Tell me what you think about when you can't fall asleep at night.

Nicole&Sherman

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    Nicole Rivera

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    San Mungo, due giorni prima.



    «Non vuoi farmi vedere quello che hai disegnato?» chiese con gentilezza la psicomaga, chinandosi all'altezza del suo giovane paziente.
    Il bambino stringeva al petto un foglio di carta, le labbra serrate in un'espressione ostinata. Scosse la testa in senso di diniego, e Nicole ebbe l'impressione che quei suoi occhietti castani fossero diventati più lucidi.
    «D'accordo allora, non fa niente.» con una lieve alzata di spalle si alzò in piedi, poi andò a sedersi su una delle due poltrone al centro dello studio. «Anche se è un vero peccato. Ero davvero curiosa di vederlo, mi hanno detto che sei molto bravo.»
    Sporgendosi verso il tavolo basso su cui aveva poggiato una carpetta straripante di fogli, prese rovistare tra i documenti alla ricerca di qualcosa di ben preciso. «Questo per esempio...» cominciò, mordendosi un labbro con fare pensieroso «...Lo hai fatto tu, mi sbaglio?» afferrò trionfante la copia di un disegno risalente a quasi un anno prima; al centro, era raffigurata una grande sagoma scura voltata di spalle, i capelli chiari e nient'altro di riconoscibile. Lo sfondo era invece un caos di linee marcate, tracciate nervosamente e senza un reale criterio logico.
    Sebbene non fosse altro che lo scarabocchio di un bambino, guardarlo le metteva i brividi: Nicole non voleva neppure immaginare cosa potesse aver passato il giovane artista nello svegliarsi e trovare la propria famiglia brutalmente assassinata.
    Fortunatamente (per quanto si potesse considerare fortunata quella situazione), l'assassino aveva ben deciso di risparmiare il piccolo di casa e di essere abbastanza silenzioso da lasciare che si svegliasse, traumatizzandolo ulteriormente. O almeno, così raccontavano i verbali.
    Nicole non ne era un granché sicura.
    Non era riuscita a cavargli un granché nei loro incontri, ma aveva la netta sensazione che il bambino sapesse più di quanto non desse a vedere.
    In verità, avrebbe facilmente potuto scoprirlo utilizzando il proprio potere su di lui, ma doveva attendere il momento più propizio per farlo: costringere qualcuno a dire qualcosa che preferirebbe dimenticare è una delle cose peggiori che si possano fare.
    Il giovane paziente alzò il viso abbastanza da osservare il disegno che la psicomaga stringeva fra le mani e la sua espressione passò in breve tempo allo stupore. Non si aspettava di rivederlo, non in mano ad una estranea almeno.
    «E' mio.» disse semplicemente, alzandosi in piedi per avvicinarsi alla donna.
    Nicole gli rivolse un sorriso affabile, poi poggiò il disegno sul tavolo e, con un cenno, invitò il bambino a sedersi sull'altra poltrona.
    «Mi racconti un po' cosa volevi rappresentare?» guardandolo negli occhi, si limitò ad usare il proprio potere per infondere in lui un senso di tranquillità e di fiducia.
    «Mio fratello Victor.»


    Tre Manici di Scopa, oggi.



    Seduta ad uno dei tavoli in fondo al locale, sorseggiava distrattamente il suo bicchiere di Acquaviola.
    Muoveva una gamba nervosamente, cercando di stemperare la tensione che aveva addosso e chiedendosi se quella fosse davvero la cosa giusta da fare. Quando, due giorni prima, il suo paziente si era lasciato sfuggire quel nome, un enorme sospetto aveva colto Nicole spingendola a terminare in tutta fretta la seduta.
    Era abbastanza sicura che il bambino avesse accettato di rivelare quel nome solo perché spinto dai suoi poteri e che, dunque, non sarebbe più uscito dalla sua bocca tanto facilmente. Dunque, quel 'Victor' era al sicuro per il momento, ma per quanto lo sarebbe stato?
    La psicomaga non aveva alcuna certezza che l'uomo di cui il piccolo le aveva parlato fosse lo stesso che, pochi anni prima, si era confidato con lei tra le mura dei Laboratori, ma era ben determinata a scoprirlo.
    Se davvero Victor, per lei Sherman, aveva fatto fuori la sua famiglia... Beh, per quanto riprovevole e crudele fosse quell'azione, Nicole non poteva che comprendere la possibilità di commettere qualche atto tanto scellerato dopo aver subito l'inferno che loro avevano subito.
    Non avevano più avuto alcun contatto dopo lo smantellamento del Laboratorio, così la giovane non aveva neppure idea di come questi avesse superato la cosa e se lo avesse davvero fatto. Si sentì un po' in colpa per non essersi mai interessata a nessuno, nemmeno a quei pochi che l'avevano aiutata a sopravvivere, e solo per il suo egoistico desiderio di lasciarsi tutto alle spalle e chiudere con il passato definitivamente.
    Così Sherman doveva essere stato sorpreso dal ricevere il suo invito improvviso per incontrarsi, quella sera, ai Tre Manici di Scopa.
    «Ormai non si torna indietro, Nicole.» mormorò fra sé e sé, vedendolo attraversare la porta del locale.
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    Edited by ;thisisimbër - 25/2/2018, 13:44
     
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    Era tutto completamente buio, il silenzio regnava e tutto era tranquillo, si sentiva solo il suo respiro leggero che si confondeva nel caldo di quell’estate che era appena iniziata.
    Era lì vicino a quella finestra, fuori da quella che un tempo era stata casa sua. Stava guardando la felicità di due genitori con loro figlio, mangiare e ridere come se non ci fosse niente di più bello di stare con la propria famiglia.
    Sherman non aveva mai amato i suoi genitori adottivi, non perché gli avessero davvero fatto mancare qualcosa, i primi tempi forse li aveva anche amati, ma perché con il passare del tempo erano cambiati come era cambiato lui, non si era mai davvero legato a qualcuno già da bambino, odiava tutti e odiava anche loro.
    Sorrideva a quella vista, ma non sorrideva perché era bello vederlo, ma perché lo divertiva nel vedere la falsità di persone che ti erano sempre state vicino e poi ti rimpiazzavano come se fossi un vecchio mobile che stonava con il nuovo arredamento.
    Un coltellino, sangue, odore di morte nell’aria, grida di qualcuno che vorrebbe capire o almeno riparare agli errori commessi, ma sfortunatamente con Sherman non potevi permetterti di fare errori e loro lo avevano fatto, ne avevano fatti troppi.
    Un bambino, il suo respiro silenzioso in quella che una volta era la sua stanza, in quella che ora vedeva come estranea, tutto era diverso anche lui lo era.
    Una corsa contro il tempo e le lacrime, le prime dopo anni che gli solcavano il volto, era un assassino e piangeva non perché li aveva uccisi, ma perché sentiva dentro di se che gli era piaciuto. Non capiva ancora i dottori che cosa avessero creato, sicuramene un mostro, ma Sherman amava essere così, non aveva ucciso solo loro da allora, si divertiva a torturare e a volte uccidere per poi far scomparire le tracce ridendo perché la vista della morte lo accendeva.
    Sognava spesso quello che aveva fatto, la prima volta che si era macchiato di sangue le mani, sangue anche suo, si era svegliato ricoperto di sudore e con il cuore a mille perché i suoi genitori adottivi lo perseguitavano, ma amava il suo lato di se e amava sentire il sangue sulle dita di qualcuno che lo aveva tradito, che lo aveva fatto soffrire o soltanto che gli aveva bloccato il cammino. Amava essere un mostro, un demonio.

    Stava dondolando da una mezz’ora buona sulla sedia di camera sua con una bottiglia di vodka guardando un punto fisso, beveva e si dondolava in silenzio senza proferire parola o riflessione su quello che aveva letto.
    Perché si qualcosa lo stava facendo pensare, a cosa voi direte...
    Si stava vestendo dopo una doccia congelata che si era fatto dopo un lavoro sporco, aveva ovviamente torturato un uomo che gli aveva risposto male non rispondendo a una sua domanda gentile ed era bastato quello per farlo scattare e in poco si era ritrovato le nocche delle mani rosse, non lo aveva ucciso, ma ci era arrivato vicino, la rabbia lo accecava e non riusciva a vedere più niente solo lui e il sangue, quando all’improvviso un rumore e si girò guardando fuori dalla finestra, un fuoco finto stava volando lì fuori, era magia, un messaggio non aveva dubbi, ma la cosa che lo lasció un attimo perplesso fu pensare: di chi?
    Lui non aveva amici, almeno quelli di convenienza o quelli che obbedivano a lui costretti, ma non aveva nessuno che potesse cercarlo e poi a quell’ora della sera.
    Apri la finestra e la fiamma si trasformó in un piccolo pezzetto di carta con poche parole scritte sopra da una calligrafia femminile e alla fine un nome, Nicole.
    Si alzò dalla sedia su cui orami aveva fatto le radici e uscì senza pensarci buttando per terra la bottiglia ormai vuota, aveva deciso di andare, l’appuntamento era ai Tre Manici di Scopa e ovviamente lui era arrivato preciso davanti alla porta del locale nè un minuto prima nè un minuto dopo, lui era preciso come un orologio e non amava aspettare amava farsi aspettare magari.
    Entró e subito sentì odore di alcool ovunque e troppo caldo, il caldo era un odio profondo per lui, c’era troppa gente, ma lui continuava a camminare tra essi con passo lento e misurato guardandosi con discrezione intorno.
    Da lontano una ragazza bionda con un bicchiere di Acquaviola davanti a lei lo stava guardando.
    Finché non avesse visto non avrebbe potuto trarre conclusioni, quel nome stampato a lettere troppo piccole, ma curate gli aveva fatto venire in mente proprio lei, di Nicole ne aveva conosciuta solo una nella sua vita ed era stato proprio nei laboratori quando entrambi erano deboli e demoralizzati da quello che ormai era diventata la loro routine, parlavano, non tanto dato il silenzio di Sherman, si erano fatti forza e alcune volte si erano guardati in silenzio e basta, ma non pensava che lei o qualcuno dei lavoratori lo cercasse per un incontro.
    Sherman non si faceva mai troppe domande, viveva la giornata e così andò al suo tavolo facendo il suo solito sorrisino divertito.
    Ma guarda chi si rivede, Nicole quanto tempo disse spostando la sedia e sedendosi di fronte a lei non togliendosi il sorrisino dalla faccia, era una cosa che di solito faceva irritare tutti, lo faceva quando era divertito e sorpreso nel vedere qualcuno che pensava scomparso dal mondo.
    Appoggió la schiena alla sedia e alzò la mano per farsi portare un barbon con ghiaccio.
    Non si vedevano da qualche anno, dopo lo smantellamento del laboratorio dove erano entrambi nel 2014, si erano persi e per Sherman non fu mai davvero un dolore, avevano condiviso tanto, il dolore, la solitudine, la tristezza, la rabbia, ma nulla di più, se la ricordava diversa, era cambiata forse era più una donna e lo vedeva nel modo in cui stava seduta composta sulla sedia, in cui teneva le sue dita in modo leggero sul bicchiere di vetro davanti a lei, nel modo in cui aveva i capelli raccolti e aveva quell’aria sicura di qualcuno che era cresciuto.
    Devo ammettere che mi hai sorpreso e non mi sorprendo facilmente, questo tuo invito inaspettato...ti mancavo e volevi rivedermi o c’è un motivo preciso? disse vedendo arrivare il suo bicchiere e bevve un piccolo sorso per poi girare il dito sul bordo del bicchiere.
    Lo chiedeva perché pensava che le persone avessero sempre un altro motivo quando lo incontravano, avevano sempre domande da fargli o chiedevano aiuto a lui, non venivano mai per sapere di lui o per fare due chiacchiere, cosa che non avrebbe fatto conoscendosi, ma quella consapevolezza lo faceva avere poca fiducia e pensava sempre ci fosse un secondo fine, alla fine era un po’ quello che faceva lui per cui non poteva biasimare nessuno.
    Oh che cafone che sono, come te la passi cara? disse facendo uno dei suoi soliti sorrisi sporgendosi di più nel tavolo incrociando le dita aspettando una sua risposta dato che era davvero curioso di sapere il motivo di quell’incontro, ma dentro di se sapeva che anche lei come gli altri aveva un secondo fine.
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    Edited by Shadow_Black - 16/1/2018, 15:23
     
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    <p align="right">
    Il primo anno successivo allo smantellamento dei Laboratori fu quasi peggiore degli anni precedenti.
    Non solo si era ritrovata ad essere un mero involucro svuotato della propria essenza, le era anche diventato impossibile trovarsi nella stessa stanza assieme ad altre persone senza sentirsi travolgere dalla loro gioia, paura, tristezza, rabbia, o qualunque cosa loro stessero provando come fosse la propria.
    Con il tempo e con molto sforzo, era riuscita ad avere la meglio su quello che, alla fine, si era rivelato essere un potere.
    Aveva perso la propria magia, ma era diventata in grado di percepire le emozioni altrui e, all'evenienza, di avere un'influenza sul loro stato d'animo e sul loro modo di agire. Poteva persino assumere le sembianze di qualcuno con cui era entrato in contatto empatico, ma non aveva mai usato la cosa a proprio vantaggio.
    Con Sherman, non ebbe neppure bisogno di concentrarsi per accorgersi che qualcosa in lui era decisamente cambiato dall'ultima volta che si erano visti. Persino la sua espressione era differente, insieme a quel sorriso che aveva stampato in faccia ed alla strana luce che aveva negli occhi.
    Le tornò in mente la ragione per cui gli aveva chiesto di incontrarsi e si chiese, ancora una volta, se fosse stata una buona idea.
    «Sherman, ti trovo bene.» lo salutò, rivolgendogli un sorriso cordiale.
    Nell'incontrare i suoi occhi, per un attimo, la sua mente fu attraversata dal ricordo dei giorni passati insieme all'inferno. Un episodio, in particolare: il ragazzo, portato via per l'ennesimo esperimento, ed il proprio terrore di non vederlo più tornare o di essere la prossima.
    «Diciamo che ho solo intenzione di chiudere una volta per tutte con il passato, e quale miglior modo se non affrontarlo, non ti pare?» rispose, e quasi riuscì a convincere se stessa delle proprie parole.
    In verità, le sarebbe piaciuto essere in grado di farlo davvero, ma sapeva di non essere neanche lontanamente forte abbastanza per provarci. Già solo ricordare le metteva addosso una profonda angoscia.
    «Spero di non averti disturbato, piuttosto.» si scusò, bevendo un altro sorso della sua Acquaviola, osservando sottecchi il ragazzo.
    Era sua intenzione portare alla luce i propri dubbi circa la possibile colpevolezza di Sherman nel caso del proprio paziente, ma voleva prima tastare il terreno onde evitare di fare accuse al vento o, peggio, di innervosirlo.
    «Oh, me la cavo.» disse con una lieve alzata di spalle. «Non è facile andare avanti dopo... Lo sai.» gli rivolse un'occhiata eloquente, perché non era il caso di aggiungere altro, non in un posto tanto frequentato.
    Non sapeva se Sherman fosse un Esperimento Dichiarato o meno, ma aveva il sospetto che non lo fosse e, comunque, lei non lo era, per cui avrebbe fatto meglio a non far troppa pubblicità della cosa. «Ma ci sto provando.» concluse.
    «Tu invece? Che hai fatto negli ultimi tempi?» chiese discreta, guardandolo negli occhi per assicurarsi di infondergli abbastanza calma da non irritarlo con quelle domande e da non insospettirlo.
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    Sherman dai laboratori era una persona diversa, per prima cosa non aveva mani insanguinate e non era un assassino, era una persona silenziosa e questa dote in parte l’aveva continuata ad avere, non torturava nessuno per i suoi scopi e non era cattivo, all’epoca era solo arrabbiato con il mondo, era una persona totalmente cambiata e i laboratori avevano contribuito a ciò.
    Tutti i giorni per cinque lunghi anni a essere vittima di esperimenti dolorosissimi e non vedere mai la luce del sole neanche una volta era stato troppo anche per la sua mente, aveva iniziato ad avere attacchi di rabbia per un niente e non riusciva a controllarla, poteva ritrovarsi le mani insanguinate e non rendermene conto neanche.
    Aveva conosciute tante persone nei laboratori alcuni li aveva solo visti e rivisti, ma non ci aveva mai parlato, Nicole era una delle poche persone con cui aveva parlato e si era confidato, al ricordo ora si sarebbe messo a ridere, non si sarebbe mai confidato con nessuno adesso e non avrebbe fatto l’amico di nessuno, era proprio vero che era cambiato.
    Lei sembrava la stessa Nicole di allora, ma Sherman vedendola sapeva che non lo era, ovviamente non poteva esserlo i laboratori ti cambiavano anche se non volevi ed era inevitabile.
    Sherman aveva perso i suoi poteri da mago, ma in compenso aveva appreso il potere di generare acidi e veleni, poteva passare in posti strettissimi o non accessibili fisicamente all’uomo, poteva avvelenare bevande anche con lo sputo e cambiare forma in liquido che poteva essere velenoso o meno. Questo potere in alcuni casi lo usava a suo vantaggio, per passare inosservato o solo per uccidere qualcuno senza essere visto, magari stando dietro le quinte.
    Sentì le sue parole e appoggiò la sua schiena alla sedia facendo finta di pensare a cosa dire anche quando già sapeva benissimo cosa dire.
    Non si chiuderà mai con il passato, nessuno lo farà mai...sarà sempre come un’ombra, alla luce ti perseguiterà, di notte ti divorerà mescolandosi con la notte disse guardandola negli occhi, era una cosa che gli piaceva fare, non aveva paura di dire quello che pensava e gli piaceva guardare qualcuno senza staccare lo sguardo per fargli capire chi comandava o solo per incutergli terrore, non era quello il caso comunque.
    Quindi io sarei un passato che vuoi seppellire! disse non formulandola come una domanda, ma come un’affermazione, perché era quello che aveva fatto intendere. Poi comunque loro due non avevano mai avuto un rapporto intimo, erano stati compagni di cella e ne avevano passate tante, ma niente di più e per Sherman sarebbe sempre e solo rimasto quello.
    Mh...diciamo che potrei aver avuto di meglio da fare, ma ero curioso di questo incontro e ero curioso di vedere come eri cambiata dopo tanto tempo e devo dire che mi hai sorpreso disse sorseggiando il suo drink, ma non spiegando il perché.
    In realtà non aveva davvero avuto di meglio da fare ma non era il massimo dire che non aveva mai di meglio da fare apparte torturare qualcuno, uccidere o ubriacarsi in locali.
    È tutto un po’ una merda, ma per staccare la mente lavoro e addestro animali velenosi, la mia passione disse alzando l’angolo nella bocca come un mezzo sorriso, era sempre orgoglioso nel dire quello che faceva, amava quei piccoli esserini che gli assomigliavano tanto, avevano un grande potenziale e erano una bomba a orologeria un po’ come lui, si rivedeva in loro e amava vederli strisciare alla ricerca della preda e azzannarli pieni di veleno vedendoli soffrire fino all’ultimo respiro.
    All’improvviso scese dentro di lui una grande calma e sicurezza, non capiva il motivo e il perché, non stava facendo nulla per provocare ciò, ma si fermò un attimo pensando che era un sentimento che non provava da tempo, una calma che forse non aveva mai avuto, ma sapeva che non era sua, non era un sentimento reale e questo lo faceva sospettare, strinse leggermente il bicchiere che stava tenendo in mano, ma si ostinó a stare calmo perché Sherman faceva tutto a suo tempo.
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    <p align="right">
    «Lieta di non essere l'unica ad avercela a morte con il passato.» rispose con tono ironico, sollevando le sopracciglia alle parole del ragazzo e mostrando un lieve sorriso di circostanza. «Tuttavia mi spiace che tu la pensi così. Per quanto potrà sembrarti ottimistico da parte mia,» e si interruppe per bere un altro sorso della sua Acquaviola e darsi il tempo di mettere mentalmente in ordine le parole prima di buttarle fuori tutte d'un fiato. «credo che per tutti ci sia una speranza. O, quanto meno, faremo meglio a crederlo se non vogliamo sprofondare nella più cupa disperazione.»
    Sebbene si sentisse una specie di guru spirituale a pronunciare quelle parole, in fondo credeva davvero in quanto aveva detto. Se aveva scelto di essere una Psicomaga, se aveva scelto di entrare nella Resistenza come Dottore e di aiutare le persone, era perché pensava davvero di poter fare la differenza, che tutti potessero trovare la propria strada per la felicità con un pizzico di sostegno e di fortuna.
    E, nonostante considerasse se stessa un caso perso, in fondo nutriva delle speranze anche sulla propria di felicità.
    Squadrò Sherman con aria perplessa, chiedendosi come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento pensando tanto in negativo. Lei, probabilmente, si sarebbe arresa molto prima.
    «Oh, non proprio tu pose parecchia enfasi su quell'ultima parola, lasciandosi sfuggire una risata. «Ma è incontestabile il fatto che tu faccia parte di quel passato, nel bene o nel male.»
    In effetti, sebbene non potesse dire di aver stretto una particolare amicizia con nessuno nei Laboratori, lì dentro era facile costruirsi delle alleanze anche solo per non sprofondare nella solitudine. Sherman era uno di queste. O, meglio, Victor lo era. Lo Sherman degli ultimi tempi, molto simile a quello che aveva davanti, era diverso dall'uomo che era entrato nei Laboratori contemporaneamente a lei.
    «Sorpresa? Spero positivamente, allora.»
    Ancora concentrata sullo stato d'animo dell'altro, riuscì a percepirne il sospetto prima che questo raggiungesse il suo viso. Pur non eliminando completamente la calma che aveva cercato di infondere in Sherman, allentò appena la presa così che la cosa non gli sfuggisse di mano.
    «Animali velenosi? Sembra interessante.» disse con sincero trasporto. A quel punto, non le restava altro che approfondire l'argomento di cui desiderava parlare sin dall'inizio, nonostante non fosse sicura di come avrebbe fatto.
    «Ricordo che mi parlavi della tua famiglia adottiva di tanto in tanto. E' una cosa che abbiamo in comune, in fondo... Li hai più rivisti dopo lo Smantellamento?» chiese, cercando di mantenere i nervi saldi per quanto possibile. «Ovviamente non devi parlarmene se non vuoi, mi preme solo sapere come ti vadano le cose adesso.»
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    Nicole lo stava guardando e sapeva benissimo che non vedeva il ragazzo dei laboratori, ma una persona completamente diversa e irriconoscibile. Non erano stati solo i laboratori a cambiarlo, ma la vita al di fuori di essi, la delusione che era più forte di tutto. Certe volte pensava che se fosse rimasto lì dentro anche se avesse sofferto per sempre per le torture dei dottori non avrebbe visto quello che aveva visto e magari sarebbe rimasto con la speranza che loro lo stavano cercando o che soffrivano la sua scomparsa, magari vivere nell’oscurità delle cose era meglio che sapere.
    Io la penso in modo diverso, sprofondi nella disperazione quando la tua speranza va a frantumarsi, fidati non avere troppa speranza perché sarà quella a distruggerti disse bevendo un’altro sorso del suo drink e sospirare.
    Per lui ogni cosa era negativa, anche le cose più belle della via le trasformava in qualcosa di negativo e ti faceva passare la voglia di conversare con lui perché non vedeva bellezza in niente e in nessuno.
    Nicole disse che non era proprio LUI la causa, ma era comunque parte del suo passato e tra i due Sherman si ricordava bene che lei era quella che aveva sempre avuto molto bisogno di lui nei laboratori, era meno forte di adesso almeno per quello che si ricordava, ma ugualmente non l’aveva mai lasciato solo e si era sempre preoccupata per lui quando lo vedeva sparire dietro le porte maledette dei laboratori. C’era sempre la possibilità di non sopravvivere e che qualcosa andasse storto e così di non tornare più, entrambi lo sapevano all'epoca e ogni attimo era prezioso.
    Sherman portava rispetto a chi gli aveva portato rispetto in passato e che continuava a farlo, non avrebbe mai fatto del male a quella persona e sarebbe stato pronto ad aiutarla, non significava essere amici, ma alleati.
    Nicole per questo era nella categoria scritta sopra, era sempre stata buona con lui, gentile e l’aveva sempre aiutato nei momenti bui e lui aveva come poteva aiutato lei confortandola, quei tempi erano passati e Sherman era cambiato troppo, ma non si dimenticava di chi gli aveva fatto del bene.
    Ovvio mia cara, in positivo disse sorridendo per poi ascoltare le sue parole sugli animali velenosi.
    Si è l’unica cosa che mi piaccia davvero, amo ogni essere velenoso che striscia e che mi faccia ricordare la mia Hel, era un serpente, la cosa più importante per me disse con un moto di malinconia, ma si riscosse subito per parlare di altro dato che non era bello parlare di quelle cose per lui era sempre molto triste e lui si rattristita davvero di pochissime cose.
    Poi la magia che si era creata andò a svanire in una sola frase di Nicole, voleva sapere se avesse rivisto la sua famiglia adottiva dato che ne parlavano nei laboratori ricordandoli.
    Anche Nicole era stata adottata quando era piccola e infatti avevano avuto da subito in comune quella cosa e si erano avvicinati perché erano simili e si capivano, all’epoca parlare dei suoi genitori adottivi era normale, aveva rabbia per come negli ultimi tempi lo avevano trattato, ma era riuscito a perdonarli alla fine e li ricordava dicendo che erano sempre state brave persone nonostante il suo carattere molto vivace sin da subito, ma ora si era tramontato in vero odio anche solo ricordarli, ma con un sorriso sulle labbra perché li aveva uccisi e non c’era stata gioia più grande per lui.
    Non subito, prima per qualche mese cercai di sistemarmi in modo da sopravvivere e cercai un lavoretto che mi permettessi di andare avanti, poi si li incontrai e fu una grande gioia disse facendo un largo e grande sorriso, non avrebbe mai detto che li aveva uccisi anche se lei ci era sempre stata per lui, ma non poteva sapere come avrebbe reagito e se non avrebbe fatto la spia perché di quello si trattava, poteva andare in carcere e rimanerci a vita e lo aveva evitato per tanto e non sarebbe arrivata lei a distruggere la sua vita più di quanto già non lo era.
    Poi a lei non doveva importare, non sapeva molto di lui e idem lui di lei quindi non era tenuto a dirlo.
    Tu invece? Li hai mai rivisti? e si sono dimenticati di te? volle dire anche quello, ma non poteva perché se no avrebbe fatto domande e non poteva rischiare di far sapere.
    Quindi bella Nicole ti interessa di me? Mh..non mi hai mai detto che provi dei sentimenti per me ok Sherman si divertiva a far arrossire o mettere in difficoltá qualcuno con false accuse, non era innamorata di lui e si vedeva, ma lui si divertiva ugualmente, non avrebbe mai voluto che lei o qualcun’altra si innamorasse di lui perché o l’avrebbe uccisa o avrebbe fatto sparire le sue tracce per sempre.
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    Le parole di Sherman la colpirono, la fecero momentaneamente dubitare di tutto quell'ottimismo che si ostinava a palesare negli ultimi anni, poi però si ricordo di una cosa: se non si fosse aggrappata a quella speranza, cos'altro l'avrebbe tenuta in piedi? E fu a quel punto che i suoi dubbi sul ragazzo che aveva davanti divennero ancor di più delle certezze. Solo qualcuno senza niente a cui aggrapparsi avrebbe potuto compiere un gesto come l'assassinio dei propri genitori, seppure non di sangue.
    Non rispose dunque a quell'affermazione, si limitò ad annuire con un cenno del capo, intrecciando le mani davanti al viso con fare pensoso.
    Gli rivolse un sorriso, poi, nel sentir confermare che le impressioni su di lei erano state positive, per quanto la cosa potesse effettivamente essere rilevante dinanzi a quella situazione.
    Lo ascoltò parlare della propria passione con la mente da tutt'altra parte.
    Questo era il punto della situazione: con tutta probabilità, Sherman aveva commesso un crimine (e forse non solo uno, ma questo lei non poteva saperlo) e lei poteva non solo esserne a conoscenza, ma avrebbe anche potuto avere un peso giudiziario qualora il suo paziente fosse riuscito finalmente ad aprirsi e dunque a rivelare le informazioni che solo a lei si era deciso a confidare fino a quel momento.
    Se avesse tenuto la cosa per se, Sherman si sarebbe presto trovato nei guai. Se non lo avesse fatto, invece, sarebbe diventata complice di un assassino ed avrebbe messo nei guai un bambino.
    Oppure, ultima opzione, poteva provare a far ragionare Sherman, cosa piuttosto difficile dal momento che i due non si erano incontrati per troppo tempo per poter prevedere l'uno le mosse dell'altro.
    Ma Sherman era stato suo compagno quando tutto era crollato attorno a lei ed aveva reso l'inferno un posto meno brutto, o almeno ci aveva provato, e questo non poteva dimenticarlo.
    «Oh, cos...Io?» distratta com'era, la domanda del ragazzo la riportò nel mondo reale in maniera tanto brusca quanto confusa. «No, i miei... Sono morti.» asserì, sbattendo un paio di volte le palpebre per scacciare il velo di tristezza che calava sul suo viso ogni volta che parlava dei suoi genitori adottivi. Sì, le mancavano, e parecchio. Loro avrebbero saputo consigliarle al meglio. «Erano piuttosto avanti con l'età e, sai... E' passato tanto tempo, comunque.» aggiunse, quasi a volersi giustificare o a non voler suscitare pietà, sebbene dubitava che ce ne fosse il rischio con Sherman.
    Alle successive parole del ragazzo, rischiò seriamente di affogarsi con l'ultimo sorso di Acquaviola.
    «Narcisista.» scherzò sulla cosa, alzando le sopracciglia con fare critico. «Si può anche bere qualcosa in compagnia di qualcuno senza volergli necessariamente saltare addosso, sai?»
    Certo, non che lui fosse un brutto ragazzo o che non avesse quel fascino misterioso che a lei, in genere, piaceva da impazzire... Ma no.
    Serietà, s'impose; non era decisamente il caso di farsi strane idee.
    «Però sì, non hai tutti i torti. C'è un'altra ragione per cui volevo incontrarti.» tagliò corto, accorgendosi che, continuando a conversare amabilmente come stava facendo, avrebbe solo complicato le cose. «Ma devi promettermi che starai ad ascoltarmi, che non darai di matto e che non commetterai sciocchezze.» pronunciò quell'ultima frase sottovoce, allungandosi un po' verso il suo interlocutore per farsi sentire.
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    Alle sue parole precedenti sul non dover avere speranza perché era quella a distruggerti, la vide un attimo in silenzio vacillare sulle sue stesse convinzioni, Sherman fece solo un lieve sorriso che non avrebbe notato.
    Era felice se qualcuno si accorgeva che aveva ragione (quando non ce l’aveva #wat), a lui non importava se erano d’accordo o meno con il suo parere, quello che pensava sarebbe rimasto uguale e nessuno gli avrebbe mai fatto cambiare idea.
    Rimase in silenzio alle parole di Nicole sui suoi genitori adottivi, erano morti perché erano in là con l’età e non ce l’avevano fatta, la osservó per qualche istante vedendo i suoi occhi velati da tristezza, ma lui davvero non riusciva a capire.
    Forse lei era stata fortunata e aveva avuto due genitori che l’avevano amata fino alla fine e lei si era affezionata talmente tanto che ora stava male e sentiva un vuoto nel petto.
    Ecco cosa significa amare e essere amati, distruggersi pensò tamburellando le sue dita affusolate sul bicchiere ormai vuoto di un drink che non gli aveva fatto nessun effetto.
    Ecco perché Sherman non si legava e non si affezionava a nessuno perché significava essere deboli e vilnerabili e lui aveva sofferto troppo per permetterselo.
    Non riusciva neanche a dire le fatidiche parole che dicevano tutti, “mi dispiace”, non ci riusciva perché alla fine non gli dispiaceva davvero, era una persona di merda e lo sapeva benissimo, ma non poteva dire qualcosa che non pensava.
    Si limitò a dire un Capisco flebile per poi bere tutto in un sorso il suo drink e sentire bruciare la gola e lo stomaco subito dopo.
    A pensarci bene forse lui adesso avrebbe sperato che fossero morti quando quel giorno era andato a cercarli perché sarebbe stato più semplice, avrebbe sprecato meno tempo e forze nel farlo lui.
    Rise vedendo che Nicole alle sue ultime parole si era quasi strozzata con la sua Acquaviola, quindi mi stai dicendo che non vorresti saltarmi addosso? Mh... fece finta di pensare per poi alzare le spalle e lasciare quell’argomento fuori luogo e un po’ stupido dato che alla fine nessuno era attratto da nessuno.
    Tu invece che fai per vivere? le chiese dato che non glielo aveva chiesto e dato che lui glielo aveva detto poco prima.
    Il locale si stava riempiendo sempre di più e il caldo stava diventando insopportabile tanto da togliersi la giacca di pelle nera che aveva ancora addosso per posizionarla nello schienale della sedia dietro di lui rimanendo con una maglietta a maniche corte anch’essa ovviamente nera.
    Poi ecco che le cose si facevano più interessanti, avrebbe scoperto il perché di quell’incontro perché non ci aveva creduto al fatto di bersi una cosa insieme dopo tanto tempo e che erano amici, lo erano? Nah Sherman non ne aveva e non li voleva.
    Si avvicinò a lei di poco sporgendosi sul tavolo intrecciando davanti a se le dita guardandola attentamente ascoltando le seguenti parole.
    Chissà che cosa era di così tanto importante da dirgli quelle cose come per avvisarlo, cara non prometto mai niente se so poi che non lo manterrò e non sono sicuro di poter davvero stare buono e fare quello che hai detto, dipende da quello che mi dirai, ma ci proverò se questo ti consola disse rimanendo serio aspettando che dicesse la verità del loro incontro e si sentiva che non gli sarebbe piaciuto.
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    Le sue mani tremavano appena, così le strinse una all'altra per darsi un po' di coraggio.
    Avrebbe potuto scegliere di non fare niente, di continuare il proprio lavoro come se a esserne implicato non fosse qualcuno che conosceva, oppure poteva far richiesta perché il paziente venisse affidato a qualcun altro... Eppure, anche scegliere di non scegliere avrebbe avuto delle conseguenze.
    Ci era dentro sin dal momento in cui aveva sentito pronunciare il nome di Victor a quel bambino spaventato, non poteva negarlo.
    «Quello che faccio riguarda proprio la ragione per cui siamo qui.» affermò, dopo un attimo di esitazione.
    Aveva pensato di non rivelargli la propria professione, magari parlando del San Mungo in maniera generica o sviando completamente il discorso, ma sarebbe stato stupido: se Sherman avesse voluto, non ci avrebbe messo niente a scoprire che Nicole era una Psicomaga ed a quel punto non si sarebbe più fidato di lei, non dopo una menzogna.
    Le sue parole non la consolarono affatto, ma provò a mantenere i nervi saldi. Non avrebbe più avuto alcun senso tirarsi indietro a quel punto, avrebbe solo finito per ritenersi una debole. E lei, malgrado tutto, non lo era.
    «Dunque, premessa:» cominciò, sistemandosi meglio sulla sedia e rizzando le spalle con fare sicuro. «lungi da me ficcare il naso nelle tue faccende personali. Ho già i miei problemi.» mise una certa enfasi nell'ultima frase, pronunciata non senza un pizzico d'ironia. In effetti, pareva avere una spiccata predisposizione a cacciarsi nei guai.
    «Ma—credo ci sia stato un tempo in cui siamo stati amici, tu ed io. Potrai anche pensare che sia stata dettata unicamente dallo spirito di sopravvivenza vista la nostra comune condizione, però io...» ...ci ho creduto davvero. avrebbe aggiunto, se solo quell'orribile nodo allo stomaco ogni volta non le impedisse di esprimere agli altri ciò che provava, di dimostrar loro quanto ci tenesse.
    «D'accordo, andiamo al punto.» tagliò corto, prendendo un bel respiro. «Non so in che guai tu ti sia cacciato, ma scommetto che l'incontro con i tuoi genitori adottivi non sia stato tutto così gioia e confetti come mi hai detto prima.» la sua voce, ormai, era appena un sibilo, timorosa che qualcuno potesse sentirli.
    «Il problema, ovviamente, non è ciò che penso io comunque. E' che la cosa potrebbe venire alla luce presto o tardi. Anzi, più presto che tardi, te lo assicuro.» tornò a parlare con tranquillità, quasi con finta noncuranza. «Se ti interessa, io posso aiutarti, ma ho bisogno di capirne di più. A te la scelta.»



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    Edited by ;thisisimbër - 25/2/2018, 13:45
     
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    Era tutto molto noioso, le persone lo erano, Sherman si stancava facilmente di tutto e di tutti e lo ritrovavi pochi minuti dopo già con un altro divertimento perché in qualche modo doveva passare la noia che aveva. Non ricordava nessuno che lo avesse davvero preso senza farlo stancare o annoiare, per lui tutto era bianco e nero, non c’era niente che colorava la sua vita.
    Anche quel giorno era annoiato fino a quando Nicole gli aveva chiesto di incontrarsi lo era, non che la conversazione che avevano avuto fosse stata divertente o che lo avesse annoiato di meno, ma così facendo aveva spesso di pensare e si era concentrato su altro, ora era attento, seduto composto sulla sedia con le mani davanti a se intrecciate in modo morbido, le labbra dischiuse che facevano passare un filo di aria, il giusto per entrare nei polmoni e farlo sembrare come se non stesse respirando, come se niente potesse scalfirlo o ferirlo o addirittura come se lui fosse immortale, gli sarebbe piaciuta l’immortalità tanti dicevano che era una maledizione e che la odiavano, ma se fosse successo a Sherman lo avrebbe preso come un dono, vedere invecchiare tutti e lui rimanere sempre bello e giovane, essere veloce e forte, sentire tutto e essere ovunque, Sherman amava il potere e l’essere superiore agli altri e poi non aveva nessuno da perdere perché morire e non esistere più se invece si poteva vivere per sempre e essere persone diverse con vite diverse ogni millennio, ma questi erano solo pensieri.
    Gli occhi immobili a scrutare Nicole, l’unica figura che il suo campo visivo in quel momento gli faceva vedere, l’unica che in quel momento voleva vedere perché le cose si stavano facendo interessanti.
    Inizió a parlare incitata dal suo sguardo indagatore e lo fece un po’ insicura come se in quel momento tutta la sua sicurezza che aveva ostentato ad avere stesse scivolando via dal suo corpo lasciandola sola, aveva paura e si vedeva nel modo in cui le mani erano strette davanti a lei come per proteggersi come se con quel gesto potesse creare uno scudo tra lei e il mondo, nel modo in cui le sue labbra un po’ tremavano e i suoi occhi cercavano di scappare e di non incontrare quelli di lui. Aveva paura di quello che stava per dire o forse aveva paura di come avrebbe agito Sherman e lui lo vedeva lo percepiva nell’aria intorno a loro.
    Lei lo aveva sempre ritenuto un amico, un buon amico sin da quando erano nei laboratori insieme a farsi forza cercando di non crollare sotto il peso di quell’inferno, anche per Sherman era stato così, ma ora era diverso, lui lo era.
    Era così Nicole anche per me, eravamo compagni, amici e ci siamo sostenuti per cercare di non crollare, ma questo era prima, era il passato, eravamo deboli,stanchi ma soprattutto eravamo soli e la solitudine ti fa credere di aver bisogno di qualcuno ti da l’illusione di pensare che senza quella persona saresti perso e che non ce la faresti e te lo fa credere fino a quando non realizzi che era stato solo un momento di debolezza e che non era mai esistito disse piano in modo lento per farle capire che la solitudine non ti faceva pensare in modo lucido, poi aggiunse, so cosa stai pensando che per te è stato diverso, che per te l’amicizia c’era veramente e che continui a vederla tale, ma se era davvero così perché mi hai cercato solo ora dopo quasi due anni? Se eravamo amici mi avresti cercato prima, magari dopo che il primo laboratorio era stato smantellato, ma hai aspettato entrando in scena solo adesso, perché? l’impressione che poteva dare in quel momento era arrabbiata, ma non lo era, Sherman non si arrabbiava mai, era solo un calcolatore maniaco del controllo e del sapere perché sapeva e presto lo avrebbe confermato.
    Poi dopo il suo “sfogo” per come uno lo vuole chiamare ecco la ciliegina sulla torta che aveva fatto capire tutto in un attimo a Sherman che strinse leggermente le mani davanti a se, ma non si mosse.
    Lei sapeva che cosa era successo alla sua famiglia adottiva, che li aveva uccisi lui con le sue mani e non aveva avuto da quel momento neanche un rimorso, ma la domanda era una e premeva nella mente di Sherman, come fa a sapere? Chi è Nicole Rivera?
    Si permise qualche attimo prima di parlare perché la sorpresa era palese, ma anche la scoperta di una nuova Nicole.
    Mh... disse solo facendo un largo sorriso per poi passarsi un dito gelido tra le labbra sorridenti e anch’esse fredde come il ghiaccio per poi scoppiare a ridere di gusto, non c’era niente da ridere in realtà perché era stato scoperto e solo lei sapeva come, poteva essere in pericolo anzi lo era dato che glielo aveva fatto capire.
    Mi hai sorpreso le tue doti da detective mi stupiscono, la dolce e innocente Nicole ha capito il mistero, chi lo avrebbe mai detto dicendo questo si alzò veloce da dove era seduto, ascoltò le ultime parole di lei e rise di nuovo come se non ci fosse qualcosa di più divertente.
    Tu aiutare me? Non ho bisogno di aiuto piuttosto dimmi come lo hai capito, dimmi come hai fatto perché sono davvero curioso, oh no non dirmelo, qualcun’altro te lo ha detto, qualcuno che poteva sapere e mi domando chi sia.. disse guardandola per poi prendere la giacca e farle cenno di seguirlo, troppa gente stava arrivando e il caldo stava iniziando a chiudergli la gola.
    Si voltò dandole le spalle e aprendo la porta del bar non prima di aver messo i soldi sul tavolo per entrambi uscendo nell’aria fretta di quella notte, fece un grande respiro per far entrare più aria nei polmoni e si accese una sigaretta velocemente, lo faceva quando era nervoso e non era un buon segno.
    Tirò fuori una bella nuvola di fumo e la guardò vedendola sparire nel nulla subito dopo, sentì la porta aprirsi e si girò vedendo una piccola Nicole stretta nel suo giacchetto che lo guardava in silenzio.
    Chi è Nicole Rivera in realtà? Questa è la domanda che ti faccio, mi aspetto la verità disse appoggiandosi poi al muro del locale continuando a fumare aspettandosi una risposta convincente e sincera.
    Non ne ero sicuro finché non ne avessi avuto la prova, ma tu non sei tanto diversa dagli altri, non inventarmi la storiella degli amichetti dei laboratori mi hai cercato per un tuo tornaconto e non perché siamo amici o magari per smascherarmi e farmi rinchiudere, vedi che alla fine avevo ragione a non fidarmi di nessuno? Mi hai chiamato questa sera per una ragione, per uno scopo, non per vedermi e berci qualcosa in onore ai vecchi tempi, come avresti intenzione di aiutarmi mh? Cosa dovresti capire è così ovvio disse con voce tranquilla, ma allo stesso tempo stressata, staccandosi dal muro andando vicino a lei a pochi passi dal suo volto poteva sentire il suo respiro caldo sulla pelle e il suo profumo che avrebbe riconosciuto ovunque, si avvicinò al suo orecchio e disse le ultime parole in un fiato lo Sherman che conoscevi non esiste più è morto in quella casa quella notte quando ha guardato i suoi genitori dormire e per un attimo ha esitato, poi lo Sherman di adesso li ha trapassati da parte a parte sorridendo nel vederli soffrire, lascia che i segreti rimangano tali
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    "Ma se era davvero così perché mi hai cercato solo ora dopo quasi due anni?"
    Quelle parole le fecero male, parecchio. La colpirono proprio lì, in quell'angolino già scalfito del suo cuore in cui racchiudeva tutta la delusione e, a tratti, persino la repulsione che aveva verso sé stessa.
    Prima dei Laboratori, persino ai tempi dell'orfanotrofio, si considerava una persona forte, caparbia, coraggiosa. Poi quella sfida era facilmente riuscita a buttarla giù, l'aveva privata di tutta la forza che credeva di possedere e l'aveva svuotata completamente. Non era riuscita a rialzarsi subito e, quando lo aveva fatto, era ormai troppo tardi per riprendere le redini di quella che era stata la sua vecchia vita. Aveva deciso di ricominciare non accettando il passato, solo chiudendolo in un ripostiglio così che non potesse più nuocerle.
    Non aveva più cercato nessuno né era riuscita a creare nuovi legami e, sebbene facesse di tutto per non darlo a vedere, era rimasta lì, in quel limbo tra il sopravvivere ed il desiderio di essere morta.
    Non poté rispondere a quella domanda, non ci riuscì. Rimase in silenzio, concentrando il proprio potere unicamente per non esplodere, per cercare di infondersi quella tranquillità che, ahimé, aveva perso.
    Riprese a parlare solo per spiegare a Sherman il reale motivo per cui aveva chiesto quell'incontro e, una volta fatto, le parole dell'altro le confermarono quanto già sapeva. Non ne rimase stupita dunque, ma provò a immaginare con quale stato d'animo il suo vecchio compagno di sventura si fosse introdotto in casa della sua vecchia famiglia con l'intento di ucciderli. Faticò a farlo, perché lei aveva voluto bene ai suoi genitori più che a chiunque altro al mondo, ma ci riuscì perché sapeva quanto i Laboratori potessero cambiare una persona. Non poteva giustificarlo, ma poteva comprenderlo.
    Lo seguì all'esterno del locale in silenzio, non pensando neanche per un attimo al fatto che lasciare un posto affollato potesse metterla in una situazione di svantaggio qualora Sherman avesse reagito male alle sue affermazioni. In qualche modo, continuava a fidarsi di quello che ormai per lei non era che uno sconosciuto. Non riusciva proprio a sentirlo così.
    Ed eccolo, colpire ancora una volta su quello stesso punto dolente, farlo con rabbia, con piacere quasi. Nessuno lo aveva mai fatto.
    Nonostante Nicole provasse un profondo senso di colpa per tutti quelli che aveva abbandonato, nessuno si era mai davvero arrabbiato con lei, nessuno le aveva mai sputato in faccia la verità come Sherman stava invece facendo.
    «Se io avessi avuto un reale tornaconto in tutta questa faccenda» cominciò a denti stretti, cercando disperatamente di mantenere la concentrazione sul proprio potere e, dunque, su ciò che lei stessa provava. «non sarei certo venuta qui a dirtelo, ti sembro forse una sciocca? Lo avrebbe già saputo chi di dovere e tu, adesso, saresti stato in guai ben più grossi dei tuoi stupidi problemi di fiducia con il mondo.» sputò fuori quelle parole con una rabbia che non sapeva neppure di avere. Verso chi, poi, era un mistero. Verso la sua vita ormai a rotoli, verso i Ribelli Estremisti per ciò che le avevano fatto, verso i suoi genitori che erano morti prima di poterle essere vicini nel momento del reale bisogno, verso Sherman con quella sua schiettezza crudele, verso se stessa.
    «Se non ti ho cercato prima è perché anche io ho avuto i miei problemi dopo quello si fermò dal nominare i Laboratori, non era il caso che qualcuno sentisse. «Non sarò andata in giro a fare la vendicatrice degli oppressi, ma se non ho mantenuto i contatti con nessuno è perché non /potevo/ farlo. Anch'io sono cambiata, Sherman.»
    E, visto che ormai il danno era fatto, usò il proprio potere per assumere, solo per un istante, l'aspetto di Sherman. Poteva farlo, era già entrata in contatto empatico con lui, dunque era in grado di replicarne le sembianze.
    «Ci vuole un bel po' per gestire le voci nella testa, credo che tu ne sappia qualcosa.» sussurrò, avvicinandosi a lui di un passo, per poi ritrarsi di nuovo.
    «Ti ho cercato anche perché mi dispiace di essere sparita. Forse, se ci fossimo fatti forza a vicenda, le cose sarebbero andate diversamente. Ormai, comunque, è tardi per scoprirlo. Il danno è fatto.» il suo tono di voce si fece nuovamente normale. «Giusto per chiarirci, non sono felice di ciò che hai fatto né tanto meno lo condivido, ma credo di poter intuire le tue ragioni. Fra l'altro, non ho alcun diritto di dirti cosa devi o non devi fare ma, se posso evitare che tu ti faccia male, sono lieta di farlo. Potresti anche risolvertela da solo, non lo metto in dubbio, ma i tuoi metodi fino ad ora non mi sono sembrati particolarmente ortodossi, correggimi se sbaglio.»
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    Edited by ;thisisimbër - 25/2/2018, 20:18
     
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    Il fumo della sigaretta saliva lento in aria a pochi metri da lui per poi svanire lasciando solo odore di tabacco bruciato, le dita erano morbide attorno alla sigaretta che lasciava bruciare e inspirava facendo entrare tutto nei polmoni per poi rilasciare un fumo che si espandeva e da bianco divenatava nulla.
    Guardava Nicole che era davanti a lei a pochi passi, era stretta nel suo giacchetto che non copriva moltissimo e non faceva troppo caldo sicuramente, era delusa, triste, arrabbiata il suo volto faceva vedere tante emozioni in una volta sola, sapeva che cosa aveva scatenato tutto ciò, ma perché mentire? Perché dire cose che non pensava solo per farla stare bene? Non lo aveva cercato e per lui l’assenza valeva più di tante parole. Non credeva più a niente e a nessuno, non credeva che qualcuno potesse anche solo volergli bene, perché avrebbero dovuto? Lui non aveva amici, non voleva legami e non voleva nessuno che si preoccupasse per lui, voleva vivere da solo, con la solitudine che era molto meglio, aveva avuto alleati, compagni, ma la parola amicizia per lui era troppo espansiva.
    Quando parlò era calma apparentemente, ma parlava a denti stretti per cercare di mantenere la calma o magari per non scoppiare del tutto da tutte le cose che aveva dentro, sputò quelle parole come veleno forse come una falsa minaccia che rimase a vuoto per qualche istante nell’aria fluttuando intorno a loro.
    Rimase in silenzio e di solito quando rimaneva in silenzio tutti iniziavano ad avere paura, perché il silenzio poteva dire solo una cosa, guerra e sangue, ma non quella volta, non avrebbe mai alzato un dito a Nicole, ma non perché la conosceva, ma perché alle donne non si permetteva neanche, ok che era un mostro, ma non fino a quel punto, le donne le rispettava, a modo suo..
    Mh e quindi il tuo ruolo in tutto questo quale sarebbe? Fai parte della polizia per caso? chiese non riuscendo davvero a capire che lavoro facesse e come faceva a sapere di lui e della sua storia che non sapeva nessuno, voleva saperlo, doveva perché era in pericoloso e se fosse stato necessario sarebbe scappato e se ne sarebbe andato da Londra, non poteva rischiare di finire rinchiuso in un posto che assomigliava troppo ai laboratori dove per anni aveva cercato di scappare, sarebbe stata un’altra tortura.
    Nicole...non ho fiducia in niente e in nessuno e non voglio averla perché fidarti di qualcuno significa tenerci, tenerci significa volere bene e tutto questo significa che uno è vulnerabile e debole e io non lo sono disse soltanto per poi finire la sigaretta e buttarla a terra lasciandola morire da sola.
    Non mi aspettavo che tu mi cercassi e non l’ho neanche chiesto, credo invece che tutti noi siamo cambiati in un modo o in un’altro, queste cose non possono non segnarti disse pensando a quanto i laboratori avevano cambiato lui, aveva perso il potere di poter usare la bacchetta, ma ne aveva acquistato un’altro che per lui era di gran lunga migliore.
    Poi successe tutto troppo in fretta per poterlo davvero capire subito, al posto della dolce e ingenua Nicole si ritrovò davanti un uomo, alto, grosso e con uno sguardo serio, era lui in carne e ossa poi tornò Nicole che lo guardava aspettandosi forse una sua parola.
    Cosa era appena successo?
    Oh questo è interessante, ho capito ancora di più quanto io sia figo disse facendo una risata divertita scuotendo la testa perché i laboratori non avevano cambiato solo lui in modo irreparabile, ma anche lei e chissà quanti altri, fino a quel momento aveva pensato che era l’unico, ma ora riusciva a capire tante cose.
    I dottori non solo a te ti hanno fatto questo, anche a me come a molti altri sicuramente, è un dono disse per poi subito dopo trasformarsi in liquido velenoso al suolo e prendere vita spostandosi dove voleva e entrando in una fessura del muro per poi tornare se stesso una volta uscito.
    Poteva essere ovunque non si potesse fisicamente accedere e poteva avvelenare chiunque anche solo con lo sputo.
    La vide avvicinarsi a lui per poi tornare indietro e dite le sue ultime parole prima di sprofondare nel silenzio più assoluto, si era stancato di stare lì fermo a prendere freddo, voleva fare una camminata.
    Non mi serve compassione o qualcuno che mi dica cosa fare, se faccio delle cose è perché le voglio fare e se l’ho fatto è perché volevo che loro morissero, ho ucciso ancora Nicole e lo farò ancora, non sono lo Sherman che conoscevi per niente, fidati dimenticati di me e se sei davvero mia amica come hai detto lascia che non lo venghino a sapere e che le cose seguino il suo corso in quell’istante pensó a quel bambino che aveva risparmiato quella notte, l’unica persona che poteva uccidere e che non lo aveva fatto, non aveva avuto pietà, ma semplicemente non era stata colpa sua in parte, anche se lo odiava ugualmente perché lui aveva avuto tutto quello che lui nella sua infanzia non aveva avuto, Sherman era lo stupido che non meritava nulla e lui invece era perfetto e meritava ogni cosa, alcune volte ci pensava e si chiedeva che cosa faceva e se avesse superato il tutto oppure era rimasto scosso talmente tanto da avere problemi seri.
    Dato che i miei metodi nel risolvere le cose non vanno bene come dovrei fare? Come potresti aiutarmi tu? Sentiamo disse poi volendo davvero ascoltare la sua idea di “salvarlo” o “aiutarlo”, lui non voleva l’aiuto di nessuno se non il proprio, ma forse un’idea diversa dalla sua poteva farlo pensare.
    Poi iniziò a incamminarsi aspettando una sua risposta lontano da quel posto perché stare fermo era una delle tante cose che odiava, vieni, allontaniamoci, almeno il freddo si sentirà di meno camminando disse mettendosi le mani nelle tasche e aspettandosi di intravedere una testa bionda di fianco a lui.
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    «Seh, la polizia.» rispose ironica, alzando gli occhi al cielo. Forse in un universo parallelo in cui lei era stupida ed i suoi ideali si limitavano ad avere sempre i capelli in ordine ed i vestiti coordinati, sì, ma nel mondo in cui viveva avrebbe potuto mai essere parte di una qualunque organizzazione al soldo del governo e, quindi dei, Mangiamorte? No, mai.
    Neanche prima dei Laboratori, nemmeno prima che le torture avessero spinto il suo cervello a ricordare la Storia prima dell'Oblivion, mai era stata particolarmente felice dell'ambiente sociale che invece gran parte della gente sembrava accettare con passività. Poi la Resistenza le aveva definitivamente aperto gli occhi, ed a quel punto aveva scelto da che parte stare.
    Purtroppo però, o per fortuna, non poteva dir niente di tutto quello a Sherman, così si limitò a scuotere il capo in segno di diniego e ad ascoltarlo in silenzio.
    Trovava quasi affascinante il modo in cui il ragazzo continuava a nascondere le proprie insicurezze dietro quel gelido velo di indifferenza che si ostinava a mostrare, non poteva fare a meno di chiedersi se quel suo modo di essere fosse sempre stato dentro di lui, in attesa di fuoriuscire, o se i Laboratori lo avessero reso così. Avrebbe tanto voluto aiutarlo, era il suo mestiere in fondo, ma sapeva quanto difficile sarebbe stato anche solo far sì che lui accettasse. Era testardo ed orgoglioso, questo ormai lo aveva capito.
    «Non illuderti Parker, sembrava così figo perché era fatto da me.» scherzò, abbozzando un sorriso. La sua precedente sfuriata l'aveva paradossalmente calmata, probabilmente perché si era finalmente sfogata come non aveva mai fatto negli ultimi anni.
    «Un dono... Beh, se vuoi chiamarlo così.» alzò lievemente le spalle, piuttosto dubbiosa di quella definizione. «Non so esattamente cosa abbiano fatto a te, ma posso assicurarti che per me non lo è. Adesso non dico che non mi sia utile, ma... Avrebbero anche potuto chiedere la mia opinione prima di farlo.» ancora una volta il suo tono era tutt'altro che serio, ma in effetti non riusciva proprio apprezzare quell'unico potere che le era rimasto. La sua vecchia bacchetta le piaceva, ed aveva studiato duramente per imparare ad usarla... Tutto inutile.
    Ciò che fece Sherman in seguito la lasciò di stucco. Avrebbe dovuto immaginare che anche a lui fosse rimasto qualcosa dei Laboratori, ma quello era a dir poco sorprendente. «Notevole.» commentò in un sussurro.
    Non aveva ucciso solo i suoi genitori dunque e, sebbene lo immaginasse già, la cosa la preoccupò ancora di più. Forse non c'era davvero niente che potesse fare per lui. Scacciò via quel pensiero nello stesso istante in cui si formò nella sua mente: c'era speranza, voleva crederci.
    «Sì, sarà meglio trovare un altro posto.»
    Lo seguì, coprendosi meglio che poteva con la giacca, scoprendo che, a parte il freddo, non c'era più niente a turbarla. Avrebbe dovuto avere paura, sì, ma non ne aveva neanche un po'.
    «Come avrai intuito» cominciò, allontanatisi dal locale. «qualcuno sa che sei stato tu. E' necessario che ti dica chi sia? Io penso di no. Quello che ti serve sapere è che non rappresenta una minaccia per la tua sicurezza fino a che io non intervengo con le mie capacità. Sai, oltre a prendere le sembianze degli stronzi so anche manipolare le emozioni. E' per questo che faccio la Psicomaga.» spiegò, con tono vagamente saccente. «Ti ripeto, non voglio essere tua complice né niente del genere, posso solo evitare che le voci escano dal mio studio. Manipolare i ricordi non è in mio potere, quindi l'idea è di fare associare a chi di dovere quanto è successo alla sensazione di serenità. Ed ovviamente, per farlo, ho bisogno di qualche dettaglio in più su cosa è effettivamente successo.»
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    Edited by ;thisisimbër - 25/2/2018, 13:45
     
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    Ok non è della polizia nella sua mente Sherman cercava un po’ di conforto con quelle poche parole, se fosse stata della polizia sarebbe stato un bel problema perché oltre a lei avrebbero presto saputo anche tutti gli altri suoi colleghi e sarebbe stata la fine, sarebbe scappato, ma per quanto? Sicuramente non sarebbe scappato in Irlanda sarebbe stato il primo posto in cui avrebbero cercato, ma fortunatamente non lo era.
    In quel momento stava provando ansia, perché dopo l’accaduto nessuno era venuto a cercarlo e ora proprio la sua ex compagna di cella sapeva di quello che aveva fatto, come? Lei che doveva essere la prima a non saperne nulla...
    Quei pensieri svanirono sentendo la sua voce in lontananza dire qualcosa che non aveva ben compreso del tutto.
    Certo come no, sono figo e basta disse sentendola ridere, forse quella risata non l’aveva mai sentita davvero da lei, nei laboratori c’era davvero poco da ridere o da essere felici, nessuno dei due aveva mai davvero riso, ma c’erano stati l’uno per l’altra dall’inizio alla fine e si erano fatti forza pensando alle loro famiglie che li stavano cercando e aspettando ansiosi e con paura di non rivederli più, non fu così però nel caso di Sherman che avevano fatto tutt’altro nella sua assenza e lo avevano rimpiazzato subito.
    Sherman non rideva mai e non sorrideva mai, o almeno non era davvero sincero, se lo faceva era perché qualcosa non andava o portava solo guai.
    Si erano incamminati nelle strade abbastanza vuote di Londra quella sera per cercare di combattere il freddo e perché Sherman odiava non fare niente e stare immobile in piedi, lei era di fianco a lui, non la ricordava così bassa rispetto a lui, ma d’altronde nei laboratori erano sempre seduto o semisesuti, diciamo che tutti vicino a Sherman parevano piccoli e bassi perché lui era molto alto.
    Chiedi troppo Nicole, secondo te te lo avrebbero davvero chiesto? “Scusi signorina vorremmo torturarla per anni per farle acquistare un nuovo potere e così perdere l’uso della bacchetta ci sta?”, è vero che non possiamo usare la bacchetta e che tutto quello che abbiamo imparato a scuola non ci servirà più a molto, ma puoi essere chi vuoi e io posso essere ovunque, non credo sia tanto male in fondo disse alzando le spalle alzando il lato sinistro del labbro come una specie di sorriso dato che lei chiedeva l’inverosimile.
    Ehi attenta come parli signorina perché qui non c’è nessuno stronzo,mi sa che ti riferisci a qualcun’altro disse ovviamente non credendoci neanche lui, lo era e era fiero di esserlo, per poi ascoltate il resto delle sue parole ah ecco spiegato il mistero, sei una Psicomaga, com’è?...intendo manipolare le emozioni altrui, mi piacerebbe averlo io quel potere, sai quanto divertimento? disse sospirando facendo uscire così una nuvola di fumo e fare un risolino, ovviamente lei non era quel genere di persona che poteva usare quel potere per i propri scopi come avrebbe fatto senz’altro Sherman, sicuramene si sentiva in colpa ogni volta che lo faceva perché si sentiva di privargli qualcosa e di essere un’intrusa nella sua mente.
    Poi tornó serio e riflettè un attimo, se lei è una psicomaga la persona che le ha rivelato la verità deve essere un suo paziente, quindi di conseguenza qualcuno che ha avuto un trauma psicologico... e una mezza idea andò a farsi spazio nella sua mente, chi poteva essere se non lui? Era l’unico superstite che poteva sapere dato che erano morti tutti.
    Strinse involontariamente i pugni lungo i fianchi facendo scricchiolare la mascella da quando stava stringendo i denti per non spaccare qualcosa, ecco un altro lato negativo di Sherman, non sapeva gestire la rabbia e così in un secondo il suo pugno andò a schioccare contro il muro vicino a lui provocando un tonfo sordo.
    Non aveva sentito dolore, la sua mente era altrove persa in un limbo di rabbia e di ricordi, tirò fuori un sospirone per cercare di calmarsi e si appoggiò ad esso vedendo le nocche un po’ scorticate e rosse.
    Nicole non lo aveva mai visto così e sicuramene si sarà spaventata, ma non gli importava in quel momento.
    Deve pagare disse solo quello in modo quasi impercettibile come un soffio, poi Nicole gli diede una bella idea e tornó normale riiniziando a camminare dove stavano andando, ecco un’alta particolarità del carattere di Sherman, era abbastanza lunatico, passava da uno stato di rabbia a uno di serenità in pochissimo tempo e non se ne rendeva conto spesso.
    Fallo disse solo guardandola voglio che tu gli faccia credere che io sono il buono e che si fida di me, ti dirò solo se mi giurerai che lo farai disse vedendo in lontananza un parco illuminato e dopo poco si sedette sull’altalena lì vicino aspettando che anche lei lo facesse dondolandosi un po’.
    Per la cronaca so di chi stai parlando, non ci vuole un genio e se non smetterà di mettermi nella merda e non riuscirai a farlo tacere toccherà a me e non sarà piacevole disse guardando la sua mano scorticata e ora un po’ dolorante.
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    Nicole Rivera

    Tell me what you think about when you can't fall asleep at night.
    Nicole era stata portata ai Laboratori diversi anni prima di Sherman.
    Non aveva compreso subito ciò che le stava accadendo, come avrebbe potuto?, così aveva cercato conforto in quella che era stata la sua prima compagna di cella, Diane. Se chiudeva gli occhi, poteva ancora rievocarne i tratti del viso, i suoi occhi grandi e verdi, il modo in cui riusciva a sorridere anche quando aveva dannatamente paura, infondendole così il coraggio di cui entrambe avevano bisogno. Un giorno, neanche un anno dopo dalla loro prima chiacchierata, l'avevano presa e non era più tornata.
    Nicole aveva passato mesi e mesi ad immaginare cosa potesse esserle successo ma, malgrado ci provasse con tutta se stessa, non era mai stata in grado di convincersi che Diane fosse riuscita a scappare e che dunque fosse ormai libera, felice, al sicuro. Piuttosto, non faceva che pensare al modo in cui potesse essere morta, a quale fosse stato il suo ultimo pensiero.
    Da quel momento, aveva accuratamente evitato di affezionarsi più del dovuto ai suoi compagni di sventura: non avrebbe sopportato di perdere ancora qualcuno.
    Poi era arrivato Victor. Non era un tipo di tante parole già allora, ma in fondo non lo era più neanche lei, ed in qualche modo avevano stretto una tacita alleanza che li aveva aiutati a rimanere sani di mente in un posto dov'era tutt'altro che scontato.
    Neanche quanto Victor era diventato Sherman quell'alleanza si era spezzata. Erano rimasti uniti, si erano fatti forza l'uno con l'altro. E alla fine era stata Nicole ad abbandonare Sherman, chiudendosi in sé stessa subito dopo lo Smantellamento.
    Non lo aveva fatto certo per cattiveria, ma forse anche per questo adesso era lì, per espiare quella colpa che non aveva mai smesso di sentire.
    «Sì, no, hai ragione solo che... Sai, non sempre ho voglia di sapere cosa prova la gente.» rispose, con una lieve alzata di spalle. «Ah, e ovviamente mi manca cucinare e lavare i piatti con la magia. Adesso è una fatica!» sdrammatizzò poi, accennando ad un sorriso.
    «E, come ti dicevo, non è sempre stato facile. All'inizio riuscivo a malapena a uscire di casa perché venivo praticamente bombardata dai sentimenti e dalle emozioni degli altri, e... Insomma, poi ho imparato a gestirla, ma cerco di non usarlo più del dovuto. A me non piacerebbe che qualcuno manipolasse ciò che provo e, sai com'è? "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te".» citò, ricordando tutte le volte in cui sua madre le aveva ripetuto quella frase.
    Non era certa che Sherman condividesse quel suo pensiero, ma si sentiva sollevata di poterne finalmente parlare con qualcuno. Non lo aveva mai fatto prima di allora.
    La piacevole sensazione del sentirsi finalmente sé stessa lasciò spazio al timore di aver commesso un errore a parlare più del dovuto: come prevedibile, Sherman aveva fatto 2+2 ed aveva intuito come potesse lei essere venuta a conoscenza del misfatto. La sua reazione le mise addosso una certa inquietudine, ma cercò di non scomporsi troppo.
    «Non dire cazzate.» tagliò corto, alzando gli occhi al cielo ed incrociando le braccia al petto con naturalezza, quasi come se parlare del far del male ad un bambino fosse una cosa perfettamente normale. Ma che altro poteva fare?
    «E' un bambino spaventato, esattamente come lo sei stato tu. Magari è nato nella famiglia sbagliata, comunque non è un buon motivo per fargli del male. Non lo farebbe Victor e non lo faresti neanche tu, Sherman.» lo guardò dritto negli occhi, cercandovi la conferma di quanto aveva appena detto.
    «Certo che lo farò. Non sarei qui altrimenti.» annuì alle sue parole, seguendolo verso le altalene e sedendosi in quella accanto al ragazzo.
    «Però... Vorrei che tu ci pensassi. Vuoi davvero continuare a scappare dalla stessa merda in cui tu stesso continui a infilarti? Magari potresti... Non lo so, parlargli?» azzardò, dubbiosa. «Potresti scoprire il piacere di avere una famiglia, magari.»
    Si aspettava già la risposta di Sherman, ma voleva davvero fare qualcosa per lui che andasse oltre il coprire il suo reato con la magia. Sapeva che lui aveva bisogno ben più di quello.
    «Ma non sono affari miei, per cui fa ciò che vuoi. Il mio è solo un consiglio.» si affrettò a precisare, spostando lo sguardo sulla sua mano sanguinante dopo il pugno al muro di prima.
    «Forza, fammi vedere.» lo invitò ad avvicinarle la mano per potergli dare un'occhiata. Non era una Medimaga né niente del genere, ma sapeva riconoscere una ferita più o meno profonda ed aveva una vaga idea di cosa fare in ogni caso.
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    Edited by ;thisisimbër - 25/2/2018, 13:46
     
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