when it feels like the world's gone mad

[indagini] al x maeve x barry x alec

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    even though they say time heals all wounds, the scars are still fucking there. i can't forget what happened, i can't forget how i felt.
    Non aveva la benché minima idea di che ora fosse, Aloysius Angus Crane – ma quanto poteva essere rilevante, un dato del genere, quando a stento sentiva di ricordare chi o dove fosse? Non ricordava da quanto tempo fosse seduto contro il muro, gli occhi chiusi e la testa a pulsare dietro le palpebre calate, né se mai, in tutto quel tempo, gli fosse passata per l’anticamera del cervello l’idea di alzarsi e cercare qualcosa da mettere nello stomaco – soprattutto caffè.
    Ricordava soltanto, e a malapena, alcuni terribili dettagli della sera precedente – e per terribili, non si intende la cavalcata selvaggia della palla stroboscopico sulle presunte note di Wreaking Ball: quello rientrava nella norma. Quel suono di ossa a rompersi mentre guardava lo smartphone rubato; le grida e gli oooh a metà tra lo shock ed il turbato ed il non so cosa fare, quindi guardo e basta; la consapevolezza che fosse colpa sua, se Maeve Winston si era rotta una gamba saltando dal palco – quale fottuto palco, tra l’altro? -: buon Dio, quello lo ricordava persino troppo bene. Non aveva nemmeno avuto modo di scusarsi con la bionda, quella mattina: quando si era svegliato, di lei non c’era già più traccia.
    E di tutto quello che si era preposto di dimenticare quando, tornando da Ollivander, aveva trovato il rifugio imbandito per una festa che nessuno dei presenti si aspettava, il ventottenne rimembrava tutto alla perfezione – gli archivi, i documenti, il nome di sua figlia a svettare tra quelli dei proprietari di Laboratori in giro per tutto il Regno Unito.
    Non sapeva che farsene, lui, di quelle informazioni; non sapeva nemmeno se valesse la pena di rimuginarci sopra troppo a lungo: sembrava fosse un’Eletta, sua figlia. Che avesse potere, soldi, probabilmente anche una di quelle maledette ville che si affacciano sul mare che puoi tuffarti direttamente dal balcone – sicuramente qualche schiavo che le portasse il caffè perché troppo pesaculo per farselo da sola: tutta sua padre, qualora fosse stato lui quello ricco.
    Non sapeva niente di lei, e a quanto gli era parso di capire sarebbe stato anche difficile pensare di riuscire a conoscerla: aveva la fascia di un disperso CJ, poteva passare come un Eletto e sgattaiolare all’interno della struttura senza probabilmente destare troppi sospetti, ma gli sarebbe realmente tornato utile per arrivare da sua figlia? Voleva davvero farlo?
    Probabilmente, quella Run suo padre nemmeno lo aveva mai voluto conoscere – e forse l’Al di quel mondo, aveva ancora meno diritti di lui nell’intromettersi nella vita della ragazza: forse era meglio che, almeno quella volta, non facesse nulla. Che di battaglie sbagliate il Crane ne prendeva sempre troppe, ne perdeva sempre troppe, e quella di sua figlia era l’unica giusta che avesse mai deciso di combattere – l’unica che sentiva fallire giorno dopo giorno, senza riuscire a fare nulla per sistemare le cose.
    «che merda» sospirò, gli occhi ancora chiusi dietro le scure lenti degli occhiali da sole; non aveva idea di chi fosse stato a parlare, né tantomeno gli interessava – conosceva pressappoco cinque persone, di quelle che alloggiavano in quella stessa bettola, e quando si era svegliato queste già erano sparite nell’etere. «mh» che era già più di quanto volesse permettersi. Più restava in quel mondo, più stava lontano dalla sua famiglia, meno aveva voglia di vivere – o di sopravvivere, come il peso nella tasca dei jeans continuava a ricordargli premendo sulla coscia. Figurarsi quanto potesse averne di fare conoscenza: Nicole, o chiunque altro avesse avuto l’ardire di avvicinarsi al Crane in quei giorni, avrebbe scoperto che non era il periodo migliore per socializzare con il biondo – non che si perdessero granché, in fin dei conti. Mugugnò un «al» roco, ancora troppo in post-sbornia per essere tanto rude da ignorare una ragazzina che cercava di fare conoscenza: confidava avesse almeno portato una caraffa di caffè, o qualcosa di commestibile – in quel caso, avrebbe conosciuto il migliore degli Al di quel mondo. E invece - «come mai così solitario?».
    Davvero. Scrollò le spalle, gli angoli della bocca piegati verso il basso, decidendo che non era una domanda che meritava una vera e propria risposta; come mai così solitario, Al? Se lo chiedeva da una vita, anche quando da solo, effettivamente, non lo era: come poteva una studentessa pretendere un responso veritiero ad un quesito tanto lecito? Non valeva nemmeno la pena, e la gola era troppo riarsa da un fuoco che aveva desiderato fosse scemato ore prima, aprire bocca – dirle che era meglio stesse da solo, che tutto quello che gli si avvicinava finiva male; che nemmeno a lei, conveniva stare tanto vicino.
    «c’è qualcuno che ti aspetta dall’altra parte?» ma Cristo santo. Cos’era, un interrogatorio? Nemmeno al test d’ingresso del fottuto Labirinto erano stati tanto esigenti – ma almeno là non poteva ignorare le domande. Lo spero - abbassò gli occhiali sulla punta del naso, una fessura d’iride giada ad osservare la biondina al suo fianco: non ci voleva molto a scatenare la suscettibilità di Al, ma quello era un nuovo livello. Spero che ci sia qualcuno, che non mi abbiano dimenticato: che Run, Murphy, Shia, Gemes, tutti quelli che non sono qui siano a casa, dall’altra fottuta parte, e che non si siano scordati di noi – di me. Che mio fratello mi stia cercando, che Euge stia cercando di mettere a posto i pezzi, che Rea non abbia ucciso mio figlio, che- si alzò, le bionde sopracciglia arcuate e le lenti telepatiche di nuovo al loro posto. «vado a cercare del caffè» biascicò, senza nemmeno nascondere un tono d’acidità nella voce – una rozzezza, che la bionda non si meritava: non era colpa sua, se il Crane era fatto male. Le indicò Shane, poco distante, mentre già cercava l’uscita: sapeva che l’Howe l’avrebbe assecondata, o non si sarebbe fatto troppi problemi a fare come aveva fatto lui. «se cerchi qualcuno con cui parlare della vita» di quanto faccia schifo, di cosa ci stiamo perdendo «prova con lui: è uno psicomago»
    Guarda Damian, trovo gente per far lavorare tuo nipote!

    «non mi ricordo di questa foto»
    «eri evidentemente troppo ubriaco – non una novità» sorrise, di una genuinità che non sentiva appartenergli. Aver trovato suo cugino, la versione tarocca quantomeno, non rendeva quel mondo più vivibile – soprattutto se si considerava che ad aprirgli la porta, a prestargli abiti puliti e a prestarsi alle assurde richieste di un Crane in uno stato evidentemente più pietoso del quale non fosse abituato, non era stato il suo Eugene: chissà cos’era andato storto nella vita del Jackson, per renderlo una persona seria. Non… non voleva nemmeno pensarci. «hai detto che non ti ho mai parlato di una certa Heidrun, vero?» il ragazzo, alle prese con il PC al quale aveva collegato l’iPod e dal quale stava cercando di stampare tutte le foto che ritraevano sua figlia, scosse la testa per quella che doveva essere la decima volta – e per quante volte potesse negarglielo, mai avrebbe potuto credere ad una Run che non conosceva Eugene. O Jade, o Gemes, o Al: aveva passato tutto il giorno precedente ad indagare sulle conoscenze della ragazza, e l’unico punto in comune con il loro universo sembravano essere i Milkobitch. «dovevo essere proprio lercio per non ricordarmela» rise, davanti a quella foto strappata ad altri loro sullo schermo del computer, perché in altro modo non sapeva come reagire: dirgli che anche da sbronzo se la sarebbe sicuramente ricordata non avrebbe avuto alcun senso, per l’uomo. Dirgli che era impossibile dimenticarsi di lei, sarebbe stato inutile: nemmeno lui, avrebbe dovuto conoscerla. «del,» deglutì, sentì la schiena farsi più pesante contro la parete: non aveva visto reportage sulla sua morte, o su quella di tutti gli altri uccisi dagli attentati, ma - ma se fosse morta anche lì? Oh, beh, poteva incolpare l’apparente - ma non poi così fittizio - malessere di vivere: nel caso avesse fatto una figura di merda, aveva già pronto il modo in cui rimediare. «come se la passa?» «direi… bene? è qualche giorno che non la sento» qualche giorno; non si era reso conto di quanto gli fosse stato difficile respirare, fino a quando non sputò fuori tutta l’aria che aveva trattenuto nei polmoni – ed era in momenti come quelli, che credeva che alla fine non fosse poi così male quel mondo. In momenti come quelli, che s’illudeva che rimanerci non avrebbe potuto essere così terribile: avrebbe potuto cercare Sin, gli Hamilton, avrebbe cercato di ricongiungersi con la figlia, di recuperare gli amici – non poteva essere così male.
    «penso che ti piacerebbe» asserì, gli occhi bassi sulla risma di foto stampate – nemmeno si era accorto di quanti file avesse sul lettore multimediale, fino a quando non era giunto il momento di selezionare quelle che ritraevano la figlia. Si sarebbe dovuto sentire un po’ a disagio, stalker, nell’avere tutte quelle foto di sua figlia. Invece, più le guardava più stava bene - si era perso diciannove anni della sua vita, ma ciò non la rendeva meno la sua bambina.
    Che lei volesse sentirsi chiamare così o meno, non gli interessava – non lo faceva sentire meno orgoglioso, per qualsiasi stupido motivo. «run, intendo» recuperò alcune foto dal mazzo, quelle che era certo più avrebbero confuso il Jackson e sua figlia – lei con gli altri REB, con gente a caso nella casa che era stata la loro: frammenti d’esistenza così veri, che anche sbiaditi dal toner e resi più falsi da una realtà che non gli apparteneva, era difficile da ignorare. Frammenti di un’esistenza che aveva invidiato giorno dopo giorno, perché non sarebbe mai stata davvero come avrebbe potuto essere: perché se l’era persa, e non poteva fare niente per rimediare. «dovreste davvero conoscerla – tu e jade, ovviamente»
    Non in quell’universo, né nel suo – e non sapeva nemmeno perché stava prendendo quella penna, Al; perché stesse scrivendo dietro le foto luogo e data di un incontro che aveva stabilito sul momento, per persone che probabilmente si sarebbero ignorate e sarebbero tornate alle loro vite. «e no, non hai voce in capitolo»
    Si voleva impegnare così tanto a risolvere la vita di quella Run, da non rendersi conto di quanto probabilmente fosse perfetta così com’era.
    Si voleva impegnare così tanto a risolvere la vita di quella Run, perché non poteva mettere a posto i cocci rotti della sua.
    E voleva soltanto fare qualcosa di buono prima di morire, capite?, scegliendo la strada giusta – per una volta, Dio santo.
    «ah, e mi servirebbe un ultimo favore»

    Inspirò un ultimo tiro di sigaretta, le nocche a battere insistentemente contro la porta dell’appartamento londinese – tra le dita della mancina, una busta più spessa del dovuto. «ho già detto che non compriamo fottute aspirapolveri» «non sono qui per vendere niente» «e non ci convertiremo ai maledetti testimoni di geova: mi piace il rastafarianesimo, non mi farete cambiare idea» oh, buon Morgan. «dai jeremy, apri» silenzio, oltre la porta – effettivamente, non avrebbe nemmeno dovuto sapere chi Jeremy Milkobitch fosse: indovinate chi se ne sbatteva il cazzo? «chi sei?» quando il ragazzo socchiuse l’uscio, fu sinceramente felice di sentire il profumo di Maria farsi strada nei suoi polmoni – solo perché significava che qualcosa era esattamente come se la ricordava, eh. Mica perché voleva scroccare (come faceva ogni volta). «un amico di run» dal sopracciglio arcuato ed il mezzo sorriso ebbro del tassorosso, non riuscì a capire se era una cosa che capitava spesso, o che al contrario era veramente rara a verificarsi. «è in casa?» «figurati» Jeremy sbuffò divertito, e senza che il Crane dovesse chiedere alcunché spalancò la porta, lasciandolo entrare – non esattamente il tipo di atteggiamento che si sarebbe aspettato, ma gli andava bene così. «devo lasciarle un messaggio importante – posso?» il ragazzo alzò le spalle, segno universale del fai un po’ come cazzo ti pare, tanto ormai, quindi si sentì legittimato ad appropriarsi della canna a metà sul posacenere – che se tanto gli dava tanto, un po’ di ganja gli sarebbe davvero tornata utile in quel mondo. «è tutto nel pacco, e mi servirebbe che lo vedesse il prima possibile» – tutto, ovverosia tutte quelle istantanee che pensava sarebbero tornate utili.
    Probabilmente non avrebbe risolto nulla, Al. «puoi sentirla in giornata e chiederle di venire a prenderlo?» «forse, se mi va»
    L’avrebbe fatto, doveva farlo - gli serviva, che lo facesse.
    «grazie, e scusami per il disturbo. e dille che la saluto»
    Probabilmente, non avrebbe cambiato nulla – e non sapeva se sperarlo o meno, sapete.
    Non sapeva quanto della sua vita Run volesse cambiare, né se lui volesse cambiarglielo.
    «chi devo dirle che la saluta?»
    Forse quei ritratti di loro, di lei e suo fratello – e dei suoi amici, degli scatti strappati a momenti di sobria ubriachezza, di una vita che non aveva mai vissuto -, non le avrebbero detto nulla.
    Quelle poche parole vergate d’inchiostro sulla pergamena, non avrebbero significato alcunché per lei: non le avrebbero certo detto tutte le cose che non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle.
    «nessuno di importante» sorrise, prima di chiudersi la porta alle spalle.

    “Non sono nessuno, non lo sono mai stato e mai lo sarò, per dirti cosa fare della tua vita. In realtà, non so nemmeno come te la stai vivendo – ma spero con tutto il mio cuore che almeno tu ne sia un po’ soddisfatta. Che te la stia godendo, sai.
    Vorrei conoscerti di più, sapere di più su Heidrun Ryder Crane – su quello che è stata, su quello che le è successo, su cosa vorrebbe dalla vita. Vorrei poterla aver vissuta, passo dopo passo. Esserci stato alle sue prime parole, alle prime corse impacciate, alle prime sbucciature perché era la prima volta sulla bici senza rotelle.
    Vorrei poter esserci stato, poter parlare con cognizione di causa. Riuscire a saper scrivere queste parole senza impicciarmi secondo dopo secondo, ad ogni lettera sulla pergamena; dire ciò che voglio con la stessa naturalezza che hanno tutti quelli come me – ma è difficile, davvero.
    Stai sprecando la tua vita, Run. Ti stai perdendo tutto quello che sei destinata ad avere, continuando a lavorare lì dentro. Stai buttando all’aria qualcosa che non hai mai avuto, qualcosa che mentre leggi questa missiva penserai che non ti può servire in alcun modo, che non avrà alcun senso. Ma fidati, se ti dico che potresti avere molto di più.
    Mi conosci tanto quanto io conosco te, ma di una cosa sono certo: meriti molto di più di quel che hai, e non è un posto privilegiato come il tuo a darti la felicità.
    Sono le persone in queste foto, quelle che non hai mai conosciuto.
    Quelle che ti mancano senza sapere il perché – di cui hai bisogno, senza sapere il perché.

    Sentiti libera di fare di questa lettera ciò che vuoi, ignorala pure, ma datti una possibilità.
    Te la meriti.
    Domenica, alle cinque del pomeriggio – avrei detto la mattina, ma conosco le tue attitudini -, vai a New Hovel: troverai un paio di persone tanto confuse quanto te.

    Questo è quanto.
    Spero tu possa vivere una bella vita: è tutto quello di cui ho bisogno.

    Con affetto,
    Al.”

    aloysius crane
    upside down
    fucked up
    lumokinetic
    code by lele


    hoooo risolto, ciao
    credo
    dai, sì
     
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    Barrow Cooper
    Avrebbe dovuto aspettarselo.
    Si trovavano in un fottuto universo alternativo, appesi ad un filo sottile di raziocinio a penzolare sottosopra come maiali sgozzati pronti al macello. In balia dei giochi sadici di tre figli di puttana capaci solo a credersi al di sopra della vite altrui.
    Dopotutto, chi glielo faceva fare?
    E a favore di Dragomir, Barry sentiva di poter spezzare una lancia: non aveva mai tradito le aspettative, sempre coerente a se stesso. Era più facile accettare che un bastardo assetato di potere fosse in parte responsabile del casino nel quale erano finiti, perché si trattava esattamente di ciò che i bastardi facevano; sarebbe stato come sorprendersi nel beccare Barrow a comprare droga. Qualunque Barrow, a quel punto della storia. Cazzo, il corvonero gli si era anche schierato affianco, tanto logica sembrava la piega presa dsgli eventi. Ma Vasilov non li aveva spediti in una differente limea temporale, dove ogni persona a loro cara viveva la sua vita senza alcun posto nel cuore da concedergli; Dragomir e la sua sete di potere al limite della psicosi non li aveva separati, trappati uno dalle braccia dell'altro spingendoli nell'abisso.
    Erano tante le cose che non si sarebbe aspettato, Barrow Cooper.
    Tante quelle cui non avrebbe creduto nemmeno vedendole con i propri occhi, come Lancaster pronunciare un per sempre del cazzo, o Jeanine Lafayette più viva e arzilla di quanto non fosse mai stato lui in sedici anni di vita; tante quelle di fronte alle quali avrebbe certamente reagito male, perché i nervi saldi e la tempra morale non rientravano tra i pregi del corvonero.
    Certo, non quella. «skusa hai detto STILES STILINSKI?????!!!11»
    La giornata era cominciata nella vergogna, aveva fatto un salto di qualità con la decisione condivisa tra Barry e Maeve Winston di rubare medicinali al San Mungo, ed era infine approdata nella baia del surreale. Credeva di essere pronto, il corvonero, ma nel momento in cui le quattro infermiere assatanate gli si erano lanciate addosso come avvoltoi sulla preda designata, si era reso conto dell'imperdonabile errore di valutazione. Era bastato sussurrare il nome della madre adottiva ad una di queste, approfittando della situazione per chiedere informazioni, e nella saletta nella quale si era intrufolato per distrarre il personale medico così che la professoressa potesse accedere alle scorte era scoppiato il caos più totale.
    «Non hai una bella cera, Cooper.»
    Il ragazzo sollevó la testa, la voce di Amalie troppo vicina. Era calata la sera, ma nella stanzetta che condivideva con i Freaks Barry si trovava ancora solo; seduto sulla sua brandina, immerso nel silenzio e nella penombra, la testa troppo piena e gli ingranaggi bloccati. Dove fossero finite le sue merdine non era dato sapersi. Quei piccoli bastardi: Barrow li amava, con tutto il cuore, ma non sarebbe stata né la prima né l'ultima volta, se il pensiero di non appartenere loro gli fosse passato per la mente. Le parole scritte da un ormai dimenticato se stesso del futuro avevano lasciato un segno scavato più in profondità di quanto il corvonero volesse ammettere, e certo la decisione del Cappello Parlante di dividerli non aveva migliorato la situazione.
    Fanculo, il primo pensiero quando li aveva rivisti, fanculo, quando le braccia si erano strette attorno a quei corpi che di rado concedeva a se stesso di avvicinare al proprio, ma per i quali avrebbe sempre fatto un'eccezione. Fanculo a chi pensava di poterli tenere lontani, che nemmeno il destino ed i fottuti viaggi temporali ci erano riusciti. Eppure il dubbio rimaneva, insisteva a battere li dove faceva più male; dove i loro cuori avevano imboccato strade diverse e Barrow si era ritrovato tagliato fuori.
    Lontano, diviso a metà, un po' più Lynch ed un po' meno Barry.
    Non lasciare che te li rubi.
    «È stata una lunga giornata.» Un soffio, le iridi grigio azzurre a sfiorare quelle di lei. Avrebbe potuto dirle di sedersi, che il suo tentennare spostando nervosamente il peso del corpo da un piede all'altro gli faceva venire il mal di mare, ma non lo fece; al contrario di sforzó di sorridere, Barrow Cooper, entrambe le mani premute sulle guance nel tentativo di nascondere lo sforzo e la stanchezza. «Credi che ti abbiano mandato in Francia per Al e la Winston?» chiese, dopo una manciata di secondi un silenzio, durante i quali Amalie sarebbe potuta tranquillamente fuggire via: ne aveva avuto tutto il tempo, eppure fu nello stesso identico punto che il corvonero la vide, quando abbassó le braccia reclinando la schiena all'indietro sulla propria branda, le dita intrecciate contro la pelle fresca della fronte. «Se quel bastardo me l'avesse permesso...» una nota stonata nella voce, gli occhi chiari improvvisamente rivolti al soffitto.
    Diventava più difficile estrapolare i propri pensieri e formulare frasi coerenti, dovendo al contempo sostenere lo sguardo di lei.
    «Avrei scelto loro.» Non sentì il bisogno di specificare, non con Amalie Sheperd. «Ma a questo punto immagino lo sapesse meglio di me.» «Cosa?» Smise di osservare il soffritto, preferendo le mille luci rosse e blu che gli apparvero davanti quando finalmente chiuse le palpebre, un'intera costellazione in perpetuo mutamento. Stava per dire una cagata, e sebbene una parte di lui se ne rendesse perfettamente conto, l'altra resa forte da incertezze e sfinimento la spinse fuori, sputandola come veleno succhiato via da un morso di vipera. «Che quelle testine di cazzo non hanno bisogno di me. Il fatto che ne abbia bisogno io non conta davvero.» Si morse il labbro inferiore, piantando gli incisivi nella carne morbida, senza aprire gli occhi. Come quell'ultima frase gli fosse sfuggita non ne aveva proprio idea, certo non era preparato a quel livello di onestà: con Amalie, forse, ma certo non con se stesso.
    «Barry sei davvero un cretino.»
    Severa, ma giusta.
    Si sforzó di sollevare le palpebre, calate pesantemente sulle iridi chiare, il capo rivolto in direzione della diciassettenne. C'era qualcosa sul volto di lei capace di mozzargli il fiato, un'ombra di consapevolezza che la rendeva estremamente adulta, più di quanto uno come Barrow Cooper sarebbe mai stato; Amalie lo superava in tutto, in quel momento come da sempre. Non falliva nemmemo quando c'era da collegare il suo cervello con il cuore, costringendo l'uno a trovare la verità nell'altro. Lo sapeva, Barry, che doveva esserci un motivo valido se Lynch Beumont Barrow aveva tentato in tutti i modi di tenerla lontana. «se ti sentissero dire queste... stupidaggini, sarebbero ben contenti di fartele rimangiare a testate in faccia.» Inarcó un sopracciglio, il biondino, rimettendosi a sedere sulla branda con un colpo di reni. Non l'aveva prevista, una reazione del genere. Non aveva previsto una Amalie nella sua vita, nonostante si fossero già capitati a vicenda.
    Preferì non risponderle, Barry, perché sapevano entrambi che la ragazza aveva ragione. La osservó a lungo, mentre indietreggiava allontanandosi da lui. Puoi rimanere, se vuoi, aveva sussurrato lei, le mani calde a premergli sulle guance nella penombra della tenda, mentre il battito del cuore riempiva il mondo ed escludeva ogni altro suono; «Puoi rimanere?», sussurró Barry, le dita calde a sfiorare quelle della ragazza già voltata per metà verso la porta, il battito del cuore a riempire il mondo ed escludere qualunque altro suono. È che si sentiva meglio, all'idea di tenerla con sé. E si sentiva meglio, all'idea che in quel momento gli bastasse Amalie per respirare lì dove qualunque altro pensiero conficcava chiodi nel cervello.

    10.12.2017


    «Pronto?»
    No, Barry non era pronto, proprio per un cazzo. Ma la domanda del ragazzo non si riferiva al suo stato d'animo; socchiuse gli occhi, inspirando a fondo prima di passare il telefono cellulare all'orecchio opposto, le iridi grigio azzurre alla ricerca di qualcosa.
    Meglio, di qualcuno.
    «Isaac Lovecraft? Sono..» un coglione «Carl Urban, la chiamo per informarla che lei è stato scelto tra i clienti della fumetteria--» diede un'occhiata rapida al foglietto che teneva nella mano libera, un nome scarabocchiato velocemente quella mattina stessa. Era andato un po' alla cieca, il Cooper, pregando che il suo salto nel buio potesse terminare su di un fondo morbido e accogliente: Maeve gli aveva dato qualche informazione fondamentale su Isaac e i Withpotatoes, e solo per un colpo di culo quei dati si erano rivelati validi anche nella dimensione alternativa.
    Un numero di telefono, la fumetteria preferita.
    «Fun and Games per passare una giornata con un membro della squadra di quiddich..» Ma era lì, che la storia prendeva la piega più inaspettata. Ricordate le infermiere assatanate dalle quali Barry si era dovuto proteggere trovando riparo alle spalle della sua professoressa? Erano state loro a metterlo al corrente della situazione: Stiles Stilinski non era più il goffo ventunenne amante delle patate - !!! - e pronto ad adottare qualunque ragazzino solo per il gusto di sentirsi madre almeno una volta nella vita; Stiles Stilinski era un fottuto vip.
    «SERIO? NON MI STAI PRENDENDO PER IL CULO?!?» Barrow scosse la testa, sebbene Isaac non potesse vederlo. Si sarebbe presto resto conto di quanto lontano fosse dalla realtà: la giornata con il campionissimo sarebbe potuta diventare l'amicizia di una vita, più o meno disagiata dell'originale. Per qualche motivo il ragazzino sentiva che anche in quella realtà messa alla rovescia i due sarebbero riusciti a legare, gia solo intrecciando le loro esistenze di fronte ad un numero raro di X Men. Quanto meno, barry ci sperava. «È tutto vero, Isaac. Posso darti del tu? Ho bisogno di una tua foto, se me la a questo numero insieme ai tuoi datu anagrafici provvederò a sistemare la parte burocratica.» Aveva appena raggiunto un capannello di gente urlante, quando Isaac all'altro capo del telefono lo salutò interrompendo la chiamata; pochi secondi dopo, il breve suono che avvisava dell'arrivo di un messaggio. «Hai fatto trenta, Barry, è il momento di fare trentuno.»
    Aveva davvero poche cartucce a sua disposizione, il ragazzino, ma doveva farsele bastare.
    Quando uno degli addetti alla sicurezza gli si fece incontro, Barrow sollevó nella direzione dell'uomo il pass plastificato che teneva appeso al collo, un documento di identità falsificato da dita sicuramente esperte; ne aveva creati di migliori, il Cooper, ma il tempo era poco e le risorse ancora meno. Gli toccava arrangiarsi. Spiegò brevemente al bodyguard il motivo della sua visita durante l'allenamento della squadra di Quiddich, posandogli tra le mani a dir poco sproporzionate un foglio carico di tabelle e spazi riservate a firme e dati vari: dove lo avesse scritto, e poi stampato, e qualcosa che non ci è dato sapere. Davvero troppo sbatti pensarci, Barry è un giovine ricco di inventiva in qualche modo avrà fatto. «Stilinski?» lo stuart lo fece passare tra la folla di ragazzine urlanti, fino a bordo campo; quando si avvicinò a Stiles oer richiamate la sua attenzione, indicando al campione l'adolescente pallidino che lo attendeva un po' defilato, Barry ebbe giusto quella manciata di secondi per pensare che stava facendo la cosa sbagliata. Sua madre sembrava avere una bella vita, nonostante non avesse conosciuto alcune delle persone per lui più importanti, ed il Cooper stava per cambiargliela. Così, di punto in bianco, senza chiedergli il fottuto permesso. Chi cazzo erano loro per decidere cosa fosse meglio? «Ehi ragazzo.. Jimmy mi ha accennato chi sei, ma quando parla non capisco mai un accidente.» Era lui, somigliava a lui e parlava come lui.
    Ma non era Stiles Stilinski.
    Inghiottì a vuoto, Barry, stringendo le dita attorno al telefono per non chiuderle a pugno: avrebbe cambiato la sua vita perché quel ventunenne sorridente di fronte a lui meritava di essere il suo Stiles. «La mia è un'associazione benefica, signor Stilinski. Aiutiamo ragazzi in difficoltà promuovendo incontri con i loro campioni del cuore.» Che madornale cazzata. Si vedeva tanto che non aveva idee? La festa della notte precedente doveva avergli bruciato tutti i neuroni rimasti, poco ma sicuro. E per fortuna che non aveva esposto il suo piano ad Amalie, mentre le carezzava i capelli e lei gli respirava piano contro la pelle della gola, perché- poco ma sicuro-, la ragazza avrebbe reagito insultandolo con nuovi e fantasiosi epiteti, avendone anche ben donde.
    Stiles annuí com vigore, battendo la mano destra sulla spalla di Barry, portando il ragazzino ad un soffio dal perdere lo scarso controllo rimasto: avesse potuto semplicemente dirgli tutto, raccontare la verità e togliersi quel dannato peso dal petto, sarebbe stato perfetto. Ma non poteva, per dio. «Questo ragazzo, Isaac Lovecraft--» mostrò lo schermo del telefono al mago, un sorriso smagliante a salutarli entrambi dalla fotografia ricevuta pochi istanti prima «Ha aderito alla nostra iniziativa e vorremmo chiederle di realizzare il suo sogno.» Gli porse il foglio mostrato in precedenza al bodyguard, una pappardella scritta con la stessa precisione che Barrow utilizzava per i compiti a scuola - una delle poche cose in cui si impegnava davvero - «Qui è spiegato tutto. Per qualunque dubbio può chiamarmi al numero scritto in fondo. In ogni caso abbiamo gia organizzato un appuntamento con il ragazzo, per questo sabato.»
    Tutto bellissimo, Stiles gli fa un autografo, Barry vuole solo morire, Stiles è un pulcino quindi sicuramente si presenterà all'appuntamento, scambierà Isaac per un giovane problematico - in fin di vita? - e diventeranno senza dubbio migliori amiki ♡


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    non.. so cosa ho scritto. SPERO RISOLVA LA QUESTIONE CIAO ♡
     
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    10.12.2017 | idk
    Dondolò nervosamente sui talloni, un bicchiere di carta stretto spasmodico fra le mani. Era stata una delle prime sostenitrici del non uscire da soli, eppure non si era fidata di nessun altro per quella missione: nulla di personale, semplicemente non sapeva chi, anche in quel mondo, fosse un ribelle – perché si trovava proprio lì, la Winston, nel cuore di tutto ciò che la tacciava come una Traditrice: ai piedi del quartier generale della resistenza.
    E non era certa che neanche lei, in quell’universo, fosse una ribelle. Se doveva rischiare, preferiva farlo da sé e per sé piuttosto che mettere in pericolo l’incolumità di qualcun altro. Era rischioso affacciarsi a quel luogo, in quella Londra: potevano decidere fosse una spia; potevano dirle di non averla mai vista prima. Poteva innescare un piano di evacuazione che avrebbe portato all’esplosione dell’edificio. C’erano almeno un centinaio di imprevisti, e la situazione poteva risolversi in un migliaio di apocalissi differenti – e le temeva tutte, lei, perché statisticamente parlando, era più facile che ad accompagnarla nella sua traversata ci fosse la sfiga, piuttosto che la sua corrispettiva più amabile.
    Maeve Winston sospirò, labbra a cercare il confortante calore della caffeina. Voleva… aveva bisogno di vedere con i suoi occhi, eppure sapeva quanto azzardata fosse un interazione con loro - per la sua psiche, più che altro: non era certa di voler vedere cosa fossero o meno diventati i suoi amici, la sua famiglia.
    Ma non aveva altra scelta, Maeve. Perché aveva bisogno di vederli, di assicurarsi che almeno lì, almeno dove poteva vederli e fare qualcosa, stessero bene. Odiava essere impotente tanto quanto l’essere ignorante, ed in quei giorni stava sguazzando in ambedue le categorie: e meno male che ci sguazzava, perché l’alternativa era toccare il fondo ed affogarci. Si guardò un’ultima volta attorno, il cuore a pulsare schegge di costole nelle vene. Troppo assurdo nel suo non essere assurdo affatto, per poter ignorare il sapore di bile a pungerle la lingua. Il quartier generale non era mai stata una casa per Maeve, ma lo erano state, e lo erano sempre, le persone all’interno.
    Di certo lo era Jaden Beech, e da prima che ambedue scegliessero la strada della ribellione. L’amicizia fra le due era nata in quel modo in cui sempre nascono le cose migliori, imprevista: prima che potesse rendersene razionalmente conto, una bambina Maeve Winston si era ritrovata con il dito sulla costa di un libro ceruleo in biblioteca dicendosi che , quel libro a Jade sarebbe piaciuto. Seduta l’una affianco all’altra, non avevano progettato di tagliare quegli spazi per sedersi un po’ più vicine; non avevano messo in conto gli stessi, impossibili, occhi chiari a sollevarsi da un libro o un blocco da disegno per gelare sul posto l’intruso di turno, né i commenti caustici che parevano completarsi dall’una all’altra bocca. Fatta eccezione per i colori, quelli della casata o della chioma color grano, c’era davvero poco che le rendesse affini l’una all’altra – l’una troppa ligia alle regole, l’altra mai abbastanza; Jade a cercare uno scopo, Maeve a cercare sé stessa.
    Eppure, era stato abbastanza – abbastanza da far cessare le alzate d’occhi di Jade quando la Winston le chiedeva se avesse fatto i compiti, abbastanza da far scivolare il broncio dalle labbra di Maeve quando la Beech si cimentava in un’altra delle sue assurde trovate per cambiare e salvare il mondo. Non poteva accettare un universo dove non si fossero conosciute; era parte di quelle persone, la bionda, senza la quale Maeve non era certa di chi sarebbe diventata: Jade, Mitchell, Dakota.
    Beh. Sostanzialmente, fine. Non era poi così socievole, Maeve Regan Winston – ed il fatto che ci fosse suo cugino fra le poche persone che l’avevano aiutata ad essere ciò che era, rendeva abbastanza l’idea. Più dei suoi genitori, talvolta più di Aiden, erano stati loro, i suoi modelli. La pigra risposta al chi vuoi essere un domani, Maeve? Perché non aveva mai saputo chi, ma aveva sempre saputo con certezza cosa: migliore.
    Non doveva essere neanche mezzogiorno, quando la Winston si decise infine ad entrare nell’edificio. Aveva abbandonato Olivander presto, innaturalmente presto, molto prima che la metà dei suoi ospitanti fosse sveglia: non era ancora pronta ad affrontare le conseguenze della Festa. Era rimasta giusto il tempo che Dakota potesse svegliarsi per assicurargli che no, era stato un po’ infame ma non ce l’aveva con lui – non davvero, perlomeno.
    Fine. Si era dileguata prima che altri potessero dire buongiornissimo, caffè fra le mani e sciarpa ben stretta al collo.
    Ed eccola lì, ore ed ore (passate a vagabondare) dopo. Un altro respiro, sempre un po’ più greve ed un po’ più profondo di quello precedente. L’odore era quello giusto - un misto di biscotti e di menta, di tè e di tabacco. Serrò le labbra e represse un moto di nausea, obbligandosi a chiudere le palpebre per impedire alle lacrime di scivolare sulle guance. Piangere non sarebbe servito a nulla, se non ad attirare più attenzione del necessario. Quando Idem Withpotatoes la squadrò con i suoi enormi occhi azzurri, Maeve pensò che fosse un po’ troppo - che forse avrebbe preferito qualcosa fosse cambiato, perché vedere Casa sapendo che non lo fosse straziava il petto più di cento lame. Si immobilizzò in preda all’ansia, battito sui denti e spalle ingobbite, finchè «buongiorno, maeve» ed Idem le sorrise, un plico di fogli stretto fra le mani e sbattuto sulla scrivania per essere sistemato.
    Vide il bracciale arancio.
    Deglutì amaro e stantio, nel ricambiare il sorriso. «hai visto jade?» le domandò, sforzandosi di non lanciare occhiate inquisitorie attorno a sé: sì che stava rischiando, ma potendo scegliere preferiva evitare di incontrare sé stessa. La Withpotatoes annuì, labbra strette fra i denti. «credo sia in … sala ricreativa?» Avevano una sala ricreativa? Ecco quanto poco Maeve conosceva il Quartier Generale. Assentì come se la risposta fosse soddisfacente – spoiler: non lo era. Si ritrovò a ciondolare da una stanza all’altra cercando di rimanere più in disparte possibile, le guance pallide e la lingua morsa fra i denti a maledirla per quanto stupida fosse stata quell’idea. Stava quasi per andarsene, troppo stremata dagli obblighi morali verso sé stessa per riuscire a vivere bene una tale infrazione spazio temporale, quando - «mae? Non avevi – cos’era oggi? yoga?» Per poco non tossì un polmone, sentendosi colpevole per colpe che non aveva, quando la voce di Jade le giunse alle orecchie. Si volse nella sua direzione, e non riuscì a trattenere un sorriso sollevato – perché almeno Jade, almeno Jade, era ancora la sua Jade.
    Mentre Maeve Regan Winston faceva yoga. Lei, che era elastica quanto un pompelmo – yoga.
    In effetti, forse avrebbe dovuto cominciare. Masticò per qualche istante l’interno della guancia, palpebre serrate. «non mi sembrava opportuno, dato che -» ed eccola lì, la risposta che avrebbe risolto (sperava.) ogni problema, presente o futuro: «ho preso una brutta botta in testa» corrugò le sopracciglia, la gola secca. «forse dovrei farmi dare un’occhiata. C’è qualcuno nel nostro laboratorio?» Nel loro mondo, Jade e Maeve lavoravano fianco a fianco con Evangeline, una Medimaga – e le parve l’occasione più propizia per cogliere la palla al balzo, così da sapere quanto di loro ci fosse in quelle loro. Con il senno di poi, nostro laboratorio non aveva un gran senso – quando mai la Winston si era sentita di poterlo definire in qualche modo suo? «quello dove abbiamo fatto il test?» non attese davvero risposta, Jade, prima d’inoltrarsi all’interno del QG. Inutile dire che non riuscì a frenare il «test?» a cui la Beech rispose con un’occhiata di sottecchi da sopra la spalla. «il test. Del sangue. quanto l’hai presa forte, la testata?» Probabilmente troppo. Abbozzò un sorriso. «abbastanza» l’altra fece spallucce continuando a camminare. «se questa è una scusa per non venire al barbecue di tua sorella, fa schifo.» Cosa stava dicendo. Sorella? Si fermò al centro del corridoio, occhi ad osservare un infimo angolo del corridoio: quale sorella.
    Immaginava che quella fosse una domanda eccessiva perfino per una zuccata, quindi si morse la lingua e la seguì fino al Laboratorio.
    Grazie a Dio, non c’era nessuno. «ah, già. nathan è ai piani alti, ora»
    Aveva perfino smesso di dirsi di essere confusa, Maeve Winston: non capire era cosa quotidiana. «non ci lavora nessun altro?» domandò, avanzando d’un passo nell’asettica stanza bianca. «no?» Suonava così Jade, quando sembrava domandarle fra le righe quanta cocaina avesse sniffato quella mattina – poca, sempre poca. «e noi cosa facciamo?» «spacciamo anfetamine ai super soldati» ah-ha. Che ridere, Jaden Beech. Mi sto spaccando.
    Ah. Ah. «maeve, sembri-» «farò un salto al san mungo» chiuse la questione prima che la bionda potesse indagare oltre, lo sguardo chinato sul pavimento. Ma era seria, Maeve. Se non cercavano una cura per gli special, allora…
    Allora qual era, il loro obiettivo? Per cosa combattevano?
    «perché non lavoriamo qui?» un filo di voce, palpebre rese sottili dall’incertezza. Non si era resa conto di quanto affidamento facesse sul suo essere Dottoressa, finchè yoga non era apparso a caratteri cubitali nella sua vita: come si rendeva utile, Maeve Regan Winston, alla causa della ribellione?
    Ti supplico, non dirmi Guerrigliera. Ti prego, buon Dio, non Guerrigliera.
    La Corvonero si strinse nelle spalle, uno sguardo distratto ed annoiato nella sua direzione: «dovremmo?» Fu in quel momento, in quella cupa sfumatura delle iridi di Jade, che Maeve comprese cosa ci fosse di diverso – era spenta, ed al contempo riluceva come un faro.
    Come quando frequentavano Hogwarts, e Jaden Beech voleva fare sempre più di quel che realmente faceva – sempre essere di più, senza rendersi conto che la differenza la faceva già nella vita degli altri. Che nella sua, l’aveva fatta. «non tutti gli scelti sono volontari» osservò, scandendo lentamente ogni sillaba. «tutti devono avere la possibilità di tornare a casa, alla propria vita. non è giusto che qualcuno scelga per qualcun altro – quindi sì, non solo dovremmo, ma dobbiamo.» istintivamente, allungò una mano e le diede un pizzicotto sul braccio. «che ne è di jaden cambio il mondo beech? Di jade fak the system Beech?» Se la regola era diventare Scelti, credeva che romperla fosse cercare un modo per togliere loro quel privilegio. «il SISTEMA» enfatizzò, memore di tutte quelle volte in cui la bionda l’aveva pronunciato con quel medesimo misto di disprezzo ed arroganza che alla Winston aveva sempre fatto alzare gli occhi al soffitto – neanche fosse stata una parolaccia, sapete. «è sbagliato. pensi che possa bastare spruzzare un po’ di vernice in giro con scritto acab per cambiarlo?» Le puntò L’INDICE contro, il pugno sinistro chiuso e poggiato sul fianco. «bisogna lavorare dalla base. Una volta scoperto l’antidoto agli Esperimenti, possiamo distruggere i Laboratori direttamente alla base – infiliamo l’antidoto nelle… bocchette d’aria? Non lo so, la parte cool di solito è tua» vero. Maeve Winston peccava di fantasia. «e dopo, ci riprendiamo il nostro mondo, alle nostre regole» Leggi nuove, leggi giuste: uguaglianza, fraternità, e tutti quei dettami che la Francia vantava nel proprio motto e non era mai stata in grado di applicare nel modo giusto. Schioccò le dita con improvvisa urgenza, afferrando al volo due camici abbandonati sugli appendini – uno per sé, ed uno che lanciò senza troppi complimenti a Jade. «dico sul serio. Dovremmo iniziare subito» dove con dovremmo intendeva dovresti, e con subito voleva dire ora. «fai qualcosa, jade. Cambia la storia» e firmala con vernice rossa, se ti va. Jade la guardava perplessa, e Maeve – tutte le Maeve- non poteva darle torto: era famosa per tante cose, la Winston, ma non di certo per i suoi appassionanti discorsi sulla Ribellione.
    Anzi. «cambiamo?» che non voleva essere una domanda, ma l’insegnante di Incantesimi colse comunque l’indugio – ed allora inarcò un sopracciglio e curvò metà della bocca in un mezzo sorriso. «se devo rompermi le palle in un laboratorio, il minimo che tu possa fare è romperti le palle con me» «farò questo sforzo» e l’avrebbe fatto sempre.
    Ma magari non in quell’esatto momento, ecco. «me lo ricorderai fra, mh, qualche ora? sai che le droghe del san mungo mi confondono» #cosa. «vuoi che venga con te?» Meh. «no, c’è -» chi c’era? Mistero della fede. «un mio amico» tentò, esitante.
    Chissà, magari in quella vita Maeve Regan Winston aveva degli amici sul serio – uau.
    Si fermò sulla soglia, consapevole che si trattasse di quei momenti now or never. Lanciò un’occhiata da sopra alla spalla alla Beech, lingua a schioccare sul palato. «dov’è mia sorella?» perché chi è, sarebbe parso rude. «ne hai un’altra?» domanda interessante. Ne aveva? Se non lo sapeva Jade, con sta minchia di mare che lo sapeva Maeve – così si strinse nelle spalle, un sorriso interpretabile. «spero che lei sia più fortunata di me e non sia stata costretta a – questo»
    Cosa stava succedendo.
    Play it cool, Mae. Play it cool.
    «non è così male essere mia sorella» beh... un pochino, dai.
    «poteva andarmi peggio»
    Play
    It
    Cool.
    «okay» –cit.
    Così, più confusa di un tricheco alle terme, Maeve lasciò il Quartier Generale della Resistenza.
    Chi era Jaden Beech?
    «mia sorella» era sua sorella.
    La gemella sinistra.

    How did I lose it when I was right there? Now I'm so far that it feels like
    it's all gone to pieces Tell me why the world never fights fair


    risolta /////risolta ///// la questione CIAUZ 2117 ARRIVOH
     
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    ALEXANDER LOWELL
    Il cielo si era tinto di rosso ed arancione salutando il sole che aveva lasciato il posto alla luna, fredda e pallida in quella notte di inizio dicembre. Un fievole alone bianco circondava la triste luna, facendola apparire più grande di ciò che in realtà era. Era così bella e pura da riuscire a calmare anche gli animi più agitati, infondendo pace e serenità volti a placare ciò che di sicuro si annidava negli animi turbolenti.
    Quella notte non andò a dormire, rimase sveglio fino a quando Morfeo lo accolse tra le sue braccia, cullandolo in un rassicurante quanto angosciante abbraccio. Erano trascorsi pochi giorni da quando era stato catapultato in un mondo estraneo che lo faceva sentire fuori posto, inadeguato per il luogo e il tempo in cui si trovava, eppure parevano essere trascorsi anni. Rimase sveglio, lo sguardo rivolto verso il pallido bagliore della sfera che emanava luce e tristezza ma forse la colpa era del mese in cui erano entrati appena pochi giorni prima. Dicembre. Aveva sempre amato quel mese nonostante il freddo e la mancanza di festeggiamenti natalizi, perché sì essere figlio di sua madre significava anche partecipare a noiosi incontri di lavoro mascherati da festa di Natale dove non vi erano alberi o decorazioni che richiamassero la festività. La festa a cui aveva partecipato da Ollivander solo due giorni prima era forse la più grande e rumorosa che si fosse mai concesso in vita sua, in genere festeggiava solamente in compagnia dei ribelli quando organizzavano qualche cena o festa al quartiere generale della Resistenza. Quello era il primo anno in cui poteva passarlo con la sua famiglia eppure anche quell'anno la famiglia era divisa a metà ed Alec non faceva che chiedersi se era questo ciò che lo aspettava. Sembrava quasi impossibile riuscire a conciliare la sua vita in modo da avere la famiglia riunito, forse era la maledizione della sua famiglia. In fin dei conti aveva avuto inizio il giorno della sua nascita, anzi forse era iniziato tutto con il giorno in cui lui e Cain erano stati concepiti ed abbandonati dal padre. Eppure una donna come Sephora non avrebbe mai permesso ad un un ko di trattarla in quel modo, non senza vendicarsi e conosceva troppo bene sua madre per non immaginare cosa avesse fatto al padre dei suoi figli. Sospirò chiudendo gli occhi ed addormentandosi cullato dal mormorio dei compagni impegnati in chissà quale conversazione.
    Riprese i sensi quando i raggi del sole colpirono il volto provato dalla stanchezza e si stiracchiò allungando in alto le braccia e sbadigliando sonoramente. Addormentarsi seduto contro la finestra non era il massimo della comodità ma poteva andatagli peggio, per lo meno aveva un tetto sopra la testa ed era quanto meno al sicuro durante la notte, sempre meglio di niente visti i tempi che correvano. Devo passare in biblioteca, porto la colazione al mio rientro disse passando oltre Maeve mentre usciva in strada da solo, nonostante il giorno del loro arrivo fossero stati molto chiari riguardo le uscite in solitaria. Ma era qualcosa che sentiva di dover fare da solo. C'era un gran via vai di persone quella mattina e questo gli permise di passare inosservato semplicemente mescolandosi con loro. C'era chi correva al lavoro, chi si affettava in un locale qualsiasi per consumare una sostanziosa colazione e chi come lui aveva commissioni urgenti da fare. Non credeva di aver mai visto così tante persone muoversi con tanta velocità, sopratutto non aveva mai visto le strade di Diagon Alley gremite di gente. In quel momento sentiva di essere invisibile ed era la sensazione più bella e familiare al mondo, in quel momento la mente non registrò di trovarsi a Londra quando piuttosto a New York, la città che li aveva accolto quando Londra gli aveva voltato le spalle e la famiglia aveva voluto fuggire dallo scandalo di un ragazzino troppo manesco tra i banchi di scuola.
    Le ragioni delle azioni non importavano a nessuno, l'azione era ciò che valeva più di tutto e non si poteva dire il contrario. Uno sbaglio poteva marchiare a vita ed Alec sapeva cosa significava essere marchiato per un errore commesso all'età di dodici anni. Poteva andargli peggio in fondo dei conti ma aveva una madre estremamente brillante che sapeva mettere a tacere le voci e quando diventava un problema -poco importava che tu fossi suo figlio, sangue del suo sangue- se ne occupava personalmente arrivando perfino ad uccidere la propria prole. Quale persona sana di mente permetterebbe mai ad una persona del genere di procreare? Era qualcosa di assolutamente fuori dal mondo ma Alec aveva imparato a non aspettarsi nulla dalla vita, niente aveva più senso. Mantenendo quanto più possibile un basso profilo entrò nella prima libreria che gli capitò a tiro ed un sorriso naturale gli si stanno in volto alla vista dei tomi vecchi ed impolverati che riempivano di vita gli scaffali che per troppo tempo erano rimasti vuoti, come privati di vita propria, di propria identità. Quella era la prima e forse l'unica ragione di gioia ricevuta da quando era stato catapultato in quella dimensione in seguito allo scontro con gli uomini di Vasilov.
    Posso essere d'aiuto? gli chiese la commessa della libreria, le sorrise appena riconoscendola ma non la salutò come avrebbe fatto se dinnanzi a lui ci fosse stata la sua controparte. In realtà sì, cerco un libro sull'animagia la ragazza lo squadrò per qualche secondo forse chiedendosi cosa lo portasse a ricercare un libro di cui era proibita la vendita, in fin dei conti erano in molti ad aspirare a diventare animaghi ma era una pratica alquanto pericolosa e controllata dal ministero della magia, la ragazza per fortuna non commentò limitandosi a recuperare il libro per lui. Forse si aspettava di essere arrestata.
    Ti ringrazio, non sai quanto sia importante le disse prendendo il volume ed uscendo nel freddo di quella giornata con il libro nascosto sotto la giacca. Per quanto fosse felice di aver trovato dei libri non se la sentiva di sfidare troppo la fortuna e rischiare di mettersi nei guai. Era già tanto che fosse riuscito a sopravvivere quattro giorni senza farsi uccidere.
    Ora doveva solo riuscire a dare il libro a Nicole mantenendo l'anonimato e possibilmente senza farsi vedere, stava già rischiando molto andandosene a zonzo quando chiunque poteva riconoscerlo, e lui non sapeva che tipo di persona fosse Alexander Lowell in quella dimensione, non ne aveva proprio idea. Era troppo complicato fare pronostici perché in fondo dei conti anche il dettaglio più insignificante della sua vita poteva aver dato una nuova identità al ragazzo, così diversa da lui che se avesse incontrato la propria controparte avrebbe faticato a riconoscerla, oppure talmente simile da pensare di aver viaggiato in un ulteriore dimensione. Poteva solo immaginare quali cambiamenti erano necessari nella propria vita per renderlo una persona diversa, ma il timore di scoprire cosa si stava perdendo l'Alec di quella dimensione lo aveva spinto a smettere di cercare una risposta che avesse senso. Voleva preservare il segreto e non pensate alle possibilità, non pensare alla crudeltà della vita perché certamente uno dei due era stato sfortunato ed il peso era troppo da sopportare.
    Così assorto nei propri pensieri non si accorse di essere finito dove tutto era cominciato, il risveglio e la consapevolezza di non essere più nel proprio mondo ma di aver in qualche modo viaggiato attraverso il tempo e lo spazio. Avis, il cuore di Diagon Alley, il polmone verde della via più famosa del mondo magico, dove maghi di ogni generazione, razza e sangue si addentravano al fine di fare acquisti e scoprire la vita dal l'unto di vista di un mago. Il punto d'inizio che molti non significava nulla ma per alcuni significava mettere sottosopra il proprio mondo ed abbandonare le certezze che li avevano accompagnati fino a quel momento. Fu in un momento di totale rilassamento che si accorse di una bambina spaesata che lo guardava con i suoi grandi occhi azzurri. Le sorrise dolcemente e dovette fare fronte a tutte le proprie energie per non mettersi a piangere in mezzo alla strada.
    Catarina.
    Esisteva anche in quella dimensione e questo lo rendeva pieno di goia, tanto che il cuore avrebbe potuto scoppiargli nel petto dalla felicità ed a lui non sarebbe importato. Si avvicinò non curando affatto ciò che la figlia indossava o lo strano comportamento del tutto composto, passano tutto in secondo piano quanto lei era lì in carne ed ossa, ciò che aveva desiderato per rutto quel giorno era divenuto realtà. E non era riuscito ad impedirsi di avvicinarla nonostante fosse a conoscenza del pericolo che correva. Stava mettendo in pericolo anche sua figlia ma proprio non riusciva a frenarsi. Solo per pochi secondi.
    Una toccata e fuga. Non chiedeva altro.
    Gli occhi della bambina si illuminarono quando incrociarono i suoi e per qualche secondo solo loro esistevano, niente li circondava. Ma quando si accorse che la bambina aveva cominciato a sentirsi impaurita da lui genette di essere stato scoperto, cosa non di aspettava erano le scuse mormorate e gli occhi pieni di lacrime di chi non vedeva alcuna via d'uscita alla propria situazione. Hey sweety va tutto bene le sorrise accucciandosi dinnanzi a lei per raggiungere -più o meno- la stessa altezza e non sovrastarla con la figura imponente che possedeva. Vuoi dirmi cosa succede? le chiese dolcemente e qualcosa nel suo tono dovette stupire avrai punto la bambina che quella spalancò sbalordita gli occhi. Uno strano pensiero cominciava a formarsi nella sua mente ed Alec non voleva completarlo, non poteva sopportare una simile verità. Ho sporcato le scarpe nella sabbia, non volevo! Non arrabbiarti sospirò scuotendo il capo ed abbracciando la bambina perché qualunque fosse la dimensione in cui si trovava, quella era sua figlia e ciò non sarebbe mai cambiato. Ca tutto bene, che ne dici di una bella colazione? le chiese e dopo aver ricevuto risposta affermativa con un cenno del capo, prese per mano Cat portandola al Red Velvet, promettendole di comprarle tutto ciò che desiderava.
    E fu mentre rovistava tra vetrine e scaffali che notò qualcosa che certamente avrebbe aiutato la sua impresa. Era un cioccolatino animarono a forma di leopardo. Sorridendo decise di acquistare anche quello. Quando i due finalmente lasciarono il negozio di dolci, con le tasche piene ed il volto illuminato da un sorriso, si fermò a chiedere a Catarina se lei conosceva una certa Nicole ed alla risposta affermativa della bambina, si abbassò al suo livello me tre in lontananza scorgeva la madre di sua figlia, pareva essere alla ricerca di qualcosa -o meglio qualcuno.
    Ho una missione super importante per te e la bambina, presa dalle parole, annuì con vigore quando vedrai Nicole, consegnare questo libro molto importante ed il cioccolatino, ma non dirle che sono da parte mia nonostante la chiara confusione scritta in volto, annuì ed Alec le diede un bacio in fronte e sparì dalla una vista prima che fosse trovata dalla madre.
    Con il cuore più leggere si affrettò a tornare da Olivander dove i compagni attendevano impazienti il ritorno a casa.
    1992 × EX-WAMPUS
    REBEL'S TRAINER
    PROUD FAMILY MAN
    09.12.2017
    HE HADN'T STOPPED WANTING LOVE
    HE HAD SIMPLY STOPPED LOOKING

    [indagine su Nicole] questione risolta
     
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3 replies since 12/1/2018, 02:58   298 views
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