i didn't see that coming

stiles x jeremy

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    andrew stilinski
    psychowizard | 20 y.o.
    15.10.2017 | h: 11:00
    Chiuse gli occhi ed abbandonò le spalle sullo schienale della poltroncina, un sospiro a rompere il silenzio dell'infermeria. Non aveva più l'età per affrontare la vita, Andrew Stilinski: si domandò se a vent'anni si potesse soffrire di sciatica, o di ernia del disco - se potesse fare qualcosa in proposito, o se fosse destinato a rimanere paralitico nel giro di dieci anni. Stiles, fatalista, lo era sempre stato.
    Con la vecchiaia, e frequentando Sin, non aveva fatto che peggiorare. Preferiva affidarsi al Destino piuttosto che incolpare e biasimare sé stesso - rendeva tutto più semplice, l'aria più tollerabile. Credere che fosse tutto parte di un catastrofico disegno più grande, alleggeriva il peso sullo stomaco: poteva osservare la propria vita andare a puttane e limitarsi ad una scrollata di spalle, l'ex Tassorosso. Affondò il mento nella felpa chinando il capo per stringere fra i denti l'elastico del cappuccio, un altro sbuffo annoiato a fargli arricciare la bocca - gesto che avrebbe preferito evitarsi, dato il taglio sul labbro inferiore. Si annoiava, okay? Non riusciva a dormire sulla scrivania come suo solito, e non poteva cazzeggiare per i corridoi di Hogwarts perché non aveva alcuna intenzione di incontrare determinati, peculiari, soggetti.
    Aveva creduto che la sua vita non potesse essere più strana, considerando la faccenda fremelli e compagnia cantante.
    Questo, ovviamente, prima di conoscere Amanda Ryers.
    Quando la porta dell'infermeria ruotò sui cardini, Stiles sollevò uno sguardo di pura speranza ed aspettativa sulla gradita distrazione - tre secondi di ferini occhi verdi e mento sanguinante, e aveva già cambiato idea. «oh oh, ma guarda un po' chi abbiamo qui. l'uomo del giorno!» come? Vabbè, l'aveva sempre saputo che sarebbe arrivato il giorno in cui la testa di CJ Knowles avrebbe preso un colpo di troppo. Piegò le labbra in un broncio, tornando ad abbandonare il mento sul proprio petto. Nell'ultimo mese, fra quelle quattro mura, aveva visto più spesso il Tassorosso che non l'infermiera - tutto dire. «cigei» salutò atono a bocca serrata, reclinando un poco il capo per potergli lanciare un'occhiata di sottecchi. «non ti facevo così cazzuto» CJ piegò languido le labbra, gli occhi color giada a scivolare appiccicosi su di lui prima di posarsi sull'armadietto del pronto soccorso; si mise a trafficare in maniera esperta ed efficiente, mentre lo psicomago si drizzava a sedere improvvisamente attento, gomito sul tavolo e palmo a reggere la testa.
    «in che senso» il Knowles si strinse nelle spalle, una benda imbevuta di disinfettante poggiata spalla. «ho sentito di ieri sera» l'angolo della bocca curvato verso l'alto a farsi beffe di lui. «niente male, amico» Ora: per Stiles non era una novità sentirsi confuso, quindi era abituato a non mostrare palesemente il proprio stupore, ma.
    Ma.
    Inspirò dalle narici e drizzò completamente la schiena, mani strette nervosamente in grembo. «e...cos'hai sentito?» il prefetto gli rivolse un ghigno, prima di scivolare all'interno dell'ufficio ed occupare pigramente quello che, da un mese a quella parte, era ormai il suo legittimo Trono di Spade. «eri ad una festa -»

    «a n d i a m o isaac, ridammelo» mugulò Stiles nell'eccessivamente lunga fila per entrare al Fiendfyre, allungando disperato un braccio verso il Lovecraft. «dopo.» rispose secco lui, allontanando maggiormente il telefono dalle avide mani dell'ex Tassorosso. Andrew cercò il muto supporto di Sharyn, ma la bionda, strategicamente, evitò il suo sguardo: Stiles sapeva che lei poteva capirlo - che la dipendenza da social era una brutta bestia - ma la Winston non voleva aiutarlo. A quanto pareva, sia lei che Isaac erano giunti alla conclusione che passasse troppo tempo su instagram a guardare le foto di Karma ed il suo nuovo ragazzo quotidiano, quindi si erano sentiti in dovere di prendere misure cautelari: tsk. Ma se aggiornava la pagina solo ogni mezz'ora. «finita la festa te lo rendo, okay? Pensa solo a divertirti, amico» un tempo a Stiles piacevano le discoteche, sapete - poi aveva scoperto tumblr. Alzò gli occhi al cielo sospirando melodrammatico, mani infilate nelle tasche dei jeans. «okay.»

    Piegò le labbra ed annuì a CJ invitandolo a continuare, distratti occhi color mogano posati sulla scrivania. « -hai rimorchiato una ragazza con del pesante dirty talk -»

    Inverosimilmente lunghi capelli ramati, ed un viso ovale che avrebbe fatto gola a qualunque artista. Una mano di lei era già posata distrattamente sul suo braccio, e la capacità di Stiles di tenere una qualsivoglia conversazione era calata a picco al primo sorriso cremisi a labbra strette ch’ella gli aveva rivolto. Non era certo una novità che Andrew soffrisse di ansia sociale, e quando a rivolgergli la parola erano ragazze, la bocca gli diventava improvvisamente così secca da rendergli complesso formulare una qualsiasi parola. «mi ha detto sharyn che sei un musicista» Perché a lui? Infilò le dita nel colletto della propria maglia, un’occhiata sopra la spalla della giovane alla ricerca della colpevole: perché i suoi amici dovevano per forza cercare di distrarlo così? Non potevano, non so, portarlo agli studios della Marvel? Umettò nervosamente le labbra dedicandole un impacciato mezzo sorriso, la gola a gracchiare mentre si chinava sul suo orecchio per farsi udire sopra il volume della musica. «amh, sì? Triangolo e xilofono?» proprio così, con tanto di punto interrogativo a fine sentenza. «però il mio uccello è più bravo»

    Il pappagallo, santo Cielo. Intendeva il front band dei Village Bird, il suo pappagallo - vedete perché tendeva a limitare il più possibile le conversazioni con gli altri? Piegò la mano a pugno schiacciando la mano contro la bocca, ben attento ad evitare l’occhiata maliziosa del Prefetto di fronte a sé. « - un po’ di limoni duri in pista -»

    «io –mh – non penso che –mh – sia il caso oh andimmh» sentiva il mento e le labbra impiastricciate con il rossetto della ragazza, la saliva di lei ad inumidirgli la pelle. Aveva premuto con le mani sulle sue spalle per allontanarla, ma lei l’aveva tacitamente preso come un invito per avvinghiarglisi maggiormente, con tanto di risatine poco sobrie soffocate sulla sua spalla.

    « - vi siete chiusi in un bagno -»

    «andiamo» ma voi dove andate? –cit. Gli afferrò una mano ed iniziò a strattonarlo per la pista. Andrew Stilinski, il cuore in palpitazione in previsione di un infarto precoce, cercò ancora l’aiuto di casa (letteralmente: «a i u t o» mimò, cercando di attirare l’attenzione degli Isharyn: per tutta risposta, Isaac lo salutò felice e gli sollevò un pollice in segno di approvazione.), non avrebbe mai pensato che una tale esile creaturina potesse essere così forte: incespicò più di una volta, il buon Tassorosso, mentre mano d’acciaio lo trascinava attraverso la pista da ballo per andare…«… è il bagno delle ragazze?» domanda che venne subito messa a tacere dalla spinta di lei in uno dei cubicoli dei servizi. Cosa stava succedendo. «io non credo che -»

    «a proposito, bel succhiotto» Sfiorò distrattamente il collo con la mano sinistra, i polpastrelli a sfiorare la ruvida superficie del colorato cerotto arancio, inabissandosi – se umanamente possibile – ancor di più nella propria felpa.

    Le dita di lei a cercare di infilarsi sotto la maglia, e quelle di Stiles a cercare di bloccarle le mani. «ehi aspetta davvero – AH, gesù» e le borchie del bracciale della ragazza a conficcarglisi nel collo strappandogli un poco entusiasta gemito, ed una supplica al buon Signore.

    « - ci avete dato dentro - »

    Con la schiena premuta contro il muro, riuscì ad allacciare il bottone dei pantaloni che lei era riuscita, in una sola mossa, ad aprire. Non ci provò neanche a nascondere il sospiro di sollievo, nell’essere finalmente privo di quelle manine addosso. «pensi che io sia brutta?» cosa? «cosa?» «lo sapevo, sono brutta. Mamma aveva ragione» e, seduta sul gabinetto del Fiendfyre, aveva cominciato a piangere. Si chinò cauto al suo fianco, la schiena arcuata per cercare di incontrare il suo sguardo – si osò perfino, dopo aver indugiato solo una manciata di secondi, a toglierle delicatamente le dita dal viso. Quando lei le intrecciò a quelle di lui, non si oppose. «ehi, non piangere. Penso che tu sia una ragazza bellissima, ma - ehi» alzò una mano asciugandole le guance, ritrovandosi i polpastrelli sporchi di mascara e fard. «vuoi parlarne?»

    « - poi il suo ragazzo vi ha beccato, - »

    «ehi, tu» Per nessun ehi tu al mondo, Stiles, avrebbe voluto dover alzare la testa di così tanto. Aveva lasciato la sua giacca alla ragazza, dato che dopo aver parlato dei suoi problemi per un’ora e mezza, aveva ben pensato di vomitarsi addosso: Andrew, con la sola t-shirt spiegazzata e macchiata di rossetto, pareva decisamente colpevole. «tu io «che cazzo fai con la mia ragazza, uh?»

    «- siete andati fuori a “parlare”-»

    Si grattò distrattamente la nuca, il pollice a sfiorare la punta del naso mentre Mark, un’impavida canottiera da baseball americano, si stringeva nelle spalle. « … come dicevo, amico, grazie per prima. non sapevo come rompere con lei – ragazze, sai come sono fatte» Lui sapeva? Doveva aver evidentemente sbagliato interlocutore. «mandy è troppo … sensibile, non volevo spezzarle il cuore. Ma lo amo, capisci?» Lui capiva? No, non lo stava facendo. L’unica cosa che sapeva e che capiva, era che lì fuori faceva un freddo del Dio, e Mark l’aveva tenuto a gelarsi il culo per tre quarti d’ora. «ami chi» «suo fratello» eh, però. «MARK» sì, in quei quarantacinque minuti, avevano stretto amicizia – fategli causa. «capisci?? Ma tu mi hai dato la scusa perfetta per lasciarla» Ancora? No, non c a p i v a. Gli aveva già spiegato che non era successo nulla, ma Mark non aveva voluto ascoltarlo: a lui serviva che fosse successo qualcosa, come gli aveva raccontato. Gli veniva comodo.
    Stiles sarebbe stato il suo capro espiatorio. Che novità, eh.
    «davvero, mandy è fantastica, ma… è appiccicosa.» Grandioso. «ed infantile» una meraviglia. «non si può discutere, con lei» che favola. Sospirò nella propria mano, un po’ per scaldarsi ed un po’ perché quei disperati occhi verdi, non riusciva a reggerli: aveva un animo sensibile, Stilinski. Si faceva carico delle emozioni altrui tenendole un po’ per sé, e… malgrado l’aspetto di Mark incutesse un certo timore, quel ragazzo era un budino. Non gli avrebbe detto di no.
    Maledizione. «va bene, ma quando glielo dirai ufficialmente, dì che la colpa è mia – non sua, okay?» gli lanciò un’occhiata torva, l’indice puntato contro il suo petto. «OKAY?» «sì, certo amico. Ah, dannazione, sono usciti tutti – scusami, ti prego, ma ho una reputazione» «cosa?» ed accaddero due cose: Stiles si volse per guardare cosa avesse attirato l’attenzione di Mark, e Mark gli diede un pugno in faccia.
    Un
    Un pugno vero. In faccia.

    « - hai difeso l’onore della donzella, rissa, ecc. ecc. » CJ si strinse pigramente nelle spalle, la benda ritratta dalla ferita per essere guardata, oramai completamente cremisi, con critici occhi socchiusi dal Tassorosso.
    Madonna e Lil Wayne. Cosa aveva fatto. «è tutta la mattina che la ryers ti cerca» Oh, cielo beato. Nascose il viso fra le mani, un sussulto quando le dita andarono a sfiorare la guancia livida. Amanda Ryers gli aveva già mandato cinquecento messaggi, e tre gufi – tre g u f i – a cui Stiles non aveva risposto. Mai sentito parlare di catfish? Aveva creduto fosse uno scherzo di cattivo gusto, qualcuno con un perverso senso dell’umorismo (perfino Karma Montgomery stessa, perché no). «cosa faccio?» bofonchiò sui palmi, serrando le palpebre ed abbandonandosi mollemente sulla scrivania. «se la incroci, dille che non ci sono» fece spuntare i soli occhi attraverso il groviglio di braccia, cogliendo così l’arcuato sopracciglio di CJ Knowles. Il (poco) adorabile Prefetto dei Tassorosso spinse indietro la sedia facendola stridere sul pavimento, un sonoro respiro a vibrargli nelle ossa. «andiamo, stiles. dovresti conoscermi» le parole sarebbero anche state quelle giuste, ma era il tono a fotterlo: non era un dovresti conoscermi, non lo farei mai, era chiaramente un dovresti conoscermi, e sarà la prima cosa che farò. Che poi, non era vero: CJ non avrebbe cercato Mandy per dirle dove Stiles fosse, non era così infame, ma se glielo avesse domandato apertamente… «non menti mai» ricordò ad alta voce, emettendo un sibilo di frustrazione. «lo so. Ci ho provato» seguì lo sguardo del ragazzino smunto sulla cornice posata sulla scrivania, dov’era ritratta una delle rare foto ch’era riuscita a strappare ai fremelli. La prima volta che CJ era entrato nell’ufficio, le dita nodose a toccare ogni cosa, era stato il primo oggetto ad attirare la sua attenzione («sono i tuoi fratelli?» «no, mi sono photoshoppato tre volte» «…» «…sì, sono i miei fratelli» «…» «davvero.» «non sarebbe così strano, eh, non vergognarti -» «cigei.» ma sadly, non aveva potuto che convenire: non sarebbe stato così strano.)
    «spacciati per uno di loro» Ma… sul serio? Come poteva anche solo credere che - «ti prego, non se la berrebbe mai» sbuffò in una risata sardonica, piegandosi all’indietro per intrecciare le mani sullo stomaco. «si vede che sono il più bello» Il ragazzino storse le labbra in un lento sorriso intenzionale, la benda arrotolata ora fra le mani. Stiles non si era neanche preso la briga di domandargli cosa avesse combinato - bell’adulto responsabile. L’espressione dello psicomago si fece lentamente più seria, il respiro a gonfiare il petto. «cj, vuoi -» «non dirò nulla» lo osservò avvicinarsi alla porta con il labbro inferiore stretto fra i denti, le unghie a piantarsi nel palmo. Che non fosse quello che voleva dirgli, lo sapevano entrambi: non c’era lo strano ricordo di Amanda nei tristi occhi cioccolato di Stilinski – c’era un ragazzino sempre sporco di sangue, e sempre per le cause giuste.
    E sempre per i motivi sbagliati.
    Ci sono passato anche io, avrebbe voluto dirgli. Passerà, avrebbe potuto aggiungere. Se vuoi parlare, io sono - «ma non posso promettere per altri. lo sai che a sandy piace il drama.» «CIGEI» «ciauz, salutaci mandy»
    Mai fidarsi di un Gen Z.
    Rimasto da solo nell’infermeria di Hogwarts, Andrew Stilinski fece la prima cosa che qualunque adulto responsabile avrebbe fatto nelle sue circostanze: si guardò attorno alla ricerca di un nascondiglio. La tenda era troppo ovvia? Se si fosse finto un indigente e si fosse nascosto in un letto? Sotto no, quella era roba da film horror – o magari la scrivania? Dov’erano i famosi corridoi segreti della Massoneria e degli Illuminati, quando servivano? Si alzò in piedi cominciando a spostarsi istericamente da un lato all’altro della stanza, mani intrecciate dietro la nuca. Non le sapeva fare, quelle cose - quelle cose. Non poteva neanche chiedere soccorso ad Isaac, o Dakota, o Niamh: stupida magia che non faceva funzionare la tecnologia.
    Fu in quel momento, che udì i passi. Troppo tardi. Rimase immobile al centro dell’infermeria, il capo a voltarsi lentamente verso la porta. Quando questa si aprì, Stiles spalancò gli occhi come un animale colto a lato della strada dai fanali di un automobile, la bocca già dischiusa in sorpresa mica per emettere un gridolino, figurarsi a farsi sfuggire un esasperato sospiro di sollievo. «jeremy» pronunciato con la stessa devozione di una dodicenne fuori dai gate del concerto degli one direction alla quale avessero chiesto quale fosse il suo preferito. Dovette sorreggersi con una mano alla brandina, mentre l’altra premeva sullo sterno per bloccare la fuori uscita del muscolo cardiaco – di quei tempi, non si sapeva mai quando il cuore avrebbe deciso di andare a farsi una passeggiata. Jeremy Milkobitch sembrava la risposta alle preghiere del Tassorosso, un dono direttamente dal Signore spinto a pietà dall’inadeguatezza di Stilinski: lui doveva avere le risposte, i metodi, LE COSEH, no? Lo poteva aiutare, no? NON LA VOLEVA UN’AMANDA RYERS? EH? Era decisamente più esperto (non che ci volesse molto, eh) di Stiles nelle relazioni sociali. «abbiamo un problema» annunciò solenne, alzando un braccio nella sua direzione. «cioè, ho» un cancro, ciao spotify specificò, umettandosi le labbra. «un problema, ma abbiamo perché siamo amici ed i miei problemi sono anche i tuoi, GIUSTO?» ??? no???
    Ed invece sì, Jeremy. Ed invece sì.

    I don't even have my own attention You say
    "please don't ever change" But you don't like me the way I am
     
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    deatheater | 18 y.o.
    Inspirò ed espirò, Jeremy Milkobitch, davanti la porta in massiccio mogano curato – rimase per più tempo del previsto ad osservare le linee perfettamente parallele a solcarne la facciata, i ricami ad arricchirne la superficie; ad udire un’unica voce, seppur ovattata dallo spesso uscio a separarlo dalla stanza, rimbombare aldilà, un grumo di bile e saliva ad incastrarsi nella trachea quando questa si faceva più acuta; a puntellarsi sui talloni, l’oramai ex tassorosso, il braccio alzato ed il pugno destro chiuso ad avvicinarsi ed allontanarsi dal legno senza mai davvero nemmeno sfiorarlo. Sapeva di doverlo fare, sapeva di volerlo fare: non era arrivato fin laggiù soltanto per restarsene immobile come una statua di sale, lui. E si era ripromesso che se proprio non avesse voluto farlo per sé stesso, avrebbe dovuto per i suoi amici – parte dei catafratti era dall’altra parte, e per quanto fosse sinceramente spaventato non poteva lasciarli da soli. Né lo aveva, né lo avrebbe mai fatto: così prese un respiro più profondo degli altri, deglutendo una dose di coraggio che non gli era mai appartenuta prima di picchiare contro la porta una, due, tre volte - senza attendere una risposta, la spinse per affacciarsi all’interno.
    E lo sapeva, lo sapeva!, che non avrebbe dovuto essere così difficile farsi avanti in quella situazione – che in quel luogo ameno v’erano ben altre mitologiche figure che incutevano sicuramente più timore, più sincero spavento, che non quella. Eppure, il Milkobitch era sempre stato un ragazzo dal patema d’animo fin troppo semplice da titillare: lo mascherava egregiamente dietro alcol e droghe, bisognava dargliene atto, ma era anche vero che fin troppo raramente erano capitate occasioni che potessero mandarlo nel pallone – soprattutto, per il semplice fatto che esclusa la sua famiglia ed i suoi migliori amici, evitava il più possibile di confrontarsi con altri individui.
    Si schiarì la voce, un passo nella stanza. «professoressa winston?» e lo sentiva, lo sentiva che quegli occhi celesti stavano cercando di perforargli il cranio – strinse la mandibola, forzando un sorriso di circostanza sulle labbra: non avrebbe dovuto essere così strano (ed imbarazzante, disagiante, sbagliato) rivolgersi alla docente di incantesimi come un’oramai sua pari, come non avrebbe dovuto sembrare un gesto inappropriato quello di avanzare pretese all’interno delle aule dei suoi colleghi; si trovò a ripetersi mentalmente, le iridi chiare a scandagliare la stanza alla ricerca di un appiglio sicuro, che almeno non gli avevano detto di dover chiedere all’Icesprite o alla Queen, quando era andato a chiedere informazioni in giro per il castello. Avrebbe preferito un Phobos Jeremy, o un Will, o magari - e per qualche assurdo motivo che non era suo compito investigare - un Henderson.
    Maeve Winston, sebbene fosse la più giovane ed in fin dei conti l’unica con la quale aveva vissuto – con le dovute distanze, naturalmente – parte della vita scolastica, rientrava nella top tre degli insegnanti che hashtag: mi fa così paura: un’etichetta che l’aveva contraddistinta nell’ultimo biennio del diciottenne, e che di certo non si sarebbe tolta tanto facilmente. «posso chiederle in prestito…» una penna? Un foglio? Una ciocca di capelli per far fare una bambola voodoo a mia cugina? Era ancora in tempo per ritrattare, dopotutto. «la signorina dallaire ed il signor fraser? Prometto di riportarglieli entro la fine della lezione» che mentiva, lì dentro lo sapevano tutti quanti: anche nel caso non gli fossero più stati utili i suoi migliori amici, dubitava questi non avrebbero sfruttato l’occasione per marinare l’ora di incantesimi – non che, in fin dei conti, potesse esserci un’occasione in cui i Catafratti non potessero tornargli utili. Fosse stato anche soltanto il mero averli vicini la praticità di cui necessitava, loro sarebbero sempre stati tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno. «meh» era un sì? Era un no? Cercò gli sguardi dei due, supplicando loro di intervenire – esilarante il fatto che fosse lui l’adulto (!!!!!) e che dovesse prendersi la responsabilità di far valere la propria posizione. Davvero molto, considerando quanto non avesse mai fatto nulla se non seguire le orme di Bells, Oscar, o Arci che fosse – anche per le questioni più sbrigative, quelle più semplici e basilari. «la prego, professoressa» si morse le labbra, le dita sulla maniglia della porta a stringersi con più fervore. «sono certo che bells sarà in grado di recuperare tutto ciò che si perderà in questo periodo di tempo, e che saprà come far recuperare anche ad oscar» una missione quasi impossibile, ma credeva nella Corvonero e nelle sue potenzialità: se era riuscita a far diplomare lui ed Arci, poteva fare tutto.
    La Winston sospirò.
    Jeremy iniziò a sudare freddo; era la prima, effettiva volta che chiedeva ad un docente qualcosa: da quando aveva iniziato a lavorare ad Hogwarts, non ne aveva mai effettivamente avuto il bisogno.
    Ma la situazione era critica, e non era certo che avrebbe tollerato un no come risposta.
    «va bene, andate» «grazie mille, giuro che mi farò perdonare in qualche modo» magari vendendole un po’ di erba, chissà: non Jeremy Milkobitch. Prima che potesse dire alcunché, i tre uscirono – della classe e della lezione, rimase solo l’eco lontano della bionda a supplicare loro di non fare troppo tardi.
    Stolta ottimista.
    «stavi per caso cercando di lecchinarmi, prima?» sì, ovviamente sì; alzò le spalle ma non rispose, avanzando davanti a loro nell’ovvia direzione del campo di Quidditch. Solo quando ebbero inoltrato il percorso finale, consapevole che a quel punto non c’era modo per loro di abbandonarlo – sperava: ma alla fine li avrebbe portati sul campo, non erano felicissimi??? - ed un sorriso a trentadue denti che gli altri, dietro le sue spalle, non avrebbero potuto notare, si degnò di proferire parola. «ditemi: quanto morivate dalla voglia di vedere una mandria di primini incapaci cappottarsi sulle scope?»
    Confidava che la loro risposta, che in cuor suo sembrava tanto ovvia e scontata, fosse: tanto.

    Inspirò ed espirò, Jeremy Milkobitch, la brezza pungente di un autunno inoltrato a pungere la gote a quindici metri d’altezza, a smuovere la veste marrone che pigra pendeva dai lati della scopa; sospirò a metà tra il già stanco e l’eternamente snervato dalla vita, gli occhi a scivolare sul cronometro tondo tra le dita prima di rialzarsi su una classe di più di trenta ragazzi del primo anno. «mi dispiace,» non ebbe nemmeno il bisogno di volgere lo sguardo dietro di sé, sulle tribune dalle quali erano sporti Bells ed Oscar, per assicurarsi che questi lo avessero sentito. In realtà, rammaricato non lo era affatto: si sentiva in colpa per aver promesso uno spettacolo che avrebbe dovuto essere esilarante, ma vedere quei ragazzini volare tanto bene dopo le poche lezioni che aveva avuto per insegnare loro come montare a cavallo dei manici e, più che altro, come non morire lo rendeva pregno di una soddisfazione non indifferente. «ma temo che alle selezioni avrete un bel filo da torcere, quest’anno» Quando si voltò, pronto a dare loro il via per entrare in campo, lo vide - ed ammettiamolo, si sentì particolarmente tradito -: e sì, che era un quasi professore slash qualcosa di relativamente significativo nello staff della Scuola magica, ma se Pearl poteva coltivare innesti di Erba Allegra e Marijuana nel suo cortile lui poteva tranquillamente fumarsi uno spinello mentre addestrava al Volo. O almeno credeva. «salite in sella: questo è il momento in cui vi rendete utili al sottoscritto» incalzò, avvicinandosi agli spalti. Forse loro avevano realmente creduto di essere stati chiamati per assistere ad un teatrino, ma a Jeremy servivano realmente: si erano presentati in fin troppi a quella lezione, quando invece aveva creduto di ritrovarsi con la solita decina di idioti brufolosi. Di sicuro, non poteva continuare a farli girare per il campo per tutta la lezione come avrebbe voluto - erano già dieci minuti che, per testare la loro concentrazione e resistenza in aria, li faceva volare per l’intero perimetro dello stadio aggiungendo delle variabili: ad un fischio breve quando in prossimità degli anelli corrispondeva la necessità di ruotare intorno a ciascuno di questi prima di continuare in un volo rettilineo, quando senza ostacoli all’obbligo di cabrare per un metro almeno; ad un fischio prolungato, dovevano scendere in picchiata di almeno tre metri e risalire di altrettanti; due fischi, acceleravano per una decina di metri per poi fermarsi. Avrebbe voluto fargli tentare il volo senza mani, qualche manovra rovesciata e tanti bei looping e tonneau, ma già era troppo chiedere a degli undicenni di non cadere in picchiata al suolo o di non perdersi nella stratosfera in cabrata – quando poi dovevano frenare in seguito allo sprint, pregava tutti i demoni dell’Inferno per far sì non si accartocciassero come tanti genitori frustrati con i figli addosso all’unica coppia di bambini sulle macchine a scontro dei luna park. «dai, vi prego» un sospiro a scivolare sulle labbra, gli occhi di cristallo a cercare quelli degli amici nelle loro borbottate proteste. «non ve lo chiederei se non foste davvero essenziali» allungò una mano, sfilando dalle labbra del grifondoro lo spinello e portandoselo alla bocca. «e, scusate, ma» ne ho sinceramente bisogno «in quanto voi studenti ed io professore -» «non sei un professore Jeremy, mettitelo in testa» «- IN QUANTO VOI STUDENTI E IO PROFESSORE, non potrei permettervi di fumare in mia presenza, quindi almeno sulle scope ve lo proibisco»
    Fino ad allora si era effettivamente vestito dei panni di insegnante di volo, sebbene la sua mansione fosse quella di allenatore di quidditch, istruendo i più giovani studenti unicamente sulle proprietà delle scope, sulla teoria del volo e su come salire a bordo di un manico magico (senza morirci sotto la sua supervisione): più facile a dirsi che a farsi, soprattutto per uno come il Milkobitch che non aveva la benché minima idea sul modo con cui ci si doveva approcciare alle persone: lo infastidivano nei semplici sguardi, e gli undicenni gli stavano sul cazzo da quando undici anni li aveva lui; non sapeva parlare, abituato a restarsene in silenzio per periodi così lunghi da passare per qualcuno affetto da mutismo. Ma sul Quidditch, almeno su quello, era sempre andato sicuro: quello sport, il legno tra le gambe a portarlo una dozzina di metri sopra il livello terrestre lasciandolo libero di sentirsi tutto quello che non poteva essere con i piedi ben saldati sul manto erboso, era una delle cose che più lo faceva sentire bene. Poteva non essere capace come un Oscar, o come una Bells, ma buon Satana sapeva ogni singola cosa in materia.
    Era soltanto bastato calarsi qualche pasticca prima delle lezioni per andarci più motivato, tutto qua.
    Avanzò sul pavimento erbaceo a passo spedito, una pluffa bonus sotto il braccio – come Arci gli aveva insegnato a fare con le baguette quando non riteneva opportuno tenerle altrove -, raggiungendo gli studenti già raggruppati al centro del campo attorno al baule. «bene.» si schiarì la voce, lanciando uno sguardo ai due maturandi a coprire ciascuno un gruppo di anelli: nel qual caso avessero avuto qualche capacità in più, avrebbe chiesto ai suoi stessi ragazzi di alternarsi per fare da portieri, ma era la prima volta che li faceva giocare con le palle – bolidi, pluffa, boccino; che detta senza specificare, e trattandosi di Jeremy, può sempre sembrare un po’ equivoca la situazione MA NON È UN PEDOFILO –, senza contare che l’aveva trovato anche un pretesto per far allenare i capitani di corvonero e grifondoro ad un po’ di reattività. Due piccioni non una fava. Aprì il baule con un colpo di bacchetta, invitando tutti quanti ad allontanarsi: quei nani deficienti avrebbero, e ci si sarebbe giocato le palle, sicuramente tentato di avvicinarsi ai bolidi già impazziti tra le catene. Ancora non li voleva sulla coscienza. «avete tutti quanti assegnato un numero – prendetene nota e ricordatevelo» iniziò a spiegare, e con un nuovo colpo di bacchetta fece apparire sul petto di ogni ragazzo una matricola. «siete trentadue: dal numero uno al numero sedici, in fila indiana davanti agli anelli coperti da Arabells Dallaire; dal diciassette al trentadue, lo stesso ma dall’altra parte, da Oscar Fraser» si chinò sul cassone spalancato, prendendo la pluffa. «il vostro scopo è quello di cercare di fare goal in uno qualsiasi degli anelli: una volta lanciata la pluffa, dovrete virare e mettervi in coda nella fila opposta alla vostra. non è importante che voi riusciate a segnare o meno: quello che mi interessa, è che iniziate a prendere confidenza con la pluffa – studiatene la pesantezza, cercate di capire come tenerla e come muovervi per lanciarla, imparate a conoscere il vostro corpo nel rapporto contemporaneo tra voi e la scopa, e voi e la palla. quando fischierò, specificherò su quale dei tre anelli dovete focalizzarvi per quel giro; quando fischierò due volte,» sempre accovacciandosi sullo scrigno, aprì un piccolo sportello e ne estrasse il Boccino D’oro, ancora sopito tra le sue dita. «chiamerò due numeri, uno da un gruppo e uno dall’altro: per un minuto intero, questi saranno impegnati a rincorrere il boccino. anche qui, non mi aspetto che voi riusciate a prenderlo nel primo giorno che vi ritrovate ad affrontarlo: dovete soltanto cercare di capire dov’è, ed essere più veloci del vostro avversario. long, penny: voi aprirete le danze» sospirò; stava forse chiedendo loro troppo? Forse sì, ma non gli interessava davvero: la cosa che meglio aveva imparato in quel castello, era che prima crescevi sotto ogni punto di vista e meglio era per la tua sopravvivenza fino ai M.A.G.O.. Quindi, perché rendere il volo, il Quidditch, meno importante? «cercate di non morire, mi raccomando: su le scope, ragazzi» ordinò, invitandoli mettendosi egli stesso a cavalcioni della propria – quando furono tutti abbastanza in alto, affidò ai due già chiamati in causa le pluffe prima di vederli disporsi, goffamente, nelle postazioni che aveva loro indicato. «ah, e dimenticavo:» il fischietto ad un palmo dalla bocca, un sorriso compiaciuto sulle labbra sottili. «chiunque segnerà almeno cinque volte, avrà un Oltre Ogni Previsione sul registro di Volo; chi prenderà il boccino per primo, se mai qualcuno riuscirà ad acchiapparlo» improbabile, ma mai dire mai: la piccola sfera laccata in oro, per tutta risposta, iniziò a battere le proprie piccole ali tra le sue dita. «si becca un Eccezionale
    Promettere voti era sempre il metodo più efficace per spronare gli studenti: se l’avessero fatto con lui, sarebbe uscito da Hogwarts con tutte E. «tre, due, uno…» fischiò a lungo, e quello che accadde in seguito alla partenza fu leggendario.

    O almeno, così avrebbe voluto fosse – leggendaria, era come avrebbe descritto quella mattinata a chiunque gli avesse chiesto com’era andata quella prima, vera lezione di Quidditch per i ragazzi del primo anno. Che da una parte, in fin dei conti, lo era stata davvero: purtroppo, non dalla sua. «raccontamelo di nuovo» «fottiti, leroy» seduto di fronte a lui, a terra così come il Milkobitch sulla Torre di Astronomia, Archibald Baudelaire avrebbe ascoltato il racconto originale – così come l’avevano vissuto sia gli studenti che gli altri due Catafratti, e riservato soltanto a lui tra gli esterni al Campo – altre cento volte, senza nemmeno preoccuparsi di trattenere le sguaiate risate che puntualmente ricevevano come reazione dell’ex tasso un calcio ben assestato sul ginocchio piegato. Jeremy, occhio destro livido e labbro spaccato – decisamente poco malandato, considerando l’accaduto -, aveva ben poca voglia di ripetere per l’ennesima volta di come, mentre riprendeva un grifondoro decisamente troppo stupido per quella vita, per prendere la pluffa un ragazzino in vesti blu bronzo gli si era schiantato addosso portando con sé anche la palla a colpire la nuca dell’allenatore: se non fosse stato per il repentino intervento di Bells, probabilmente sarebbe morto cadendo da quindici metri e non si sarebbe trovato soltanto un paio di contusioni sul volto - Jeremy Milkobitch: a summary.
    Nemmeno faceva così ridere, dannazione; doveva ammettere, tuttavia, che se fosse successa una cosa del genere al suo migliore amico e questo non fosse stato grave su un lettino in Infermeria – o peggio: al cimitero. San Mungo -, si sarebbe spaccato dal ridere. «fatti bastare tutte le volte che già te l’ho raccontata» tirò l’ultima boccata da quello che doveva essere il terzo spinello condiviso con il fu serpeverde, beandosi del grattare aggressivo dell’erba sul palato prima di alzarsi e spegnere il mozzicone sotto la suola delle scarpe: se solo il pulsare allo zigomo non avesse iniziato ad essere ancora più fastidioso che in precedenza, probabilmente l’avrebbe accontentato. Sembrava andasse sempre tutto bene, quando riusciva ad incontrarsi con Leroy in quella meta ch’era diventata fissa dal loro primo anno ad Hogwarts, o quando Bells ed Oscar riuscivano a sgattaiolare fuori dal Castello per raggiungerli alla Stamberga per fingere che fossero ancora tutti quanti studenti, che non dovessero lesinare le briciole di un tempo che scarseggiava sempre un po’ di più. Era in quei momenti che riusciva a rendersi conto di quanto, effettivamente, stesse andando tutto fin troppo bene – che c’era ben poco di cui potesse lamentarsi, Jeremy; che tutti i problemi che si presentavano di volta in volta potevano essere sistemati. Era tutto quanto al proprio posto, e della situazione mondiale lui se ne sbatteva altamente i coglioni.
    Ma c’era un peso che non riusciva a togliersi, il diciottenne: ed era sempre quel dettaglio bastardo, a pungere con troppa veemenza contro la gabbia toracica; più lo ignorava, più ripresentandosi diveniva meschino.
    «oh, dove vai» abbassò lo sguardo celeste sul moro ancora adagiato contro la balaustra, gli occhi scuri di lui ad accusarlo di quei movimenti fin troppo repentini per i suoi gusti da fatto. «in infermeria?» avrebbe dovuto essere una risposta certa la sua, ma per quanto assuefatto fosse ormai dall’uso di droghe, l’erba continuava a farlo dubitare della vita - ogni fottuta volta: l’amava per quello, Maria. «hai finalmente deciso di darmi- darci retta?» «cosa???» «andiamo, amico» ma, andare dove. Naturalmente, il Milkobitch sapeva perfettamente di cosa stesse parlando; in maniera altrettanto ovvia, aveva deciso di far finta di nulla come al solito. Continuavano a dirgli, chi in un modo e chi nell’altro, che una seduta da uno psicomago («ma sì!, anche stiles o shane se fosse», gli avevano detto – al che, l’unica cosa che aveva fatto era stato alzare gli occhi al cielo: non che non riconoscesse alcun merito dei due, anzi!, ma sapeva bene che in quanto amici le opinioni professionali tendevano ad essere falsate da una scarsa oggettività) gli avrebbe fatto bene, e che lui per primo in veste di ex assistente allo studio scolastico avrebbe dovuto riconoscere il valore di una visita. In una vaga e sbrigativa scrollata di spalle aveva sempre lasciato scivolare l’argomento, ripetendo che non ne aveva alcun bisogno.
    Lo aveva fatto per il primo mese, per il secondo, per il terzo: erano passati sette mesi, e ancora ostentava troppo orgoglio per riconoscere quanto stesse esagerando – che dalle droghe leggere a quelle pesanti, la strada era ed era stata sempre troppo breve.
    «devo medicarmi» giusto per far capire ad un ancora confuso Dom le sue ragioni, si indicò il sempre presente livido sotto l’occhio; magari boh, l’aveva perso di vista. «come ti pare» ??? «devo davvero medicarmi» Arci alzò gli occhi al cielo, Jeremy voleva picchiarlo – un po’ come al solito, diciamo: una costante. Perciò alzò un angolo della bocca, l’accenno di un sorriso a sporcargli le labbra. «e invece di rompere il cazzo, tu, non dovresti andare a lavorare?»
    A giudicare dalla tempestività con cui si alzò – e barcollò, e cadde e si rialzò -, probabilmente , doveva.

    «JEEEEEREEEEEMYYYYYY!» ed il suddetto, della gente ne aveva sempre un po’ le palle piene – figurarsi dopo una lezione e da fatto: odiava tutti coloro che non erano i suoi migliori amici, Jeremy Milkobitch. «amanda.» sospirò, chiudendo brevemente gli occhi prima di portare un paio di falci limpide sul viso della ragazza. Aveva creduto che il periodo in cui doveva sorbirsela fosse terminato due anni prima, quando per liberarsi della morbosità della Ryers si era fatto accidentalmente scoprire a limonare duro con un’altra ragazza per i corridoi della scuola: a quanto pareva, si sbagliava. «sai dove posso trovare stiles???????» la continuò ad osservare, perplesso. Tutti, ad Hogwarts, sapevano dove si trovasse lo Stilinski. «immagino nel suo ufficio?» e lì, avrebbe potuto finire la questione: tanti cari saluti, ognuno per la sua strada – nemmeno l’aveva mai sopportata, Mandy. Forse per colpa della fattanza, però, si ritrovò a sospirare nuovamente; l’aveva scaricata così malamente, che almeno quello poteva farlo. «senti, sto andando proprio in infermeria» ammise sincero, umettandosi il labbro spaccato: non era di sua competenza o interesse - oddio, se Stiles aveva fatto colpo era ovviamente ben felice per lui -, ma non dubitava sul fatto che un po’ di compagnia per quegli ultimi due piani di scale non avrebbe fatto male a nessuno dei due. «NO SCUSA GRAZIE EH MA DEVO ANDARE A PRENDERE I FIORI E I CIOCCOLATINI E E E E TUTTE LE LETTERE» cosa stava succedendo, di grazia? Alzò le sopracciglia confuso, la bocca appena socchiusa: era fin troppo esaltata, per i suoi gusti. «ok?» «GRAZIE ANCORA EH CI VEDIAMO FSAKLJFA» ???
    Non è affar tuo, Jeremy. Non è affar tuo. Si strinse nelle spalle, sempre un po’ più confuso che l’attimo precedente, e senza nemmeno riuscire a salutare la ragazza si incamminò verso il primo piano del castello.
    Sarebbe stata una cosa veloce, si era detto: doveva solo prendere qualche pozione antidolorifica e una busta di ghiaccio per alleviare il dolore. Tutto lì.
    «jeremy» «stiles» salutò, cordialmente stralunato – poco c’era della droga in tutto quello, ne era abbastanza certo. Non se le stava soltanto immaginando, quelle cose strane che stavano accadendo. Fece per avvicinarsi al primo armadietto che sapeva essere colmo di medicinali, ripetendosi quanto tutto il resto non lo riguardasse – voleva solo andare a dormire, sapete.
    Una cosa veloce, Milkobitch.
    L’aveva sperato fino all’ultimo. «abbiamo un problema» era convinto che se avesse alzato un po’ di più le folte sopracciglia scure, quel giorno, avrebbero finito per confondersi con l’attaccatura dei capelli. «non… cosa?» sbatté le palpebre, lo spettro di un sorriso isterico e forzato a piegargli le labbra. «cioè, ho un problema,» chi era Jeremy, per dirgli che un problema era assai riduttivo? Ed ovviamente, non si riferiva alla situazione della quale parlava Stilinski – della vita mondana dello psicomago relativa al giorno precedente, l’allenatore di quidditch non sapeva un bel niente: si era perso gli aggiornamenti quotidiani, quella mattina. Palese era il fatto che, effettivamente, un problema ci fosse seriamente. «abbiamo fatto la bella vita ieri notte, eh stilinski?» il sorriso sulle labbra si fece più sincero, le iridi azzurre a brillare di divertita malizia mentre con un cenno del capo indicava la guancia livida di un troppo bianco – il classico pallore del post sbronza che Jeremy conosceva fin troppo bene, per intenderci – Stiles. «ma abbiamo perché siamo amici ed i miei problemi sono anche i tuoi, GIUSTO?»
    Indovinate un po’: l’ex tassorosso era confuso. Avrebbe voluto rispondergli di no, sapete?: era indubbio che loro due fossero amici, ma non aveva mai creduto che l’altro sentisse tutta quella confidenza.
    Ma era Jeremy, e lui Stiles – e sospirò ancora, lui. «cos’hai combinato?»
    Magari non volontariamente, lo conosceva abbastanza da esserne sicuro, ma non v’era ombra di dubbio che così fosse: aveva creato qualche danno.
    Jeremy Milkobitch era troppo buono, per dirgli che non sapeva come risolverglielo - non ancora, almeno.
     
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    15.10.2017 | h: 11:00
    Stiles battè le ciglia più volte, il capo reclinato sulla spalla mentre osservava, a palpebre socchiuse, l’ex Tassorosso. Non domandò se fosse fatto, dato ch’era assai più raro non lo fosse – ed allora sì che avrebbe dovuto chiedergli se stesse bene – ma era palese individuare la nota di disappunto nelle iridi scure dello psicomago: era tanto chiedere un po’ di empatia ai giovani? Si trattenne dal stringere le labbra e scuotere il capo per quella mancanza di solidarietà, solamente perché si trattava di un’emergenza, e non vedeva alcun pro nell’irritare (ulteriormente) il suo unico, possibile, alleato. «innanzitutto,» chiarì, alzando un dito nella sua direzione. «potrei farti la stessa domanda, eh milkobitch» e sollevò anche le mani in segno di resa, la testa piegata dall’altro lato ed un mite cenno con il mento verso il livido di Jeremy. Ebbene, malgrado non… come dire, consumasse, Stiles si era fatto una cultura notevole, per non dire patetica e disperata, di tutto ciò che riguardasse la sfera sessuale e non (beh? Avesse potuto farsi l’abbonamento a wikihow, l’avrebbe fatto: era un ragazzo curioso di natura.), ed era giunto alla conclusione che per quanto non comprendesse certi… metodi di intrattenimento, non giudicava. Ora. Io non dico, esplicitamente, che il buon Andrew si fosse fatto un’idea in merito riguardo cosa potesse interessare o meno alla popolazione di Hogwarts, ma non lo nego neanche.
    Era chiaramente un ragazzo annoiato, ed a ciascuno i propri hobby.
    «e per inciso, a meno che tu non sia un polipo,» con un secco movimento della mano, strappò il cerotto – e sibilò dolore e Madonne, Stilinski – avvicinandosi a lui per indicare farneticamente la propria ferita di guerra. «questo non è quel che sembra.» un respiro tremulo, quello del ventenne, mentre s’apprestava ad applicare nuovamente il cerotto arancio alla bell’e meglio. Figurarsi se dall’alto della sua ignoranza, potesse arrivare a credere che The Mentalist avesse malinteso il suo pallore da morte interiore, biasimandoli ai lubrificanti effetti di una serata all’insegna del divertimento – lui, poi, che un po’ sbronzo lo era per metà del suo tempo.
    E l’altra metà, dormiva. Umettò le labbra, chiuse gli occhi, e portò le mani giunte in preghiera sotto al mento. «in secondo luogo, trovo offensiva - offensiva, milkobitch – la tua insinuazione.» La solita, insinuazione. Ogni qual volta accadesse qualcosa di più o meno tragico nell’area di cento metri quadri da Stiles, l’interrogativo a diffondersi nell’aria era sempre lo stesso, accompagnato da sospiri drammatici e sguardi d’intenso biasimo: cos’hai combinato. Arcuò le sopracciglia e scosse le dita nell’aria in un gesto di angosciata disperazione, prima di volgere i palmi al soffitto. Il corpo di Stiles aveva sempre parlato meglio per lui, di quanto non avesse mai fatto la sua lingua: non sapeva esprimersi, capace solamente di riempirsi di sensazioni finchè queste non trovavano un’accettabile via di fuga – ed eccolo, uomo di teatro per necessità. «non ho combinato nulla» e c’era tutta una supplica, nel tono rassegnato del fremello: buon Dio, non aveva davvero fatto niente - più del solito, si intendeva. E per una volta, una volta, che non muoveva un dito, il mondo decideva di collassargli addosso proprio perché non aveva fatto un cazzo.
    Dov’era, la giustizia. «perché pensate sempre sia colpa mia?»
    Perché il cinquanta per cento delle volte, effettivamente, lo era. Anche l’ottantacinque.
    «c’entra una ragazza» e vi assicuro che fu il primo a stupirsi di quelle parole, Andrew: non ricordava di aver mai avuto bisogno di pronunciare quella frase ad alta voce, né aveva sperato, un giorno, di farlo. Istintivamente, perso nelle sue lucubrazioni da adolescenza mal vissuta, le labbra si sollevarono in un sorriso sghembo ed incredulo. Scosse il capo strappandosi il sorriso dalla bocca, mentre il panico cresceva esponenzialmente alla sua inadeguatezza nel formulare una frase coerente. «non – non lei» sopracciglia corrugate, un’occhiata di sottecchi al Milkobitch prima che potesse tirarsene fuori con un’alzata di spalle. Poteva essergli accidentalmente capitato di aver parlato, un paio di volte eh, di Karma Montgomery, un po’ a … chiunque, Jeremy (probabilmente: qualche volta, c’era da ammetterlo, Stiles non era stato proprio perfettamente cosciente di sé stesso) compreso. «il mio, comprensibile, fascino» beh, che poteva farci: I got it from my mama. Circumnavigò Jeremy per avvicinarsi agli armadietti, aprendo quello vicino al solito per mostrargli dove avessero spostato il kit del pronto soccorso – ebbene sì, c’era gente ciao freaks che tendeva a rubarli: sciokkanteh. «mi è evidentemente sfuggito di mano, come biasimarmi, e – non ti serve il disinfettante, vero? – a causa di una serie di sfortunati eventi – lo sai che i capodogli dormono in piedi? Non c’entrava, ma è sempre interessante – è capitato che NON LO S O, sono confuso» sbottò esasperato, le dita ad intrecciarsi ai corti capelli castani. Non aveva davvero idea di come esporre il proprio dramma, Stiles, ben conscio che ad orecchie estranee, un dramma, potesse non apparirlo affatto. Esagerato, l’avrebbero definito. Melodrammatico. Morse l’interno del labbro inferiore, un gemito soffocato sulla lingua quando i denti sfiorarono la carne ancora esposta, sentendosi davvero un imbecille. Forse, forse, non era stata un’idea così geniale, parlarne con il Milkobitch. Poteva gestirsela da solo, come aveva sempre fatto – male, ma l’aveva sempre fatto.
    «ha mal interpretato la natura del nostro rapporto, e credo che ora si aspetti… qualcosa?» c’era un modo normale per spiegare a qualcuno cosa fosse l’ansia sociale, se soffrivi di ansia sociale? No. Ma quelli come Stiles, tutti quelli come Stiles, non sapevano come affrontare simili problemi: troppo stupidi, troppo ingenui, troppo codardi. Non mi piace quando gli altri si aspettano qualcosa - specialmente quand’era certo non solo di non volerglielo dare, che nel suo caso sarebbe sempre passato in secondo piano, ma di non poterlo fare – non poteva e basta, Andrew. E non voleva – dio solo sapeva quanto poco non volesse - trovarsi simili, stupidi e tenaci, ostacoli sul proprio cammino.
    Non era mai stato bravo a saltarli. «non voglio ferire i suoi sentimenti» corrugò le sopracciglia distogliendo cocciutamente, e stupidamente, lo sguardo. Si sentiva abbastanza idiota di suo, per tutto, senza dover affrontare il medesimo riflesso negli occhi degli altri, grazie tante. «è in un periodo difficile, ha appena affrontato una rottura, soffre di insicurezze…vorrei evitare di darle altro materiale – non farei bene il mio lavoro» e non lo farei mai punto. Non gli disse quanto poco volesse complicarle la vita, trovando perfino troppo sciocco pensarlo: quando mai uno Stiles aveva complicato l’esistenza altrui? Non aveva mai avuto abbastanza spessore per darsi un vanto ed onere simile. Si grattò distrattamente la nuca, l’ennesimo sospiro fiacco a sgusciare dalle labbra. Jeremy Milkobitch non avrebbe mai capito cosa si provasse ad essere un Andrew Stilinski, e Stiles non gli chiedeva di farlo: non sarebbe stato né il primo né l’ultimo a timbrare la voce dello psicomago con l’etichetta penoso. «ma ho un piano» saltò sul primo lettino libero mettendosi a sedere, i gomiti poggiati sulle ginocchia. Fra le varie critiche mosse all’ex Tassorosso, di certo non c’era mai stata la mancanza di creatività. Così sorrise, schioccando la lingua sul palato in un sentito finger gun, pronto ad esporre la propria, ovvia, strategia: «posso inscenare la mia morte» attese una manciata di secondi, il silenzio ad addensarsi sul palato come caramello: era serio?
    Sì. Molto. «tanto va di moda, no? e posso continuare a vivere la mia vita come jayson matthews - non potrei mai inarcare il sopracciglio come xav, ma il broncio? Dai, guarda: stiles» accennò a denti stretti, ampliando il sorriso ed indicando le proprie labbra. «jay» e con un lesto movimento della mano, il sorriso sparì per lasciar posto al rinomato broncio del fremello triste, con tanto di occhiata malinconica verso un punto sempre imprecisato. Poi oh, gli bastava qualche battuta di rito, ed era perfino un Jay migliore dell’originale: con fottiti, gemes!!&&, oh mio morgan e stiles, no aveva già un vasto repertorio. «pensa, questo capodanno potrei evitare di spezzare il cuore di lydia un’altra volta sacrificandomi per la causa mentre jay si pacca, boh – apriamo già il toto? Punto tutto su amos» cioè??? Era un piano geniale, eccelso, sopraffino.
    Una mente criminale superiore.
    Tornò a guardare Jeremy, bocca curvata verso il basso ed una mano sollevata per impedirgli di ribattere. «non giudicarmi, prima lasciami dire chi sia la ragazza. È -» «stiiii/iiiiii/leeee/eeees» impallidì, Andrew Stilinski, volgendo lentamente (come se il muovere gli occhi potesse far rumore) lo sguardo verso la porta. «lo so che sei nel tuo ufficio, SCIOKKINO» ??? «qui» sibilò in un sussurro, sentendo tutta l’adrenalina scemare verso la punta dei piedi. Come aveva fatto a sapere - CJ. Piccolo bastardino sociopatico. Umettò nervosamente le labbra, una mano ad asciugare una fronte non imperlata di sudore – anzi, era secco come un fico. Si stava probabilmente già decomponendo, Stiles, morto dentro da sempre un pezzo. Portò un dito alla bocca supplicando Jeremy con lo sguardo di non muoversi, né fare altro rumore, mentre cauto come un ninja si alzava cercando di non far cigolare le molle del materasso. «dev’essere credibile. dobbiamo farlo ora» mimò con il solo labiale, sollevando gli occhi al soffitto in una supplica a Morgan – doveva cominciare ad esercitarsi. «lo so che è stupido, ma per favore» pregò, un misero suono messo a tacere dai gridolini acuti ed emozionati di Mandy. Doveva attuare la sua tattica preferita – quasi un sogno, tolte le circostanze. In caso lo scambio d’identità non avesse funzionato, avrebbe sempre potuto incolpare un’amnesia – possibilmente una che gli facesse perdere l’uso della parola, o un trauma cranico tale da privarlo della vista. Cose così.
    La tattica opossum. Ma mancava la scena, capite? Ci voleva un certo palcoscenico: se ne sarebbe andato con classe, Andrew Stilinski. Inspirò gonfiando i polmoni, le palpebre così serrate da sentire un principio di vertigini. Buttò fuori l’aria, schiena dritta e nirvana interiore come chicken little Bruce Lee in l'urlo di Chen terrorizza anche l'occidente.
    Non credeva l’avrebbe mai detto, davvero, ma a quanto pareva una prima volta c’era sempre: «colpiscimi.»

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    «innanzitutto, potrei farti la stessa domanda, eh milkobitch» sembrava quasi offeso, Stiles. Jeremy alzò allusivo le sopracciglia, un sorriso morso tra i denti a ricambiare l’ostentata contrarietà dello psicomago del Castello: non riusciva sinceramente a comprendere quale fosse il problema dell’altro. «lo sai che faccio sempre la bella vita» ammise innocentemente, stringendosi tra le spalle. I lividi del Milkobitch, a malincuore, non riguardavano nessuna notte brava nelle discoteche della periferia londinese, sebbene avrebbe preferito cento volte una scazzottata nel retro di un locale ad un undicenne decerebrato in sella ad una scopa. Fortunatamente, ad ogni modo, non doveva renderne conto al ventenne: preferiva la gente lo vedesse per il diciottenne problematico che era, ad immischiarsi in risse a caso per strada soltanto per il gusto di fare qualcosa di diverso, piuttosto che riconoscere in lui uno pseudo adulto responsabile che aveva appena iniziato a lavorare. Non era ancora pronto per un’etichetta simile, e non lo sarebbe stato per davvero molto tempo.
    «e per inciso, a meno che tu non sia un polipo, questo non è quel che sembra.» si sporse quel tanto di cui necessitava, per osservare con più accademico interesse il punto del collo indicatogli dall’ex tassorosso. Non osò fargli presente che nemmeno ci aveva fatto caso al cerotto – per quanto ne sapeva, e per quanto conosceva Stiles, quest’ultimo sarebbe potuto benissimo essere caduto addosso allo spigolo della sua scrivania ed essersi graffiato -, e che l’essere stato proprio lui a mostrarglielo, totalmente fuori contesto e non richiesto, lo faceva sembrare esattamente ciò che non voleva sembrasse.
    Certo, se solo non fosse stato che - «lo spero bene» commentò, il naso arricciato e le palpebre socchiuse su un paio d’occhi troppo azzurri. Altro che polipo. «altrimenti potrei quasi pensare che un vampiro ti abbia attaccato – non l’ha fatto, vero?» non si sapeva mai, ed era abbastanza restio a piantare un paletto di legno nel cuore di uno dei suoi amici. Però oh, se proprio avesse dovuto, sapeva che Stiles lo avrebbe capito.
    Ad ogni modo, arretrando di un passo, e nonostante i tentativi dell’amico di denigrare qualsiasi cosa fosse successa, l’allenatore non poté che giungere alla conclusione che senza dubbio la sua serata era stata di gran lunga più movimentata della sua: era dura vivere in uno zoo, e cercare di convincere il tuo Snorton su di giri a non graffiare e drogare qualsiasi cosa si muovesse – infatti non ce l’aveva fatta, e la sua magnifica bella vita notturna si era ridotta ad accudire un fratello accidentalmente strafatto ed un Augurey rincoglionito che sbatacchiava le proprie ali per tutta la casa.
    «in secondo luogo, trovo offensiva - offensiva, milkobitch – la tua insinuazione.» oh, Signore. Evitò di roteare gli occhi al cielo, limitando il suo sdegno ad un lungo e greve sospiro ad alzargli il petto, prima di voltarsi alla ricerca di medicamenti. Non poteva di certo negare la sua fosse, di fatto, un’insinuazione bella e buona, ma non la riteneva nemmeno così rilevante da farla diventare un insulto così grave. Per Jeremy era del tutto lecito credere che quando qualcuno diceva di avere un problema, e di necessitare il suo - il suo!, buon Dio: un nuovo livello di disperazione – aiuto, ciò significasse che aveva effettivamente combinato qualcosa, e che la sua scesa in campo servisse a risolvere il guaio. Era cresciuto con gente tipo Archibald Leroy ed Oscar Fraser (e se stesso, soprattutto): ho un problema, nella maggior parte dei casi, significava ho fatto una stronzata ti prego aiutami a nascondere il cadavere dell’opossum del professore – ah che dici Bells, pensi non sia davvero morto?
    Stiles, per giunta, era universalmente rinomato per creare danni senza nemmeno accorgersene.
    Non era colpa del Milkobitch, se preferiva mettere le mani avanti. «non ho combinato nulla» si vantava di conoscere il suo ex capo abbastanza bene, di essere suo amico da anni ormai, ma mancava il legame che aveva intessuto con i Catafratti: non era certo di credergli, né che fosse così importante lo facesse. «va bene» accondiscese atono, gli angoli della bocca piegati verso il basso basso, aprendo uno degli armadietti che affiancavano i lettini («perché ci sono delle lampade, qui dentro?»); se aveva bisogno del suo aiuto, non gli interessava se avesse o meno combinato il danno. «perché pensate sempre sia colpa mia?» prese una lampadina rotta, rigirandosela tra le dita con fare saputo, soppesandola da una mano all’altra mentre raggiungeva un’altra postazione ancora.
    Che domanda ostrica.
    Avrebbe potuto sospirare malinconico ed ignorare l’autocommiserazione del moro, ma gli voleva bene: chi meglio di lui poteva tentare di dare una risposta al ventenne?
    Chiunque, sì, lo sapeva. «perché sei il capro espiatorio ideale» piegò la testa sulla spalla, redarguendo lo Stilinski con un sorriso ed un’occhiata di intenso celeste, aggiungendo un «senza offesa» di cortesia mentre tornava a girare per l’infermeria come un’anima in pena. Magari nemmeno lo sapeva, Stiles, di quante volte la gente avesse approfittato della sua sola vicinanza durante un qualche danno per addossare la colpa al suo essere uno Stiles, e quante volte questo si fosse addossato la colpa senza davvero rendersi conto di cosa fosse successo – mentirebbe, se dicesse che non l’aveva fatto anche lo stesso Jeremy: se ne pentiva, , come della maggior parte delle stronzate che faceva quotidianamente, ma era anche un dato di fatto. La cosa ancora più triste era, però, che a quel punto la gente non faceva altro che puntare il dito a priori contro di lui per le minime cazzate; veniva automatico chiedergli cosa avesse combinato. «davvero, eh» continuò. «sei semplicemente troppo buono, e non muovi mai un dito quando la gente pensa sia colpa tua – ma dove avete nascosto gli antidolorifici? dannazione – quindi viene da sé che se dici di essere in mezzo a qualche casino tutti pensano che tu abbia… iniziato si strinse tra le spalle ed alzò le sopracciglia, soddisfatto della propria buona azione.
    Si poteva definire buona azione? Sì, dai.
    «c’entra una ragazza» e ti pareva. Reclinò la testa all’indietro, anelando un filo di fiato afflitto, prima di voltarsi con estrema e deliberata lentezza. «stiles il tono ammonitore, il capo a scuotersi flemmatico ed intenzionale. Non serviva che dicesse altro, e ne era ben felice: non aveva mai saputo come rispondere ai vari ed ebbri sproloqui dello Stilinski su Karma Montgomery. Era felice che avesse degli amici che sapevano meglio di lui cosa avesse passato e stesse tuttora attraversando, e che la maggior parte delle volte che aveva tirato fuori l’argomento fosse abbastanza ubriaco da non prestare ascolto ai vani tentativi di Jeremy di… fare qualcosa. Dopo le prime volte, se capitava a tiro, gli bastava fare il suo nome con quello stesso, identico tono, e Stiles tornava a fare Dio solo sapeva cosa, magari consapevole del fatto che stesse perdendo il suo tempo ad inseguire una simile chimera – o forse no, ma chi era il diciottenne per saperlo? Ancora: gli voleva bene, ma non avevano quel rapporto. Aveva Isaac e Dakota per quello, no? «non – non lei» «oh.» beh, la cosa si faceva più interessante allora.
    Seguì dapprima con lo sguardo e poi fisicamente i movimenti di Stiles, trovando più faticoso farlo con il dialogo. «stai divagando» constatò breve, appropriandosi del kit di pronto soccorso. «no, non mi serve il disinfettante; no, non sapevo dei capodogli e, onestamente, non mi interessa; sì, sei evidentemente confuso» si buttò sul primo letto disponibile, la cassetta aperta al suo fianco, mentre smucinava al suo interno alla ricerca di analgesici di cui probabilmente nemmeno aveva un reale bisogno: se poteva avere pasticche gratuite, però, valeva la pena di approfittarne.
    E se per gratuite intendiamo che il prezzo è dover fare una seduta d’analisi imprevista, abbiamo il perfetto quadro situazionale di Jeremy Milkobitch ed Andrew Stilinski.
    «senti, bello » prese una busta di ghiaccio secco, posandosela appena sul labbro spaccato. «le ragazze si aspettano sempre, sempre, qualcosa, e la maggior parte delle volte è solo un capriccio perché non sanno davvero di cosa hanno bisogno» esplicò sintetico, alzando le mani al cielo in segno di resa – perché, arrendersi, talvolta era l’unica alternativa che loro, poveri disgraziati, avevano di fronte alle donne -, tenendo lo sguardo sullo struggimento morale del maggiore e mimando, in maniera esageratamente teatrale, un ripetitivo troppo buono al sentir parlare di sentimenti che non andavano feriti. «no certo, perché ferire i suoi sentimenti» puntò serio le iridi azzurre in quelle castane di Stiles, in bilico tra l’incazzatura ed il perché a me. «d’altronde, è lei in un periodo difficile, che sta affrontando una recente rottura e che soffre di insicurezze – saresti uno stronzo, tu» alzò le sopracciglia, e più allusivo di così non poteva esserlo. Chissà se se ne era reso conto, Stiles, di essersi appena descritto da solo. «e non devi fare il tuo lavoro, amico, non è mica una tua paziente. credo? in quel caso sarebbe un po’ rude averla illusa, ma penso comunque sia stato involontario?» spinse di nuovo la busta del ghiaccio sul viso, abbassando lo sguardo su d’essa. «se non ti va di starle dietro» alzò le spalle, spontaneo. «non ci stai» era così fottutamente semplice.
    Immaginava dovesse essere una rottura di cazzo, essere così buoni. Fortuna che era uno stronzo, per quanto riguardava certe cose.
    «ma ho un piano» fu a quel punto, che Jeremy Milkobitch iniziò ad avere sincero timore di Stiles. L’ultima volta che aveva sentito un suo piano, era quando gli aveva raccontato dell’agenzia di pompe funebri che voleva aprire con sua cugina. Stavolta più forte, premette il ghiaccio interamente sulla faccia, chiudendo l’occhio libero dall’impacco.
    Chissà – magari così poteva non sentire il psicomago. «posso inscenare la mia morte» no, non funzionava.
    Nemmeno fece finta di sentire tutto quello che aveva da dirgli: non metteva in dubbio che il ventenne fosse fantasioso, ma… ecco.
    «non giudicarmi,» «troppo tardi» mugugnò avvilito, chiedendosi perché non fosse andato via alla proposta del piano. «prima lasciami dire chi sia la ragazza. È-»
    Alzò la testa e spalancò le palpebre, voltandosi poi nella stessa direzione di Andrew. Quella era - «qui.»
    Oh. Oh.
    Chi l’avrebbe mai detto, che il danno più grande alla fine l’avesse fatto Jeremy tutti.
    Osservò Stiles alzarsi, lo sentiva parlare ma non capiva - non perché provasse la sua stessa ansia, ma solo perché ancora si ostinava a non voler dar ascolto al suo piano.
    Non l’avrebbe reso credibile, non avrebbe inscenato la sua morte - e non solo perché da una parte voleva vedere come si sarebbe evoluta la faccenda, seduto sul lettino con i suoi antidolorifici come fossero pop-corn alla proiezione dell’ultimo Scary Movie.
    Si alzò in piedi, avvicinandosi piano all’altro. Aveva chiesto il suo aiuto, ma il proprio piano era una merda: avrebbero fatto a modo suo.
    «colpiscimi.» «okay,» approfittò degli occhi chiusi del moro per togliersi velocemente la maglietta, gettandola a terra. Lento, si fece ancora più vicino allo Stilinski, ma non lo colpì. Quella era una pratica che solitamente prevedeva strusciamenti e preliminari vari, ma non ne avevano evidentemente il tempo: i tacchi di Mandy che si avvicinavano alla porta dell’infermeria erano più inquietanti dei secondi immaginari a scoccare nel capanno di Brecon prima che saltasse in aria. Portò entrambe le mani alla cintola dei pantaloni del ragazzo, e senza che questo potesse fiatare nel mentre gli aveva già slacciato la zip. «ma facciamo a modo mio.» ed ancora non attese risposte, quando posò le dita sulle spalle del tassorosso e lo spinse sul materasso che aveva alle spalle, facendo indubbiamente più rumore di quanto nessuno volesse. Probabilmente l’aveva rotto – il letto, non Stiles. Forse.
    La porta cigolò, fiacca ed intenzionale. «mi devi un favore» mimò con le labbra, prima di gettarsi sopra lo Stilinski. Sentiva, nel profondo del cuore, che si sarebbe dimenato come un salmone nelle fauci di un grizzly, ragion per cui afferrò i polsi del ragazzo e li spinse sopra le spalle, trattenendole al lettino.
    Non gli permise di obiettare, ed egocentricamente parlando pensava non l’avrebbe comunque fatto – a prescindere dai gusti personali, era sempre un Jeremy Milkobitch. Diminuì immediatamente la distanza tra di loro, adagiando il petto nudo su quello coperto dello psicologo, e dapprima castamente posò le proprie labbra su quelle di Stiles.
    Un bacio, un semplice bacio, che di casto ebbe soltanto i primi istanti di vita: non appena udì i passi della ragazza farsi sempre più prossimi alla loro postazione, non esitò per premere con più forza, spingendo la lingua a farsi strada nella bocca appena dischiusa della sfortunata preda di Mindy.
    E lì rimase, insinuandosi sempre un po’ di più, abbattendo le barriere – il cuore a battere, comprensibilmente e naturalmente in situazioni simili, tachicardico contro il petto di entrambi; la presa delle dita a scivolare dai polsi alle braccia, alle spalle.
    Paccare, era risaputo, era il metodo migliore per risolvere qualsivoglia problema: trattasi di cecchini sugli alberi o di pazze ma romantiche psicopatiche dalle quali difendere la gente, non era rilevante.
    Irruento come aveva iniziato, così si separò dall’amico. «oh, mandy!» scivolò sul proprio fianco vicino a Stiles, il gomito a premere sul materasso e la testa poggiata sulla mano, mentre l’altro palmo ancora indugiava sul torace del tassorosso. «non ti avevamo sentito entrare»
    Citando Barry Manilow: well you came and you gave without taking / but I sent you away, oh Mandy.
     
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    15.10.2017 | h: 11:00
    Andrew Stilinski, malgrado il suo lavoro lasciasse intendere un certo grado di saggezza, era un ragazzo principalmente confuso: dalle persone, dalle situazioni, dal funzionamento della coppa mestruale. Il suo era un mondo particolare, fatto di tante domande e pigro nel trovare risposte – un costante sonno-veglia, per intenderci. Conosceva Jeremy Milkobitch da anni, eppure aveva sempre, sempre creduto che il suo fare da assistente come psicomago fosse atto solamente a perdere lezioni e (lievemente e con affetto…sperava?) bullizzarlo psicologicamente; non era neanche mai stato di molte parole, limitandosi a grugniti o scrollate di spalle. Si sentì molto stupido e superficiale ad osservarlo in quel momento, battendo lentamente le palpebre come se lo stesse vedendo per la prima volta, ed ancora non fosse certo facesse parte del suo mondo. Dovette distogliere lo sguardo per evitare che nei sempre troppo sinceri occhi castani trasparisse la terribile verità celata fino a quel momento: gli piaceva Jeremy Milkobitch, ma l’aveva sempre reputato un animale.
    Senza offesa, Stiles amava gli animali – soprattutto quelli brutti e strani: Kripto il rospo, Loki il Jarvey petty, Dr Strange il camaleonte, YMCA il pappagallo (per gli amici, why) (in tutti i sensi), Lovinski VIII il criceto obeso. Non che…non che Jeremy fosse brutto e strano – solo strano, immaginava fosse…carino? Non si era mai posto il problema, e non avrebbe cominciato in quel momento in cui aveva altro a cui pensare, ossia a quanto preavviso avrebbe dovuto dare a Carrie Krueger per avere un funerale come Thor comandava.
    Comunque. Premette la mano sulla bocca, le corte unghie a torturare la crosta al labbro. Era davvero una persona così di merda? Sì, la risposta era sì. Dopo anni passati fianco a fianco, nella stessa casata!, di Jeremy non sapeva praticamente nulla, se non che fosse un tossico – più o meno le stesse informazioni che aveva sugli Snorton. E si tornava agli animali.
    Il rumore di passi in avvicinamento lo portò nuovamente all’erta, palpebre serrate ed una preghiera agli Avengers. Perché, perché doveva essere così? Non poteva essere più milkobitch e meno stiles ed essere in grado di dare un (1!) rifiuto? Con il senno di molto poi, avrebbe davvero dovuto farlo: sarebbe stato tutto molto più semplice.
    Molto più semplice.
    «colpiscimi.» era pronto, Stiles. Caldo perso, denti serrati e occhi chiusi, pugni lungo i fianchi e schiena rigida. Si disse che, caso mai il suo (eccellente.) piano fosse fallito, avrebbe sempre potuto (dire a Jeremy di dirle che non era interessato, come i veri uomini!) farle pena, con un altro livido a fiorire sul viso tondo – avrebbe accettato più volentieri il rifiuto, se avesse visto che razza di sfigato fosse. Geniale. Perfetto. «okay» sì, sapeva di essere stato lui a proporglielo, ma dovette mordersi la lingua per non farsi sfuggire un VACCI PIANO istintivo. Rimase invece nella propria statica posizione, sforzandosi a non aprire gli occhi – preferiva non guardare, esattamente come durante i film horror: sapeva cosa stava succedendo, o cosa sarebbe successo, e lo ignorava.
    …Una tattica che usava invero in ogni campo della vita. Il rumore ovattato del tessuto gli fece temere il peggio: aveva forse preso un lenzuolo con il quale soffocarlo? Ma nel piano aveva menzionato finta morte? Non ricordava, ed in quel momento ebbe sincera paura. «n-»on voglio morire sul serio? N-on uccidermi? N-occiolina? Chi poteva saperlo.
    Non Andrew Stilinski, che sentendosi toccare d’improvviso spalancò gli occhi scuri. Chinò il capo verso i propri pantaloni, sopracciglia corrugate e labbra dischiuse alla ricerca di qualcosa di intelligente da dire (ma anche stupido. ma anche qualsiasi cosa) mentre Jeremy Milkobitch abbassava la ziP? Sollevò il confuso, vagamente terrorizzato e certamente sbalordito sguardo verso l’altro, trovandolo – senZA MAGLIETTA? Si era – si era di nuovo perso qualche passaggio? BULUGNA SESSANTUTTU? «ma facciamo a modo mio.» In che senso. In che – IN CHE SENSO, AMERICA!! AMERICA E X PLA IN?? Fece ancora guizzare gli occhi dalla cerniera dei propri pantaloni ad un mezzo nudo Milkobitch, ormai dimentico di una Mandy praticamente in infermeria. No? Aspetta – no? CHE MODO? «dev’esserci stati qualche fr-» VALENTINA?? SABRINA INTERVIENI! Anziché reagire (volevo dire come una persona normale, ma in realtà…reagire e basta), rimase basito sotto la spinta, decisamente non delicata, di Jeremy, ritrovandosi a rimbalzare confuso sul sottile, e scomodo, materasso dell’infermeria. Voleva forse simulare un crimine sessuale? Farlo passare per un depravato con qualche strano fetish? Si fidava (…abbastanza. 70%) di lui, ma quel non capire lo stava facendo iperventilare ed impallidire come una pancina la sua prima notte di nozze. «mi devi un favore» NO DAI, JEREMY UCCIDIMI? Alzò una mano di fronte a sé ed aprì la bocca prima di poter connettere lingua e cervello: «ammutinamento - ammutinamento» oh my
    Oh my cosa stava succedendo. Era stato catapultato in un film? Perché pareva proprio l’inizio di qualche trash sex tape, e sinceramente, fra tutti i film in cui Andrew aveva immaginato di finire, una pellicola di Hardvard non rientrava fra quelle. «jeremy - aspETTA» un trillo acuto ma soffocato, l’adrenalina a rendere ogni spigolo più affilato ed ogni tocco più intenso e vibrante. Quando venne privato del proprio scudo, ossia il palmo aperto sollevato di fronte a sè, ed ambedue le braccia vennero bloccate dietro le sue spalle, si sentì molto vulnerabile e sull’orlo di un attacco di panico. Il suo cervello continuava a ripetergli rilassati, stiles. Volevi ti uccidesse fino a tre secondi fa, no? non è meglio così? ma lui, testardo, nO – non era meglio. Era invasione della privacy! Era troppo imbarazzante per essere vero - chissà se si poteva svenire di vergogna. Avrebbe dovuto saperlo, ma in quel momento non ci arrivava. Rimase rigido e immobile, arrendendosi con un sospiro tremulo solamente quando l’altro si coricò sopra di lui: era andata così. Poteva praticamente sentire il proprio cuore rimbalzare sullo sterno di Jeremy Milkobitch e tornare, ripetuto e beffardo, a stringergli la gola. Percepiva fisicamente le guance in fiamme, e fece davvero, davvero del proprio meglio per rilassarsi: okay, era un metodo poco ortodosso, ma poteva funzionare. Avevano evidentemente amicizie diverse; Isaac avrebbe programmato il funerale con Stiles, come immaginava a situazioni inverse un Archibald avrebbe dato per scontato che la soluzione sarebbe stata di natura sessuale.
    Erano evidentemente persone diverse. Reclinò lievemente la testa all’indietro, un sorriso isterico a spingere le labbra verso l’alto – ma gliel’aveva mai detto a Jeremy quanto poco fosse bravo a recitare? Avrebbe dovuto. Fu a tanto così, a tanto così dallo scoppiare a ridere, quando infine si costrinse ad incontrare le iride chiare di Jeremy. «sei -» comodo? Troppo sassy, figurarsi. No, stava per dire caldo, e con il senno di poi avrebbe dovuto essere grato del fatto che il Milkobitch gli avesse impedito di concludere una frase contestualmente imbarazzante.
    Con il senno di poi, perché in quel momento Jeremy Milkobitch lo stava baciando.
    La vera amicizia. Fu quello che continuò a ripetersi, sopracciglia lievemente aggrottate, sentendo la pressione delicata delle labbra dell’ex tassorosso sulle proprie. Era indubbiamente…strano. Cosa stava succedendo. La prima ed unica volta in cui aveva baciato un ragazzo, il ragazzo in questione era sotto l’effetto dell’Amortentia – non avrebbe mai dimenticato Shane Howe, malgrado la cosa non fosse stata reciproca. Forse avrebbe dovuto avvisare Jeremy che anche i baci in amicizia, quando si trattava di lui, finivano con la sparizione dell’altro; si appuntò mentalmente di scusarsi con Todd. Beh, un bacio a stampo, poteva decisamente resistere – anzi, era quasi…confortante? Con occhio critico e scientifico, avrebbe affermato che facesse uno strano effetto - non era propriamente famoso per baciare i propri amici, lui, ed era … bizzarro sentire nelle narici e sulla pelle l’odore di Jeremy, avvezzo alle ventate d’erba portate sui vestiti e nel sorriso ogni volta che si abbandonava sulla sedia dietro la scrivania. Tentò di dischiudere le labbra per dirgli che, se quello era il piano, potevano benissimo aspettare ch’ella fosse dentro così da non dover rimanere infiniti, pesanti secondi in quella posizione, ma – tempistica sbagliata? Oh boi. Quando sentì la lingua di lui farsi strada fra i denti, serrò le palpebre ed arricciò il naso pregando che il Milkobitch non notasse, o fraintendesse, l’andamento sconnesso del proprio muscolo cardiaco. Un lieve ed isterico verso di gola sgusciò dalle labbra nel momento esatto in cui Mandy entrò nell’infermeria, ma sarebbe una menzogna dire che Stiles l’avesse effettivamente sentita: c’era ben poco da sentire oltre al battito del cuore nelle orecchie, per lo Stilinski. Stiles, rifletti, lo sta facendo per te! Non gli era ancora particolarmente chiara la dinamica di quel piano, ma lungi da Andrew metterlo in dubbio. Dopo i primi iniziali istanti di smarrimento, l’istinto ebbe la meglio sulla ragione, portando Stiles allo satus quo nel quale seguiva il flow – e poi, andiamo, prima o poi nella vita capitava a tutti di baciare un proprio amico! Ricambiò, esitante e confuso; una parte, seppur minima ed incomprensibile del suo cervello, gli diceva ma quando ti ricapita? GODITELOH - l’altra, quella più terra terra, gli ricordava che non solo erano amici……ma era un suo amico, quindi c’era poco da godersi. Singolare, ma non spiacevole. Quando riebbe la magnanima possibilità di muovere le mani, spostò il braccio destro posando il palmo sulla spalla di Jeremy – e chissà come, in quel fermento, si era scordato non avesse la maglia.
    Spostalo????????? sì, okay, un attimo –
    Stiles???????? Strinse inconsapevolmente le dita sul braccio di Jeremy, sollevando lievemente il busto per andargli incontro, e - mandy.
    M a n d y.
    La sentì schiarirsi la voce, ed in un guizzo di puro terrore pregò che Jeremy Milkobitch non se ne andasse mai. Ancora? Sempre. Volontariamente rimarcò la presa sul Tassorosso, pregandolo sottilmente di non farglielo fare. Non potevano fingere di non averla sentita e continuare la sessione pomiciate? Pregò che si attivasse la tasso-patia, ma quando ciò non accadde, fece scivolare le dita sulla nuca dell’altro tenendolo premuto contro di sé. Stiles….è solo una ragazza….tira fuori le palle non letteralmente, per carità. Lo sentì fisicamente allontanarsi, e si lasciò sfuggire un vibrante sospiro triste ed un lagnoso verso gutturale. «oh, mandy! non ti avevamo sentito entrare» Anziché spostare lo sguardo cioccolato sula ragazza, Stiles rimase testardamente ad osservare Jeremy. è il tuo piano. Come funziona. Cosa faccio. Nel guardarlo, si rese improvvisamente conto della situazione …e di quello che era appena successo.
    L’imbarazzo vinse sull’ansia sociale. «MANDY!» sollevando il busto, Stiles si armò del lenzuolo sotto di sé, e lo usò per coprire alla bell’e meglio Jeremy – era lui a non volerlo vedere, per inciso; caso mai qualcuno avesse avuto dei dubbi. «oh ciao – io, sì, ecco, mh vedi» deglutì, posò il palmo aperto sulla testa di Jeremy come avrebbe fatto sul muso di un cocker spaniel. «non è come sembra» fu del tutto non intenzionale, e potè sentire i penetranti occhi chiari del Milkobitch a scavargli la nuca. Okay: «mh, sì, è come sembra» Come sembrava? Stava iniziando a sudare freddo. Fece guizzare gli occhi dall’uno all’altro, aprendo la bocca come un pesce nella boccia d’acqua. «mi, mh, piace davvero…mh, molto…» Alzò gli occhi al soffitto sentendo le guance (ancora!) avvampare.
    Non dire quello che stai pensando, Stiles. Non dirlo. E non dire neanche cannelloni, ti supplico: You only live once, non vuoi davvero vivere con il ricordo di questo momento. «jeremymilkobitch» sospirò, picchiettò la mano sulla testa dell’altro. «è – è carino, no? dai» fece scivolare le dita sulle guance di lui stringendole fra pollice ed indice. «lo sai come fa a gonfiarsi il pesce palla? Ingurgita un sacco d’acqua quando viene toccato – geniale, uh. Beh, io vado» fece per alzarsi, ma notò di avere la zip ancora slacciata. Rimase a guardare per più tempo del dovuto la cerniera abbassata, grattando nervosamente il collo – allacciarla sarebbe stato troppo imbarazzante, tipo walk of shame. «no, beh, io qui ci lavoro, quindi dovete andarvene voi. io – sì, mandy, io – no aspetta» Drizzò la schiena ed osservò la ragazza, la quale gli aveva appena domandato se fossero una coppia. Non esageriamo. «no, in che senso? Cioè, coppia coppia o coppia, meh (non tryhard, ciao bimbo) coppia?» indicò l’aria fra sé e Jeremy, un’occhiata dubbiosa sull’altro. «non ci piacciono le etichette»
    ???????????????????? send help – e una bombola di ossigeno, se ne avete a portata di mano. Just in case.
    I don't even have my own attention You say
    "please don't ever change" But you don't like me the way I am
     
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    Conosceva Andrew Stilinski, in arte Stiles, da oramai otto anni, sebbene nei primi quattro non avesse instaurato con lo psicomago un particolare rapporto di amicizia – o una qualsivoglia specie di relazione definibile sociale, a dire il vero: fin troppo abituato a stare da solo, Jeremy, per andare a cercare nuove amicizie che non fossero i Catafratti; si limitava a scambiare il suo sguardo in Sala Comune o al tavolo dei Tassorosso solo se proprio gli capitava di fronte, e niente più. Non si sarebbe mai azzardato a dire di conoscere ogni sua sfaccettatura, gusto o sogno; non avevano mai fatto niente di memorabile in compagnia l’un dell’altro, né avevano particolarmente parlato delle proprie vite: ciò che sapeva del moro, era per sentito dire o per dettagli che s’era lasciato sfuggire durante le sue ore di assistenza in Infermeria – al massimo, carpito ed estrapolato dal non detto.
    Sicuramente, il modo in cui si approcciava agli esseri umani rientrava in tutte le categorie appena citate. Perciò, quando si ritrovò senza il petto dell’altro come appoggio e grossolanamente coperto dal lenzuolo pallido del lettino, non riuscì a stupirsi di nulla – dei suoi gesti, dei suoi movimenti, del rossore a pervadergli il volto. Giusto per rendere tutto più verosimile, ed imbarazzante quanto fosse bastato per Stiles da non farlo uscire dal mood (coraggioso da parte del Milkobitch, credere che l’ansia del ventenne si sarebbe placata senza che interferisse ancora), quando questi sollevò il busto fece scivolare il palmo dal torace all’addome, finché non giunse a tamburellare, nascosto dal leggero telo, le dita sulla coscia. Lo fece più per sé che non per mettere ancora più in soggezione l’altro, in realtà: se non si fosse trovato qualcosa in cui impegnarsi – e , strusciarsi contro qualcuno era la distrazione preferita dall’allenatore di Quidditch; quasi al pari della droga, riusciva a fargli dimenticare qualsiasi altra cosa alla quale avrebbe dovuto prestare la propria attenzione -, si sarebbe trovato o con le palle degli occhi così rigirate all’interno dell’orbita da aver scoperto (o creato, tanto veloce il moto di rotazione) una dimensione alternativa, o piegato su se stesso per le eccessive e convulse risate. O avrebbe finito per mordergli a sangue quella fottuta mano, se non avesse smesso di battergliela sulla testa come fosse il bottone di The Voice: quando si mise a stringergli le guance, la tentazione fu così spericolata da rischiare seriamente di amputargli qualche falange - alla fame chimica non si comanda.
    Santo Satana, ma perché doveva essere così? Inutile dire che gli volesse bene soprattutto per quel suo essere tanto… inadatto: probabilmente era di un altro pianeta, e per questo motivo andava senza ombra di dubbio protetto. In particolar modo, dalle persone come Jeremy Milkobitch.
    Forse, era proprio di quelle che in realtà aveva bisogno.
    Si alzò a sedere dietro di lui, una recitazione degna di Hardvard Hilton nella pellicola che l’ha osannato alla critica mondiale, “Quello non è un Occamy”, mentre faceva scivolare le dita sulla schiena di un sempre più teso Stiles, i penetranti occhi celesti fissi sulla nuca del ragazzo. «si vergogna» ammise per lui sorridendo appena sopra la sua spalla, posando il mento su di essa. «lo sai che ci rimango male quando dici che non siamo una coppia» sussurrò al suo orecchio, ma non così tanto a bassa voce da non farsi sentire da Mandy. «stiamo insieme da, uh, quanto?» corrugò le sopracciglia, cercando lo sguardo dell’altro e sforzandosi, con tutto se stesso, di non scoppiare a ridere: la faccia dello Stilinski, costantemente sull’orlo di una crisi di panico, rendeva l’intento molto complicato. «un paio di mesi, giusto? e preferiremmo che non diventasse una questione di dominio pubblico, mandy» chissà se Stiles voleva dire qualcosa al riguardo. Non era rilevante. «insomma, mh…» si andò a grattare la nuca, fingendo un imbarazzo che non sentiva affatto. «sai, la gente parla…» piegò le labbra in un mezzo sorriso, facendo scivolare gli occhi chiari da quelli di Mandy – che quando annuì, gli fece chiaramente intendere che lei sarebbe stata una di quelle persone che parlavano: l’intento era proprio quello, non aveva soltanto avuto il tempo di dirlo a Stiles - a quelli dello psicomago. «a me non interessa, ma non vorrei facessero problemi ad andrew» uau, Andrew: un nuovo livello di intimità. In realtà, un po’ paura dei guai che sarebbero potuti insorgere l’aveva davvero: non per la relazione in sé, quanto per il fatto che in quel castello ci lavoravano entrambi. Onestamente, non aveva mai capito le direttive riguardanti i rapporti tra i dipendenti della scuola. Eh vabbè era andata così.
    «abbiamo poco tempo prima che ricomincino i nostri turni» sancì, sincero, rivolto ad entrambi. Le mani, strette sulle spalle dell’ex tassorosso, scivolarono sul suo petto, spingendolo fino a farlo cadere al suo fianco sul materasso. «non vorrei essere brusco, eh,» anche se in realtà sì, voleva. «ma se non hai qualche problema, te ne puoi andare?» sforzò un sorriso, volutamente scazzato dalla sua presenza lì, e prima di abbandonarsi di nuovo vicino a Stiles, sventolò una mano nell’aria per salutarla. «e chiudi la porta quando esci!» Non attese davvero che se ne andasse, Jeremy; quando fu vicino all’altro, portò le dita a carezzargli la guancia glabra e, prima ancora che potesse dire qualcosa di imbarazzante, posò nuovamente le labbra sulle sue.
    Se avesse voluto parlare, avrebbe aspettato che Mandy uscisse da quella stanza; fino ad allora, non lo avrebbe liberato. Per il suo bene, sia chiaro.
     
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    15.10.2017 | h: 11:00
    Dire che la situazione gli fosse sfuggita di mano, sarebbe stato l’eufemismo del secolo. Era andato così in tilt che le uniche cose cui riuscisse a pensare in quel momento, vacuo sguardo scuro a non osservare nulla di preciso, erano tutti i poteri che non possedeva, ma che in quel momento avrebbero potuto salvarlo da una situazione del tutto estrema e fuori luogo: la cronocinesi era solo la prima, e più ovvia, della lista; il sogno più realistico era che, per osmosi dalla fratellanza, la telecinesi entrasse in gioco permettendogli di teletrasportarsi su un distante anni luce nuovo sistema solare.
    Sfortunatamente per Stiles, la fremellanza non funzionava in quel modo. Era in ritardo per fingersi morto? Non sapeva dove guardare; non sapeva dove tenere le mani; Gesù Cristo, non era neanche più certo di come si respirasse. Non era, decisamente, la persona più adatta per le messinscene. Non era mai stato bravo a fingere, trasparente ed onesto nei gesti quanto negli occhi; da bambino gli vietavano perfino di fare il cespuglio, chiedendogli solamente di rimanere in un angolo e non rovinare lo spettacolo a nessuno. Aprì la bocca, più per cercare aria che per rispondere a Mandy; scosse il capo maledicendo se stesso e la propria incapacità ad esistere, una mano sollevata in segno di resa ed un sospiro a svuotare i polmoni facendo curvare le spalle. Lo stava per fare? Lo stava per fare. Preferiva sopportare cozza-Mandy che vedersi costretto a mentire…per quanto, poi? Non avrebbe retto il ritmo - e non era certo che farsi trovare a limonare con Jeremy Milkobitch potesse aiutare la sua causa.
    Ancora non era neanche certo fosse successo davvero. Era certo, Stiles, di essersi perso un passaggio fondamentale che avrebbe dato un senso a tutto quanto – tipo il motivo per il quale era rimasto incastrato in una situazione del genere, costretto a chiedere soccorso ad un jeremy milkobitch perché di suo non avrebbe saputo come uscirne.
    Perché sei un codardo, Stiles.
    Ah già. Era più semplice del previsto! Umettò le labbra e cercò gli occhi della ragazza, caricando i propri d’imbarazzo ed onestà: sì, avrebbe vuotato il sacco.
    E poi avrebbe finto la sua morte, piano che trovava ancora perfettamente consono, ma quello era un altro discorso. «senti, mandy -» «si vergogna» SI, BEH. QUELLO SICURAMENTE – sempre, nel dubbio. Non vide neanche perché smentirlo quando, in ogni caso, l’imbarazzo ce l’aveva stampato in faccia. Si irrigidì istintivo, evitandosi perlomeno di sobbalzare, quando Jeremy poggiò il mento sulla sua spalla. Si sarebbe anche voltato a lanciargli un’occhiata di monito – a cosa, poi? Forse non si erano, di nuovo, capiti; avrebbero dovuto lavorare sulla comunicazione – se non fosse stato un po’ troppo vicino per i suoi gusti. Okay che erano amici, ma non si sentiva ancora (mai.) abbastanza a suo agio ad averlo a così pochi centimetri di distanza con l’irragionevole consapevolezza di averlo (essere stato?? non che avesse importanza, in quel momento) appena baciato. Stiamo pur sempre parlando dello stesso ragazzo che ci aveva messo anni – letteralmente – prima di sollevare quel velo e baciare Karma Montgomery.
    Insomma. Era un ragazzo romantico!!&& Non era …non era così a suo agio con l’intimità da sentirsi a posto con se stesso nel percepire il calore emanato dalla guancia di Jeremy vicino alla propria. Era…strano? Avrebbe voluto essere nella testa del Milkobitch per, boh, cinque secondi giusto per sapere cosa si provasse a non possedere quel genere di – inutile – pudore. «lo sai che ci rimango male quando dici che non siamo una coppia» Lui, loro - cosa? «lo …so?» Jeremy, cosa stai facendo. Virtù a parte, si vide costretto a voltare la testa nella sua direzione – anche solo per sottrarre a Mandy la confusione papabile su ogni tratto del suo viso – con un perplesso sopracciglio sollevato.
    May day, May day, non so cosa stia succedendo, aiutami?.
    «stiamo insieme da, uh, quanto?» ecco, stava di nuovo iperventilando. Poggiò le dita della mano destra sulla fronte, odiandolo per trovare divertente - divertente! - quella situazione: non credeva anche lui che Stiles fosse troppo giovane per morire d’infarto? Non era neanche maggiorenne negli USA! «un paio di mesi, giusto? e preferiremmo che non diventasse una questione di dominio pubblico, mandy» GIUSTO???? Un - un paio di mesi? «giuuu[…]uuusto» scandì lentamente, sempre più esitante, lanciando emblematiche occhiate all’altro. Si fidava di lui abbastanza da seguirlo in qualunque fosse il suo brillante piano? Certamente no. Aveva altra scelta? Di nuovo, no – principalmente perché era stato lui a chiedere aiuto, quindi sarebbe stato alquanto maleducato non accettarlo. «g-giusto» confermò, annuendo fra sé, piantando gli occhi sulle proprie mani intrecciate in grembo. Chissà se poteva fingere (…/fingere/) uno svenimento e togliersi dall’impiccio lasciando che fosse Jeremy a sistemare i suoi problemi.
    Tentazione spericolata. «insomma, mh…sai, la gente parla…a me non interessa, ma non vorrei facessero problemi ad andrew» quell’andrew fu come una stilettata al petto del Tassorosso, che offeso si portò una mano al cuore: «non chiamarmi andrew» puntualizzò indignato, come se quello fosse stato il vero problema della questione. Solo in un secondo momento si rese conto di…beh, di tutto il resto. Cioè, non che prima non se ne fosse accorto, ma la situazione lo colpì comunque improvvisa e nuova: Mandy-Bocca-Larga aveva appena assistito alla pomiciata di Stiles e Jeremy – Jeremy, il quale, caso mai foste un po’ duri di comprendonio come Stiles, era un ragazzo.
    «AH!» ecco. Ma pensa. Quindi il piano per sfuggire alle grinfie della ragazza era fingersi gay ed impegnato? Uau, non doveva neanche sprecarsi a fingere considerando che l’intero corpo scolastico credeva lo fosse dal suo primo anno; aveva smesso di negarlo secoli prima, costringendosi a tornare alle vecchie abitudini solamente quando la Montgomery aveva espresso il proprio dubbio in proposito. «un paio di mesi!» confermò in feedback, sentendosi l’internet explorer della situazione – o un merlo indiano. «scusa» arricciò il naso, e serrò le palpebre, sinceramente dispiaciuto per la situazione; il fatto che per Mandy quello scusa avrebbe assunto un altro significato, non lo rendeva meno veritiero. Se avesse avuto un progetto da seguire sin dall’inizio…….no, niente. In effetti, era stato meglio non sapere un cazzo, perché Stiles aveva non pochi problemi (punto.) di ansia da prestazione. «si - quello» sospirò sollevato, riuscendo perfino a stamparsi sulle labbra un sorriso appagato. Non era così difficile, giusto?
    «abbiamo poco tempo prima che ricomincino i nostri turni» Sbagliato. Stiles si era ritrovato ad annuire, percependo la fine di quella lenta agonia proprio lì, dietro l’angolo! – ma no, sarebbe stato troppo facile. A meno che non c’entrasse la lega pokèmon, per la quale si attrezzava con centinaia di pozioni a causa dell’amico infame ad attenderti al varco, non era esattamente il più sincero sostenitore del go big or go home; sarebbe stato più semplice se anche Jeremy avesse fatto parte della sua squadra, ma se Stiles giocava nei pulcini nella Primavera, il Milkobitch era un giocatore di serie A.
    I regret everything. «gnnn» fu il soffocato ed insensato verso con cui accolse l’ennesimo cambio di programma, approfittando della distrazione di entrambi per un rapido, ma sentito, segno della croce: non era esattamente un credente, ma se il Grande Fratello gli aveva insegnato qualcosa, era che c’era sempre qualcuno a guardarlo.
    Non si sapeva mai quando quel qualcuno avrebbe deciso di entrare in partita. «ma se non hai qualche problema, te ne puoi andare?» Sì, esatto – ottima idea, MANDY VATTENE. «per favore*» aggiunse in automatico, di una nota più alta del normale, maledicendosi subito dopo. Cristo Stiles, ma cosa non va in te?
    Beh. Quanto tempo avete? «e chiudi la porta quando esci!»
    gnNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNNN. Prese il respiro più profondo della sua vita, riempiendo i polmoni come un’atleta prima delle olimpiadi, decidendo fosse una saggia idea non aprire gli occhi fino a pericolo passato. Quando sentì il pollice di Jeremy sulla guancia, anziché sottrarsi al tocco come lo pregava l’istinto di sopravvivenza, girò la testa verso la sua mano per schiacciarla sul cuscino, deglutendo asciutto e nervoso saliva ed aria. «non -» è necessario? –farlo? – ho mai visto una rhopilema nomadica? Chi avrebbe potuto dirlo. Certamente non Stiles, il quale ebbe appena il tempo di aprire la bocca in una sottile protesta prima di trovarsi nuovamente le labbra del Tassorosso sulle proprie. Caso mai ve lo steste chiedendo, , google diceva che si poteva morire d’imbarazzo: lo psicomago sentiva di essere ad un soffio da quella morte. Toh, alla fine non sarebbe stato necessario inscenare la sua dipartita. Gira che ti rigira, comunque, si tornava al suo piano. Poteva percepire chiaramente il cuore pulsare in gola e sulla lingua, la testa leggera ed in preda a non troppo spiacevoli vertigini. Era così…strano, l’aveva già detto? almeno un centinaio di volte. Ma era davvero, davvero troppo assurdo. La cosa più inconcepibile per Stiles, oltre alla peculiare logica di Jeremy Milkobitch, era quanto fosse caldo. Cioè, non…non in quel senso, ma letteralmente: era davvero …fisicamente caldo. Karma era sempre stata più fredda del normale; con il senno di poi, avrebbe dovuto crederle tutte le volte in cui gli aveva detto di essere morta dentro. Assorto e scientificamente distratto da un paragone davvero non richiesto, ci mise qualche secondo più del necessario per rendersi conto che: a) stava di nuovo, effettivamente, baciando Jeremy Milkobitch, e b) «se n’è andata» debole ed appena percettibile, con una lieve nota di disappunt – aspetta un attimo.
    Cosa? «se n’è andata!» esclamò, in uno squittio che avrebbe fatto concorrenza ad un delfino, lanciandosi sul pavimento in un goffo, ma ben riuscito, tentativo di fuga. Non baciò le pietre di Hogwarts solamente perché sarebbe stato irrispettoso e di cattivo gusto, ma ringraziò tutti i santi in paradiso (e non) per il fresco del lastricato sulla pelle bollente.
    «uau» rimase sul pavimento con lo sguardo puntato sul soffitto, le labbra piegate verso il basso. «inaspettato» commentò, più a se stesso che non a Jeremy, corrugando le sopracciglia in una smorfia perplessa – la sua preferita. «cioè – nel senso -» cercò di misurare ogni parola per evitare, come suo solito, di farsi accecare dalla parlantina nervosa ed offendere l’altro ragazzo. «grazie, sei un vero amico e tutto quanto, ti devo – mh – decisamente un favore?, ma» Strinse le labbra fra loro, ma non appena sentì sulla superficie l’insistente sapore del Milkobitch, le rilasciò preferendo mordersi l’interno della guancia. Una risatina lievemente isterica, trattenuta fino a quel momento, gli scosse le spalle mentre si alzava a sedere. Okay. Fattibile. Okay. Basta non pensarci??? «non…non funzionerà mai» riuscì perfino a spingere lo sguardo fino a sopra il lettino, cercando gli occhi chiari del Milkobitch. Portò subito i palmi in avanti in segno di resa. «cioè non perché – insomma – non …» cosa, COSA STILES? Indicò prima se stesso e poi l’altro, arcuando entrambe le sopracciglia. Quando il messaggio parve non giungere al destinatario, ripetè il gesto. No? «voglio dire,» scosse il capo e si strinse nelle spalle. «stiles-e-jeremy? è credibile quanto fingere la mia morte» sempre valido, per inciso. «davvero, grazie di averci provato, sempre meglio di un pugno in faccia eh – ma siamo onesti» Si grattò nervosamente un sopracciglio, stringendo poi il palmo attorno alla nuca. «non siamo esattamente, mh,» pezzi di puzzle a parte (#shane), facevano proprio parte di due mondi diversi, come Hanna Montana e Miley Stewart. «compatibili?» Allargò entrambe le braccia senza realmente continuare il discorso, lasciando a Jeremy l’arduo compito di connettere i puntini. Recuperando un briciolo di se stesso, portò una mano al cuore e chinò il busto in un mezzo inchino. «yu gonplei ste odon» cosa? Stava citando the 100? …Beh, almeno non aveva iniziato a parlare in elfico.
    Piccoli progressi.


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    Sorrise, Jeremy Milkobitch, sulle labbra dello psicomago, prepotente in un contesto dove più consona sarebbe stata una dolcezza di cui comunque era privo, forzando quella piega sulle stesse labbra di Stiles. Era indubbiamente divertito – dalle isteriche reazioni di Stiles all’estravagante situazione nel suo insieme, finanche alla drammatica uscita di scena della studentessa, i cui tacchi a battere furiosi sul pavimento, ne era sicuro, avrebbero tormentato gli incubi del ventenne per i giorni a seguire -, e ad un tale sentimento era sicuramente da imputare gran parte del merito per quel ghigno sbilenco a farsi beffe dell’amico; ma c’era di più. Un qualcosa che l’allenatore di Quidditch non poté capire sul momento, né comprendere a posteri, quando si ritrovò costretto a staccarsi dall’altro. Un singolare senso di piacere a sgusciare sottopelle, a pizzicargli le dita premute dalla guancia dello Stilinski sul cuscino, forzandole a premere di rimando sulla sua pelle; un trasporto a scalpitare frenetico nel petto, che tiepidamente domandava ancora più adrenalina – e che il diciottenne interpretò, inoltrando quello stesso quesito all’unico destinatario possibile in quella stanza, forzando quella piega sulla bocca affinché si dischiudesse un po’ di più: aveva ovviamente notato che Mandy già se n’era andata, lasciandoli soli, ma non vide il motivo di bloccare quella farsa. Qualcosa, nel suo cervello, gli suggeriva lo stesse facendo per Stiles – perché ormai avevano montato quel palcoscenico, e tanto valeva provare le battute già dal primo momento; che fanculo la messinscena, l’amico aveva bisogno che qualcuno come Jeremy Milkobitch lo sbloccasse sotto certi punti di vista, dato che non poteva andare avanti a balbettii insensati e piani omicida-suicidi ogni volta che si trovava invischiato in pantani del genere -, e se non si fosse conosciuto abbastanza da sapere di essere fin troppo egoista, avrebbe dato ascolto a quella voce. Sia chiaro: gli voleva bene, a quel caso umano, e nel suo particolare modo di vivere la vita pensava davvero di aiutarlo a rompere i propri muri, ma era naturale fosse per se stesso che continuava a cercare un po’ di più di quel che aveva visto sulla superficie. Un istinto sciocco, infantile; il fatto era che lui, uno come Stiles, non lo aveva mai avuto così vicino da poterlo sentire veramente. Si era portato a letto diversi tipi di persone, o almeno quel che bastavano affinché a diciotto anni potesse vantarsene e vergognarsene al contempo, ma quel sapore sulla pelle gli era nuovo. Ed al pari di un archeologo davanti al miraggio di El Dorado, non era pronto a separarsene subito – pur sapendo, che non poteva meritarsi tutta quella ricchezza. Perciò continuò a bearsi, impetuoso ed incosciente, di quel gusto aspro d’orzo e vaniglia, di più fresca e recente menta e caramello: avrebbe dato la colpa alla marijuana, in seguito, se gli fosse stato chiesto perché aveva indugiato così tanto, prima di lasciar libero l’amico.
    Non che, invero, potesse negare colpe e merito di Maria.
    A quell’iniziale «se n’è andata» non volle rispondere, se non con un mugolio quasi infastidito dal fiato caldo sulle labbra. Non che a Stiles paresse importare, almeno a primo acchito. Quando lo psicomago tentò di nuovo, fu invece obbligato a reagire, portando la mano appena intorpidita dalla pressione della testa dell’altro a sorreggersi la propria, distendendosi su di un fianco per osservare accademico come l’isteria tenuta sotto controllo in un soggetto particolarmente suggestionabile, potesse esplodere quando la situazione finalmente pareva concederlo. «rude» fu l’unico, sinceramente divertito, commento con cui accompagnò la rotolata del ragazzo sul pavimento, lontano dalle sue grinfie, premendo le labbra tra loro anziché sorriderne. Perché sì, esilarante, ma scortese lo era stato davvero, come non gli mancò di ripetere quando aprì bocca: non era mai stato liquidato da nessuno; era quello che lasciava, lui. Dubitava così tanto delle sue doti da attore da ritenere quel successo “inaspettato”? Non si era fidato fino ad allora?
    Oppure, non si aspettava di rimanere piacevolmente soddisfatto dal Milkobitch stesso – inutile dire fosse la cosa più greve che potesse intendere: ma lo aveva visto bene?
    «non mi devi nessun favore, stiles.» sospirò, scuotendo melodrammatico il capo prima di tirarsi su e mettersi seduto sul bordo del lettino. Gli diede le spalle, preferendo non guardarlo e cercare la maglietta che in precedenza aveva gettato via, piuttosto che mettergli ancora più ansia e causargli un attacco di panico: voleva davvero consigliargli un bravo psicologo al quale rivolgersi per gestire un po’ quell’ansia, ma conosceva soltanto lui (e se stesso come assistente psicomago, addetto allo spaccio di antidepressivi e marijuana più che alla professione vera a propria). «fossi stato qualcun altro ti avrei fatto pagare,» oh!, bisognava mettere i soldi nel barattolo dei catafratti in qualche modo, ed oltre allo spaccio, la prostituzione era l’unica cosa in cui il Milkobitch eccellesse. «ma sei un amico, ed è stato divertente.» alzò le spalle, sorridendogli appena da sopra la destra. A meno che non concernesse un lavoro ed un compenso dall’inizio, il tassorosso non amava fare le cose per ricevere qualcosa in cambio: non era fatto così, né gli sarebbe mai piaciuto esserlo. Non amava nemmeno che la gente lo ringraziasse, se non strettamente necessario, prediligendo quando nessuno si accorgeva del suo stupido aiuto.
    Aveva una reputazione da mantenere, ed era quella della solitaria sassy (milko)bitch; i giri di favori li lasciava ad Arci e Bells. Si alzò e recuperò la maglia, per poi fermarsi a metà nell’infilarsela, con soltanto gli avambracci coperti dalle maniche ripiegate; arcuò entrambe le sopracciglia, le palpebre socchiuse sugli occhi chiari e gli angoli della bocca piegati verso il basso - offeso, il Milkobitch. Il problema era che, in fin dei conti, non riusciva nemmeno a dargli torto: non erano credibili, loro due insieme. Non era un fottuto legilimens, né un telepata: non aveva la benché minima idea del perché credeva che stiles-e-jeremy non potessero funzionare, e tantomeno la presunzione di estrapolare dal suo pensiero parole non dette. Ciononostante, credeva lo stesso: erano due mondi agli antipodi, loro due, e tutto ciò che avevano in comune era un sangue sporco e la costante sorpresa di ciò che la magia, dopo tutto quel tempo, potesse fare.
    Un qualsiasi Jeremy, non si sarebbe mai meritato uno Stiles: aveva bisogno di qualcuno di più tranquillo, e che non lo spingesse al limone duro per mentire ad una povera ragazza alla quale - per Dio! - voleva solo dare rassicurazioni. Era il diavolo vestito di rosso e con un forcone appuntito sulla sua spalla destra, e lo Stilinski quel tipo di persona che aveva bisogno dell’angelo accomodato sulla sinistra a suonare la sua ridicola arpa. Non poteva dargli per niente torto: non erano compatibili.
    Tuttavia «hakuna… matata?» sì, voleva dire altro, ma le parole inventate sul momento dal ventenne lo colsero impreparato. Scosse la testa, finì di rivestirsi e, come se non avesse appena turbato la sua intera esistenza tornò a cercare gli antidolorifici: per la cronaca, no, non gli faceva male nulla, ma in guerra ogni pasticca è droga buona (semicit.). «alla gente non frega più un cazzo di cosa sia credibile o meno – guarda trump, è diventato presidente degli stati uniti» beh, per non parlare della mistica resurrezione attuata da Lancaster nei confronti di sua sorella ed altre persone, ma era certo allo psicomago sarebbe bastato parlare del Capo Supremo degli USA – una delle cose più incredibili cui aveva assistito in diciotto anni di vita. «fai come vuoi, comunque - aha!, vi ho trovato, stronzette -» belle che erano, le sue pasticche: doveva chiedere a Barrow di rimediargliene altre prima di andare a fanculo nel 2117 #rip. Le alzò per mostrarle a Stiles – non per chiedergli se potesse prenderle, ma giusto per avvisarlo: se proprio gli doveva volere un favore era quello di tenere l’acqua in bocca, ma tanto non era la prima volta che gli andava a chiedere della roba -, prendendone subito una e mettendosi il resto del flaconcino in tasca. «io ti ho solo offerto una via d’uscita, ma la vita è tua e non sarò io a dirti come liberarti di una ragazza e non venire importunato per un po’» fece nuovamente spallucce, sorridendo sotto i baffi. «solo che, ecco…» si avvicinò al ragazzo, ancora (penso?) seduto a terra. «conosco mandy e penso proprio che» uno sguardo veloce all’orologio, giusto per scena: non sapeva leggere l’ora non aveva prestato attenzione a quando avevano iniziato, a quanto era durato lo spettacolino o da quanto la ragazza se ne fosse andata. «tutta hogwarts già sappia da un paio di minuti che l’allenatore di quidditch se la fa con lo psicomago SHOOOOOOCKING!!!&&» gesticolò un po’ nell’aria, non riuscendo a non sorriderne malizioso. «quindi insomma, credibili o no, siamo già sulla bocca di tutta la scuola.» se gli dispiacesse di averlo messo in una simile situazione del cazzo? No: non avrebbe saputo risolvere la questione in altro modo, e l’aiuto glielo aveva chiesto lui.
    Go big or go home. «ma la scelta è ancora completamente tua: pensaci» si abbassò vicino a lui, scompigliandogli i capelli e dandogli un casto bacio sulla fronte. «ciao tesorino oh niente, si era tirato su il morale da solo! Che ottimo cheerleader che sarebbe stato. Si allontanò alla svelta, prima di dare il tempo allo Stilinski di rispondere in maniera furba – non che, così turbato, credesse sarebbe riuscito a parlare a breve -, e solo quando fu sulla porta dell’infermeria si voltò verso di lui. «se vuoi lasciarmi, sappi che di solito repello le scenate in pubblico, ma per te potrei fare un’eccezione casomai potesse aiutarti» ah, che amico!
    Ma un’eccezione, Jeremy Milkobitch per Andrew Stilinski, l’avrebbe fatta davvero.
     
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