Find me where the wild things are

gwen + barbie

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    Bodie || 12.02.1918
    once: gwendolyn markley
    Più di due mesi, vi rendete conto? Più di due. fottuitissimi. mesi. Non riusciva ancora a rendersene conto, Gwendolyn Markley: quando Lancaster aveva detto loro per sempre, lei non ci aveva creduto, non davvero . Non era abituata a prender sul serio le parole delle persone, non le considerava mai vere fino in fondo. Così alle parole del preside di Salem aveva pensato soltanto a quanto fosse melodrammatico e ci aveva creduto sul serio al fatto che quelle due parole le avesse pronunciate solamente per fare effetto su di loro, per concludere una giornata di fatiche, scontri e confusione ancora peggio. Gwen aveva pensato soltanto che volesse fare il protagonista, che desiderasse solo pronunciare quelle parole per terrorizzarli e poi tornare da loro pochi giorni dopo, ridere delle loro espressioni più che confuse e poi riportarli tutti a casa. Del resto, aveva messo su un bello spettacolo, non gli bastava così?
    E così aveva atteso. I primi giorni aveva preso tutto come un grosso gioco: prendere quei nuovi ruoli e quelle nuove vite era stato divertente nel primo periodo, visto che si trattava di scoprire cose nuove ogni giorno e potersi muovere per la città con la consapevolezza di non appartenervi sul serio. Ma poi i giorni erano diventati settimane, e le settimane mesi, ma di Lancaster ancora alcuna traccia.
    E la realtà dei fatti era piombata su di lei, improvvisa e da mozzare il fiato, in un pomeriggio qualunque di metà Febbraio : non sarebbe tornato a prenderli. Fino a quel momento infatti, quel pensiero non aveva sfiorato minimamente i suoi pensieri: dentro di sé lo sapeva, capite? Lo sapeva perché l'aveva visto negli occhi di tutti gli altri che avevano viaggiato fin lì con lei, soprattutto in Arci che tornava a casa barcollando e Aidan che, gli abiti da lavoro li aveva indossati sul serio. L'aveva visto nella bacheca nei sotterranei della chiesa, in cui Gemes stava cercando di raccogliere indizi e elaborare strategie che non avrebbero portato a nulla. E ne aveva avuto la conferma quando CJ aveva fatto irruzione nella navata durante la messa di natale e Gwen aveva letto lo smarrimento nei suoi occhi, e quando aveva visto spuntare all'improvviso e ballare tra le ballerine di burlesque Joey, BJ e Sersha, talmente felice di vederli sani e salvi quasi da non riuscire a crederci, temendo per un attimo che fosse solo una brutta illusione data dall'alcol.
    Non sarebbe tornato a prenderli, perché invece di andarsene da lì, avevano iniziato ad aumentare.
    Non sarebbe tornato a prenderli, e sarebbero rimasti bloccati in quella città per una vita intera. L'aveva sognato da ancor prima di scoprire la sua vera identità, a come sarebbe stato vivere con i suoi veri genitori. E, ironia della sorte, la situazione che le aveva tolto tutto le aveva donato una cosa sola: il suo sogno più grande.
    Non sarebbe tornato a prenderli, e così la ragazza aveva dovuto dire addio senza però poterlo fare sul serio , e soprattutto senza volerlo, ad Erin e Scott, i cugini che aveva appena ritrovato e con cui stava tentando di (ri)costruire un rapporto.
    Non sarebbe tornato a prenderli, e ciò che le fece più del male fu la consapevolezza che non avrebbe più potuto conoscere le sue sorelle. E si pentì di aver temporeggiato così tanto: da quando aveva ricevuto la busta con la verità sul futuro, non era riuscita a far di più che osservarle da lontano, temendo di far qualcosa di sbagliato e perderle per sempre. Con Arci e Aidan era stato diverso, conoscendoli entrambe da anni e considerandoli due dei suoi amici più cari: loro le volevano già bene per quella che era. Ma le sue sorelle? A loro, Gwendolyn Markey sarebbe potuta non piacere, e la ragazza non si era sentita pronta a correre il rischio: così era stata loro vicino a modo suo, entrando ad Hogwarts con la scusa di dover ritirare i documenti del suo diploma o di dover portare medicine di vitale importanza (???) ad Arci per ascoltare Nicky suonare la chitarra o si fingeva un'atleta - lei, che correva solo con la luna piena quando si dimenticava di prendere la pozione per la maledizione - per poi andare a sbattere casualmente contro Shiloh per le vie di Diagon Alley.
    Aveva lasciato così tante questioni in sospeso, nel 2017, da non riuscire ad accettare che non sarebbe mai tornata indietro per risolverle: si trattava di molto di più che "Non proverò mai l'ebbrezza di ipotecarmi la vita per comprarmi l'iphone X", come aveva detto ridendo ad Arci, Aidan e Jay durante una delle loro serate/pigiama party a casa Simmons.
    Si potevano dire di lei tante cose negative, dall'essere stata una totale scansafatiche a scuola all'esser ancora troppo sprovveduta per esser considerata un'adulta a tutti gli effetti, ma c'era una cosa per cui era sempre stata attenta e responsabile: i ragazzi della missione del 2043. Aveva deciso di tornare indietro come custode, ed aveva una fottuta missione da portare a termine. E ad esser stata strappata via dal suo tempo dopo aver rivelato le vere identità solamente a cinque ragazzi non ci stava.
    L'avrebbe dovuto dire alle sue sorelle, mentre ora aveva perso quell'opportunità per sempre. E cosa sarebbe accaduto, quando inevitabilmente qualcun altro avrebbe consegnato loro la busta fornita di lettera, albero genealogico e foto ricordo? Si sarebbero ritrovate senza padri e senza una sorella, ecco cosa. E, per quanto accanita (e unica) sostenitrice della teoria che Taylor fosse la loro madre biologica, dubitava che la Swift si sarebbe anche solo fatta approcciare da quelle due.
    E poi la colpì un'altra consapevolezza, forse ancora più dolorosa di quelle elaborate poco prima: non sarebbero mai nate. Nel loro duemiladiciotto, le gemelle Dominique e Danielle, e poi qualche anno dopo la piccola Jessica, non avrebbero mai visto la luce del sole. Così come, del resto, nemmeno Lynch, Ronan e Meara: che ne sapeva Gwen che Ake e Will erano di nuovo insieme, solo che duecento anni avanti nel tempo rispetto a loro. Per CJ, BJ ed Ade nutriva ancora speranze, tanto lo scandalo di Run incinta di un prete si poteva arginare subito facendo passare Jay come il padre. Ed anche la presenza di Darden lì con loro significava niente ray, juno e sander.
    Sander.
    SANDER.
    Era una custode, Gwendolyn Markley, e poteva pure essere la più grande piantagrane dell'universo ma il suo compito l'aveva sempre svolto fottutamente bene, e quelli sui 2043 erano gli unici alberi genealogici che avesse mai studiato in vita sua, mentre quelli per passare gli esami di storia non gli aveva mai nemmeno guardati da lontano.
    Quindi, ora bisognava capire una cosa: come diamine aveva fatto a non rendersene conto prima??
    Le foto le aveva viste eh, di ogni famiglia. E allora..«GESÙ» si alzò di scatto dalla sedia, facendola cadere a terra e portando l'attenzione di tutti i bambini del catechismo su di lei. Si era dimenticata completamente di trovarsi lì con loro, persa com'era nei suoi pensieri: grazie a dio quel giorno li aveva silenziati tutti quanti ordinando loro di disegnare un invenzione a loro piacimento, per controllare se tra loro fosse presente una sorta di piccolo genio tipo il tizio di Facebook o Sheldon di The Big Bang Theory: roba così, insomma. Quando tutti loro, dopo l'attimo iniziale di confusione, si alzarono insieme dicendo «SIA SEMPRE CON NOI» con lo stesso vigore usato da gwen, o meglio, mariel jenique simmons, qualche secondo prima, la ragazza si rese conto di aver creato un esercito di piccoli mostri ai suoi comandi. «Non intendevo..lasciate perdere» aveva senso stare a spiegare le cose ai bambini? Meh. «Oggi il catechismo finisce un po' prima, quindi andate e tornate a fare quelle cose che vi piacciono tanto, come rotolarvi nei campi, tirare il collo alle galline o..» Cos'altro poteva piacere ai bambini nel 1918? Non le veniva in mente nulla. «..cercare la fine degli arcobaleni. Sciò sciò ho da fare, ANDATE»
    Nemmeno aspettò che tutti uscissero: se ne andò prima lei. Fu solo quando arrivò in piazza che si rese conto di non aver idea di dove poterlo trovare. E così la ragazza vagò a caso per un po', dato che ogni passante che fermava invece di dirle dove poterlo trovare si limitava ad intimarle di stargli alla larga. Eulà, ancora non capiva cosa avesse fatto di tanto grave per essersi guadagnato una tale nomea. Il punto di svolta arrivò quando vide per strada Neiva, la ragazza che era stata con loro a giocare a "non ho mai" la sera in cui poi erano sbucati dal nulla 3/6 freaks, e finalmente lei le indicò la strada.
    Nemmeno si chiese come facesse a sapere che Barbie era nella taverna della villa del signor Hululu, il vecchio mezzo ceco tra i più ricchi della città. Accettò semplicemente l'aiuto della ragazza, facendosi anche spiegare il passaggio per arrivare direttamente alla riserva di liquori senza passare dall'ingresso principale. E così, dopo essere entrata nel giardino del vecchio da un buco nella rete di recinzione e esser entrata nella villa arrampicandosi e calando giù da una finestra, finalmente scese nella cantina e lì, tra botti dei più svariati alcolici, vide Barnaby Jagger intento a riempirsi una bottiglia di vetro di quello che aveva l'aspetto adatto per passare per baileys al cioccolato, ma dubitava che esistesse già allora. Cosa fosse in realtà non è dato saperlo #wat
    «BITCHINSKARDEN!» Non era certa del fatto che il ragazzo fosse a conoscenza di tutta la faccenda del futuro. In realtà, non era nemmeno certa del fatto che si trattasse del vero Sander e non di qualche antenato vagamente simile: del resto nemmeno ricordava bene il suo viso in quelle foto che aveva visto all'accademia, scattate in quegli anni e poteva essersi sbagliata terribilmente.
    Ma aveva sentito la necessità di tentare, per quella minima possibilità di aver ragione.
    In caso contrario, avrebbe sempre potuto dire che era lì per bere, e la parola che aveva detto era un semplice modo ganzo di salutare molto in voga nel 2017.
    Divulgazione scientifica, ecco tutto.
     
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    12.02.1918 | hululu's mansion
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    Fischiettava fra i denti, Barnaby Jagger, mentre pigro dondolava sulla sedia racimolata in qualche discarica. Il coltellino incideva ritmicamente il pezzo di legno stretto fra le mani, lo sguardo distratto del ragazzo ad osservarlo senza realmente guardarlo – quel genere di lavori manuali, oramai, gli venivano d’istinto: avrebbe potuto intagliare anche ad occhi chiusi (bonus perché, essendo Guaritore, anche avesse perso qualche dito nell’impresa avrebbe potuto farlo ricrescere). Era appena arrivato alla sua parte preferita di Bohemian Rhapsody (embè? Ve l’ho detto che aveva un mangianastri, miscredenti) quando un rumore diverso da quello che normalmente lo circondava quand’era all’Officina – ossia, il nulla – lo costrinse a fermare il movimento delle gambe per lanciare un’occhiata sopra le proprie spalle. Udì qualche imprecazione sotto voce, una bestemmia davvero poco consona dato il soggetto in questione, ed un qualche insulto alla madre di qualche povero cristiano che nulla aveva fatto di male nella propria vita se non capitare nella triste strada di CJ Shaw. O Hamilton. Ancora non aveva capito come si chiamasse, okay: e sì che aveva l’albero genealogico 2043, ma sticazzi sempre non suo fratello. C’era scritto solo CJ.
    Come Cher. Come Beyoncè.
    Come Titti.
    Barbie sospirò greve e melanconico, nel posare l’ennesimo paguro sulla già infinita pila di paguri di legno presente nell’Officina. Era l’unico animale che sapesse intagliare, nonchè quello più sottovalutato dal resto della popolazione: quale bambino vi avrebbe mai risposto che il suo animale preferito fosse il paguro? Nessuno, direste voi.
    Piccoli fortunati bastardi che non avete mai avuto a che fare con un Barnaby Jagger. «è p-p-proprietà p-p-privata» biascicò, una mano a coprire gli occhi e l’altra a sorreggerlo poggiandosi al muro mentre, stanco come un Sin (non gli era chiaro cosa fosse un Sin, ma così aveva sentito dire dai millenials), si trascinava verso il retro della Bottega. «benzina.» Barbie si affacciò oltre l’uscio, sopracciglia corrugate verso l’impegnato CJ alle prese con i suoi armadietti. Lo svuotò metodico sul pavimento sotto lo sguardo confuso, che a stupirsi manco ci provava più, del Jagger. «mi serve della benzina» Barbie incrociò le braccia sul petto, labbra strette fra i denti. «p-per?» ma che cazzo aveva fatto, si era rotolato nel fango? Non c’era mezzo brandello d’abito del ragazzino che non fosse sporco di terra. Voleva chiedere? Ovviamente. L’avrebbe fatto? «devo dare fuoco a una cosa» eh beh, che domanda di merda che aveva fatto Barbie!!&& Era così scontato, no? Attese la spiegazione che una risposta del genere avrebbe richiesto, ma come prevedibile non giunse. Parlare con CJ era come discutere con uno specchio: ti illudevi di star chiacchierando con qualcuno finché non scoprivi che la chiacchierata era stata a senso unico, e se ti azzardavi a rompergli finivi pure per sanguinare. «???» Vide le spalle del ragazzo ingobbirsi, ne sentì il respiro drammatico e stanco. «a una casa*» si corresse, voltandosi nella sua direzione.
    Ed allora Barbie lo vide. «cristo s-santo» si sentì in dovere di pronunciare, fosse mai in ascolto oh. «ma che cazzo?» «è una lunga storia. Benzina – ne hai?» Non solo era sporco di terra e fango come Zeus (il suo porcellino, non il dio) ma era anche ricoperto di sangue - non che fosse una novità, eh, ma su quel viso ovale e sottile faceva sempre un certo effetto. «fammi un riassunto????» Più curioso che indispettito, il tono di Barbie; a sua discolpa, dal futuro erano arrivati solo casi umani e patologici: credeva che nella loro cultura fosse normale, essere…così. CJ si umettò le labbra, gli occhi chiari a saettare sulle mensole prima di posarsi nei suoi. «mi hanno sepolto vivo»
    … Fu il turno di Barnaby di passare la lingua sulle labbra, capo reclinato e sopracciglia corrugate. «dammi la v-versione lung-ga» l’altro gli rivolse un sorriso tagliente ma docile, assottigliando le palpebre per sfidarlo ad abbassare lo sguardo per primo. Credeva forse che negli occhi di Barnaby Jagger potesse trovare tenerezza? Compassione? In quel caso, aveva sbagliato californiano – Floyd non abitava poi così lontano, poteva andare a far sentire lui una merda per l’incapacità dei loro compaesani di avere rotelle funzionanti. «okay: mi hanno sotterrato mentre ancora respiravo.» CJ si strinse nelle spalle. Rimase a fissarlo impassibile, una spalla premuta contro l’uscio della porta. Si stavano ancora squadrando, CJ e Barbie, quando arrivò il resto dell’allegra combriccola: un BJ trafelato con ancora indosso gli abiti da stalliere – o quel che era – una Serscia allegra d’esistere come al solito che lo salutò con l’entusiasta cenno del capo del Boia al Giustiziato, ed un Joey con le mani sprofondate così tanto nelle tasche, che parevano un ulteriore paio di ginocchia. A quanto pareva, l’Officina di Barbie era il loro nuovo punto d’incontro – uau – ed il resto delle Pannocchie ne sapeva tanto quanto il Jagger. CJ si prodigò a dar loro la stessa, interpretabile, risposta: «stiamo cercando benzina»
    Ma stavano – magari n o ? «n-no» era di nuovo giunto il momento che s’imponesse come adulto responsabile. Perché belino ci finiva sempre lui in quelle situazioni? Non potevano lasciarlo ad intagliare paguri e cantare Bon Jovi? Non c’era più rispetto per i centenari. La dinamica delle Pannocchie ancora sfuggiva, al buon Jake: ogni tanto spuntava uno dei Mais con un’idea del cazzo, e taaan, tutti a ruota a seguirlo senza domandargli il perché – il per come, il per MA CHE CAZZO STAI DICENDO??? Fortuna che c’era Barbie a pensarle tutte, quelle domande. Se solo per pronunciarle non ci avesse impiegato mezza giornata, gliel’avrebbe anche chiesto. Allargò le braccia e le fece ricadere lungo i fianchi, la testa reclinata all’indietro. «trovato» ??? No ma, fate pure? «sta m-m-m» «-mmi bene anche tu» minchia. Sta minchia. Scattò in avanti bloccando loro l’uscita, un’occhiata intensa e l’indice a scuotersi nell’aria. Davvero credevano semplicemente di poter - «te lo pago, eh» ah.
    AH. Ora sì che si ragionava. «non p-potete dare fuoco ad una c-casa» cercò ancora, inutilmente, di protestare. Chiariamoci: a Barbie, delle case dei Bodiotti, non poteva fregare una sega di meno; credeva profondamente nella vendetta (anche se lui tendeva sempre a rimandarla, ma ehi scuole di pensiero) E trovava affascinante l’idea di ripagare gli hamish per tutte le volte che gli avevano raso al suolo le proprie dimore, ma…
    Niente ma, però con dei ragazzini doveva pur fingere di essere quello serio. Barbie non voleva essere coinvolto, ma in quale universo avrebbe lasciato dei ragazzini a fare i maledetti piromani? Nel 2043. Era un patriota, un eroe nazionale. Un conto era insegnargli come costruire la propria mazza (un lavoro socialmente utile, che poi la usassero sulle persone non era un problema suo) un altro rimanere ad intagliare molluschi mentre loro bruciavano contadini e pastori. «dai adam, fuori dalle palle» Sua nipote non sapeva proprio cosa fosse la riconoscenza, oh.
    Le voleva così bene.
    Ecco cosa lo fotteva: erano piccoli bastardini sociopatici, ma erano adorabili proprio per quello. Che palle, se la viveva meglio quando doveva avere a che fare solo con esorcismi e crocifissioni. «vi o-odio» precisò, puntando il dito contro di loro. «se qualcuno v-ve lo chiede, e-eravamo a p-» «uttane-» «p-» «regare» «p-» «accare» «p-» «unire un figlio della merda?» «PESCARE»
    Buon Dio, i giovani.

    Aveva ripreso la canzone da dove l’aveva lasciata ore prima, Barbie. Fischiettava piano fra i denti, conscio che il buon Hululu – per gli amici, aka Barnaby, HOh,nolulu perché la sua risposta standard a tutto era oh, no indipendentemente dalla situazione – non l’avrebbe sentito neanche se si fosse messo a strimpellare il banjo. Il Jagger viveva, e sopravviveva di quel che i cittadini di Bodie, più o meno (solo meno.) volontariamente, gli donavano – qualche ortaggio, un po’ di carne, ed evviva la vita. Diciamocelo: di tutta quella roba non se ne facevano nulla, stava facendo loro un favore: Hululu si dimenticava anche di dover indossare le mutande sotto i pantaloni, figurarsi se ricordava le scorte in cantina di distillato. Da quando abitava in quel luogo dimenticato dal Signore, Barnaby Jagger aveva appreso tutte le strade secondarie entro le quali entrare nelle dimore dei suoi Kumpà – e dove non ne aveva trovate, le aveva create. La cantina del vecchio era un gioco da ragazzi. «mama, uuuhhh» ed il sibilo divenne quasi un gridolino mentre la bottiglia rischiava di infrangersi al suolo, ed il cuore del Jagger finiva da qualche parte fra petto e gola. «BITCHINSKARDEN» santa Maria Maddalena, ma nel 2017 mangiavano carne di ninja a colazione? Da dov’era spuntata la Perpetua?
    Potere dello Spirito Santo.
    Barbie sollevò gli occhi scuri su di lei, il tappo della bottiglia di vetro stretto fra i denti. Rimase a guardare Gwendolyn Markley per più tempo di quanto non fosse necessario, l’unico rumore percepibile quello del liquore a scivolare all’interno del contenitore. Avrebbe potuto dirle ”mi hanno chiamato in modi peggiori”, inarcare un sopracciglio verso di lei e curvare opaco un angolo della bocca verso l’alto.
    Poteva fingere, Barnaby Jagger, di non saperne nulla. Non aveva mai fatto dell’essere Sander un segreto – frecciatine a Darden, gomitate tattiche nello sterno di CJ e BJ quando nel loro campo visivo apparivano Gemes o Run, domande strategiche a Jayson - ma non l’aveva neanche mai confermato.
    Aveva sempre trovato più conveniente prendersi per il culo, rispetto al prendersi sul serio.
    «bec-c-cato» commentò invece, sputacchiando il tappo nel proprio palmo aperto. Fu grato del fatto che fosse stata lei a pronunciarlo, perché non era certo che quella giornata avesse abbastanza ore da dare il tempo ad un balbuziente di dirlo ad alta voce. Passò il dito sul naso inspirando secco, le gambe incrociate sul pavimento della cantina. «ce ne hai m-messo di te-tempo,» considerò arcuando le sopracciglia e spostando gli occhi sul lavoro, scambiando la bottiglia piena per quella vuota sotto al rubinetto della botte. «d-dani.» un sorriso a labbra serrate, spalle strette fra loro. Quando Barbie aveva ricevuto la Lettera, non avrebbe mai creduto che un giorno avrebbe potuto conoscerli - sapeva di non poterlo fare. Ciò, ovviamente, non gli aveva impedito di studiare ogni particolare di quei fotogrammi: sapere che qualcosa non sarebbe mai stato suo, non l’aveva mai fermato dal volerlo comunque. Li conosceva tutti, Barbie - i fratelli che non avrebbe mai incontrato, i genitori che non avrebbe mai conosciuto, i venti zii e cugini che dalle foto gli avevano sorriso o l’avevano mandato, poco galantemente, a farsi fottere. «n-non ero nelle t-tue foto? rude» perché lei, in quelle di Barbie, c’era sempre. «eravamo am-» manettati. «am-» ebe. «am-» bigui. «am-» anti??&&«-ICI. eravamo amici» credeva.
    O forse a Sander piaceva usare photoshop.






    CIAO GWEN BUON SAN VALENTINO è DESTINO!!&& cosa


    Edited by #epicWin - 14/2/2018, 03:08
     
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    - Somewhere over the rainbow in 2043 -

    «Vorrei che partissi con me» Non era mai stata una ragazza che si faceva problemi a dire ad alta voce ciò che provava, Danielle Leroy Gallagher: non teneva la bocca chiusa quando il cameriere al tavolo tardava a portare la cena, alzandosi in piedi ed esternando il suo malcontento davanti a tutti. Non aveva paura a chiedere al barista un cocktail offerto dalla casa o, ancora meglio, a chiedergli il numero di telefono se lo trovava interessante e notava che il suo sguardo si soffermava un secondo di troppo sulla scollatura della ragazza. O quante volte si era lanciata in missioni suicide per guadagnare alle sorelle un appuntamento romantico? Praticamente sempre.
    Non metteva da parte la sua opinione se vedeva succedere qualcosa che non le andasse bene, incapace di lasciar scorrere e passare avanti, portando lo sguardo altrove.
    Era fatta così, senza filtri o senso del pudore, dedita a vivere secondo una sua personale rielaborazione della filosofia del carpe diem. Anche perché del resto, per lei, che quello che stesse vivendo in un determinato momento sarebbe stato l'ultimo dei giorni della sua vita non era poi una possibilità così remota: era nata in un'epoca di guerre e epidemie, ed alla morte era andata vicina più volte di quanto avrebbe voluto ammettere. L'aveva vista più volte di quanto avrebbe voluto ammettere
    Quindi non c'era da stupirsi se non si faceva alcun problema ad esprimere i propri sentimenti senza filtri o timore di esser giudicata: non le piacevi? Sicuramente aveva avuto premura, in svariate occasioni, di fartelo sapere. Ti amava? Anche qui, senza dubbio, ne saresti stato a conoscenza. C'erano davvero poche emozioni che la ragazza impediva a sé stessa di provare e, nemmeno tentando con tutta sé stessa di nasconderle, ci riusciva sul serio. Vero Sander?
    Non era abituata a tenersi le cose per sé, Danielle. Non ne era capace, non voleva. Ma negli ultimi tempi, lo stava facendo fin troppo: non aveva ancora trovato il coraggio per parlare ai suoi genitori, o alle sue sorelle, o ai suoi cugini, a ciò che rimaneva della sua famiglia. Era partito come un gioco, ed avrebbe voluto che rimanesse tale per sempre: perché quando da bambina a casa la prendevano in giro per esser troppo testarda, fin troppo idealista e i suoi tentativi di sembrare una dura venivano etichettati come adorabili, Dani usciva dalla stanza infuriata sbattendo la porta ed urlava a squarciagola che prima o poi sarebbe andata via di lì, dimostrando a tutti loro di essere in grado di cavarsela da sola. Ma lo sapeva lei come lo sapeva la sua famiglia che non li avrebbe mai abbandonati. Mai. Anche se crescendo "adorabile" non era stata più definita, anche se aveva iniziato ad indossare solo abiti scuri e non lasciare nemmeno un centimetro di pelle senza un qualche tatuaggio.
    Ed invece eccola lì, alle soglie del giorno in cui avrebbe lasciare tutto.
    Li avrebbe persi.
    Ma non era forse ciò che stava già accadendo? Era arrivata alla conclusione che, partendo, avrebbe potuto far qualcosa per sistemare le cose, per non permettere al futuro in cui loro si erano ritrovati a vivere di verificarsi di nuovo. Avrebbe potuto cambiare gli eventi o impedir loro di accadere. Impedire ai suoi genitori di ammalarsi non era forse, di per sé, un motivo sufficiente per tornare indietro? Poteva salvarli. Ed anche se l'Archibald Leroy Baudelaire e l'Aidan Gallagher che avrebbe incontrato una volta arrivata nel passato non sarebbero stati i suoi, di genitori, sapeva che ne sarebbe valsa la pena in ogni caso.
    Che loro ne valevano la pena.
    Ed in fondo c'era una parte di sé che ci sperava sul serio, incapace di rassegnarsi al fatto che il tempo sarebbe stato in grado di cancellare legami così forti: lo sentiva dentro di sé, che non potevano perdere tutto il loro valore, ma allo stesso tempo aveva avuto paura. Di che cosa? Un po' di tutto.
    Aveva sempre fatto creduto essere impavida, senza il timore di nulla e in grado di affrontare ogni situazione. Ma poi la possibilità remota di quella missione, per anni rimasta solamente un' idea astratta e distante, era diventata una fottuta realtà.
    E CJ, BJ, Washington, Finn, Davina, James, Ray, Juno, Mabel e Gwen avevano detto sì.
    E Tupp e Cash avevano detto sì.
    E Ronan, Lynch e Meara avevano detto sì.
    Dominique e Jessica avevano detto sì.
    Persino Sander aveva accettato.
    E vaffanculo, anche lei aveva detto sì. Ma non voleva ricominciare tutto da zero: aveva paura di dimenticarsi ogni cosa, di iniziare una nuova vita, una vita normale, così da non sentire la mancanza di quella precedente. Non si fidava abbastanza di sé stessa per poter azzerare tutto e ripartire dal nulla. Così aveva deciso di partire come custode, per aver chiaro, fin dal suo arrivo nel passato, di non appartenere sul serio a quell'epoca.
    Era il suo modo di tenere unita la famiglia.
    «Dander, io non ce la faccio senza di te» Non ce la faccio senza di voi. Ma il bradipo era l'unico a cui aveva il coraggio di dire quelle cose, di mostrarsi così vulnerabile, forse a causa dei sensi di colpa: lui lo stava abbandonando del tutto, consapevole del fatto che non l'avrebbe mai più rivisto, dopo anni in cui l'aveva cresciuto come un figlio. Se n'era affezionata, Danielle, fin da quando si era recata fino in Brasile per prenderlo a Sander: le era sembrato il regalo perfetto per il compleanno più significativo della vita del migliore amico.
    "Per ricordarti che, adesso che sei entrato nella maggiore età, diventerai vecchio e lento come lui" aveva detto ridendo al ragazzo, mentre gli consegnava la gabbietta con il bradipo ancora cucciolo. E ci era voluto poco, ad innamorarsi dell'animaletto.
    L'aveva considerato un vero e proprio figlio quando Sander gli aveva poggiato sul capo un cappellino di dubbio gusto, il giusto connubio tra look da rapper e trashata assurda, e Dander aveva iniziato a rappare. RAPPARE, capite? Era il figlio migliore dell'universo e loro stavano per lasciarlo solo. Per sempre. «Hai fame? Dovrebbe essere rimasto del sushi..» non si era così informata, prima di comprare l'animale, su quale fosse l'alimentazione da fargli seguire, ed insieme all'amico era arrivata alla conclusione che, essendo nato sugli alberi, mangiava sicuramente cose vegetariane. E così, Dander era cresciuto a carote e sushi, e fin troppo spesso anche a ciambelle. Soprattutto a ciambelle: gli chanel nº5 non erano i genitori capaci di dire no al loro bambino.
    Ma se Danielle Leroy Gallagher non fosse stata una buona madre e non si fosse accorta dell'evidente fame del figlio, non avrebbe scoperto la verità. E forse si sarebbe risparmiata uno dei dolori più grandi della sua vita, se non il più pesante in assoluto, almeno per qualche altra ora. Ma d'altronde era fatta così, e forse fu meglio scoprirlo prima che all'ultimo momento: quando, comodamente sdraiata al fianco del bradipo, con una mano cercava alla cieca sotto il letto di Sander un qualche avanzo del cibo ordinato qualche ora prima. Sapete cosa trovò, invece? Un libro. Mh, strano. Non che all'amico fosse vietato leggere, ci mancherebbe altro, ma storia contemporanea? E soprattutto, sotto il letto? Qualcosa non quadrava.
    E se....no.
    Non l'avrebbe mai fatto.
    Non ora, non mai.
    Non senza dirlo, perlomeno.
    Vero?
    Era fatta così, Danielle, senza filtri o mezzi termini. Così, quando Sander entrò in stanza pochi minuti dopo, lei era già in piedi con il libro in mano. «Beh Bitchinskarden, sei improvvisamente diventato una secchia o devi dirmi qualcosa?» Cercò di dirlo in tono scherzoso, confidenziale, normale. Ma quella situazione non aveva nulla di normale già in partenza, ed era difficile immaginare che potesse precipitare in maniera ancora più disastrosa. Eppure lo stava facendo.
    Ti prego, dimmi che stai semplicemente provando a diventare Alberto Angela per rimorchiare le ragazze.
    Ti prego
    Non puoi farlo
    E chissà se persino Danden riuscì a sentire il suo cuore iniziare a sgretolarsi.
    Lei lo sentiva chiaramente

    - Back to black bodie-

    Per quella che le sembrò un'eternità intera, la ragazza credette di aver fatto un enorme buco nell'acqua ed aver interrotto una lezione di catechismo senza un buon motivo : cosa avrebbe dovuto dire alle madri incazzate la mattina dopo alla lettura del vangelo? Che aveva lasciato i loro figli liberi di rotolarsi tra le barbabietole perché aveva dovuto irrompere in casa del vecchio Hululu? E non per rubare dalla sua enorme riserva di liquori, ma per parlare con Barnaby Jagger? Gesù, doveva trovarsi una scusa più credibile. Magari si sarebbe inventata una qualche malattia strana, come l'aviaria o l'ebola: tanto che ne potevano sapere le donne di chiesa del 1900.
    Ed una scusa doveva trovarla anche con Barbie per esser piombata lì all'improvviso dato che, dallo sguardo del ragazzo, Gwen capì che lui quel nome non aveva idea di cosa significasse. Scema lei ad aver creduto che sapesse qualcosa. Come poteva, del resto? La missione del 2043 non prevedeva di esser spediti nel far west, dritti dritti sul set de "Il Segreto".
    Vero?
    Forse stava semplicemente iniziando a buttar giù tutti gli insegnamenti che aveva appreso in Accademia: delle raccomandazioni che le avevano fatto, quasi giornalmente, di non rivelare mai nulla a nessuno per alcun motivo se non la consegna delle lettere ad alcuni dei messaggeri oramai se ne faceva ben poco. CJ del resto non aveva già svelato tutto al fratello? E la stessa cosa avevano fatto Barry e Sandy con Sersha?
    Lancaster li aveva bloccati nel fottuto 1918, e tutte quelle stronzate sul futuro non avevano più alcun senso: che poteva fare del resto da lì per sistemare le cose? Come poteva aiutare, se da quel passato da modificare era stata strappata via senza aver voce in capitolo? A volte, soprattutto nelle ultime settimane, aveva sentito il desiderio di buttar tutto fuori, di dire ad alta voce quella verità che ormai si teneva dentro da mesi.
    Ed ogni tanto lo faceva, ma sempre a modo suo: frasi sussurrate con un filo di voce, pronunciate non per farsi capire ma per il solo bisogno di esprimersi ad alta voce.
    Anche solo per un attimo.

    «Sono vostra figlia»
    «Eh?»
    «Mi serve una BIGLIA, ne ho spaccata una ad un bambino del catechismo»

    «Ma lo sapete che siete genitori?»
    «Che?»
    «Siete due COGLIONI!»

    «Siete i miei papà»
    «Mh?»
    «Voglio un BABBÁ!»

    Sarebbe stato più complicato trovare una parola per far credere a Barbie di aver sentito male, ma era anche consapevole del fatto che Bitchinskarden fosse una parola un tantino complicata da mascherare. E vabbè, l'avrebbe fatta passare come saluto fiko tra giovani - ne inventava di parole strane, la gen z - o come il nome di un cocktail. O di un particolare tipo di allucinogeno. Ne aveva di possibilità, la Markley: d'altronde lei era la ragazza dell' unicorno avesse sonno profondo altrimenti notte difficile da portare al pascolo. Non sarebbe stato certo il cognome dei figli di zio Jeremy a mandarla in panico.
    Il «bec-c-cato» non se l'aspettava. Proprio non ci sperava più, avendo osservato il volto del ragazzo mentre la fissava senza proferire parola per un tempo fin troppo lungo. «ce ne hai m-messo di te-tempo,» e gesù, una vita intera con un'unica missione e nel momento in cui le si parava davanti l'occasione falliva miseramente accorgendosene dopo mesi «d-dani.» Sentirsi chiamare con il vero nome era..strano. Parecchio strano. Ma non in senso negativo: era semplicemente qualcosa di nuovo, a cui però non sentiva il bisogno di doversi abituare.
    «Sander..?» ovvio che lo conoscesse: le foto delle famiglie le aveva studiate attentamente tutte quante. Ma lui? Non si era mai chiesta che fine avesse fatto, nella nuova vita. E non le avevano mai dato informazioni su di lui, come invece avevano fatto con tutti gli altri messaggeri. Gwen in quel momento non riusciva a non chiedersi il perché, della totale assenza di notizie su di lui. O del perché si trovasse circa cento anni prima di dove sarebbe dovuto essere. «n-non ero nelle t-tue foto? rude» Quelle diapositive ce le aveva stampate in testa, indelebili fin dalla prima volta in cui le aveva osservate: era tutto ciò che le rimaneva di quella vita, l'unico collegamento con quel futuro, l'unica prova che un giorno avrebbe avuto per dimostrare ad Arci, Aidan, Shiloh e Nicky che sì, anche se era quasi impossibile crederci, loro erano una famiglia.
    Ed era certa di non aver mai stretto tra le mani una foto in cui, al suo fianco, compariva Barnaby Jagger. O Sander Bitchinskarden, ad esser più precisi. Perché?
    «eravamo am-» «..ericani?» Aveva dato per scontato di esser nata in Inghilterra, ma forse i Jeraci avevano optato per il parto a Los Angeles come la Ferragni «am-» «..malati?» Forse si stava confondendo con i loro genitori «am-» «..malianti?» Quello sempre, non serviva specificarlo «am-» «..BÈ DIMMI» Stava completamente morendo di impazienza e voglia di sapere: era una novità per lei trovare qualcuno che, di quel futuro, ne sapesse di più «-ICI. eravamo amici»
    AH DAVVERO? Ed allora perché lei non ne sapeva assolutamente nulla? Perché non aveva nemmeno una singola foto in compagnia del ragazzo? Infondo non avrebbe avuto motivo per non portarsene dietro almeno una, no? Ma era sicura al cento per cento che nella sua lettera di Sander non ce ne fosse neanche l'ombra.
    Ma allo stesso tempo, nello sguardo del ragazzo non trovava traccia di bugia, e la ragazza aveva un certo sesto senso nel capire quando qualcuno le stava mentendo. C'erano tante domande che voleva fargli , tanti interrogativi che si accavallavano nella testa della ragazza uno dopo l'altro senza sosta: perché, in tutti quei giorni, non aveva detto nulla a riguardo? Perché viveva tra le barbabietole? C'entrava forse qualcosa con il loro esser bloccati in quel buco di città? Perché un motivo per cui, tra tutte le città del Nord America, Lancaster avesse scelto proprio Bodie doveva esistere per forza. E forse Gwen ce l'aveva proprio davanti agli occhi, o forse era tutto un enorme scherzo del destino. Ma l'unica cosa che riuscì a chiedergli fu un'altra.
    Più frivola, di meno conto, più egoista.
    «Hai delle foto? Posso vederle?» E si rese conto che non ne aveva bisogno per credere alle parole di Barbie, ma soltanto per sapere, per conoscere qualcosa di nuovo su chi era un tempo, e per capire il perché lui tra le sue non compariva mai.
    Che ne poteva sapere, Gwendolyn Markley, che le istantanee che catturavano i momenti più significativi della vita dei ragazzi lei le aveva abbandonate sul letto del Bitchinskarden, quando era uscita di corsa dalla sua stanza sbattendo la porta alle sue spalle e riuscendo a malapena a trattenere le lacrime.
    Quando aveva creduto che non l'avrebbe mai più rivisto in vita sua


     
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    once: sander bitchinskarden
    12.02.1918 | hululu's mansion
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    Era semplicemente questione di tempistica: era assai raro, ma talvolta capitava che l’universo permettesse ad un individuo di trovarsi esattamente nel posto giusto, all’esatto momento giusto – un solo secondo di ritardo, un battito in meno dietro le costole, avrebbero potuto impedire un tale evento. A Sander Bitchinskarden, in vent’anni di vita, non era mai successo: il tempismo non era mai stata una delle sue qualità, tipico invece nel capitare casualmente al posto sbagliato nel momento più sbagliato.
    Una prima volta, c’era per tutti. Ed avrebbe preferito di no, Sander. Avrebbe preferito rimanere il ritardatario cronico che si perdeva sempre la scena principale, giungendo appena dopo che quella fosse finita; si perdeva sempre la parte divertente, chiamato in causa dal Fato solamente quando c’era da sistemare la situazione.
    E se quel giorno non avesse dimenticato le cuffiette dell’ipod nella Sala del Consiglio, se non se ne fosse accorto a metà strada, all’angolo dove un salice pendeva inquietante su una panchina dimenticata da Dio, se non si fosse fermato ad osservare il cielo chiedendosi perché, perché fosse sempre così distratto, prima di tornare sui propri passi, si sarebbe nuovamente perso il momento – quello che la sua vita, l’avrebbe cambiata sempre.
    Perché se Sander non fosse passato vicino alla porta socchiusa dove gli adulti stavano discutendo, non avrebbe mai sentito quella conversazione. Non avrebbe mai saputo di avere un’alternativa.
    Ma l’aveva fatto - e sull’uscio della porta, aveva ascoltato. Ma sapeva di avere un’alternativa - e spalle al muro, dita intrecciate dietro la schiena, evitava accuratamente lo sguardo dei due individui di fronte a lui. Non aveva mai avuto problemi a dire quel che gli passava per la testa, troppo poco interessato a quel che gli altri pensavano di lui: era il classico ragazzo che apriva bocca anche quando non avrebbe dovuto, che sorrideva arcuando le sopracciglia e stringendosi nelle spalle – quello che se ne sbatteva sempre un po’ troppo delle conseguenze delle proprie azioni, ma che per farsi carico di quelle dei suoi fratelli era sempre in prima fila. Quello che d’empatia peccava un poco, e che osservava i sentimenti altrui con l’interesse accademico che avrebbe rivolto ad una pozzanghera – troppo egocentrico, troppo egoista, troppo negligente verso le responsabilità. Lo stesso ragazzo incapace di serbare rancore perché esageratamente impegnativo, che avrebbe perdonato a chiunque qualunque cosa pur di poter buttare la faccenda alle proprie spalle e non doverci più pensare – lo stesso che, pur essendo ruvido e grezzo, riusciva solamente a stampare sorrisi sulle labbra degli altri: era impossibile odiare Sander, o tenergli il broncio mentre con la nocca ancora sporca del sangue altrui allungava una mano per aiutare l’altro a rialzarsi, una pacca sulla spalla e bella che era la vita. Gestire le proprie, di emozioni, era stato fin troppo complesso da subito: intense, confusionarie. Fragili, nella lama che talvolta gli si conficcava nei polmoni impedendogli di respirare. Quindi, magari, se gli girava il cazzo ti spaccava di botte – ma era anche il primo, il Bitchinskarden, ad offrire una tregua ed una Burrobirra ai Tre Manici.
    «beh?» Inspirò dalle narici, tamburellò con i polpastrelli sulla grinzosa superficie in cemento della piccola stanza rettangolare. «mi offro volontario» offrì dal nulla, alzando gli occhi scuri verso quelli verdi di Tupperware Jackson Armstrong. Suscitava una certa inquietudine, con quei lunghi capelli rosa a sfiorarle la pelle un tempo ambrata, ed ora ricoperta da abbastanza tatuaggi da far girare la testa – ma mai a Sander. Non esisteva persona al mondo in grado di suscitare timore, soggezione, quel cazzo che vi pare, al Bitchinskarden: diceva a tutti ch’era perché chiaramente il migliore non doveva temere competizione, ma la verità era che non aveva mai avuto nulla da perdere. Reputazione, per dirna una. Amor proprio - quelle cose lì. Avrebbe potuto chiedere a Noah, ma per quanto adorasse il cugino (difficile trovare qualcuno a cui Sander non volesse bene, vendeva il proprio affetto come una puttana in saldo sulla tangenziale) lo trovava troppo… impersonale. Più astratto che concreto, quasi Cash fosse stato un pensiero diventato accidentalmente persona in carne ed ossa. «per?» Si sforzò di non dondolare nervosamente sul posto, determinati occhi color cioccolato a non tentennare. «ho sentito che c’è bisogno di qualcuno che vada nel periodo della prima guerra mondiale» gonfiò il petto in un unico, denso, respiro. «mandate me.» e solo Dio, solamente Dio, poteva sapere quanto quelle due parole del cazzo gli fossero costate, tagliando pelle e muscoli nel farsi strada verso la bocca. Dio, ed idealmente il terzo membro di quel simpatico trio: «ma che cazzo dici?» idealmente, ovvio. Sander aveva avuto anni per addestrarsi a nascondere i pensieri più loschi (tipo quanto poco avesse sistemato la propria stanza) a sua madre, CJ Hamilton non era certo uno scoglio maggiore: bastava concentrarsi sui piccoli dettagli, studiandoli come se ne andasse della propria vita. La mente del Bitchinskarden era un vicolo cieco – talvolta, anche per sé stesso. Corrugò le sopracciglia, un’occhiata sbilenca al ragazzo arrampicato sopra uno dei banchi ivi presenti - braccia a stringere le ginocchia al petto, e mento sulle gambe. «ci ho pensato» ignorò la domanda del cugino per spostare la propria attenzione su Tupp, le labbra di lei strette in una linea dura. «è la soluzione più logica» ci aveva pensato davvero, Sander. Per quanto al mondo piacesse crederlo, non era uno stupido - era inverosimilmente pragmatico, ed aveva una spiccata tendenza al sacrificio personale in virtù del benessere altrui. Si era detto anni prima, una vita prima, che pensare agli altri fosse troppo sbatti: preferiva tenere tutto per sé, lasciare che il pensiero lo consumasse come le fiamme che attraversava quasi giornalmente (sì, surprise motherfucker, era un pompiere!!) piuttosto che dover affrontare una qualsivoglia conversazione con altri. Ci moriva un po’, ma sapeva accontentarsi. «mandate me» ripetè ancora fra i denti, battendo lento le ciglia. Credevano forse che a vent’anni non fosse in grado di prendere una decisione del genere razionalmente? Era un mondo strano, il loro. I bambini non crescevano come un tempo, gli adolescenti non si sciupavano come un tempo, gli adulti non vivevano punto. Sul ciglio di quelle incertezze, tutto diventava più lancinante, i legami a sfiorare la follia nel loro continuo timore di perdersi: le amicizie erano più durature, gli amori più feroci, le famiglie più disperate.
    Sander, nel dubbio, le aveva un po’ tutte. «non dire stronzate, non ti faremo andare da solo durante la fottuta guerra mondiale.» Aveva saputo sin dall’inizio, che quella sarebbe stata la reazione dell’Hamilton. Dava sempre per scontato che dovessero rimanere insieme per forza - ma solo quand’era lui a scegliere le modalità, che se altri lo facevano per CJ gli stava sempre troppo stretto. Suo cugino era quel che avrebbe definito, miscelando critica ed osservazione ammirata, un’idealista: piuttosto che accettare che Sander potesse andare da solo a fine ‘800, si sarebbe testardamente imposto di trovare una soluzione nel troppo poco tempo che era loro rimasto – o, ancor peggio, avrebbe insistito affinchè anche lui potesse tornare ai tempi in cui i termosifoni erano il sogno dei ricchi.
    Un imbecille, in sostanza. Una vera fortuna che fosse anche un piccolo rancoroso bastardo. Sander sospirò, guancia stretta fra i denti.
    Ed ecco perché - «perché lo stai dicendo a noi?» Tupp inarcò un sopracciglio verso CJ, braccia incrociate sul petto. «a me*» corresse lui, il mezzo sorriso di chi non ci credeva, e gli occhi socchiusi di chi cominciava a crederci un po’ troppo.
    Concentrati sui dettagli. Strinse impercettibilmente i pugni, rispondendo senza guardarlo. «speravo in qualche consiglio» iniziò, umettando il labbro inferiore. «su come abbandonare al meglio la mia famiglia.» e mentre il sorriso si allargava sulla bocca di Sand, spariva dal volto di CJ quasi il Guaritore glielo avesse rubato. «la lettera è sopravvalutata, vero? dovrei sparire e basta, come hai fatto te» «sand» «senza neanche salutare, tanto chi se ne fotte» «sander» ma Sander aveva preso il via, ed a malapena si rendeva conto delle parole grigie a scivolargli dai denti – prive di colore, di sfumature. Piatte e sincere. «sei stato così bravo a lasciare ade e bj per tutti questi anni -» «bitchinskarden.» «- che ho pensato potessi farmi una breve guida su come sbattermene le palle e andarmene per i cazzi m» ma i polmoni non volevano più saperne di funzionare, con il braccio dell’Hamilton a schiacciarlo prepotente contro il muro. Annaspò sulle punte, le mani a cercare di allentare la presa permettendo un minimo spiraglio d’ossigeno; si sforzò di non tossire, consapevole che avrebbe solamente dato inizio al circolo di soffocamento che, per inciso, avrebbe voluto evitare ancora per un po’. «v a f f a n c u l o» severo ma giusto. «voglio andarmene davvero, e non voglio che nessuno lo sappia» sbuffò, sentendo gli occhi cominciare a bruciare. «perché?» lui spinse ancora, ed un secondo «cj» vibrò secco da parte di Tupp. «non sono cazzi tuoi» aggiunse socchiudendo le palpebre, spingendosi ancora un poco verso l’alto per evitare di rimanere strozzato. «non puoi dire sul serio» un ringhio basso. «crane j u n i o r hAmIlTON» «non puoi -» «abbandonare tutti? tu l’hai fatto.» in quel momento il suono di una sicura attirò l’attenzione di entrambi. «lascialo» Con la coda dell’occhio, vide Tupp premere la canna della rivoltella sulla testa del cugino. «non mi uccideresti» «ma posso mutilarti» l’arma da fuoco a scivolare sull’attaccatura della spalla – e rimasero tutti e tre immobili, smettendo anche di respirare.
    Non che Sander avesse molta scelta, ma gli piaceva credere di essere parte del pack badass.
    «vaffanculo, sand» si ritrovò improvvisamente in grado d’inspirare, ed i polmoni dolsero all’arrivo di nuovo, pulito, ossigeno. Dovette piegarsi su sé stesso, stomaco contro le ginocchia. «sei un coglione. Fai il cazzo che vuoi» si evitò di sussultare quando la porta venne sbattuta alle spalle dell’Hamilton. Attese una manciata di secondi, le gambe a cedere costringendolo a sedersi sul pavimento. Rimase in quella posizione un paio di minuti, occhi chiusi e la sola presenza della Armstrong poco distante a fargli compagnia - ancora in piedi ed ancora armata, lei. «cos’era, quello?» alzò il capo, un mezzo sorriso falso a piegare la bocca. Dovette deglutire bile e sangue, Sander Bitchinskarden, cercando d’ignorare la fitta al petto data dalle parole del cugino - e dal suo sguardo, arrabbiato e ferito. Non era cattivo, Sander. «un esperimento» ammise, dolentemente pragmatico.
    Voleva sapere cosa si provasse a deludere qualcuno per un’ultima volta, prima di farlo con le persone a cui teneva. CJ Hamilton era sempre stato emotivo, facile da innescare come i petardi a Capodanno; idealista, e stupido, con la malsana e sadica certezza che sarebbe andato tutto bene – proprio lui che, buon Dio, doveva saperlo che non andava bene un cazzo. Era stato una specie di banco di prova, mera strategia di marketing: esponi il nucleo (partenza) osserva come rispondono i tuoi ascoltatori (ironia, incredulità) attacca sulla parte vulnerabile per scatenare una reazione pregna di odio che avrebbe impedito al soggetto di commettere qualcosa di stupido (cercare di fermarlo; mettere di mezzo Juno o Raymond).
    Tupp, invece, era come Sander, sapeva quel che andava fatto – ecco perché lei, tristi occhi verdi, non aveva commentato; ecco perché lei, quando Sander le aveva spiegato il proprio piano, non aveva esitato, limitandosi solo ad un rapido abbraccio; ecco perché lei, sopracciglia corrugate, aveva distrattamente preso appunti su una pergamena mentre lui le domandava solo un favore.
    Ecco perché infine aveva annuito, sospirando sollievo e melodramma.
    A quel «sei un ragazzo coraggioso, bitchinskarden» di semi congedo, Sander aveva risposto sorridendo stringendosi nelle spalle. «ed anche molto bello.» sperando che la conversazione finisse lì – non c’aveva testa, cuore, niente, con cui continuare ad affrontarlo: voleva fingere di non aver appena mandato tutta la propria vita a puttane, finchè non fosse stato il giorno della partenza.
    Era evidentemente chiedere troppo. «devi dirlo agli altri. Lo sai, vero?»

    Pulì le scarpe sullo zerbino, prima di entrare. Aprì la porta, abbandonò il borsone sul pavimento e le spalle contro il legno, concedendosi un sospiro a metà fra singhiozzo ed isteria. Mandate me, devi dirlo agli altri. Non era realmente coraggioso, Sander.
    Non lo sarebbe mai stato. «SONO A CASA» gridò, ricevendo in risposta un gridato «CHISSENEFOTTE» dal piano superiore. Non riusciva ancora a capacitarsi che, un giorno, sarebbe entrato in un appartamento senza ricevere gli – affettuosi. – insulti di Raymond Bitchinskarden. Deglutì amaramente, un sorriso a pulsare sbagliato sulla bocca carnosa. Si trascinò sulle scale, le dita a serrarsi troppo duramente sullo scorrimano. Si fermò sul pianerottolo, incerto sul perché le spalle tremassero tanto senza motivo. «juno?» si affacciò sulla stanza della sorella, trovandola a gambe incrociate sul letto. Telefono davanti a sé, impeccabile piega dei capelli corvini, e labbra a cuore sporte verso l’obiettivo. Inutile dire che non gli rispose, né diede cenno di averlo sentito. «j u n o» «STO FACENDO UN VLOG, SAND» Lo ammonì glaciale, sorridendo calda alla videocamera ma sollevando occhi scuri e killer su di lui. «ciao followers che la mia gemella ama più di me» si introdusse davanti all’obiettivo sorridendo, la mano ad agitarsi davanti al telefono, prima che una non vista dagli spettatori Juno gli tirasse un calcio nelle palle.
    Maledetta. «sono andato a parlare con tupp» «ignoratelo. Come stavo dicendo, ho comprato questo nuovo, m a g n i f i c o balsamo hashtag lo userò per tutta la vita-» «torno all’800» «che rende i capelli setosi ma non fa loro perdere volume, neanche con il hashtag terribile tempo di Londra!» Sorrise, Sander Bitchinskarden, lasciando Juno ad aggiornare il suo profilo instagram. Li amava in maniera quasi morbosa, i suoi fratelli. Credeva che loro lo ricambiassero, ma… non gli sarebbe dispiaciuto se, talvolta, avessero anche provato a dimostrarglielo.
    Se la viveva un po’ male, quella vita a metà. Era sempre un senso unico, Sander.
    Spinse la porta della propria stanza, e si bloccò a metà passo – bocca socchiusa, occhi spalancati.
    Non dubitava che fosse colpa di sua sorella, dato che Ray muoveva il culo solamente quando a suonare il campanello era il fattorino: Juno doveva CristoSanto smetterla di aprire a Danielle quando lui non c’era, solamente perché vabbè, è dani - oh buon signore, poteva avere almeno la decenza di avvisarlo.
    Anche perché. Anche perché era sempre un po’ un colpo al cuore, Danielle Leroy Gallagher. Poco importava quanto tempo i due avessero passato in reciproca compagnia, era impossibile abituarsi a lei - anzi, peggio: più stavano insieme, meno Sander riusciva a non assuefarsi alla sua presenza, rimanendo inebetito come chi, abituato al buio, vedesse il sole per la prima volta. Battè le ciglia, le sopracciglia d’istinto corrugate ad osservare il profilo della ragazza ancora ignara della sua presenza: i capelli fili d’inchiostro, la pelle morbido cappuccino, i fianchi curve dolci. Ma la cosa peggiore - la cosa peggiore – era indubbiamente tutto ciò che non riusciva a vedere, ma conosceva quanto i battiti del proprio cuore: la voce di lei a tenerlo a galla nei momenti in cui affogava in sé stesso, le sue dita sulle proprie mani a pulirlo da sangue o terra del quale non aveva memoria, il sopracciglio inarcato con il quale era in grado di alleggerire anche il respiro più ferroso. La risata quella bella, capo reclinato all’indietro e labbra rosse a mostrare denti bianchi e perfetti, e quella ancora più bella, versi acuti e grugniti poco femminili con la testa infossata nella maglia. La tenacia con cui prendeva in mano qualunque situazione, ed il modo in cui il mondo intero sembrava ripiegarsi attorno a lei adattandosi alle sue esigenze.
    Sander Bitchinskarden voleva vomitare. No, non (solo) per le farfalle allo stomaco, ma per il livello di pateticità raggiunto da quella cotta: che cos’era, un cazzo di Harmony? Sveglia, bello.
    «dander, la signorina ti sta importunando?» domandò avanzando all’interno della propria stanza, scambiando con il bradipo il loro saluto segreto (sì, avevano un saluto segreto). Ripiegò il distratto sorriso verso la Leroy Gallagher, un sopracciglio inarcato.
    E così rimase, Sander Bitchinskarden. Congelato nel secondo in cui gli occhi scuri erano scivolati sulla copertina del libro fra le mani della ragazza, un brivido a freddare cuore e sangue. «Beh Bitchinskarden, sei improvvisamente diventato una secchia o devi dirmi qualcosa?» Ricambiò il sorriso di lei, semplicemente perché impossibile fare altrimenti.
    Ed avrebbe potuto mentirle, Sander. Avrebbe potuto dirle che lo usava per masturbarsi, cambiando così l’argomento per tornare a parlare (ancora? sempre) della volta in cui aveva beccato Raymond fare la ricotta davanti al trenino Thomas: inutili le giustificazioni del Bitchinskarden riguardo al fatto che aveva dimenticato la tv fosse accesa, Sander non avrebbe mai dimenticato quel terrificante, magistrale, momento. Avrebbe potuto dire alla Gallagher che aveva fatto una scommessa con BJ sulla Prima Guerra Mondiale; avrebbe potuto dirle che stava facendo una ricerca di foto per Blake, o che voleva solamente guardare le immagini.
    Che era lì per caso.
    Che lui, la propria stanza, manco la puliva.
    «mi sto informando» lasciò che il sorriso si ampliasse, che lo sguardo si facesse studiatamente più caldo e leggero. Era sempre stato un ottimo bugiardo, Sander: il fatto che avesse scelto di non esserlo, non significava non lo fosse. Se fosse stato più onesto e più coraggioso, Sander avrebbe detto anni prima alla Leroy quanto quell’amicizia fosse tossica, una forma più pura e complessa di eroina – che lui doveva disintossicarsi, ma non poteva farlo: indipendentemente da cosa provasse per lei, Danielle era la sua migliore amica. Non poteva perderla. Nonpotevaperderla.
    Ed allora perché lo stai facendo?
    «devo sapere se a fine ottocento c’è ancora la peste, sai, per i vaccini da fare prima della Partenza» ironizzò in tono allegro, una perfetta maschera di non curanza ad ammorbidirne i tratti, enfatizzando Partenza - con la P minuscola, se ne intendeva oramai solo una. Doveva solo fingere - doveva solo fingere - di star parlando d’altro: del tempo, della musica, delle stelle o gli uniposka. «non vorrei ammalarmi» si strinse nelle spalle, rimanendo testardamente in piedi al centro della stanza. Ancora sarcasmo, dolce come zucchero, a tingere le parole del Bitchinskarden: con il fattore di Guarigione, era impossibile potesse rimanere vittima di una qualsivoglia malattia, uno dei motivi per i quali s’era candidato al posto. Abbassò lo sguardo spegnendo il sorriso sulla punta dei propri piedi, le spalle a cedere sotto il peso di una scelta che scelta non era mai stata.
    Era semplicemente questione di tempistica: era assai raro, ma talvolta capitava che l’universo permettesse ad un individuo di trovarsi esattamente nel posto giusto, all’esatto momento giusto – un solo secondo di ritardo, un battito in meno dietro le costole, avrebbero potuto impedire un tale evento. A Sander Bitchinskarden, in vent’anni di vita, non era mai successo: il tempismo non era mai stata una delle sue qualità, tipico invece nel capitare casualmente al posto sbagliato nel momento più sbagliato.
    Una prima volta, c’era per tutti.

    «mi sono offerto per il 1900»

    ❖ ❖ ❖



    «Hai delle foto? Posso vederle?» Reclinò il capo, corrugò le sopracciglia abbandonando le mani in grembo. Davvero, davvero?, non aveva idea di chi Sander fosse? Insomma, Barbie aveva creduto che l’atteggiamento di Gwen facesse parte di una specie di contorto gioco di ruolo wat - tipo vedo non vedo, ma sostituendo il verbo sapere al vedere. Fece schioccare la lingua sul palato, labbra piegate pensose verso il basso. Tacque, allungò una mano per chiudere il rubinetto della botte - e per prendere tempo.
    Aveva una brutta sensazione, Barnaby Jagger. Una specie di prurito allo stomaco, fastidioso ed impossibile da ignorare. Sentiva, Barbie, che c’era qualcosa di sbagliato in quella situazione, e conoscendosi, era probabilmente qualcosa di cui doveva vergognarsi: che sul serio Sander Bitchinskarden fosse stato uno stalker, ed avesse importunato la fu Danielle Leroy Gallagher? Che fosse stato un maniaco? «n-non so» ammise, spostando l’attenzione sui propri piedi. Era fortemente combattuto, il buon animo di Barbie: evitare al sé di cent’anni dopo una figuraccia, o cogliere la possibilità di invitare Mariel presso la propria dimora (una casa sull’albero, per inciso: bellissima, lo sa) senza sembrare un pervertito?
    Eh. Scelta difficile, sicuramente. «dovrei av-verne una nel p-portafoglio, ma le altre sono a c-c-ca» inspirò seccato, preferendo infine gesticolare nervosamente disegnandole un tetto nell’aria. «non so n-neanche perché la abbia» ammise, piegandosi lateralmente per recuperare il portafoglio (vuoto, chiaramente, ma faceva sempre scena portarselo appresso) nella tasca posteriore. Era pieno di cazzate, perlopiù appunti riguardo canzoni che non avrebbe mai finito di scrivere perché gli pesava il culo – c’era anche il plettro, da… da qualche parte. Non era particolarmente ordinato, Barnaby –, dediche affettuose dei cittadini di Bodie che gli auguravano di morire giovane, e brandelli di poesie che scriveva, con tutto l’amore del mondo, ai suoi haters.
    Un piccolo assaggio:
    Sono vivo, sto bene.
    Succhiatemi ‘sto pene
    .
    Fine.
    «a-aesthetic» soffiò cospiratore, stringendosi nelle spalle per porgerle la stropicciata fotografia. La trovava divertente, Barbie. La trovava stranamente calzante, nel suo occupare il posto che da sempre aveva meritato: protetta dal portafoglio, sì, ma sempre sulle sue chiappe. «e poi si m-m-muove» beh? Aveva vissuto per anni nel mondo babbano, ancora si emozionava per le fotografie in movimento dei maghi – ed in HD! Facciamo causa ad un povero cowboy, ora.



    Edited by hotsy-totsy - 8/3/2018, 02:26
     
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    Bodie | 12.02.1918
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    «devo sapere se a fine ottocento c’è ancora la peste, sai, per i vaccini da fare prima della Partenza» C’erano momenti in cui la ragazza si chiedeva come avesse fatto ad esser così amica di Sander per tutti quegli anni: era una tale capra in storia. Perché la mente di Danielle si rifiutava di pensare a una qualunque altra possibilità, ad uno scenario in cui il ragazzo non sarebbe partito al suo fianco: così, fu naturale per lei pensare che, semplicemente, l’amico non ci avesse capito nulla della missione, nonostante fossero stati ben informati a riguardo, e non una sola volta. Era decisamente più semplice pensare che il Bitchinskarden non fosse stato mai attento durante le riunioni piuttosto che accettare la realtà dei fatti. Non la voleva, lei, quella realtà. «non vorrei ammalarmi» Che idiota. E non era mai stata brava, Danielle Leroy Gallagher, a tenere per sé i commenti sulle persone: non era ben vista da metà della popolazione terrestre per puro caso. «Che idiota » E la ragazza era già pronta a spiegare all’amico che uno, sarebbero tornati in un periodo compreso più o meno nel decennio a cavallo tra anni novanta e nuovo millennio, due, la peste era una malattia debellata moltissimo tempo prima quindi non c’era motivo di preoccuparsene e tre, se il loro organismo stava uscendo intatto da quella, di epoca, di certo avevano gli anticorpi adatti per sopravvivere alle malattie di circa quaranta anni prima. Come faceva ad esserne certa? Suo padre non si era ammalato, durante la sua adolescenza. Ed era soprattutto per lui, per un futuro in cui Archibald sarebbe stato in grado di continuare a crescere le sue bambine senza dover lottare con la malattia, che Danielle aveva deciso di prender parte alla missione.
    Anche se significava lasciarsi tutta la sua vita alle spalle.
    «mi sono offerto per il 1900» Cosa? Cosa? Non poteva essere vero. Doveva esser tutto semplicemente un grande scherzo, l’ennesima trovata dell’amico per farla innervosire: sapeva quanto odiasse gli scherzi, eppure era pronto a pianificarne di nuovi ogni volta che ne aveva l’opportunità. Eppure… da quando la missione era diventata una possibilità concreta, per tutti loro era diventata una sorta di tabù parlarne. O perlomeno, per Danielle lo era: inizialmente perché non aveva intenzione di partire, e preferiva negare la realtà dei fatti, cioè che avrebbe perso metà della sua famiglia da un giorno all’altro. Poi, quando anche lei aveva deciso di prenderne parte, aveva preferito continuare a tacere al riguardo. Sander dunque sapeva bene quanto quell’argomento la mettesse a disagio, e per questo era molto strano che improvvisamente avesse deciso di organizzarle uno scherzo così di cattivo gusto, dopo che in tutto quel tempo il ragazzo non ne aveva mai parlato esplicitamente, sapendo quanto mettesse di cattivo umore Danielle pensarci. Aveva preferito vivere a pieno i mesi che la separavano da quell’inevitabile giorno, godendosi ogni giorno e costringendo sé stessa a non preoccuparsi del futuro: ci avrebbe pensato una volta che le cose sarebbero già accadute.
    O non ci avrebbe pensato per niente.
    Quindi era improbabile che Sander stesse scherzando, anche a giudicare dal suo sguardo: anni di amicizia avevano fatto in modo che per la ragazza fosse facile decifrarlo come il palmo della sua mano. Ed in quel momento, dietro il sorriso tirato che stava tentando di rivolgerle, Danielle riuscì a leggere tutto il suo nervosismo. E non c’era traccia di ironia, nei suoi occhi: stava dicendo la verità.
    No. No. No
    «Perché?»
    Perché mai avrebbe voluto abbandonare tutti loro, e tornare indietro centocinquanta anni prima completamente da solo.
    Perché la stava abbandonando?

    ❖❖❖


    «dovrei av-verne una nel p-portafoglio, ma le altre sono a c-c-ca» «…sa? » Troppo impaziente, Gwendolyn, per attendere la fine delle frasi di Barbie. E poi la maggior parte delle volte era divertente poter finire le parole pronunciate dal ragazzo come voleva lei, per poi vedere la reazione sul suo volto mentre tentava di correggerla. Quando prese in mano la foto, per un attimo avrebbe voluto ritirargliela in faccia, e la frenò solo il fatto che un foglio di carta era alquanto innocuo come materiale: sarebbe stato meglio lanciargli una delle tante bottiglie di liquore che avevano intorno. Sicuramente il signor Hululu non avrebbe avuto nulla da ridire, se ne avesse presa in prestito una per colpire Barbie. Poi però la osservò meglio, e si rese conto che non era la prima volta che la vedeva. Ne aveva trovata una identica anche nella sua, di lettera. E quel bradipo era presente come minimo nella metà delle foto che Gwen aveva del 2043. Era Dander!
    «Perché hai una foto di mio figlio nel portafoglio?» Si fidava ciecamente di tutto ciò che la sua versione futura aveva scritto nella lettera, e aveva letto quanto la ragazza tenesse a quel bradipo. Gwen si era affezionato a lui anche non avendolo mai visto in vita sua. O almeno, non in quella. E Danielle non aveva accennato ad un padre ma...O-M-G!
    «sei te il padre??? » Sciokkante!!! Se la sua teoria si fosse rivelata vera, quella era una notizia degna da prima pagina su Polgy Girl. E non vedeva l'ora di tornare a casa e dirlo ad Arci ed Aidan. [«Avete presente Barbie, né? Avevamo un figlio bradipo - non bradipo nel senso di sempre stanco, bradipo bradipo - nel futuro!!!1!»] Anche se avrebbe dovuto trovare un modo per cambiare un po' la storia, dato che tutta la faccenda 2043 era un work in progress, con loro. Aka dubitava che avrebbe mai trovato il coraggio di dire loro la verità e invece hihihi guarda un po' a cosa ti portano le mini quest Se ne avesse avuta la possibilità, avrebbe interrogato la ciatella number one sul futuro a riguardo: possibile che Kieran le avesse tenuta nascosta l'identità del padre di Dander volontariamente?? Colpo basso, il suo. Avrebbe tanto voluto farle domande a riguardo ma ahimè, la Sargent in quel momento era a duecento anni di distanza quindi le restava un solo modo di scoprire la verità: non scoprirla indagare come un vero commissario di polizia e mettere insieme gli indizi. Si sentiva un po' come Don Matteo con un omicidio da risolvere, ma senza omicidio: la tonaca poteva prenderla in prestito da Gemes, la bici la rubava a qualche vecchio della città e lo spirito divino forse era già sceso in lei nel momento in cui aveva messo piede in chiesa nei panni di Mariel Simmons.
    «Jagger, ho bisogno di vedere le altre foto, qui c'è aria di mistero» Era già in hype: nel suo cuore attendeva un'occasione del genere per mettere in mostra le sue skills da investigatrice da anni, dopo essersi vista stagioni su stagioni di NCIS, Sherlock, Don Matteo e CSI. Ma prima...«dammi un secondo » allungò la mano per strappare dalla stretta di Barbie la bottiglia di liquore, per poi tracannarne un lungo sorso: non era il tipo di detective in grado di lavorare senza un aiutino in più, la Markley.
    L'alcol rimaneva sempre il suo compagno più fidato. Insieme alla droga, naturalmente.


     
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    once: sander bitchinskarden
    12.02.1918 | hululu's mansion
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    Aveva immaginato quella conversazione un centinaio di volte, Sander, e l’aveva sempre fatto nel modo peggiore, convincendosi che se l’avesse già vissuta nella propria mente, nella realtà non avrebbe fatto poi così male. Gli scenari, se l’era girati tutti: la rabbia, l’incredulità, il pugno ben assestato di Dani allo stomaco, l’indice sollevato minaccioso verso la sua faccia e le labbra di lei una linea severa e dura. La voce ruvida, distante, a non ammettere repliche – gli insulti e le imprecazioni. Idealmente, il Bitchinskarden ci era già passato, favorevole una creatività fuori dal comune a rendere sempre più concreto e colorato ogni suo sogno o fantasia; idealmente. Ma quando gli occhi della Leroy Gallagher si spalancarono appena, la bocca dischiusa alla ricerca di parole o ossigeno o entrambi, sentì il cuore impiccarsi nello sterno come un macabro gioco per bambini dove fossero finite le lettere a disposizione per salvare il malcapitato dal cappio. Deglutì, e fu il primo a distogliere lo sguardo. «perché?» Rimase in silenzio cercando di capire se fosse ancora in grado di respirare, o se i polmoni si fossero effettivamente ritratti impedendogli così di dar aria ad altre stronzate – non poteva escludere nessuna delle due opzioni. La lingua a guizzare fra le labbra, le spalle ad ingobbirsi sotto il peso di un segreto che aveva tenuto troppo a lungo, e troppo testardamente: si era detto che se non l’avesse detto a nessuno, non sarebbe mai stato un problema – che quando l’avrebbero saputo, sarebbe stato troppo tardi e non si sarebbero più ricordati di alcun Sander Bitchinskarden, quindi la questione non avrebbe avuto ragione d’esistere. Patetico? No, logico: gli era rimasto poco tempo a disposizione, e non voleva riempirlo d’astio o sprecarlo cercando di giustificare una scelta che riteneva del tutto, fottutamente, legittima. Non voleva che gli ultimi giorni con Jesse fossero gonfi di bronci o bisbigliati questa è l’ultima volta, quindi? per qualunque, stupida, cosa fatta insieme; non voleva che Ray gli sbattesse in faccia la porta più volte di quanto già non fosse solito fare, e non voleva che Juno cercasse di fargli cambiare idea sbattendogli ripetutamente la testa contro il muro. E non voleva, non poteva accettare, l’odio di Danielle. Andava contro la sua natura pacifista, contro ogni credo di Sander Fuckin Bitchinskarden – andava contro il mero funzionamento del muscolo cardiaco, cocciuto nel voler seguire quello di lei come un cane fedele al proprio padrone. Non voleva sentirsi così, Sand. Non se lo meritava. «perché qualcuno doveva farlo» rispose pratico, sollevato nel sentire che la propria voce non l’avesse tradito nel momento del bisogno. Massaggiò le palpebre abbassate con i pollici, un sospiro stanco e denso a sgusciare disperato fra le labbra. «chi altri avrebbe potuto andare? davina dallaire? ronan barrow?» arcuò un sopracciglio posando lo sguardo in un punto imprecisato oltre la spalla della ragazza, stringendosi nelle spalle come se quella decisione non gli fosse costata sangue e carne. Scosse il capo, le dita a scivolare nella scompigliata chioma castana. «posso guarire da qualunque malattia, posso rendermi utile in guerra…» giustificazioni blande, pur essendo sincere, lo sapevano entrambi. Aprì la bocca e la richiuse, l’aria a trovare intoppo fra trachea e bronchi. «lo sai che sono una mina vagante, dani» costrinse le labbra a curvarsi in un sorriso sbilenco, pigro soldato già arreso ai nemici dalla trincea. Sander era malato - era un fottuto pericolo, ed avrebbe potuto far male a qualunque di loro in qualsiasi momento senza neanche rendersene conto: perché rischiare, quando poteva evitare? «non vi ricorderete neanche di me» spostò gli occhi bruni sulla propria scrivania, sulle mensole piene di CD e libri che mai aveva letto e mai avrebbe fatto. Si rendeva conto d’aver più bisogno di convincere sé stesso che non Danielle – che avesse bisogno di ripeterselo, perché altrimenti non sarebbe stato in grado di fare quel salto: non si sarebbero ricordati di lui.
    E lui di loro. Non avrebbero potuto mancargli, se fossero nati cent’anni dopo – non li avrebbe mai incrociati, nessun senso di déjà-vu. Nessuna storia o vita perse per strada, alcun rimorso o non detto a scivolare nelle vene come acido. «non vedo il problema.» mentì deglutendo veleno, sollevando pesante lo sguardo castano dal tomo di storia al viso della ragazza.


    ❖ ❖ ❖



    «Perché hai una foto di mio figlio nel portafoglio?» Barbie corrugò le sopracciglia, le dita allungate a cercare gelosamente di riprendersi la polaroid – ci teneva, a quella foto. Suo figlio? Come osava dire che Dander fosse suo figlio, quando aveva chiaramente preso tutto dal Jagger? «t-t-tuo?» ribattè seccato, piegando il capo sulla spalla e facendo scivolare sassy con classe i capelli da un lato. «sei te il padre???» quella conversazione aveva preso una piega che, in un eufemismo, non si era aspettato. Uno, da quando aveva ricevuto la lettera non aveva mai pensato, neanche per un istante, di dover dividere l’amore del suo bradipo con qualcun altro – perché mai aveva dubitato dell’affetto fra loro: se non l’avesse adorato, non avrebbe avuto tutte quelle foto swag nella busta - due, certamente non aveva creduto che quel qualcun altro, sempre ammettendo esistesse, potesse essere la Perpetua del paese. «p-perché sks c-chi credevi f-f-fosse» ribattè, offeso e piccato, poggiando la mano sinistra sul pavimento e lanciandole con l’altra una seconda fotografia (ne aveva ancora? sì, molte, abbastanza da fargli credere fossero parenti di sangue). «s-siamo uguali» indicò prima Dander, in una terza pellicola presa dal portafoglio (non aveva cash, con qualcosa doveva pur riempirlo), e poi sé stesso. «Jagger, ho bisogno di vedere le altre foto, qui c'è aria di mistero» Sembrava così carina ed adorabile quando teneva la bocca chiusa, che ogni volta rimaneva leggermente scioccato nel rendersi conto di trovarsi di fronte una demente – e la trovò ancor più bella con le guance arrossate dall’eccitazione della scoperta, gli occhi scuri a brillare divenendo pozze di cioccolato fuso. Scosse impercettibilmente il capo. «v-vacci piano, ragazza d-d-del f-futuro» ammonì, arcuando un sopracciglio. «n-non è r-roba per m-m-millenials» grugnì una risata secca ed apparentemente (ma anche non) divertita a caso da non si sapeva bene cosa – non lo sapeva neanche Barbie, volendo essere onesti. Schioccò la lingua sul palato valutando se lasciarle la bottiglia così che si ubriacasse e fosse meno sbattimento sedurla (vogliamo essere eleganti perché papà sta leggendo, ciao papà di Gwen!) (il papà di Barbie tifa per lui, lo sappiamo) (sì anche Darden vale come papà), oppure se riprendersi ciò che gli apparteneva di diritto perché EHI, ERA ROBA SUA. Scelse come compromesso di prendere una seconda bottiglia, e portarla alle labbra buttando giù quella merda che il signor Hululu si sforzava di chiamare distillato, ma che aveva il familiare sapore del carbone. «d-davvero io n-non ci s-sono n-nelle tue f-f-foto?» domandò, lo sguardo posato intenzionalmente, e con falso disinteresse, sulle proprie unghie. Improvvisamente non fu più certo che farle vedere le proprie fosse un’ottima idea - si sentiva già in imbarazzo per quello stalker di Sander, pieno di foto con i suoi “amiki” e snobbato a merda nelle loro lettere.
    Triste senza alcun motivo, il sorriso appena abbozzato di Barbie. «s-sicura? in n-nessuna? m-magari non mi hai r-r-riconosciuto, avevo i c-capelli p-più c-corti» piegò il capo verso l’alto, gli occhi scuri a cercare quelli di Mariel nell’opaca luminosità della cantina. Cristo se non lo capiva quel coglione d’un cuore a balbettare, pure lui!, dietro le costole. E si domandò, incontrandone le iridi brune, quando il dove ho sbagliato?. Stupidi Viaggiatori a fottere le linee temporali che non gli appartenevano.
    Li odiava tutti, Barnaby Jagger, quei giovani.
     
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    Bodie | 12.02.1918
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    Non aveva mai avuto qualità particolari, Danielle Leroy Baudelaire Gallagher. Tre cognomi di cui due di spicco nel mondo magico, due padri per cui avrebbe donato l’anima, una popstar internazionale come madre biologica, e due sorelle fantastiche: era la sua famiglia la cosa a cui teneva di più al mondo, con tanto di qualche cugino tossicodipendente e un bradipo come figlio in aggiunta. Non aveva un’abilità come le sue sorelle, una passione che la distinguesse dal resto del mondo: non era in grado di dipingere come Dom o di suonare come Jess, né aveva ereditato un minimo di gusto in fatto di moda da Aidan. E, seppur suo padre gliel’avesse assicurato milioni di volte fin da quando era una ragazzina, era ancora incerta sul fatto di avere o meno la vista: c’erano giorni in cui ne era certa, mentre altri non si sentiva in grado neppure di prevedere di che colore sua sorella si sarebbe dipinta le unghie.
    Indossava giacche di pelle da motociclista ma non la possedeva nemmeno, una moto.
    Dava sempre disponibilità a sua cugina Tupp e si presentava spesso con lei alle riunioni per l’organizzazione della missione, ma mai faceva qualcosa di diverso dal starsene con le mani in mano ad ascoltare gli altri, senza mai sapere cosa dire per inserirsi nei discorsi.
    Era arrivata alla conclusione che ci fosse un’unica cosa che ritenesse davvero importante: poteva apparire dura quanto voleva, Danielle, ma per chiunque la conoscesse era facile vedere oltre lo strato di tatuaggi a mascherarle praticamente l’intero corpo. Era facile capire che, sotto quello strato superficiale di sarcasmo tagliente e comportamenti decisamente poco femminili, in realtà si nascondesse ben altro. Era altruista, Dani, e soprattutto aveva bisogno della sua famiglia: per questo si era offerta come custode.
    Per questo sarebbe tornata indietro senza ricominciare totalmente da zero, ma imparando tutto sul loro mondo e, un giorno, rivelando quelle verità anche agli altri viaggiatori.Nel momento in cui aveva deciso di partire, si era prefissata un unico obiettivo: riunire la sua famiglia.
    E quella famiglia, per lei, comprendeva anche Sander Bitchinskarden.
    «perché qualcuno doveva farlo» No. Sapeva che qualcuno sarebbe dovuto andare: l'aveva sentito dire durante una delle riunioni, ma era un'informazione a cui non aveva fatto caso. L'aveva ignorata perché, egoisticamente, si era convinta che a partire sarebbe stato qualcuno che la ragazza non conosceva o, perlomeno, a cui non fosse legata. «chi altri avrebbe potuto andare? divina dallaire? ronan barrow?» Nessuno.
    Era forse troppo, da chiedere?
    «posso guarire da qualunque malattia, posso rendermi utile in guerra…» In una qualunque altra circostanza, Danielle avrebbe alzato gli occhi al cielo e tirato una gomitata all'amico, con tanto di "Non frega a nessuno, Hulk" : lo faceva sempre quando l'amico nominava - o peggio, pavoneggiava - la sua capacità di guarigione, per ricordargli che era comunque umano, ed il dolore lo avvertiva comunque. Se avesse perso una gamba durante l'esplosione di una fottuta bomba durante la prima guerra mondiale, sicuramente non avrebbe avuto il bisogno di una protesi nel giro di qualche minuto. Ma il colpo avrebbe fatto comunque fottutamente male. Ma la ragazza in quel momento non aveva alcuna voglia di comportarsi normalmente, e così si limitò a stare ferma sul posto, le braccia intrecciate a stringere al petto il libro trovato sotto il letto del ragazzo «cazzate» Voleva di più che semplici scuse, Danielle. Meritava la verità, per quanto avrebbe potuto farle del male. «lo sai che sono una mina vagante, dani» Le faceva male, più di quanto fosse disposta ad ammettere, vedere il sorriso forzato sulle labbra del ragazzo, così come le faceva male udire quelle parole: non poteva accettare di perdere Sander, di perderlo per sempre, per colpa di quello. Non dopo aver passato anni a comportarsi col ragazzo in maniera del tutto normale, ignorando il suo problema, provando a fargli capire che per lei non faceva alcuna differenza: non aveva paura di lui, non l'aveva mai avuta, e aveva sempre fatto di tutto per non far avere al ragazzo anche il minimo dubbio su ciò. «non vi ricorderete neanche di me»
    Questa volta, la ragazza non riuscì a trattenere un sospiro esasperato: non era il tipo da lacrime, Danielle, ed anche se gli occhi le avevano iniziato a bruciare nel momento stesso in cui aveva realizzato che Sander stava parlando sul serio, non si sarebbe messa a piangere lì davanti a lui. «Forse ti sei dimenticato che mi sono offerta come custode» Senza la sicurezza di poter riunire la sua famiglia, non avrebbe mai accettato di far parte della missione «sarà il mio compito quello di far ricordare» Sapeva che non poteva ridare i ricordi ai viaggiatori, così come non avrebbe mai potuto riavere indietro i propri, ma aveva la speranza che le foto e la consapevolezza sulle loro vere origini li avrebbe riavvicinati in ogni caso. «non vedo il problema.» Non...? Non vedeva il problema?? Agì d'impulso, Dani, scattando all'improvviso e scagliando il volume che stringeva tra le mani direttamente verso la testa del ragazzo: difficilmente mancava il proprio bersaglio, la Leroy, e magari il colpo avrebbe fatto ritornare un po' di senno nella testa del ragazzo. «dimmi un po', sei diventato fottutamente cieco? Perché io vedo ben più di un solo problema» Si immaginava già, ad anni di distanza, mentre dava le lettere a Juno e Ray, incapace di dare una risposta ai loro sguardi confusi quando le avrebbero chiesto chi fosse, in quella vita, Sander Bitchinskarden, e lei non avrebbe potuto rispondere. Si vedeva chiaramente mentre, osservando le foto di quella vita, avrebbe incrociato gli occhi color nocciola del ragazzo attraverso una pellicola e si sarebbe chiesta dove diavolo fosse quel ragazzo.
    Ma prima di provare a fargli capire tutto questo, prima ancora di tentare di fargli cambiare idea, aveva una domanda da fare. «ma dimmi un po': se non avessi trovato casualmente il libro» accennò col capo al volume ormai caduto ai piedi di Sander «non me l'avresti mai detto, vero? Sarei partita senza sospettare nulla»
    Sarebbe partita con la speranza, la sicurezza, di rincontrarlo in quella nuova vita.
    E non avrebbe mai scoperto di esser stata fregata, per sempre.

    ❖❖❖

    «p-perché sks c-chi credevi f-f-fosse» Meh. Sicuramente non si sarebbe mai aspettata di incontrare il padre di suo figlio del futuro dopo esser stata catapultata nel 1918 : evidentemente, il suo destino era stato da sempre quello di fare viaggi nel tempo. «s-siamo uguali» «Meh. Assomiglia molto di più a me» Dander assomigliava oggettivamente più a lei, e non perché Gwen avesse l'aspetto di un bradipo #cos Barbie non riusciva forse a vedere il taglio degli occhi dell'animale? O il sorriso compiaciuto che aveva in ogni foto? Erano chiaramente caratteristiche che aveva ereditato da lei! «e qui ha chiaramente una canna rollata da me, vedi?» Indicò la foto che le aveva lanciato il ragazzo qualche secondo prima, inclinandola verso di lui: era entrata nel mondo della droga talmente giovane, Gwen, da saper riconoscere tra mille la propria arte. E non aveva dubbi sul fatto che quella nella foto l'aveva preparata lei. «v-vacci piano, ragazza d-d-del f-futuro, n-non è r-roba per m-m-millenials» Gwen continuava a non capire la distinzione tra millenials e gen-z, ma capiva che per uno cresciuto in un altra epoca era ancora più complesso: probabilmente per Barbie tutti loro, più che essere millennials, erano un po' più come alieni, o qualche altro tipo di entità mistica piombata lì dal nulla. «tecnicamente, sono nata nell'ottocento anche io» Ancora non si abituava al fatto che lì, da qualche parte, ci fosse un certificato di nascita che attestasse la sua nascita nel 1898. Milleottocentonovantotto, ci rendiamo conto? «ma se vogliamo esser sinceri, siamo entrambi della gen z. O A²» Cosa? Cosa. Come già detto prima, non capiva bene tutte quelle cose sulle generazioni, e non aveva idea di come si definissero i giovani nel 2043. Fortunatamente Barbie la riportò alla realtà, strappandola dal perdersi nei propri pensieri.
    «d-davvero io n-non ci s-sono n-nelle tue f-f-foto?» mmmmmhhhh «...no» Però se lui l'aveva riconosciuta subito significava che lei, nelle sue foto, c'era spesso. Era alquanto rude rivelargli la verità, cioè che in quelle di Gwen non appariva una singola volta. Nemmeno in quelle di gruppo!! Mistero. «s-sicura? in n-nessuna? m-magari non mi hai r-r-riconosciuto, avevo i c-capelli p-più c-corti» mmmmmhhhh La ragazza era più che certa, ma non voleva esser troppo brusca «...AH?? Ma dai, allora avrai ragione tu » No «forse non le ho controllate bene» Meh, da quando aveva ricevuto la propria, di lettera, non aveva fatto altro che studiare le foto che aveva trovato all'interno, imparandole praticamente tutte a memoria. Di Barbie, o Sander, a voler esser più precisi, non ce n'era traccia. Alcune con Ray, di più con Juno, ma nessuna con lui: Gwen aveva semplicemente pensato che, tra i figli di Jeremy, Sander fosse quello che alla ragazza stava più sulle palle. Ma quella situazione aveva iniziato a far vacillare tutto ciò che aveva da subito dato per scontato.
    «solo che, beh, le ho lasciate a casa» Mentre beveva un altro grande sorso di liquore, direttamente dalla bottiglia come non si addiceva a qualunque fanciulla di quel tempo, lanciò un'occhiata eloquente al ragazzo: aveva la scusa perfetta per non poterle ricontrollare insieme a lui «..nel 2017. Quindi...rimangono solamente le tue come prove per l'indagine» #cos Aveva bisogno di vederle, Gwendolyn, e se il ragazzo non gliele avesse date con gentilezza sarebbe tranquillamente passata alle maniere forti: aveva intorno a sé così tante bottiglie da potergli lanciare contro. Oppure sarebbe potuta tornare a casa e chiedere alla sua amika Sersha di recuperarle per lei.
    In cambio della droga, ovviamente: non lasciava mai gli amici a secco, Gwendolyn Markley.

     
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    «non vi ricorderete neanche di me» Sander Bitchinskarden era esattamente il genere di ragazzo che parlava per dar aria alla bocca, con pochi scopi nella vita che non fossero infastidire i propri fratelli fino a che non si trovavano costretti a curvare, nolenti, le labbra nella sua direzione. Per quel motivo, quel dannato motivo, fece ancor più male sapere che in quel contesto, quella frase, era del tutto onesta e sentita. Cinica, forse; strappava un po’ di romanticismo dall’idea che tutti parevano essersi fatti di ritrovarsi ed amarsi in una vita o nell’altra. Sander era il primo a sapere che il sangue non facesse una famiglia, che c’era qualcosa di più ad unire lui e Jackie, Levi o Leslie; che c’era sempre stato qualcosa in più ad attrarlo verso le Leroy Gallagher come calamita ad un metallo, in quell’affetto fraterno e platonico di un cuore che, quel piccolo bastardo di un Bitchinskarden poteva negare quanto valeva, ma era semplicemente troppo grande. Ma non era uno stupido, Sand; lasciava che i cugini si rincoglionissero dietro promesse che sapevano di non poter mantenere perché in cuor suo avrebbe voluto avessero ragione, non smentiva né Juno né Ray quando gli dicevano che nella vita successiva gli avrebbero comunque spaccato il culo perché avrebbe voluto fosse vero, ma non significava che, razionalmente, fosse d’accordo con loro.
    Anche perché era statisticamente improbabile – e lo diceva uno che di matematica non c’aveva mai preso un cazzo. Potevano essere fratelli? . Amici? . Ma quel che avevano avuto nel 2043, l’amore nato sotto macerie e cattive stelle, non gliel’avrebbe ridato un cazzo di nessuno. Non avrebbero ricordato: avrebbero smesso di esistere sander-e-dani, non ci sarebbero più stati i power rangers. Non ci sarebbero più stati loro. Quale incognita potevano diventare delle stupide foto o delle altrettanto patetiche lettere consegnate da sconosciuti, quando alle spalle si aveva tutta un’altra esistenza? «Forse ti sei dimenticato che mi sono offerta come custode. sarà il mio compito quello di far ricordare» Inspirò dalle narici e chiuse gli occhi, lasciando che le spalle si scuotessero in una muta, sardonica, risata. Non poteva guardarla, Sand - e non perché avesse ragione. Non poteva perché quand’era arrabbiata era ancora più bella, e perché il calore di quelle parole lo sentiva su una pelle che alle bruciature, avrebbe dovuto essere immune. «cazzate» rimbeccò, nello stesso sibilante tono risentito con il quale lei l’aveva scagliato contro di lui pochi secondi prima. «non puoi far ricordare niente, dani. Un -» cazzo di niente. Deglutì e dischiuse le palpebre, stringendo i pugni lungo i fianchi e cercando di riequilibrare quella rabbia che nulla aveva a che fare con Danielle, e tutto con quel mondo del cazzo. «bel niente. lo sapevamo, quando abbiamo accettato di partecipare alla missione.» scandì lento, distogliendo nuovamente lo sguardo dai furiosi, e dolenti, occhi scuri della ragazza. «puoi raccontare quel che ”Altri” ti avranno addestrato a sapere» inarcò un sopracciglio, tornando a posare le iride brune su di lei. Dubitava che se ne fosse mai realmente resa conto, di cosa significasse partire: erano già tutti morti. «non è la stessa cosa, dani. Non è-» allargò le braccia ed inspirò quanta più aria possibile, sentendo le parole soffocargli la gola ed intorpidire la lingua. Come - come poteva spiegarglielo? Nessun altro Sander avrebbe saputo cosa si provava a sedere di fianco alla Gallagher, e non essere in grado di muoversi per interrompere il casuale contatto fra le loro gambe; un altro Sander non avrebbe capito, non come l’aveva capito lui, che di ragazze così ce n’era una ogni mille – e forse anche meno. Non avrebbe mai conosciuto il desiderio sbagliato, e superfluo, di accantonare l’essere cresciuti insieme, l’essere maledettamente più giovane, solamente per voler sentire le labbra di lei sulle proprie, per sapere se sulla lingua avrebbe avuto lo stesso sapore che aveva sempre immaginato. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani per impedirle di leggervi quel bieco desiderio mal celato, il mento all’infuori in gesto di sfida e le dita ad indicare vaghe la stanza nella quale si trovavano – intendendo, e lo sapevano entrambi, molto più di quello. «- questo. non saremo noi» arricciò le labbra in un sorriso amaro, la mano a scivolare sulla bocca. «questa missione è un fottuto suicidio, gallagher. vuoi fingere non sia così? benissimo. ma non sono qui per prendere per il culo nessuno» e non lo capiva, non lo capiva quanto facesse male?
    Perché non credeva li avrebbe riavuti, eppure si era unito comunque a quello stupido viaggio del cazzo: Sander non la voleva, una vita senza di loro. Non se ne sarebbe fatto un cazzo del 2044, senza i suoi fratelli o i suoi migliori amici. Senza Danielle. «quindi, lo ripeto:» ingoiò la saliva e la bile, costringendo gli occhi a scontrarsi con quelli color caffè della mora.
    Come poteva non leggerglielo in viso. Come poteva non capire quanto gli spezzasse il fottuto stramaledetto cuore. Strinse i denti e irrigidì le spalle, obbligando le labbra ad un sorriso finto ed ironico. «non vi ricorderete neanche di me» Impassibile, ma non meno sincero. Mancò ci provò a schivare il volume. Un grugnito sorse spontaneo dalla bocca, i denti a tagliare il labbro inferiore. Assaporò il proprio sangue sentendo la carne rimarginarsi sotto la lingua, ghignando sghembo dell’ennesima dimostrazione su quanto la sua fosse l’unica scelta sensata: guariva sempre, Sander Bitchinskarden. Dai tagli, gli spari, le malattie – senza braccia.
    Senza la sua famiglia. Volente o nolente, sarebbe fottutamente guarito sempre.
    «dimmi un po', sei diventato fottutamente cieco? Perché io vedo ben più di un solo problema» Anche Sander lo vedeva – ogni giorno a ricambiare la sua occhiata da un fottuto riflesso - ma non gli sembrava il momento adatto per una battuta di spirito mai abbastanza divertente.
    Il quesito seguente, se l’era aspettato. Sempre dritta al dunque, eh Dani? «ma dimmi un po': se non avessi trovato casualmente il libro, non me l'avresti mai detto, vero? Sarei partita senza sospettare nulla» Seguì lo sguardo di lei verso il libro ai propri piedi, sentendo la bocca curvarsi in un’altra, secca, risata. La lasciò sgusciare fra i denti come un filo di fumo, acida e corrosiva nei polmoni. Sollevò infine gli occhi su Dani, senza impedirle - perché a quel punto? - di poterne leggere la determinata, fosca, tristezza. «mi conosci meglio di così,» sottolineò l’idiozia di quella domanda con un sorriso piatto e rassegnato, misurando in saliva ed aria ogni ruvido battito nello sterno. «sai che non te l’avrei mai detto.» non la reputò neanche un’ammissione di colpe, da tanto ovvia gli sembrava la risposta. Sforzò la voce a non tremare, chiuse gli occhi per impedirsi di leggerne la delusione. «perché avrei dovuto?» domandò in un sussurro, sperando che capisse. Scosse il capo, il peso delle proprie scelte a schiacciarlo sforzando ogni fiato – ma non abbastanza da farlo desistere. «sarebbe stato un addio in ogni caso.»

    ❖ ❖ ❖



    Avevano abbandonato la cantina del signor Hululu, ma non a mani vuote: Barnaby Jagger non avrebbe mai lasciato un lavoro simile incompiuto, ed approfittando delle braccia forti della Perpetua – già che era andata a scartavetrargli le balle mentre era al lavoro - aveva perfino fatto doppio carico di distillato. Le indicò con un cenno del capo dove lasciare le bottiglie, un cespuglio poco distante, e con il braccio libero reindirizzò il suo sguardo verso la scala sottile che, dalla base dell’albero, portava alla casa situata sui rami.
    Sì. Barnaby, Kentucky e Brooklyn Jagger vivevano su una casa sull’albero, fate loro causa. «p-p-prima le s-signore» cosa? Se le aveva galantemente lasciato il posto solamente per guardarle le chiappe mentre si arrampicava, piolo dopo piolo, verso la reggia Jagger? Ma per chi l’avevate preso!
    Ovvio che sì.
    «m-m-mostri?» chiamò, arrampicandosi all’interno della dimora, con una bottiglia di distillato sotto braccio. Era il suo modo per sapere le giovani creature demoniache che aveva adottato in famiglia fossero in casa: nessuno rispose, quindi dedusse non lo fossero. Bene, meglio, così non doveva cacciarli.
    Non erano argomenti per bambini, quelli. Vorrei raccontarvi di come fosse costruita la reggia Jagger, ma so che sfiderei ogni legge della fisica e dell’aerodinamica, quindi vi eviterò una descrizione lunga e superflua su cose impossibili e poco interessanti, limitandovi a dire che, senza morire (dettaglio non trascurabile) condusse Gwen alla cucina. Non che…avessero realmente una cucina, per quello esisteva Floyd!, ma avevano un’ampia sala dove consumare il cibo rubato ai Bodiotti, e giocare a Indovina Chi Alcolico vedove vrs. «m-mi c-casa es t-tu c-c-casa» si strinse nelle spalle indicandole l’ampia scelta di sgabelli (le sedie erano per i povery) su cui prendere posto; abbandonò la bottiglia di distillato sul piccolo tavolo tondo, proseguendo invece verso la camera. , nascosta dietro un’asse di legno, il Jagger aveva nascosto tutti i suoi averi.
    Infatti era vuota, fatta eccezione per il cosino-con-la-musica di cui gli sfuggiva sempre il nome, e La Lettera. Non aveva mai degnato particolare attenzione alle fotografie, Barbie; le aveva guardate negli anni antecedenti la Guerra, sì, ma dopo non le aveva più cercate fino a Dicembre, quando il viso famigliare di Darden aveva riaperto una cicatrice che mai s’era reso conto di avere, e non ricordava di essersi fatto: aveva ritrovato Gemes e Heidrun, Archibald e Aidan; i freaks, vagamente più puliti ma sempre stropicciati. E Danielle Leroy – Gallagher, in quasi ogni foto. Le uniche, e neanche tutte, dove non era presente, era quelle in cui Sander Bitchinskarden era ritratto con la sua famiglia: Raymond e Juno, le due gemelle mangia riso. Facce da culo a cui si era idealmente affezionato; di cui, un solo ed abbandonato a sé stesso Jagger, era stato invidioso. «t-t-toh, v-v-visto?» sparse le foto di fronte alla ragazza, prendendo disordinatamente posto davanti a lei. Passò una mano fra i capelli e si strinse nelle spalle, afferrando un’istantanea scelta casualmente fra pollice ed indice. Sorrise, il Jagger: ovviamente, erano sander-e-dani.
    Ovviamente. «t-t-te l’avevo d-d-detto.»
    Non vi ricorderete neanche di me.



    EBBENE Sì #cosa levi non c'è nelle foto di sander!!!! levi ha fatto pulizia prima di lasciarlo -più o meno- andare #wat quindi barbie non sa della sua esistenza, ihih. GWEN NON DIRGLIELO ANCORA, NON è PRONTO!!!&&&
     
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7 replies since 12/2/2018, 02:08   473 views
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