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  1. vasilov‚ idc
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    preside di durmstrang | mangiamorte | 38 y.o.
    dragomir vasilov
    one shall stand
    and one shall fall
    when there is no room in hell the dead will walk the earth || 02.12.17 - 17:00
    Odiava le incombenze, ma apprezzava sempre una buona occasione per mostrarsi in tutto il suo splendore - il suo potere. Talvolta, coloro che lo circondavano, sembravano dimenticarlo.
    E ne pagavano amaramente il prezzo.
    Erano passati mesi dall’affronto subito all’Aetas, mesi da quando era stato ritenuto colpevole dell’attentato in Francia: erano cambiate tante cose, da quel lontano luglio. Tanti assetti politici, e tante meschine pugnalate alle spalle erano divenuti sorrisi ossequiosi ed inchini al suo passaggio. Aveva perfino smesso, Dragomir Vasilov, di celarsi dietro le spalle del Ministro: era risaputo, ormai, che le redini dell’Europa dell’est le stringeva lui. Era nato per essere un capo, Vasilov – che senso avrebbe avuto perseguire nel far credere il contrario? Non aveva più bisogno di fantocci. Governava sulla paura, sul terrore; governava sulla promessa di sofferenze indicibili e morte per tutti coloro che non giocavano la sua stessa partita.
    Era una dittatura, ed era ormai sulla bocca di tutti.
    Aveva atteso a lungo, quel momento; non poteva che assaporarne ogni secondo, berne ogni goccia dal dolce sapore di latte, miele, e sangue.
    Lento e metodico, premendo sui babbani quanto suoi maghi, Vasilov aveva conquistato i territori prima facenti parte dell’alleanza francese – il Belgio, l’Olanda, l’Italia e la Spagna. Erano passati quasi quattro mesi da quando aveva occupato la Francia, e nella sua avanzata se l’era presa con comodo: meschino e crudele, aveva fatto in modo che percepissero fisicamente la sua presenza sul territorio, epidemie che nessuno sapeva spiegarsi e piccole cittadine divenute ormai fantasma. Tempo, Dragomir Vasilov, ne aveva da vendere.
    Era quello di Jeanine, ch’era giunto al suo ultimo granello. Gliel’avrebbe fatto sudare, quell’ultimo respiro. Le avrebbe strappato tutto ciò ch’ella aveva, tutto ciò in cui credeva, prima di prendersi la sua vita.
    Così se l’era presa con calma, e due mesi prima aveva fatto irruzione oltre le difese delle città magiche di periferia; così se l’era presa con calma, e quella mattina stessa aveva ordinato ai suoi soldati di assaltare Beauxbatons.
    Così sorrideva, Dragomir Vasilov, nel poggiare gli stivali neri sul pavimento di marmo dell’atrio del Ministero inglese – oramai era tutto a suo favore. La Oshiro si era assai ridimensionata nei suoi confronti, più riverente e meno sgarbata: aveva fatto bene, Kimiko. In un qualsiasi momento, Dragomir avrebbe potuto decidere che la Francia non era ancora abbastanza, ed avrebbe potuto volgere le sue attenzioni al suo paese. Se avesse anche solo - anche solo- ritenuto la Gran Bretagna qualcosa di meno d’un alleato, sarebbero stati i prossimi in lista.
    O forse lo erano comunque, ma Vasilov preferiva far credere loro di essere ancora dalla loro parte.
    Nel dubbio, era meglio non rischiare di farlo arrabbiare.
    Avanzò all’interno dell’istituzione come se già gli appartenesse di diritto, il bastone da passeggio a misurare ogni passo con un toc definitivo. Chinò rispettosamente il capo a tutti i cenni di saluto che gli vennero rivolti, un pigro e bieco sorriso a curvare le labbra ad ogni inchino rivoltogli.
    Il suo regno, lo era già. Dovevano solo rendersene conto.
    «vasilov.» Nessun titolo – quasi offensivo. Ruotò i vuoti occhi azzurri sul Ministro britannico. «kimiko» la volontaria intenzione di privarla non solamente del titolo da lei richiesto, ma anche dalla formalità del cognome. «la ringrazio di essere venuto» Non sembrava affatto grata, ma decise di passarci sopra.
    Era stato convocato per chiarire alcune questioni lasciate irrisolte, e per rassicurare l’opinione pubblica riguardo la sua posizione di associato: le ingenti dosi di tè ingerite dagli inglesi, li avevano resi evidentemente instabili e paranoici.
    O forse solo realisti.
    «sono stato piacevolmente colpito da questa chiamata» non sembrava affatto colpito, ma la Oshiro decise di passarci sopra.
    Benvenuti nell’ostico e labirinto territorio della politica.
    Lo accompagnò presso il suo ufficio al primo piano, dov’era stata indetta una… conferenza. Sorrise di quelle placide attenzioni, Dragomir Vasilov. Diverse sedie erano state predisposte in ordinate file dinnanzi ad un lungo tavolo nero, lucido – indubbiamente non legno, forse un materiale più resistente agli incantesimi. Credevano davvero che la situazione sarebbe precipitata così considerevolmente?
    Forse neanche la magia funzionava, lì dentro. Tentò un movimento con il polso facendolo apparire come un distratto sciacquio d’aria - niente.
    Nessuna magia era concessa, dentro il nero ufficio di Kimiko Oshiro.
    Si accomodò sullo scranno centrale, quello che avrebbe dovuto essere occupato dal ministro ma che, in quel caso, gli spettava di diritto. Si tolse la giacca nera rivelando un sottostante completo altrettanto scuro, il medesimo colore dell’inchiostro o della notte priva di stelle. Solo la camicia bianca staccava dal resto, togliendo la mimesi con l’ambiente data dalla scelta (peculiare) di luci soffuse e ombre.
    Attese che le sedie fossero occupate, prima di intrecciare le dita fra loro e poggiare i gomiti sul tavolo. Si chinò in avanti, il capo reclinato come un rapace. «un uccellino mi ha detto che volevate parlarmi.» sorrise lento.
    Un sorriso da predatore, il suo.
    Di chi aveva già vinto.
    | ms.


    La role è ambientata a inizio dicembre, e come descritto nel post, nel mentre sono accadute cose.
    In linea generale, possono partecipare solo mangiamorte - ma in caso abbiate una buona motivazione, sono ben accetti anche neutrali o spie ribelli.
    Potete portare un massimo di due pg a player; non potete portare pg che hanno partecipato alle role con Lancaster e Lafayette. Ovviamente, potete postare anche con fittizi. La role si concluderà il 30.09 Potete fare a Dragomir tutte le domande che volete - ma, come sempre,
    non è detto ch'egli risponda.
    O che lo faccia sinceramente.
    O che non abbia conseguenze.

    - 18.



    Edited by mephobia/ - 14/1/2018, 17:09
     
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    I like the stories.
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    none of them come free.
    sympathy for the devil || outfit || 02.12.17
    16.15 --
    «Penso che potrei propormi come vicepreside di Hogwarts» Le mani di Levi, impegnate a sistemare il cravattino del marito, si fermarono immediatamente.
    «Tu cosa
    Magnus non la guardava neanche, limitandosi a studiare oltre la spalla di lei il proprio riflesso nello specchio. Si passò due dita sulla barba che si era fatto crescere. Su Noah la barba aveva un aspetto trasandato, sciatto, ma su questo corpo gli pareva particolarmente adatta. «Non trovi mi dia un'aria saggia?» appariva un nonnino pronto a raccontare ai nipotini qualche antica storia di guerra. Il fatto che nè Noah nè Magnus fossero mai stati in guerra, era secondario.
    «Non puoi essere vicepreside»
    Finalmente, il vecchio spostò lo sguardo dal proprio viso a quello di Levi, davanti a sè. Mise su un broncio sorpreso, e in quel momento sembrò improvvisamente di nuovo ventenne, rughe o no. «Perchè?»
    «Oh beh, i motivi sono parecchi» Levi indietreggiò di un passo, elencando sulle dita: «Sei stato in prigione per cinquant'anni»
    «In realtà no»
    «Ma tecnicamente si. Dovresti lavorare molto di più a quanto tu sia abituato anche quando non ne hai voglia. Se ti chiedessero di fare una magia dovresti rivelare che non sei un mago»
    «Potrei cavarmela in un altro modo»
    «E infine, questo non sei tu. Sei un ragazzino; non hai l'esperienza adatta a essere vicepreside... non ti lascerei neanche un giorno da solo con Antares»

    Magnus agitò una mano in aria a classificare tutte quelle cose nonnulla, e si sistemò il completo fatto su misura. «Mi sottovaluti» Non le disse che era riuscita a scalfire la sua sicurezza, facendogli ripensare a quella geniale trovata, ma visto che chiuse il discorso così Levi doveva aver capito di aver fatto breccia nell'orgoglio del ragazzo. Probabilmente nessuno aveva conosciuto Magnus meglio di lei, e per quanto ora lui, Noah, fosse inevitabilmente cambiato in quei mesi che lo separavano dalla sua vecchia vita, trovava ancora importante il giudizio che Levi aveva di lui. Se Levi non lo trovava pronto a assumere un ruolo tanto importante, forse aveva ragione.
    «Almeno pensaci bene»
    Magnus grugnì una risposta. A volte odiava averle rivelato la propria identità. Come aveva fatto a diventare amico di quella vecchiaccia?
    «Da giovane eri più divertente»
    Vide l'accenno di un sorriso. «Da giovane le cose erano diverse»
    Levi allungò ancora una mano per sistemare il fazzoletto nel taschino, poi indietreggiò, uscendo dalla stanza. «La macchina starà per arrivare. Non fare tardi»

    16.50 -- «Grazie mille» Magnus diresse un sorriso gentile all'uomo che gli aveva tenuto aperta la porta, entrando nella stanza non ancora completamente riempita.
    Sentendo da Damian che il drago era stato convocato al ministero inglese, Magnus non ci aveva impiegato più di qualche secondo a decidere di partecipare a quella conferenza. Gli sembrava di essere di nuovo bambino, quando ai pranzi di famiglia non si faceva che parlare di questo grande mago che aveva iniziato la propria campagna contro impuri, babbani e traditori! Anche se era giovane, ricordava gli inizi del Signore Oscure, ricordava i primi titoli sui giornali, i Morsmordre sulle case... sembrava tutto molto simile a quello che stava capitando ora nel mondo, sebbene la partita di Vasilov apparentemente si stesse giocando su una scacchiera ben più grande di quella Inglese.
    Ovviamente avrebbe tifato per lui, in caso di guerra.
    Sapeva poco o niente di quel tempo, delle battaglie combattute per arrivare dov'erano adesso, ma da quanto era riuscito a capire la linea politica del ministero inglese l'appoggiava in gran parte (se non si conta quella riservata agli esperimenti, certo, ma la giustizia per loro, per , sarebbe arrivata in seguito). Se la Francia voleva cambiare lo status quo, e voleva farlo con mezzucci come accusare il proprio nemico di una bomba da loro lanciata, allora Magnus, allora Noah, era disposto a mettersi contro di loro. Non sapeva l'obiettivo finale dei presidi, ma gli bastava tenere alta la propria aspettativa di vita; voleva continuare a vivere in una bella casa, potersi permettere belle cose. Voleva tornare a Villa Icesprite dopo una lezione al castello, o guardarsi allo specchio con un completo che una persona comune non si sarebbe potuto permettere, e dire "sì, sono meglio degli altri".
    Si sistemò su una delle sedie libere, e notando che era ancora presto, e che nessuno lo stava guardando, tirò discretamente fuori il cellulare.
    gallagay saved a pin to sqwad: pant-ting club.
    you have 7 new follower.

    AW. What a time to be a pinner. Prxximo obiettivo 2k!!111
    In ogni caso.
    I dieci minuti passarono in fretta, e Magnus ritirò in fretta il cellulare (oh, i babbani facevano schifo ed erano tutti d'accordo, ma pinterest non si tocca). Aveva salutato con un cenno del capo cordiale tutti quelli che conosceva anche solo di vista, ma all'entrata di Vasilov e del ministro Kimiko (una donna GIAPPONESE non era il suo ideale di capo di stato ma MEH) si alzò in piedi. Il giovane Magnus non era mai stato bravo a seguire le regole, ma c'erano abitudini che era meglio avere, di fronte a gente più forte di te.
    Si risedette sistemandosi l'ennesima volta il completo, e incrociando elegantemente le gambe. I modi di fare di Vasilov lo affascinavano.
    Era un leader, era uno psicopatico. Era aesthetic.
    "Potrei fare una bacheca e fingere che sia per un personaggio originale. A parte che c'è gente che shippa vasiline e con la bacheca su di loro, quindi non sarebbe neanche troppo strana farla sul drago. Dai, dopo inizio a cercare i pin"
    «un uccellino mi ha detto che volevate parlarmi.»
    Magnus ricambiò il sorriso affabile. Appoggiò il gomito sulla gamba, posando poi il viso sulla mano, studiando l'uomo di fronte a sè con espressione rilassata.
    «Personalmente, vorrei essere solo sicuro di star scommettendo sul cavallo giusto» iniziò, le spalle leggermente strette fra loro. Appariva giovane, Magnus; pur avendo il corpo di un sessantenne, era facile vedere nei suoi gesti movimenti infantili (movimento che al ragazzo nascosto dietro il corpo anziano non interessava nascondere). Chissà se a Vasilov avrebbe dato fastidio essere considerato un cavallo su cui puntare, o avrebbe capito che in quella fase, per loro lui era quello, non ancora un dio sceso in terra come, chi lo sa, forse sarebbe diventato.
    «Alcuni hanno scelto di essere neutrali, in questa guerra» chiamiamo le cose come stanno: quello non era più un battibecco fra Jeanine e Dragomir ormai da mesi. «Altri di schierarsi con la Francia. Ma noi, cosa ci guadagneremmo ad affiancarci a lei?» agitò la mano libera con leggiadria. «Immagino avrà un obiettivo finale più grande che noi a mala pena cogliamo... bene, in questo piano, noi inglesi cosa avremo in cambio?» Avrebbe voluto anche chiedere come poteva Vasilov essere così sicuro di vincere, ma francamente era una domanda secondaria e che potevano affrontare successivamente: l'esercito del drago e la sua forza in battaglia non sembravano un segreto, ed era giù piuttosto chiaro che, Francia contro Paesi nordici, i secondi fossero già in vantaggio... l'unica cosa che avrebbe potuto cambiare le sorti del gioco, erano coloro ancora neutri.
    | ms.
    it's tutto molto random, ma volevo partecipare prima di scordarmelo o perdere l'ispirazione #wat SCUSATE in realtà è tutto molto inutile, soprattutto la prima parte a casissimo
     
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    thad fuckin' clayton

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    Mettiamo subito le cose in chiaro. Thad odiava la politica. Ad essere precisi, Thad odiava più o meno l'intero mondo magico e non -con Jericho e pochi altri che si salvavano-. Lancaster, Lafayette, Vasilov e persino la nuova Ministro, per il giovane erano tutti solo una cosa: cognomi del cazzo, di persone che se la credevano e di conseguenza, non meritavano nulla dalla vita se non botte. Gliele avrebbe date lui stesso, con la giusta occasione: a mani nude, fintanto che le sue nocche non avessero urlato pietà. Piccolo particolare: era quasi diventato insensibile al dolore e poteva rigenerarsi. Una delle ragioni per cui, nei suoi mesi da Pavor, non aveva esitato a cercare di partecipare a missioni in cui infiltrarsi chissà dove, rischiando di venire ucciso o chissà che. "Sono solo un magonò, pezzi di merda." Non erano un caso, il quantitativo di cicatrici che non facevano che aumentare, così come il più che visibile taglio che tutt'ora gli ornava lo zigomo. Eppure sul viso giaceva una specie di smorfia che somigliava ad un sorriso, nonostante quelle che da altri sarebbero state viste come esperienze negative. Bitch please. A braccia incrociate nell'angolo della stanza, appoggiato al muro e lontano dalle sedie, osservava le altre persone che lì si trovavano e semplicemente, attendeva. Che qualcuno prendesse parola, ma non lui. Voleva solo sentire qualcosa di sensato, ordini a cui obbedire svogliatamente solo perché lo avrebbero portato a ciò che voleva ottenere. Sangue. Ormai, aveva abbandonato buona parte della sanità mentale. Ringraziava di non essere uno zombie perché altrimenti, era tale e quale alla Montagna nel Trono di Spade. Altezza compresa, se ci credeva abbastanza. «un uccellino mi ha detto che volevate parlarmi.» Rise, il babbano. Semplicemente rise al commento di Vasilov, uno dei più potenti uomini del mondo magico. Se qualcuno dei presenti si stesse aspettando almeno una parola da parte sua, dopo ciò... Beh, sbagliava. Lo sguardo vagò sulla stanza, posando su "vecchietto del cazzo numero uno" ciao Magnus che si mise a parlare. Un commento noioso dopo l'altro, domande del cazzo della cui risposta non gli importava. Neutralità, baguette di merda e cavalli su cui puntare. Per favore. «Dragomir, alla missione di recupero, ha lasciato volontariamente indietro noi scherzi della natura?» Il sorriso non scomparve nemmeno dal volto, l'unica effettiva intenzione era quella di infastidire l'uomo, far sì che fosse il meno pacato possibile prima di effettivamente far capire che non gliene fotteva un cazzo. Certo, se avesse ricevuto tale conferma allora, forse, avrebbe tentato di ucciderlo "per sbaglio", ma quello non era il momento di pensarci. Incrociò le braccia, a malapena un metro e sessanta di ragazzo dalla bocca larga. «So quali sono gli ideali del suo governo e li seguo più che volentieri.» Fedeltà? Nope. Semplice e pura comodità, la possibilità di fare ciò che voleva senza eccessive ripercussioni. «Però continuo a chiedermi, con tutto il tempo che hai avuto... Credi sia il giusto momento per una guerra? Perché ora?» Seconda persona, perché il rispetto andava guadagnato di solito, ma il pavor non lo dava a chiunque, a prescindere dallo status, o da cosa avessero fatto per lui. Figuriamoci se poteva venire un pezzo di merda russo a tirarsela col suo ghignetto. Quello era il suo ruolo. Non gliene poteva fottere meno di trovarsi lì, in quella stanza. A Thad Clayton non importava nulla, ma era convinto che ci fossero bisogno di più persone come lui. Persone a cui non gliene fotteva mai un cazzo, ma che avevano le palle di agire comunque, nelle loro dimostrazioni di indifferenza.

    ©ome il crimine
     
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    01.12. Nevicava, a Londra. L’aria era fredda ma immobile, i fiocchi privi di peso sulla lana sottile del cappello di Erin Chipmunks. Le mani erano affondate in spessi guanti gialli, le dita strette attorno ad un alto bicchiere di carta ricolmo di cioccolata calda. Non guardava Amalie, la ribelle, con il giornale ormai abbandonato fra loro a bagnarsi e perdere inchiostro.
    Non guardava nulla, con gli occhi ridotti a fessure su una Londra deserta; ci provò, ad aprire la bocca per dire qualcosa - ma cosa? Non poteva dire alla bionda della Resistenza, come non poteva dirlo a Scott. Un segreto che non le apparteneva, perché se solo l’avesse fatto - se solo fosse stato suo- non avrebbe mai atteso tanto a lungo prima di svuotare il sacco: ma c’entravano le vite d’altri, nella ribellione. Segreti d’altri.
    Tenerli al sicuro era anche una sua responsabilità. Non credeva che Scott o Amalie fossero una minaccia, anzi, ma non voleva una tale incombenza sulle proprie spalle. Così richiuse la bocca, richiuse gli occhi, si morse l’interno della guancia. Ignorò il titolo a campeggiare in prima pagina, le immagini a ripetersi e riavvolgersi all’infinito. Ignorò la stretta al cuore nel vedere una città farsi e disfarsi, perdersi e non ritrovarsi. Ricordava le parole di Nathan e Jess, il modo in cui perfino il viso di lei s’era fatto più serio, più adulto. Era così difficile vederla priva di sorriso, che ogni qual volta capitava la situazione pareva farsi notevolmente più drammatica.
    Più reale.
    Erano passati cinque mesi dall’attentato. Quattro mesi da quando Jeanine, in tutta la sua regale bellezza, era apparsa sullo schermo del quartier generale. Quattro mesi che la Francia era sotto assedio, ed Erin Chipmunks, incastrata fra i ribelli, non aveva mai mosso un dito. Impotente, troppo giovane e troppo inesperta per poter cambiare le carte in tavola – così le avevano fato intendere, cercando di proteggerla più del dovuto.
    Erano passati due mesi da quando Erin aveva scoperto l’assurda, inconcepibile, verità.
    Ancora faticava a crederci – ancora, non lo faceva del tutto.
    Ed aveva paura, la Chips. Era terrorizzata all’idea che la guerra potesse spandersi ed inglobare la Gran Bretagna, che la sua routine potesse essere compromessa da battaglie alle quali non sarebbe stata in grado di partecipare. Ed era stanca, di non sapere. Di non poter capire, perché erano discorsi da adulti.
    Deglutì. Quando sospirò piano, una nuvola di vapore si concretizzò davanti alle labbra dischiuse, dissipandosi come fili di fumo di una sigaretta. «vorrei…» avrebbe voluto tante cose, Erin. Essere più arrabbiata e meno impaurita, più coraggiosa e meno codarda. Più forte. Distolse lo sguardo dal giornale portandolo timidamente su Amalie – chi l’avrebbe mai detto che in così poco tempo sarebbe diventata così importante, nella sua vita? Se si fosse realmente posta la domanda, non l’avrebbe saputo: ma non lo faceva mai, Erin, dando per scontato che quel legame fosse normale. Destino, forse. Forse la loro vecchia vita. Cercò di immaginarsi a trent’anni, un altro nome ed un’altra storia; cercò di pensare a Mabel - Mabel Winston. Si conoscevano? Magari Mabel la odiava, magari Tupp era insopportabile. Tupp.
    Aveva scoperto tardi, Erin, di aver perso i suoi futuri e passati genitori: voleva giustizia, voleva rendere loro onore. Voleva ricordarli.
    Voleva impedire che morissero anche gli altri, quelli biologici: voleva una possibilità. «vorrei poter fare qualcosa» ammise, muovendosi a disagio sulla panchina. Sul cosa, non ne aveva idea. «non è giusto che ci escludano da tutto solamente perché siamo giovani» imbronciata e pensierosa, negli occhi e nel cuore il viso gentile di Keanu Larrington, bevve un sorso di cioccolata calda tentando di strapparsi il freddo che sentiva all’interno. «è anche il nostro, futuro. Il minimo sarebbe renderci partecipi» rifletteva più che altro ad alta voce, la ribelle. Ed è già stato il nostro passato. Non specificò mai a chi si stesse riferendo, rimanendo sul vago in modo che fosse interpretabile - ma iniziando ad insinuare il seme del dubbio. Una ragazza trasparente nel suo mistero, la Chipmunks.
    Perché certi segreti non erano destinati a rimanere sepolti per sempre.
    Vero, Mabel?
    «vorrei…» e di nuovo lasciò la frase in sospeso, il labbro inferiore stretto spasmodico fra i denti. Vorrei aiutare - ma non lo disse. Era ovvio che volesse aiutare.
    Vorrei che sapessi - ma non lo disse. Era ovvio che volesse Amalie sapesse.
    Vorrei che non fosse così difficile.
    Erano stati mesi strani, per Erin. Obbligata a mantenere il segreto, si era spostata fra i membri della sua famiglia come un passante qualsiasi, un braccio come un altro a sfiorarsi nella folla. Per lei, solo per lei, erano… diversi. Sotto una luce differente e consapevole, Erin guardava Lydia Hadaway e trovava i propri occhi nei suoi, la forma delle labbra. Le mani affusolate di Scott. Archibald era suo zio.
    Gwen era sua cugina. Gwendolyn, che per tutto quel tempo - tutto quel tempo, non le aveva mai detto nulla. Non la odiava, certo, come avrebbe potuto? Era la sua famiglia. Eppure non poteva fare a meno di sentirsi… triste, pensando al tempo che già avevano perso.
    A quello che avrebbero potuto avere, sapete. L’avrebbe costretta ai pomeriggi con Nathan e Jess, lasciando le due ragazze a ciarlare sopra al film perché ad ambedue non interessava la pellicola – le sarebbe andato bene comunque. Gene era suo cugino - in parte. Non di sangue, ma dubitava che tale piccolezza, per lei, (avesse) avrebbe mai avuto importanza: Scott era stato suo fratello prima ancora che la biologia lo confermasse. Non era il sangue, a rendere una famiglia tale.
    L’aveva sempre saputo.
    Akelei e Morrigan erano sue zie. Quei tre ragazzi dall’aspetto smunto ed affilato, erano suoi cugini.
    Le pareva, ancora e sempre, una mappa dai percorsi incomprensibili e troppo stretti.
    E poi c’era il resto della famiglia. Con dita tremanti, Erin aveva scritto ad Amos chiedendogli se conoscesse Frederick Hamilton. Ci aveva sperato che Amos fosse parte della famiglia, sapete? Un viso conosciuto, un sorriso gentile.
    Ed invece lui l’aveva reindirizzata su Jayson Matthews. I tre fremelli.
    Stiles. Xavier. Jay - suo padre? Non riusciva a masticare quella parola sulla lingua, a respirarla nei polmoni. A casa loro, seppur in punta di piedi, si era avvicinata: aveva la scusa di Idem ed Isaac, Erin.
    Di Tupp.
    Non aveva mai avuto il coraggio di parlarci.
    E poi c’erano Gemes, e Charmion. Quel bambino così piccolo che aveva solamente intravisto fra un passaggio di braccia all’altro; quei due ragazzi dall’aria diversa e sottile
    La sua famiglia?
    Non ne aveva mai avuta una vera, non sapeva come funzionasse. Aveva Scott, e Nathan, e Jessalyn e Keanu, e Amalie e Murphy. Ma forse, forse, avrebbe potuto fare spazio anche a loro, un giorno.
    Se l’avessero voluto. Se l’avessero voluta.
    Il bicchiere di carta si accartocciò fra le sue mani, quando lo strinse troppo. La bionda le lanciò un’occhiata inquisitoria di sottecchi. «a cosa stai pensando?» A un’altra vita, a un’altra me.
    Rivolse le tristi iridi verde bosco su di lei, e per un battito di ciglia le parve di vedere Maeve, nei suoi occhi. Nell’espressione preoccupata ed in attesa con la quale la squadrava. «che non è giusto» ed era vero. La ragazza fraintese, pensando alla conversazione avuta poco prima – e non fraintese affatto, perché Erin si riferiva anche a quello: c’erano un sacco di cose che non erano giuste. «forse c’è qualcosa che possiamo fare» Le sorrise.
    E fu così che, su una panchina qualsiasi di una Londra imbiancata, Erin ed Amalie stesero il loro piano. Si era esclusa da Lancaster, e da Jeanine: voleva la sua opportunità per sapere, la Chipmunks.
    Glielo dovevano. Glielo doveva.
    Avrebbero fatto qualcosa.

    02.12. La neve, come prevedibile, non la entusiasmava. Le ricordava i pomeriggi passati sul portico di casa Lowell ad attendere il ritorno di Nate - non era mai tornato- Michael Bublè (di cui per ovvi motivi non era una grande fan), nulla più-: Jericho Lowell non era mai stata il genere di bambina che faceva pupazzi ed angeli di neve, o che apriva la bocca per saggiare i cristalli sulla punta della lingua.
    A diciott’anni, era solamente felice che la gente evitasse di uscire di casa – e che il freddo giustificasse le felpe enormi e sformate, ed il cappuccio ben calato sulla testa. Non che il sole l’avesse mai fermata, ma sapere che il clima fosse d’accordo con il suo stato d’animo, la faceva sentire più ottimista nei confronti della vita. Inspirò il freddo d’inizio dicembre dalle narici, il braccio piegato al suo fianco con le dita aperte in attesa. «lo sapevo che ti avrei trovata qui» «perché, mi stavi cercando?» Corrugò le sopracciglia, un’occhiataccia in direzione di Darden. Attese che la Larson le cedesse la canna, prima di tornare a volgere le iridi zaffiri sul panorama di Londra sottostante. Lungi da Jericho Lowell ammettere che qualcuno, qualsiasi qualcuno, potesse mancarle. Evitò di risponderle, lo spinello fra le labbra a bruciare dolce e denso. In quella che pareva un’altra vita, Niamh era solita raccattare le due Grifondoro asociali per trascinarle a fare baldoriah: loro la seguivano, attendevano che fosse troppo sbronza per ricordarsi di loro, e poi sgusciavano lì dove nessuno avrebbe pensato di cercarle. Un anonimo tetto di un’anonima Londra, scale antincendio arrugginite che non erano mai state un problema, per le due: meglio morire con il collo spezzato, che passare un’altra serata all’insegna di pessima musica ed adolescenti galvanizzati dall’alcool. Persone - mai state il suo genere.
    «com’è andata in america?» le domandò con aria distratta, senza guardarla.
    Lungi da Jericho riferirle che avrebbe potuto avvisarla, prima di sparire per mesi solo Dio sapeva dove. Avrebbe mancato di tatto, aveva pur sempre perso la sua famiglia, senza contare che Darden non le doveva nulla. Era passato così tanto tempo, dalle tredicenni arrotolate su quel tetto senza nulla da dire. Erano cambiate così tante cose.
    Era cambiata lei. Non sapeva neanche più se fossero amiche – se lo chiedeva sempre più spesso, di un po’ tutti. Guardava Syria, Sharyn. Guardava quelle che un tempo avevano fatto parte della sua vita, e che ormai non potevano più… capirla. Neanche voleva, la Lowell, che la capissero.
    Inspirò un altro tiro a labbra strette, il fumo denso a scivolare dalla bocca dischiusa. Darden si strinse nelle spalle, la mano allungata verso di lei a dita tese. Non erano mai state il genere di amiche che si scambiavano confidenze e segreti, non di certo quelle che avreste visto ad un pigiama party, ma Jericho pensava… Jericho pensava troppo, ecco il suo problema. Forse non erano fatte per quelle visite di cortesia, loro. Forse potevano andare d’accordo solamente con armi alla mano e gente da prendere a pugni. Annuì al nulla, il cappuccio a sfregare sul muro in mattoni ed un mezzo sorriso sghembo a piegare ironico le labbra. Cosa avrebbe dovuto dirle? Non avevano certo dodici anni, non l’avrebbe pregata di tornare a qualunque cosa fossero – non aveva bisogno di lei, la Lowell. Non aveva bisogno di nessuno. «non avrei dovuto venire.» chiuse gli occhi, sospirò. Con una spinta alle proprie spalle si rialzò pigramente in piedi, le gambe fredde per il contatto prolungato con il ghiaccio. Non avrebbe dovuto andare - perché avrebbe dovuto importarle? Le amicizie, le persone, erano sopravvalutate. «vado» una mano a stringersi ferrea sulla sua giacca, Jericho a volgersi appena verso la Larson. «aspetta» Le ciglia scure avevano intrappolato qualche fiocco di neve, gli occhi grigi a spiccare sul viso pallido. Aprì la bocca, la richiuse. Le fece un vago cenno con la mano, mentre lasciava la presa sulla giacca. «la canna, lowell» Che idiota – lei, ma anche Darden. Non sapeva neanche cosa avesse sperato potesse dirle, torniamo amike? Non credeva proprio. Sbuffò una risata, quella che non era –né appariva- come una sigaretta a ruotare precisa nell’aria verso la Grifondoro. «ci si becca in giro, mh» un mezzo sorriso, il mento sollevato in saluto e le mani nuovamente infagottate dentro la giacca.
    L’entrata del Ministero non era lontana da lì, ma lungi da Jericho Karma Lowell spostarsi a piedi, con il rischio di incontrare forme di vita. E poi, perché non approfittare del generoso regalo del suo nuovo fratellino preferito? Sì, Nathaniel aveva acquistato una carriola di punti - stelline- con quella moto.
    Era quasi certa di volergli bene.
    Era quasi certa di non aver mai smesso.
    Salì in sella alla motocicletta, il casco sopra il cappuccio, i guanti e gli occhiali da motociclista (la visiera era mainstream) a proteggerla dalle intemperie. Le strade erano pulite, quindi – forse – non sarebbe morta per giungere alla sua destinazione. Diede gas, un brivido d’adrenalina a saettarle nelle vene quando il mezzo prese vita sotto di lei, strappandola al cemento per trascinarla in volo.
    Più o meno metaforicamente.
    Lasciò la moto vicina alla cabina telefonica; se qualcuno avesse osato toccarla, o peggio, rubarla, sarebbe incorso in una nuova maledizione: lui, o lei, e tutta la sua famiglia, nonché i futuri nascituri, sarebbero rimasti privi di mani. Una fattura?
    Nah, solo quella del ferramenta che le aveva venduto le seghe dentellate.
    Ad ogni passo, Jericho faceva il suono tintinnante e metallico che solitamente produceva un mazzo di chiavi in tasca; dubitava che per qualcuno fosse un problema il fatto che lei non avesse chiavi, ma solamente armi. Era un periodo drammatico, catastrofico, e Jericho non andava neanche a farsi la doccia senza la sua scorta personale di shuriken. Ne aveva perfino di un colore diverso a seconda del giorno della settimana.
    Ma torniamo a noi.
    Aveva saputo che quel pomeriggio Vasilov avrebbe tenuto una… conferenza al Ministero. Vorrei qui dirvi che la Lowell fosse interessata ai destini dell’umanità, che volesse risposte per quelle giuste ingiustizie, ma sarebbe una menzogna: era semplicemente una scusa come un’altra per non presentarsi, giustificata, a lavoro. Le piaceva essere Pavor, non fraintendete; le piacevano un po’ meno le conversazioni sui tira latte dei suoi colleghi.
    Si sedette vicino a Thad, le braccia incrociate sul petto.
    Lo rimpianse non appena l’amico cominciò a parlare. Erano affini, loro due. Si trovavano d’accordo su pressochè ogni questione, un’anima spezzata alla nascita per dar vita a due mezzi, comprese le dimensioni ridotte, psicopatici, ma. Ma Thad resisteva al dolore più di lei, e con la guarigione era praticamente immortale.
    Jericho no.
    Jericho non voleva essere bombardata da Vasilov solamente perché il suo coinquilino si era mostrato un adolescente con il ciclo mestruale, il fottesega della situazione in un ambiente che, perfino lei lo sapeva!, non ammetteva simili atteggiamenti. In puro stile leale, fedele, e di sempreterno supporto, quando il Clayton aprì bocca trascinò con non curanza la sedia lontano da lui.
    Così. Non si sapeva mai. Prevenire era meglio di curare, eccetera eccetera.
    Sollevò piano una mano, pregando di non essere vista. Si sarebbe sentita a posto con la coscienza se ci avesse provato, ma ahimè, fosse stata ignorata.
    E invece. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione. Si agitò a disagio sulla sedia schiarendosi la voce, la testa un poco reclinata a destra e le braccia sollevate a mezz’aria. «mh, sì, buonasera signor vasilov» si iniziava così? Non lo sapeva. Odiava parlare con forme di vita semi intelligenti, ecco perché di solito i suoi sproloqui se li beccavano le sue scimmie, il suo cane, ed il suo gatto.
    La gente era complessa. «avrei una domanda – così, se le va di rispondere, insomma.» piegò le labbra verso il basso, cercando di apparire indifferente.
    Voleva morire. «ma lei, con esattezza… cosa se ne fa della francia? Ho sentito che stamattina avete attaccato la scuola» si inumidì le labbra. «perché la scuola? Non che sia una fan dei teen ager, ma…» a lei sarebbe girato il cazzo a manetta, se qualcuno avesse attaccato Hogwarts. Senza di lei, poi! No skè.
    Forse. «vorrà mica fare la collezione, no? ha già durmstrang» non sorrise, ma ci provò.
    Perché non gliene fregava una sega della Francia, ma se l’obiettivo successivo fosse stata la Gran Bretagna, avrebbe preferito saperlo in anticipo. Così, eh.

    «I capelli sono a posto? Amalie, i capelli – i vestiti? Cammino bene? odio i tacchi!1!!!» Piagnucolò, la donna con il cuore di Erin. Perché sì, il brillante piano di Shapherd e Chipmunks (marchio registrato, attenzione) era stato quello di far prendere alla Chips la pozione polisucco con qualche capello della madre di lei – una conosciuta e rispettata Mangiamorte, pronta a sevire e riverire il Fake!Signore Oscuro del 2k17.
    Le era parsa un’idea geniale, finchè il suo corpo non aveva cominciato a subire gli effetti del post partum.
    Non che la finta mamma di Amalie fosse grassa eh, però. V’erano solamente loro due nell’ascensore ministeriale che le avrebbe portate al primo piano, ed il cuore di Erin non avrebbe potuto battere più forte. Temeva di sputarlo da un momento all’altro, la ribelle - non poteva succedere, vero? Si inumidì le labbra, cercò la mano della ragazza.
    Dio, dammi la forza.
    «se faccio qualcosa di sbagliato, usa la password» le sussurrò piccata, sistemando alcuni ciuffi platino della figlia. All’occhiata di lei, sospirò. «”e anche in questa quest si muore a questa quest” – dai, l’abbiamo letto nella fanfic, ricordi? Quella dove morivano tu-oh.» La voce le morì sulle labbra, occhi che non le appartenevano a scivolare sul pubblico di Vasilov ivi riunito. Ronan - no, Sunday. L’aveva visto, come tutti gli altri, nell’album fotografico di Kieran – li conosceva tutti a memoria, oramai, da quanto li aveva studiati. Difficile per il ragazzo passare inosservato, e di certo non faceva nulla per provarci. Andavamo d’accordo? Ci conoscevamo? Da quello che aveva compreso nelle sue sessioni di stalking selvaggio, Lydia ed Akelei non andavano particolarmente d’accordo. O meglio, non si calcolavano minimamente - era lo stesso per loro? Per i cugini? Oppure avevano ignorato le questioni fra adulti decidendo che provare non faceva male a nessuno? E se c’era Sandy, dovevano esserci anche gli altri – Meara, Lynch, James, e. Si soffermò ad osservare BJ, un altro dei suoi cugini. Di sangue, lui. Avrebbe potuto realmente perdersi in ciò che le riusciva meglio, quel che aveva sempre fatto, ossia cercare se, in qualche modo, si somigliassero. Strinse irragionevolmente la presa sulla spalla di Amalie, giustificando poi l’atto con il cordiale ed educato sorriso che immaginava potesse curvare le labbra di una donna della sua età cosa.
    BJ Reynolds. BJ Hamilton. Lo guardò finchè non si rese conto di essere inquietante, ed allora abbassò timidamente gli occhi sui propri piedi. Quando avevano scoperto dei gemelli, che gemelli in quella vita non erano, Scott ed Erin avevano fatto morra cinese per smezzarseli: CJ la terrorizzava, quindi era stata ben felice quando, pur avendo perso, Scott se l’era affibbiato. Poi facciamo cambio, né? Sicuro, Scott. Di conseguenza, il suo compito segreto era cercare di fare amicizia con BJ.
    Aveva fallito miseramente, in caso foste curiosi. Si era limitata a battergli un casuale cinque per strada, prima di decidere di voler morire. Deglutì e si sedette nella fila dietro rispetto ai cugini, Amalie spinta praticamente di peso di fronte a lei. Ah, se solo avesse saputo. Ah, se solo avesse potuto dirglielo.
    Giunse troppo presto il momento di far quello che le due si erano prefissate per quell’incontro. Idealmente sapeva che avrebbe dovuto prepararsi una domanda a casa, ma nell’hype del momento aveva rimosso la propria (assente) capacità organizzativa – non sarebbe mai stata, una Corvonero. Pregò il signore che gliela mandasse buona. «buonasera,» sorrise, chinò rispettosamente il capo. Si trattenne dal guardare Amalie per sapere se stava andando bene, limitandosi al supporto/scarica tensione di prenderle a calci una gamba.
    Che madre modello - beh, tanto era finta. Maeve, ad esempio, non l’avrebbe mai fatto #badumtss.
    «è un piacere poterla incontrare di persona» seh, TUA MADRE TROTA!!!!!1! VASILOV BUUUU. «avrei una curiosità, se non le dispiace» VA A MAI A FARSI FRIGGERE LE CHIAPPE? DOVREBBE COMINCIARE. «ho notato un certo antico… dissapore, fra lei ed il preside di Salem: ha intenzione di ampliare la sua guerra anche verso l’America?» Cristo, cosa aveva fatto.
    Cristo.
    Cavoli.
    Accipicchia.
    Capperina.
    Teletubbies.
    «la nostra, guerra: spero di parlare anche per altri, quando dico che la gran bretagna è con lei» chinò ancora il capo.
    Ed in quel lei, pensò a Jeanine Lafayette.

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    Amalie Shapherd

    Hope breeds eternal misery
    but it's the only thing
    that we've got

    her eyes, flowers of ice and snow|| 02.12.17
    01.12 Appallottolò l'ennesima lettera, scaraventandola dall'altro lato della stanza, per poi soffermarsi ad osservare il piccolo mucchio di carta addossata alla parete difronte al suo letto. A grandi linee quella era la dodicesima prova e, così come le undici precedenti, non era andata a buon fine. Puntualmente era la stessa storia: quando si ritrovava a dover rispondere ad una lettera dei suoi genitori, non riusciva a pensare lucidamente e trovare le parole adatte era un'impresa a dir poco impossibile. Studiava ogni singola parola, ogni espressione, ogni segno di punteggiatura: alla fine, il risultato del suo lavoro era un foglio di carta pieno di frasi fredde e calcolate che non trasmettevano alcuna emozione. Ogni singola volta era così perché quello era l'unico linguaggio che i coniugi Shapherd erano in grado di comprendere: per loro non c'era posto per piccole informazioni sulla vita quotidiana, non c'era tempo per soffermarsi a chiedere come stesse Amalie. Non c'era mai stato, e la ragazza aveva imparato a comportarsi di conseguenza. Quel giorno stava tentando di scrivere la risposta ad una lettera di sua madre, in cui rifiutava il suo cordiale invito ad unirsi a lei e suo padre alla riunione al ministero con Dragomir Vasilov. Era ovvio che non ci sarebbe andata, nemmeno sotto tortura. Poteva ben immaginare ciò che i suoi stavano cercando di fare, invitandola ad andare con loro: non volevano cercare di influenzarla con le loro idee, a quello avevano rinunciato anni prima, ma semplicemente il loro scopo era mostrarsi obbedienti e perfetti agli occhi del ministro e del preside di Durmstrang, e quale modo migliore di portarsi dietro Amalie? La figlia posata e silenziosa non poteva mancare, in quel quadretto di famiglia perfetta. E come poteva dirlo la ragazza ai suoi genitori che la prima, unica ed ultima volta in cui aveva visto vasilov, quasi sei mesi prima, gli aveva urlato contro dal palco dell'aetas ? Che era quasi stata colpita da un incantesimo in pieno petto, se non fosse stato per CJ, e che dragomir stesso l'aveva colpita sul viso con una lama impregnata di veleno che avrebbe potuto ucciderla, se non fosse stato per il suo sangue. Che quella era stata l'unica occasione in vita sua in cui aveva ringraziato il cielo per avere il sangue degli Shapherd, mentre in ogni altra occasione si vergognava costantemente, di essere figlia loro.
    Come poteva dirgli tutte quelle cose, che le bruciavano dentro in attesa di scoppiare anche all'esterno, se tra loro non c'era un vero dialogo? Se l'unica cosa che aveva ottenuto, dopo essere tornata a casa dal funerale con l'abito macchiato di sangue e il viso sconvolto e soprattutto tremendamente stanco, era stata un'occhiata di sfuggita ed un "Ti sei comportata decentemente?", e lei aveva risposto con un alzata di spalle, mentre se ne andava in camera "Sono ancora viva". Tra loro c'era un muro, ed Amalie era consapevole che niente al mondo sarebbe mai riuscito ad abbatterlo.
    Quindi no, non aveva alcuna intenzione di andare a quella riunione. Per non dover passare del tempo con i suoi genitori, per non dover rivedere il volto di Vasilov.
    E, ancora di più, perché odiava ciò che stava accadendo nel mondo in quel periodo.
    Perché convinceva spesso se stessa di non aver paura di nulla. Si illudeva miseramente, ogni singola volta. Perchè che non provasse timore per se stessa, quello era vero: da sempre aveva agito incurante delle ripercussioni che le sue azioni potessero avere, fintanto che non toccassero anche altre persone. Era sempre andata contro alla sua famiglia ed agli ideali che li guidava - che poi, si potevano definire "ideali"? I suoi genitori erano perfette macchine, soldatini perfetti ed ubbidienti del ministero - perché sapeva che, ogni volta che li deludeva, ogni volta che li affrontava, le conseguenze toccavano soltanto lei. Non aveva paura a dire la propria opinione a lezione o a rifiutarsi di compiere azioni che riteneva sbagliate perché sapeva che, ad essere spedita nella sala torture, sarebbe stata lei, non qualcun altro. Era sempre pronta a sopportare il dolore fisico: lo sentiva sulla propria pelle, eppure non lo provava, non sul serio, non da farle male come avrebbe dovuto. Ciò che invece la lasciava senza fiato, ciò che andava a colpirla dritta al cuore, dove faceva più male, era vedere gli altri soffrire. E se per sé non temeva nulla, per chiunque altro era terrorizzata.
    E dunque era facile intuire il suo stato d'animo, in quelle settimane così difficili. Era facile immaginare come trattenesse il fiato ogni volta che arrivava la notizia di un nuovo attacco, ogni volta che scoppiava una bomba in centro europa, ogni volta che leggeva il Morsmordre, ogni volta che la colpiva la consapevolezza di non poter far nulla per aiutare quelle persone e fermare quella situazione, perché chi era Amalie Shapherd in confronto ai presidi di due delle più importanti scuole di magia al mondo ? Nessuno. Chi era per poter fermare quella macchina infernale che era stata avviata il giorno del funerale? Nessuno. E quel senso di impotenza la faceva stare tremendamente male, facendole immaginare, ogni volta, modi e strategie per mettere la parola fine a tutto, anche se sapeva di non poteri mai e poi mai attuare. Ed anche se razionalmente irrealizzabili, erano una speranza, ed in quel momento, sogni e speranze, erano l'unica cosa che aveva.
    Fortunatamente, aveva qualcuno con cui parlarle. Era un tale sollievo aver trovato una persona capace di capirla sul serio, qualcuno con cui non aveva bisogno di vergognarsi di nulla, con cui poteva esprimersi senza filtri o paura di venir criticata: Erin Therese Chipmunks.
    Era così naturale, parlare con lei. Il loro rapporto era diventato così stretto in così poco tempo e nessuna delle due ci aveva visto nulla di strano, come se il loro essere amiche fosse qualcosa che semplicemente doveva essere così, come già stabilito da un infinità di tempo prima. La Chip era entrata nella sua vita portando con sé un'ondata di gioia e spensieratezza ed era andata ad occupare subito un posto nel cuore di Amalie, come se quello spazio fosse sempre stato lì, vuoto e pronto ad accogliere il suo arrivo. Il suo ritorno.
    «vorrei poter fare qualcosa» si girò verso l'amica, per poi spostare nuovamente lo sguardo sul giornale poggiato sulle ginocchia di entrambe. Su quell'immagine, così difficile da guardare, così come lo era giornalmente ogni dannata foto del quotidiano. «anche io, non sai quanto..» perché a distanza di un mare da lì, c'era un europa devastata da bombe e scontri, mentre le due ragazze erano comodamente sedute su una panchina londinese a sorseggiare cioccolata calda mentre delicati fiocchi di neve si andavano a posare su di loro. Sembravano in pace, eppure non lo erano. La situazione era più sbagliata del previsto, perché persino Erin (RAGAZZI, ERIN) quel pomeriggio era silenziosa. Per Amalie era semplicissimo capire che in quel momento era persa nei suoi pensieri.
    «a cosa stai pensando?» e la vide esitare, anche se solo per un attimo «che non è giusto» no, non lo era. Non lo era mai. E poi arrivò l'illuminazione. La sua mente si teletrasportò a quella mattina, ai fogli accartocciati e buttati a terra in un angolo della stanza, alla lettera che le aveva inviato sua madre. Non sarebbe mai riuscita ad andare ad incontrare vasilov al ministero con i suoi genitori. Ma con Erin, quello era tutto un altro conto.
    «forse c’è qualcosa che possiamo fare»
    Sarebbe potuto andare tutto storto. Stavano per correre un rischio enorme.
    Ma almeno era qualcosa.

    02.12 «I capelli sono a posto? Amalie, i capelli – i vestiti? Cammino bene? odio i tacchi!1!!!» Guardò l'amica, senza riuscire a trattenere una risata. Era strano, poter ridere di fronte a sua madre, anche se la donna che vedeva davanti a se in realtà non lo era. Le sembrava così..sbagliato? Fuori luogo? Inappropriato, ecco. Ed era proprio per questo che era ancora più liberatorio poterlo fare. «Erin, tranquilla, sei spaventosamente identica.»
    La prima parte del piano non era stata poi così difficile. Le era bastato semplicemente andare a casa ad un orario in cui sapeva che i suoi sarebbero stati a lavoro, poi era corsa nella loro camera ed aveva rovistato nel guardaroba di sua madre fino a trovare un abito appropriato per l'occasione infine era andata in bagno a recuperare la spazzola della donna da cui aveva prelevato accuratamente un capello e l'aveva posizionato con cura in una bustina di plastica, proprio come avrebbe fatto un bravo lavoratore della polizia scientifica #wat Leggermente più complicato era stato convincere sua cugina - che non sentiva da mesi e non fece altro che farglielo pesare - a trattenere i suoi genitori. Ma era riuscita a far leva sul lato più dolce della ragazza che alla fine aveva acconsentito. Il come non voleva nemmeno saperlo: Kaila aveva sempre i suoi mezzi, e le bastava questo.
    Ed è così che Erin Therese Chipmunks e Amalie Delphine Shaperd si ritrovarono nell'ascensore del ministero, dirette alla stanza della riunione. «se faccio qualcosa di sbagliato, usa la password» beh, era piuttosto inquietante perché in quel momento le sembrò davvero sua madre. «”e anche in questa quest si muore a questa quest” – dai, l’abbiamo letto nella fanfic, ricordi? Quella dove morivano tu-oh.» e bastò quella frase, a farla tornare ad essere Erin. «giusto.."e anche in questa questa si muore a questa quest"...sicuramente non molto rassicurante, ma me la ricorderò» quasi non si accorse, che erano arrivate. Spostò lo sguardo tra i volti nella stanza, soffermandosi ad osservare quelli di chi conosceva. E si sarebbe andata a sedere vicino agli altri ragazzi ("sks io vado con i miei pseudo-amiki") se si fosse presentata con la sua vera madre. MA la donna al suo fianco era la Chips, e lei aveva la priorità su chiunque altro. Quindi era pronta a recitare la parte della figlia obbediente e posata, perché era fondamentale per non destare sospetti. Per non far saltare la loro copertura. Ed era pronta a beccarsi anche un calcio al polpaccio senza scomporsi minimamente, senza che il sorriso accennato svanisse dalle sue labbra, mentre nella sua testa pensava tutt'altro. "MI HAI FATTO MALEEEE", anche se in fondo non le aveva fatto poi così male, ma si sarebbe divertita comunque a farla sentire in colpa. Comunque, sua "mamma" stava parlando e amalie doveva sembrare orgogliosa di lei, giusto? In realtà lo era. Era orgogliosa di Erin. Perché nonostante la piccolissima svista, che poteva essere passata tranquillamente come un lapsus (?) era stata perfetta.
    Poco dopo anche la bionda si alzò in piedi, dopo aver inspirato profondamente. E le sembrò così strano, ritrovarsi di nuovo di fronte a vasilov, mentre tornarono a farsi strada nella sua mente le immagini del funerale. Cercò di scacciarle via, perché altrimenti non sarebbe riuscita a dire nulla. «non ha intenzione di far del male agli studenti di beauxbatons, vero? Sono solo ragazzi.» Aveva provato ad immaginare molte volte uno scenario alternativo, in cui era Hogwarts ad essere assediata ma non riusciva nemmeno a pensarci. E chi poteva assicurargli che non sarebbe accaduto, da lì a poco.
    E quando si rimise a sedere, tirò a sua volta un calcio alla gamba di Erin. "Beh, almeno siamo pari". La verità è che lo fece perché era intimorita da tutta quella situazione e sentiva il bisogno di sdrammatizzarla.
    Sono qui
    Dai, forse ne usciamo vive
    Mal che vada, una delle due urla "e anche in questa quest si muore a questa quest" ed iniziamo a correre
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    Inspirò a lungo lasciando che il retrogusto vanigliato le riempisse la bocca, quando il fumo raggiunse i polmoni però qualcosa andò storto "Cristo questa roba fa schifo! tossì fuori le parole attirando l'attenzione dell'intera sala, persino l'uomo dietro al leggio sembrò colorarsi di un leggero imbarazzo. E lei che pensava fosse morto da tempo. "Signorina la prego, siamo nella casa del Signore" la ragazza alzò una mano a mo' di scusa per poi improvvisare il segno della croce senza sapere bene se toccarsi prima la spalla destra o quella sinistra, la scenetta si concluse con i presenti che alzavano gli occhi al cielo, l'uomo non-morto che ricominciava a parlare e lei che rimuginava sul fatto che il Signore non si potesse chiamare a casa sua. Chissà quante incomprensioni quando dovevano interpellarlo. Ehi tu, sì, tu con la luce angelica attorno, potresti passarmi un cucchiaino? Grazie.
    Rimase seduta su quella sedia di plastica scomoda per più di un'ora, ascoltando le storie di chi dopo aver toccato il fondo aveva deciso di risalire lasciandosi dietro i propri vizi e, in molti casi, le proprie famiglie. Avesse dovuto raccontare a qualcuno come era finita col partecipare alle riunioni degli alcolisti anonimi avrebbe potuto dire solo è successo, ma se avesse dovuto spiegare perché non avesse smesso dopo la prima, interminabile e deprimente volta avrebbe saputo dare una risposta ben più precisa: caffè e ciambelle gratis. Se poi si aveva la fortuna di capitare nel gruppo un po' più navigato, di quelli che ormai non sono più anonimi e tengono l'un l'altro si potevano trovare delle vere e proprie merende: c'era la donna che lavorava dal fornaio portando sempre qualcosa, il signore di colore che aveva sopperito alla mancanza d'alcol con il vizio dei dolci, superando di gran lunga la soglia dell'obesità. Insomma, una vera e propria festa. La cosa più bella, quella che Beckah si serbava per i momenti più tristi era adescare qualche nuovo arrivato e sbatterlo di nuovo sulla cattiva strada. Era semplice: la regola che nega le relazioni durante il recupero è difficile da instillare nella mente di giovani uomini, bastava una battuta sul caffè o sul tempo per finire a bere nel pub all'angolo e, perché no, scopare nel bagno. Le dispiaceva? No. Trovava divertente testare la labilità delle persone, vedere come le scelte più importanti possono essere contrastate e spazzate via con una sola frase, un saluto, un sorriso. A volte controllava fra i vari gruppi se fossero tornati, come alla ricerca di una scusante, qualcosa che le chiarisse che i suoi gesti non contavano nulla, solo una goccia nel mare.
    Al primo cenno che la riunione stava terminando si alzò e lasciò la stanza, camminando veloce verso la libertà: l'aria fredda oltre la porta la colpì impietosa, come se avesse potuto impedirle di godersi la sigaretta che si rigirava fra le dita da diversi minuti "Hai dimenticato il cappotto!" soppesò l'idea di risalire la via, fingere di non aver sentito e tornarsene a casa, peccato che la morbidezza di quella santa giacca battesse ogni tipo di silenzio, si voltò lentamente come se il dover dare spiegazioni richiedesse energia che non aveva "Tanto torno dentro, non rinuncio al cibo. Avevo solo bisogno di questa alzò di poco la sigaretta per renderla soggetto del discorso dentro ho provato a fumare uno di quei marchingegni elettronici, ho avuto l'ennesima riprova che i consigli degli altri valgono quanto una persona morta." L'uomo si lasciò andare una risata di circostanza e, perso nell'indecisione fra il lasciarle il cappotto o tornare dentro con il suddetto, rimase ad aspettarla finché il bianco della sigaretta fu appena visibile.
    Fu rientrando insieme e facendo incetta di ciò che era avanzato che Beckah scoprì la sua storia: aveva lavorato al Ministero per molto tempo, nessuna carica importante seppur sapesse il fatto suo, dall'arrivo del nuovo Ministro c'erano stati diversi licenziamenti e lui era finito fra quelli. Fra un lungo sorso di caffè e l'altro borbottava che c'erano stati troppi cambiamenti, erano successe troppe cose… Poi c'era quel fatto là, successo durante il funerale "Ero con mia moglie, lei ha perso sua sorella in Francia. Avevamo lasciato i bambini ad amici, per questo siamo andati via prima della fine, per fortuna" la mora annuiva e allungava ogni tanto una mano per stringere la sua, come se provasse davvero empatia. Non era così. Lasciando sfogare Filippo -come il principe, sottolineava sorridendo- ebbe però l'occasione di ascoltare un'altra storia, un'altra campana, così da avere l'ennesimo parere di quello che era successo all'Ateas. Lei non c'era andata, aveva l'impressione di aver perso tutto molto tempo prima, dover ricordare ulteriori cose, persone, non era in cima alla lista dei suoi desideri. Se mai ne avesse avuta una.
    C'era stato un tempo in cui le importava. Fortunatamente non ne aveva ricordo.
    Oltre ogni previsione Filippo si fidò di lei, confidandole che se prima avrebbe fatto qualunque cosa per il regime ora non era più sicuro, non era più sicuro di niente e il terrore di non essere più in grado di provvedere e proteggere la sua famiglia lo stava logorando; così era finito in una stanza vuota sul retro di una chiesa a raccontare a sconosciuti il suo rinnovato amore per il vino a basso costo.
    Si salutarono che il sole era ormai calato, si scambiarono anche i numeri di telefono, Beckah Sloan finse di averlo scarico per farselo scrivere su un pezzo di carta. Che avrebbe perso. E lui non avrebbe mai richiamato una ragazza molto più giovane con il solo pretesto di parlare.

    William glielo aveva sempre detto: da grande diventerai qualcuno. Da bambina si arrabbiava, gli ribadiva che lei era già qualcuno, crescendo si rese conto che suo padre si faceva sempre serio nel dirlo e allora cominciò a condividere i suoi interessi, un po' per compiacerlo e un po' perché voleva diventare importante davvero, non solo per le persone che le volevano bene. Prese ad interessarsi di politica, di affari che non capiva, anche dopo i laboratori, dopo che aveva dato tutto per spacciato, non aveva smesso. Per questo motivo non avrebbe rinunciato ad un incontro con Dragomir Vasilov. Perché si ricordava delle sue prime foto sui giornali e delle grandi speranze che riponevano in lui gli amici importanti di papà, non come quei ciarlatani americani.
    Gli ultimi avvenimenti avevano però lasciato tutti confusi, entrambe le fazioni avevano perso sostenitori e ne avevano acquisiti di nuovi e nonostante a Vasilov non sembrasse importare granché della grandezza delle sue armate prima o poi avrebbe dovuto ammettere, almeno a se stesso, che senza sostenitori non avrebbe potuto vincere. Regnare su un trono di cadaveri non avrebbe soddisfatto neppure lui.
    Beckah aveva sempre apprezzato il regime in Inghilterra, la totale rigidità di pensiero lasciava spazio ad una sorta di anarchia che la elettrizzava. Lo realizzò la prima volta che restituì un torto, occhio per occhio dente per dente, nessuno le disse niente, tutt'altro, vinceva la regola del più forte e lei aveva vinto. Nello stesso identico modo in cui aveva picchiato una ragazzina sarebbe potuta diventare vice ministro, l'unica cosa importante per quel mondo era avere tutte le carte in regola, il sangue giusto, e a lei non mancava.
    Rimase in piedi, appoggiata allo stipite della porta dell'ufficio adibito per l'occasione fino all'ultimo momento, pronta a tagliare la corda non appena qualcuno si fosse reso conto che non aveva nessuna credenziale per stare lì, ma poi il Preside di Durmstrang fece la sua entrata e ogni timore scomparve, solo un pensiero nella testa: chissà se gli piacciono quelle più giovani. Rubò il posto a quella che sembrava una giornalista per poterlo vedere più da vicino, lo sguardo glaciale sembrava muoversi lungo un continuum che loro comuni mortali neanche potevano percepire, era come se sullo sfondo avesse costantemente una linea temporale a ricordargli quello che sarebbe successo, rendendo tutto il resto qualcosa che per lui era già passato, qualcosa che non importava più, qualcosa che semplicemente rallentava l'inevitabile. Siamo una puntura di zanzara già vecchia, che prude solo quando te ne ricordi. Per questo avrebbe dovuto lasciare da parte tutti i dubbi su quello che stava succedendo per lasciare posto ad un unico grande punto interrogativo: cosa succederà. Dopo.
    Lasciò che prendessero parola prima altre persone, convinta che se mai si sarebbe dovuto ricordare di qualcuno sarebbe stata l'ultima con cui aveva incrociato lo sguardo e magari l'avrebbe convinta a prendere un drink insieme. Convinta, mica era una facile lei. Un silenzio troppo prolungato le ricordò che se avesse voluto dire qualcosa forse avrebbe dovuto smetterla di mordersi il labbro inferiore e toccarsi soprappensiero la scollatura. Si schiarì la voce col solo intento di attirare l'attenzione per poi aprirsi in un sorriso languido "A me con le sole prime due parole puntò a staccarsi dal resto dei presenti piacerebbe vedere quello che vede lei. Presupponendo che vincerà, perché questa soluzione non è poi così lontana dalla realtà, cosa si aspetta dal popolo? Basterà accettare la sua nuova carica per essere accettati da lei? Ma soprattutto e qui Beckah prese fiato dopo che avrà ottenuto tutto quali saranno i progetti militari, se così vogliamo chiamarli, interni?" Solo quando cessò di parlare si rese conto di essere stata troppo evasiva, che forse avrebbe dovuto andare dritta al punto, chiedergli se avrebbe incentivato gli esperimenti su persone come lei, se gli avrebbe uccisi tutti o se gli avrebbe solamente usati. Si appoggiò allo schienale della sedia come sfinita, come se avesse vissuto venticinque anni solo per fare quelle domande per poi accorgersi che ci avrebbe dovuto lavorare di più. L'ennesimo fallimento per Beckah Sloan, che sarebbe potuta diventare Ministro e invece era finita con l'abbindolare ragazzi agli alcolisti anonimi per sentirsi forte.
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia


    mi sveglio tra troppe poche ore per rileggere scusate, tanto non faccio nulla se non la domanda a Vasy
     
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    Bj | slytherin | neutral or maybe not
    Reynolds
    be a better person be a better person be a better person be a better person be a better person be a better person be a better person be a bett- BE YOURSELF!!!
    but if i choose the darkness instead? 16 y.o. || 02.12.17 ||
    Non aveva mai pienamente compreso la decisione del Cappello Parlante, BJ Reynolds, ma non aveva fatto storie quando la tavola verde-argento aveva esultato di gioia. Il più piccolo dei sorrisi ad incurvare educatamente le labbra mentre si dirigeva verso la sua nuova casa, come se per lui non fosse un onore ma un semplice dato di fatto: era un Serpeverde, niente di più e niente di meno. Era sempre stato così, aveva accettato le cose per quel che erano nel momento in cui la decisione non spettava a lui, ma in fondo sapeva che, se avesse voluto, il Cappello avrebbe potuto farlo sedere in una qualsiasi delle quattro tavolate. Eppure l'idea di scegliere lui stesso, il pensiero di cambiare quella sentenza, non l'aveva nemmeno sfiorato. Forse perchè quella sarebbe stata la sua scusa, "è stato quello straccio a decidere, non io", forse perchè non osava contraddire un pezzo di stoffa vecchio come il mondo.
    Forse perchè sapeva quale era il suo posto.
    E anche quando era costretto a occupare un ruolo che sapeva di non appartenergli, tentava di recitare la sua parte nel modo migliore possibile. E così restava a galla in quel mare perfetto di rosee bugie cucite su misura per lui, come tutto in quella casa tanto candida quanto falsa. Non sapeva nemmeno di essere l'unica cosa sincera tra quelle mura nonostante fosse convinto di essere sbagliato, non capiva che forse non si sentiva perfettamente a posto perchè era tutto il resto a non esserlo. Non c'era da biasimarlo, dunque, quando per la prima volta osò contraddire i suoi genitori.
    Vasilov era stato convocato al Ministero e quasi si spaventò quando sentì suo padre proibirgli di andare: non erano le parole che un uomo dipendente del Ministero avrebbe dovuto dire.
    «Non pensarci nemmeno, non sono affari che ti riguardano»
    «sta accadendo qualcosa, papà, lo sai bene anche tu. Voglio sapere da che parte dobbiamo schierarci» rispose, non capendo perchè non provassero nemmeno a comprendere il suo punto di vista.
    «non dobbiamo schierarci proprio da nessuna parte e anche se fosse, non saranno le parole piene di bugie di quell'uomo ad indicarti la strada» la madre pareva ancora più scioccata del Serpeverde, con gli occhi di fuori, stupita da ciò che le sue orecchie stavano sentendo. Ma aveva ragione di esserlo? Non era forse ciò che si sarebbe dovuta aspettare dopo aver rimandato ad ogni compleanno il momento di dirgli la verità? Non poteva certo presumere che il ragazzo si unisse ai Ribelli spontaneamente, quando i genitori avevano sempre fatto intendere di essere come tutti: sottomessi e concordanti con il Regime. «la Resistenza sta mietendo vittime predicando valori impensabili, opponendosi in tutti modi al Ministro! Credete davvero che Lafayette non abbia la sua buona dose di menzogne da svendere a quegli illusi?»
    Rabbia e confusione ribollivano nel sangue del rosso, facendogli corrugare sempre di più la fornte man mano che la discussione andava avanti.
    «E Lancaster allora? Non hai intenzione di prendere in considerazione le sue parole?» chiese Denzel, tentando di innestare il dubbio nella mente del ragazzo. Era sembrato sempre così facile, eppure sembrava non funzionare quella volta. «Non sono un codardo» i palmi sanguinarono per la forza con cui le unghie avevano marchiato la pelle. «Non ho intenzione di scappare» le labbra unite in una linea retta, imperturbabile e testarda, come il passo che avrebbe preceduto il chiudersi della porta alle sue spalle «voglio combattere» e quelle parole, dette da un sedicenne che abitava in una campana di vetro invisibile, non avrebbero potuto avere un tono più sincero e convinto.
    Dietro la porta Emile Reynolds crollò sulla poltrona del salotto sconsolata, disperata, mentre Denzel serrava i pugni per trattenere la rabbia, furioso con suo figlio ma, soprattutto, con sè stesso.
    Il bianco della neve era quasi inesistente, spazzato via dai riflessi arancioni delle luci della città. Le ore di luce erano sempre minori, come se l'inverno procedesse al passo con le armate Vasilov: ogni giorno un raggio di luce in meno, ogni giorno un'altra ombra si stendeva sull'Europa. Sapeva che Vasilov stava uccidendo centinaia di innocenti, migliaia di vite che non sapevano in cosa erano stati coinvolti, ma non si sentiva in colpa: Jeanine stava facendo lo stesso, con la differenza che il suo obbiettivo era distruggere l'equilibrio che il Regime aveva costruito. Non che ne fosse rimasto molto, oramai, ma il serpeverde si era detto di non avere altra scelta.
    Sebbene non desse troppo a vederlo, Bernadette Julien Reynolds era convinto di essere nel giusto e si metteva in dubbio raramente. Se cambiava idea non era mai di sua spontanea volontà, l'arroganza era troppa per permettersi di farsi qualche domanda sulla propria posizione, così come era troppo poca l'umiltà di pura e mera educazione che quel sorriso mostrava ad occhi estranei. «al Ministero» non un saluto, nemmeno provò a ricordarsi il nome dell'autista, che parve volersi voltare per chiedere se aveva sentito bene. Saggiamente, però, l'uomo si sprecò solo in un leggero tentennamento nel girare la chiave nella limousine. Bj non era cattivo, ma non era nemmeno così buono come ci si poteva aspettare. Il vero problema? Sempre più persone lo stavano realizzando, facendo ricredere lo stesso ragazzo delle proprie azioni. Non c'era nemmeno bisogno di specificarlo che i primi erano stati i suoi amici più stretti. Fu in quel momento che si ricordò di come anche Sandy fosse stato d'accordo con Vasy: magari non la pensavano esattamente allo stesso modo, ma ritenne suo dovere sostenere l'unico alleato che aveva in quel momento. Cj non lo avrebbe mai ascoltato senza il supporto di un altro freak. «prima passa da villa De Thirteenth». In realtà non lo stava facendo solo per Cj, dopotutto non era così privo di valori morali da non offrire un passaggio ad un amico.
    «accendi una sigaretta e al Ministero ci arrivi strisciando» okay, non era uno dei suoi giorni migliori, ma era anche stanco di dover convincere i suoi genitori che quel fumo non era suo. E infatti era così, almeno quando BJ fumava lo faceva dove sapeva che i genitori non avrebbero notato nulla: Sandy non sembrava preoccuparsene e più di una volta il Reynolds aveva rischiato grosso. Per questo, quando vide la sigaretta uscire dalla tasca, agitò leggermente la bacchetta, facendo volare il piccolo cilindro via dal finestrino. «te la ripago, non preoccuparti» sorrise sfottendo il ragazzo. Giocare a chi aveva il conto in banca più grosso non era mai stancante con quel soggetto.
    Gli pneumatici stridettero sull'asfalto bagnato di neve, mentre il finestrino si richiudeva lentamente con un comando forse dell'autista.
    Il viaggio non era molto lungo e normalmente Bj non si sarebbe sentito in dovere di intraprendere una discussione, non con lui, non con nessuno di loro, ma ne aveva necessità: a) non avrebbe sopportato quel silenzio che precedeva un passo decisivo per i due; b) doveva sapere come stava suo fratello. «allora, Sandy» niente mezzi termini, dritto al punto, quella sera aveva un limite anche la sua capacità di presentarsi educato e piacevole. Un altro fluido movimento della bacchetta fece apparire un vano con dentro due bicchieri e una bottiglia di champagne -romanticismo? No, semplice routine da rikki kon i ca$h. «che dice mio fratello? E' da un po' che non si fa sentire» la bottiglia fluttuò versando il liquido nei due calici e BJ inclinò il suo in direzione dell'amico: un brindisi senza augurio alcuno, un muto gesto di riverenza. Non era necessario, ma BJ non poteva fingere di non sentirsi più grande in quel momento. Solo sedici anni eppure bicchiere alla mano, completo e limousine diretta al Ministero per una guerra. Forse, anche con una famiglia a prendersi cura di lui, era stato costretto addirittura lui a dover crescere più in fretta, o forse era solo quello che voleva credere. Non poteva nascondere a sè stesso di sentirsi a disagio attorno ai suoi amici vissuti, feriti, mentre lui aveva una cameriera pronta a donargli un litro di sangue nel caso si fosse spellato una nocca facendo kick box. Persino il ragazzo davanti a lui, benestante e senza problemi apparentemente, sembrava avere lo sguardo di chi aveva visto di tutto, il che non poteva che essere vero a giudicare da come il suo bicchiere si riempì per una seconda volta con così tanta rapidità. «hai sentito anche gli altri? sai se verrà qualcuno?» e anche se non lo aveva detto, entrambi sapevano chi sperasse che si presentasse a quella riunione. Allo stesso modo, però, erano consci che sarebbero stati soli quel pomeriggio. Erano incompresi, discordavano da ciò che gli altri pensavano, probabilmente qualcuno a scuola li aveva addirittura additati come cattivi.
    Forse Vasilov sarebbe stata la persona giusta a convincerlo che non stava facendo nulla di male, in fondo.


    Non sapeva bene quale fosse il lavoro dei suoi genitori, nè tanto meno perchè viaggiassero così tanto, ma era certo che il Ministero c'entrasse in un modo o nell'altro. Era anche quello che lo aveva stupito dell'opposizione di Emile e Denzel, ma era conscio del fatto che erano in molti a trovare Dragomir una persona indegna di fiducia, fiducia che quelle persone stavano riponendo nelle fredde mani dell'uomo. Ma BJ, come anche la Ministra che aveva saggiamente convocato il preside di Durmstrang, sapeva vedere oltre: non si trattava solo di un uomo, ma dei benefici che l'Inghilterra tutta avrebbe potuto trarre dalle sue azioni. L'europa era disseminata da fuochi ardenti e ceneri ancora calde e il Regno Unito, già ospite di un assaggio di quei conflitti, sarebbe ben presto diventato l'ennesimo campo di battaglia. La vittoria del Drago sulla Francia aveva fatto intendere l'eventuale esito di quella guerra in poco tempo, ma il Reynolds era consapevole di quanta ingenuità lo avrebbe investito riponendo tutta la sua fiducia solo nel giocatore con più pezzi sulla scacchiera. Un rimonta non era impossibile, soprattutto quando si era ancora agli inizi. Fatto sta che la prima scelta era stata la più ovvia, nonché quella che avrebbe potuto rispondere a più dubbi. Poteva certamente mentire, il Russo, ma almeno non ne sarebbe rimasto stupito, conoscendone l'indole. Ben diverso sarebbe stato udire menzogne da Jeanine, che avrebbe fatto di tutto per reclutare alleati, o no?
    Quando entrò nella struttura cercò di non mostrarsi stupito dall'immensità dell'edificio, ben differente da ciò che il mondo babbano osservava nelle troppo occupate strade inglesi, ma gli occhi carpivano curiosi ogni dettaglio. I mattoni neri e perfettamente lucidi, i fuochi verdi che si riflettevano su di essi rivelando maghi e streghe che avevano usato la Metropolvere. Aeroplanini di carta che si spostavano da un piano all'altro, gli stendardi del Ministero, le insegne e i simboli del Regime e, ovviamente, la folla di giornalisti desiderosa di uno scoop sulle intenzioni del Drago. Sebbene fosse aperto al pubblico, BJ sapeva che i reporter sarebbero stati esclusi dal sentire le parole che l'umo avrebbe avuto da dire.
    Difatti, l'ufficio del nero più scuro e impeccabile del mondo si chiuse permettendo solo a chi non fosse fornito di fotocamera e registratore l'accesso. Non si sedette, il serpeverde, lasciando ai più grandi il posto, mostrandosi abbastanza rispettoso da non porsi al pari del preside: non era come lui.
    Non voleva esserlo.
    «un uccellino mi ha detto che volevate parlarmi.» nulla da commentare, era la verità pura e semplice. Non avrebbe osato parlare per primo, troppo pericoloso, si limitò dunque ad esaminare i volti presenti a quella... conferenza. Vide il volto pallido della Shapherd, già incrociata tra i corridoi di Hogwarts, seduta di fianco ad una donna: la madre forse? Non sembrava somigliarle, ma dopotutto nemmeno lui assomigliava molto ad Emile o Denzel.
    In particolare perchè Bj era lì quel giorno.
    Ad ogni modo, la donna subito prese parola, chiedendo quale ruolo avrebbe rivestito l'America. Doveva ammettere che non aveva pensato a quella domanda, forse ritenendo il Nuovo Mondo troppo lontano per essere influenzato da quello scontro -non era forse quello che era accaduto con le due guerre mondiali babbane? Assottigliò gli occhi, mentre il capo annuiva in un inconscio gesto di approvazione nei confronti della signora Shepherd. Non si sarebbe mai aspettato, però, di vedere lo sguardo ricambiato: non era certo il genere di occhiata che passava inosservata, scorrendo languida sopra tutti i presenti. No, lo stava fissando.
    «Però continuo a chiedermi, con tutto il tempo che hai avuto... Credi sia il giusto momento per una guerra? Perché ora?» ora era lui a star fissando la madre della corvonero, ma fortunatamente quell'altra domanda distolse la sua attenzione.
    Non fu tanto il dubbio in sè a distrarlo, quanto più il tono con cui il ragazzo, che non doveva essere molto più grande di lui, si era rivolto al preside: maleducazione, scostumatezza, fegato. Tutte parole che nessuno avrebbe mai ricondotto al rosso, a meno che non avesse improvvisamente incominciato a bere alcolici in maniera smisurata #wat. Mentre l'uomo rispondeva, le iridi castane esaminavano gli altri: furono pochi i volti familiari a spiccare sull'arredamento di ossidiana. Inosservato sicuramente non passò Sun, o meglio, Sandy. Lo guardò come se fosse comparso lì all'improvviso, abbastanza vicino a lui da potergli sussurrare qualche parola, abbastanza lontani da non suscitare in Bj memorie spiacevoli. Ricordava ancora il tremendo momento in cui aveva ammesso di avere una cotta per la forma femminile del De Thirteenth, senza che l'avesse riconosciuto. Ovviamente il fratellastro, conscio dell'errore (o orrore) in cui il minore stava per incappare, aveva fatto finta di nulla, addirittura incoraggiandolo ad aprire il suo cuore. Sarebbe stato offeso con lui per quello che aveva fatto, dopo tutto quello che aveva fatto, ma il rapporto tra i due era complesso: non capiva mai fin dove potesse spingersi, come se il confine da non oltrepassare si spostasse continuamente mentre il Reynolds tentava di restargli dietro. Voleva recuperare il rapporto che per quel breve periodo passato sotto lo stesso tetto avevano costruito, ma quell'accusa implicita e ingiustificata, forse, aveva inasprito gli animi. Cj non era mai stata una persona facile, nessuno dei freaks lo era in realtà, ma Bernie credeva di riuscire a tener testa agli altri. Cj invece era... be', in tutta franchezza, anche il fratellastro pensava che fosse un po' uno stronzo alle volte, ma si sentiva sempre in colpa quando guardava Christopher in quel modo. Probabilmente, se non fosse stato per il passato, quale dei tanti non aveva importanza, non sarebbe corso dietro a lui come un cagnolino. Non si sarebbe preoccupato di perderlo, non si sarebbe preoccupato di cercarlo in primo luogo. A Bj non piacevano le persone difficili, perchè erano le più diffidenti e quelle meno disposte a credergli. Perchè erano quelle che guardavano il mondo con occhi realisti, rivelando schiettamente tutti gli imbrogli in cui gli stolti inciampavano. Non li odiava, ma se poteva li evitava, il problema era quando erano loro a cercarlo. I freakes, appunto.
    Cj differiva in questo, ma, al momento, la persona difficile in sua presenza era molto più importante, seppur relativamente, e ben più pericolosa: Vasilov.
    Era sicuro delle domande che avrebbe voluto rivolgergli, ma aveva timore di farle.

    Gli interrogativi successivi non tardarono ad arrivare e con loro i pensieri del ragazzo, m ciò che lo incuriosì più di tutto era la Ministra. Pareva ovvio che l'Inghilterra non fosse il personaggio principale di quella storia, ma un ruolo dovevano pur avercelo anche loro: alleati. O questo era quello che Vasilov voleva mostrare agli occhi dei bevitori di teina. Ovvio era anche il fatto che il lieto fine della fiaba avrebbe avuto uno solo dei contendenti a ergersi in piedi sul cadavere dell'altro. O forse qualcuno c'era che poteva ancora mettere in dubbio persino quella che sembrava l'unica certezza: magari non ci sarebbero stati vincitori, magari la partita a scacchi sarebbe diventata un torneo di Risiko con armate che spuntavano su ogni territorio, dove Francesi e Nord Europei non erano altro che gli ennesimi giocatori. Non poteva esserne certo, BJ, ma Dragomir era il cavallo giusto su cui puntare per il momento. Un ultimo quesito passò per la mente del giovane quando lo sguardo cadde sulla figura integra ed irremovibile della Ministra. Quale sarebbe stata la sua sorte? La nazione avrebbe ancora avuto la sua indipendenza, la quale veniva sfoggiata come una avvertimento chiudendo le frontiere con gli altri paesi, o... o cosa? Non riusciva ad immaginare le conseguenze che avrebbero potuto cambiare la sua casa, non aveva la più pallida idea di cosa il vincitore avrebbe potuto decidere per loro e, forse, quello fu ciò che lo spaventò più di tutto: non sapere cosa avrebbe trovato al ritorno da quella battaglia -forse l'ultima, forse la prima di una guerra che non aveva nulla a che vedere con le due scuole europee. Se gli Inglesi si fossero schierati sui due -o tre?- fronti, chi sarebbe rimasto lì ad aspettare la vendetta di uno o l'altro esercito. Forse non ce ne sarebbe stato bisogno, ma il Regime aveva davvero intenzione di correre quel rischio? Si soffermò un secondo di troppo sullo sguardo della donna, la cui silhouette rigida ed elegante nella sua semplicità si armonizzava perfettamente col nero lucido della sala. Sterilità fu la parola che si materializzò di fianco al volto pallido e duro, mentre il ragazzo spostava velocemente lo sguardo il più lontano possibile da lì. Non sapeva cosa gli avesse dato l'idea di "sterile" in quella donna, ma sapeva che non si riferiva ad una ambito sessuale, bensì a come la figura fosse sempre marmorea, fredda e lucida, come una superficie perfettamente pulita. Non la limpidezza calda e rilassante di una coperta appena lavata, bensì quella priva di ogni contaminazione di un laboratorio.
    «Ancor prima di parlare id ricompensa,» quasi si stupì di sentire la propria voce, rimasta zittita fin da quando la porta si era chiusa dietro di loro. Riuscì a non dar a vedere la meraviglia nello scoprire che, forse, un po' di coraggio ce l'aveva anche lui se si era azzardato ad aprire bocca. «non sarebbe meglio discutere del destino della nazione?» si guardò intorno, alla ricerca del consenso di qualcuno. Vide alcune teste annuire impercettibilmente, facendolo dubitare della realtà di quei cenni: li aveva forse immaginati? «Le stiamo dando il nostro appoggio, ma molti Inglesi sceglieranno altre strade. Cosa ha intenzione di fare al riguardo? Come verranno giudicati gli Inglesi che hanno sostenuto altre cause? E, ammesso che la vittoria sia sua, cosa succederà a noi dopo? Chi ci garantisce che il potere che avrete dopo non verrà usato per sottometterci?» Cj non avrebbe mai supportato quel mostro, avrebbe dovuto saperlo fin da subito, ed era anche per quello che si trovava lì: chiedere la sua immunità. Se Vasilov non gli avrebbe garantito l'assoluzione dei reati commessi da coloro che non lo avevano seguito, Bj avrebbe lasciato quella stanza seduta stante. Forse solo lui non sarebbe stata una perdita rilevante, ma si augurò che anche altri presenti avessero cari coinvolti negli schieramenti opposti a quello del Preside lì presente e si augurò che anche loro pretendessero un tale lusso: quello di poter perdonare chi aveva sbagliato. La morale dell'uomo non avrebbe concesso nemmeno ad uno di loro di sopravvivere, fu dunque nella capacità strategica che il ragazzo confidò. Non si trattava di una ricompensa, bensì di una garanzia.

    Le domande del ragazzo non erano terminate, ma aspettò che tutti dicessero la loro per evitare di doversi esporre ulteriormente: il modo in cui si era posto precedentemente era stato educato e rispettoso, ma aveva comunque messo in dubbio i piani di quell'uomo. Erano lì per quello, ma non si poteva mai sapere quale testa sarebbe caduta prima, una volta usciti dalla sala di ossidiana. Bisognava essere cauti, niente movimenti bruschi, l'arroganza fomentata dalla rabbia era stata soffocata anche dalla paura di non vedere il giorno seguente, che Cj non avrebbe visto il giorno seguente. Nonostante ciò, il ragazzo dovette vedersi i riflettori addosso una seconda volta, sebbene tentò di intervenire in un momento in cui gli altri spettatori ed interlocutori erano impegnati a discutere tra loro. Si avvicinò al leader nord-europeo con passo lento ma fermo, cauto ma deciso. Quando fu abbastanza vicino da far intendere l'intimità che le parole successive avrebbero richiesto, fu tentato di fare un inchino o qualche gesto in segno di rispetto, ma riuscì a trattenersi dal mettersi in imbarazzo con quel comportamento infantile. «Sono BJ Reynolds, Preside,» almeno quando lo avrebbe ucciso avrebbe saputo che nome mettere sulla lapide «e avrei una domanda delicata e... personale.» si schiarì la voce e tirò una sedia nera da sotto al tavolo nero, sedendosi sul cuscino nero davanti a quell'uomo, la cosa più nera di tutte presente lì in quel momento.
    Avrebbe potuto ridergli in faccia, cacciarlo via, addirittura schiaffeggiarlo, Vasilov, ma Bj doveva tentare, doveva sapere. «il giorno dello scontro all'Aetas ho notato un particolare nelle prime parole che avete rivolto a tutti noi. Conoscerete sicuramente CJ Knowels»«la mia domanda è... come facevate a conoscere il vero nome di mio fratello?» si maledisse per essersi lasciato scappare quel particolare, di cui forse Dragomir era già al corrente, ma che comunque doveva elargire con cautela quando parlava con persone che non conoscevano il complicato rapporto tra i due. «quando e dove aveva già visto Christopher?»
    Era rabbia? disperazione? forse stanchezza. Qualunque cosa fosse tinse gli occhi castani del ragazzo di una sfumatura vagamente vermiglia, come il colore ramato della sua chioma.
    Come il rosso del sangue che impregnava i campi di battaglia già abbandonati e quelli ancora da incendiare.
    | ms.

    se riscontrate incoerenze sappiate che ho scritto questo post in tre giorni diversi, ognuno dei quali con una settimana di distanza l'uno dall'altro perchè sono un procastinatore seriale.
    fa due domande: una pubblica («Le stiamo dando il nostro appoggio, ma molti Inglesi sceglieranno altre strade. Cosa ha intenzione di fare al riguardo? Come verranno giudicati gli Inglesi che hanno sostenuto altre cause? E, ammesso che la vittoria sia sua, cosa succederà a noi dopo? Chi ci garantisce che il potere che avrete dopo non verrà usato per sottometterci?») e una più in privato che magari sentiranno solo in pochi («quando e dove aveva già visto Christopher?»)


    Edited by im;perfect - 1/10/2017, 04:17
     
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  8. anti/hero
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    phobétor torchwood
    deatheater
    pureblood
    unknown age
    empatic
    Aggiustò i polsini e guardò con aria distratta il riflesso, lasciandosi andare ad una lieve smorfia di disappunto.
    C'era qualcosa che non andava, mai, di quel volto che fissava con ormai rassegnata noia; ma non poteva dire nulla, non poteva assolutamente fare nulla-- o ne avrebbe pagato le conseguenze. I patti erano patti, e anche se l'uomo non poteva vantare correttezza, stavolta volente o nolente avrebbe dovuto ubbidire.
    Già presentarsi al funerale era stato un atto di pura insofferenza: per quanto non lo desse a vedere, anch'egli sapeva essere appena sensibile...o empatico, giusto per restare in tema. Aveva trovato squallido come esso fosse andato a finire, irrispettoso ogni oltre decenza-- e poco divertente. Almeno avesse avuto l'occasione per divertirsi, ciò gli sarebbe pesato di meno.
    La verità era che ogni cosa forzata faceva fremere di rabbia l'uomo, che anche nel contesto migliore avrebbe a dir poco faticato a sorridere e goderne. Poi non era il tipo che amava scomodarsi, già il solo fatto di essersi dovuto alzare dalla sedia quel giorno aveva creato una certa noia in Phobétor, che avrebbe di gran lunga preferito star seduto a godere dello scenario.
    Perché -poi- si fosse mosso, fosse intervenuto, solo lui lo sapeva. Perché muoversi a favore di quella bambina, ai suoi occhi ora vecchi, quando dileguarsi sarebbe stato decisamente più rilassante per i suoi nervi. Non voleva una risposta, a dirla tutta, preferiva il proprio silenzio... che non spesso coincideva con quello della mente, sempre in movimento, sempre in corsa da un pensiero all'altro-- cercando di minare alla sua già fragile stabilità, pazienza.
    A quell'incontro non sarebbe voluto andare, naturalmente.
    E com'era naturale, eccolo lì, a presenziare a quell'incontro in cui -a voler essere sinceri- non sentiva di poter dire o fare molto: i conflitti generali gli interessavano meno di quanto desse a vedere, nonostante il peso che il suo nome avesse sempre avuto all'interno del vasto scenario politico e militare inglese. Ma ormai, il nome del Torchwood era caduto nell'ombra-- al massimo suscitava qualche sussurro, degli sguardi ammirati o a tratti di disgusto -non sempre aveva agito per il bene del paese... e se l'aveva fatto, non si era curato di ciò che la popolazione avrebbe pagato.
    Per questo motivo, anche, si ritrovava lì, una sedia distante da alcuni ragazzini, le mani intrecciate sulla testa in argento del bastone, lo sguardo duro fisso su quello del drago-- pacatamente seduto in loro attesa. Era snervante vestire i panni di un uomo che in fondo non poteva dire di essere: quello impegnato, accurato, quando probabilmente avrebbe solo voluto allontanarsi una volta per tutte da quel mondo. Troppo vecchio, troppo stanco-- dal suo trono era caduto molto tempo prima, l'aveva fatto con la giusta dose di autorevolezza e fierezza, quindi non rimpiangeva nemmeno un po' la propria uscita di scena.
    Perché tutto quello.
    Fissò il drago con occhio fermo, non serbando verso l'uomo nulla: non il rancore, né la speranza, verso di lui non vi era nemmeno la più piccola dose di curiosità... in cuor suo ben sapeva di aver a che fare solo con un altro Icaro, qualcuno che si sarebbe spinto troppo oltre disubbidendo alle leggi umani e divine, sfidando dio stesso se ne avesse avuto l'occasione. Il destino degli incendi come lui era sempre lo stesso, presto o tardi, e Phobétor di uomini come lui ne aveva sfortunatamente incontrati parecchio. Per questo motivo ormai sapeva di dover essere calmo, distaccato.
    Il problema non era verso chi rivolgere la propria fiducia: Phobétor non ne possedeva ormai più, verso nessun essere umano, e in particolare per i casi umani come il drago. Non era lealtà nemmeno, sarebbe stato sciocco credere che in quei giochi di potere ci fosse posto per una dote nobile come quella: si parlava di impegno, in termini strettamente tempistici, e seguire il drago significava impegnarsi in un modo che forse l'Inghilterra non si sarebbe potuta permettere.
    Il mondo si basava su legami e rapporti così fragili che sfiorarne le corde sottili sapeva creare onde d'urto devastanti sull'intero immaginario politico: anche il solo avere il preside di Durmstrang presente creava non poche problematiche. Immaginava in cuor suo come anche i ribelli avessero avuto modo di mettersi in contatto con la preside liberale, e sapeva come anche questo avesse creato tensione all'interno del fragile sistema inglese-- ogni cosa andava controllata, seguita attentamente... la sola cosa che iniziava a preoccuparlo era che non si parlava di veri e propri leader.
    No.
    Né il drago, né Lafayette erano leader di paesi-- ma a loro modo incarnavano il pensiero di una nazione? Questo a Phobétor non era dato saperlo, e onestamente i dubbi crescevano man mano che venivano esposte domande al dispotico preside. In fondo, si trattava di quello, e Phobétor non riusciva a non sentire lo strano odore di “inganno”, specie nel rendersi conto che dietro non c'erano militari, e che le influenze -specie del drago- andavano oltre l'immaginabile. Da dove arrivava tutto questo potere? Perché nessuno era riuscito a fermare la follia di quest'uomo? Era davvero un bene alimentare quella fiamma?
    Il Torchwood non aveva mai nascosto di essersi annoiato dei tempi moderni, di vedere nella situazione di stallo fra ribelli e mangiamorte una sorta di eterno ciclo... e in cuor suo sperava che essa venisse capovolta da qualche avvenimento, da qualcuno come il drago-- l'unico in fondo che potesse davvero ribaltare la situazione. Ma era la carta giusta? Era davvero l'uomo adatto a tale compito?
    Non pose domande in principio, ma fissò l'uomo per tutto il tempo, deciso a prendere la propria definitiva decisione una volta udite le risposte alle domande più interessanti che gli altri presenti gli avevano posto-- in particolare era curioso di sapere cosa davvero egli desiderasse da tutto quel potere, quale fosse il suo scopo ultimo... dell'Inghilterra di per sé gli importava poco, non era nemmeno la sua terra natia, avrebbe potuto abbandonarla e vedere ministro e popolo affondare senza troppi rimpianti.
    Al mondo, Phobètor Torchwood puntava. E quando nessun altro tacque schiuse le labbra rimaste per tutto quel tempo sigillate in una piega dura e commentò «e dopo la Francia- e, supponiamo, l'America? Magari anche l'Inghilterra» non per scaldare gli animi, ma andava notato, i rischi erano numerosi «cosa si deve aspettare il mondo da lei? Le sue ambizioni mi sembrano troppo grandi per il nido che vanta, e qui tutti sappiamo che il mondo non resterà a guardare l'ascesa dell'ennesimo tiranno... mi auguro che dietro il suo attacco alla Francia ci sia un progetto più solido di cui vorrà far presente la sua possibile alleata» perché andava detto, il condizionale era d'obbligo per quel momento tanto delicato.
    it's hard to be the bitch
    That just ain't right, 'Cause we're having too much fun
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia



    Vabbè in pratica voleva solo partecipare ihih
     
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    03.07. Chiuse gli occhi, inspirò dalle narici e sollevò le braccia al cielo, la schiena leggermente arcuata a scrocchiare piano. Dietro le lenti nere, le iridi cerulee brillavano opache, provate, come dimostravano anche le marcate occhiate, dal fottuto jet lag.
    Odiava il jet lag.
    Avrebbe potuto spostarsi chiedendo un passaggio alle gemelle, ma le conosceva abbastanza da sapere che l’avrebbero portato a k’un lun, o Narnia, o uno di quei posti che il popolo accettava come mitologici, ma le due riuscivano a trovare per errore. E Sun, in America, ci voleva andare abbastanza da evitare mistici viaggi spazio temporali con le De Thirteenth. Saltellò giù dalla scaletta, un sorriso brillante rivolto al cielo azzurro. Con i pugni sui fianchi, si guardò poi soddisfatto intorno: parcheggio perfetto.
    All’interno di un campus scolastico, ma pur sempre un parcheggio perfetto. Cosa avrebbero potuto fargli, intanto? Una multa? Ritirarle il jet? Che facessero pure, tanto le faceva schifo. Ne aveva altri due in garage, in ogni caso. «ehi, stronzetto» gridò da una parte all’altra del verde giardino americano, puntando con il dito medio la vittima preferita del suo spiccato egocentrismo, nonché il suo primo (ed unico) amore platonico in tutta la vita 4ever – ed anche in quella prima, ma vallo a sapere. CJ non si scomodò neanche a ricambiare l’affettuoso saluto.
    Rude. Sommato al fatto che non si fosse sprecato neanche in un applauso alla sua scenografica entrata in scena, avrebbe dovuto tenergli il broncio per almeno tre minuti di orologio. Ingrato di merda. «pensavi di venire qui, nella mia patria!1!, senza di me? e non mi hai neanche salutato – pezzo di merda» che era il suo modo per dimostrargli che lo amava, come chiarì buttandosi a peso morto sulla panchina al suo fianco. Allungò una mano verso di lui, e CJ si prodigò, come di consueto, a infilarle una sigaretta fra le dita. «fottuta cozza» ovviamente. Gli sorrise, le labbra a schioccargli un bacio.
    Non esisteva che se ne andasse senza di lui. Era una legge.
    «perchè hai due tazze?» «che domanda idiota» gli porse il secondo bicchiere con un sospiro stremato, un sorriso sghembo a curvargli appena la bocca sottile. Sun immerse il naso nella tazza di carta, un mugolio basso. «mh, va bene non c’è bisogno di fare il lecchino, ti perdono» bevve un sorso di tè, il naso ad arricciarsi per la terribile concezione di che l’America coltivava – eppure i coloni erano inglesi, quindi doppiamente bastardi ad aver tenuto il Segreto (non la telenovela) del tè perfetto solamente per la Gran Bretagna. «perché non ci» mi «hai detto che partivi?» CJ, la maglia verde militare sbrindellata ai bordi, si limitò a scuotersi debolmente nelle spalle. Lo vide reclinare la testa all’indietro, soffiare un filo di fumo sopra di sé. Amava il Tassorosso, davvero, ma a volte avrebbe voluto prenderlo a pugni finchè non la smetteva di fare la fottuta drama queen della situazione. Perché era chiaro che a Sunday girassero i coglioni, pur non avendoli (ancora), per essere stato ignorato dal suo migliore amico – la sua domanda era del tutto legittima ed appropriata. Attese, gli occhiali da sole calati sulla punta del naso, finchè lui non rispose. «magari non vi volevo fra le palle» «gngn, magari non vi volevo fra le palle» lo imitò arricciando il naso, un colpo secco e ben assestato alle costole. Al singulto di CJ, Sun sorrise con opaca soddisfazione. «ero serio, sandy» Sandy. CJ, Fray e Wendy erano gli unici a chiamarlo così – per ora. Quando quelle due pirla fossero riuscite a fargli ricrescere i testicoli, avrebbe sputato Sun in faccia a tutti quei piccoli infami bastardi che non credevano fosse davvero un ragazzo. «anche io» «ho fatto incazzare la persona sbagliata» Oh, ecco. Ci voleva tanto? , per CJ sì. Sapere di essere l’unico ad avere quei sfilacciati brandelli di verità, l’aveva sempre fatto sentire più… importante - più del solito, chiaramente. Qualcosa che i soldi, scioccante!, non erano mai riusciti a comprargli, e per quello più prezioso rispetto al jet parcheggiato a pochi metri da loro. «strano» commentò con un ghigno, stringendo il bordo del bicchiere fra i denti. Quando mai il Knowles non faceva incazzare la persona sbagliata? Lo si amava (anche) per quello. CJ si grattò distrattamente la nuca, prima di sospirare e prendersi la testa fra le mani. «cosa ti ha detto lancaster?» «cazzate» Legit. Se per il Tasso erano cazzate, lo sarebbero state anche per Sandy – non indagò oltre, fidandosi della parola di lui. Se ci fosse stato qualcosa di importante, non aveva dubbi glielo avrebbe riferito.
    Vero, CJ?
    «ha detto cazzate» Ripetè quello, volgendo gli occhi chiari su di lui. Cristo, leggeva nella mente? Non che avesse mai avuto bisogno di farlo, con Ronan, perfino quando poteva. Il De Thirteenth fece spallucce, le gambe incrociate sotto di sé. Finse di non essersi accorto del tono penoso della risposta, perché sapeva che se l‘avesse mostrato, CJ l’avrebbe odiato – gente strana, quella povera: vedevano pietà anche dove, davvero, non esisteva. L’aveva imparato a sue spese con quei pezzi di plebe di Joey e Sersha, ed il Knowles, per quanto facesse il cazzuto, non era da meno.
    «qualcosa non va» non lo domandò, dandolo per scontato. Il tono asciutto di chi avrebbe chiesto se per cena c’erano lasagne o fish and chips. CJ non lo guardò. «tutto» Gli lanciò poi un’occhiata di sottecchi, un sorriso a pendere pigro dalle labbra. «è un po’ un periodo di merda, con gente di merda» CJ: a summary. Sunday ricambiò lo sguardo serio, la bocca una linea sottile. «sai che non devi farlo da solo, cigei» il cosa non c’era bisogno di specificarlo: vivere, morire, guardare Extreme Makeover Home Edition. Lui rise – come sempre. Scosse la testa, le dita a scivolare sui capelli rasati ed affilati quanto il suono a gorgogliare fra le labbra. «fottuta cozza» Che era il suo modo per dirgli che lo amava. «bruh» «bruh» Fecero un brindisi con le tazze di carta. «e ora andiamo a cercare la droga.»

    02.12. «allora, Sandy» Nessuna discussione che iniziava con allora, Sandy poteva essere una conversazione alla quale era interessato partecipare. Spalmato sul sedile posteriore della limoh di BJ, Sunday inarcò un sopracciglio. Amava i freaks come fossero la sua famiglia ihih ma BJ proprio non riusciva a concepirlo. Era così… strano. Gli voleva bene per osmosi solamente perché CJ gliene voleva, e chi si ciucciava uno dei due doveva beccarsi il pacchetto intero – talvolta non metaforicamente, un discorso che obv non valeva nello scambio clandestino fra sorelle. «sì, bernadette?» un sorriso lento e derisorio – il solito. «che dice mio fratello? E' da un po' che non si fa sentire» Suo fratello? TSK TI PIACEREBBE. Corrugò le sopracciglia muovendosi a disagio sul sedile, un espressione infastidita sul viso pallido. Ignorò il bicchiere di BJ per appropriarsi della bottiglia intera – già che non poteva fumare, almeno poteva bere sulle spalle dell’amiko. «CJ-» corresse, ignorando con classe l’etichetta del Serpeverde. «viene nella nostra stessa scuola, sai. Lo vedi tutti i giorni – che razza di domanda è?» Bevve un sorso di champagne, un sibilo soddisfatto a bocca dischiusa. Non fece notare che se non gli rivolgeva la parola, un motivo doveva pur esserci. «hai sentito anche gli altri? sai se verrà qualcuno?» Vedete perché non gli piaceva? Perché faceva di tutto per mostrarsi fuori dal pack, come se non fosse uno di loro. Nuovamente, inarcò intenzionale un sopracciglio, le palpebre a sbattere pesanti sugli occhi blu. «a nessuno frega un cazzo» ma davvero aveva bisogno che a dirglielo fosse lui? Non li vedeva? L’unico a cui importava mezza sega di andare ad incontrare il Signore Oskuro, era BJ. Lui andava solo per mostrare il suo ritrovato pene in giro, fosse mai che a qualcuno fosse sfuggito, e per rompere le palle indiscriminatamente a tutti.
    E l’unica domanda che aveva da fare al dark lord delle coppole, non c’entrava un cazzo con la guerra in corso.
    A ciascuno le proprie priorità.

    «penso di piacere alla mamma di amalie» fece l’occhiolino alla signora, il cui sguardo continuava a ricadere su di lui, mentre abbassando la voce portava le labbra vicino all’orecchio di BJ. Non che una notizia del genere non potesse essere ritenuta interessante dall’intera sala, tutti avrebbero dovuto saperlo!, ma dubitava che in quel momento fossero nel mood per apprezzare il suo fascino. Che sbatti quando il mondo si ribellava alla realtà dei fatti, e non ti girava attorno. Piegò le labbra in un sorriso, la mano a sollevarsi per rivolgere un cenno di saluto alla Signora Madre di Amalie, ed alla Corvonero. Il resto dei presenti non lo conosceva, quindi non era particolarmente interessato ad irritarli. Ascoltò distrattamente il ciarlare attorno a sé, le gambe pigramente allungate e le dita intrecciate sullo stomaco. Sì, guerra, tante belle cose, uau, k emozione, perché non si parla di me?, sbatti, BJ sta zitto che sembri ancora più coglione, oh madre mi vergogno di far sapere in giro che ti parlo, vbb non può essere peggio dell’essere fratello (adottato, come non smetteva di sottolineare) di Friday e Wendy, ed invece oemmegi è peggio, ma perché ci sei te, perché non è venuto cigei, avrei preferito perfino il luna triste del quidditch, oh cristo - «salve,» sollevò un braccio per attirare l’attenzione, spingendosi in avanti per sedersi in posizione semi eretta. «senta ma… come funziona il veleno? Sa quale intendo, quello – sì, quello» si strinse nelle spalle, le braccia allargate per indicare tutto come nulla. «esiste un antidoto che non richieda l’aprirsi una vena?» così, per sapere, eh. Normalmente non gliene sarebbe fregato un cazzo, ma dato che aveva quasi ucciso il suo BFF4E, qualche domanda in proposito gli era sorta.
    | ms.
     
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  10. vasilov‚ idc
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    preside di durmstrang | mangiamorte | 38 y.o.
    dragomir vasilov
    one shall stand
    and one shall fall
    when there is no room in hell the dead will walk the earth || 02.12.17 - 17:00
    Quando il primo fra loro cominciò a parlare, Dragomir Vasilov si ritrovò già annoiato - tediato dalla loro presenza, dalle loro insulse voci. La sua partecipazione a quella conferenza, quel giorno, non era altro che un... favore, anche se evidentemente non era stato interpretato come tale. Un sorriso melenso e falso gli curvò gli angoli della bocca, il sopracciglio destro arcuato alle parole dell'anziano Icesprite.
    Star scommettendo sul cavallo migliore.
    Adorava come loro, tutti loro, si credessero indispensabili. Una pecca della natura umana, la presunzione - un errore che avrebbero imparato a non commettere più. Umettò le labbra, chinò fintamente modesto il capo sulle proprie mani giunte. «cosa avranno in cambio gli inglesi…» ripeté, scandendo lentamente ogni parola, in un tono dolce e morbido che, di suo, annunciava quanto quella domanda fosse stata inopportuna. «speravo che ormai foste giunti da soli alla conclusione che non avete reale scelta: siete con me, o contro di me» il che non significava affatto che fossero tutelati, ma quello non lo disse. Lasciò che quella certezza trapelasse dalle labbra dischiuse, da quelle iridi fredde e distaccate quanto quelle di un animale predatore – d’altro canto, ai suoi occhi, non erano altro che quello. «e non vi conviene essere contro di me»
    Prede. Martiri nella migliore delle ipotesi, vittime nella via di mezzo – carne da macello nella peggiore. Se fosse stato nei suoi interessi, li avrebbe usati tutti, dal primo all’ultimo, come esche. Non avrebbe perso il sonno sulle loro morti.
    Forse anche se non fosse stato necessario, a dire il vero.
    Quando udì Dragomir, pronunciato dalla bocca fetente di un sangue sporco – anzi, peggio- non si sprecò neanche ad ascoltare le sue parole. Passò la lingua sul labbro inferiore, la schiena reclinata all’indietro a richiamare l’attenzione della poco distante Oshiro: «chi ha fatto entrare la feccia? Sento l’olezzo da qui» bisbigliò, cruento e tagliente. Non tollerava che un tale spreco d’ossigeno fosse degno della sua presenza. «scortatelo fuori.» sancì, con un distratto cenno della mano, mentre un paio di uomini della security si premuravano di accompagnare all’uscita il ragazzino.
    Forse, finito quell’incontro, sarebbe tornato a cercarlo per rispondergli a tono. Un sorriso di velata malizia illuminò febbrilmente lo sguardo di Vasilov, al pensiero di una possibile, imminente, violenza. Era sempre una buona occasione per sporcare il cemento di sangue vermiglio – specialmente quando il contenitore non lo meritava. Ruotò lo sguardo su una donna ora in piedi, conosciuta di nome ma mai dal vivo; le rivolse un rispettoso cenno con il capo, invitandola a proseguire.
    Che buffo eufemismo, antico dissapore. Una risata cupa gli scosse bocca e spalle, mentre poggiava la schiena alla spalliera e sorrideva da sopra le mani giunte. «io ed il preside lancaster abbiamo…» socchiuse gli occhi, piegò il capo di lato. «opinioni contrastanti. Cercheremo di giungere ad un compromesso» che poteva non esserla, una risposta.
    Ma peggio, poteva esserlo: era il non detto a rendere le guerre laide. Un sorriso pigro sulla bocca peccatrice, prima di volgere la sua attenzione ad una ragazzina poco distante. «jeanine è preside di beauxbatons, attaccare la scuola era mera strategia militare, miss lowell» fece schioccare la lingua sul palato, la nuca a sfiorare la poltrona. «inoltre, ritengo che gli studenti debbano apprendere insegnamenti più… appropriati. La mia collega francese si era presa troppe libertà, è giunto il momento che qualcuno sistemi il problema da lei creato» e di nuovo, a gravare sulla stanza, il non detto: chi si sarebbe fatto carico di quel compito? Chi avrebbe assunto il potere di svezzare ed addestrare i giovani maghi in Francia?
    Qualcuno che l’avrebbe fatto nel modo giusto. Qualcuno che avrebbe selezionato i maghi giusti.
    Qualcuno come lui.
    «i giovani apprendono in fretta» concluse, in quel sibilo seducente che doveva aver convinto Eva a tendere la mano verso la mela.
    Sono solo ragazzi. Dragomir guardò la fanciulla che aveva preso parola, squadrandola per una manciata di secondi senza dire nulla. La studiò, in quei fini capelli d’oro pallido ed i tratti morbidi del viso. La ricordava, lei – una Purosangue. Domande del genere non le si addicevano. «se sono ragazzi intelligenti, sapranno che dovranno farsi da parte. altrimenti…» un sospiro, affatto triste, pesò nell’aria di fronte a lui. «la stupidità è un vanto che non possono permettersi neanche dei ragazzini, miss shapherd: siete liberi di scegliere, come voi qui presenti» li indicò con un ampio cenno del braccio. «di scegliere come vivere, ma anche come morire.» concluse secco, riportando la mano vicino all’altra.
    Non sorrideva più, Vasilov. Pensavano si sarebbe fatto scrupoli di coscienza perché erano solo ragazzi? Evidentemente non avevano mai conosciuto studenti di Durmstrang – loro, meritavano di essere definiti tali. Loro, erano l’esercito del quale quel mondo aveva bisogno.
    Loro, erano il futuro. Avevano fatto la scelta giusta.
    Se sarebbe bastato accettarlo per venire ammessi nel suo nuovo regno? Non era certo un mostro, Dragomir. Sorrise amichevole alla ragazza, le palpebre a sbattere piano su un paio d’occhi asciutti. «rispetto delle leggi ed ordine, sono tutto ciò che chiedo: ciascun cittadino meritevole verrà premiato, ovviamente» dove con premiato, intendeva con la vita.
    Ovviamente. Il programma militare interno, invece, avrebbe potuto essere un argomento più spinoso, se solo gli fosse interessato qualcosa di ciò che loro pensavano di lui. Tamburellò con l’indice sul labbro inferiore. «pulizia, sicuramente. In gran bretagna avete perso di vista le giuste… priorità, non permetterò che si ripeta lo stesso errore» orrore: gli special potevano frequentare il castello, viverci, insegnare. Veniva loro pagato vitto e alloggio – sarebbe stato fuori discussione. Non meritavano trattamenti così civili, loro che altro non erano che frutto di errori in Laboratori ottimisti. Fosse stato per Vasilov, li avrebbe eliminati tutti insieme alle strutture che li avevano ospitati.
    Il Reynolds non avrebbe mai dovuto prendere parola. Chi gli avrebbe impedito di sottometterli? Come avrebbe giudicato i Traditori? Era serio? Una risata divertita ed ilare gli grattò la gola, le iridi celesti sollevati al soffitto.
    Ah, beata gioventù. Con che gente aveva a che fare.
    Sorrise. «colpevoli. Verranno giudicati colpevoli.» Non rispose al resto delle illazioni: se fosse stato un ragazzo brillante, l’avrebbe compreso da sé. In caso contrario, sarebbe morto provandoci.
    Il mondo non sarebbe rimasto a guardare l’ascesa di un nuovo tiranno?
    Diventava sempre più esilarante. Si morse il labbro inferiore, piegò il capo verso destra prima di sporgere il busto verso l’uomo che aveva parlato – un Torchwood, se non sbagliava. Sbattè le palpebre, sorrise con ovvietà: «non mi piace essere definito tiranno: non ho leggi personali, seguo le leggi Originali – ed anche le altre nazioni dovrebbero: se non sono in grado di farlo da sé, sarò io a delineare le nuove linee guida. Fa di me un tiranno, questo? Mi definirei… magnanimo. in ogni caso, è in errore – il mondo sta già, guardando. Ad ogni continente, ogni paese, ogni coalizione piace credere che se non muoverà un dito, non sarà artefice di una guerra - ma la guerra c’è già Aveva un’idea troppo ottimista del popolo che lo circondava.
    O troppo ingenua, o troppo stupida. O tutte le precedenti.
    Come funziona il veleno? Non avevano ancora compreso? Dopo tutto quel tempo - tutti quei mesi, non avevano compreso?
    Non si era mai trattato di un veleno. «non esiste antidoto, perchè non è un veleno - è una malattia» fece un cenno con la mano. «non è infettiva;» per ora. «colpisce specificatamente gli individui che non posseggono sangue puro. È un virus magico, letteralmente» una mezza risata gli sporcò le labbra di un sorriso. «il corpo… rigetta il sangue non riconoscendolo come parte dell’organismo – meraviglioso, non è vero? inoltre,» umettò le labbra. «la malattia potrebbe ricomparire in qualunque momento, a meno che non venga somministrata la cura adeguata – è sempre presente, anche quando non dà sintomi» socchiuse gli occhi e ghignò. «ovviamente, esiste una cura.» tutto, aveva una cura.
    Non significava che fosse altrettanto facilmente disponibile.
    Fu in quel momento, a seguito del silenzio delle sue parole, che il sensore nella tasca dei pantaloni iniziò a vibrare – un aggeggio magico della dimensione di un pugno che vibrava ogni qual volta qualcuno lo stesse cercando. Ovviamente, era sintonizzato solamente per le informazioni importanti.
    E Vasilov, in quel momento, ne attendeva solo una.
    Sorrise trionfante, il preside di Durmstrang. Sorrideva anche quando il Reynolds nuovamente gli si avvicinò – quasi rise di gusto, alla sua domanda. Piegò l’indice per indicargli di avvicinarsi maggiormente. «vuoi sapere dove ho conosciuto Christopher?»
    Christopher aveva quel genere d’integrità che era complesso trovare nei giovani, di quei tempi – una lealtà che lo rendeva debole, manipolabile. Che l’aveva costretto al silenzio così a lungo, da renderei ormai inutile e superficiale qualunque misura di contenimento: aveva scelto pochi su molti, e quella sarebbe sempre stata una sua condanna.
    Perché lui sapeva, ma non l’aveva detto a nessuno – evidentemente, sapeva cogliere la differenza fra una minaccia ed una promessa. In tutti quei mesi, ed erano tanti, aveva mantenuto il suo segreto.
    Sussurrò la risposta al suo orecchio.
    Si alzò in piedi volgendo un ampio sorriso a coloro che avevano presenziato alla Conferenza, improvvisamente vivo ed in fermento quanto non era stato fino a quel momento – poteva percepire il suo stesso, pesante ed eccitato, battito sulla lingua. «volevate sapere i miei piani?» rise di gusto, gli occhi a bruciare d’entusiasmo. Si mise dinnanzi a loro, anche se sempre sopra la zona sopra elevata del palco.
    Sollevò un dito.
    «distruggerò ciò che resta del governo francese, e mi prenderò la nazione»
    Un secondo dito.
    «andrò a far visita a lancaster prendendo ciò che mi spetta di diritto - con le buone, o con le cattive»
    Un terzo dito, i piedi già a spostarlo verso l’uscita – non aveva più tempo, per loro.
    Perché il Sensore aveva vibrato, e lui sapeva cosa significava – così sorrise folle, d’estasi e meraviglia.
    «e quando avrò finito con loro…» aprì la porta. «voi sarete i prossimi.» Un cenno con il capo, un sorriso dolce e colloso.
    Era così, che sarebbe finita. Diritti? Guadagni?
    Non se li meritavano: Vasilov doveva costruire un regno per Lui.
    Avrebbe eretto castelli d’ossa sulle ceneri di una civiltà da dimenticare.







    «ah, dimenticavo…» sulla porta si girò appena verso di loro, un’occhiata distratta da sopra la spalla. «jeanine lafayette è morta.»
    | ms.


    Ed I giochi sono fatti. Queste sono le informazioni in merito alla quest imminente, questo è ciò che sapete per le role: non c'è alcuna missione alla quale aderire, nessuna guerra conosciuta alla quale partecipare.
    Le role pre quest saranno ambientate dalle ore 18 del 02.12, quando la notizia dell'accaduto comincia a spargersi. Ricordo che sono facoltative, ma vi faranno guadagnare PE (date un'occhiata al WANNA se ancora non ne avete!). Saranno aperte fino alle 23:59 del 14.10 - dopodiché, avrà inizio la quest.
    Non sapete di essere "scelti" per qualcosa.
    Non sapete quello che accadrà il giorno dopo. Per voi, eccetto le notizie trapelate da Vasilov (e pubblicizzate dal Morsmordre), è una giornata come altre. Giornate di scuola, ricordo a studenti ed insegnanti - giornate di lavoro.
    Nulla di speciale. Nulla di diverso.
    Ancora non sapete, che tutto sta per cambiare.
    Avete però un indizio - effimero, probabilmente non ci avete neanche fatto caso. Prestate attenzione, soldati: è il vostro unico avvertimento.
    Nei mesi precedenti, vi è capitato di trovare sottili biglietti da visita neri - vuoti. Potreste averli ignorati, gettati, strappati - eppure, se guardate nelle tasche dei pantaloni o all'interno del portafoglio, lo trovate ancora lì. Di cosa si tratta? Non c'è alcun numero da contattare, ne dati anagrafici - o forse si? Forse quel che c'è scritto, è tutto ciò che vi serve sapere.
    E cosa c'è scritto?
    Lo saprete partecipando alla CACCIA AL TESORO. (e tramite questa potrete anche guadagnare i vostri MERITATI bonus.)
    Si terrà il 03.10 alle ore 18:15. Domani vi farò sapere i gruppi così abbiamo due giorni per vedere eventuali assenze e come colmarle #wat e vi spiegherò come funziona.
    Per ora è tutto. LET THE GAME BEGIN.


    Edited by mephobia/ - 25/12/2017, 20:23
     
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