Where we're from, there's no sun

[pre quest #08] - cj, sandy & gwen

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    Gwendolyn Markley
    Era arrivato il momento. Il momento che per anni aveva atteso con ansia, su cui aveva fantasticato più volte di quante fosse disposta ad ammettere. Il giorno che più aveva desiderato arrivasse, dopo quello in cui scopriva la vera identità dei suoi genitori, naturalmente. E, da esattamente quattro mesi e dodici giorni, aveva ricevuto LA pergamena. Quel foglio così insignificante, a prima vista, così piccolo, ma che in realtà conteneva le verità di una vita intera. La sua vita, quella che aveva già vissuto in un tempo più lontano, che doveva ancora verificarsi, che oramai non sarebbe accaduto più. Quella pergamena conteneva una parte di ciò che Gwendolyn Marley era stata. Gwendolyn. Gwen. Danielle. Dani. Il nome faceva poi così tanto la differenza. Era stato quel Leroy-Gallagher, scritto lettere chiare e terribilmente comprensibili, ad averle smorzato il fiato. Ad averle fatto dubitare, per un solo attimo, la veridicità di ciò che le avevano insegnato all'accademia durante tutta la sua vita. Per un momento ci aveva creduto sul serio: Sono tutte cazzate. Ma un secondo dopo era tornata alla realtà, anche perché, nonostante fosse difficile ammetterlo, tutto aveva talmente senso. E la ragazza aveva imparato ad accettarlo.
    Dopotutto, erano gli unici genitori che aveva.
    E meritavano di sapere anche gli altri ragazzi della missione, ora più che mai. Perché il mondo in quel periodo diventava sempre di più incerto, instabile. La guerra era iniziata ed era facile immaginare come, da un momento all'altro, sarebbe potuta arrivare anche in Inghilterra. Anzi, in un modo o nell'altro, era già lì. E dunque chi era lei, per mantenere segreti così grandi? Lo aveva fatto per una vita intera, ma ormai era arrivato il momento della verità, perlomeno per alcuni di loro. Se lo meritavano.
    Ci pensava già da giorni, ne discuteva con Kieran, segnava i giorni sul calendario in attesa di quello prescelto. Il giorno in cui avrebbe svelato la verità ad alcuni dei ragazzi era arrivato. In realtà non sarebbe dovuta andare così: avevano diritto a più tempo. Giusto qualche giorno, ma era abbastanza per prepararsi un discorso più preciso, per scegliere le parole adatte, per trovare un modo di organizzare tutto al meglio. Desiderava che fosse tutto perfetto, per il gran momento: casinara di primo ordine, menefreghista per la maggior parte delle cose che accadevano intorno a lei, idiota patentata, ma ai ragazzi del 2043 ci teneva davvero tanto. Nel corso degli anni aveva sviluppato una sorta di affetto incondizionato nei loro confronti, davvero per tutti, nessuno escluso. A quelli che si trovavano ad Hogwarts naturalmente ancora di più: erano più piccoli, seppur di qualche anno, e fin da subito li aveva considerati una famiglia, come fratelli minori. Aveva venduto droga a CJ e Sandy a prezzi molto più bassi della media. Aveva tentato di trascinare i cuccioli d'uomo tranquilli e pacati come Byron, Amalie e le gemelle Krum a feste clandestine per vederli divertire, e ci provava ogni singola volta, anche se falliva miseramente nella maggior parte delle occasioni. Aveva dovuto combattere contro il desiderio di abbracciare Elanie ogni volta che la incrociava in corridoio perchè too precious for this world, si era affezionata a Sersha e BJ nel momento stesso in cui il cappello parlante gli aveva smistatati tra i serpeverde, si era imposta proposta a Joey come sensei insegnandogli tutti i segreti delle arti marziali di cui era a conoscienza ed aveva ammirato la Goodwin e il suo successo nel riuscire a far sorridere Barry: lei non ce l'aveva mai fatta. Dal primo momento in cui aveva posato gli occhi su ognuno di quei ragazzi, aveva voluto diventare qualcuno per loro, che per lei già lo erano, anche se non li conosceva di persona. Aveva sempre messo in conto la possibilità che qualcuno di loro potesse essere suo parente - fratello, cugino, zio di secondo grado, nonno #wat - e nel dubbio, giusto per non sbagliare, li aveva considerati tutti tali.
    Temeva che l'avrebbero odiata per aver tenuto il segreto tutto quel tempo? Giusto un po'. Ma era ciò per cui era stata addestrata tutta la sua vita e sperava che avrebbero compreso.
    Erin e Scott lo avevano fatto.
    Dal momento in cui Kieran aveva detto ai Chips tutta la verità, Gwen aveva temuto che non l'avrebbero più voluta vedere. Era stata in silenzio quando aveva visto per la prima volta Scott ad Hogwarts, era rimasta zitta quando aveva messo piede per la prima volta al Quartier Generale ed aveva stretto la mano di Erin. Aveva cercato di recuperare il tempo perso, perchè avrebbe voluto conoscerli di più, già da prima. Ma l'aveva capito guardandogli negli occhi che non la odiavano, quando gli aveva chiesto scusa. Non era servito altro che quella semplice parola, che raccoglieva così tanti significati.
    Scusatemi se non ve l'ho detto prima
    Scusatemi per avervi tenuto nascosta una cosa così importante
    Scusatemi per non essere la cugina ideale

    «Scusatemi»
    Ma ora abbiamo tempo.
    Possiamo recuperare quello perso
    Possiamo almeno provarci

    E quanto avrebbe desiderato rivolgere quelle parole anche al resto della famiglia. Agli altri cugini. Ai suoi zii. Alle sue sorelle. Ai suoi papà.
    Li aveva osservati, in quei mesi, più di quanto avesse fatto prima. Ed aveva abbandonato l'idea di iniziare una conversazione con Shiloh da persona civile, così aveva semplicemente deciso di fare nel modo che più le si addiceva, l'unico che conosceva: combinando casini. Dopo ore di ricerche ed appostamenti (#stalkervera), l'aveva vista per strada e così aveva iniziato a correre, e fingendosi una sporitiva professionista (?) le era andata direttamente contro, facendo cadere alla sorella tutto ciò che aveva in mano. L'aveva fissata per un po', sconvolta dal fatto che era la sua gemella, anche se in quel momento si portavano anni di distanza, poi l'aveva aiutata a raccogliere il tutto e non era riuscita a dire altro che un semplice «Scusa» prima di allontanarsi.
    E i rapporti con Arci erano stati così imbarazzanti all'inizio («Markley ti volevo chiedere..»«SCUSA VADO DI FRETTA»«Ma ci metto un sec..»«SONO IN RITARDISSIMO CIAO») ma alla fine, anche se non ci si sarebbe mai abituata realmente, aveva imparato ad accettarlo. Insomma, in quel momento lui non era ancora diventato suo padre #wat, e la loro amicizia era probaiblmente la cosa più vicina ad un rapporto padre/figlia che avrebbe mai avuto in tutta la sua vita. Anche se di paterno non aveva nulla.
    Ed era ancora più surreale che l’altro suo padre fosse Aidan. AIDAN, con cui condivideva il peso della licantropia. Che era l’unico con cui poter parlare di quanto fosse pesante doversi trasformare ogni mese . Si erano visti nudi a vicenda innumerevoli volte e per nessuno dei due c’era mai stato imbarazzo alcuno, perché oltre che maghi in parte erano anche lupi, però pensare di aver visto suo padre come mamma l’ha fatto adesso le faceva un effetto diverso. Era il ragazzo con cui aveva cercato di incastrare appuntamenti con Arci mettendo su piani molto ambigui e costringendoli a presentarsi in luoghi inusuali.
    Che dire, era sempre stata brava a mettere su piani per riunire persone contro la loro volontà.
    Quel pomeriggio non fu da meno.

    «Fidati Kieran, funziona sempre.» Conosceva i suoi polli E così aveva fatto apparire magicamente nelle tasche di CJ e Sandy un foglietto in cui li invitava ad un rave “alcol, droga, bella musica e bella gente, accorrete numerosi” che si sarebbe tenuto alla Stamberga Strillante. Naturalmente sul retro aveva anche lasciato un bel messaggio: "teste calde, vedete di venire. Vi devo una canna a testa" Era davvero in debito con loro? Naturalmente no. Ma quei due sarebbero stati talmente allettati da una simile offerta da non rendersene conto. Come avrebbero potuto rifiutare?
    Avevano allestito tutto così bene: le sedie erano posizionate in cerchio, in due piccoli gruppetti piuttosto distanti tra loro, così come aveva visto fare agli incontri degli A.A.A (Anti Alcolisti Anonimi obw), c’era un tavolo con patatine fritte, popcorn e ciambelle ed infine, tocco di classe, uno striscione gigante attaccato al muro con su scritto “Questo NON è un rave” e sotto, più in piccolo “Ma ciò che chiedete c’è comunque, e forse anche di più”. Le pergamene erano ordinatamente poste su un tavolino , nel mezzo tra i due cerchi di sedie. Era tutto così bello. Anche Gwen avrebbe voluto che la sua rivelazione fosse stata così ben studiata – ma dove – mentre invece era stata molto fredda e priva di sentimento.
    «Secondo te ci crederanno? Decideranno di andarsene o inizieranno a picchiarci?» Insomma, CJ e Sandy. Non era una possibilità così remota. Ma Gwen era sempre pronta per una rissa bella e pesante, dunque non vedeva l'ora. Li vide entrare, uno dopo l'altro, e quando si assicurò che fossero tutti si affrettò a chiudere la porta alle loro spalle con un incantesimo molto basic ma acab, mica gli altri dovevano saperlo. Così decise far leva sulla sua aria intimidatorio (MA QUANDO) per farli rimanere . «Ora non potrete più uscire finchè non ascolterete ciò che abbiamo da dirvi» Sembrava una killer seriale? Molto. Ma poco le importava: dovevano dirgli la verità, e quello era il giorno scelto. Non avrebbero potuto fare altrimenti.
    «Per prima cosa, BENVENUTI! - e qui gli rivolse un ampio sorriso, per dimostrare che non voleva davvero ucciderli. Per una seduta del club dell'occulto ci sarebbe stato tempo in seguito, e poi non avrebbe mai indetto una riunione senza la presenza di Carrie, Arci e Sharyn - mettetevi a sedere, così vi spieghiamo di che si tratta. AH, - si girò verso le sue vittime personali - come dice lo striscione, ciò che vi avevo promesso c'è comunque, dovete solo aspettare un po'»
    Insomma , dovevano solamente scoprire che in realtà tutta la loro vita era una menzogna e venivano da un futuro distorto e senza speranza di salvezza. Non era così tanto da chiedere, no?
    1998's
    keeper
    werewolf
    (danielle leroy-gallagher)
    the rose discovers
    she's an instrument of war


    Edited by mephobia/ - 14/1/2018, 17:08
     
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    cj knowles
    Cadde a terra, la fronte premuta contro le pietre fredde del pavimento. Si costrinse a respirare, si convinse che l'aria potesse passare attraverso la trachea e giungere ai polmoni senza che le costole li bucassero - era solo sensazione, ma aveva imparato a riconoscere una frattura allo sterno. Sapere che inspirare avrebbe aggravato la situazione, rendeva il bruciore al petto dato dall'assenza di combustibile, tollerabile.
    Peccato che tollerabile non potesse esserlo: prima o poi, l'organismo si sarebbe ribellato ed avrebbe reclamato ossigeno nella maniera più crudele e violenta possibile - tanto valeva assecondarlo subito.
    Chiuse gli occhi e si morse la lingua.
    «non pensavo saresti stato così stupido da tornare» Vecchia storia, mai abbastanza divertente: CJ di quella stupidità c'era nato, ed indubbiamente ci sarebbe morto. Nascose un sorriso tagliente nei denti, frammento di vetro a reclamare carne da lacerare. Che CJ Knowles fosse un'arma, era indubbio a tutti; che non avesse elsa e solo lame, informazione per pochi.
    Cercò di umettarsi le labbra.
    Mi sopravvalutava. Ingoiò quella risposta insieme al sangue ed alla saliva, soffocandola in una risata muta che gli tagliò il fiato. La sentiva pungere sul palato, già formata e pronta a curvargli la bocca nel sorriso ironico in cui il mondo l'aveva modellato con pugni e calci nel costato.
    Chissà se lo capivano, che quelli come lui non ci nascevano, così. Chissà se lo sapevano, che la colpa era loro.
    Chissà se gli interessava.
    Premette i palmi sul pavimento facendo pressione per sollevarsi, cauto nel muovere il busto. Non aveva paura di morire, ma se poteva evitarlo, tendeva a non farlo: non gli importava di sopravvivere o meno, ma il suo corpo reagiva prima che la ragione potesse andarci di mezzo. Che ci era nato, CJ, per sopravvivere.
    In una vita o nell'altra.
    Non poteva trattarsi sempre di culo, quel dito medio sollevato ad una nuova alba.
    Un piede lo spinse nuovamente a terra. Si sentì schiacciato ed impotente, i denti a tagliare lingua e guancia - ed il cuore a pulsare frenetico contro lo sterno, un animale in trappola nella carotide. Soffriva di claustrofobia, CJ. Sentirsi messo alle strette gli offuscava la vista lasciando spazio al meccanismo animale attacca o fuggi, opzioni che in quel momento, ovviamente, non poteva permettersi.
    Quante volte in quei mesi se l'era sentito ripetere? Quante volte era stato biasimato per la sua scelta, e quante ferite avevano assunto la sfumatura rosea della colpa? Se le era meritate, viziato ed impertinente quanto il filo di fumo fra le labbra sottili di un devoto al Signore. Un proibito, CJ: uno di quei libri vietati lasciati a prendere polvere negli scaffali di un Cristo qualunque dimenticato da Dio.
    Un errore ed un imprevisto.
    Stupido, per di più.
    Erano passati quattro mesi, ma per il Tassorosso non pareva un giorno - prevedibile, a causa della sua peculiare... sindrome. Un giorno avrebbe trovato ironica la sua incapacità di dimenticare: fino ad allora, avrebbe persistito nel saperla solamente una gran bella merda.

    Aveva sempre avuto i suoi riti, CJ. Poco importava che fosse un Caleb, o un Christian, un Chandler o un Christopher: non c'era mai stato cognome in grado di cancellare quel genere di routine, si trattasse di strappare targhe alle auto o sporcare di vernice i muri di una città assente.
    C'era che aveva il tè delle cinque, e chi i frappè il ventun luglio.
    Non sapeva con esattezza come fosse cominciato, ma non ricordava anno in cui non fosse riuscito a racimolare un paio di sterline per recarsi alla tavola calda più distante da dove aveva dimora (non l'avrebbe mai definita casa) per prendersi due milkshake. Sarebbe stato divertente vedere un tipo come CJ a stringere, fra dita sottili e nocche sporche di sangue, bevande analcoliche con cannucce colorate e fragole sulla panna - esilarante, se non si fossero incrociati gli occhi chiari e distratti che posava sul bancone.
    Sempre troppo adulto, lui. Troppo vecchio e stropicciato, un giornale dimenticato sulla panchina del parco a perdere colore sotto sole e pioggia. Non sapeva perché, né cosa glielo facesse pensare - chiunque lo guardasse non poteva che porsi l'eterno ed irrisolvibile quesito. Un paradosso. Gente come lui, avrebbe dovuto essere impossibile: che ti sorrideva prima di inzaccherarsi le mani del tuo sangue, la lingua sporca di whisky e pepsi cola. Danneggiato, certamente.
    Ma da quando.
    Ma da quanto.
    Si guardava, e non sapeva rispondersi. Si guardava e si sorrideva, un bambino dalle dita lorde di caramello e sangue. C'erano tanti tipi di mostri, al mondo.
    CJ era solo un altro nome sulla lista.
    «perché due?» non alzò neanche lo sguardo, limitandosi ad un sorriso lieve attorno alla cannuccia. Non amava parlare di sé, CJ Knowles; a dire il vero, parlare in generale non rientrava affatto nella classifica delle cose che preferiva, figurarsi quando l'oggetto della questione era lui stesso - quel lui stesso che non voleva altri vedessero. Quello che teneva per sé, infima protezione per un mondo che non l'aveva mai compreso. Non amava farsi comprendere, CJ Knowles; nel suo sangue scorrevano incomprensioni e fraintendimenti - se William Lancaster cercava arcobaleni e conversazioni a cuore aperto, aveva fottutamente sbagliato criminale da redimere. Era abbastanza egocentrico da amarsi di quell'amore sbagliato che sfiorava spesso l'odio, ma non pretendeva che per gli altri fosse lo stesso - un egocentrico modesto che si beava del proprio egoista affetto, lui.
    Fingeva di bastarsi per colmare il non bastarsi mai.
    «così» si strinse flemmatico nelle spalle, le palpebre ad assottigliarsi nel sentire l'uomo sedersi al proprio fianco. Dio, come aveva fatto a trovarlo? Era riuscito a sfuggire al radar di Sunday, e di impegno ce n'era voluto.
    Fottuto stalker di un Lancaster.
    «quindi "così" prendi due frappè -» si sporse sul secondo bicchiere, entrando così nel suo apatico campo visivo. «- uguali?» che ne sapeva, il preside di Salem, di cosa rappresentassero per il Tassorosso; e che bisogno c'era, per il Tassorosso, di renderlo partecipe di quel simbolico rito.
    Era una cosa solo sua.
    Era una cosa che quel mondo e quella vita non avrebbero compreso. Era un CJ che non avrebbero capito, che a malapena si capiva lui.
    Teatrale ed eccentrico, ma solo per sé.
    «non devi rispondermi per forza.» roteò gli occhi al soffitto: non l'avrebbe fatto in ogni caso.
    Serró le palpebre; gli bastò sorseggiare la bevanda perché un fiume di ricordi gli intorpidisse la mente escludendolo dall'ambiente circostante, pensieri e memorie differenti a lambire la fragile coscienza di CJ.
    Aveva sette anni, le gambe incrociate sulla panca.
    Aveva otto anni, cerotti colorati sulle dita che stringevano il bicchiere di vetro.
    Aveva nove anni, fazzoletti rossi ad asciugare la macchia di latte sui pantaloni.
    Aveva dieci anni, gli occhi sulla vetrina.
    Aveva undici anni, i piedi sul tavolo.
    Aveva dodici anni, la testa reclinata all'indietro mentre fra i denti stringeva la ciliegia privata del picciolo.
    Aveva tredici anni, vaniglia a mescolarsi al sangue sulle labbra sottili.
    Aveva quattordici anni, jeans strappati a mostrare rosee cicatrici sulle gambe.
    Aveva quindici anni, la panna a scivolare su tombe vuote di un ragazzo vuoto.
    Aveva sedici anni.
    «cj?»
    «la sto ignorando» si sentì in dovere di sottolineare, pacato ed educato, senza sollevare le palpebre. Rimase nel buio, lui che di buio viveva - lui che buio era.
    «le ferite stanno guarendo» ci teneva proprio tanto a fare conversazione. CJ sospirò, lo sguardo a posarsi lento sull'uomo. «così pare» un sorriso sornione e catastrofico sulla bocca, quelli che già avevano visto cicatrizzarsi e riaprirsi più di cento tagli. Ci facevi l'abitudine, ad un certo punto. Non prestavi più attenzione alle croste. Lancaster annuì fra sé, soddisfatto dall'aver ricevuto una risposta dal ragazzo. Si accontentava davvero di poco. Sapeva cosa quella semplice constatazione celasse, ma non sarebbe stato il primo a tirare fuori l'argomento: niente sangue fresco sulla pelle chiara. Quasi un mese senza che nessuno riempisse di botte il Knowles - un record. In America non c'era alcun rodere, nessun vecchio cognome a voler riscattare premi in forma di carne e denaro; non doveva cercare di sopravvivere ad una vita che non aveva chiesto. Non doveva fingere che respirare la stessa aria dei suoi aguzzini non fosse un azzardo: era libero di essere, CJ. O di non essere, se non gli andava. Nessuno di cui preoccuparsi, nessuna reputazione da mantenere con una mazza stretta nella mancina ed un tira pugni nella mano destra.
    Non voleva tornare a Londra.
    Non poteva tornare a Hogwarts.
    «non vi ho invitati qua per farvi fare le vacanze estive a miami beach» CJ strinse la cannuccia fra le dita picchiettandola sul fondo, una pazienza già al limite a strabordare dalle iridi color tè verde. Se non fosse andato contro la sua etichetta, ossia fare quel che cazzo voleva sbattondesene le palle dei progetti che altri avevano per lui, si sarebbe alzato e se ne sarebbe andato - ma no, neanche il testardo ed importuno Lancaster sarebbe riuscito a rovinare il rito annuale di CJ Knowles. «peccato» rispose impassibile, tornando a guardare il proprio bicchiere con un mezzo sorriso ad attrarre schiaffi come magneti ad un metallo. «sai quello che intendo,» fece un cenno alla cameriera per farsi portare un tè freddo, un altro sospiro stanco a sgusciare dalla bocca del ragazzo: Lancaster non aveva intenzione di andarsene a breve, evidentemente.
    Quale immensa gioia.
    «mi casa es tu casa, tu entiendes?» la morsa attorno al vetro della tazza di CJ si fece serrata e dolente, nocche bianche e petto immobile di respiri.
    No, lui non entiendes.
    Tacque perché non aveva una risposta adeguata. Tacque perché non era certo, CJ, di cosa sarebbe uscito dalla bocca sottile ed astiosa. «l'offerta è sempre valida» con la coda dell'occhio lo vide allungare le dita verso il suo braccio, ed istintivamente si ritrasse: nessuno toccava CJ senza esplicito fottuto invito di CJ. Il sospiro dell'uomo fu eco del suo, denso e pesante nell'ambiente caldo ed appiccicoso di quella tavola calda. «puoi rimanere quanto vuoi» Perché. Perché. William Lancaster, a CJ, non doveva nulla; il ragazzo non era avvezzo a comportamenti del genere, a persone che da lui non richiedevano alcun compenso. Non era abituato a non vendersi, consapevole che quel mondo, a gente come il Knowles, chiedeva sempre un pegno in cambio di qualunque cosa – Dio, perfino l’ossigeno. Deglutì aria, sforzò l’angolo destro delle labbra ad una smorfia. «hogwarts è un’ottima scuola, ma non quanto Salem» Non ricambiò lo sguardo del preside, gli occhi ferini fissi sul fondo opaco della tazza. «potresti ricominciare, qui» Perché. Perché. Una fiammata d’ingiustificata rabbia rese le vene conduttori del fuoco più puro, le iridi a brillare malevole sotto le palpebre dischiuse. Strinse i denti ed i pugni, le unghie conficcate nella carne dei palmi. Chi credeva di essere, Lancaster? Pensava forse di poterlo salvare? Che ci fosse qualcosa, in CJ Knowles, che meritasse quel genere di opportunità?
    Una seconda occasione?
    Lontano da tutti, in America. Uno sconosciuto fra centinaia di sconosciuti, privo di passato e di legami.
    «potrebbe diventare casa tua, sai»
    Evidentemente, non aveva capito un cazzo del ragazzo che si ritrovava di fronte. Il labbro inferiore venne morso fra i denti, una risata atona ad ingiallirsi sul palato: gente come CJ non sognava una vita che sapeva di non poter avere.
    Gente come CJ sapeva quale fosse il proprio posto.
    Gente come CJ non lasciava nessuno indietro - non più. L’aveva promesso, anni dopo e prima. E che senso avrebbe avuto, una nuova vita, se non era quella che desiderava lui – cosa Cristo se ne faceva di quell’aria pulita, se agognava solamente smog e sangue nei polmoni.
    Perché William Lancaster poteva offrirgli una casa, non una famiglia: quella, CJ, l’aveva già. E non era lì. Se avrebbe preferito rimanere in America piuttosto che tornare in quel buco di culo di Hogwarts? Vaffanculo, sì. , mille e cento volte, soprattutto sapendo ciò che sapeva. Se l’avrebbe fatto? Vaffanculo, no. No, mille e cento volte. Poteva non essere una famiglia perfetta, quella di CJ. Poteva non essere neanche una famiglia, ma era ciò che di più vicino avesse mai conosciuto - riconosciuto come tale. E Cristo, gli costava ammetterlo. Gli pesava dirlo perfino a sé stesso, quando la malinconia minacciava di masticarlo dall’interno lasciando polpa ed ossa – non l’avrebbe certamente detto a Lancaster.
    CJ Knowles non se ne faceva un cazzo di niente di un posto in cui vivere, se non c’era nessuno per il quale valesse la pena farlo.
    Non poteva lasciarli da soli - non così.
    Non l’avrebbe fatto - non di nuovo.
    «ci penserò» e che non ci avrebbe pensato, lo sapevano entrambi. Non c’era nulla su cui riflettere, nessun opzione da pesare sul piatto: la scelta era, e sempre sarebbe stata, una soltanto, per CJ. La mancanza della dedizione in una causa, fosse anche sé stesso, la compensava facendo divenire cause gli altri. Era uno dei tanti bastardi del ghetto, il Knowles, più bravo a sparare che non a parlare, ma non aveva mai dubitato della scelta del Cappello Parlante durante lo Smistamento: conosceva i suoi limiti, le sue debolezze.
    E li conosceva, perché avevano tutti dei nomi.
    Che vita del cazzo, lo so.
    «beh, vecchio,» sorrise caloroso all’uomo, prima di saltare giù dallo sgabello con un agile balzo. CJ era bravo, in quello – sorridere con calore. Nessuno gli aveva mai insegnato la differenza fra una fiamma ed un incendio. «io vado.» Gli occhi a sfuggire quelli dell’uomo ma senza mai evitarli apertamente, un’arte in cui era diventato maestro nel corso degli anni. Aveva solo sedici anni, CJ – erano cose che non avrebbe dovuto sapere. Che non avrebbe dovuto dover sapere, ed invece l’avevano forgiato come ferro in una fornace. Prese il secondo bicchiere – ancora intatto, anche se per poco: l’avrebbe versato sul marciapiede, un breve segno della croce e due dita al cielo per l’annuale CJ morto nei trecentosessantacinque giorni antecedenti – e fece per lasciare una banconota da cinque dollari al bancone, quando un cenno della mano di Lancaster lo fermò: «non ti preoccupare, offro io» Inarcò un sopracciglio, reclinò il capo. Se fosse stato un Joey, avrebbe lanciato con stizza il proprio denaro sul bancone millantando di non aver bisogno della carità altrui, ma non lo era: osservò curioso il preside di Salem, le labbra piegate verso il basso.
    Si chiese se ci stesse provando con lui. Avrebbe dovuto dirgli che era troppo datato per i suoi gusti? Si strinse nelle spalle, una smorfia nell’arricciare compiaciuto il naso: «bella lì» che essere in debito non gli piaceva, ma i soldi non li aveva mai considerati tali. Troppo vili, troppo facili da reperire per poter essere considerata merce di scambio da CJ.
    Accreditava gesti, non diamanti.
    «ci si becca in giro» strappò dalla lingua il nauseante sapore di non detto, di una vita accantonata per i piaceri frivoli che appagavano l’istinto - le finestre dell’io di CJ venivano aperte solamente una volta l’anno per cambiare aria, e solamente dentro tavole calde il ventun luglio. Il resto era alcool, droga, e vene aperte sui marciapiedi. Fuori da quel locale, sarebbe tornato ad essere il quasi diciassette che spaccava ossa per il sadico piacere di udirle spezzarsi.
    Si chiuse la porta alle spalle molto prima di udire il bisbiglio di Lancaster confidato al proprio tè, lo sguardo antico e giovane dentro la tazza. Una voce solo per sé, nella vita di entrambi.
    «buon compleanno, cj» .

    La bocca dischiusa lasciava sul pavimento tracce di saliva mista a sangue, la vista del prefetto resa opaca dall’assenza di ossigeno. Si disse che sarebbe durata ancora poco - che sarebbe durato ancora poco -, che aveva visto di peggio. Che non era una guerra che poteva essere vinta, quella, perfino per lui che non sapeva essere altro se non soldato. Ignorava il dolore con un’alzata d’occhi ed un sospiro sibilato fra i denti, annoiato dal continuo tentativo dell’universo di mettere alla prova la sua fottutamente infinita pazienza. Incassava e taceva elencando mentalmente la lista di tutte le armi di cui era a conoscenza, ed il modo in cui le avrebbe usate per fare il culo a stelle, strisce, e fottuti arcobaleni, a tutti quegli stronzi che, nei suoi sedici anni di vita, avevano creduto di poter fare con lui il cazzo che gli pareva.
    No, zio. Vaffanculo, non funziona così.
    Forse i maghi non conoscevano la legge di base di un debito – se prendevi in prestito qualcosa, dovevi restituirlo con gli interessi. CJ faceva schifo in matematica, ma immaginava che le percentuali fossero tua madre, tua sorella, e la tua fottuta cocorita.
    Una roba del genere.
    Aveva perso la sensibilità al braccio sinistro. L’occhio sinistro era già gonfio, faticava a tenerlo aperto, ed il labbro spaccato continuava a mandargli infide stilettate di bruciore a tutta la bocca. Forse le costole non erano rotte – forse erano solo incrinate.
    E forse il freddo che percepiva sulla schiena non era dovuto all’assenza di pelle sulla carne.
    Forse non aveva perso così tanto sangue.
    Forse Barry non era biondo naturale.
    Mistiko.
    «mi domando perché tu sia ancora vivo» doveva sentirsi lusingato dal fatto che il preside di Hogwarts si preoccupasse per la sua salute? Se avesse avuto fiato con cui farlo, avrebbe riso.
    Ed invece non riusciva a respirare, e l’unica cosa a cui la sua mente riusciva a pensare era la fottuta sigla del Principe di Bel Air. «poi mi rendo conto che mi annoia, ucciderti. Mi piace lasciarti così – a tal proposito, ho un impegno urgente» Quando il piede venne a mancare sulla schiena, il Tassorosso si concesse finalmente un respiro. «non allontanarti troppo» ed il respiro divenne solamente mezzo, stroncato a metà da un dolore improvviso ed imprevisto alla gamba destra. «cristo» ringhiò ripiegando il capo verso il petto, incapace di tenere quello stridio per sé. Sentiva gli occhi pungere di quelle stupide lacrime che il corpo reclamava quando provava un intenso dolore fisico, le vertigini e la nausea a prudergli in gola.
    Cristo Gesù Signore.
    Troia puttana di tua madre.
    Maremma Bucaiola.
    Hasta la vista.
    Die Hard.

    Lo sapeva che sarebbe stato utile intitolare così le canzoni dei Freaks – c’erano momenti in cui il cervello proprio non ce la faceva, a pensare da sé ingiurie efficienti. Ricordare i titoli scritti con l’uniposca sui CD, era fottutamente e schifosamente più semplice. E mentre Biochemists Van Lidova spaccava la gamba di CJ sotto l’elegante bastone da passeggio, il Knowles ebbe un solo rimpianto.
    Non essere rimasto in America? Non dite cazzate.
    Non aver intitolato l’ultima canzone puttana merda se non muori male.

    Un respiro – sperava, credeva. Una mano a stringersi spasmodica sul muro di pietra del castello, una bestemmia fra i denti nel trascinare la gamba inutilizzabile dietro di sé.
    Un conato. Vuoto.

    «ehi questa è la maxi storia di come la mia vita è cambiata - » disorientato, confuso, Lele. Doveva arrivare solamente all’angolo – e dall’angolo, un poco più avanti.
    Vertigini. Vuoto.

    «rose cristo, bastava spostare il culo» corrugò le sopracciglia sentendosi febbricitante, le labbra una linea seghettata e pallida. Si accasciò al suolo con una mano a reggere la fronte, e l’altra abbandonata al proprio fianco. Vuoto .

    «la pubblicità di Calimero non faceva onore alla mamma – Madonna, chioccia, e lavalo sto pulcino una volta ogni tanto» Finchè parlava, andava bene. A malapena si rendeva conto degli stati d’incoscienza fra una frase sconnessa e l’altra.
    Non sapeva quanto tempo fosse passato. Non sapeva quanto tempo gli fosse rimasto - a lui, a loro.
    «che spot del cazzo» chiuse un occhio.
    «cj?» Non lo riaprì.
    «[…] … infermeria.» Lo aprì, un’occhiata bieca alla ragazzina al proprio fianco. Quando si era alzato? «dallaire?» «no, tua madre – santo cielo» rude. Cercò di inumidirsi le labbra, fallendo miseramente. Abbassò lo sguardo sulle proprie gambe, bende di fortuna e – «non l’infermeria» una scarica di adrenalina gli fece drizzare la schiena e puntare il piede sano al suolo, bloccando sul posto sia lui che Arabells. Il braccio di lei era stretto alla sua vita, sotto lo sterno. «sì, va bene, niente infermeria» Eppure continuarono a spostarsi, gran parte del peso di lui a gravare sulle spalle della Corvonero.
    Aprì entrambi gli occhi. «non infermeria» ringhiò, spingendosi contro il muro per allontanarsi. «perché?» «cazzi miei» «bene» che suonò come un male, ma CJ volle essere ottimista.
    «non infermeria» supplicò al corridoio, costringendo il capitano della squadra di Quidditch a guardarlo. Non poteva andare in infermeria, CJ. «non voglio-» si sappia. Lo sappia. «non posso» si schiarì la voce, abbandonò il capo all’indietro. «mollami» «sicuro» «fatti i fottuti cazzi tuoi» «sparat- oh.»
    A cui seguirono altri due oh, e due sospiri.
    Passi veloci nel corridoio. «non in infermeria»
    «chi ti ha ridotto così?» Una delle voci si impose, troppo vicina. D’istinto indietreggiò prima che l’insegnante di incantesimi potesse toccarlo.
    D’istinto accettò la mano della ragazzina al fianco della Winston, occhi verdi e spalancati sollevati su di lui.
    Da qualche parte lo sapeva, CJ, che quando Tupp offriva una mano, non era mai per colpire: non aveva mai nascosto un pugno in una carezza, sua cugina. Dubitava avrebbe cominciato ora, dove gli unici pugni che Erin conosceva erano brofist. «la vita» rispose con quello che sperò essere un ghigno, prima di portarsi la mano libera alla fronte.
    Vuoto.

    «eau la,» CJ portò la mano destra alla ruota, le labbra piegate in una smorfia soddisfatta. Come Lies gli aveva fatto poco gentilmente notare quand’erano rientrati ad Hogwarts, erano arrivati troppo tardi per la cena – poco male, il Tassorosso non era un patito del cibo. In due ore – più o meno, credeva - al San Mungo, l’avevano rimontato come un puzzle: sì, aveva una frattura in via di guarigione alla gamba sinistra; sì, aveva la spalla sinistra lussata; sì, le costole si erano effettivamente incrinate – ma chi era il vincitore?
    Chi sopravviveva.
    Era stato ricoverato (si diceva così?) in una di quelle stanze che nessuno si cagava mai di pezza, la sola compagnia della Winston, Bells, e la nana Chipmunks – beato fra le donne, si diceva. Non ricordava molto, ma supponeva che avessero fatto cose – forse una trasfusione? Qualche mistica pozione da guaritori? Incanti curativi? - socialmente utili, se in quel momento si trovava semi a posto su una pratica e confortevole sedia a rotelle. «roba d’avanguardia.» commentò in un sorriso curvo alla Corvonero, lo sguardo seccato di lei a posarsi sulla carrozzina. «non ti rispondo neanche.» com’era suscettibile, l’idolo di Joey. Forse era giunto il momento se ne cercasse uno più simpatico. «sei solo invidiosa» spinse sul manico per fare un rapido giro su sé stesso, impossibilitato a fare derapate o altre acrobazie alla fast and furious: gli avevano detto che in un paio di giorni sarebbe tornato quasi nuovo.
    Un sogno.
    «ti lascio qui, allora?» la Dallaire si morse il labbro inferiore facendo scivolare lo sguardo da lui al poco distante Platano Picchiatore, uno scettico sopracciglio sollevato. Se avesse potuto, si sarebbe stretto nelle spalle. «sì, ho da fare» infilò una sigaretta fra le labbra e la masticò fra i denti, gli occhi d’apatica giada a sollevarsi di sottecchi sulla Corvonero. «fortuna che sei prefetto» ignorò il tono ironico per dedicarle un sorriso appagato e satollo: «vero? fikissimo» «non commento ulteriormente – vedi di morire di nuovo, mh.» Esagerata.
    Una volta al giorno, per lui, rientrava nella norma. La guardò allontanarsi verso Hogwarts, prima di volgere la sua completa attenzione all’albero.
    Come Gesù Cristo ci sarebbe arrivato, in quelle condizioni, alla Stamberga? Sperava che Sandy fosse in strategico e di classe ritardo come al solito, altrimenti addio rave. CJ Knowles poteva rinunciare a tante cose, ma la droga e l’alcool non rientravano in categoria. «oh, toh» sollevò il braccio sano nel riconoscere il profilo del De Thirteenth in lontananza, medio ed indice alzati in segno di vittoria. «guarda, ho trovato un nuovo giocattolo!» schernì la propria sedia a rotelle con uno di quei sorrisi che quel mondo, prima o poi, l’avrebbe lasciato in cenere.
    E si fingeva fosse normale, perché accettare che normale non lo fosse, l’avrebbe reso solo tragedia.

    «ti odio, guendolina» biascicò annoiato, calciando una delle sedie presenti per poter parcheggiare il suo bolide. Quello non sembrava affatto un rave - Kieran? AMALIE? Se era un gruppo di lettura dell’oroscopo, avrebbe trovato casa di ciascuno di loro, e gli avrebbe dato fuoco.
    Guendolina, questo non dovevi farmelo.
    «Ora non potrete più uscire finchè non ascolterete ciò che abbiamo da dirvi»
    «pensavo fossimo amici.» scrollò deluso il capo dondolando avanti ed indietro con la carrozzella, labbra curve in puro disappunto ed occhi carichi di ferito risentimento a grondare veleno. « Per prima cosa, BENVENUTI! mettetevi a sedere, così vi spieghiamo di che si tratta.» Ed allora piegò la testa verso destra, avvicinando le mani fra loro per rivolgerle un secco applauso.
    Che english humour. «non si prendono in giro gli handicappati» allungò il collo per cercare di coordinare l’accensione della sigaretta alla sua sopravvivenza – non così scontato, messo com’era. Fulminò con un’occhiataccia chiunque potesse anche solo pensare di togliergliela di bocca.
    Li avrebbe messi tutti sotto con la cigeiwheelchair, che cazzo. Se la meritava.
    Dove Cristo era finito.
    Cosa stava succedendo.
    Forse Van Lidova aveva beccato qualche centro neuronale che causava allucinazioni.
    Forse era ancora sotto effetto della morfina – gli avevano dato della morfina? Sperava di sì.
    « ciò che vi avevo promesso c'è comunque, dovete solo aspettare un po'» Guardò la Serpeverde mordendosi il labbro superiore, il gomito destro poggiato sul bracciolo ed il palmo della mano a sorreggere il mento. «ci avete presi per il culo» ripetè per quella che doveva essere la decima volta da quando avevano fatto la loro (scenica) entrata in scena, spingendosi pigramente avanti e indietro.
    Odiava essere preso fottutamente per il culo. Respirava verità scomode, CJ: ragazzi come lui non accettavano di ingurgitare sabbia per sputarlo vetro. Potevano dirgli chiaro e tondo che volevano pestarlo di botte, convertirlo ai Mormoni, dipingerlo nudo su un murales – ma non potevano fargli quello. «spero ci sia un’ottima fottuta ragione,» ed il tono, ostile e gelido, si era abbassato di un’ottava. Lo sguardo era andato a perdersi in un punto indefinito alle spalle delle ragazze, di quella distrazione attenta con cui beveva la candeggina di quel mondo. «oppure vi do fuoco a casa.» sorrise amichevole, lui che di amicizia da offrire non ne aveva.
    Amen.
    11.09.2000 | freak
    christopher jeezus
    hufflepuff prefect
    once: crane junior hamilton
    i wouldn't feel bad for an asshole
    there's a reason no one loves him


    Edited by #epicWin - 9/10/2017, 02:51
     
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    sunday de thirteenth
    Fece scivolare un pigro filo di fumo dalle narici, un braccio dietro la testa sulla calda coperta a sostenerne il peso mentre la mano libera giocava con lo stesso biglietto – quello che, per inciso, continuava a ritrovarsi nelle mutande ogni fottuto tre per due. La brezza del Lago Nero, leggera nel suo calmo intorpidirgli il polso scoperto, faceva vibrare flebilmente il cartoncino scuro: era certo al cento percento di averlo dato in pasto alle fiamme del camino di casa sua quel giorno stesso, e gli unici ad averlo visto mentre lo faceva erano stati Joey e Sersha, imbucati per non sapeva bene quale motivo nella dépendance di casa sua. Dubitava sia che potessero averne fatto uno nuovo per divertimento, infilandoglielo di soppiatto nel portafogli – k skerz1!!! -, sia che potesse fregargli un cazzo di quello che faceva con le sue cose, fintanto che le suddette non fossero sterline e ciò che ci faceva era darlo a loro per spenderli nel modo che più ritenevano opportuno. Dopo otto mesi, ancora non aveva ben chiare le dinamiche che muovevano quel gruppo nel quale si era ritrovato per caso: ancora non capiva chi fossero, i freaks, o se quell’ammasso disadattato e disomogeneo che erano fosse solo il frutto di una stupida fantasia, la necessità di appartenere ad un mondo che non era mai stato il suo – lui che, di mondi, era stato abituato ad averli tutti. Non aveva avuto nemmeno idea del perché fossero andati con lui a Londra, quello stesso pomeriggio, fino a quando prima di uscire ad aspettare BlowJob fuori dalla villa e lasciando alla bionda chiavi di casa e una delle carte di credito, non aveva visto un luccichio nell’occhiata che gli rivolse la Kavinsky: non la conosceva abbastanza da poterlo dire con assoluta certezza, ma quello sguardo poteva interpretarlo sia come un ringraziamento che mai verbalmente avrebbe lasciato le sue labbra, sia come la riuscita di un piano architettato da sempre, studiato nei minimi dettagli, nel quale il DeThirteenth si era lasciato cadere con tutte le scarpe - e la conosceva da sempre, e ne era convinto senza nemmeno capirlo che fosse così; Ronan Barrow, in fin dei conti, non era mai stato in grado di non assecondare i subdoli giochi della sorella, persino quando perfettamente consapevole che i danni dei sui misfatti avrebbero leso lui in prima persona, ed ogni suo grazie era stato capace di prenderlo con le pinze dai più ingenui cenni del capo, il suo affetto dai brevi incontri di sguardi sul tavolo imbandito della cena.
    Che sia chiaro: a Sunday dei propri soldi non era mai importato un cazzo – a maggior ragione dopo aver scoperto che di quell’immensa eredità a lui, di sangue, non spettava nemmeno l’ultimo dei centesimi che sarebbero rimasti spartiti tra le gemelle. Al massimo, sarebbe stato egli stesso l’ultima cosa da dividersi quando sarebbe giunto il momento: un giocattolo rotto Sandy, figlio del capriccio e della noia di ricchi che cercavano un modo nuovo per gettare al vento i propri averi, e che negli occhi azzurri di un bambino abbandonato in un orfanotrofio avevano trovato un nuovo investimento, l’ennesimo passatempo del quale probabilmente si sarebbero stufati in poco tempo – se volevano aggiustarlo, viziandolo in ogni sua lamentela e letteralmente comprando il suo affetto, non ci erano riusciti; ad un puledro destinato alla corsa ma nato difettoso non si insegna a trottare, lo si abbatte. Che gente come lui, era soltanto destinata al macello: una fine ch’egli per primo non mancava di ricercare in ogni spigoloso sorriso beffardo rivolto alla persona sbagliata e nel momento sbagliato.
    Nel Sandy sbagliato.
    Non aveva realmente compreso l’importanza di quei presidenti stampati su verde cartastraccia fino a quando non gli era servito usarli nella maniera con cui meglio era stato istruito: fino a quando non aveva capito che era falso, tutto quello che dicevano alla tv – che l’affetto delle persone, in realtà, si può comprare. Che non è vero, che i soldi non fanno la felicità. Un piacere effimero quello dato dai conti in banca – durava fino a quando la carta di credito che mamma e papà regalavano ogni due mesi non raggiungeva lo zero spaccato, ed ogni volta ci voleva sempre un po’ di meno per farlo accadere -, ma al quale persone come il sedicenne dovevano adeguarsi. Doveva farselo bastare, ci si era abituato - che di affetto da donare e altri modi di avere qualcuno al proprio fianco, il DeThirteenth non ne aveva.
    Non riusciva realmente a pensare che persone come il corvonero e la serpeverde fossero sue amiche a prescindere dalla quantità di zeri che poteva segnare sugli assegni firmati a suo nome, non era stato abituato a legami simili – che in realtà, solo a CJ non era mai fregato di quanto fosse ricco.
    La verità? Gli andava bene così.
    Alla fine, non aveva niente da condividere con il resto del gruppo: non un tetto condiviso per un periodo di tempo, non i traumi di un passato difficile a segnare lividi e cicatrici sulla schiena e dentro al petto, non genitori incapaci di capire come si facesse il proprio dovere – che la maggior parte di queste informazioni non le sapesse, era davvero irrilevante: i poveri avevano questa masochistica tendenza a dipingersi negli occhi e sulle pieghe di un viso seppur giovane i dolori di un passato troppo recente, che pur tentando di nasconderlo (e non ci provavano nemmeno, a voler essere onesti: perché farlo, quando al mondo serviva sapere cosa gli si parava davanti?) non poteva non trasparire nei più piccoli gesti; senza contare che aveva una cultura cinematografica abbastanza ampia da capire quali problemi fossero i più ricorrenti nelle favelas del mondo europeo. L’unico suo trauma era stato il dover portare la vagina per due anni, e a) esclusi CJ e Barry nessuno gli aveva creduto quando aveva detto di essere un maschio, rendendo vana la sua tragica avventura; b) non era davvero nulla in confronto alla loro vita. L’unica cosa che aveva creduto di poter condividere con loro, era stato il benestare economico condiviso con BJ ed il Cooper, fino a quando non era entrato, quel giorno stesso, nella presunta limousine del serpeverde: se ci avesse fatto salire le sorelle, dicendo loro che la gente che vi metteva piede pensava di essere ricca, ne sarebbero uscite strillando il loro disappunto a Dio e le Kardashian.
    Non era nemmeno cresciuto nel loro stesso, fottutissimo paese.
    Ai loro occhi, la vita di Sunday De Thirteenth doveva apparire come il ritratto della perfezione: soldi, una famiglia serena, persone che lo amavano e per le quali provava un sentimento simile alla sopportazione – guai a dire alle gemelle che provava affetto nei loro confronti; voleva avere ancora una vita ed una reputazione, il grifondoro, per quanto poteva essere pessima.
    Di certo non avevano idea di quanto l’avere tutto facesse sentire soli – e, di certo, non sarebbe stato lui a spiegarglielo.
    «i-il coprifuoco è scattato da ore» dette un’ultima occhiata al cartoncino nero, che vuoto come le prime mille volte che l’aveva tenuto tra le dita non era più da quando l’aveva ritrovato all’uscita dell’incontro con il preside di Durmstrang, per poi lanciarlo verso la superficie piatta del Lago Nero. Si voltò a seguirne il moto soave, la mano ora libera da quell’impaccio a staccare il cilindro di tabacco dalle labbra mentre il duro biglietto increspava lo specchio d’acqua. «e quindi?» domandò pigro, stringendosi nella pelliccia di visone – finta perché non aveva voglia di sentire i discorsi animalisti dei freaks, ma non per questo meno calda e soffice -, le iridi chiare a scivolare sui rami sopra la propria testa, dove un ragazzino – cristo, ma li facevano sempre più nani di anno in anno? – era stato magicamente per la collottola. «mi pu-puniranno» se avessero potuto gli occhi avrebbero fatto un giro completo dell’orbita, facendogli vedere come, esattamente, era fatto l’interno della propria scatola cranica: un vero peccato che dovesse limitarsi ad un senso figurato di quell’immagine. «ed ho f-f-freddo» per tutta risposta, Sandy sorrise allegro stringendosi ancor di più nella pelliccia, una nuvola di grigio fumo a solleticare lo schizzinoso olfatto del ragazzo. «non hai fatto quello che ti avevo chiesto, paulito» incalzò, la voce pungente e sull’orlo delle risa - era più forte di lui, i bambini in difficoltà lo facevano ridere. Sicuramente colpa dei molteplici video che aveva visto nel corso degli anni di neonati deficienti che andavano a sbattere contro muri di loro volontà, cadendo a terra e piangendo di conseguenza. «non è colpa mia se sei lassù, ora» che lo era lo sapevano entrambi, ma chi per un motivo e chi per l’altro, nessuno dei due si sentì in dovere di aggiungere alcunché. «non… non ho potuto» «dovevi solo recuperare milleseicento puntate de “il segreto”, paul, e poi non ti avrei più rotto le palle» si divertiva con poco, fategli causa. «saresti dovuto essere felice: avrei potuto dirti di guardare tutto “beautiful” ma non l’ho fatto, piccolo ingrato» che Dio misericordioso, Sunday De Thirteenth; giusto per sottolineare l’irriconoscenza del giovane serpeverde, con un rapido colpo di bacchetta gli lanciò una palla di neve preparata sul momento – così, se lo meritava. Non era nemmeno stato in grado di dirgli come moriva Pepa, e succedeva alla fine della prima stagione. Era stato così caritatevole.
    Non riusciva sinceramente a capire come potesse stare sul cazzo alla gente: assurdo.
    «perché fai così?» la domanda del ragazzino fu così sincera e disperata da coglierlo alla sprovvista, le labbra a scoprire la candida dentatura – un sorriso feroce il suo, che poco si addiceva ad un rampollo della sua levatura e che nulla aveva di divertito. Attese in silenzio per qualche secondo, approfittando dei chiari di luna e della fioca luce della sigaretta per scorgere in controluce una gemma d'acqua solcare le guance del ragazzo. Quella domanda non aveva mai avuto una risposta, qualunque fosse stata la bocca a sdrucciolarla leggera ed innocua – come poteva pretendere, quel primino, di ricevere un feedback sincero? «perché mi annoio,» gli sorrise iniziando ad alzarsi, la giacca a solleticare le caviglie, una nuova sigaretta stretta tra i denti. «e perché posso» che nel dubbio, era un’ottima risposta a qualsiasi quesito - era la verità.
    «mi… mi stai lasciando qui?» lanciò uno sguardo da sopra la spalla, le iridi di zaffiro a cercare di riconoscere la sagoma nella penombra – non aveva visto, che già si era allontanato? Se si aspettava lo avvertisse prima, non aveva ben chiaro come funzionava. La gente non ti fottutamente appendeva ad un albero per divertimento, per poi lasciarti scendere come se nulla fosse – non era mai stato bullizzato, in vita sua? Che vita triste. «prendilo come un addestramento» biascicò, la sigaretta a seguire il moto delle labbra. «non ho nemmeno la bacchetta» - in effetti, gliela aveva tolta in precedenza e lasciata sulla coperta. «lo vedi il cazzo che me ne frega?» si voltò, una mano a sventolare un saluto mentre procedeva verso il castello. «io no»

    «dallaire» salutò il capitano dei corvonero con un cenno del capo, la mano sotto la pelliccia a nascondere il più possibile la bottiglia di vodka appena recuperata dalla freakriserva di alcolici – che andassero ad un rave non significava che sarebbero partiti sobri: che rave sarebbe stato, altrimenti? Uno di merda. Sapeva benissimo quanto fosse inutile nascondersi davanti a lei ed il suo gruppo, ma quella del De Thirteenth era una precauzione dettata dall’istinto, involontaria nel suo celare la bottiglia allo sguardo curioso di lei: l’avrebbe fatto con chiunque altro avesse incontrato sul suo tragitto, il terrore di vedersi costretto a passare la serata in Sala Torture per quello stupido motivo – non che gli dispiacesse, quella stanza era ormai un secondo dormitorio, però avrebbe preferito non saltare una serata all’insegna di sbronze e droghe. Senza contare che, seppur conoscendola poco, Arabells gli stava sul cazzo. Non per lei, che di suo sembrava tranquilla nei propri limiti, tollerabile in quelli del grifondoro; Joey gli aveva così eccessivamente frantumato le palle (quando ancora non gli erano ricresciute!) nel suo ossessivo osannare la mora, che il ragazzo non aveva potuto fare altro che mal sopportarla a prescindere, anche solo per smontare la triste felicità dipinta sul volto del biondo. Così, per principio. Non dubitava che, in altre circostanze, l’avrebbe trovata piacevole – non era colpa sua, se aveva un Moonarie come groupie. «de thirteenth» in ogni caso, che minchia ci faceva in giro a quell’ora? «c’è il tuo amiko handicappato – letteralmente, stavolta – al Platano Picchiatore» corrugò le sopracciglia, umettandosi le labbra. «cj?» «lui» sospirò. Era ovvio che si trattasse di lui: di solito, quando la gente gli parlava del Knowles, lo faceva sempre affibbiandogli epiteti più o meno – o molto, meno – simpatici.
    Letteralmente handicappato - se non avesse conosciuto CJ, non avrebbe capito a cosa si stesse riferendo. Sperava sinceramente gli avessero dato di nuovo le stampelle leopardate, se si era rotto qualcosa. «senti, c’era un ragazzino al lago nero, prima, che cercava disperatamente di scendere da un albero: ti va di controllare se ce l’ha fatta?» domandò vago, sperando che quello di lei fosse un animo più nobile del proprio: la aveva avvertita solo perché nelle ore a seguire non era certo che sarebbe stato nelle facoltà mentali di farlo tornare nei Sotterranei. «perché non lo hai fatto scendere tu?» perché ce l’ho messo io. «ha detto che voleva farcela da solo» si strinse tra le spalle prima di andarsene verso la Stamberga, un sorriso tagliente a piegargli le labbra: chissà se Paulito era ancora vivo. Lo sperava.

    La sedia a rotelle di CJ, per quanto fosse divertente da pilotare e comoda per appoggiarsi durante il tragitto, l’aveva deluso. Nessun glitter trash, niente adesivi delle Hot Wheels, le ruote non erano nemmeno d’oro. Era così… da poveri. Ciononostante, prese posto sedendosi dietro il migliore amico, i piedi poggiati sulle ruote a spingerlo pigramente quasi fosse un passeggino, ed il Knowles il suo bambino wat: era pur sempre il nuovo giocattolo del tassorosso, e ciò includeva che anche Sandy potesse giocarci – era il minimo. Si era tenuto sotto la lingua, acide come venefica melma, troppe domande alle quali sapeva l’amico non gli avrebbe risposto - come stava? cos’era successo?
    Che di interessante, nel discorso di Dragomir Vasilov, aveva colto solo poche parole – che stesse scoppiando una fottuta guerra, se ne sbatteva il cazzo.

    «non esiste antidoto, perchè non è un veleno - è una malattia. non è infettiva; colpisce specificatamente gli individui che non posseggono sangue puro. È un virus magico, letteralmente: il corpo… rigetta il sangue non riconoscendolo come parte dell’organismo – meraviglioso, non è vero? inoltre, la malattia potrebbe ricomparire in qualunque momento, a meno che non venga somministrata la cura adeguata – è sempre presente, anche quando non dà sintomi»

    Il fatto che la sua mente si rifiutasse di trattare con gli altri certi discorsi, non significava che li avrebbe lasciati scorrere sotto un ponte come se nulla fossero. CJ era il suo migliore amico - il primo ad averlo apprezzato senza bisogno di comprarne l’amicizia, che di ogni malefatta era il suo complice: era preoccupato per lui? Sì, fottutamente sì.
    Glielo avrebbe detto?
    «io sono giapponese ho la vodka» commentò pacato, tirando fuori l’arsenale: a seconda delle necessità, era buona sia per improvvisare un rave in quella riunione per alcolisti anonimi – era per quello, dopotutto, che si chiamavano anonimi wat -, che per appiccare il fuoco alle case di Gwen e Kieran – da lei, non se lo sarebbe mai aspettato quell’intervento. Sventolò il tesoro nella direzione del Cooper, ignorando tutti gli altri occhi fissi sulla bottiglia. «barry, se mi dai una pasticca possiamo fare uno scambio» non era anche lui un bravo ragazzo, dopotutto? Nel dubbio, la stappò e ne bevve un primo, bruciante sorso – ambrosia, per una gola arida. «comunque non c’è bisogno dichiarate la vostra dipendenza» intervenne, rispondendo al quesito di Barry. «sappiamo tutti che sono la vostra» modesto, ma non troppo. «dai tirate fuori la roba pesante, non abbiamo tutta la notte»
    25.12.2000 | freak
    violent language
    gryffindork
    ronan beaumont-barrow
    i don't give a damn
    about my bad reputation


    Edited by insomniac; - 13/10/2017, 21:31
     
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    Gwendolyn Markley
    Era racchiuso così tanto significato, in quel posto. Tra quelle mura dall’intonaco scrostato, su quel pavimento fatto di assi sconnesse. Perché, lì alla Stamberga Strillante, Gwendolyn Markley ci aveva passato più tempo del dovuto, per una studentessa di Hogwarts, fin da quando era solo una ragazzina. Ed a guardarsi intorno in quel momento, era inevitabile pensare al passato con un occhio diverso: lì dentro aveva condiviso esperienze fondamentali per la sua vita insieme a ragazzi che per anni aveva considerato amici, ma che ora non riusciva a vedere più come tali.
    Ricordava chiaramente la prima volta in cui era sgattaiolata fuori dal dormitorio serpeverde in piena notte, diretta alla torre di astronomia per poter fumare una sigaretta in pace: aveva solo tredici anni e, cresciuta ed istruita prima all'accademia e poi dai Markley, era stata educata seguendo regole molto rigide che sfortunatamente non aveva mai seguito, mai fatte proprie: più qualcosa le veniva imposto, più in lei cresceva il desiderio di fare l'esatto opposto. Aveva fatto dell'infrangere le regole una filosofia di vita, e sfortunatamente nel corso degli anni non era cambiata. Comunque, per la Gwen semi-adolescente stava filando tutto liscio, finché Archibald Leroy non l'aveva intercettata mentre usciva dalla sala comune. «Dove stai andando, Markley?» Inutile dire che all'inizio la ragazza era stata presa dal panico, non sapendo che rispondere. Aveva solo tredici anni, un po' di senso del dovere e del pudore ce l'aveva ancora. Poi però era tornata a pensare lucidamente, rendendosi conto che quella nel torto non fosse lei: non era ancora uscita, violando il coprifuoco. Quello ad essere nel torto era lui, che stava rientrando in quel momento. E, che per la cronaca, sapeva di fumo. In quel momento, si trovò davanti due opzioni: mandarlo a quel paese e continuare per la sua strada oppure invitarlo ad andare con lei. E fortunatamente optò per la seconda, pensando che in fin dei conti non sarebbe stato così male, avere compagnia. Così tirò fuori il pacchetto di cui andava così fiera dalle tasche, e lo agitò davanti agli occhi del ragazzo. «Torre di astronomia. E per questa volta se mi segui non ti ammazzo» «E se ti dicessi che conosco un posto migliore? Ci sono appena stato.» E quella conversazione aveva sancito l'inizio della loro vera amicizia. Certo, si conoscevano già da prima, e si sopportavano persino a vicenda. Ma in quell'occasione, dopo essere arrivati alla stamberga strillante, erano diventati complici e solo da quella notte il loro legame si era veramente formato e, nel corso degli anni, consolidato.
    Ed in quel momento li vedeva anche da lontano, i segni lasciati sul pavimento e sulle mura dagli artigli di Gwen ed Aidan, promemoria della maledizione che erano costretti a sopportare senza poter far nulla a riguardo, del dolore atroce che erano costretti a patire ogni mese mentre le ossa si spezzavano una ad una e non desideravano altro che arrivare all'alba. Lo ricordava così bene il giorno in cui, a quindici anni, aveva visto arrivare alla Stamberga il Gallagher ed aveva pensato beh, non sono più l'unica. Non sopportava l'idea di dover passare le notti di luna piena da sola, eppure tra gli studenti sembrava essere l'unica ad aver avuto la brillante idea di dichiararsi al ministero perché dai, era impossibile che non ci fossero altri lupi mannari ad Hogwarts. E non capiva il motivo di mantenere la segretezza, quando dicendo la verità potevano guadagnarsi la pozione antilupo senza sforzi. E lei senza di essa non avrebbe mai saputo vivere: era l'unica cosa che le faceva sopportare l'idea di doversi trasformare. «Bello schifo, vè?» Lei ormai era abbastanza abituata, visto che frequentava quel posto da ancor prima di avere l'obbligo durante la luna piena. Ma sapeva che per chi non c'era mai stato, non era proprio l'esempio di posto amorevole ed accogliente. «Se però sorvoli sulla puzza di topo morto non è così male, o almeno, ci fai l'abitudine.» Naturalmente Aidan avrebbe dovuto anche sorvolare sull'odore della canna che Gwen aveva spento giusto cinque minuti prima del suo arrivo, ma non si sarebbe mai rivelata per la drogata che era, non alla prima conversazione. La prima impressione conta, no? Comunque, erano persino riusciti a parlare un po' prima di avvertire il richiamo della luna piena ed iniziare a trasformarsi. Era stato tremendo, come ogni mese, ma almeno per la prima volta dalla sua prima trasformazione non l'aveva dovuto affrontare da sola.
    Quelle mura portavano i segni evidenti del loro passaggio, l’eredità di una famiglia che poteva definirsi tale solo attraverso un test del dna che non avrebbero mai compiuto. Perché erano una famiglia, i Leroy Gallagher, ma di certo non in quel presente. E Gwen era l’unica a dover sopportare il peso di quella verità: dover rimanere in silenzio quando scovava un nuovo tratto in comune con Arci, mentre lo osservava di sottecchi quando il ragazzo rivolgeva la sua attenzione altrove. Ammirando estasiata un nuovo capo d’abbigliamento super di classe e perfettamente abbinato di Aidan, facendolo apparire come appena uscito da una sfilata di Parigi, dover rimanere a bocca chiusa, invece che chiedergli di dispensarle norme di stile, non tanto per il gusto della moda in sé ma quanto per il fatto che, dando un’occhiata al suo abbigliamento quotidiano, Gwen era sempre il connubio perfetto tra una scappata di casa e la ragazzina tumblr fissata con l’aesthetic e la botanica, e questo solo perché aveva da sempre una fissazione morbosa per le rose. Sapeva che il Gallagher non approvava molto come si conciava, ma a parte limitarsi a lanciarle occhiate molto esplicative e buttarle lì ogni tanto battutine velate (se fosse esistito “Ma come ti vesti? Magiedizione" ce l’avrebbe sicuramente lanciata a calci) ma non l’aveva mai criticata apertamente. Però ora iniziava a chiedersi se, in qualità di figlia e legittima erede, l’avrebbe preferita conciata meglio . decisamente sì. Non sapeva come approcciare Shiloh e Nicky senza sembrare una classica maniaca, mentre ciò che voleva in realtà era semplicemente conoscere le sue sorelle. Come desiderava che una di loro avesse fatto la sua stessa scelta, tornando indietro come custode: forse sarebbe stato un po’ più semplice, meno frustrante, più normale.
    Anche se, di normale, quella situazione non aveva nulla.
    Ed era arrivato il momento di stravolgere anche la vita di altri ragazzi. Perché quella rivelazione avrebbe inevitabilmente messo sotto un'altra luce anche i loro, di ricordi. Ed odiava doverne essere la responsabile, ma non poteva certo fare altrimenti. Era la sua missione.
    «ti odio, guendolina» Oh, non sapeva quanto. Quello era solo l'inizio. Perché, finché si fosse trattato di una trappola per un intervento anti droga, sarebbe stato molto meglio per tutti i presenti. Ma come potevano essere così idioti da pensare che lei in un'occasione del genere potesse vantare il fatto di starsene in piedi davanti a loro? Si sarebbe dovuta andare a sedere al loro fianco e beccarsi la ramanzina di Kieran. Come minimo. «ci avete presi per il culo» Ma non l'avevano fatto in buona fede, diamine. E poi doveva riprendersi, l'aveva ripetuto almeno dieci volte in cinque minuti. «cristo cj, da quando sei diventato una tale lagna?» Insomma, la loro reazione era scontatissima. Già apprezzava che non avevano cominciato a lanciargli le sedie contro mentre, inaspettatamente, le avevano utilizzate per il loro verso uso. «dai tirate fuori la roba pesante, non abbiamo tutta la notte» Per un attimo, Gwen pensò di cedere alla tentazione di tirare fuori l'alcol che si era portata dietro, darlo ai ragazzi ed iniziare a bere con loro. Ma no, non poteva rinunciare adesso. Ora o mai più.
    «e daje però sandy, qui stiamo cercando di fare un discorso serio! Bevete dopo.» Si avvicinò al ragazzo, strappandogli la bottiglia di mano prima che se ne potesse rendere conto. Era consapevole del fatto che così facendo l'avrebbe odiata a vita: rubare l'alcol così alla sprovvista era molto rude, ma in quel momento ce n'era bisogno. «lasciatemi parlare e poi sbronzatevi quanto vi pare.» ne avrete bisogno.
    Si sedette nel cerchio delle sue due vittime, pentendosi della scelta che avevano fatto lei e Kieran. Insomma, all'inizio dividersi in due gruppi era sembrata una tale genialata . Ora invece molto meno. Ma oramai il danno era fatto, quindi non le restava che pronunciare il discorso che aveva aspettato a pronunciare da una vita eppure fu così difficile trovare le parole adatte. Come si può spiegare a due ragazzi che in realtà tutta la loro vita non è totalmentequella reale? Che di vita ne avevano già avuta una, in un futuro lontano, e che coloro che per anni avevano definito genitori in realtà non lo erano? O che, cresciuti senza figure parentali, in realtà davvero soli non erano mai stati? Perché la loro famiglia era stata per tutti quegli anni sotto i loro occhi, e non potevano saperlo.
    «Allora, beh non è facile farvelo capire.. e no, non perché siete voi due - rude, ma dovuto. - è proprio complicato trovare il modo giusto per dirvelo - Respira Gwen. Ce la poteva fare. Ce la doveva fare - ok, statemi dietro e se avete domande tenetevele per la fine - in realtà non serviva dirlo, sapeva che ne avrebbero avute. Come sarebbe potuto essere possibile il contrario? - mettiamo caso che, in un futuro non molto distante dal nostro, il mondo è messo male. E con male intendo davvero male - sapeva queste cose grazie agli insegnamenti all'accademia, ma ancora di più era consapevole che la situazione dovesse essere decisamente critica, perché altrimenti era certa che non avrebbe mai lasciato la sua famiglia. mai - tutto è in uno stato di caos, ci sono guerre ed una malattia misteriosa ha praticamente dimezzato il nostro mondo. Tutti vivono credendo di non avere speranze, eppure un piccolo spiraglio di luce si apre quando il governo organizza una missione per tornare indietro nel tempo, ritornando bambini, e cercare di prevenire che tutto ciò accada. La possibilità di partire è data a dei volontari, e ora vi chiedo: voi avreste accettato? - era più una domanda retorica, la sua. Almeno per lei. - e no, non pensate che per partire dobbiate essere mossi da un animo filantropo. Semplicemente, in questo modo avreste la possibilità di rivedere la vostra famiglia, i vostri cari, avreste la possibilità di salvarli » ormai la bomba era sganciata. Si alzò dalla sedia, per recarsi al tavolino e prendere due pergamene.
    ronan beaumont-barrow.
    crane junior hamilton
    «Non ho bisogno di ascoltare la vostra risposta, perché già la so. Avreste detto sì - si posizionò davanti ai ragazzi, allungando a ciascuno la propria pergamena - avete detto sì. Era il 2043 e noi tutti abbiamo accettato di tornare indietro»

    Ora sì che era arrivato il momento di aprire le bottiglie.
    1998's
    keeper
    werewolf
    (danielle leroy-gallagher)
    the rose discovers
    she's an instrument of war


    Perdonate lo schifo ma sono in ritardissimo e non tornavo in tempo per postare prima di mezzanotte, quindi nulla beccatevi questa cosa.
    E ari e lia, ho abusato dei papà, mi sono scordata di avvisarvi but now it's too laaate to apologiiiiiize
     
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3 replies since 1/10/2017, 16:48   500 views
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