raise a glass to freedom

postquest 8| heli + will, villa barrow

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    Helianta Moonarie
    Ricordava, Helianta, come era morire. Ricordava gli istanti che seguivano il suo ultimo battito cardiaco, l'ultima impronta lasciata dal suo respiro.
    Erano ricordi confusi, avvolti da una nebbia che sfumava i contorni, ma erano memorie nitide quanto bastava per sentire il sollievo e il terrore avvolgerla: non c'era traccia di quel vuoto nella sua memoria.
    L'ignoto l'unica cosa a circondarla, la sensazione di solitudine e abbandono in quelle ombre che le fasciavano il corpo. Era come nuotare, l'acqua ad avvolgerla, eppure, finchè si era del tutto immersi, la sensazione era impercettibile, delle gocce a scivolare sulla pelle, il nero ad accarezzarle il volto.
    Poteva dirsi viva? Non ricordava nulla di tutto ciò, che un anno fa si era svegliata nella luce e non i quel limbo indefinito. Poteva dirsi morta? E il cuore batteva lento, troppo per permetterle di respirare, mentre i polmoni si alimentavano di un ossigeno che non c'era. Poteva dirsi presente? La pelle d'oca a sollevarle i pori, un brivido come una scarica elettrostatica alla tv, una movimento involontario. Un segnale che l'avvertiva di quel che stava accadendo, mentre sentiva il tempo scorrere in un flusso perpetuo, un fiume in piena: lei ferma e immobile, la corrente incapace di spostarla come se fosse troppo o come se non fosse affatto.
    Si toccò lo stomaco, un lampo rosso ad offuscare il buio mentre un dolore lancinante l'afferrò con prepotenza: si aggrappò a quell'unica speranza, quell'indizio che le suggeriva che la fine ancora non era giunta, sebbene lontana non potesse essere. Dolore.
    Un respiro a bruciare nei polmoni, la scarica di tensione a lasciare il suo corpo, le membra rilassate e fluttuanti in quel pacato tumulto di nero pece.
    Non era morta.
    Non ancora, non di nuovo.

    ❃❃❃



    La prima sensazione che la colse fu la pesantezza del proprio corpo, come un astronauta che entra nell'atmosfera dopo molto tempo. I piedi piantati a terra, le gambe a sembrare troppo deboli per poter muovere un passo. Il buio ancora a circondarla, un'oscurità meno densa e più familiare, quel buio che, si sa, scomparirà alle prime luci dell'alba. Bastò quella consapevolezza, quella speranza anzi, a placarle il fiatone, mentre sentiva la presenza degli altri attorno a sè: un silenzio tombale crepato dai respiri, le suole che scricchiolavano sul pavimento e i mormorii dei più coraggiosi.
    Mancava qualcosa in quel posto, la sentiva Helianta quella sensazione, quella famigliarità che non ci sarebbe dovuta essere, quell'insolita assenza di smarrimento unita alla consapevolezza che non erano più lì dove il fulmine li aveva colpiti. I palmi delle mani iniziarono a pruderle con insistenza e, mentre cercava di alleviare il fastidio strusciandoli sui vestiti, la curiosità le fece muovere il primo passo.
    Perchè sapeva dove mettere i piedi? Come faceva a sapersi orientare in quel luogo così nuovo eppure così antico?
    Il primo sprazzo di luce illuminò timidamente l'ambiente, il secondo a seguirlo subito dopo mentre i raggi illuminavano i volti dei due maghi che impugnavano le bacchette dalle quali provenivano i Lumos. L'alone azzurrognolo non era bastante a rendere chiara la stanza, eppure la sensazione di sapere già cosa aspettarsi non la abbandonava: ogni passo era come camminare su un pavimento già conosciuto dal quale era stato rimosso qualcosa. Vi è mai capitato di entrare in una stanza dopo anni di differenza? Tutto sembra essere al suo posto, ma la sentite quella sensazione di estraneità che vi fa capire che quel luogo non vi appartiene più come una volta. E' cambiato.
    E allora dove si trovavano? Cosa era cambiato in quelle mura da suscitarle quelle sensazioni inspiegabili?
    Un bagliore colse la sua attenzione, il riflesso del Lumos su una placca metallica.
    La curiosità era sempre stata il suo pregio, la cosa di cui più andava fiera, ma da più di un anno era stata la stessa a cacciarla nei guai, a farla uccidere e a farle uccidere. Era una buona idea avventurarsi in un posto semi conosciuto -o semi sconosciuto, punti di vista- guidati dal solo voler sapere?
    No, ma la Moonarie era sopravvissuta ad un fulmine e ad un limbo oscuro, ficcare il naso in giro non avrebbe certo potuto portare a peggio.
    Era a pochi passi dalla placca, poggiata sul freddo muro di pietra che si innalzava fin dove la luce non riusciva ad illuminarlo di più. Il freddo metallo incontrò le dita della ragazza che, anche senza luce, percepì la presenza di un'iscrizione, ma ebbe il tempo di decifrare solo la lettera iniziale prima che Jeanine richiamasse la sua attenzione, il segno lasciato dal suo pugno a sporcare l'immacolatézza della figura mentre le mostrava l'artefatto che aveva causato quella guerra: un qualcosa di rosso e oro, un oggetto talmente piccolo da scomparire nel pugno della donna.
    Avevano davvero perso tutto quel sangue per un misero sassolino?
    Prima che la preside Francese potesse dire altro, le luci sul soffitto si animarono, un'illuminazione intensa ed improvvisa che portò le mani di Helianta a proteggersi gli occhi.
    «MANI IN VISTA, ALLONTANATE LE BACCHETTE» e quando provò ad abbassare le braccia si rese conto di essere intrappolata, manette azzurre a circondarle i polsi con un materiale inspiegabile, probabilmente magico. Doveva ammettere che aveva trovato un rifugio in quel mondo così lontano dalla Londra Babbana, un mondo dove anche l'inspiegabile trovava un posto, dove si poteva sempre scialacquare tutto con un languido "è magia" e liberarsi di qualsiasi problema, ma sapeva anche che non apparteneva abbastanza a quel mondo da potersi dire parte di quelle persone che in un battibaleno avevano ripulito la propria vita da ogni intralcio.
    Non era mai abbastanza per loro e credeva che mai lo sarebbe stata, che non c'era futuro per quelli come lei, nonostante continuasse a lottare, che arrendersi non era mai stata cosa sua.
    «il museo è chiuso da ore, come avete fatto ad entrare?» uno sguardo perplesso dipinse il volto di Heli, la confusione e misturare ancor di più i pochi ragionamenti che era riuscita a mettere insieme. Come un museo poteva farla sentire come se avesse lasciato un pezzo della propria vita lì? E si guardò intorno, cercandolo quel pezzo di vita, chiedendosi da dove provenisse la famigliarità di quelle mura.
    La mano a poggiarsi con distrazione sulla parete dove aveva intravisto la placca, mentre le manette si dissolvevano nel nulla e tutti gli sguardi venivano puntati verso il ritratto della preside, e fu troppo tardi quando se ne rese conto, la cronocineta, del metallo a raffreddarle le dita e i suoi poteri ad attivarsi inaspettatamente.
    Un ultimo sguardo al nome, ora riconoscibile agli occhi della babbana: Amalie Shapherd.

    Li rivide quei lampi, ognuno a cadere su un Prescelto, la macchia di cenere e bruciato unica impronta della loro presenza lì, l'esercito avversario immobile: spaventato, forse, sorpreso. E vide il sangue andarsene e tornare, gli spari cessare e lasciare il posto alle urla di madri e padri, figli e figlie. Ed era ogni volta così, dolore e sofferenza, sprazzi di una pace che congelava il mondo, un mondo pronto a sciogliersi al calore della guerra. Che quel museo non era solo loro, non ospitava solo le loro tombe. E ne avevano visti di ministri, despoti e leader, quelle persone, li avevano visti e pianti, visti e combattuti, perchè tacere non sembrava più essere la scelta giusta, che giusto non lo era mai stato quel mondo. La polvere a coprire quei posti dimenticati, le lacrime a lavarne via le ragnatele mentre le testimonianze della guerra tornavano a galla, un conflitto di cui tutti parevano aver dimenticato l'origine, un casus belli futile, l'ultima goccia a far traboccare il vaso, che l'obbiettivo di Vasilov non l'avevano mai davvero saputo. E improvvisa, o forse non troppo, giunse la quiete, non un alito di vento ad innalzare con arroganza le bandiere, a mezz'asta per le perdite, le armi le cui bocche vennero taciute e strazianti furono i cortei neri, successori di quel primo che avevano visto e vissuto.

    Poteva leggere il tempo, Helianta, poteva sapere cosa qualcuno o qualcosa aveva passato semplicemente sfiorandolo. E li aveva visti, frammenti di storia, pezzi di un puzzle che ancora non sapeva se dirsi completo o da completare. Ma l'aveva sentita, la forza dei giorni... dei mesi... degli anni, la pietra a cambiare sotto il suo tocco come materia viva, mutevole, come un mare che ondeggiava burrascoso. E gli aveva sentiti tutti quegli anni, un peso che solo la roccia avrebbe saputo sopportare con così tanta eleganza e imponenza.
    «in che anno siamo?» e non si fece domande su quel quesito, perchè era ovvio che Jeanine sapesse cosa avesse fatto. Aveva detto che non c'era stata scelta e poteva aver mentito a tutti loro, che lei un modo per salvarsi se l'era trovato, mentre tutti la credevano morta e mentre Durmstrang si espandeva a macchia d'olio sull'Europa. Li aveva portati a casa, non c'era dubbio, ma quanto era rimasto dei luoghi e delle persone definibili casa?
    «nel 2117» che per quella grotta cento anni erano sembrati nulla, che per loro erano stati meno di una manciata di secondi, ma gli altri non erano di roccia.
    Gli altri non erano più, dopo un dannatissimosecolo.
    Si piegò in due dal dolore, mentre la maglia si tinse di rosso, che ben preso anche lei avrebbe smesso di essere.
    Di nuovo.

    ❃❃❃



    Osservò l'ennesimo orologio, l'ennesima clessidra a dirle quanto ancora era viva. Non aveva idea di come funzionasse, se misurasse il tempo rimastole o l'energia che avesse ancora in corpo, probabilmente il meccanismo era ben più complicato, poteva evincersene la delicatezza dal modo in cui sia la strega che William lo avevano maneggiato: era indubbiamente un oggetto fuori dal comune, anche in un mondo così avanzato, evidentemente, il concetto di vita e di morte doveva essere delicato. Non aveva idea degli studi e degli esperimenti fatti in quel campo, non sapeva fin dove tanatologia e anatomia patologica si fossero spinte, a dirla tutta non sapeva proprio nulla di quel mondo. In cento anni ne erano cambiate di cose, le era bastato dare un'occhiata allo skyline della Parigi del 2117, così diverso da quello visto nei film del suo tempo. La Tour Eiffel ancora in piedi a sollevarsi sugli altri edifici, le luci ad illuminarne i filamenti metallici come un futuristico albero di Natale, unico punto di riferimento di uno scenario così cambiato.
    Uno spettacolo così poetico e così diverso da quello che le si era presentato poco più di un giorno prima.
    Le sembrava impossibile essere lì, al sicuro in una delle tante stanze della villa di William Barrow II, che aveva detto di possedere una casa di tali dimensioni come un qualsiasi essere umano poteva dire di avere il raffreddore: con smisurata nonchalant.
    Si rigirò ancora tra quelle lenzuola, il freddo pungente a ricordarle la gelida aria che l'aveva accolta a Parigi, la neve e il ghiaccio sporchi di rosso. Ogni sensazione a portare alla luce ricordi di quei giorni, che non sarebbero dovuti essere così lontani nella sua mento, pur essendolo nella realtà. Era la stessa sensazione provata nel museo: sentiva ancora sulla pelle ciò che aveva vissuto in quei sotterranei, ma li sentiva anche distanti, come se fossero stati ricordi di un sogno, un incubo che l'aveva fatta risvegliare in un mondo che aveva dimenticato fosse quello. Se non ci fosse stato Will II e tutti gli altri a ricordarle il contrario, probabilmente avrebbe deciso di credere che aveva sempre vissuto del 2117, che tutto il passato non fosse stato altro che un sogno.
    Perchè alla fine si era sempre trattato di quello: decidere. Prendersi le proprie responsabilità e prendersi le proprie punizioni, tutto pur di non doversi sentir dire cosa fare, che sarebbe stato più facile dimenticarsi di quei giorni se avesse pensato che non fossero mai esistiti.
    E invece erano là, i loro nomi, come un mausoleo dove venivano conservati i suddetti corpi dei santi, che santo nessuno lo era mai stato. E chissà come era giunta quella storia a loro, chissà come la leggenda dei Padroni del Tempo era giunta fino a quei cinque ragazzini, come un salmone a risalire le correnti del fiume Tempo.
    C'erano così tante cose che non sapeva, un intero futuro diventato passato del quale non sarebbe mai riuscita a cogliere i dettagli. «troverò un modo per riportarci indietro» aveva promesso a loro sette, molti meno rispetto a quelli che erano presenti alla battaglia cento anni addietro o solo il giorno prima. Erano bloccati lì, a guardare le tombe di chi non era stato abbastanza fortunato da trovarsi con loro, al sicuro, a casa.
    Erano morti? Erano finiti da qualche altra parte? In qualche altro tempo? Sarebbero tornati? E ovviamente non v'era traccia di risposta in quel mondo, come non ce ne sarebbe stata nel loro. Bloccati in una casa che apparteneva ad altri, sarebbe stato bello ritrovarsi a percorrere le vecchie vie con occhi nuovi, sarebbe stato triste guardare le case a cui si tornava un tempo, constando quanta solitudine regnerebbe nel viverci un'ultima volta.
    «non dovresti essere a letto?» la voce del più giovane Barrow la fece voltare. Avvolta in una camicia da notte e una coperta a proteggerla dal freddo dell'oscurità, un'oscurità che lei avrebbe dovuto passare tranquillamente, senza il timore del giorno seguente, del sole sporco di sangue a sorgere su di loro. «per quanto possa essere stanca, ho ancora molto da metabolizzare» confessò al biondo sorseggiando il bicchiere d'acqua per il quale era scesa in cucina «tu, piuttosto, domani non dovresti lavorare?» osservò l'orologio appeso alla parte che segnava le tre e un quarto di notte. Il ragazzo si sedette al tavolo di marmo al centro della stanza, una mano a passarsi tra i capelli con stanchezza, si poteva facilmente evincere il peso degli eventi che avevano seguito il loro arrivo: erano giunti al museo solo la notte prima e già in così poco tempo le domande più difficili si erano fatte sentire. «diciamo che neanche per me tutto questo è... facile» eppure le era parso di capire che fossero abituati ai viaggi nel tempo, che nel 2117 fosse normale ricevere curiosi ospiti -o ospiti curiosi. Annuì a quell'affermazione senza veramente capire cosa volesse dire, aveva sicuramente i suoi problemi, il Barrow, ma non credeva che fossero nemmeno lontanamente paragonabili a ciò che quei sette, prescelti tra i Prescelti, stavano passando. Doveva esse grata a Lafayette per avere l'opportunità di affrontare sè stessa dopo quell'esperienza in un ambiente così tranquillo e pacifico, non sarebbe riuscita nemmeno a guardarsi allo specchio senza scoppiare in lacrime nel suo tempo, con così tanto ancora in corso e così poco per potersi mettere in pausa.
    Per lei quello era il 2117, una vacanza dalla frenesia e dal caos che avevano regnato in Europa più di un secolo prima; del tempo per mettersi in ordine le idee, godendosi la pace con la quale la nuova generazione era stata benedetta: il sacrificio di chi voleva essere libero a premiare chi prigioniero non lo era stato mai, che Heli lo aveva sempre saputo che non sarebbe stata lì a godersi il mondo per cui aveva sempre lottato senza saperlo davvero. Potete fargliene una colpa se la cronocineta voleva restare lì? vivere senza i problemi che una reietta doveva affrontare? Rapita più volte di quanto sarebbe dovuto essere possibile -e una volta era stata già troppa per lei, ferita e costretta a ferire tanto da sentirsi la mano vuota senza un'elsa a cui stringerla.
    «forse so di cosa abbiamo bisogno» un sorriso stanco, di chi aveva effettivamente sonno, il labbro inferiore morso in quel gesto vizioso che la Moonarie aveva colto fin da subito nel mago, chiedendosi se anche lei ne avesse mai avuto uno. Il biondo scese dallo sgabello dove era seduto per dirigersi verso una delle ante della cucina: ne tirò fuori una bottiglia di vetro ambrata e due bicchieri tozzi e larghi. «Cointreau?»
    «e Cointreau sia» sorrise accettando il bicchiere che subito si riempì dell'alcolico trasparente, un movimento della bacchetta e un ricciolo di scorza d'arancia apparve assieme a due cubetti di ghiaccio. «al 2117» propose la cronocineta sollevando il bicchiere, mentre il ragazzo la imitava nei gesti e nelle parole.
    Oltre a quello non parlarono molto del viaggio, sia perchè era ancora troppo presto per Heli, sia perchè Will doveva aver intuito quanto dovesse essere difficile per loro essere bloccati in una casa non-casa. Si limitarono a farsi domande che chiunque avrebbe potuto fare: cosa fai per vivere? che hobby hai? qual è il tuo libro preferito? che musica ascolti?
    Chiacchiere leggere, poco impegnative, di quelle che il bicchiere riempie più delle parole, sebbene il biondino ebbe la saggia idea di ritirarsi prima di poter fare un secondo giro, lasciando comunque la bottiglia e il bicchiere sul tavolo.
    «fammi un favore e prova a dormire un po' anche per me» un ultimo sorriso prima che salisse le scale verso la sua stanza. Chissà come ci era finito a vivere da solo in quella casa enorme e chissà come si sentiva a condividere quegli spazi con uno zio diventato famoso dopo la sua (seconda) morte -proprio come un santo, no?
    La cronocineta, però, non era ancora pronta per tentare di prendere sonno e si tenne occupata a sciacquare i due bicchieri nel lavandino: non era il tipo di donna che amava fare le pulizie, ma l'altra opzione sarebbe stata scolarsi da sola la bottiglia ancora sul ripiano di marmo e... improvvisamente l'idea non sembrò poi così brutta, sebbene il mattino dopo si sarebbe risvegliata con la testa nel pallone: perlomeno non avrebbe avuto la forza di rimuginare fino alle lacrime su ciò che stava succedendo.
    Afferrò un bicchiere e la bottiglia e si diresse verso la porta a vetri che dava sulla piscina -davvero, i Barrow avevano vinto alla lotteria tre volte di seguito o cosa?
    La luce azzurra emanata dalla vasca piena d'acqua disegnava nitidamente i contorni delle figure scure: sedie, tavolini e sedie a sdraio. Anche a distanza riuscì a riconoscere la silhouette di un William Barrow a fumarsi una sigaretta. Fu tentata di tornare indietro e non disturbarlo, dopotutto non avevano mai avuto modo di conoscersi per bene e probabilmente non avevano molto in comune, ma lì, in quel momento, erano le persone più simili che qualcuno avrebbe potuto incontrare. Afferrò anche il secondo bicchiere e calpestò a piedi nudi l'erba fredda e bagnata di rugiada a dividerla dalla piscina: «tuo nipote è un ragazzo davvero... interessante» tentò di iniziare, rendendosi conto di quanto potesse essere strano sentirsi dire una cosa del genere. Cosa avrebbe dovuto risponderle l'altro? Non poteva certo dirle "sì, me lo farei anche io se non fosse che siamo parenti", sebbene sarebbe stato più che comprensibile vista la persona di cui si stava parlando.
    Evitando di ripensarci troppo, resistendo al desiderio di riavvolgere il tempo e trovare una frase di approccio più adatta, si accasciò su una delle sedie a sdraio di vimini. Un bicchiere poggiato sul tavolino e l'altro a riempirsi di Cointreau. Osservò il professore di scherma ancora in piedi «non ti chiederò di fare un brindisi, ma questa bottiglia è fin troppo piena per svuotarmela da sola» non era un'alcolista, Helianta Moonarie, ma sapeva quando aveva bisogno di rinfrescarsi le idee con del sano alcool. Non aveva idea del perchè, in effetti, si fosse avvicinata a lui, nè di cosa avesse voluto che parlassero.
    Probabilmente sarebbero rimasti lì, in silenzio, illuminati dalla luce proveniente dal fondo della piscina fino a che il sole non si fosse fatto vivo, guastando la cupola di intimità che la notte offriva.
    E, per la prima volta, Helianta Moonarie avrebbe voluto che la sua amata alba non arrivasse mai.
    France, 2117
    chronokinesis, 25 y.o.
    chosen one
    timetraveller
    I'm too young to feel like
    i'm running out of time

    «Helianta Moonarie»
    «altri»


    Edited by hourglass; - 2/12/2017, 09:02
     
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    Se in quel momento William Yolo Barrow stesse respirando, ai posteri, non avrebbe saputo dirlo. Spinse le porte di vetro di un locale qualsiasi di un mondo qualsiasi, i palmi a premere sulla maniglia ed il corpo a trascinarsi all’interno – neanche s’era reso conto del freddo, finché le guance non avevano cominciato a bruciare e pizzicare per il ritrovato calore.
    Il silenzio, fu quel che invece notò. Decine e decine di avventori che nel momento esatto in cui lui mise piede all’interno del pub, smisero di parlare; per quanto ne sapeva Will, avrebbero anche potuto smettere di esistere, dato che non li degnò di mezza occhiata mentre si trainava verso il bancone, le persone in piedi a spostarsi al suo passaggio creando un tunnel di corpi che il Barrow decise, neanche troppo razionalmente, di ignorare. La musica suonava ovattata e distorta in quell’assenza innaturale di rumori, in quei bisbigli che rimbalzavano da bocca a bocca come ruscelli di montagna. Si sedette sullo sgabello ancora circondato da quel non caos, i gomiti sul legno e le dita intrecciate ai corti e spettinati capelli biondo cenere. Non conosceva la canzone delicata che andava lambendo l’atmosfera, e solo Dio sapeva quanto non fosse intenzionato a conoscerla. «spyritus» un bisbiglio che avrebbe potuto essere grido, una voce masticata e rivoltata fra i denti in quel nome che della supplica aveva poco, ma che con la preghiera condivideva la stessa venerata santità. Non ricambiò lo sguardo del barista, pateticamente consapevole che quel silenzio fosse dovuto a lui, che quei sorrisi a tirare appena gli angoli della bocca verso l’alto fossero per lui, che quell’eccitazione palpabile a lasciarlo gelido e distaccato fosse a causa sua. Non si volse verso le voci ad accavallarsi melense fra loro come onde su onde, l’accento francese ad addolcire anche il veleno più letale nell’organismo. «no,» allungò solamente il braccio quando il barman versò un dito di vodka nel bicchiere di vetro e richiuse la bottiglia intenzionato a riporla al proprio posto: non gli pareva d’aver chiesto un fottuto bicchiere, William Yolo Barrow. Erano passati cent’anni, ed ancora non avevano capito che i Will del mondo, quando aprivano bocca, lo facevano per avere il tutto, non un quarto. Non metà. Non un fottuto bicchiere, Iddio: voleva la bottiglia.
    Erano passati cent’anni.
    Erano passati cent’anni.
    «lei rimane qui.» non l’accenno d’un ghigno, non la voce calda e vibrante a sporcare la bocca. Erano affari, quelli. Era pura trattativa – solo questione di scambi, e di scambi poco equi dato che di soldi con i quali pagare non ne possedeva. Non che se ne potesse sbattere qualcosa, Will. Doversi aprire una via d’uscita da quel localino del cazzo di Parigi a suon di pugni e calci, gli pareva la cosa migliore che gli potesse fottutamente capitare. Respirare non gli era mai sembrato così difficile, quasi fosse entrato in un atmosfera differente dalla propria a necessitare d’un altro paio di polmoni per essere digerita. Inspirava vetro ed espirava sangue, cocci a tagliare la gola e stringerla di volta in volta un poco di più. Non ricordava che respirare fosse mai stato così difficile; perfino quand’era morto, farlo, era stato più semplice – e dire che non l’aveva fatto affatto. Respirava, e respirava, e non gli sembrava di farlo, ed il corpo non riceveva alcun beneficio da quell’ossigeno viziato all’agrodolce profumo di alcolici ed aria natalizia. Di vittoria. Con le spalle curve sul bicchiere, William raccolse quel poco di sé stesso che gli era rimasto poggiando la fronte sul vetro, uno strozzato verso animale a sgusciare dalle labbra dischiuse come carne strappata da un arpione. Se aveva parlato con Helianta, Ashley, Judas o quel poco d’Hemera ch’era rimasto, non lo ricordava - la mente aveva uno strano modo di proteggersi, quando quel che più voleva al mondo era non farlo.
    Erano passati cent’anni.
    Strinse le dita attorno alla vodka, nocche a sbiancarsi mentre la nuca iniziava a pungere delle occhiate ammirate alle proprie spalle. Quando un giovane impavido prese posto sullo sgabello vicino al proprio, non diede segno di averlo sentito – ma Dio, Dio, l’aveva fatto. Di quella manica di francesi del cazzo, a William Barrow, non poteva fregare una sega di meno. Non lo capivano, quando dovevano farsi i cazzi propri? Non era forse abbastanza chiaro che di parlare, che di guardarli, ne avesse voglia quanto di tagliarsi le vene? Anzi, il suicidio era una mossa assai più appetibile e tentatrice, piuttosto che affrontare le smorfie adoranti che non si fottutamente meritava. Non si domandò neanche cosa Cristo avessero loro detto per renderli così docili ed amabili; non si chiese in cosa la storia avesse trasformato quei quaranta figli di puttana rapiti dai loro letti e spediti in una missione senza il loro consenso.
    William Barrow II aveva parlato di leggende; l’unica cosa leggendaria che Barrow I si sentiva sulla pelle, era la voglia di prenderli tutti a calci fino a far loro dimenticare perfino il proprio nome di battesimo, possibilmente causando un amnesia irreversibile di tutti i loro ricordi felici. Un sorriso malevolo gli curvò distratto la bocca, mentre l’indice sfiorava l’orlo del bicchiere. Era grato di non capire un cazzo di francese, Will – più semplice fondere il vociare al proprio fianco con il rumore bianco di sfondo. Alzò il bicchiere buttando i quasi cento gradi della vodka direttamente nello stomaco, un bruciore familiare ed offuscato ad intorpidire lingua e corpo. Con un secco movimento della mano, allontanò il bicchiere per impossessarsi della bottiglia.
    Erano passati cent’anni.
    Non uno. Non dieci. Cento - Cristo d’un Signore, Cento. Non era neanche riuscito a domandarsi il perché di quella situazione, che il solo esigervi risposte l’avrebbe resa reale ed affilata; non aveva chiesto nulla a Jeanine, nulla a Will II. Non aveva e basta, mentre il nuovo mondo scorreva sotto ai suoi occhi consumando retina ed ossa dello sterno molto più di quanto una sanguinosa guerra avrebbe mai potuto fare.
    Bentornati a casa, aveva perfino loro detto.
    Dovette soffocare un singhiozzo ed una risata, preferendo un latrato viscido ed terrificante a quel che invece le sue corde vocali avrebbero voluto formulare. A casa - come se quella avrebbe mai potuto esserlo, per i William Barrow del mondo.
    Che lui, per quella realtà, ci sarebbe morto – dal primo, fottuto, giorno. Aveva combattuto ogni sua guerra per avere quello: era tutto ciò che aveva sempre voluto. Semplicemente, non credeva che sarebbe sopravvissuto abbastanza per vederlo. Non così. Non lo voleva, così. Non aveva alcun senso, così. Perché tutti coloro, tutti coloro che per William Fottuto Barrow contavano qualcosa, non c’erano. Non c’erano. Non maledettamente c’erano - ed allora non era una vittoria, se loro non potevano sorridergli, una pacca sulle spalle ed un ce l’abbiamo fatta a vibrare colori nell’aria.
    Non lo voleva, senza di loro. Non si voleva, senza di loro.
    Erano passati cent’anni – cent’anni in cui lui non c’era stato, in cui lui era morto. Non i minuti in cui sua sorella aveva creduto d’averlo ucciso; non i secondi in cui Will s’era sentito mancare il battito.
    S’era perso tutte le loro vite. L’avevano pianto? L’avevano odiato. Gli era mancato? Erano andati avanti. Non aveva mai voluto tanto, per sé. Non se l’era preteso, preferendo porsi in secondo piano mettendo in rilievo le sorti di quel mondo del cazzo – gli era andato bene così, perché senza vivere in funzione di qualcosa, non sapeva come farlo. Ed era, fottutamente, pronto a morire. C’era nato per crepare, il Barrow.
    Ma sopravvivere a tutti i fottuti quanti che aveva conosciuto ed amato, non l’aveva mai messo in conto. Sopravvivere alla propria, fottuta, morte, di nuovo, non l’aveva calcolato – perché non era giusto, e non era naturale.
    Erano passati cent’anni.
    Per William Yolo Barrow, non c’era più nessuno.
    Si chiese se Mitch l’avesse cercato. Se Niamh, ai suoi figli, avesse raccontato dello stupratore di Hello Kitty che non aveva mai detto addio. Si chiese se quello stronzo del suo migliore amico avesse accompagnato sua sorella all’altare sussurrandole battute blasfeme all’orecchio solamente per farla ridere mentre percorreva la navata – e se suo marito, sua moglie, il suo fottuto procione, fosse una persona come si deve, che di Lucas Italie ne aveva già avuti abbastanza. Si chiese se al suo funerale qualcuno avesse pianto. Se avessero raccontato di quel ragazzino brillante dallo sguardo opaco e la sigaretta sempre accesa, divenuto un uomo meno brillante ma dal sorriso più sincero.
    Se un funerale, perlomeno, ci fosse stato.
    Si chiese se il resto dei Prescelti, fosse morto davvero.
    Non si era mai sentito più solo al mondo, mentre ingoiava lacrime e vodka sentendo la stanchezza alleggerire i denti nelle gengive. Chiuse gli occhi, umettò le labbra. Ci mise qualche secondo per rendersi conto che la voce al proprio fianco fosse passata dal francese ad uno stentato inglese, ed un altro paio di battiti prima di comprendere le parole a lui rivolte: «idolo […] …eroe» Er-eroe.
    E William Barrow, le palpebre ancora serrate, rise.
    Rise finchè anche il ragazzo al proprio fianco, nervoso ed eccitato, non cominciò a ridacchiare. Rise fin quando la risata non divenne contagiosa ammalando tutte le bocche presenti nel locale. Rise finché ebbe polmoni con cui farlo, l’ex Leader della Resistenza.
    Poi picchiò la mano sul bicchiere spaccandolo sul balcone, schiacciando il palmo sui cocci affilati fino a quando non gli trafissero pelle e carne. Quei duemila cento sta minchia non sapevano un cazzo di William Barrow, se non quello che la storia aveva filtrato per loro – immaginava la parola martiri a lettere cubitali e dorate, ed aveva anche già un’idea di dove si potessero infilare ogni sillaba. Strinse il pugno conficcando più in profondità i cocci, il sangue a sporcare il bancone e gocciolare denso sul pavimento. Il silenzio si fece pesante ed attonito – che minchia c’avessero da stupirsi, lo potevano sapere solo loro.
    Le leggende erano tali solo quando non sopravvivevano all’esserlo. I miti non erano fatti per consumarsi a ritroso, o per essere guardati con nostalgia da sopra una spalla: l’essere favola ti doveva spaccare il cuore. Non si poteva vivere abbastanza da sapere di esserlo, che conoscere cosa si fosse perso e sacrificato per diventarlo avrebbe sporcato la magia con ombre cremisi ed ebano. Eroe, poi. Scattò rapido lateralmente afferrando la faccia del ragazzo, il gomito ficcato in gola e la guancia di lui ad un soffio da ciò ch’era rimasto del bicchiere – e nessuno fece nulla, non respirarono nemmeno. Will non ebbe alcun bisogno di guardarli per sentire il trauma di quella visuale a vibrare nel loro costato. Sorrise, chinandosi fino a che il fiato non sfiorò caldo e velenoso l’orecchio del francese, le dita così intrecciate ai suoi capelli che gli parve un reato non completare l’opera premendogli la faccia sui vetri - ma non era colpa di lui, se il Barrow non sapeva gestire la rabbia. Così si trattenne, uno sforzo titanico nel flettere il muscolo per impedirsi di concludere il movimento. Un’ondata di fiele e gioia gli inondò i polmoni e la bocca, fiero di sé dall’aver incrinato e spaccato la fiabesca versione che i libri avevano passato di William Yolo Barrow. Non sapevano un cazzo, loro.
    Erano passati cent’anni, ed ancora non sapevano un cazzo.
    Toccare i propri idoli lasciava oro sui polpastrelli, non gliel’aveva mai insegnato nessuno? Era solo vernice quella a renderli sfavillanti mascherando una pelle rosea quanto la loro, ed una carne probabilmente più martoriata. Un paio di polmoni ridotti in cenere dalla nicotina, ed un buco del fottuto ozono nello stomaco scavato dall’abuso di super alcolici e cibo pattumiera. «vaffanculo.» sibilò solamente, sentendo le lacrime stringergli la trachea. «v a f f a n c u l o» ribadì in quello che era ormai un singhiozzo, la mano a pulsare debolmente, afferrando la bottiglia e dando le spalle a tutti loro mentre usciva dal locale.
    Di nuovo silenzio.
    Di nuovo un corridoio di corpi ad indicargli l’uscita.
    Ma non c’era più ammirazione, nei loro occhi – non eccitazione, non venerazione.
    Disgusto. Disprezzo.
    Aprì la porta, vi si appoggiò blandamente con una spalla volgendo un’occhiata di sottecchi ai francesi.
    Sorrise sghembo, infilando tremante una sigaretta già sporca di sangue fra i denti. «benvenuti nella fottuta realtà.»
    Disgusto. Disprezzo. Un mondo dipinto d’argento che ad un’occhiata ravvicinata era solo grigio cemento.
    Erano passati cent’anni, ma non era cambiato un cazzo.

    Bisognava dar merito a Will d’aver atteso di essere sotto il getto della doccia, prima che i singhiozzi si facessero stridenti ed acuti. Aveva aspettato d’ingoiare l’acqua dal rubinetto fino a sentirsi affogare, la fronte premuta contro le piastrelle di una casa che sua, non avrebbe potuto esserlo mai, prima che le lacrime scivolassero dalle palpebre serrate. Di rabbia, principalmente. Di quella fottuta rabbia che lo spingeva a premere con più vigore il bagnoschiuma sulle ferite a tingere il marmo di rosa pallido - un dolore distrazione, che distrazione non riusciva neanche ad esserlo – quella che ti comprimeva i polmoni e ti costringeva a serrare i denti per non fottutamente gridare al mondo quanto dovesse andare a farsi fottere.
    Era furioso, William Barrow. Di quella furia disperata che ti strappava tendini e legamenti, che dell’essere vivo non se ne faceva nulla ed essere morto non sarebbe stato abbastanza. Odiava tutto, di quel mondo; odiava tutto, di quel William.
    Aveva abbandonato la sua famiglia. Quei due pezzi di merda che in lui ci avevano creduto sempre, che con lui avrebbero dovuto esserci sempre - aveva lasciato Niamh e Mitchell, e non li aveva neanche salutati. Lui che loro, nel male e nel peggio, l’avevano scelto per anni, che gli avevano perdonato l’essere un tragico figlio di puttana perché almeno era il loro tragico figlio di puttana. Se fosse davvero morto quel giorno, gli sarebbe andato bene – erano i rimpianti, che non sapeva gestirsi. I rimorsi.
    Era William Barrow, che non sapeva viversi.
    Casa. Eroe. Leggenda.
    Avete sbagliato persona, avrebbe voluto strillare. Zio cane, avete sbagliato persona.
    I suoi amici.
    Dio, Dio santo. Era riuscito a deludere tutti senza non fare un emerito cazzo – almeno avrebbe voluto meritarselo, quell’inferno a strisciare nelle vene.
    Non riusciva neanche a guardare suo nipote. Non riusciva neanche a pensare d’averne uno, William.
    Aveva bisogno di credere che Jeanine Lafayette, quella bastarda psicopatica di Jeanine Lafayette, fosse davvero in grado di trovare un modo per farli tornare indietro. Né lei né lui sarebbero sopravvissuti ad un suo fallimento. Era una guerra che aveva combattuto ad ogni respiro, quella; era il mondo che aveva sognato e sperato e Dio, voluto da sempre. Non poteva –
    Non poteva tante cose.
    Rimase sotto la doccia ben più a lungo del necessario. Ignorò il bussare di Will II ed il suo chiamarlo per la cena. Ignorò i minuti a passare lasciando posto alle ore, mentre l’acqua iniziava a divenire pulita sotto i piedi ed il respiro tornava a stabilizzarsi. Nonché di quei fiati, William se ne facesse qualcosa. Non li desiderava poi così tanto.
    Erano tutti morti.
    Erano tutti morti.
    Erano tutti morti.
    Perché io no.
    Ed ignorò gli abitanti di quella villa del cazzo, il Barrow, quando infine uscì dal bagno. Non si permise di domandarsi come se la passassero Shot, Kieran, Murphy ed Ashley; non si chiese se fossero andati a dormire, non sperò né di trovarli né di non farlo. Non riusciva –
    Non riusciva tante cose.
    Non mi paccare, midwest. Me la segno, eh.
    Troveremo un modo.

    Stronzate. Puttanate. Avrebbe dovuto smettere di dare la sua parola e non fottutamente mantenerla mai, perché di cuore a battere dietro le costole ne aveva solamente uno e nessuno gli aveva offerto polmoni di ricambio.
    Si disse che i vestiti indossati fossero troppo leggeri per quell’inizio di Dicembre. Si disse che, con i capelli ancora umidi, uscire nel cortile della villa Barrow next gen. non fosse la mossa più saggia.
    E poi si disse che, sinceramente?, se ne stra sbatteva i coglioni: erano nel fottuto 2117, dubitava sarebbe morto di bronchite. Tenne il capo chino mentre accendeva distratto la sigaretta. Non era riuscito neanche a sbronzarsi come una tale situazione avrebbe richiesto, vaffanculo – era ancora troppo in sé per piacersi, Will. Da sobrio non era in grado di non prendersi sul serio, e l’ultima cosa che desiderava era rendersi razionalmente conto di quanto fosse un pezzo di merda stagionato di centoventiquattro anni.
    «tuo nipote è un ragazzo davvero... interessante» Sollevò lentamente lo sguardo su Helianta Moonarie. Dio, non l’aveva neanche sentita arrivare. Era diventato il perfetto target per tutti i sicari handicappati di quel secolo – beh? Pari opportunità per tutti significava che anche i paraplegici, se lo volevano, potevano diventare sicari: i vostri schemi, possono solamente succhiarmelo. Si strinse nelle spalle, il fumo ad ondeggiare pigro fra le labbra dischiuse. Un altro Will le avrebbe detto che beh, da qualcuno ha chiaramente preso, ed avrebbe rivolto un ghigno sghembo alla cronocineta.
    Quel Will, neanche riusciva a guardarla. Non ricordava neanche d’aver rivolto parola ai Prescelti dopo bentornati a casa dell’anglo francese – forse perché non l’aveva fatto. Sentì il (delicato) peso di Helianta far cigolare la sdraio a bordo piscina. «non ti chiederò di fare un brindisi, ma questa bottiglia è fin troppo piena per svuotarmela da sola» C’erano sicuramente cose opportune da dire, e cose che sarebbe stato meglio deglutire insieme alla bile ed al sangue. William Yolo Barrow era semplicemente troppo stanco per essere in grado di fare quella distinzione. Di scegliere. Così non le rispose, solo in parte consapevole di quanto si stesse comportando in maniera sgarbata con qualcuno che non aveva fatto nulla per meritarselo – e se ne fotteva troppo, il Barrow, perché l’innocenza di Helianta fosse un effettivo deterrente a quella sua attitudine del cazzo. Respirò l’acre e denso sapore del fumo, e lo sputò in una nuvola di vapore e fiati tossici. «sono un membro della resistenza» disse invece, dal nulla.
    Sempre senza guardarla.
    Sempre senza sapere se lei lo stesse ascoltando - non gli fottutamente importava. Doveva solo dirlo, il Barrow. Dirlo ad alta voce, sputandolo nudo e crudo nell’aria immobile di un tempo che non avrebbe dovuto essere suo. «il nucleo inglese l’ho costruito io con le mie fottute mani dal fottuto nulla» non poteva denunciarlo, in quel mondo.
    Era un eroe. Era una leggenda. Non c’era spazio per il vero William Barrow, un traditore del proprio sangue e della propria famiglia. Non era un criminale, lì: né lui né la Moonarie avrebbero corso alcun rischio. «questo è il fottuto futuro per il quale ho fottutamente combattuto per anni» una risata affatto divertita gli scosse pacata le spalle, incastrandosi poi a metà strada fra gola e labbra. «non -» non dovrebbe fare così male. Non dovrebbe essere così difficile, respirare. Deglutì, volgendo infine un’occhiata opaca alla cronocineta. «non è fottutamente giusto.» che faccia così male. Che sia così difficile, respirare.
    «puoi mostrarmelo? Il passato, intendo.» finse che non fosse una supplica. Finse che i brividi fossero dovuto al freddo. Finse che la voce non si fosse incrinata.
    Perché non era fottutamente giusto che fossero passati cent’anni, e lui si fosse perso tutto.
    Che lui, si fosse perso.

    william yolo barrow
    fuck you fuckin fuck
    2117 sticazzi
    prozio bello ribello
    1993's | 124 y.o.
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    Edited by #epicWin - 11/12/2017, 03:01
     
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    Helianta Moonarie
    Ad Helianta piaceva fare conversazione, scambiare quattro chiacchiere e, quando ben accetto, anche dare qualche consiglio spassionato. Si era sentita sempre una persona relativamente sola, incapace di mantenere stabile un qualsiasi relazione, finendo per ridurla in briciole. Si diceva, per consolarsi, che non era sempre colpa sua, che c'erano cause di forza maggiore che la spingevano lontano da coloro che imparava lentamente ad amare. Si sentiva un lupo solitario, nessuno a cui confidare i propri segreti e nessuno a scegliere lei per custodirli. La Lanterna Dorata nella Londra babbana aveva quasi alleviato questa spiacevole sensazione, portandole ogni giorno volti diversi, amici passeggeri che sarebbero eventualmente tornati, ma già a Quo Vaids Town si era resa conto di come le notti passavano lunghe e silenziosi, i tiepidi miagolii di Nardole a vibrare nell'aria tesa dalle ombre e quella compagnia effimera che aveva sperato di poter riavere un giorno era svanita nel nulla, portandola a rinchiudersi sempre di più nelle mura del suo appartamento.
    La sua vita non andava così tanto a gonfie vele, il suo negozio non aveva preso il volo come avrebbe voluto e i suoi problemi erano rimasti gli stessi di sempre, congelati nel tempo come quell'ultimo battito di anni fa, quell'ultimo battito riavvolto indietro e lasciato chissà dove nel futuro.
    Ad Helianta faceva sempre piacere avere qualcuno con cui poter parlare, scambiare opinioni e, perchè no, anche aiutare lì dove poteva.
    Ma non era brava a gestire i sentimenti, nè i suoi nè quelli altrui, e avrebbe potuto dirsi tutte le bugie che voleva, ma in fondo sapeva che sarebbe bastato un "ti voglio bene" o un "mi manchi" in più per salvare più vite di quante ne potesse immaginare. Se avesse confessato i suoi sentimenti ad Amelie, forse non si troverebbe nel futuro, forse non avrebbe le capacità che aveva in quel momento, forse non avrebbe mai dovuto dire a nessuno.
    Non ai suoi genitori, non ai suoi pesciolini, non alla sua vecchia casa... non ad Amelie stessa...
    «sono un membro della resistenza» se l'alcol non avesse già iniziato a fare effetto su di lei, la cronocineta si sarebbe strozzata con il sorso di Cointreau. Invece, grazie ai freni inibitori rilassati dai diversi bicchieri che aveva mandato giù, si limitò a sospendere il bicchiere a mezz'aria e ad alzare le sopracciglia in quell'espressione intontita di chi capiva l'importanza di un'affermazione senza trovare una risposta valida.
    «capisco...» sussurrò poggiando il drink sul tavolino, per poi sedersi con la schiena protesa in avanti. Il Barrow era riuscito ad attirare la sua attenzione, che fosse una cosa di famiglia?, e se la cosa si fosse fatta seria sarebbe stato meglio rimanere sobria quel tanto che le bastava per non mettersi a ridere in modo imbarazzante ogni due per tre
    «questo è il fottuto futuro per il quale ho fottutamente combattuto per anni» e lo capiva davvero, quell'uomo che le portava sulla pelle le notti insonni, i ricci biondi e contorti tra i quali dovevano affollarsi chissà quanti migliaia di pensieri. Will aveva perso sicuramente più persone di lei, aveva rapporti più solidi dei suoi e la tristezza di quegli occhi era sincera, non come la velata malinconia che assaliva la babbana di quando in quando. Si sentiva quasi in colpa per essersi rilassata, per aver approfittato di quella situazione che sembrava aver creato più problemi di quanti avrebbero potuto immaginarne. Non era riuscita a capire perchè per loro fosse una cosa così importante, non comprendeva la sincerità di quelle lacrime e quegli abbracci consolatori che vedeva scambiarsi.
    Si accarezzò le braccia pensando a come Shot aveva stretto Murphy quando pensavano di non essere visti, in un momento di debolezza che la venticinquenne non aveva potuto resistere a sbirciare con triste affetto. Le sue emozioni lavoravano diversamente, credeva lei, visto come riusciva a sentirsi triste e dispiaciuta per gli altri ma mai come gli altri.
    In fondo cosa aveva lasciato lì nel 2017? Tutto e niente, si diceva, illudendosi della convinzione che non v'era effettivamente niente che avrebbe voluto portare lì con lei.
    Nemmeno Nardole le mancava così tanto, lei che lo aveva ritenuto il suo unico confidente non sentiva nostalgia di quella presenza costante a zampettare in casa. Non era colpa sua, povera creatura, se Helianta Moonarie non era brava a gestire il minestrone di sensazioni che continuava a scombussolarla. Per quale altra ragione, altrimenti, si preoccupava tanto di tenere tutte le sue cose in ordine? Poteva così illudersi di avere qualcosa sotto il suo controllo, di poter tenere tutto d'occhio senza mai lasciare che qualcosa rimanesse fuori posto. «ammetto di aver sempre ammirato ciò che spinge i Ribelli ad esistere ancora» annuì concedendosi un altro sorso della bibita ambrata «non mi sono voluta impicciare perchè, beh, l'ultima volta non è andata particolarmente bene» confessò sollevando ancora le sopracciglia, alludendo a cosa le era successo nei laboratori, sebbene non potesse essere certa del fatto che fossero stati dei ribelli a renderla quello che era diventata. Ma non era quello il punto, non sapeva nemmeno perchè avesse commentato in quel modo, non era così sicura che complimentarsi per l'impegno avrebbe sollevato il morale al Barrow. Capiva come si sentiva, come se fosse stato il capitano di una nave che affondava salito per primo sulle scialuppe. Avrebbe probabilmente preferito affondare con dignità piuttosto che vedersi al comando dell'imbarcazione successiva. E non era giusto, non dopo tutto quello che lui aveva fatto. Se aveva pensato che vedere i frutti di quella ribellione potesse essere una cosa belle, Helianta si era resa conto solo dopo di come poteva essere triste e demoralizzante per chi avrebbe voluto far parte di quel processo, per chi avrebbe dovuto farne parte. Dopotutto quello che li aveva colti era stato un evento imprevedibile, che forse molti avrebbero preferito lottare fino all'ultimo per tornare a casa piuttosto che vedersi trasportati via, lontani da tutto e da tutti. Era come lasciare un disegno incompleto e ritrovarlo finito da qualcun altro: nel complesso è bello, le forme combaciano e a tutti va bene, ma non è più ciò che si aveva lasciato, quasi non ci si sente più parte dell'opera. Dopo anni di lotte, erano bastati pochi secondi per privare William di quell'orgoglio che avrebbe dovuto mostrare. In giro sussurravano i loro nomi, il suo a voce sempre più bassa come un segreto oscuro, dandogli meriti che probabilmente lui non si riconosceva.
    Capiva cosa stava succedendo all'uomo seduto poco lontano da lei e avrebbe voluto saperlo consolare, avrebbe voluto poter comprendere appieno quei sentimenti. E si chiese se avesse avuto, lei, progetti dei quali non avrebbe sopportato sentirsi esclusa, se ci fossero mai state cose portate a termine senza di lei. Ogni giorno il suo passato diventava più nebbioso, come se la sua memoria potesse arrivare a stento ai giorni passati nella decadente scuola francese, come se la sua vita fosse cominciata solo allora, come se il tatuaggio della clessidra fosse sempre stato sul suo braccio. «Will...» si morse un labbro e racchiuse la mani a pugno. Avrebbe voluto essere più utile al ribelle, avrebeb voluto dargli quel che gli mancava.
    «puoi mostrarmelo? Il passato, intendo.» se la vide servita su un piatto d'argento, la possibilità di diluire un poco quel dolore e quella rabbia. Chi meglio di lei avrebbe potuto servire a quello scopo? Chi meglio dell'Helianta che, appena approdata, aveva permesso a sè stessa di leggere il passato, sfogliando rapidamente quei capitoli del tempo che le erano sfuggiti. Ma era davvero ciò di cui il Barrow aveva bisogno? Sarebbe stata la soluzione ai pensieri cancerogeni che gli corrodevano la testa? Non sempre la conoscenza dell'ignoto beneficava a colui che si era spinto troppo in là, lo aveva dimostrato Ulisse col suo folle volo così come i maghi che sconsigliavano i rimedi per gli Oblivion. «non ti mentirò...» inizio la giovane donna stirandosi la corta gonna della camicia da notte con le mani «ho visto il passato e sì, posso mostrartelo» volle quasi uccidersi per come gli occhi dell'altro parvero illuminarsi di speranza, si detestò fin da subito quando decise di fare quel che avrebbe potuto davvero aiutare il biondo «ma devi sapere che sapere ciò che ti sei perso renderà tutto più difficile, dopotutto non possiamo vivere nel passato... non ancora» e lo avevano fatto fino a pochi giorni prima, quando erano stati rapiti e avevano lottato e il mondo li aveva creduti morti, di nuovo... sempre. «se ti mostrassi quello che ho visto potresti non trovare quel che ti aspetti e, anche se non fosse così, ogni giorno qui sarebbe sempre più insopportabile. Abbiamo perso cento anni di storia, WIlliam.» madonna se era pessima in quel genere di discorsi, davvero, se Will le avesse lanciato un incantesimo l'avrebbe addirittura ringraziato «non possiamo semplicemente accettarlo o ignorarlo, ma dobbiamo provarci... dobbiamo convivere con questi ricordi mai avuti. E' l'ultimo sacrificio che dobbiamo fare» abbassò lo sguardo sulle pantofole che le calzavano i piedi, fili d'erba intrappolati qui e là nel tessuto bianco che si dipingeva di azzurro con le ombre e le luci della piscina «dobbiamo lasciarli andare» e lottò contro quei brividi che la percorsero quando si sedette affianco a lui. Il contatto fisico non era ancora una cosa con cui si sentiva a suo agio, ma ci avrebbe fatto il callo prima o poi. Ci sarebbe riuscita lei, se l'ex corvonero fosse riuscito a non vivere in un passato che non gli apparteneva più.
    Poggiò una mano sui pugni stretti dell'altro e lasciò che lentamente la sua energia giungesse a lui.
    No, non gli avrebbe mostrato ciò che si erano persi, ma ciò che potevano ricordare con gioia della vita vissuta con coloro che non c'erano più. Non avrebbe sbirciato nella mente del Barrow, lasciando che i suoi poteri gli riportassero semplicemente pillole di vita rimaste dimenticate per un po': un gesto affettuoso passato inosservato, un abbraccio al momento giusto e parole più confortanti di quelle della Moonarie. Se non poteva aiutarlo, avrebbe fatto in modo che il suo passato lo facesse.
    E no, non lo avrebbe illuso con le sue elucubrazioni, non gli avrebbe dato speranze per poi vederle spegnere sotto i loro occhi. Chi poteva garantirle che Jeanine sapesse cosa fare? Come poteva essere certa che le tecnologie del nuovo secolo potessero aiutarli, quando loro stessi erano stati stupiti da un viaggio talmente esteso? Non erano speranze, ma veri e propri tentativi di arrampicarsi sugli specchi e finchè Helianta gli avesse tenuti per se, nessuno si sarebbe fatto male.
    Non di nuovo.
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    «dobbiamo lasciarli andare» Non ricambiò lo sguardo della Moonarie, il capo chinato verso le proprie mani. Doveva lasciarli andare? La sua famiglia, i suoi amici? Accettare… accettare cosa, poi, di essere stato sbattuto da un fottuto Cappello Parlante ed i suoi amici cent’anni avanti nel futuro? Deglutì e si morse l’interno della guancia, soffocando imprecazioni ed ingiurie nei denti serrati. Non era colpa di Helianta, vittima quanto Will di quella poco piacente ironia della sorte, ma non significava che non avesse benedizioni in aramaico anche per lei – quando il Barrow s’incazzava, perdeva completamente la cognizione di ciò che fosse giusto o sbagliato, di chi fosse complice o martire. E non era un tipo che si arrendeva facilmente, William: non l’aveva mai fatto, neanche quando tutto il fottuto mondo gli aveva remato contro, e non avrebbe certo cominciato in quel momento. Se il cielo, o chi per esso, gli aveva insegnato qualcosa, era che se arrivava da qualche parte, c’era sempre la possibilità di tornare indietro: aveva dimenticato la Ribellione, ma la memoria era tornata; era morto, eppure era ancora lì a lamentarsi delle mezze stagioni e degli hoverboard dei nuovi Millenials. Non esisteva, in nessun cazzo di universo o tempo, che William li lasciasse andare. Se ne fotteva che, razionalmente parlando, era come se fossero morti: non lo erano davvero, non per Will – non aveva ancora superato la soglia dei cent’anni, malgrado le rughe attorno agli occhi dessero a pensare che ne avesse vissuti almeno cinquecento. «manco per il cazzo» sbottò sincero, vagamente distratto: non una reale risposta alla cronocineta, quanto più un dato di fatto. Avrebbe dovuto… fare cosa, sedersi e trovarsi lavoro come postino? Dare da mangiare ai fenicotteri allo zoo – ma si erano estinti, i fenicotteri? Imparare ad infiocchettare le chiome degli unicorni? Cristo Santo, non aveva una vita, lì; e non poteva neanche dire che non esistesse alcun William Barrow, perché ironicamente si ritrovava sotto lo stesso tetto del suo pro nipote. Cioè, vaffanculo, gli avevano pure rubato posto e fama, cosa si aspettavano da lui? Che partecipasse alle serate in Discoteca, o tenesse discorsi motivazionale nelle scuole per ammonire i giovani dall’uso degli stupefacenti? Li avevano ancora, gli stupefacenti? Ecco le vere domande importanti delle vita – doveva davvero placcare Belair e informarsi in proposito.
    So che volete la lista, quindi eccola:
    a) Usate ancora l’eroina?
    b) E la cocaina? Sai dove posso comprarla? 4 science
    c) L’erba l’avete finalmente legalizzata?
    d) Avete i bordelli?
    e) È tornata la moda dell’oppio?
    f) Il giappone ha mai vinto i mondiali?
    g) Hanno fatto un reboot di the o.c.?
    Cose così.
    Aggrottò le sopracciglia quando le mani della ragazza si posarono sulle sue, e per un istante credette davvero che gli avrebbe mostrato quel che le aveva domandato – si rese conto subito di quanto fosse in errore: vide un Mitchell ancora mingherlino sorridergli da sopra un libro di Pozioni; vide una ragazza dagli scompigliati capelli castani fuggire da una panchina all’altra mimando con le labbra un hello kitty; vide un Nathaniel ancora bambino indicare il ginocchio sbucciato di William in un è solo un taglietto, chiamo bran - e nessun altro s’era mai reso conto di quando un infante Barrow si fosse fatto male, inosservato e invisibile ai suoi stessi genitori.
    Si scostò di scatto, quasi Helianta l’avesse bruciato. Le rivolse uno sguardo ferito, occhi cerulei a bruciare di rabbia e quella sofferenza meschina che ti comprimeva i polmoni, e t’attaccavi al cazzo. «no.» secco, sintetico – non ammetteva repliche. «no» ripetè alzandosi, rendendosi conto che il suo equilibrio fosse (quasi.) destabilizzato. Chiuse gli occhi, infilò una nuova sigaretta fra i denti. Non era quello di cui aveva bisogno – non William, non Helianta. Inspirò il fumo fino a sentire lingua e gola bruciare, soffiandolo poi in una nuvola grigia sopra la propria testa. «BAYWATCH. PIZZA LOVER – DOVE CAZZO SIETE?» dovevano essere da quelle parti, no? Belair aveva fatto package Viaggiatori e li aveva smollati tutti lì, quindi insomma – ed era notte, dubitava fossero a far serada loca. Non senza di lui, almeno. Gli importava di poter svegliare vicini di casa? Di disturbare l’altro Will, Ashley o Judas? Manco per il belino. «GOLDEN LADY? Dormirete quando sarete morti» sollevò una mano verso Heli intimandole di aspettare: non era impazzito, non ancora, aveva solo bisogno di… fantasia. Supporter.
    Psicopatici come Murphy e Kieran. «non vuoi mostrarmi la loro vita? bene - benissimo» prese un foglio (da dove.) e lo attaccò alla vetrata (quale.), usando poi la bacchetta come penna per poterci scrivere sopra. «vorrà dire che la inventeremo.» beh? Era un filosofo ed un tossico, la creatività non era certo fra le cose che gli mancavano. «da chi vogliamo iniziare?»

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    Per quanto Kieran cercasse di scrollarsi quella sensazione di dosso, era tutto inutile. Le sembrava di trovarsi sopra una nuvola, il corpo leggero e la mente fluttuante metri da terra. Alla Sargent non pareva neanche di essere in quella stanza, né riusciva a ricordare da quanto era stesa sul letto. Minuti, ore? Non aveva molta importanza, visto che non aveva più idea di come misurare il tempo. Le sembrava impossibile di essere lì, così sbagliato che era convinta di svegliarsi da un momento all’altro e ritrovarsi sul campo di battaglia. Finora, non era ancora successo.
    Non riusciva a chiudere occhio con la consapevolezza di trovarsi a casa si uno sconosciuto, per quanto questi sembrasse innocuo e disposto ad accoglierli in casa sua. Diceva di essere parente di William, quando l’unica cosa che li accumunava erano i capelli biondi e quell’aria costantemente turbata - una cosa era certa, non era un fan della televisione. Come faceva a saperlo? Diciamo che aveva passato un’ora ad affacciarsi a ogni mensola per vedere dove William tenesse i suoi film, trovando solo una marea di polvere. Voleva dire che non fosse un fan della Disney? Grave, gravissimo, e dire che aveva affidato il suo futuro nelle mani di quell’uomo. Come aveva fatto ad essere così cieca? «BAYWATCH. PIZZA LOVER – DOVE CAZZO SIETE?» quando pensava di star iniziando a prendere sonno, una voce familiare risuonò per le pareti della stanza. Santi broccoletti, non gliel’aveva detto nessuno che era notte? Premette le labbra insieme sperando che avesse finito di urlare, non voleva che gli inquilini della villa si svegliassero perché il Barrow aveva alzato il gomito «GOLDEN LADY? Dormirete quando sarete morti» non lo nasconderò, a sentire il suo nome scattò quasi sull’attenti come un cane da guardia. Se prima avrebbe cercarti di ignorare il ragazzo, a quel punto si sentiva chiamata in causa - e poi, non era come se avesse qualcosa di meglio da fare o stesse dormendo. Anzi, era grata della distrazione. Ci volle qualche minuti prima di trovare l’energia spirituale per separarsi dal materasso, fermandosi poi davanti allo specchio per controllare di essere in condizioni semi umane. Va bene che si trattava solo di William, però non voleva sembrare come qualcuno appena scappato di casa.
    Appena si trovò in prossimità del giardino, tentò di osservare cosa stesse succedendo nascosta dietro una tenda. In realtà, voleva vedere se Murphy e Shot avevano risposto al grido disperato del biondino. Quando vide che non erano ancora arrivati, decise di prendere una scelta sofferta: uscire dal suo nascondiglio e affrontare (male) la vita. Non poteva più sopportare di vedere William lose his shit, capite? «ehi» alzò la mano in aria per salutare i due ragazzi, mentre metteva piede sul /vialetto/ in cemento «ho sentito che hai chiamato?» spostò lo sguardo sul Barrow, come a chiedergli perché l’avesse fatto, aveva forse trovato nel cibo? Ditele di sì, vi prego! Rischiò per qualche secondo di iniziare a saltellare per il giardino, prima che gli occhi si posassero sulla lavagnetta vicino ad Helianta «state giocando al gioco dei mimi?» perché no, era sempre un buon momento, e poi erano in tema visto che erano finiti in Francia.
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    «ho sentito che hai chiamato?» ed ecco un (altro) ottimo motivo per voler bene a Kieran Sargent, rapida nel rispondere al suo appello. Sentì la tensione sciogliergli le spalle, un sorriso leggero a sollevare gli angoli della bocca alleggerendo le iridi cerulee della stretta che fino a quel momento li aveva resi foschi e stanchi. Annuì, gli occhi a guizzare da Helianta alla ragazza appena sopraggiunta: visto? Così si fa! Non fabbricavano più i giovani di una volta cosa. «state giocando al gioco dei mimi?» Dei…mimi? Volse il capo dalla lavagnetta improvvisata alla Sargent, soffermandosi sulla mimetica con un sopracciglio inarcato. Non era certo di voler sapere quale mistico collegamento avesse fatto la sua mente per giungere a quella conclusione, ma d’altronde non aveva importanza: era lì, ed aveva tutto ciò di cui William Yolo Barrow avesse bisogno.
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    «no, è un altro gioco» stappò melodrammatico il pennarello, che nessuno di noi vuole sapere dove o quando l’avesse reperito, e lo agitò nell’aria come una bacchetta d’orchestra. «una specie di…fanfiction» specificò, sperando di attirare l’attenzione di Golden Lady abbastanza da deconcentrarla dall’assenza di cibo: non l’avrebbe illusa di averne, ma non avrebbe neanche ammesso di non averle se non espressamente richiesto dalle circostanze.
    Insegnava strategia mica solo perché a Monopoli era un campione, eh. «dobbiamo immaginare come siano proseguite le vite della nostra gente» eluse termini quali amici o famiglia, ancora troppo scosso per voler accettare razionalmente di star davvero creando un percorso di vita per una Niamh od un Mitchell in cui lui non fosse stato presente; prenderla come un gioco era più facile, poteva ancora fingere che fosse una serata qualunque nel duemila fottuto diciotto (un come li vedi fra dieci anni? tipo di gioco), ma per quanto semplificasse una situazione di per sé drammatica, preferiva non iniziare con persone a cui sarebbe, a cui era, mancato – persone che già in quel momento gli mancavano come ossigeno nei polmoni. «va bene, inizio io» finse di far un favore alle partecipanti al gioco, così da dimostrare cosa intendesse, ma voleva solo evitare che i nomi scelti casualmente dalle due fanciulle fossero suoi intoccabili. «phobos campbell» sbottò, prima che potessero iniziare i suggerimenti, arricciando debolmente il naso al nome del cugino. Phobos era suo amico, ed era membro della sua famiglia, ma il Campbell non avrebbe sentito particolarmente la mancanza di William, il che rendeva più tollerabile immaginare la biografia dell’uomo anche senza un Barrow presente – e Will, dal canto suo, per quanto amasse quel budino dell’insegnante di corpo a corpo, poteva ammettere di riuscire a sopravvivere anche senza di lui. «insegna ad hogwarts ancora qualche anno, poi stanco dell’atmosfera decide di aprire una scuola per bambini speciali ad inverness, accogliendo randagi ed insegnando loro come vivere di soli arcobaleni e nuvole» scrisse le keyword sulla lavagnetta sotto il nome dell’uomo. «si sposa cinque volte, credendo ogni volta che sia la donna della sua vita, e divorzia altrettante» eh, il mondo non era davvero tutto zucchero filato come piaceva credere a Phobos – e le donne, si sapeva, erano malvage di natura. «ha due figli da ciascuna di loro, tranne l’ultima – Armanda – da cui ne ha solo uno. Le madri gli lasciano i pargoli, e si ritrova con nove figli a fare il padre single» sottolineò padre single, accompagnando l’ultima nozione con una freccia. «il che lo porta ad aprire uno zoo» qual era il collegamento? Non c’era. «non con i bambini, con gli animali» precisò ovvio, sfiorando il labbro inferiore con il tappo del pennarello. «giraffe, panda, koala – una piscina per i fenicotteri» esistevano? beh, se non esistevano ancora, Phobos sarebbe stato il primo ad inventarle. «muore molto vecchio e felice» concluse, disegnando uno smile sul foglio. Evitò accuratamente la questione Resistenza: poteva svelare i propri segreti senza sbattersene di meno, ma era troppo abituato a mantenere celata l’identità della sua gente per perdere il vizio – malgrado, a quel punto ed a quel loro, non fosse più necessario.
    Strinse le labbra fra loro allungando il pennarello di fronte a sé, spostandolo da Helianta a Kieran: «chi vuole essere il prossimo?»
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    Sentiva la mancanza fisica di un cellulare stretto tra le sue dita, sempre a sua disposizione per salvarla dalle situazioni sociali. Ora, senza il suo fido Alberto Angela alla mano si sentiva esposta agli sguardi dei due adulti (per lei erano tutti adulti) – e ora come avrebbe potuto ignorare le loro conversazioni con stile? Non poteva, e la cosa le metteva già ansia.
    Doveva ammettere che Helianta le incuteva un certo timore, poteva percepire il lei un’antica bestia messicana: l’asereje. Si avvicinò ulteriormente a Will, strisciando i piedi sul pavimento mentre osservava sospetta la geocineta. «mi manca alberto angela» sussurrò a se stessa, abbassando lo sguardo afflitto sulla propria mano. Chissà se Will2 aveva un caricabatterie. O se ancora esistevano in quel secolo. Doveva ammettere di star iniziando a sentirsi come un vecchio, aka un millenial – probabilmente tra poco avrebbe cominciato a chiedere in giro cosa fossero le Kardashian. «no, è un altro gioco» per essere qualcuno che odiava le situazioni sociali, di certo amava i giochi di gruppo. Le si illuminarono gli occhi, lo sguardo a seguire il pennarello che si muoveva in aria come un cane con un osso. Sperava che includessero i balli caraibici! «una specie di…fan fiction» inutile dire che quasi non incominciò a saltellare sul posto dall’entusiasmo, sentendo il suo lato da psycho venire a galla dopo tanto tempo (tre ore). Finalmente non le serviva più Alberto Angela per sopravvivere, poteva usare la sua conoscenza assolutamente segreta. Batté le mani in aria, facendo correre lo sguardo sui due «uuh mi piace questo gioco!» certo che il padre dei bb era proprio kul!!&& chissà se anche con il suo avrebbe potuto provare a giocare a qualcosa del genere. «dobbiamo immaginare come siano proseguite le vite della nostra gente» l’entusiasmo della Sargent calò di qualche grado quando sentì di cosa si trattava, riportandola alla nuova realtà. Sarebbe dovuto essere ovvio, eppure non ci aveva pensato: gli altri si sarebbero fatti una vita anche senza di lei. Non era così fondamentale come pensava. Mantenne comunque il solito sorriso sulle labbra per non turbare il Barrow, non voleva che pensasse fosse colpa sua se ora era triste. Lo era, ma comunque si sarebbe sentita in colpa a farglielo pesare. «ma sì, come una what if» dubitava che il biondo sapesse cosa fossero, a meno che non avesse un passato segreto. «va bene, inizio io» e Kieran gliel’avrebbe fatto fare volentieri, se era così entusiasta di iniziare. Chissà se si poteva tuffare in piscina per evitare il suo turno – magari l’avrebbero pure seguita. Invece, optò per sedersi su una delle sdraio, mentre Will incominciava la sua fan fiction. Più lo ascoltava e più era convinta che avesse una vena per la scrittura, una di quelle soap opera un po’ trash e latine, un po’ come Sandy. Cercò di non pensare al fatto che quello che aveva detto il ribelle poteva essere la verità, che avrebbe potuto andare a controllare quando voleva; era sicura che ci fosse qualche traccia della loro esistenza su internet, sebbene fossero vissuti decenni prima. Era sicura che ne sarebbe stata fortemente tentata, e non era sicura di poter dire di no - sperava che qualcuno le togliesse la connessioni dati prima, o le legasse le mani insieme. Ma sì, come in quella ff che aveva letto un po’ di tempo prima! Qualcosa su un Harry Styles assassino e sui rapimenti, una storia vagamente strana se doveva essere sincera.
    «mi è piaciuta la parte sullo zoo, chissà se aveva anche i dinosauri» cosa voleva dire che non era possibile? Magari nel futuro avevano trovato un modo per riportarli in vita. «chi vuole essere il prossimo?» abbassò lo sguardo sul pennarello che William le stava porgendo, dibattendo se prenderlo o meno – tanto valeva che si buttasse, sarebbe potuto essere divertente! «mh, vado io» accettò il pennarello, rigirandoselo tra le mani mentre pensava a un nome facile, che non le facesse necessariamente tremare le mani. «mehan tryhard» annunciò, alzandosi dalla sdraio e avvicinandosi alla lavagnetta. Incominciò a pulire la superficie con un fazzoletto, la storia già a prendere forma nella sua mente «a sedici anni decide di lasciare hogwarts, sostenendo che non sia il percorso giusto per lui. Si iscrive all’accademia di danza moderna di Londra e lavora sodo per diventare un ballerino migliore, tutto questo mentre lavora come dog sitter per pagare qualche spesa» incominciò a tracciare la sagoma di un cane sulla lavagna, aggiungendo tanti piccoli fiori vicino all’animale. Poi, si girò di nuovo verso il suo pubblico «dopo anni di duro lavoro finalmente debutta in…..un teatro famoso, lanciando la sua carriera – dopo uno dei suoi spettacoli si imbatte in alter beech e in un momento di passione la mette incinta» gASP A CHILD. E fu proprio quello che scrisse vicino a due figure stilizzate di Meh e Nat. Era davvero terribile a disegnare, menomale che almeno sapeva mangiare. «nessuno dei due è pronto a un bambino, non quando meh potrebbe essere così vicino a diventare famoso. Eppure, non può lasciare che suo figlio cresca senza un padre: decide di scendere a compromessi con se stesso, non lascerà il mondo della danza ma non potrà più girare il mondo in tour» chissà cosa facevano davvero i ballerini, non aveva davvero idea di quello che stava dicendo, ma sperava che gli altri fossero altrettanto confusi da annuire. «lui e nat crescono il loro bambino insieme e a un certo punto si sposano. Anni dopo iniziano i problemi e il rancore per non aver potuto realizzare i propri sogni torna riaffiora. Meh scarica la colpa su Nat, arrabbiato a un tale livello da andarsene di casa; arrabbiato e confuso si ritrova a bussare alla porta di Hades, diventato ora un poeta, dove cerca conforto tra le sue braccia. E non solo» precisò, il pennarello a disegnare due omini mentre si baciavano. Sperava che capissero che oltre a baciarsi avevano fatto altro, qualcosa che di certo non poteva disegnare!11‼ «decide di lasciare nat per mettersi insieme ad hades, l’amico di cui era sempre stato innamorato. Dato che il figlio try(me)beech è ormai grande, meh si butta nuovamente nella carriera di ballerino professionista, riuscendo a raggiungere il successo nonostante la sua età» amava gli happy endings, e se nella vita non poteva averli, era più che felice di lasciarli alle sue storie. «muore ormai vecchio, circondato dalle persone che ama» si portò la mano al cuore in un julie, soddisfatta è commossa dalla storia che aveva dipinto loro. Chissà se era andata davvero così, dopotutto aveva sempre tifato per la coppia meh-hades. Decise di tornare alla sua postazione della sdraio, mentre porgeva il pennarello ad Helianta «credo che tocchi a te ora?» sperava solo si inventasse qualcosa di allegro, ne aveva bisogno quella sera.
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