You found me dressed in black, hiding way up at the back

with Belladonna

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  1. lady of castamere
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    Evelyn Hampton Stark
    La pioggia batteva silenziosa sui vetri. Le gocce creavano ghirigori trasparenti, intrecciandosi e scivolando giù. Sempre più giù. Fino a scomparire.
    Acqua contro vetro. Riflesso contro riflesso. Un riflesso che rispecchiava, a sua volta, due occhi. Una bocca. Un naso. Un volto quasi inespressivo, due occhi spenti come il cielo ricoperto da un ammasso di nuvole grigie. Due occhi che rispecchiavano la contingenza di un passato ormai da lasciarsi alle spalle.
    Il peso di una giornata di lavoro identica a tutte le altre. Lavoro lento, inesorabile, scandito dal passaggio delle lancette sulla superficie metallica dell'orologio. Punte che sfioravano lentamente i numeri come trascinate da un gruppo di tartarughe zoppe, quando il suo unico desiderio sarebbe stato quello di vederle trottare rapidamente fino al numero nove, quello che avrebbe segnato la fine del turno. E avrebbe segnato il termine di quella giornata di merda, come tutte le altre. Vedeva scorrerle dinnanzi agli occhi i palazzi, scuri. Vedeva scorrere le tavole calde, i negozi, le ultime persone che li abbandonavano senza curarsi degli impegni dei loro proprietari. Bambini trotterellanti, giovani donne con i soprabiti troppo stretti per entrarvi dentro. Sorrise. Un sorriso amaro. Un sorriso ricolmo della superiorità dovuta. L'angolo del labbro si piegò con lentezza estenuante, gli occhi tornarono ad abbassarsi lungo le cosce strette nell'abito nero. In quei momenti, si sentiva sua madre.
    Sedeva in quel taxi dritta, impettita, la schiena appoggiata sullo schienale in pelle. Non una spalla curva, non gobba. Gli occhi guardavano dinnanzi, il mento era sollevato, il volto avvolto da un'espressione indecifrabile. Lanciò un'occhiata tra i due sedili davanti, accavallando le gambe con eleganza e sporgendo la schiena in avanti quel tanto per riconoscere le vie che stavano percorrendo. Ancora casette a schiera, vie illuminate, segnali stradali. Lasciò che le dita lunghe e affusolate sfiorassero la superficie in pelle del sedile davanti, esercitando solo successivamente una piccola pressione. « Può fermarsi all'incrocio più avanti. Scendo lì. » proferì con un tono quasi di comando.
    Il tassista apparve perplesso : il punto indicatogli era buio, privo di qualsiasi collegamento con la realtà. Abbandonare una donna sul ciglio di una strada di quell'entità non lo rendeva esattamente tranquillo, ma poi alla perplessità si aggiunse ulteriore confusione. Non le rispose, ma lo sguardo che le dedicò attraverso lo specchietto le tolse qualsiasi dubbio. Lasciare una puttana in un luogo oscuro, silenzioso, ameno, avrebbe rovinato la sua inesistente reputazione. Perché sì, solo una puttana qualunque avrebbe richiesto di terminare quella corsa in un posto così dimenticato da Merlino. Non potè che sfuggirle un risolino canzonatorio, e con leggiadria tornò ad appoggiare la schiena dietro di lei volgendo lo sguardo nuovamente fuori dal finestrino.
    Dovresti vedere come sono brava con le arti marziali, stupido babbano.
    Possibile che gli uomini potessero essere così stronzi e meschini? Una semplice richiesta aveva fatto sì che nella sua mente si costruisse un film già inciso in una pellicola cinematografica, con annesso anche il perfetto clichè finale. Non un colpo di scena, non un briciolo di suspance. Il classico thriller lanciato in prima serata con la protagonista che tenta di scappare dal suo destino di profumiera, e per farlo sale su un taxi, incontra il suo principe azzurro ma ricade nella trappola chiedendogli di riaccompagnarla in quello stesso punto in cui andava a battere. Un brivido le corse lungo la schiena mentre quelle immagini scorrevano nitide nella sua mente, occupando quel che restava di quella noiosissima corsa notturna.
    Anche suo padre l'aveva dipinta come una puttana, la notte in cui aveva scoperto di lei e del suo fratellastro. Lei non si era sentita per niente tale, e la reazione burbera dell'uomo aveva confermato la sua idea progressivamente. Lo aveva colpito in quel punto per lui così delicato, aveva fatto crollare quella inutile maschera di uomo tutto d'un pezzo, lo aveva reso quel che era davvero. Non si vergognava minimamente di averlo fatto, ne andava fiera, ne sarebbe sempre andata fiera. Il sol ricordo del suo sguardo quella notte, la nebbia che offuscava quegli occhi così sicuri, continuavano ad accendere quella miccia che la prima volta si era accesa nella sua mente.
    « Siamo arrivati, madame... » la voce dell'uomo interruppe i suoi pensieri. Aveva accostato proprio sul ciglio della strada, la pioggia continuava a battere imperterrita sul parabrezza ma i tergicristalli non si muovevano più compulsivamente come poco prima. Evelyn Stark venne come ridestata dai suoi pensieri, lanciandogli uno sguardo elegantemente seccato. Estrasse delle banconote dalla borsetta senza dire una parola, poi le allungò con altrettanta grazia nella sua mano. Lui controllò che i soldi fossero giusti, poi sollevò lo sguardo su di lei come a voler dire qualcosa. « Usi la mancia per pagarsi una donna per stasera » sibilò tra i denti, e senza dargli il tempo di ribattere aprì la portiera e ne uscì, sbattendola dietro di se. Strinse tra le dita il manico dell'ombrello e premette un pulsante, facendo sì che si aprisse con uno scatto. Aspettò sul ciglio di quel marciapiede, ma l'uomo non ripartì subito. Evelyn roteò gli occhi in aria, la schiena dritta, lo sguardo curvo, il corpo ricoperto dal lungo cappotto nero. Solo dopo qualche attimo si decise a ripartire, sparendo lontano, sempre più lontano, fino a diventare un puntino al di là della strada. Con un sonoro pop, la Stark si materializzò a Diagon Alley. L'ombrello era sempre stretto tra le dita, la schiena appariva sempre dritta, ma lo sguardo ora era volto verso sinistra. Una figura in particolare aveva colto la sua attenzione, lasciandola perplessa. Suo padre era appena uscito dal Lilium... discuteva con qualcuno, qualcuno che lei non conosceva. Quel qualcuno le dava le spalle, quel qualcuno era una donna. Non ci pensò più di due volte e con un abile mossa, approfittando della schiena ora voltata di Kreus, si infilò con passo felpato all'interno del locale. La musica attirò immediatamente il suo apparato sonoro, unita allo scatto dell'ombrello che si chiudeva. Lo abbandonò in un angolo per poi sfilarsi il cappotto, rilevando un abito grigio che fasciava le sue forme come la più perfetta delle pelli. Si diede un'occhiata nello specchio di fronte, prestando la dovuta attenzione ad ogni dettaglio : il trucco pronunciato sugli occhi, il rossetto rosso sangue lungo le labbra, i gioielli perfettamente abbinati. Riprese a camminare trovando uno sgabello vuoto e senza troppi complimenti esercitò pressione col piede e ci si sedette, roteando quel tanto per trovarsi frontale al bancone. Il barista, un giovane di bella presenza e dal ciuffo ribelle, le lanciò uno sguardo lungo e penetrante. Le dita di Evelyn si spostarono fino alla chioma, facendola ritornare a danzare lungo la schiena con un movimento delle dita. Spostò le unghie lungo il mento, grattandoselo, per poi tornare a fissare il ragazzo.
    « Un whisky, per favore » sibilò con voce melliflua, tornando a tamburellare con le dita sul bancone. Il piccolo inesperto piegò il capo in avanti dando ad intendere che avesse capito, poi tornò ad armeggiare con bicchieri e bottiglie distogliendo lo sguardo da quello di lei. La mora sorrise. Aveva negato al vecchio autista di prolungare il loro incontro, si era rivolta a lui con un tono sprezzante, ma questo non voleva dire doverlo fare con chiunque fosse di sesso maschile.
    Quel ragazzo sembrava pacato, ingenuo. Avrebbe anche potuto decidere di essere la sua puttana per quella notte, se solo lo avesse voluto. Desiderato.

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    Galvanizzata
    In cerca di una gioia
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    let the light in and now I see
     
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    La vita di Sinclair ruotava attorno a un unico, ma fondamentale, interrogativo: perché a me. Era la prima domanda che si poneva appena apriva gli occhi, e l’ultima che borbottava prima di coricarsi sul letto - in quel momento, quelle parole erano rivolte al soffitto fosforescente di un locale in cui non avrebbe mai pensato di mettere piede. Non in quella vita, perlomeno. Era stata tutta colpa di quel rincoglionito di suo fratello se era capitato in quello che pareva un bordello per ricchi, sapeva che non avrebbe mai dovuto pedinarlo, sapeva che era un poco di buono. Come minimo ora veniva a sapere che aveva una figlia. «annotazione numero uno: il soggetto ama la prostituzione» annuì soddisfatto a se stesso e alla sua capacità di osservazione, mettendo su carta quello che aveva appreso. Il suo scopo quel giorno era di raccogliere quante più informazioni possibili sul fratello, così che quando sarebbe arrivato il momento di affrontarlo, non ci sarebbero state sorprese. O meglio, la realtà era che sperava di scoprire i suoi hobby segreti e accompagnarlo per chiedere il suo perdono. Dopotutto era stato uno dei dottori che l’avevano rinchiuso nei Laboratori, non che fosse il responsabile diretto, ma non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di aver contribuito in qualche modo. «annotazione numero due: il soggetto mostra un particolare interesse per le bevande alcoliche» mica scemo, sarebbero stati ottimi compagni di bevute se gliel’avesse permesso. Già si immaginava a usare il fratello come bastone quando non sarebbe più riuscito a mettere un piede dietro l’altro, oppure i giochi alcolici che avrebbero fatto insieme a Dick. Inutile dire che vivere di headcanon era uno dei suoi passatempi preferiti al momento, forse era questa una delle ragioni per cui andava così d’accordo con Nathaniel: ogni tanto si incontravano al rifugio dello shipper club e si raccontavano (anonimamente) i loro vagheggi. «annotazione numero tre: il soggetto sta palpando il seno di una donna, anche se penso che non sappia cosa stia facendo» insomma, lo sapeva che suo fratello non era un molestatore - anche se, forse, era possibile che avesse pagato la donna per quel servizio. Sinclair scosse la testa, lo sguardo a indurirsi per qualche secondo, non voleva avere nulla a che fare con quel business. «dimmi, hyde, secondo te quanto è grave la sua situazione?» spostò le iridi castane alla sua destra, dove un deadpan Hyde stava studiando la situazione con un disgusto palpabile per l’essere umano. Era proprio per quel suo sdegno che gli voleva bene, era proprio lo gong del suo tango (io avevo scritto giusto ma bauer ha cambiato, così l’ho lasciato). «chissà dove li ha trovati i soldi da infilare nel reggiseno della tipa, che abbia incominciato a spacciare?» erano sempre domande legittime, anche se non credeva che una persona come suo fratello sarebbe stato così intelligente da agganciarsi a un business così fruttuoso. E poi non tutti avevano la stoffa per fare gli spacciatori, chiedetelo ai freaks.
    mentre il gelo si avvicinava
    sentivo anche molto freddo
    il celo si oscuri
    vecchio dentro | padre di molti | speciale dentro
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    sinclair
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    Edited by ambitchous - 1/9/2019, 01:30
     
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    «ma che cazzo non va, nella gente» un sibilo che non aveva alcuna intenzione di passare inascoltato, quello dell’Hyde curvato sul bancone del Lilum, l’occhiata densa d’apatia a galleggiare appena oltre il bordo del bicchiere. Erano quattro (4) mesi che Jack Daniels era entrato a far parte di quel mondo magico, ed erano già quattro (4) mesi di troppo, per un Crane Winston che di vivere non ne aveva mai avuta molta voglia neanche nel suo secolo.
    Ritrovarsi però, in una notte qualsiasi di un Novembre qualsiasi, a perseguitare il proprio ancora giovane padre in un locale di spogliarelli, sfiorava davvero il fondo di un abisso che credeva infinito; una vera fortuna che quella sera, almeno sperava, non lavorasse – non era pronto a vedere in azione le mosse che papà Al aveva insegnato a lui e Jekyll quand’erano ancora bambini.
    Davvero. No grazie. Inumidì le labbra con l’alcolico scadente che il barista aveva fatto passare per whiskey, ma che del whiskey conservava solo la concreta puzza di morte, facendo scivolare ancora gli occhi sull’orologio: quanto ancora avrebbe dovuto vagare prima d’essere certo che tornando a casa avrebbe trovato suo fratello addormentato, e non più in piena crisi depressiva causa Davina? Era davvero sfiancante tenere al proprio fianco un così alto concentrato di emozioni, per chi come il biondo minore le trovava estranee; era un po’ come aprire wechat e trovarsi il flood di kinesi: irreale. Tamburellò l’indice sul bancone, facendo del proprio meglio – ovverosia, eccellendo - per passare inosservato, fondendosi con le luce fioche del locale. A giurarci su Dio, se qualche altro individuo con abiti succinti avesse cercato di approcciarsi, Hyde sarebbe uscito dal Lilum tornando con una tanica di acido senza alcuna pietà neanche per il proprio padre: c’era un limite a tutto – e quello dell’ex Serpeverde, era sempre stato più ristretto di quello della maggior parte delle persone. Ci teneva, ai propri spazi personali. Gli sfuggiva, davvero, il perché di quelle attenzioni: ma non lo vedevano che li odiava? Che li repelleva? Jeez, se erano into il bdsm bastava dirlo, non c’era bisogno di soffiare sulle candeline un sogno proibito così estremo; se volevano soffrire, non era il ragazzo che faceva per loro.
    Le sofferenze, le toglieva d’un colpo solo. E per quanto riguardava il bdsm, hashtag “questa è canon”, se Hyde fosse stato più interessato a quel genere di piacere, sarebbe stato un sottomesso, non un master; eh, la vita. Fortuna che queste cose il biondo non le sapeva, conoscenza intima solo della player e di pochi eletti. «frisona,» era un gentiluomo, vacca era troppo volgare. «sposti la testa, non vedo» e dato che sembrava non cogliere l’antifona, o forse non l’aveva sentito affatto, agì facendo sgusciare una mano sulla nuca della donna, per sbatterle poi la testa sul bancone. Non amava sporcarsi le mani, ma qualcuno doveva pur farlo. Offrì un sorriso piatto al barman, volgendo poi lo sguardo ceruleo oltre quella che altri avrebbero definito Milfona.
    Fu in quel momento, cercando il dolorosamente familiare profilo di Al, che vide zio Sin.
    Prese (il calice e rese grazie) il whiskey della Frisona, sollevandolo complice in direzione dell’uomo: «speriamo che al non si tolga le mutande» cosa? cosa ma in viaggio del tempo.
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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