lost in ourselves

eleonor x sherman

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  1. .eleonor
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    BEATI BELLICOSI
    sheet | ELEONOR VALERIE AZIKIWE | RIBELLE | 18 YEARS OLD | pensieve
    Si strinse nel lungo mantello color prugna, per proteggersi dal vento pungente. Si guardò intorno, studiando i volti degli studenti che gremivano intorno a lei. Era arrivata da poco in Inghilterra, un mese appena, e ancora doveva abituarsi al freddo glaciale che serpeggiava tra le strade. Aveva deciso, per la prima volta da quando era arrivata, di fare un giro nella famigerata Hogsmeade. Diciamo che in quei giorni faceva un giro molto spesso. Non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva, ma si sentiva quasi sola. Era un pensiero deprimente per una donna come lei che si era sempre considerata tremendamente emancipata ed indipendete, ma – diamine! – non era ancora riuscita a scambiare due parole con nessuno. Probabilmente non si ricordava nemmeno più come si faceva a chiacchierare. Non era mai stata una chiacchierona, ma questo era troppo anche per lei. L’umile monolocale in cui abitava (okay, umile forse è un superlativo) per quanto piccolo non la faceva sentire protetta come le mura della casa di sua nonna, che aveva lasciato a un migliaio di chilometri di distanza. Probabilmente in quella topaia non ci sarebbero entrate più di una persona e mezzo, ma si sarebbe volentieri stretta un po’ di più pur di sopperire a quel vuoto che ogni tanto le premeva nel petto. Così, quel giorno, dopo aver passato i precedenti due a rimuginare sulla sua vile condizione di straniera in paese straniero, aveva deciso di affrontare di petto la situazione, così come era sempre stata abituata a fare. Si alzò di buon ora, diede una veloce sistemata alla casa e si preparò una litrata e passa di caffè, per darsi la carica giusta. Una lunga doccia e una crisi isterica di fronte all’armadio dopo, era pronta per smaterializzarsi lontana dal suo monolocale. Per quanto fosse una persona a cui poco importava del suo aspetto fisico, non aveva la minima intenzione di rischiare di incontrare qualcuno con indosso la sua tuta più consunta e la sua felpa più larga. Si era ripromessa, infatti, che fino a che non fosse riuscita a farsi almeno un’amica (non doveva essere una richiesta così assurda!), avrebbe cercato di nascondere la sua indole forse un po’ trasandata il più a lungo possibile. Si era fasciata con un tubino nero lungo fino al ginocchio, dimenticando di non essere più in Africa e omettendo completamente le calze, arrancando su un paio di comodissime decolleté dello stesso bordeaux del mantello. Non appena arrivò sulla via principale del piccolo paesino magico, si pentì di non aver preso precauzioni migliori contro il freddo. Santo cielo, ma come facevano a sopportare quel vento? Tirò un lungo sospiro esasperato, osservando con invidia crescente i gruppetti di ragazzi che scorrazzavano qua e là, cercando rifugio dal maltempo in quel bar o in quel negozio. Iniziò a camminare, senza avere una meta precisa. Si guardava intorno affascinata, studiando qualche vetrina, un po’ sovrappensiero. Non riusciva a togliersi dal petto quel peso opprimente, quella sensazione di solitudine che le sapeva tanto sconosciuta. Era pur sempre Eleonor, non avrebbe mai permesso a nessuno di provocarle una sensazione tanto brutta e la consapevolezza che si stesse arrecando tutto quel dolore da sola la fece infuriare con se stessa. Era come un circolo vizioso: si sentiva sola, si arrabbiava perché si sentiva sola, si deprimeva perché non c’era nessuno con cui parlarne, si arrabbiava perché lei non aveva proprio il bisogno di parlare con nessuno di nessunissima cosa. Esasperata, si tirò il giù il cappuccio, alzando gli occhi dopo aver studiato con precisione scientifica ogni angolo di strada. Per un momento, quasi le mancò il fiato: ma dove era finita? E soprattutto, come diamine ci era finita? La strada, sinistramente pulita, era affiancata su ogni lato da edifici ormai semi distrutti, abbandonati a loro stessi da chissà quanti anni. Dei ragazzi che prima occupavano la strada non vi era nemmeno l’ombra, nemmeno un rumore, oltre all’inquIetante frusciare delle foglie secche che ancora resistevano su qualche sporadico albero. Avanzò lentamente, stando all’erta. Da sotto il mantello, allungò una mano verso la bacchetta che portava nella tasca interna del giacchetto. Con un sussulto, notò un’ombra più densa delle altre: era la sagoma di un uomo, forse giovane, forse no, che le dava le spalle. “Ehy, scusami!” Cercò di attirare la sua attenzione. Scelta probabilmente poco saggia, dato il periodo storico in cui viveva. “Ehy, perdonami. Ehm, probabilmente mi sono persa, sapresti più o meno dirmi dove diamine mi trovo?”
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    E che cazzo però !! ecco le prime parole del giorno di Sherman, la mattina non poteva iniziare con una sfiga dietro l’altra, per prima cosa si era sporcato bevendo il caffè latte in casa sua -se si poteva chiamare casa un piccolissimo monolocale dove al massimo si poteva stare in due e ci si sarebbe stati stretti- se lo era sversato in maniera molto poco carina nella sua maglia nuova e nei suoi pantaloni preferiti quindi la giornata non era davvero iniziata con il piede giusto, si cambió mettendo tutto a lavare non avendo neanche intenzione di mangiare o bere qualcos’altro perché con la sfiga che aveva non era conveniente, inizió a lavarsi i denti guardandosi allo specchio e ovviamente come se qualcuno gliele dovesse mandare un po’ di dentifricio cadde sulla maglia appena messa e non poté fare a meno di buttare chissà dove il dentifricio dicendo qualcosa di incomprensibile con la bocca tutta impastata stringendo i pugni per non spaccare tutto, dovette ricambiarla per l’ennesima volta ovviamente.
    Uscì di casa stretto nel suo giacchetto di pelle nera con qualche borchia che fuoriusciva dalle spalle e dal colletto perché quel giorno faceva davvero freddo, mise le mani in tasca e si incamminò verso le vie di Hogsmeade camminando piano non guardandosi tanto attorno, conosceva quelle vie come le sue tasche e non era tutto questo granché, negozi di ogni genere e gente di merda in giro -compreso lui ovviamente non si tirava mai indietro a quella categoria- ovviamente non era intenzionato a intrufolarsi in un bar perché se avesse solo avuto intenzione di bere qualcosa se lo sentiva che non sarebbe andata affatto bene con la sfiga che quel giorno aveva, lo dici ora, poi vedremo e la sua mente aveva ragione anche se lui per ora non lo avrebbe mai ammesso.
    Stava camminando per svagarsi dato che quel giorno non lavorava e non sapeva davvero che cosa fare, si annoiava quando faceva qualcosa figurarsi quando non faceva davvero niente, per lui era noioso tutto e tutti, non c’era davveto niente che lo divertisse apparte il terrore negli altri nel guardarlo,la morte e il sangue.
    Era arrivato alla Hogsmeade vecchia senza rendersene conto e stava per tornare indietro sicuramente per fare quello che non aveva intenzione di fare prima, ma che avrebbe fatto ugualmente, andare in un bar, quando una voce da donna arrivò alle sue orecchie fastidiosa.
    Si girò aspettandosi di vedere una vecchietta o una donna adulta che doveva per forza rompere di prima mattina senza che lui avesse fatto qualcosa, ma si ritrovò una ragazza più giovane di lui e si vedeva nonostante potesse sembrare più grande per il fisico maturo.
    Nel parlare era stata talmente gentile che le aveva fatto venire la nausea, perché sono tutti così gentili? -forse perché è educazione e normalità (?)- ok era vero, ma Sherman la parola gentilezza e normalità non gli entravano nel suo vocabolario personale.
    Allora, sei entrata a Hogsmeade no? Se vai sempre dritto ti ritrovi qui cioè nella Hogsmeade vecchia, se torni indietro e segui i tuoi passi torni a Hogsmeade, semplice no? disse facendogli uno schemino all’aria prendendola un po’ in giro. Sentiva che dall’accento che aveva non era del posto e poteva capire essere catapultati in un’altro posto totalmente diverso dal tuo, ma la gentilezza per lui era finita da tempo.
    Io sto tornando indietro se hai paura di perderti seguimi, ma non tornerò a prenderti se ti riperdi sappilo ecco questa era la sua gentilezza, era gentile a modo suo dopotutto no?
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  3. .eleonor
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    Osservò attentamente il volto dell’uomo che casualmente si era trovata di fronte, con quel suo fare indagatore che spesso la faceva passare per la persona che non era: non lo faceva per giudicare, mai si sarebbe permessa, semplicemente per comprendere, per capire chi aveva di fronte. Gli occhi scuri si posarono sull’abbigliamento dell’uomo, aggressivo come il suo sguardo. C’era una vocina sottile, all’interno della sua testa, che le ripeteva che quella di attaccare bottone con uno sconosciuto in un luogo tetro quanto quello in cui si trovava, non era proprio la migliore delle idee che avesse mai avuto. La sua ingenuità, la sua inconsapevolezza, la sua incoscienza – però – la portavano a dare sempre un’occasione di riscatto a tutti, anche se chi aveva di fronte, molto probabilmente, se ne fregava bellamente di lei e delle sue occasioni. Così come il suo sguardo percorreva il corpo dell’uomo, quello dell’estraneo percorreva il suo. Si sentiva osservata, posta sotto esame senza il suo permesso, tanto che si sentì in dovere di addrizzare le spalle e spingere il petto avanti, per dimostrargli – inconsapevolmente – che non era indifesa come sembrava. Aspettò con pazienza (forse poca) che egli rispondesse alla sua domanda. In fondo, non le sembrava di aver fatto una domanda così difficile. “Allora, sei entrata ad Hogsmeade no? Se vai sempre dritto ti ritrovi qui cioè nella Hogsmeade vecchia, se torni indietro e segui i tuoi passi torni a Hogsmeade, semplice no?” Ellie alzò leggermente le sopracciglia per lo stupore. Ma come si permetteva? Per chi l’aveva presa? Non sapeva nemmeno il suo nome e la offendeva con quel tono di sufficienza e di superiorità? Si riscosse in un attimo dallo sbigottimento. Non avrebbe lasciato che quell’arrogante la trattasse come una bambina idiota. “Potresti avvertirmi quando arriva il momento che devo ridere a questa freddura?” rispose, puntellandosi le mani sui fianchi e lasciando che il lungo mantello si aprisse, fregandosene del freddo. Si era talmente innervosita che iniziava quasi a sentire caldo. Okay, bisogna ammettere che probabilmente aveva preso la provocazione dell’uomo un po’ troppo seriamente, ma – dannazione – non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa proprio dalla prima persona con cui parlava dopo settimane di silenzio. “Io sto tornando indietro se hai paura di perderti seguimi, ma non tornerò indietro a prenderti se ti riperdi sappilo” continuò il giovane. Che cosa doveva essere questo, un invito gentile? In tal caso, proprio non gli era riuscito. Alzò ancor di più le sopracciglia, tanto che iniziava a farle male la fronte. Gettò all’indietro i capelli, sbuffando per i modi di fare dell’uomo che si trovava davanti. “E io dovrei farmi accompagnare da un uomo che non ha nemmeno avuto l’educazione di presentarsi a una fanciulla in difficoltà?” ribatté, prendendolo in giro, con un sorriso sarcastico ad incurvarle le labbra fine. Se proprio il ragazzo voleva giocare a prenderla in giro, avrebbe partecipato volentieri anche lei, dettando le regole di quella che poteva essere una giornata forse più interessante di tutte le altre che aveva vissuto da quando era arrivata a Londra. Il suo accento strisciato sembrava divertire l’uomo, ricordandole che era palese che fosse di un paese diverso da quello. “A malincuore, accetto il tuo invito. Sono così caritatevole stamane che non me la sento di negarti la mia meravigliosa presenza.” scherzò, lanciando un’occhiata al ragazzo. Iniziò a camminare verso la direzione in cui era venuta, ripercorrendo i proprio passi lentamente, attendendo che lui la seguisse. “Il mio nome è Eleonor, comunque.” Se lo lasciò sfuggire dalle labbra, forse sottovalutando la persona che aveva di fronte. Gli lanciò un’occhiata inquisitoria. Chi era?
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    La ragazza davanti a lui alle sue parole ovviamente poco carine si sforzò in tutti i modi di fare la parte della ragazza forte alzando le sopracciglia ripetutamente in un modo che fece quasi senso a Sherman, ma non le fa male la fronte ? ecco i veri problemi per lui, non tanto il modo come le aveva risposto e stava continuando, ma stava guardando il modo come alzava le sopracciglia e le facesse male la fronte a forza di farlo, era una bella ragazza, stretta nel suo lungo giacchetto che si era aperto per via che si era un po’ scomposta rispondendogli a tono, avrebbe potuto parlarle in modo gentile, fare la finta parte da persona buona e magari andarci a letto, ma non quel giorno, era partito tutto talmente male che doveva continuare a essere tale, non gli importava se gli teneva testa prima o poi si sarebbe stancata come tutti.
    Ah ah ah spiritosa sto morendo dal ridere sai? Non non cè niente da ridere, ti faccio ridere? disse indicandosi stizzito, lo reputava divertente peggio per lei scoprirà che è tutto l’opposto.
    Io mi dovrei presentare? Mi spieghi cosa me ne importi di dirti chi sono? Ti ricorderai di me tra qualche minuto? Non credo dato che ognuno andrà per la sua strada disse iniziando a camminare di fianco a lei sempre con la sua aria tranquilla e rilassata di chi non gliene frega niente e di nessuno e sicuramene neanche del suo sorrisino che aveva intravisto ma che aveva fatto finta di non vedere, era vero però alla fine, beh potevi dirlo con più calma pe.., no però niente, calmo sto cazzo ed ecco che taglió corto anche con la sua testa in modo “gentile”.
    Tu meravigliosa presenza? Grande autostima hai di te stessa complimenti disse alzando un angolo della bocca in un sorriso falso. La ragazzina non scherzava, ma neanche lui lo faceva e iniziava a intravedere una piccola Hogsmeade in lontananza per cui la loro conversazione sarebbe durata poco, aveva fame -quando mai non ne aveva- e voleva solo mangiare in quel moneto
    Eleonor? Devo dedurre che sei della Francia, sbaglio? Come mai da queste parti? Fa schifo qui disse osservandola per poco, i lineamenti e la parlava davano che doveva provenire dalla Francia o da una di quelle parti, lo parlava il Francese, poco ma lo parlava. Era vero a lui non gli piaceva Londra, troppi ricordi, troppe sofferenze, l’unica cosa bella era la scuola che aveva fatto e il lavoro che faceva per il resto poteva anche bruciare tutto per lui, molti andavano a fare una vacanza lì, troppi visitatori contenti che si guardavano attorno come se ci fosse l’oro o un posto bellissimo, era solo l’illusione che ti dava un posto che era diverso dal tuo, ma niente di più, troppo caotica, le persone erano troppe e ovunque, rumore, non erano cose che amava.
    Sherman disse solo guardando davanti a se, e non è un piacere
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    Edited by Shadow_Black - 15/2/2018, 23:04
     
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  5. .eleonor
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    “Io mi dovrei presentare? Mi spieghi cosa me ne importi di dirti chi sono? Ti ricorderai di me tra qualche minuto? Non credo dato che ognuno andrà per la sua strada.” Contro la sua volontà, spalancò gli occhi al sentire il tono aggressivo e scontroso con cui l’uomo si era rivolto a lei. Non voleva certo farsi vedere offesa, dato che sicuramente era lo scopo che voleva raggiungere l’uomo. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione, non per due parole pronunciate con troppa rabbia di quella necessaria nella voce. D’altronde, non le sembrava una situazione così a rischio per mettersi sulla difensiva in quella maniera: non gli aveva chiesto nessun’informazione riservata, voleva semplicemente sapere il nome della persona con cui parlava, la prima persona con cui parlava in quel nuovo e, a conti fatti, ostile paese. Non era proprio abituata a questi inglesi: a casa sua, in Africa, il mondo girava proprio su un’altra orbita. Si era gentili e disponibili anche con gli sconosciuti, si rispettava sempre la persona che si aveva di fronte, soprattutto se non si conosceva nulla di essa, senza mai lasciar andare via una persona senza aver imparato qualcosa da quest’ultima. Probabilmente, la frenetica vita delle città inglese aveva eliminato queste caratteristiche nell’essere umano, sostituendole con la prontezza nell’adattamento al continuo sviluppo, al continuo cambiamento, che forse risultava un po’ troppo veloce da poter assimilare nella sua pienezza, tanto da spingere gli abitanti di quella terra a chiudersi in una sorta di scudo protettivo, che li separasse nettamente dal rischio di incappare in qualche cambiamento, in qualche imprevisto che non si era pronti ad affrontare. “Beh, se sei abituato a prestare così poca attenzione a quello che succede intorno a te sono affari tuoi, signor egoismo. Io sono abituata a vedere leggermente oltre il mio naso.” Disse, con un tono leggermente provocatorio, senza però risultare offensiva. Voleva vedere quanto poteva spingersi oltre, quanto fosse distante il limite della pazienza dell’uomo che aveva davanti. Le piaceva provocare, o meglio, le piaceva sfiorare la lite (anche cascarci dentro non era poi così male) e non voleva lasciarsi scappare l’occasione di giocare quella partita, ma soprattutto aveva intenzione di uscirne vincitrice. “Tu meravigliosa presenza? Grande autostima hai di te stessa complimenti” “Vorresti forse sostenere il contrario? Ho ucciso per molto meno di un sorriso falso come quello che hai stampato in faccia, che ti fa proprio venire una smorfia strana, fattelo dire.” Imitò una faccia inorridita, guardandolo negli occhi giusto per un momento, prima di tornare a fissare lo sguardo sul paesaggio intorno a lei, con la stessa strana attrazione che si ha quando si guarda qualcosa di orrendo, quasi disgustoso, ma non si riesce a distogliere lo sguardo. Le case semi distrutte, gli alberi spogli, l’atmosfera inquietante che si respirava in quel posto le davano come l’impulso di correre lontana da quel posto sconosciuto, ma per qualche strana ragione sperava che la Hogsmeade che intravedeva fosse il più lontana possibile. “Sherman.” Non riuscì a trattenere un sorriso. “E non è un piacere.” Si lasciò sfuggire una risatina. Uno a zero per Eleonor, caro il mio Sherman. Si rigirò quel nome sulle labbra, soppesandolo. “Dovresti apprezzarlo, invece. Non deve capitare tutti i giorni che qualcuno riesca a non venir respinto dal aura di antipatia che ti porti dietro.” Proprio non ci riusciva a non provocarlo. Quanto sarebbe passato prima che lui la mandasse a quel paese e se ne andasse di fretta? Facendo due calcoli poco, probabilmente. “E tu, Sherman, che cosa ci facevi in un posto come questo? Non te l’hanno mai detto che le fanciulle indifese devono stare attente ad andare in giro da sole, potrebbe esserci qualche malintenzionato in giro.” Rilassandosi, aveva lasciato andare a ruota il suo accento straniero, rendendosi conto solo quando aveva smesso di parlare di essere risultata, probabilmente, incomprensibile. “E per rispondere alla tua domanda di prima no, non sono francese. Africana.” Si strinse di nuovo il mantello al petto, cercando di coprire le gambe nude, come se parlare di lei l’avesse fatta sentire nuda sotto lo sguardo freddo del suo interlocutore.
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    La ragazza di fianco a lui non demordeva e ogni cosa che diceva la andava a ribattere come se fosse un gioco a chi cedeva per primo, il problema era che Sherman era così ed era sempre stato così, lei stava facendo finta per non farsi vedere la vera lei, cioè fragile e indifesa, lo aveva capito dal modo in cui le aveva rivolto le prime parole in quel modo gentile che gli aveva fatto quasi male ascoltarle, avrebbe ceduto prima o poi con quella sua sicurezza finta e quando lo avrebbe fatto sarebbe stato soddisfatto di se stesso, -perché dovresti essere soddisfatto di una cosa del genere?- la sua voce nella testa da quando si svegliava alla mattina era davvero irritante e certe volte avrebbe voluto non poterla sentire così da non doverle rispondere e non lo fece in effetti concentrandosi solo davanti a se guardando piano piano la vita di Hogsmeade intorno a loro, era tutto un’altro mondo, gente ovunque che apriva i propri negozi, chi andava a lavorare, chi semplicemente si faceva una passeggiata.
    È questo il tuo errore “signorina vedo dopo il mio naso”, vedi troppo e certe volte è meglio non vedere e rimanere dietro il naso a farsi i cavoli propri disse guardandola per poco, davvero non capiva come potesse aver sempre voglia di guardare la vita davanti a lei, lui non lo faceva e guardava solo la sua vita, era già difficile pensare per se stessi figurarsi dover pure guardarsi attorno in quella merda di mondo.
    Fece una risata alle sue parole che alle sue orecchie erano tutto tranne che divertenti, ma con chi cavolo era capitato? Davvero la sua vita era un continuo stress? Di prima mattina con una ragazzina isterica che non sapeva farsi i cavoli suoi e cercava in tutti i modi di fargli perdere la pazienza quella che perdeva molto facilmente se arrabbiato e che non avrebbe davvero voluto vedere.
    Se quello dell’imitazione ero io sei davvero pessima a imitarmi, ma d’altronde sono unico e non te ne faccio una colpa se non sai imitare un figo come me disse indicandosi, amava se stesso e amava il suo corpo per cui quando poteva lo faceva capire e anche troppo bene non preoccupandosi di risultare troppo egocentrico.
    Ringrazia che sorrido anche se è falso, quando non lo farò più significa che hai superato il limite e mi toccherà ucciderti disse questa volta serio, ok non lo avrebbe mai fatto, prima cosa perché era una donna e sarebbero stati insieme ancora per poco e seconda cosa perché non toccava le donne neanche con un dito avendo rispetto di loro a modo suo, ma si uccidere lo aveva già fatto non sarebbe stato difficile rifarlo.
    Si sistemó con una mano i capelli che gli erano ricaduti un po’ sulla fronte e tirò fuori un pacchetto di sigarette appoggiandosene una leggermente tra le labbra, non chiese alla ragazza se fumasse perché le sembrava troppo piccola, ma se fosse stato così sarebbe stato un punto a suo favore.
    L’accese e tirò fuori un fumo bianco che andò a disperdersi nell’aria dietro di loro, quella cosa che aveva tra le dita lo riusciva a rilassare e calmare come nessun altro nella sua vita, era la certezza che ci sarebbe sempre stata e che nei momenti bui sarebbe andata a salvarlo, -stai parlando di una sigaretta- strinse con maggiore forza la sigaretta fumandola con avidità non sentendo le sue parole nella testa.
    Vengo respinto poco e raramente tesoro, il mio fascino è unico e so che ne sei attratta sotto sotto, non fare la suorina disse sorridendo felice nell’averlo detto, lei non era diversa dalle altre anche se si ostentava a essere diversa.
    Sentì il suo accento straniero nel pronunciare le sue parole seguenti e non era Francese, ma Africana, non lo avrebbe mai detto dato che non assomigliava a quel posto, ma non erano affari suoi.
    Mh Africana, non lo avrei mai detto, come mai a Londra? chiese non capendo davvero se fosse una turista o ci era andata a vivere, sperava la prima dato che li non c’era niente di bello.
    Cosa ci facevo a Hogsmeade? Tu che dici? Un giro mattutino prima di entrare in un bar e sfondarmi di cibo, chi ti dice che io non sia quel malintenzionato? Non mi conosci alla fine, potrei essere chiunque e farti del male, ti conviene andartene prima che ti rapisca disse alzando le spalle ridendo, mettere paura alla gente era la cosa che amava fare di più, vedere il terrore negli occhi e le lacrime lo rendevano di gioia.
    Ok era tutto strano, ma era bello così no? No non è così
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