fermato. Posato nuovamente il (poco) tenero cagnolino, ed aver scompigliato i capelli al più piccolo del gruppo, rivolse un inchino alla Withpotatoes. «nastro delizioso, idem» convenne sincero.
    Se stesse cercando di confonderli così da non fargli notare l’indicibile ritardo? Figuriamoci. «allora, perché siamo qui? ABBIAMO UN CASO?» finalmente, avrebbe voluto aggiungere.
    Qualcosa di divertente, magari.
    A guardarli, sembravano averne tutti un gran bisogno.
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    28.02.2018
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