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jericho x xav x jeremy

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    dressed to kill

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    telepathy | 18 y.o.
    15.01.2018 | h: 22:30
    Le gambe accavallate sul tavolino della sala, la punta del coltellino ad intaccarne la già danneggiata superficie in legno. Su quel piano, c’erano le centinaia di frustrazioni alle quali Jericho Karma Lowell non era in grado di dare effettiva soddisfazione, consumata dalla rabbia a tal punto dall’essere diventata un penny ingrigito - non ricordava se fosse in grado di provare altro, Jer. Non aveva memoria di una vita nel quale non lo fosse stata. Si costringeva a respirare ogni giorno, a sopravviversi ogni giorno. Si lasciava affondare da quelle ondate di furia come quegli isolotti del cazzo che sparivano durante le maree.
    Non era neanche più certa che, sotto l’acqua, ci fosse una qualche Jericho – una qualsiasi.
    Osservava il complesso schema di cartacce e fili di fronte a sé, le spalle poggiate pigramente allo schienale della sedia, e le gambe di questa a dondolare sul pavimento dell’abitazione di New Hovel. Cercava un senso, cercava un motivo, e l’unica cosa che invece riusciva a raccogliere era altra rabbia, ormai così densa da essere cieca e sorda a sé stessa.
    Seguivi i fili. Leggeva le date.
    Imprecava a denti stretti, scagliando il diciassettesimo coltellino della giornata sul muro dell’appartamento – un sibilo veloce, la lama appena visibile nel lancio.
    Odio, ecco cos’altro provava. Un odio così feroce che un paio d’anni prima l’avrebbe terrorizzata, e che invece era ormai usuale quanto ossigeno nei polmoni. Odiava essere stata licenziata perché non più strega; odiava il Morsmordre ed i suoi stupidi articoli su come tutto stesse andando una meraviglia.
    Ed odiava quella manciata di stronzi egoisti che, da più di un mese, era sparita.
    Aveva pochi amici, la Lowell – cinque ad essere generosi?- e Cristo, la metà decideva di andarsene dove cazzo gli pareva? Non credeva proprio.
    Il diciottesimo coltellino seguì il precedente, il cuore a vibrare atono dietro le costole. Fissava la parete da così tanto, Jericho, che la vista s’era fatta offuscata e neanche se n’era resa conto – che le iridi zaffiro parevano essere diventate semplicemente nere, specchio sincero della sua anima e del caffè a corrodere l’organismo. Umettò le labbra, inspirò dalle narici.
    Odiava Aloysius Crane, perché proprio non ce la faceva a stare al suo fottuto posto. Ti giravi un attimo, buon Dio!, e quello veniva subito inculato da qualcuno. Odiava Jayson Matthews, perché Nathaniel e Xavier non erano più divertenti come una volta, da quando non c’era. Odiava Gemes Hamilton, perché se avesse imparato da qualcuno (lei) a farsi i cazzi propri, probabilmente sarebbe ancora lì. Odiava Heidrun Crane perché gli Eubeech ed il loro stupido bambino erano diventati una rottura di palle moltiplicata all’infinito. Odiava Dakota Wayne perché non c’era più nessuno a dirle cose karine che le facevano ruotare gli occhi all’indietro alla ricerca del proprio cervello all’interno della scatola cranica. Odiava Archibald Leroy perché augurare la morte senza la Vista a farle da supporter, non era credibile. Odiava Darden Larson perché la nuova stagione di Stranger Things non si guardava da sola.
    E li odiava perché li cercava comunque, perché ai giornali non aveva creduto. Li odiava perché era più semplice lasciare che fossero rancore e disprezzo a riempire le sue notti, piuttosto che il vuoto a scuoterla di nausea finché non prendeva sonno. Li odiava perché –
    Perché le mancavano.
    E si odiava, perché le mancavano.
    Ecco perché preferiva stare da sola. Ecco cosa facevano, le persone: rovinavano sempre tutto.
    Rovinavano sempre Jericho.
    Il diciannovesimo coltellino, s’incastrò fra le travi.
    «ugh» Volle fingere di essersi scordata di avere compagnia, ma Noah Parrish non era facile da ignorare – Jericho, in quei mesi, c’era riuscita comunque benissimo. Battè le ciglia, volse solamente gli occhi verso il profilo del suo coinquilino. Il timore reverenziale che le aveva suscitato le prime volte ad Hogwarts, era scemato il giorno in cui l’aveva trovato a parlare con il televisore, lamentandosi del fatto che i personaggi non rispondessero. Da Parrish era diventato semplicemente Gesù, Noah.
    In poche parole, per il peculiare concetto che ne aveva Jericho Karma Lowell, avevano stretto amicizia.
    «cosa» domandò in tono piatto, sinceramente poco interessata alla risposta. Lui indicò il muro.
    Lei continuò a guardare Noah.
    «l’aesthetic» ovviamente. Come aveva potuto metterlo in dubbio.
    L’aesthetic era la catchphrase di Noah Who, e Jericho aveva smesso di domandarsi perché nel momento esatto in cui aveva portato la propria valigia nel loro appartamento. La cosa incredibilmente triste era che chiunque, pronunciandola, sarebbe parso ridicolo – e Noah? Con quel suo sorriso elegante e la posa sempre ben costruita, sembrava semplicemente… Noah. Quindi non si scompose, quando Noah being Noah sollevò un sopracciglio nella sua direzione. «hai rovinato l’aesthetic» ovviamente. Chiuse gli occhi, espirò dalle labbra dischiuse. «del sangue lo migliorerebbe?» «dipende dalla luce» Da artista ad artista, lo comprendeva: vedevano il mondo in maniera diversa, loro, colori e forme che sfuggivano all’occhio distratto di un passante comune. Leggevano storie negli angoli.
    Da Jericho a Noah: «non tentarmi» ed un sorriso a piegare la bocca di lei, tagliente ed esplosivo quanto una bomba carta.
    Parrish non aggiunse altro, e Jericho tornò a guardare la parete.
    Essere una telepata era in generale una merda, ma in quel periodo raggiungeva livelli catastrofici: la Lowell s’era ritagliata così tanto in sé stessa, che talvolta si isolava da sé stessa - smetteva d’essere. Non voleva i patetici pensieri dei patetici abitanti di quella landa ad infestarle la testa.
    Era già abbastanza fottuta di suo.
    Eppure, quel giorno - era il giorno. IL, con la maiuscola necessaria ai fini dell’opera.
    Il giorno della Verità.
    Il ventesimo coltellino, colpì la foto del ragazzo al centro dello Schema.
    Ricordava il giorno in cui Eugene Jackson e Sinclair Hansen avevano raccontato la stronzata del siamo vivi, di conseguenza non possono essere morti Al, Shia, Run e Gemes – quindi neanche gli altri, no?. Ricordava come avesse abbassato gli occhi al pavimento, la Lowell, incapace di tenere per sé la scottante ed ovvia domanda del quale nessuno di loro aveva bisogno: chi cazzo ve lo assicura. Con che coraggio avrebbe potuto dire davanti ad uno Xavier, una Lydia, un Nathaniel, un Sin ed un Jeremy, che poteva trattarsi di una cazzata – Jericho poteva essere sadica, talvolta cattiva, ma… ma non così. Non così. Se avevano bisogno di credere in qualcosa, non sarebbe stata lei a strapparglielo.
    Ad Eugene, però, aveva dovuto domandarlo. Gli aveva chiesto del rito. Gli aveva chiesto chi altri avesse partecipato, e l’aveva fatto senza premere la vena di acida ironia che tanto avrebbe voluto essere spruzzata fuori come arsenico. Non se lo meritava, il Jackson – era stata buona, la Lowell.
    Era stata buona, finchè: «okay,» dita scrocchiate, testa piegata mollemente sulla spalla. «allora uccidiamone uno.»
    Ed allora aveva smesso di essere buona, ed era semplicemente diventata la migliore.
    Distolse lo sguardo dalla parete per riportarlo sull’orologio, un sospiro a rotolare dalla bocca dischiusa. Indubbio che nella sua (loro, ma sua) missione avrebbe incluso Xavier Stevens: togliendo la questione beh, c’è mio fratello ed i miei amiki quindi voglio sapere, il pirocineta era il suo partner in crime preferito. Uccidere qualcuno era divertente solamente con la giusta compagnia, altrimenti era lavoro.
    Il problema di Jericho, risiedeva in un quartiere dimenticato dal signore a Londra.
    L’incognita della Lowell, era Jeremy Milkobitch.
    Non si fidava. Non le piaceva. Non una lista davvero lunga. Quando l’ex Pavor le aveva fatto notare che fosse giusto ci fosse anche lui, e che un altro paio di mani avrebbe sempre potuto tornare utile, era stato solo per amor proprio che non aveva testardamente puntato i piedi a terra, capricciosa ed infantile: non lo voleva a giocare con lei, Jericho.
    Poco importava che non fosse un gioco. Se ad una vita del genere volevi sopravvivere, doveva diventarlo.
    Che palle.
    Un brivido lungo la spina dorsale fu il preavviso al segnale di Eugene – un pensiero mirato, colpevole e preciso quanto le lame impigliate al muro della sala. Lui e Jade sarebbero andati a osservare Max, mentre loro si sarebbero occupati della parte...pratica. Sarebbero rimasti in contatto ogni momento, per l’infinita gioia della Lowell che moriva dalla voglia di sentirli tubare come due avvoltoi handicappati.
    «JERICHO! STRATEGIA!
    jay (26)-> joey + sandy
    darden (3)-> gwen + julian
    julian (4)-> julian + sersha
    gemes(6)-> bj + joey
    sandy (14)-> sandy + shia
    cj(7)-> cj + sersha
    run(17)-> shia + cj
    bj (1) -> bj + gwen»

    Che demente.
    Sospirò ancora, perché il mondo non ne aveva mai abbastanza dell’aria viziata dei suoi polmoni. Prese il telefono e digitò un veloce messaggio allo Stevens – con veloce intendo: un quarto d’ora yo - quindi si alzò in piedi ed afferrò il casco della propria moto. Per raccattare il Bitch tossico confidava di metterci mezzo minuto ed un due di picche, non si smetteva mai di sperare, ma aveva del lavoro da sbrigare nella Londra babbana. Già detto che era stata licenziata come Pavor, mh? Ebbene, aveva dovuto trovarsi un nuovo passatempo. Complici i suoi gusti in fatto di amici e divertimento, complice l’aver già qualcuno nel campo che potesse indirizzarla sulla giusta strada, Jericho aveva impiegato meno di una settimana a farsi un nome fra i sicari della zona. Se cercavate un lavoro pulito, era bene non contattarla – per quello c’erano i subdoli Marcus del mondo.
    Lei non giocava pulito, ma lo faceva bene comunque - soprattutto, in tempo molto più breve. Non si preoccupava di studiare il soggetto in questione, le sue abitudini; pur invisibile, la mano della Lowell non passava mai inosservata: non era discreta, ma era abbastanza efficiente e tempestiva dall’essere salita comunque rapidamente in gerarchia.
    Uau. Immaginate quanto potesse fottersene – ecco, ancor meno di quello che pensate.
    «cià» e prima d’uscire, sciarpa a coprirle buona parte del volto, staccò distrattamente dalla parete il coltellino anti aesthetic che tanto aveva turbato Noah. Ecco come dimostrava il proprio affetto, Jericho Lowell: facendolo passare per noia.

    «mcdonalds buonasera, cosa vuole ordinare?» Il rombo del motore a far da sottofondo alla voce metallica del mcdrive, Jericho tamburellò le dita sul manubrio della moto. «chicken mcnuggets» elencò, curvando la bocca verso il basso. «ed un frappè alla fragola» diede gas quando l’uomo le disse di proseguire, che il suo ordine sarebbe arrivato in breve; il peso delle lame assicurate alle guaine sulle braccia era freddo e familiare, così come il rigonfiamento della pistola in tasca, e quello dei coltellini da lancio contro il petto. Difficile che uscisse priva di armi – a dire il vero, difficile che uscisse punto - e quelle poche cianfrusaglie che aveva appresso, erano fin poco rispetto quant’era solita portare con sé nel mondo magico. Con il dono della telapatia e la capacità di modificare a proprio piacimento la percezioni che gli altri avevano di sé, poteva girare tranquillamente con una mitraglietta sottobraccio ed un lanciafiamme in spalle, che i passanti per strada avrebbero perseguito nel sorriderle fiduciosi – si fidavano sempre, i piccoli bastardi, del viso angelico della Lowell.
    Un peccato che la psicopatia non avesse fra i propri sintomi anti estetiche piaghe sparse per tutta la faccia; forse a quel punto l’umanità l’avrebbe compreso, che giudicare le apparenze serviva solo a morire in maniera più lenta, dolorosa, ed inaspettata. Ah, buon Signore, che branco di deficienti. Strinse le gambe sulla motocicletta mantenendo l’equilibrio, quindi si prodigò di fronte alla cassa.
    Si faceva dare i nomi, Jericho. Le bastava quello, il resto veniva da sé – cercava il minimo indispensabile per sapere dove avrebbe trovato la propria vittima quando le fosse convenuto, ossia quando ne aveva voglia, e… fine. Non voleva sapere che genere di vita avessero, dove passassero le loro apatiche domeniche pomeriggio, o quali fossero i loro programmi per il sabato sera. Non le serviva.
    Sinceramente, non le interessava.
    Un piede al suolo, il capo ancora rivolto alla strada. Sentì il rumore dello sportello del mcdrive, e si volse appena in quella direzione; l’uomo le porse il sacchetto di carta della sua ordinazione, e la Lowell si sporse per stringerlo fra le mani. «due sterline e novantanove pounds» lui le sorrise; lei estrasse la semi automatica, e fece fuoco.
    Un colpo solo, la pallottola a bucare la fronte.
    Davvero tristi come ultime parole, Mark Whalberg.
    Strinse l’ordine sotto braccio, e accelerò nella notte di una Londra sporca e silente.
    Al primo grido, Jericho Karma Lowell era già lontana.

    Parcheggiò di fronte al condominio dei Milkobitch, caviglie intrecciate fra loro e dita unte dalle crocchette di pollo. Masticò lentamente, un’occhiata distratta all’ora; il mcdrive pressoché deserto le aveva fatto guadagnare un altro paio di minuti di tranquillità, e lungi dalla Lowell lasciarseli sfuggire arrancando dietro qualcuno che, a conti fatti, neanche voleva. Quando finì i chicken mcnuggets, non ebbe più nulla con il quale procrastinare.
    Triste.
    Emise un sospiro; accartocciò il sacchetto marrone nel pugno, lo lanciò a lato del marciapiede, e trasse un sorso di rigenerante quanto chimico frappè alle fragole. Notò che il dorso della propria mano mostrava alcune cremisi gocce di sangue, ma non fece nulla per rimediare al danno.
    Rischi del mestiere – o come avrebbe detto Noah, l’aesthetic.
    Salì gli scalini uno ad uno come i bambini, la stessa voglia di un condannato sul palco per l’impiccagione. Finse perfino di non trovare la porta – così, per puro spirito d’iniziativa. Quando non potè più fingere, rimase semplicemente a fissarla. Con la distrazione data dall’abitudine, si infilò in bocca una bubblegum – quelle rosa e potenti, sapete. Non solo mordere era una continua valvola di sfogo per quel grido a cui non sapeva come dar voce, ma amava fare le bolle con la cingomma – o meglio, amava farle esplodere. Rendeva così tanto l’idea di quanto avrebbe voluto fare la stessa cosa con la testa dei propri interlocutori. Non c’era nulla di innocente, nella Lowell, come nulla c’era di licenzioso: perfino quando masticava candide gomme alla fragola, era sul piede di guerra.
    Forse, soprattutto.
    Bussò secca, le nocche a schiantarsi contro il legno. Poggiò una spalla allo stipite della porta, e decise di essere così magnanima da concedere ai Milkobitch sessanta secondi per aprirle.
    Uno. Venti. Cinquantotto - oh beh Euge, i tried. Sess-
    Scoppiò la bolla, battè lentamente le palpebre. Se avesse conosciuto un modo migliore per esprimere maggiormente il proprio malessere interiore, l’avrebbe fatto – ed invece, dopo ch’ebbe incrociato le braccia sul petto, non le rimase molto altro da fare. «yo, milkobitch» scrutò il ragazzo a palpebre dischiuse, masticando annoiata la gomma. Un’occhiata da sopra (…sotto.) la spalla di lui all’interno dell’appartamento: quasi triste e patetico quanto lui. «ce l’hai ancora la mazza? Andiamo a divertirci un po’» il tono morto dentro, e gli occhi ridotti a fessura. Poco importava che la frase detta da chiunque altro potesse suonare promiscua, line di quei pessimi film porno di serie B che s’intestardivano ad avere una trama: Jericho era tante cose, ma fraintendibile non era fra quelle. Specialmente, con quel naso arricciato e lo sguardo vacuo alla Carrie (Krueger, ovviamente), non di genere sessuale.
    O intenzionale. Sembrava una di quelle bambine costrette dalla madre ad invitare nei propri giochi il figlio strano dei vicini di casa – interessante cambio di ruoli, dato che di solito la figlia strana era lei. Sospirò ancora – mai abbastanza. «get in, loser» Prima che lui potesse rispondere e Jericho cambiare idea, gli lanciò il secondo casco della moto – sperando che la droga rallentasse abbastanza i suoi movimenti da farglielo prendere in faccia.
    Non avrebbe mai ammesso che Eugene Jackson avesse ragione, Jeremy meritava di esserci, ma ne era abbastanza convinta da non aver ancora fatto dietro front: progressi. «we’re going killing»

    Lasciò la moto fuori dal Carrow’s District. Il parcheggio, avendo superato da poco l’orario di chiusura, era pressoché deserto, fatta eccezione per i mezzi di coloro che ivi lavoravano.
    Tipo lo spazzino.
    Deglutì. Fece una bolla con la gomma, e la fece esplodere fra i denti. Un vago cenno con il capo a Xav, priva di un sorriso a curvare le labbra: non c’era un cazzo di cui sorridere, in quella situazione.
    Perché a conti fatti, Jericho non voleva sapere.
    Un’occhiata allo schermo del telefono, prima di tornare a guardare i cancelli dello zoo. «eubeech in posizione» ora: allo Stevens aveva accennato del piano? Sì. A Jeremy?
    Ovviamente no. Avrebbe potuto mandare tutto a puttane, ed era la loro unica possibilità.
    Maciullò la bubblegum ormai insapore, tolse le mani dalle tasche per intrecciarle dietro la nuca.
    Novità del momento? Sospirò - era frustrante che non tutti, come lei, potessero entrare a piacimento nella testa delle persone estrapolando le informazioni necessarie. Parlare era così… sbatti. Con il tono semplice dato dall’ovvietà, decise di aggiornarlo dicendo al Milkobitch la stessa cosa che aveva detto pochi giorni prima al fremello piromane: «dobbiamo uccidere jack hades»
    Che dire, la semplicità era il punto forte della Lowell.




    She got a smile on her face and a knife in her hand
    She don't look too sane when she acts like that


    Edited by idk‚ man - 20/12/2018, 01:31
     
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    xavier stevens
    Non era particolarmente di buon umore quella sera, non dopo che il ragazzo di Just Eat era riuscito a rovinare una delle poche gioie rimaste nella sua vita: la cena. Sorvolando sui venti minuti di ritardo dove aveva rischiaro di mangiare le sue figlie, quando aveva aperto il kebab l’aveva trovato fottutamente vuoto. Con una carne di provenienza dubbia, certo, ma il condimento si fermava lì. Dopo quella tragica scoperta era rimasto a fissare il muro per venti minuti buoni, chiedendosi perché i turchi dovessero essere così infami.
    Se non avesse avuto da fare quella sera, sarebbe passato volentieri dal il loro cosiddetto “ristorante”. «hai tutto, stiles?» domandò per l’ennesima volta al fratello, pentendosi per l’ennesima volta quella sera di avergli lasciato le bambine. Lo conosceva, e proprio per quello non si fidava. Di lui, e del suo pappagallo con la peste. «e tieni lontano arturo da loro» si chiamava arturo? Non gli era mai interessato imparare il nome dell’uccello, quindi non poteva saperlo. Erano in quei momento che gli mancava Jay, almeno lui aveva la passione per infilare la lingua dove non avrebbe dovuto, piuttosto che per i pennuti. «me l’hai ripetuto dieci volte, ho capito» «non si sa mai, specie quando tuo fratello ha dei ritardi» Stiles doveva convenire che in fondo aveva ragione, come gli aveva fatto notare numerose altre volte – un giorno avrebbe smesso di scaricare la propria acidità su di lui, ma non era ancora arrivato il momento. Xavier preferiva che Stiles si beccasse insulti, piuttosto che il misto di rabbia e solitudine che gli scavava il petto.
    Gli Stilinski-Stevens non erano mai stati quel tipo di fratelli da offire una spalla di conforto, era naturale che il pirocineta non parlasse dell’evidente elefante della stanza.
    Erano spariti da più di un mese, eppure riusciva a fingere che la cosa non lo sfiorasse neanche. Era diventato un maestro in quello, e poi chi aveva bisogno delle parole quando si poteva esprimere tutto a coltellate.
    Ignorò il dito medio del fratello, avvicinandosi invece al box delle bambine per allungare la mano e salutarle. Sì, come ai cani. «a dopo, orsacchiotti» se qualcuno avesse raccontato in giro che quelle parole erano uscite dalla bocca di Xavier, nessuno ci avrebbe creduto. Fece per aprire la porta quando suo fratello lo fermò «stai…stai attento, xav» il ragazzo sbuffò e alzò gli occhi al cielo, mettendo da parte la proccupazione del fratello come se non fosse niente. La verità era che, così come lo Stilinski, ogni volta che lo vedeva uscire dalla porta non sapeva se sarebbe tornato. «come al solito, fratellino» in fondo doveva solo andare ad uccidere un tipo, non era lui quello che si sarebbe dovuto guardare le spalle.

    un quarto d’ora yo il volto del pirocineta era illuminato dallo schermo del telefono, mentre attorno a lui la luce era scarsa. Fategli causa, se aveva la strana abitudine di imboscarsi nei vicoli – forse perché, visti i tempi che correvano – si sentiva più a sua agio lì. Si morse la guancia, riflettendo se comprare quel kebab che sognava da mezza giornata o raggiungere Jericho. Considerando che erano passati dieci minuti da quando la telepata aveva inviato il messaggio, non era sicuro gli convenisse; viveva per il brivido, ma non aveva voglia di beccarsi uno dei suoi coltellini nel braccio. Di nuovo.
    Provò un forte odio per Jack Hades quando inizio a incamminarsi verso il parcheggio dello zoo, colui che non solo aveva friendzonato Jer, ma anche rovinato la cena – se la meritava proprio una vendetta in stile jer²vens. Non aveva davvero idea di chi fosse (stato), quando la Lowell gli aveva esposto il suo piano, non ci aveva neanche pensato prima di accettare. Se avrebbero potuto scoprire qualcosa su cosa fosse successo a Jay, non gli interessava se la vita di qualche minchione sarebbe finita.
    A suo dire, non era stata una grande idea convolgere anche uno degli ex migliori amici di Jack, ma Eugene aveva insisito così tanto che alla fine aveva rotto i coglioni a tutti. E quando arrivò al parcheggio, ne fu più convinto che mai, li avrebbe fottuti tutti.
    «’sera, jer uno e due» ricambiò il cenno della prima, rivolgendo poi la sua attenzione a Due «ti hanno già spiegato cosa dobbiamo fare?» a giudicare dall’occhiata torva che gli lanciò Jericho, no, non gli avevano ancora detto un cazzo. Ma che meravigliosa situazione. «tutto tuo» «dobbiamo uccidere jack hades» severa ma giusta, Jericho Lowell. L’avrebbe chiamata quando avrebbe dovuto dire ad Atlas e Daisy (e Stiles) che Babbo natale non esisteva davvero.

    live each day as if it's your last because i'm gonna kill you but i'm not super good with schedules


    Edited by cocaine/doll - 30/3/2018, 22:30
     
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