everyone has a breaking point

arci / floyd

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    Sguardo verso il muro, la lingua a inumidire con meditata calma le labbra screpolate e doloranti. Sentiva i fiati sospesi nell'attesa che lui riprendesse la parola, i colli tendersi per cogliere ogni movimento, ogni possibile sussurro... ma i suoi occhi erano assenti, guardavano altrove, vedevano altrove; dove e cosa, i bambini seduti per terra potevano solo immaginarlo. Dopo qualche secondo di tensione qualcuno deglutì per prendere coraggio e dire: «Signor Simmons, se non le va di parlarne-»
    Danihel sobbalzò, un gatto che si accorge all'improvviso della presenza di qualcuno. «No», secco, deciso. Si voltò di scatto verso il bambino che aveva parlato, stiracchiando a questo punto un sorriso stanco e ripetendo con più dolcezza mentre si risistemava in poltrona: «No. Va tutto bene, a volte è solo... difficile. Ma voi siete venuti fin qui, vi ho detto che vi avrei raccontato... ed è giusto che lo faccia. E' giusto che sappiate» annuì fra sè e sè «Che non dimentichiamo» fiato incamerato a fatica nella gabbia toracica, aria a raschiare la gola. «Dov'ero arrivato?»
    «A quando avete iniziato a sentire gli spari»
    Danihel buttò fuori il fiato annuendo «gli spari, giusto» Non aveva bisogno di ripescare troppo nella propria memoria; i suoni, le immagini, tutto di quel giorno era impresso a fuoco nella sua mente. Lo sarebbe stato per sempre. «Abbiamo iniziato a sentire gli spari. Tedeschi, ovviamente: era una trappola, sapevano che saremmo approdati lì. Qualcuno ha gridato di correre e cercare un riparo, ma non era necessario: sapevamo di doverlo fare, eravamo stati addestrati per farlo. Ma Peter»
    «Peter!» ripetè qualcuno con la mano davanti alla bocca
    «Peter si è beccato un paio di proiettili prima da qualche parte verso lo stomaco, poi-» Dan strinse le labbra, iniziando a scuotere la testa «poi alle gambe. E' caduto. Sapevo di dover correre. E' questo che ci insegnano: lasciare i feriti indietro, perchè è il personale medico che raccoglie chi resta indietro. Ma non c'era tempo, lo avrebbero ucciso lasciato così esposto, e io-» tentennò.
    «Non potevi lasciare indietro il tuo amico!» «Non Peter»
    «Non potevo lasciare indietro il mio amico» ripetè, soppesando le parole con lentezza «Non Peter» Il solo ripensare a Peter lo obbligò a chiudere gli occhi. I bambini trattennero il fiato, di nuovo, gli occhi grandi e colmi di interesse e aspettativa. «sono tornato indietro a prenderlo» Spalancò le palpebre all'improvviso, facendosi avanti. Una bambina sobbalzò quando gridò: «"NON PUOI MORIRE QUI! NON PUOI LASCIARMI!", ho urlato. L'ho preso in braccio ignorando i suoi gemiti di dolore e di supplica a lasciarlo lì perchè sapevo che era la cosa giusta da fare, forse non come soldato ma come uomo. Il suo corpo mi scivolava fra le dita, madido di sangue, così tanto sangue...» si guardò le mani, come vedendolo ancora lì, appiccicato alle dita, visibile e impossibile da lavare da sotto le unghie « "tieni duro, amico". Mi sono spostato con Peter dietro un albero, per metterci al riparo. Ho guardato dritto davanti a me, oltre la foresta rada: la nave era ancora lì, potevo portare Peter in salvo, lasciarlo alle cure dei medici in modo che non morisse dissanguato... ma i colpi continuavano a partire, più numerosi di prima. Ho dovuto fare una scelta: aspettare al sicuro, e lasciare che Peter morisse dissanguato... o rischiare la mia stessa vita, ma dargli una possibilità di salvarsi.» pausa «Ho iniziato a correre, incurante di tutto, pensando solo a tenere la presa salda sul corpo del mio compagno. All'improvviso, ho sentito un dolore insopportabile alle gambe, alle braccia, alla scapola soprattutto.» («E' così che si è fatto la cicatrice!» commenòt qualcuno, subito zittito da un coro di shhhh) «Ho gridato, ma mi sono detto "non posso lasciare cadere Peter. Non ora. Lui mi ha salvato la vita" » i bambini annuirono, ricordando un altro racconto sentito, ma Danihel distolse lo sguardo, incapace di reggere quello così speranzoso dei piccoli «...ma lo stavo per fare, stavo per lasciarlo cadere. E lo stavo per fare, perchè gli occhi di Peter erano puntati su di me. Vitrei»
    Dopo i vari "Oh!" "No!" "Peter!" per un po', nessuno prese la parola. I bambini erano ormai quasi attaccati ai suoi piedi, qualcuno con la mano davanti alla bocca, altri con gli occhioni lucidi. Danihel riprese a parlare con calma, come se facesse fatica a tirare fuori le parole «Era... troppo tardi per lui. Lo sapevo, me ne rendevo conto. Peter mi aveva già abbandonato per quanto volessi negarlo a me stesso... ma io non... potevo... non avrei dovuto... » si morse il labbro «ho lasciato la presa» deglutì «Per salvarmi, solo per correre più veloce avendo già gli arti feriti, ho lasciato cadere il corpo martoriato e ormai esangue di Peter, mio primo e più caro amico nei marines. E sono fuggito. E' il mio più grande rammarico»
    Si portò una mano davanti alle labbra, un singhiozzo trattenuto a stento mentre guardava oltre alla finestra. Dopo poco, delle braccine gli si strinsero alle gambe «Non può farsene una colpa, signor Simmons!» esclamò il primo bambino «Già!» continuò un altro «Peter avrebbe voluto che lei si salvasse!»
    Danihel abbassò lo sguardo su di loro, un sorriso dolce e triste dipinto sulle labbra «voi dite?»
    «Ma certo!»
    Danihel si sporse in avanti per prendere il bambino più piccolo da sotto le ascelle, e posarselo in grembo. «grazie del supporto, Jimmy. Significa molto per me»
    Qualcuno si schiarì la voce, e tutti quanti si voltarono verso la ragazza appoggiata al muro. «Bambini, è ora di tornare a casa. Mio fratello continuerà il racconto domani» Qualche lamentela, borbottii indistinti, ma Mariel non aveva intenzione di ripetersi. Scacciò i piccoli accompagnandoli alla porta («Si ecco, lasciatemi pure i due dollari che daremo al gruppo dei veterani dei marines di Santa Ornella di Teneramenteamore, grazie sì, ricordate ai vostri genitori che se vogliono dare di più la beneficenza è sempre ben accetta e fa salire più velocemente verso il paradiso»), finchè non ne rimase soltanto una. La bambina si allungò verso Danihel, ancora seduto in poltrona, e gli scoccò veloce un bacio sulla guancia. «Lei è un eroei, signor Simmons» Danihel sorrise, e le stropicciò i capelli rossi. Eroe. «Sei gentile, Meredith, ma andando in guerra ho fatto solo il mio dovere di cittadino. Vai a casa, su»
    La guardò trotterellare via, e quando anche lei fu uscita Mariel chiuse la porta per poi appoggiarvicisi.
    Lo sguardo che Gwen rivolse ad Arci era fra il divertito e lo sconcertato. «Oggi ti sei impegnato»
    Archibald alzandosi in piedi si stiracchiò lentamente, gli arti doloranti dopo essere stato seduto sulla poltrona... quanto? mezz'ora? Un'oretta? Di più? A volte perdeva davvero il conto del tempo «Me l'ero preparata da un po'. Poi ieri sera ho pensato "e se l'uomo che ho cercato di salvare fosse stato proprio il buon vecchio Peter?"» senza un ulteriore sguardo a Gwen, si diresse all'Armadietto (il sacro armadietto), afferrando la bottiglia che aprì senza neanche guardarla. «Un bel colpo di scena, la morte del migliore amico fra le braccia di Danihel. Mi aspettavo più lacrime, ma il pubblico non mi ha deluso neanche oggi»
    «Sei terribile»
    «Come la guerra, sorellina, come la guerra» Non che ne sapesse davvero un cazzo, della guerra in america nel 1917 ma sapete cosa? Neanche quei bambini o i loro genitori. Fece il primo, lungo, sorso.
    Aveva iniziato a raccontare a quei bambini la sua vita - o meglio, la vita di Danihel - ormai settimane fa. Era iniziato tutto dopo la gita del gruppetto del catechismo organizzata da Padre Abraham, in cui Arci, un po' per gioco e un po per noia, si era lasciato andare a mirabolanti avventure, storie di viaggi e posti esotici che loro, sicuramente, non avevano (nè probabilmente avrebbero, essendo inventati) mai visto. Con il tempo, si era affezionato al proprio personaggio Danihel, e se la prima sera in quel buco di culo aveva detto a Gwen e Aidan di avere headcanon, entro qualche giorno aveva in testa l'intera biografia. I suoi gusti, il suo carattere... sapeva che il suo libro preferito era l'Odissea, che amava i cani, che era sterile e quindi non avrebbe mai potuto avere figli propri. Aveva deciso di prendere le note di Lancaster come linee guida, e aveva modellato il Simmons come un vaso fra le due dita. Dan aveva difficoltà nell'avere una relazione per colpa del padre che li aveva abbandonati dopo anni di tradimenti alla moglie, era gentile ma forte, coraggioso, segnato nel profondo da quel poco che aveva visto della guerra. Eroico. Aveva difetti, ovviamente, e nel segreto delle proprie mura domestiche (o nella discrezione dell'unica taverna del paese) era un alcolizzato senza speranza, ma era difficile fargliene una colpa, quando ne aveva passate così tante.
    «E così Peter è morto»
    Aveva già bevuto l'equivalente di un paio di shot, quando apparve Aidan. Si voltò a guardarlo continuando a mandare giù, abbassando poi la bottiglia e pulendosi lentamente le labbra con la lingua. Forse Danihel non era l'unico ad aver sviluppato un certo attaccamento alla bottiglia, e lui e Arci si assomigliavano più di quanto il Leroy volesse ammettere.
    «geloso, Woody?»
    Ovviamente non si poteva essere geloso di qualcuno che non era mai esistito, ma ecco la parte divertente e triste di tutta quella storia: Arci iniziava a crederci davvero. Arci iniziava a sentirsi, volersi sentire, Danihel. Era più facile piangere una madre morte di malattia, un amico (segretamente innamorato di lui, ma questo ai bambini iper cattolici non diciamolo) perduto o un padre assente quando non ci sono più e basta, piuttosto che restare giorni e giorni e giorni a pensare alla propria famiglia, ai propri amici, che ancora non sono neanche nati e che probabilmente non rivedrai.
    «Per sempre»
    Prese un altro sorso veloce. Gesù, ogni volta che pensava a Lydia, Jeremy, Bells, Euge... ogni volta che la sua mente andava ai visi di coloro che non vedeva da un mese (solo un mese?), che non avrebbe mai più rivisto, voleva morire.
    Non era mai stato un ragazzo ottimista, Arci. Non vedeva il bicchiere mezzo pieno, non vedeva un modo per ritornare a casa. Nella vita reale, non c'è un sempre felici e contenti, perchè l'unico per sempre a quanto pare era il tempo che sarebbero rimasti bloccati fottutamente lì. Avrebbe resistito un mese, un anno, anche di più... se solo avesse saputo che, prima o poi, sarebbe finita. Così era terribile. Non poteva neanche pensare di farsi una nuova vita e basta, perchè Lancaster li aveva avvisati che cambiando troppo, le cose sarebbero state poi catastrofiche nel 2017; effetto farfalla.
    "Ma perchè cazzo ci sto ripensando?" Buttò giù l'equivalente di un altro bicchiere. «vado a farmi un giro» posò la bottiglia sul comò con ostentata forza. Non guardò nè Aidan nè Gwen, dirigendosi verso l'attaccapanni, nè ascoltò cosa avevano da dirgli mentre si metteva la giacca. Forse gli stavano facendo notare che era brillo, forse gli stavano solo dicendo che aveva la camicia aperta. Fanculo, lo sapevano tutti gli abitanti di Bodie che Danihel ogni tanto non era in grado di controllarsi, e girava per le strade della cittadina ubriaco fradicio. "«Colpa della guerra»", secondo alcuni "«Colpa del sangue»", secondo altr; inutile dire che Dan e Arci preferivano la prima versione, sebbene fossero entrambi segretamente consci che fosse colpa della seconda.
    Uscì di casa con le mani infilate nelle tasche, il passo spedito, la falcata lunga accompagnata da sorrisi ai cittadini di Bodie che caratterizzavano il Marines.
    Era Danihel, voleva essere Danihel in quel momento più che in altri.
    Danihel era felice della sua vita.
    Danihel aveva sua sorella accanto a sè.
    Danihel aveva i propri amici a distanza di una casa.
    Danihel aveva Wood Kingsley.
    Danihel avrebbe passato il Natale con le persone che amava.
    Si accorse di aver camminato per mezz'ora buona, solo quando si ritrovò di fronte allo stesso edificio per la seconda volta (era un paese così piccolo, che a circumnavigarlo del tutto ci voleva assai poco). Alzò lo sguardo verso l'insegna, le labbra strette fra loro.
    A Danihel quel posto non diceva assolutamente niente. Non ci era mai entrato - non gli interessava. Faceva con piacere la spesa per togliere oneri alla sorella, ma lì- lì no. Mandava lei, mandava Wood, mandava addirittura i bambini. Era una casa stregata, per Arci: hai i desiderio masochista di entrarci, ma allo stesso tempo ti fa paura anche solo vederla da fuori e sai che, una volta entrato, te la farai di fronte ai pantaloni.
    Ma aveva bevuto, ma sentiva il bisogno di qualcosa. Deglutì, in stallo di fronte alla porta.
    E Arci entrò.
    L'odore di pane appena sfornato lo investì subito, così come l'aria calda del locale, e insieme a sè portò un dolore lancinante al petto. Quello era odore di casa.
    Akelei seduta sul bancone a roteare gli occhi. Morrigan che si beveva il caffè in un angolo mentre Bella gli raccontava chissà cosa. Gin che rideva agitando le manine al cielo. Bells, Jeremy e Oscar che giocavano a carte con davanti delle brioches offerte dalla casa. Lydia che si metteva i capelli dietro l'orecchio con un sorriso sereno e un «Stai tranquillo, aspetto che finisci il turno poi ordino di nuovo insieme a te».
    Non aveva mai capito quanto gli piacesse la propria vita, finchè non l'aveva persa.
    «C'è nessuno?» si umettò le labbra, guardandosi in giro e studiando il locale nel tentativo di riprendersi. Non era il B&B, non avrebbe più visto quel posto. Cristo, quando era diventato così fottutamente sentimentale? Era colpa di Danihel, sicuramente. Lui era una mezza sega quando andavi a parlare di sentimenti e cazzate varie, dove Arci invece preferiva affrontare il dolore arrabbiandosi e spaccando cose.
    Pensò che avrebbe potuto comprare un po' di pane per la cena (aveva qualche spicciolo in tasca), o magari qualcosa di dolce per fare una sorpresa a Gwen. Invece «Vorrei parlare con il proprietario» gli uscì da sola la richiesta. Danihel, Arci, entrambi. «sto cercando lavoro»
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    Edited by perfectly f u c k i n g civil - 23/12/2017, 01:37
     
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    «quindi…» Floyd Villalobos alzò un sopracciglio, le spalle premute contro il legno della parete e lo sguardo a cercare quello del prete oltre la grata del confessionale. Sapeva bene, dopo oramai due settimane da che le cose erano cambiate in quel di Bodie, che avrebbe potuto attendere in quel loculo della chiesa californiana per ore intere prima di ricevere l’attenzione del nuovo parroco, e che anche dopo che queste fossero trascorse non avrebbe ricevuto ciò per cui si era spinto fino al centro della piccola cittadina. Non che la cosa lo tangesse più di tanto, arrivato a quel punto. Onestamente il colombiano non era mai stato il tipo di persona incline a modificare la propria prospettiva così velocemente, abituato com’era stato a vivere sotto un regime patriarcale nella villa di Bogotà dove le uniche cose che vedeva cambiare erano le domestiche e talvolta gli insulti, ma aveva visto talmente tante cose assurde nell’ultimo anno che si era arreso alla consapevolezza che adattarsi era l’unica alternativa che gli fosse rimasta: se era arrivata strana gente da chissà dove, e se a quanto pare lui, Barbie e pochi altri erano gli unici del paese ad essersi accorti di quanto irreale fosse la loro presenza lì, lui non poteva assolutamente farci nulla. Doveva soltanto fingere fosse tutto nella norma, Floyd, e comportarsi di conseguenza: essersi diretto in chiesa quella mattina, altro non era che un dettame di abitudine e lavoro - cercava di elemosinare (inutilmente) una confessione a padre Shaw da quando Jerome, sacerdote di fiducia di Bodie, era misteriosamente scomparso da tutti i radar, ed in più doveva consegnare una caterva di ostie per la messa di Natale.
    Tutto nella norma.
    Naturalmente, le fondate teorie di Barnaby Jagger secondo le quali tutti i nuovi arrivi erano provenienti dal futuro e facevano parte di qualche magico culto che aveva annebbiato la memoria degli abitanti della cittadina, non avevano niente a che fare con la sua visita ad Abraham e Mariel. Non voleva avere niente a che fare con quella roba, e fingersi detective di certo non faceva per lui: si era reso conto da subito che c’era qualcosa di strano negli intrusi, più per la capacità che gli era stata donata di percepire i poteri altrui che altro, ma aveva deciso dapprincipio di non immischiarsi in alcun modo possibile.
    Assolutamente.
    «mh?» schioccò le labbra tra loro, muovendosi appena sul posto. «¿hemos acabado?» fu solo a quel punto che padre Shaw alzò gli occhi – annoiati, come se avesse effettivamente ascoltato o fatto qualcosa in tutto quel tempo: era abbastanza sicuro, Juan, che in quella sede avrebbe potuto liberare ogni scheletro che teneva nascosto nell’armadio e nessuno avrebbe comunque udito una sola parola di quanto detto -, ed anziché elencargli la lista delle preghiere da fare per liberarsi dei propri peccati si strinse nelle spalle, le dita della destra a sventolare nell’aria con sufficienza. «sì, sì, come ti pare» seguì l’uomo fuori dal confessionale, raggiungendo con lui la panca sopra la quale aveva lasciato le buste della panetteria. «ci sono anche quelle speciali, mh?» il colombiano arcuò entrambe le sopracciglia, offeso da quale che fosse l’insinuazione dello straniero: per chi l’aveva preso? «fintanto che vengo pagato» cosa che non veniva propriamente fatta, tra l’altro, ma era la Chiesa: da bravo cristiano appena riconosciuto qual era, Floyd poteva chiudere un occhio nella casa del Signore e fingere che venisse ben pagato per l’aggiunta che veniva fatta nel retrobottega – la quale, era abbastanza sicuro di ciò, non doveva essere particolarmente legale negli Stati Uniti. Beh, avrebbe alzato l’aliquota per chi avrebbe comprato in quei giorni. «están aquí» commentò, indicando la busta più piccola. «spero non vogliate darla ai fedeli» sarebbe stato divertente, senza alcun dubbio, ma non voleva essere responsabile di un’allucinazione di massa che, conoscendo la popolazione, avrebbe portato quel posto ad una fine prematura. Fortunatamente, l’espressione disgustata del parroco gli tolse ogni dubbio. «non essere stupido, peeta» socchiuse le labbra, quel ¿como? a premere sulla lingua incapace di prendere forma. Peeta? Era un qualche insulto del nuovo millennio dal quale era possibile venissero?
    Non gli interessava davvero saperlo. «il mio nome è floyd» Abraham sospirò, affranto e sconfortato. «e a me non interessa» andò a recuperare una delle ostie speciali, prima di congedarlo dalla chiesa con un seccato «sciò» accompagnato da un morbido sventolio della mano.
    Se c’era un insegnamento utile che il padre gli aveva dato nel corso degli anni, era quello di non farsi troppe domande sui clienti ai quali vendevano i loro prodotti. Uscì dalla dimora del Signore senza porgersi ulteriori quesiti, per poi percorrere la strada a ritroso verso il proprio locale cercando di pensare il meno possibile a quanto assurda fosse diventata la vita di Bodie negli ultimi quindici giorni.
    Quasi gli mancava quel periodo in cui la più grande stranezza del paese era la casa di Barbie che andava nuovamente a fuoco – cos’era un demonio incarnato nel corpo di un ragazzo balbuziente, in confronto a preti che si facevano di cocaina e contadini tatuati che non avevano idea di come si tenesse in mano una pala?
    Mise piede nella panetteria ancora prima di accorgersi di essere alle calcagna di un giovane cliente, le iridi azzurre già posate sul proprio aiutante dietro al bancone. Al «c’è nessuno?» privo di risposta del ragazzo, non poté che rispondere con un’alzata di occhi al cielo - buon Dio. Superò il moro, colpendo con uno strofinaccio il garzone che avrebbe dovuto rispondere al posto suo, e che invece – giustamente – aveva deciso di addormentarsi davanti agli avventori del luogo. «tómate un descanso, cabrón» come se già non ci fosse, in pausa. «soy el propietario» riprese, rimanendo fisso sulle spalle di un Gustavo che andava a nascondersi nel retrobottega senza fare un fiato. «disculpa» si voltò umettandosi le labbra, un mezzo sorriso ad alzare appena l’angolo destro della bocca. «sono io il proprietario» ripeté in un forzato inglese, studiando la figura del ragazzo.
    A quel punto, pronunciò un poco di più il sorriso mentre un biondo sopracciglio andava a sollevarsi scettico. Si appoggiò al bancone, le braccia conserte sul petto. «danihel simmons, giusto?» azzardò, pur sapendo già la risposta: il fatto che non volesse assolutamente immischiarsi nelle teorie del complotto di Barbie, non significava certo che non avesse prestato ascolto a tutte le sue congetture. «il famoso marines reduce della grande guerra vorrebbe lavorare in un’umile panetteria di periferia?» rimase ad osservarlo, concentrato – e non tanto per le influenze del Jagger a rimbombargli nella mente; c’era qualcosa di fastidiosamente familiare, nella pelle olivastra e nella scura chioma del presunto soldato. Forse soltanto la nostalgia della Colombia, di tutti i visi più familiari. Per forza. «perché?»
     
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    Arci si abbassò sopra il ragazzo steso sul bancone, schioccando le dita davanti alla sua faccia sporca di farina. Nessun segno di vita «Ehi», lo richiamò leggermente offeso (si era perso la sua grande entrata d'effetto e la richiesta di un lavoro a tradimento - come osava?), ma a svegliarlo di soprassalto fu una seconda voce, più autoritaria e potente «tómate un descanso, cabrón»
    Ancora piegato in avanti, arci sollevò lo sguardo verso l'uomo che era entrato nel locale dopo di lui, un biondino pompato dalle ciglia lunghe, incrociato a messa qualche domenica e poche altre volte; in un mese a Bodie, ancora non aveva imparato i nomi di altri che dei bambini del catechismo e del barista in fondo alla strada. Quando il tizio incrociò gli occhi di Arci, questi si sollevò finalmente in piedi in un tutta la propria altezza, fronteggiando l'uomo dall'alto in basso. «soy el propietario» L'ex serpeverde dovette ringraziare la propria conoscenza del francese e le lezioni con Akelei, perchè mai più altrimenti avrebbe riconosciuto il termine proprietario e capito che il ragazzo stava rispondendo alla propria domanda, e probabilmente avrebbe pensato stesse mandando a stendere il garzone, ora corso sul retro con la coda fra le gambe - o lui stesso, per qualche motivo che gli sfuggiva. Chissà cosa ci faceva un latino a Bodie, se era un magnate del cartello messicano (spoiler: quasi!) o solo un clandestino (come loro). «disculpa» Arci ricambiò il sorriso leggero; non capiva, ma sembrava un tono gentile. «sono io il proprietario» Oh boy. Il Leroy sollevò un sopracciglio, stupito e affascinato. O il ragazzo del pane 1918!vrs portava incredibilmente bene i suoi anni, o era riuscito a diventare proprietario di una panetteria dannatamente giovane (quanti anni poteva avere? Una ventina? Non sembrava più vecchio di Shot); in entrambi i casi, Arci lo ammirava, e quasi gli venne da dire che a casa anche lui gestiva (sebbene non fosse propriamente sua) un'attività simile.
    «danihel simmons, giusto?» annuì cordiale, porgendo la mano. «Il mio nome mi precede», scherzò, e per un attimo, dallo sguardo dell'altro, si chiese se l'uomo sapesse, se avesse colto la bugia dietro quel semplice nominativo, se l'incantesimo di Lancaster non avesse fatto il suo lavoro su di lui... ma poi il ragazzo gli strinse le dita, e il momento passò. Perchè un panettiere qualsiasi avrebbe dovuto sapere della comparsa random a Bodie di Arci e company? «il famoso marines reduce della grande guerra vorrebbe lavorare in un’umile panetteria di periferia? perché?» La posizione del Villalobos (che nel frattempo fingeremo si sia presentato) non sembrava delle più amichevoli. Braccia conserte, mento sollevato... la sua espressione era gentile, ma in lui c'era qualcosa di familiare che Arci, per qualche motivo, collegava ad un senso di distacco. "Assomiglia a Cole", pensò all'improvviso, sorpreso di non averci fatto caso prima. Colpa dei capelli e degli occhi chiari, del sorriso storto, la barba bionda; assomigliava al fratello più di quanto non facesse Arci.
    «Non so come passare le mie giornate, dopo la battaglia» ammise. Era vero; lì dentro, si sentiva più Arci di come non succedeva da settimane, ma in senso positivo, non triste come quando pensava ai propri amici ricordandosi che non li avrebbe più rivisti. A Bodie per far scorrere il tempo aveva iniziato a suonare il piano con l'aiuto di Aidan, a farsi leggere libri vecchi che mai avrebbe toccato senza il Gallagher a donargli la propria voce, raccontava ai bambini storie di posti che mai aveva visto - o spacciava per proprie trame di film che non sarebbero comunque usciti prima di un centinaio di anni - ma erano passatempi, hobby; non erano qualcosa su cui poteva fondare una vita.
    Portò una mano in tasca e l'altra fra i capelli, togliendoli dalla faccia; dopo un mese che non li tagliava, avevano ripreso la lunghezza che gli aveva donato il soprannome di Rapunzel da parte di Pearl. «E poi-...» scosse le spalle, aprendo il braccio mentre gesticolava; come spiegarlo, senza creare un paradosso temporale che avrebbe fottuto il futuro? «Mi piace l'atmosfera qui. Mi sento... me stesso» si passò la lingua sulle labbra; era ancora brillo e doveva parlare lentamente, per essere certo di star dicendo cose sensate «Ho lavorato in una panetteria per qualche tempo» era credibile, no? In fondo, Danihel aveva viaggiato; niente gli vietava di dire che fosse stato panettiere per qualche tempo. «voglio solo sentirmi di nuovo vicino alla persona che ero, e fare un lavoro che mi piace» Arci e Danihel condividevano lo stesso corpo e la stessa anima, in fondo; potevano condividere anche quello. «Niente di più» Era tutto di più; chissà come aveva fatto fino a quel giorno a non pensare che voleva disperatamente avere qualcosa del 2017 anche lì, a non capire che poteva trovare in quel luogo una parvenza di normalità
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