and i pray you don't fear the animals

arci / dan

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +5    
     
    .
    Avatar

    isn't it strange
    to create something
    that hates you?

    Group
    Death Eater
    Posts
    1,591
    Spolliciometro
    +2,064

    Status
    Anonymous

     aidan gallagher   teenage dirtbag
    where: hogsmeade shrieking shack
    gryffindor prefect year vi neutral
    wide-eyed with a heart made full of fright, your eyes follow like tracers in the night and the tightrope that you wander everytime
    Camminava lentamente, con il rumore di tacchi costosi contro la pavimentazione logorata da secoli di studenti poco attenti che lo accompagnava pigro in quei corridoi ancora deserti: erano a malapena le cinque e mezzo del mattino, dopotutto. Ovattati dalle spesse mura che lo circondavano gli uccelli cantavano il loro buongiorno e lui, Morgana maledetta, voleva solo che si stessero zitti per un secondo. Uno. Sistemò meglio la borsa in pelle sulla spalla, frustrato.
    Aidan Gallagher alle prese con la luna piena non era un gran spettacolo.
    Gli occhi smeraldini si dipingevano di un cupo verde-grigio, il dolce profumo di Tobacco Vanille veniva sostituito con quello tenue, a malapena percettibile, del bagnoschiuma alle mandorle (e sì, ci aveva provato, una volta, a ignorare la nausea: non era andata troppo bene), e quel sorrisetto rilassato che tanto gli piaceva indossare s'irrigidiva in un cipiglio. Perché, come se non bastasse, il suo umore subiva più sbalzi di quello di una donna in piena fase premestruale. Non poteva neanche fumare via lo scontento visto il mal di testa atroce che si ritrovava: piuttosto che peggiorare la situazione, avrebbe preferito la morte. E quindi vagava in giro per la scuola a orari improbabili, stringendosi nel mantello invernale nonostante non fosse neanche metà settembre (man, la Scozia e le sue temperature assurde), perché nel giro di poche ore l'intero castello si sarebbe riempito di adolescenti assonnati e profumo di uova e bacon – una combinazione che, a suo parere, solitamente era vincente, tranne che quando i suoi sensi decidevano di fargli percepire ogni singolo stridío di sedie cigolanti nel raggio di venti chilometri come se fossero attaccate alle sue orecchie.
    Di suo, non era mai stato un ragazzo particolarmente semplice da gestire: Aidan era sempre stato un pericolo, e questo lo sapeva ogni individuo che si era ritrovato, almeno una volta, a sbattere la testa contro di lui. Era una gran tragedia, il riccio: scatenava l'inferno e si faceva travolgere dalle fiamme, poi si rialzava e ti sorrideva – un ghigno da bastardo, il suo – come se niente fosse. Si stringeva nelle spalle, pure, perché per lui era un gioco: soppesava i limiti tra le mani nodose e poi li schiacciava sotto a un chelsea boot costoso quanto il tuo intero armadio giusto perché lui poteva. Non c'era un filo di vera cattiveria nei suoi occhi, sia ben chiaro – era semplicemente nato al contrario, niente più, niente meno.
    Era quindi sempre così strano, ai limiti del surreale, osservarlo mentre nascondeva il viso dietro alle mani e si faceva piccolo, mentre si accartocciava su se stesso e fingeva di non essere mai esistito. Nulla era capace di terrorizzarlo quanto il colore di un banalissimo satellite: quell'energia alle volte insopportabile che lo seguiva come un'ombra veniva rinchiusa nell'armadio del dormitorio maschile e Aidan scompariva nel silenzio, lasciando che fossero i suoi demoni a parlare per lui.
    Così vulnerabile, con quelle occhiaie marcate di viola a contrasto con la pelle pallida, priva del bagliore dorato caratteristico del Grifondoro; così penoso, in quella gabbia di carne, un ammasso di nervi pronti a scoppiare in minuscoli brandelli – un congiungersi di ossa deboli.
    Camminava lentamente, Aidan, così che il suo passo controllato non riecheggiasse contro le pareti di cemento, l'aria umida, e la sua mente stremata. Era talmente codardo, il poveraccio, da tentare di scappare persino da se stesso.


    Non si era presentato in Sala Grande, ovviamente. Né alle lezioni mattutine, né tantomeno a quelle pomeridiane. Glie l'avrebbero fatta pagare duramente, ne era conscio: semplicemente non si spariva una giornata intera dalla faccia della Terra per poi tornare tranquillamente alla routine di tutti i giorni senza alcun genere di ripercussioni. Aveva delle responsabilità, sia in qualità di studente che di prefetto; responsabilità che non poteva spazzare via ogni volta che gli pareva per capricci di poco conto. Era importante che si presentasse in aula, che comunicasse con le persone, non poteva lasciare che questo suo problema gli condizionasse la vita, eccetera, eccetera. Ormai il discorsetto lo conosceva bene – tanto che ogni volta si ritrovava a chiedersi perché continuassero a farglielo, sapendo che non li avrebbe ascoltati. Era giusto fiato sprecato con uno come lui, che a seguire i consigli degli altri non era mai stato troppo bravo – specie quand'erano mirati al suo benessere, e a maggior ragione se riguardavano qualcosa che, inutile dirlo, il resto delle persone non potevano capire.
    E quindi faceva di testa sua, tanto per cambiare. Quel giorno, ad esempio, l'aveva passato in riva al lago. Si era seduto a terra, noncurante del fango che gli sporcava gli stivali nuovi di zecca, e aveva osservato per ore incessanti l'acqua scura mentre veniva picchiettata dalla pioggia. La solitudine non gli era mai piaciuta; era quel genere di ragazzo che doveva sentirsi costantemente circondato da attenzioni per respirare propriamente, troppo egocentrico e troppo spaventato dall'idea di dover affrontare i suoi stessi pensieri per potersi effettivamente rilassare in circostanze simili. In un giorno qualunque se ne sarebbe andato in giro per i corridoi a cercare vittime da trascinare per le spalle in qualche piano stupido per perdere un po' di tempo e non pensare, perché dopotutto, quello era il suo pallino fisso – lo si notava nel modo in cui sceglieva di porsi: dal sorriso storto e la parlata lenta e strascicata, marcata da un accento nord irlandese spesso incomprensibile, al linguaggio tutto fuorché forbito, un misto di grugniti confusi e parole buttate a casaccio tanto per dire qualcosa. Aidan era una maschera perfetta; l'immagine del disastro umano studiato nei minimi dettagli, un ragazzino petulante e di troppo, con quelle sue camicie abbottonate a metà petto (e anche qui non mancavano mai i discorsetti contrariati, eppure in qualche modo riusciva sempre a cavarsela con qualche cicatrice minima – e mai sul viso, figuriamoci, o probabilmente le urla si sarebbero sentite fino in Francia #ciaolafy) e quell'ostentata ignoranza che tanto gli piaceva esibire a petto infuori, tanto per provocare i cuori più deboli, ché non smetteva mai di essere divertente. Ma, insomma, quest'era: una maschera. E no, sotto di essa non si nascondeva un principe azzurro: era un bugiardo, il Grifone, un attore, e per quanto si possa scavare, una mela marcia rimane tale anche se spogliata dagli strati ammaccati. Ciò che si trovava dietro agli intricati fili d'oro che lo ricoprivano era, piuttosto, la figura straziata di un essere piccolo e insicuro, metà uomo e metà livido, che da quella prigione bellissima voleva solamente scappare una volta per tutte, ma che allo stesso tempo sapeva di non poterne fare a meno, poiché, inutile negarlo, era tutto ciò che conosceva. A volte il peso di questa constatazione lo avvertiva più del solito, reso ancor più gravoso dalla massa di disagio che si portava dietro a ogni plenilunio; e così si era ritrovato a cercare la calma tra i rami e l'acqua e il silenzio, qualcosa che andava, fondamentalmente, contro la sua stessa indole, eppure era riuscita a calmare quell'irritazione a fior di pelle che provava dal mattino del giorno precedente. Un punto in più per i momenti di riflessione introspettiva – che, nonostante ciò, rimanevano infernali tutto il resto dell'anno e nessuno sarebbe stato capace di convincerlo del contrario.
    Non aveva fatto altro fino al calare del sole (o almeno, quel che ne rimaneva: le nuvole non sembravano intenzionate a scomparire, colorando il cielo di una tonalità cupa a pendant con l'umore del sedicenne): semplicemente era rimasto sdraiato a fissare il lago e le montagne in lontananza, e quando l'emicrania si era affievolita in un leggero fastidio alle tempie, si era persino concesso una sigaretta – cosa di cui si era pentito qualche minuto dopo ma che, hey, sul momento aveva avuto lo stesso effetto di un'intera scatola di xanax. Ma sapeva bene cosa significassero quei dolori sempre più forti alle ossa, il sapore metallico sulla lingua, i canini indolenziti; schiaffò una mano contro la mandibola, sbuffando. Davvero il peggior destino, il suo. Era quasi del tutto certo che quella roba sanguinolenta da femmine, a confronto, fosse una passeggiata, e non importava quante volte Maple lo prendesse a pugni in testa a ritmo di non-dirlo-mai-più, sapeva di aver ragione. E tante grazie.
    Si passò una mano tra i ricci che ora gli ricadevano disordinati attorno al viso, appesantiti dall'acqua presa fino a quel momento, per riportarli indietro e poterci vedere effettivamente qualcosa; poi, dopo qualche tentativo inefficace e un po' troppo barcollamento per i suoi gusti, riuscì a tirarsi su in piedi – si era aiutato con le mani, affondandole nel terreno bagnato, e quindi schifoschifoschifo (no, non era intenzionato a sciacquare via lo sporco nel lago; preferiva non essere risucchiato da una piovra gigante e / o magari essere morso da qualche pesce radioattivo che lo avrebbe trasformato in un inquietante ibrido tra un mannaro e un'anguilla). Ripulì il peggio alla bell'e meglio strofinando i palmi contro al tronco, l'intera faccia accartocciata in un'espressione di puro disgusto perché a sua maestà certe cose non andavano a genio, e finalmente s'incamminò nuovamente in direzione del castello per prepararsi in vista della notte che lo attendeva e che, ne era certo, sarebbe stata lunga e noiosa come ogni singola luna piena passata alla Stamberga. Decise di prendere la strada più lunga e passare per il campo da Quidditch: nessuno gli correva dietro, dopotutto, ed era un po' che non si fermava a guardare gli allenamenti della squadra.
    Arrivò giusto in tempo per vedere le battute finali. Gli spalti erano praticamente vuoti, fatta eccezione per il solito gruppetto di fan sfegatati – e qui fece un cenno a un Joey particolarmente indaffarato, con le mani incrociate sul petto, i pollici che massaggiavano distrattamente le scapole nascoste dal maglione argentoblù, e lo sguardo fisso sulla pluffa che roteava in aria come se ne dipendesse la sua vita – e una ragazza seduta a gambe incrociate nell'ultima fila, anch'essa una spettatrice attenta, seppure per motivi diversi. Tra la fronte aggrottata e la furia che emanava a distanza di metri, era chiaro che Arabells Dallaire non si stesse godendo troppo lo show. Fosse stato chiunque altro l'avrebbe cacciato, dato che era quasi del tutto certo che spiare la squadra avversaria andasse contro il regolamento, ma non aveva il coraggio di affrontare l'ira funesta di una Corvonero (e neanche quella di Fraser, che a giudicare dal sorriso da ebete che aveva stampato in faccia ogni volta che alzava lo sguardo in direzione della sua bella non era troppo dispiaciuto). Prese posto su una delle panche della tifoseria, troppo giù di morale per aggiungersi al gruppetto che si era già creato. Eh, avrebbe dato fastidio a Moonie baby in un altro momento. Allungò le gambe sui sedili sotto al suo, sporcando il poggiatesta dei Serpeverde con il fango delle scarpe #yourewelcome, e portò le dita incrociate dietro alla nuca. Gli mancava essere parte della squadra. Aveva pensato più volte di presentarsi alle selezioni per i cacciatori, quell'anno, e per pochissimo non si era quasi convinto a farlo seriamente. E invece era finito con la spilla da prefetto. Choices.
    «Bro» l'accento finto americano era terribile, ovvio – decisamente troppo marcato, al punto da risultare finto anche a un orecchio inesperto – ma per la gioia di nessuno tutti lui non se ne curava minimamente «quest'anno avete già la coppa in mano, ah?» e gli parve quasi di sentire uno stai zitto, Gallagher in lontananza, ma forse (no) se l'era solo immaginato (no). Oscar, d'altro canto, stava ridendo. Lo vide alzare un palmo in aria in segno di saluto prima di planare sull'erba tagliata; il resto della squadra lo seguì poco dopo, ancora indaffarati a discutere di tattica e mosse sbagliate. «Come ogni anno» fu la sua risposta, una volta raggiunto il minore. Ormai aveva smesso di piovere, ma Oscar sembrava messo male tanto quanto lui: scosse la testa come un cane bagnato, sprigionando minuscole gocce trasparenti che, ouch, andarono a colpire la faccia di Aidan come una frusta. «Dove sei stato, tutto il giorno?» fece spallucce, abbassando lo sguardo in modo da non incontrare quello inquisitivo del capitano. «Reinards ti cercava, stamattina. È venuto personalmente fino al tavolo Grifondoro per dirti che» e si schiarì la voce, alzando il tono di un'ottava per beffeggiare il prefetto in questione «se lo lasci di nuovo a fare il turno da solo ti strangola.» Oh, cazzo. Ecco di cosa si era dimenticato, l'altra sera. Scattò in piedi, sotto lo sguardo divertito di Oscar; davvero non voleva essere trovato da quel bodybuilder mancato quand'era in uno stato simile. Si sbrigò a scendere gli scalini, mormorando un «improvvisamente ho così tanto da fare.» «Ti direi di non fare idiozie, ma non sarebbe nel tuo stile.» Che dire. Viva la sincerità. Mostrò il solito sorriso idiota a trentadue denti, poi alzò la mano destra come per dare il cinque – e invece no, perché proprio mentre Oscar si preparava a riceverlo, lui chiuse il palmo a pugno, tenendo però alto il dito medio. Per una frazione di secondo che sembrò interminabile rimase così; poi, con tutta la sicurezza del mondo, andò a carezzare il viso di un Oscar allibito. «Stammi bene, breh E quest'ultimo boccheggiò per qualche attimo, probabilmente nel tentativo di processare ciò che era appena successo. «Mi hai- mi hai appena mandato velatamente a fanculo, Aidan?» Ma Aidan sembrava tutto fuorché preoccupato. O divertito. O qualcosa. Uh. «Uh?» Ripeté, stavolta ad alta voce. Voltò lo sguardo alla sua destra, poi a sinistra. Infine girò il busto per guardarsi alle spalle. No, niente di speciale. Perché Oscar sembrava così turbato, di grazia? «Cosa.» «Cosa.» Aggrottò la fronte, perplesso. Straaano. «Senti, io scappo, okay? Ci si becca in giro.» Sistemò meglio la borsa sulla spalla, fissando con una certa preoccupazione il maggiore. Forse tutte quelle ore in aria gli toglievano l'ossigeno al cervello, chissà. Nuovamente alzò il pugno, stavolta senza l'aggiunta dell'uccellino magico. «Ah, e forza Wildcats, eh!»


    Non era mai stato un grande amante della Stamberga Strillante.
    Non aveva mai capito cosa ci trovassero le persone di affascinante in una casa abbandonata con la puzza di muffa e topo morto impregnata nelle pareti. L'idea di rimanere chiuso in quel posto non gli piaceva a undici anni, quando la credeva posseduta da spiriti maligni come da leggenda, e di certo non aveva cominciato ad amarla dai tredici in poi, quand'era diventata la sua dimora fissa a ogni luna piena. Detestava quel posto. Lo faceva sentire ansioso, claustrofobico e non aiutava di certo il fatto che sì, era infestata, ma da insetti grandi quanto il palmo della sua mano e famiglie di procioni agguerriti. Lasciò cadere a terra la borsa e il mantello, mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare per non emettere gemiti di alcun tipo. Sentiva ogni muscolo tirare come se avesse corso per giorni interi senza sosta, e il minimo movimento gli provocava una scarica di fitte di dolore che lo facevano rabbrividire come un pazzo. Neanche il tempo di guardarsi attorno che già era alla ricerca della solita scorta di alcool che, da tempo immemore, sembrava sempre materializzarsi in qualche parte della casa senza che lui ne capisse veramente il motivo. Non che gli dispiacesse, anzi. Si tolse una scarpa con una certa fretta, poi c'infilò il Gewürztraminer – che, al tatto, sembrava ancora fresco di frigorifero; scelse d'ignorare la voce nella sua testa che gli suggeriva che qualcuno fosse stato lì prima di lui – e colpì una, due, tre volte il muro. Infine portò il tappo di sugero ai denti e tirò con forza, strizzando le palpebre perché cazzo se faceva male. Ne era valsa la pena, comunque, perché ora almeno poteva scolarsi un litro di vino e non pensare più a nulla.
    Le nottate che passava lì dentro andavano così, dunque: si ubriacava prima dello scattare della mezzanotte, malediceva tutto e tutti perché rimaneva il peggior dolore che avesse mai provato in tutta la sua misera vita, vagava in giro per i corridoi stretti prima di rinunciarci totalmente e buttarsi a terra, rinse and repeat per ogni mese dell'anno. Se solo avesse avuto qualcuno con cui condividere certe esperienze elettrizzanti, forse, la cosa sarebbe stata più semplice da digerire. Dai, i lupi hippie. Gli eroi di cui non abbiamo bisogno ma che ci meritiamo. E invece no, gli toccava soffrire in isolazione, che ingiustizia.
    Solo dopo aver buttato giù almeno un quarto della bottiglia riuscì a trovare la motivazione per metterla da parte. Si pulì la bocca con una mano, straziato. Quel posto era sempre così gelido, e lui era così poco intenzionato a lasciare che i vestiti gli si strappassero nel processo di trasformazione (che vi credevate, che quei delicati ricami in argento lungo la giacca e sui bordi delle maniche glie l'avessero regalati? Che quelle perle incastrate nel colletto fossero di plastica? Oh, decisamente no). Sfilò lento i vestiti, ponendoli in una pila sulla poltrona impolverata, poi si accasciò a terra in un tutta la sua grazia e portò nuovamente alla bocca la sua fidata bottiglia. Sperava solo di riuscire a finirla prima che le ossa cominciassero a spezzarsi una ad una.

    you better keep the wolf back from the door, he wanders ever closer every night, and how he waits begging for blood
    (c) babustyles



    è più lunga di quanto dovrebbe essere whoops
    informazione totalmente inutile, ma questo è tobacco vanille. dopotutto perché descrivere il profumo quando posso linkarlo alla fine? #sympa
    la giacca è praticamente a metà tra questa e questa #come solo che con il 10% dell'appariscenza di entrambe dato che è comunque una divisa. sfortunatamente.
    eee lucky strike di settembre: sei convinto che sia usuale salutare le persone carezzando loro il viso con il dito medio

    (ho coinvolto mezzo mondo in questo scempio e probabilmente ho anche ammazzato la caratterizzazione di tutti ma, as our lord and saviour hannah montana would say, everybody makes mistakes, everybody has those days)


    Edited by ‚soft boy - 4/2/2021, 11:55
     
    .
  2.     +5    
     
    .
    Avatar

    «I'm being perfectly fucking civil»

    Group
    Special Wizard
    Posts
    877
    Spolliciometro
    +1,311

    Status
    Offline
    bonjour, motherfucker
    that's gross! (unless you're up for it?)
    sheet | 1999's | deatheater | baker | seer | aes | pensieve
    Il carrarmato degli anfibi sbatteva contro il pavimento con prepotenza, e il suono che produceva, sinonimo di potere o presunto tale, rimbombava per i corridoi ad ogni passo deciso del ragazzo. Il suo sguardo vagava qui e là, e gli occhi, neri quanto gli abiti che portava, studiavano a destra e a sinistra dandosi un'occhiata in giro con mento alto e spalle rigide.
    Le differenze fra quel ragazzo e quello che aveva marciato su quelle mattonelle fino a qualche mese prima erano quasi invisibili. Pur non essendo mai stato prefetto o caposcuola, non capitano di quidditch o insignito di qualsiasi altra carica, Archibald aveva passato pressapoco sette anni sentendosi padrone del castello, sette anni in cui aveva camminato per quei corridoi con il sorriso tronfio di chi è convinto di avere in pugno la situazione e le persone che gli stanno attorno. Era stato, era, un ragazzo arrogante, il Leroy, senza un vero motivo per cui esserlo, guidato da un rabbia nata dal nulla e covata nel tempo, da una gelosia irrazionale verso chi intorno a sè aveva cose che lui non poteva avere e mai pensava avrebbe avuto. Una famiglia, tanto per incominciare.
    Tuttavia.
    Il giovane uomo che vagava per Hogwats in quel momento, nonostante le apparenze, nonostante la giacca di pelle o i pantaloni infilati nelle scarpe alte, non era più - almeno in parte - quel ragazzo così arrabbiato con il mondo. Da quando aveva trovato Lydia Arci era, si sentiva, diverso. Forse ad un primo sguardo non risultava così (era pur sempre ancora presuntuoso e con un senso dell'umorismo sconcio paragonabile a quello di un ragazzino delle medie), ma i suoi amici, e chiunque avesse la (s)fortuna di poter avere a che fare con lui un sacco di tempo tutti i giorni, avrebbe potuto confermarlo. In qualche modo era cresciuto davvero, alla fine.
    Si ritrovò di fronte all'ufficio di Nathaniel Henderson dopo aver vagato alla cieca più di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere (quel castello era fottutamente grande, e non era abituato a girarlo completamente solo, senza amici o masse di studenti da seguire), e prima di aprire il grande portone si guardò a destra e sinistra, cercando di memorizzare quanti più dettagli possibili di quel corridoio in cui mai era stato, se non per sbaglio. Se avesse dovuto iniziare a lavorare a stretto contatto con gli special come sua sorella, era il caso di ricordarsi come arrivare dai loro responsabili.
    Si prese qualche secondo, poi bussò delicatamente al portone di legno, entrando prima di aspettare una risposta.
    «Lydia?» si infilò all'interno dell'ufficio cercando il guizzo dei capelli rossi della Hadaway, e si bloccò sul ciglio notandone l'assenza. Sì che l'ufficio era tecnicamente il suo, ma Nathaniel, seduto dietro una scrivania intento a leggere, non era la persona che Arci si sarebbe aspettato. «Oh, scusami. Lydia mi aveva detto-...» si bloccò quando il professore, senza degnarlo di uno sguardo ma dedicandosi solo al suo libro, alzò una mano per zittirlo. Arci si sporse stupidamente sulla destra per guardare oltre lui, come se sua sorella si fosse potuta nascondere oltre la figura dell'uomo. Ovviamente non c'era, e Arci non potè che limitarsi ad attendere.
    «Ok, ci sono» Il Leroy non volle chiedersi se quella sulla guancia dell'uomo, intento a chiudere il tomo e a posarlo sulla cattedra, fosse una lacrima. Ad Arci faceva piangere quando nei programmi di inseguimento della polizia questi catturavano dei ladri particolarmente capaci, o quando Darth Vader si pentiva. Chi era lui per giudicare? «Dicevi?»
    «Lydia mi aveva detto di passare nel tuo ufficio, così che potesse darmi i vari fascicoli con i dati degli special» In quanto security avrebbe dovuto occuparsi della salvezza degli studenti di Hogwarts, e per farlo doveva sapere da chi o da cosa avrebbe dovuto proteggerli. «Sai dove posso trovarla?»
    «Lydia non c'è. Ho preferito fare io»
    Arci annuì, senza sapere esattamente come prendere quell'informazione. Gli sarebbe piaciuto di più avere a che fare con Lydia, certo, ma più che altro il suo dubbio nasceva dal non capire perchè Nate volesse dargli quei fogli in persona. Non erano mica una bomba. «Mh. Ok» Non avrebbe voluto essere così dispiaciuto per non aver avuto l'occasione di vedere lydia (dai, avrebbero comunque lavorato nello stesso posto), però non riusciva del tutto a togliersi dalla testa la fantasia che si era fatto di loro due il primo giorno di lavoro insieme, Lydia che gli spiegava personalmente i vari poteri degli special, i punti deboli o di forza e cose così. Era felice almeno di essere passato a casa di lei la mattina stessa.
    Nathaniel gli porse un plico di dossier, dentro cui Arci immaginò esserci i dati degli special dichiarati, ma quando l'ex serpeverde li ebbe afferrati per prenderli, il professore non mollò la presa. Arci passò lo sguardo dalla propria mano agli occhi di Nate, trovandolo serio come forse l'aveva visto solo a Brecon. Non si era neanche alzato dalla sedia, ma pur essendo Arci in piedi e lui seduto, l'uomo aveva un non so che di imponente e autoritario.
    «Fai qualcosa che non dovresti o di non necessario ai miei ragazzi e mi occuperò io di te, che tu sia speciale per Euge Lydia Bells o chiunque altro»
    Era difficile trovare minaccio un uomo vestito in quel modo, e che Arci aveva già visto in mutande e a piangere per una qualche fanficion a casa di Lydia, ma per qualche motivo Arci lo prese ugualmente sul serio. Che al professor Henderson non piacessero le security o chiunque prendesse di mira i suoi studenti era un dato risaputo. «Farò solo il mio lavoro»
    «Fallo nel modo giusto» Nate sollevò un angolo della bocca, ma in quel sorriso c'era ben poco di divertito. «Ti conosco, Archibald, non sono Lydia. Ti ho visto per anni sfogarti sugli altri, ti ho visto perdere le staffe per niente, ti ho visto uccidere. Non sono sicuro di apprezzare il tuo modo di lavorare»
    Arci si mordeva l'interno della guancia, per rimanere in silenzio. Nathaniel non si fidava del suo giudizio, non si fidava di lui, e questo un po' lo disturbava, e un po' lo capiva. Neanche lui si sarebbe dato credito. Ma ci stava provando, Archibald. Ci stava provando con tutte le sue forze, ci stava provando fottutamente tanto a essere migliore, a crescere. Per Lydia, per Gin, per le B&B, per i suoi amici che gli avevano voluto bene anche quando era difficile se non impossibile volergliene.
    «Se pensi che farò del male senza ragione a qualche special, ti sbagli.» "Sto cercando di cambiare. Davvero davvero davvero. Ci credeva, ci voleva credere.
    Nathaniel allargò il sorriso, lasciando la presa sui fascicoli perchè Arci potesse prenderli. «Sarà molto più facile lavorare insieme se siamo d'accordo, catafratto»
    Arci non sorrideva come lui, ma annuì. Prese i suoi bei fascicoletti, e uscì dall'ufficio dopo aver salutato Nathaniel, lasciandolo al suo romanzo tanto commuovente. Visto che non sapeva dove andare a leggere quei fascicoli, e Bells e Oscar erano ancora a lezione quindi non poteva andare a far loro visita, si auto-invitò nella capanna di Pearl, preparandosi come se fosse a casa propria un drink per iniziare bene la giornata. Aveva detto telepaticamente (?) a Nate che stava cercando di cambiare, ma mica voleva dire che dovesse iniziare a farlo proprio quel giorno.
    Pearl arrivò poco più tardi, e dopo avergli quasi spezzato una costola («non ti ho riconosciuto vestito così, pensavo fosse un ladruncolo» seh, come no) lo lasciò leggere in pace nella sua capanna, afferrando la bottiglia di scotch. «Però questo me lo prendo io».
    Dopo dieci minuti che si era messo a studiare uno per i uno i dati degli special, Arci si era già rotto le palle.
    Guardò i fascicoli rimasti annoiato, la guancia appoggiata alla mano. Non che non fosse curioso riguardo ai poteri degli esperimenti, a quello che potevano o non potevano fare, ma raccontati da Lydia o visti di persona erano molto più divertenti che letti. Non era un gran lettore,
    lui. «Meh» mormorò fra sè e sè, spostando con l'indice dell'altra mano le cartelline, facendole scivolare per guardare quelle sotto che ancora gli mancavano e leggerne svogliatamente i titoli.
    Si rizzò immediatamente, sistemandosi meglio sulla sedia. Prese la grossa cartella che aveva attirato la sua attenzione, leggendo nuovamente quella piccola frase per essere sicuro di non essersi sbagliato: "studenti maghi con caratteristiche speciali innate, apprese, imposte".
    Questa era una sorpresa. Erano quindi indicati tutti gli studenti animagus? Metamorfi? Licantropi? Avrebbe scoperto i segreti degli studenti maghi? Insomma, a conti fatti aveva senso che entrasse in possesso di quelle informazioni, ma non ci aveva pensato.
    Insuriosito, seduto bene sulla sedia, prese un sorso dal bicchiere che si era preparato prima, e aprì la cartellina.
    Immediatamente spalancò leggermente la bocca per la sorpresa.
    Sapeva che a Hogwarts potevano essere presenti licantropi (con i cata erano sempre stati molto attenti a non sgattaiolare alla Stamberga durante i giorni di luna piena, consci grazie ai loro predecessori Casta che questa era messa a disposizione degli studenti licantropi quando dovevano trasformarsi), ma non aveva pensato-... non aveva creduto-...
    Quei ragazzi avevano delle facce. Avevano dei nomi. E li conosceva.
    Fece una smorfia al primo nome, evidentemente il primo licantropo immatricolato attualmente presente al castello. Lei era uno di loro. "Questo spiega perchè sia premestruata il doppio del tempo". Passò oltre, cercando di cancellarsi dalla testa quel nome e quel viso, l'odore dei suoi capelli o il sapore di quel bacio sbiadito ormai datato un anno prima. Non erano neanche più amici, ormai, nonostante per un certo periodo Arci avesse creduto che sarebbero potuti diventare addirittura di più, e non voleva avere a che fare con lei. L'informazione della sua maledizione l'aveva stupito, ma non aveva intenzione di fare nulla al riguardo.
    Il secondo nome era già più interessante.
    Lui non era suo amico, nè era nella cerchia stretta dei catafratti. Non era parente di suoi conoscenti intimi, e non gli stava neanche particolarmente simpatico, con quel suo modo di fare sempre da buffone fighetto della classe.
    «Interessante»
    Infilò il resto delle cartelline nello zainetto nero che si era portato, e si alzò affrettandosi verso i sotterranei di Hogwarts, e più precisamente verso l'aula di pozioni.
    «Prof-...! signor-...! ... Anjelika
    Chissà se la donna lo avrebbe ucciso per quella familiarità. Ma si dai, ormai erano quasi colleghi, erano amiconi. Si erano salvati pure la vita a vicenda, e niente lega di più due persone (tranne una catena, ma dubitava la Queen avrebbe accettato di fare simili giochetti bdsm col Leroy). Appena lei si girò disinteressata, lo sguardo di Arci scivolò sulla lunga scollatura della sua ex professoressa, e dovette in fretta pensare a qualcosa di Santo o schifoso, prima che anche la donna si accorgesse di quanto ad Arci facesse piacere rivedere le sue vecchie amiche (ma anche le tette di Anje ruotavano come negli hentai? Secondo Arci sì; avrebbe dovuto parlarne con Jeremy). "Sin. Sin con la Coppola. Sin con la coppola che fa combattere piccioni. Sin con la coppola che fa combattere piccioni senza zambe... Ok ok, va meglio. ...Comunque è sempre un piacere rivedervi, Gwendalina, Adelina". Adelina, per gli amiki ade, perché era lì che sarebbe stato mandato il Leroy dalla Queen se avesse osato di nuovo palpare la donna, Gwendalina perché... beh, perché come nome non gli ricordava niente di sconcio, e gli piaceva un sacco. Abbiamo tutti la nostra preferita (ovvero la tetta un po' più grossa #wat).
    Anjelika non sembrava particolarmente contenta dell'appellativo (probabilmente avrebbe preferito non essere chiamata affatto) e lo guardò con schifo, lasciandogli intendere che poteva proseguire.
    «È lei a preparare la pozione antilupo per gli studenti, vero?»
    anje annuì distrattamente. Arci capì che la sua attenzione per lui non sarebbe durata ancora a lungo. «È obbligatoria? Insomma... Tutti devono prenderla prima della Luna piena, o è possibile che qualcuno salti e si trasformi in lupo?»
    «Non è una scelta»
    confermò la Queen «Se qualcuno non dovesse prenderla, immagino sia compito tuo abbatterlo»
    Giusto. Come se fosse arrivato all'improvviso una brezza freddo, gli venne la pelle d'oca. Avrebbe potuto dover uccidere Aidan, Tiffany, quel ragazzino Winston... ma allo stesso tempo voleva dire che avrebbe saputo esattamente dove trovare quella gente la notte di luna piena. Se non fosse stato così esagitato per l'idea che gli era venuta, si sarebbe emozionato perchè Anjelika sapeva del suo nuovo impiego come security (quindi si interessava a lui!!11).
    «Grazie mille dell'infornazione»
    La Queen non lo stava già più calcolando, tornata alla sua pozione mortale, e forse neanche notò Arci chinare in capo in segno di saluto.
    Quando se ne andò, Arci sapeva quello che voleva fare.

    ❖❖❖

    Versò il rum nel secondo bicchiere, mischiandolo poi alla coca e posandolo accanto al primo.
    Leggermente annoiato Arci si affacciò alla finestra, guardando attraverso le persiane chiuse la luce che iniziava molto lentamente a imporsi sulla notte.
    Doveva mancare poco.
    Erano passati alcuni giorni da quando aveva scoperto i nomi dei licantropi che vivevano a Hogwarts, giorni in cui aveva lavorato alla B&B mettendoci il cuore e, contemporaneamente, al castello come security, senza trovarlo neanche particolarmente pesante. La panetteria era, per così dire, la sua eredità, e se ne occupava volentieri, mentre fare da guardia agli studenti era sinceramente divertente. Poteva intervenire nelle loro litigate, andare dove gli pareva a che ora gli pareva, passare più tempo con Lydia, lasciare in giro post it stupidi per Oscar e Bells stile caccia al tesoro, dove il tesoro era l'ufficio di Jeremy (perchè). E soprattutto poteva passare accanto agli studenti maghi di cui aveva letto il dossier, e fare battute che, sperava, li avrebbe messi a disagio, lasciandoli col dubbio che lui sapesse. Aw, quell'estate gli era così mancato essere un piccolo bullo rompipalle!
    Si voltò di nuovo verso la stanza, un po' troppo stretta e claustrofobica con le finestre chiuse perchè potesse sentirsi completamente a proprio agio, e si accovacciò a terra, un pugno contro la guancia, studiando il ragazzo addormentato sul tappeto.
    Aidan Gallagher era quasi dolce quando dormiva.
    Le labbra leggermente socchiuse, i capelli lunghi spettinati che gli finivano davanti al volto in ciuffi disordinati, la pelle chiara e liscia che sembrava non avere niente a che fare con l'animale che il grifondoro era diventato la notte appena passata. Arci aveva provato quasi pena per lui.
    Aveva sempre trovato il Gallagher insopportabile, troppo fuori dalle righe, troppo furbetto quando l'unico che poteva esserlo sarebbe dovuto essere Archibald. Era troppo diverso dal Leroy, perchè potesse piacergli.
    Era un figlio di papà con tutti i soldi che voleva, dove Arci aveva passato diciassette anni a chiedersi dove fossero i suoi genitori e perchè non gli avessero lasciato un centesimo; vestito in modo imbarazzante e troppo appariscente, mentre l'ex serpeverde preferiva ricoprirsi di tutte le sfumature di nero esistenti; sorridente e falso amico di tutto l'uno, prepotente ma poi buono l'altro. Se anche entrambi sembravano amare essere al centro dell'attenzione, Aidan era decisamente più esuberante e luminoso. Troppo, perchè ad Archibald potesse andare a genio uno così e potesse importargli di lui.
    Eppure.
    Eppure Arci la sera prima l'aveva seguito, in forma di gatto nero. Era entrato alla stamberga, tenendosi a distanza, e l'aveva guardato spogliarsi, l'aveva guardato bersi da solo un'intera bottiglia. L'aveva guardato iniziare a trasformarsi, patire ogni secondo di quel tormento. Aveva sentito le ossa frantumarsi, i gemiti di dolore uscire dalle labbra esangui. Eppure gli era dispiaciuto per lui, per quello che ogni mese era obbligato a sopportare, per i lividi che erano spuntati sulla pelle rosa prima che la bestia apparisse. Eppure quando il lupo si era raggomitolato su se stesso tremante, il gatto nero si era avvicinato uscendo dal proprio nascondiglio, fingendosi un normalissimo randagio, e si era appollaiato sulla finestra di fronte a lui per fargli compagnia finchè non si era addormentato, gli occhi chiari in quelli appannati dall'alcol della bestia. Eppure avrebbe voluto avvicinarsi di più, dargli sapere che, almeno quella notte, non era solo.
    Ma non per questo, però Arci avrebbe cambiato idea riguardo al motivo per cui era andato lì.
    Archiblad si sporse ancora di più verso il ragazzo, allungando istintivamente una mano per togliere i capelli da davanti al viso di Aidan e restando qualche istante più del necessario con le dita sulle sua guancia calda, gli occhi fissi sulle ciglia lunghe del prefetto.
    Rapido fu di nuovo in piedi, le mani in tasca. Voleva vederlo bene in faccia, quando si fosse svegliato, solo per questo aveva avuto tale premura. Non è che solo perchè adesso aveva visto Aidan in un momento di debolezza, gli piaceva. Arci non era quel tipo, il dolore preferiva provarlo, per sentirsi vivo.
    Tornò verso il mobiletto dove aveva lasciato i bicchieri con il rum e cola, e dopo un sonoro sbadiglio buttò giù il primo sorso. Forse non avrebbe fatto l'effetto del caffè, ma sicuramente il fuoco in gola avrebbe aiutato momentaneamente a restare sveglio. Tirò fuori il cellulare, sprecando un po' di tempo pinnando, e quando vide un movimento da parte del ragazzo, finì il proprio drink e preparò in mano l'altro bicchiere. Si appoggiò al legno dietro di sè, aspettando che Aidan aprisse del tutto gli occhi.
    Chissà se il grifo si sarebbe accorto della coperta sulla poltrona lasciata accanto ai vestiti, coperta la sera prima dentro un mobile. Chissà se avrebbe fatto due più due, oppure avrebbe visto quello che Arci voleva vedesse.
    «Buongiorno principessa. O dovrei dire lupo cattivo? I ruoli nelle favole mi confondo sempre»
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia // (c) gif


    io non so coinvolgere mezzo mondo perchè faccio schifo, quindi ariception + bonus pearl / anje. MEH.
    Chissà se ho scritto stronzate, chiedo venia per le inforandom che nessuno aveva chiesto

    (perchè non aprire una pq? perchè ormai avevo questo post un po' fatto, e un po' in testa SCUSATE #wat)
     
    .
1 replies since 25/9/2017, 15:38   386 views
  Share  
.
Top