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  1. jeanne‚ who else?
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    preside di beauxbatons | ribelle | 42 y.o.
    jeanine lafayette
    one shall stand
    and one shall fall
    so this is how liberty dies || 12.08.17 - 14:00
    Deglutì, Jeanine Lafayette. La schiena dritta contro la spalliera della poltrona celeste, le braccia abbandonate pigre sul ventre; allungò una mano per prendere uno spesso bicchiere di bourbon, un dito color ambra ad ammiccarle attraverso il vetro opaco.
    La situazione era degenerata troppo in fretta.
    Era passato più di un mese dall’attentato – più di un mese dallo spiacevole inconveniente con Dragomir sul territorio inglese. Le minacce della Oshiro non erano state vene: una settimana dopo, oramai rientrata in Francia, Jeanine aveva ricevuto un richiamo ufficiale presso la corte europea del Wizengamot.
    Si era presentata impeccabile come sempre, un semplice tailleur color panna e due affilati tacchi a spillo, l'onda dorata della chioma a scivolarle sulla schiena; anche Vasilov era stato convocato. Nessuno dei due poté dire una parola, di fronte al tribunale magico: furono i ministri a parlare per loro, porgendo le più sentite scuse per i comportamenti inadeguati dei presidi che, a dire loro, avrebbero rimesso in riga.
    L'avevano minacciata di strapparle Beauxbatons, se si fosse mostrata nuovamente così azzardata - e Jeanine aveva sorriso, sopra il suo flute di champagne: perché i ministri francesi e russi, avevano perso l'autorità anni ed anni prima. Pupazzi nelle loro mani, fra le loro dita: intimidazioni vane quelle rivolte ai due presidi, resi ormai sordi alla loro voce una decade precedente.
    E lo sapevano tutti, oramai, che non si poteva tornare indietro: il dubbio era stato insinuato, gli eserciti erano stati schierati. Era ormai solo una questione di tempo, fugace e delicato, prima che la pazienza venisse meno da ambedue le parti.
    Né Jeanine nè Vasilov erano famosi per essere artefici di guerra fredda - strategici, si, ma mai immobili. Si mossero in maniera più sottile ed infida, in quei mesi.
    In maniera distruttiva.
    Dopo la metà di luglio, Jeanine aveva spedito militari francesi in una controffensiva contro l'uomo: dello squadrone composto da cinquanta uomini, non era rimasto che un unico soldato - a cui si era premurata di dare una morte dignitosa, il pianto negli occhi e nel cuore, nel constatare il guscio vuoto che le era stato recapitato. In compenso, l'attacco era andato come previsto - non bene, ma come avrebbe potuto? I morti erano contati a prescindere, gli addii sussurrati prima della partenza: la Lafayette non aveva mai mentito ai propri uomini promettendo salvezze inutili, sapeva e sapevano a cosa sarebbero andati incontro.
    E così, Dragomir aveva perso la propria base in Germania.
    A inizio agosto era iniziata la lenta, invasiva, mossa di Dragomir: intere cittadine babbane, nella zona orientale del Belgio costrette in ginocchio da malattie del quale nessuno conosceva cura, o nome - un'epidemia, a loro dire. Jeanine sapeva chi fosse l'artefice ancor prima che il giornalista suggerisse il nome Drago, per quel virus privo di forma. Aveva sorriso triste allo schermo, fredda e calcolatrice. Colpevole di altre morti.
    E di altre, ed altre ancora.
    Era un mostro in abiti firmati, la Lafayette - ma era il mostro del quale avevano bisogno, che lo sapessero o meno. Potevano criticarla, e se lo ritenevano opportuno odiarla, ma un giorno tutti avrebbero compreso che ogni suo gesto, ogni suo sacrificio, era stato dettato da un Bene Superiore. Non si vince una guerra senza vittime - e lei, era stata la prima. Il cuore batteva, la mente era ancora in grado di ragionare, ma aveva perso il fulgido calore dell'apprezzare un buon bicchiere di vino, o il tramonto sulla pelle. Sopravviveva per un fine, ma aveva smesso di vivere anni ed anni prima, Jeanine.
    «madame lafayette, sono -»
    «lo so» si inumidí le labbra con il bourbon, gli occhi vitrei sul nulla. Non guardò Jean, malgrado quello sguardo, il soldato, se lo fosse meritato: rimase immobile ed impassibile, il bicchiere stretto avido fra le dita.
    La situazione era fuori controllo.
    Due settimane difficili avevano sporcato l'inizio d'agosto di cremisi, il sangue a scivolare sulle vie come la pioggia che tanto, in quei mesi, era mancata. Bombe esplosero su Lione, Amiens, Canne - ed anche la Spagna pianse su Granada, la Siviglia. Jeanine ribatté con altre bombe, il petto fredde fiamme di rabbia: perché sapeva, la donna, che altri innocenti sarebbero morti a causa sua. In una guerra non si colpiva mai l'obiettivo, si puntava alle succursali: altri soldati la cui unica colpa era stata quella di arruolarsi e fare il proprio lavoro; altri civili, altri bambini. Eppure bombardò comunque sia Praga che Bratislava, Sofia e Danzica.
    Se l'era cercata lei, quella battaglia. L'aveva calcolata, l'aveva misurata - se non avesse creduto di poterla vincere, non avrebbe mai lanciato il bianco guanto di sfida al Mangiamorte.
    L'aveva orchestrata.
    Non aveva previsto Kimiko Oshiro nei suoi calcoli; non aveva previsto la chiusura della frontiera della Gran Bretagna, né aveva immaginato che Lancaster se ne sarebbe lavato le mani. Aveva confidato sul loro supporto, Jeanine.
    Aveva architettato il loro supporto, con le lacrime a pungerle gli occhi - ed invece si era ritrovata da sola. Ed invece tutti i territori impreparati che aveva giurato di proteggere - Spagna, Italia, Olanda - erano rimaste vittime del fuoco incrociato.
    l'Europa era un colabrodo, oramai - ed era solo colpa sua. I telegiornali babbani davano la colpa ad attentati terroristici di nuclei islamici, e questi vi navigavano rivendicando ogni bomba, malgrado nessuna di quelle portasse il loro nome. Anche quella, a conti fatti, era colpa di Jeanine: lei, che aveva sempre millantato tolleranza, aveva creato la paura verso una religione differente, o da una provenienza straniera: razzismo, xenofobia.
    L'aveva incrementato, e non aveva fatto nulla per scoraggiarlo - altra violenza a sporcarle le mani di scarlatto.
    Così anche l'Africa, per proteggere i maghi, aveva serrato i ranghi - anche quello, la francese, non l'aveva previsto.
    Si era ritrovata da sola.
    Ed ora, Dragomir stava bussando alla sua porta reclamando la resa dei conti.
    Jeanine aveva fatto quel che aveva potuto, finché aveva potuto.
    «tagliali fuori» «ma-» «era un ordine, non è un suggerimento» allora spostò i freddi occhi azzurri sull'uomo. Lui le rivolse un rispettoso inchino, prima di iniziare a spargere la voce.
    Jeanine Lafayette aveva appena decretato la morte di centinaia di babbani ignari, e di quei maghi troppo ottimisti che avevano abbandonato le cittadine magiche. Non poteva più proteggerli, doveva concentrarsi sulla sua gente. Doveva aumentare le misure di sicurezza della scuola, delle cité - e non aveva abbastanza uomini. Non poteva neanche rispondere alle offensive.
    Chiuse gli occhi. Spense il cuore. Pregó silenziosa per loro - tutti, loro.
    Era giunto il momento.
    Attese di rimanere sola nella stanza prima di impugnare la bacchetta contro la parete bianca davanti a sé, quella che utilizzava come schermo per contattare il quartier generale inglese. Si collegava direttamente al monitor della sala del consiglio: lo usava così di rado, che perfino pronunciare l'incantesimo populus necto le parve antico, in disuso.
    Dimenticato.
    Uno sfarfallio sulla superficie bianca. Ne emersero i volti di quattro ragazzini, le labbra dischiuse e le sopracciglia corrugate.
    «nate, non credo che questo sia Frozen»
    «divertente, Jess. Devo aver smesso il DVD sb- KIERAN dov'è Frozen?»
    «dentro il lettore dvd, è quello giusto. DIGLIELO, ERIN»
    «ragazzi, non è un-»
    Jeanine Lafayette gli rivolse l'accenno di un sorriso. Così giovani, così... Innocenti, eppure già membri della Resistenza.
    Era per loro che Jeanine stava combattendo. Per un futuro diverso.
    Per un futuro e basta. «jessalyn, nathan, kieran, erin» Jeanine, i nomi dei resistenti, li sapeva tutti.
    Almeno quello, glielo doveva.
    «chiamate gli altri, per favore» sbattè lentamente le ciglia, mentre loro si immobilizzavano.
    «dobbiamo parlare»
    | ms.



    La role è ambientata a metà agosto, e come descritto nel post, nel mentre sono accadute cose.
    Possono partecipare solo membri della Resistenza.
    Potete portare un massimo di due pg a player; i pg che parteciperanno a questa role, non potranno partecipare anche a quella successiva. Ovviamente, potete postare anche con fittizi. La role si concluderà il 14.09 Potete fare a Jeanine tutte le domande che volete - ma, come sempre,
    non è detto ch'ella risponda.
    O che lo faccia sinceramente.


    Edited by #epicWin - 16/12/2018, 14:47
     
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    jessgwen

    We all are living in a dream
    But life ain’t what it seems.
    Oh everything's a mess

    don't waist your youth by growing up|| 12.08.17
    «BEH NO, UN'ALTRA VOLTA MOWGLI NO» Ottenne subito uno sguardo omicida da parte di Erin «mowgli è il protagonista, il libro della giungla è il film » Jess sbuffò, alzando gli occhi al cielo «Vabbè è uguale, non voglio vederlo di nuovo.» Sarebbe stata la seconda volta, prendendo in considerazione solamente quella settimana. E no, la ragazza non sarebbe riuscito a sopportarlo.
    Anche se non l'avrebbe mai e poi mai ammesso davanti ai suoi amici, non volendo rischiare di venir cacciata e ritrovarsi in mezzo alla strada, la verità era che alla Goodwin non fregava nulla dei film della Disney. Le facevano semplicemente provare tristezza e nostalgia per l'infanzia che sapeva di aver avuto, eppure non ricordava. Perché non poteva sapere quali aveva visto da bambina. Non poteva sapere quali le erano piaciuti, quali l'avevano fatta piangere, quali aveva trovato noiosi. Non poteva sapere quali erano i suoi personaggi preferiti, quali erano quelli per cui si era presa le prime cotte, quali avrebbe voluto avere come amici nella vita reale. Non poteva sapere nulla, ed era una sensazione tremendamente frustrante. Dunque mentre si trovava davanti allo schermo non riusciva a godersi a pieno alcun film, perché occupata a riflettere su ciò che la ragazza era stata. Eppure era disposta a sopportarlo, perché anche se non le importava nulla della Disney, dei suoi amici le importava più di qualunque altra cosa. E dunque avrebbe sopportato di vedere anche un film dopo l'altro cosa che succedeva sempre pur di passare del tempo in loro compagnia, soprattutto dopo il funerale. Si chiedeva ancora come facessero ad essere sopravvissuti a quella giornata: riflettendo razionalmente, sarebbero per lo meno dovuti uscirne feriti, come minimo. Soprattutto lei, che in quell'occasione non aveva saputo far altro che rischiare di beccarsi incantesimi in pieno petto e farsi da scudo con una sedia.
    «Frozen?» Jess tirò un sospiro di sollievo, perché almeno era un film che non aveva mai sentito nominare e dunque dedusse che fosse piuttosto recente, perché se fosse stato un classico sicuramente ne avrebbe già sentito parlare. Com'era possibile il contrario, dal momento che viveva con Erin Chipmunks e Nathan Wellington? «GRAZIE KIERAN, almeno è qualcosa di nuovo.»
    Quando però inserirono il dvd, sullo schermo apparve una regina di ghiaccio completamente diversa da quella che teoricamente doveva esserci.
    «nate, non credo che questo sia Frozen»
    «divertente, Jess. Devo aver smesso il DVD sb- KIERAN dov'è Frozen?»
    «dentro il lettore dvd, è quello giusto. DIGLIELO, ERIN»
    «ragazzi, non è un-»
    Non aveva mai visto quel film, ma era sicura al novantanove per cento che non comprendesse l'apparizione della preside di beauxbatons nei titoli di apertura. In realtà un po' ci sperava - magari aveva realizzato un mini spot pubblicitario in cui invitava le giovani fanciulle a frequentare la sua scuola ? - dato che in caso contrario stava a significare che la donna aveva bisogno di parlare con la fazione ribelle di Londra, e questo non portava mai buone notizie.
    «jessalyn, nathan, kieran, erin, chiamate gli altri per favore, dobbiamo parlare» Cavolo, era quella vera. Non poté far a meno di smorzare la tensione con la prima battuta idiota che le passò per la testa perché, beh, era una jess e la situazione era diventata troppo tesa per i suoi gusti. «assurdo, il televisore conosce tutti i nostri nomi!» si beccò in pieno l'occhiata esasperata della Lafayette e dunque cercò immediatamente di assumere una parvenza di serietà «scherzo, andiamo subito a chiamarli»
    E mentre si alzava in piedi, scrollando con le mani i pezzi di pop corn che le erano caduti su maglietta e pantaloncini, la porta d'ingresso si spalancò di scatto.

    Le entrate in scena al momento più inopportuno erano sempre il suo forte.

    «PIZZAAAA!» Poi sembrò notare gli sguardi d'avvertimento degli altri ragazzi, mentre muovevano le teste per indicargli non troppo esplicitamente la tv «Oh...» il suo sguardo si rabbuiò leggermente «che succede, a beauxbatons siete rimasti a corto di baguette?» Sinceramente non gliene importava nulla di quella donna, nonostante sostenesse i ribelli: la vedeva semplicemente come un'opportunista ambiziosa, che si era cacciata nei guai per dispute che sembravano nascere da rancori personali, e aveva portato un'intera nazione giù nella fossa con sé «o è qui perché le strade del suo paese hanno iniziato a diventare troppo rosse per i suoi gusti?» Non aveva mezzi termini, Gwendolyn Markley, così come non aveva mai avuto mezzi termini Danielle Leroy. Tutta suo padre.
    Aveva iniziato a presentarsi alle porte del quartier generale da poco più di un mesetto, mentre prima di quell'estate non ci aveva mai messo piede: in primo luogo perché kieran passava lì un sacco di tempo ed era una delle persone a cui teneva di più, essendo cresciute insieme all'accademia. Condividevano entrambe tutti quei segreti che sapevano di non poter rivelare a nessun altro al di fuori di loro e degli altri custodi e dunque ciò era un fattore che le avrebbe legate a vita. Lei era l'unica che poteva chiamare, quando per i corridoi di Hogwarts adocchiava CJ e Sersha camminare fianco a fianco ( «tra il figlio heimes e la ragazza akerrow secondo me c'è qualcosa, quanto sono endgame!») o vedeva coraline krum sorridere di sfuggita a nathaniel henderson ( «le ha rivolto un sorriso, ti rendi conto?! » ) Non era il tipo di ragazza che si sarebbe mai chiusa nei bagni a spettegolare dei suoi coetanei, ma i pettegolezzi dal futuro, beh quelli erano tutta un'altra storia.
    Il secondo motivo per cui era lì era Erin Chipmunks o meglio, Therese Hamilton. Sua cugina. Era l'unica parente che aveva avuto la forza di contattare, dopo aver scoperto la sua vera identità.
    Per tutta la sua vita Gwendolyn aveva atteso il momento della rivelazione con tremenda ansia ed eccitazione. Fin da bambina, mentre all'accademia le spiegavano quella che definivano missione ma che la ragazza inizialmente aveva preso molto alla leggera, come fosse un gioco, aveva sempre fatto supposizioni su chi potessero essere i suoi genitori. Cercava negli sguardi delle persone dei tratti particolari, nel modo di camminare o nei riflessi involontari che li caratterizzavano quando erano messi sotto pressione delle similitudini con se stessa. Eppure mai nessuno le era sembrato abbastanza simile a lei, così si era semplicemente rassegnata al fatto di dover aspettare il giorno in cui gliel'avrebbero rivelato. Mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che la risposta a tutte le sue domande era stata per tutti quegli anni sotto i suoi occhi, nel dormitorio maschile della sua stessa casata, nel banco a fianco al suo a lezione, seduto in riva al lago nero con i piedi immersi nell'acqua mentre erano occupati a rollarsi una canna. Per anni suo padre, Archibald Leroy, era stato uno dei suoi più cari amici. Ed era qualcosa a cui credeva che non si sarebbe mai riuscita ad abituare, perché era impossibile da accettare, perché non aveva senso. Eppure, allo stesso tempo, ne aveva così tanto. Perché erano stranamente sempre andati d'accordo. Perché Arci ci provava con ogni persona vivente sulla faccia della terra eppure con lei non l'aveva mai fatto: le rivolgeva battute sceme, commenti inappropriati, ma sempre come quelli che ti aspetteresti da un fratello maggiore ad una sorella minore, e nonostante avessero la stessa età, ad entrambi era sempre sembrato giusto così. Si sentiva una stupida, a non averci riflettuto prima. Non le era passato per la mente nemmeno lo spettro di un dubbio, e si odiava per questo. Anche se, in realtà, forse era stata una cosa buona: se l'avesse capito prima, l'avrebbe visto sotto un'ottica completante diversa. Si sarebbe relazionata a lui in maniera diversa. Non sarebbe mai stata in grado di parlargli in modo tranquillo, disinvolto, normale, e avrebbe bruciato la sua opportunità di conoscerlo bene. Invece aveva avuto l'occasione di vivere sette anni della sua vita avendolo al suo fianco come puro e semplice amico, e quanti adolescenti potevano vantare una fortuna simile sulla faccia della terra? Quanti potevano affermare di essersi presi innumerevoli sbronze con i propri genitori, o di avergli passato sotto banco le risposte per il test a sorpresa di storia della magia, o di avergli fregato più accendini di quanti ne abbiano effettivamente mai comprati? Probabilmente nessuno.
    Eppure, da quando aveva scoperto la verità, l'aveva evitato totalmente: si era tenuta ben alla larga dai posti che frequentava di solito con il suo gruppo di amici, non si era presentata agli incontri estivi del club dell'occulto a magie sinister ed aveva bellamente ignorato il messaggio che le aveva mandato - "Per caso sei morta mentre cercavi di invocare satana? Rude"- perché voleva lasciare le cose com'erano, ancora per un po' : non averlo ancora incontrato significava non averlo ancora guardato negli occhi con la consapevolezza di ciò che sapeva ed aveva bisogno ancora di tempo per elaborare il tutto nella sua testa, prima di doverlo affrontare nella realtà. Era anche a conoscenza del fatto di avere due sorelle ma non aveva voluto avere dettagli o notizie su di loro: anche in questo caso, aveva bisogno di tempo. Temeva che, incontrandole, non sarebbe riuscita a trattenersi e si sarebbe fatta scappare qualcosa di inappropriato, che non era autorizzata a dire: finché si era trattato di mantenere i segreti che riguardavano altre persone non aveva avuto problemi, ma ora che doveva mantenere i propri, non era così semplice come aveva immaginato.

    Dopo aver mandato a tutti un messaggio per informarli della presenza della Lafayette nello schermo del televisore , era tornata dagli altri. E, fissando il volto della donna, non era riuscita a trattenersi «Perché ha voluto dichiarare colpevole vasilov durante il funerale?» Non era stato un gesto giusto, da parte sua. Perché i parenti delle vittime, così come le vittime stesse, un giorno di riposo se lo meritavano. Un pomeriggio per commemorare i caduti, per rievocare bei ricordi e condividerli con le persone più care, gli era dovuto. Eppure non avevano potuto averlo, ed era terribilmente ingiusto. «Non poteva aspettare per lo meno la fine di quella giornata?» Sapeva che jeanine era dalla loro parte ed era un'alleata fondamentale, eppure non riusciva proprio ad accettare ciò a cui aveva dato inizio: in quella giornata vasilov aveva lanciato una bomba ma era stata lei ad innescare la miccia che l'aveva fatta esplodere. Ed ora che ne stava pagando le conseguenze, era venuta a bussare alla loro porta, certa di poter contare sul loro supporto. E naturalmente aveva ragione: tra i due fuochi di quella guerra, lei era sicuramente quello che avrebbero alimentato per vincere, il male minore. Jess tornò a sedersi vicino a nate, kieran ed erin, in attesa delle sue risposte anche se era piuttosto certa che non sarebbero arrivate.
    Gwen invece rimase in piedi, a braccia incrociate, aspettando di ascoltare ciò che quella donna aveva da dire. Non si era presentata al funerale, dato che aveva scoperto pochi giorni prima le sue origini e non aveva la forza fisica per ritrovarsi in un luogo pieno di parenti. E poi non avrebbe mai potuto immaginare ciò che era accaduto : se avesse saputo in anticipo che ci sarebbe stato uno scontro, beh allora si sarebbe presentata senza alcun dubbio, perché non rifiutava mai un'occasione per fare a botte con qualcuno. «Non avrebbe dovuto accettare la provocazione» Lo disse con una tale sicurezza da non sembrare nemmeno lei. Ma era certa di ciò che diceva: ciò che stava accadendo in quei giorni, quelle bombe, quegli attacchi gli uni contro gli altri, non avrebbero portato a nulla di concreto. Non ci sarebbe stata una parte vincitrice ma solamente morte e distruzione, e questo non andava per niente bene. E Gwen poteva affermarlo con sicurezza, perché le avevano insegnato fin da piccola com'era il futuro da cui veniva, e non doveva capitare di nuovo: non voleva che altri bambini dovessero sopportare la perdita di un genitore in giovane età, non voleva che ragazzi dovessero essere costretti ad abbandonare le proprie famiglie, tutta la propria vita, per tornare indietro nel tempo, resettare tutto e ricominciare da zero. Non poteva permettere che accadesse, e si sentiva responsabile perché sapeva a cosa il mondo stava per andare incontro. «Dovrebbe fermarsi, dico sul serio» Guardò kieran, l'unica in quella stanza che poteva davvero cogliere il messaggio di quella frase. Ed avrebbe rivolto a vasilov le stesse identiche parole, se ne avesse avuto l'occasione, nonostante sapesse che non avrebbero portato a nulla di concreto.
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    withpotatoes do it better

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    Guardava fuori dalla finestra, Idem Withpotatoes. La fronte poggiata contro il vetro, le gambe raccolte contro il petto. Deglutì, chiuse gli occhi. Non voleva vedere Londra srotolarsi nel suo lento e quotidiano evolversi, quel giorno – come quello prima, e come quello precedente. La scintilla d’allegria che sempre le animava lo sguardo blu pareva essersi appassita, quando non c’era nessuno nei dintorni a cui rivolgere sorrisi caldi e sinceri: Idem, pareva essersi appassita, come un fiore che giungesse in autunno privo di petali.
    Nathan ed April non c’erano più. Isaac lavorava. Oliver se n’era andato. Darden se n’era andata. Gemes se n’era andato.
    Nathan ed April non c’erano più.
    Affondò il mento nelle ginocchia, le orecchie coperte dai lunghi capelli corvini a convincerla che il silenzio non era dovuto all’assenza di rumori, ma dal fatto ch’ella ne era tagliata fuori – che se avesse aperto gli occhi, che se avesse tolto i capelli dalle orecchie, sarebbe tornata a far parte della realtà.
    Non era più certa di averla ancora, una realtà.
    Le avevano detto che c’era bisogno di tempo perché potesse riabituarsi alla sua vita.
    Si era convinta fosse per quello, che non riusciva a sentirla più propria. Aveva dovuto chiedere ad Isaac di firmare scartoffie per poter rimanere ad abitare con lui; aveva chiesto a Cain di firmare altri documenti perché potesse continuare ad esercitare il suo lavoro; aveva lasciato la storica scrivania della segreteria ribelle deserta, nessun origami e nessun post it a ricordarle di comprare lo zucchero; Stiles aveva cambiato i suoi turni al San Mungo per poterla accompagnare al lavoro – Idem lo sapeva, che era per quello.
    Nathan ed April non c’erano più.
    Intrecciò le dita fra loro, il petto a sollevarsi ed abbassarsi piano. Idem Withpotatoes non si era mai sentita sola, nei suoi ventiquattro anni di vita. Mai. Poteva fingere quanto voleva che i Laboratori non l’avessero cambiata, che la morte dei suoi fratelli non l’avessero spezzata, ma non poteva fingere che le lacrime a inumidirle le ciglia non fossero reali. Non lo mostrava mai a nessuno quel pianto silenzioso a stroncarle la voce in gola quando meno se l’aspettava, eppure c’era.
    Il funerale. Lì, per la prima volta, si era resa conto di essere sola – il sangue, altri morti. Lì si era resa conto che il mondo, per cambiare, aveva bisogno anche di lei: Idem non aveva fatto nulla, ed avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto alzare maggiormente la voce, imporsi, costringerli ad andarsene.
    Non l’aveva fatto, perché quel sangue e quei morti, almeno in parte, li aveva desiderati anche lei. Una parte di lei, perlomeno. Quella che voleva giustizia, ma la voleva nel modo sbagliato.
    Non voleva essere quel genere di persona, la Withpotatoes. Non avrebbe lasciato che la facessero diventare così. Ed alla rabbia era subentrata la tristezza, ed alla tristezza l’apatia. Sorrideva allo stesso modo, indicava le foglie con il medesimo stupore di prima, s’impegnava ancora a far biscotti ed a cucire cappellini ai suoi gatti, ma c’era qualcosa di diverso, nei suoi occhi. Una ferita che prima non c’era.
    Una solitudine che prima non c’era, perché Idem non aveva mai saputo cosa significasse, essere soli.
    Aprì gli occhi ed alzò il capo solamente per guardare l’orologio. Aveva pranzato? Non ne era certa. Aveva sempre avuto una soglia dell’attenzione bassa, facilmente distratta dal miagolio d’un gatto o dal pensiero che in quell’esatto momento, le meduse si stessero estinguendo. Si preoccupava per troppe cose, Idem: non aveva tempo per sé stessa. Non ne aveva bisogno.
    Scosse la testa. «DE» non ne poteva più, di quel silenzio. Saltò in piedi, un braccio sollevato di fronte a sé. «SPA» anche l’altro braccio, le gambe leggermente divaricate. «CITO» Iniziò a danzare, a cantare a squarciagola una canzone che a malapena conosceva – composta di fatti, per la maggior parte, da nanana - e subito si sentì meglio, la Withpotatoes. Più viva con il fiato corto, le guance arrossate, ed i lunghi capelli corvini spettinati.
    Più sé stessa.
    «OKAY VA BENE VADO A VEDERE COME SE LA PASSANO GLI ALTRI» urlò al suo riflesso, saltellando sul posto come Rocky Balboa – dove con altri, intendeva i ribelli. Da quando Nathan, April, Delilah e Neil erano morti, aveva a dir poco ridotto il suo tempo al quartier generale: si sentiva inutile, Idem, senza gli occhiali neri che la identificavano da anni come La Segretaria. Si sentiva di troppo, quasi colpevole per aver dato modo ad una guerra di scoppiare sul loro territorio.
    Si sentiva una vittima, e non voleva, Idem. Non voleva la guardassero in modo diverso - non voleva si rendessero conto che fosse diversa. Passare le sue giornate libere al QG, però, le mancava.
    Lì era impossibile sentirsi soli.
    Afferrò le chiavi, ed uscì di casa.

    «idem...» Will, le braccia incrociate sul petto ed una sigaretta stretta fra I denti, squadrò la giovane con brillanti occhi fiordaliso. Quella era la posizione standard di William Yolo Barrow, un balconcino che dava all’esterno del quartier generale della resistenza protetto dalla magia, e di conseguenza invisibile a babbani ed a maghi che non fossero ribelli – dove svuotava il proprio portafoglio in sigarette, ed ingrigiva due già assai provati polmoni. Sospirò, il fumo a scivolare denso sul mento come lava da un vulcano - sconsolato, nel mezzo sorriso con cui la richiamò all’attenzione. «quello è un pigiama?» Idem Withpotatoes dischiuse le labbra, abbassò lo sguardo sui propri indumenti. «oh.» oh. Le rivolse una risata grezza e roca, un braccio allungato per darle un pugno sulla spalla. «è più bello di molti dei vestiti di niv» arcuò le sopracciglia e sollevò un pollice nella sua direzione, prima di tornare a rivolgere lo sguardo alla città sottostante. Avevano vissuto in un bunker così a lungo, dopo l’esplosione, che riavere la luce del sole (ed un balcone dove fumare) gli pareva un miracolo.
    La guardò a palpebre strette, quella Londra, chiedendosi quanto ancora ci volesse prima che venisse messa a fuoco e cenere – prima che la guerra, infine, bussasse anche alla loro porta. La trovata di Kimiko Oshiro di chiudere le barriere verso la Francia, era stata brillante: tutti loro avevano la scusa perfetta per lasciare i mangia baguette nel loro (cercato) brodo. Nulla avrebbero potuto fare, in ogni caso, per contrastare gli attacchi terroristici in atto in Europa: erano maghi, non divinità. Una bomba, come già era stato ampliamente dimostrato, falciava sangue puro e babbani senza dar peso all’albero genealogico. A William, per ovvie ragioni, giravano i coglioni. Loro e Jeanine avrebbero dovuto essere dalla stessa parte, allora perchè quella stronza e le sue tuniche dorate continuavano a fare il cazzo che gli pareva senza chiedere consiglio? Giriamoci poco attorno, chiunque conoscesse l’esistenza della Ribellione poteva annusare l’intrallazzo rivolta nella questione che stava scuotendo il resto del continente, guerre religiose un par di cazzi. E li odiava, William, perché erano stato così degli emeriti coglioni, da mettere di mezzo tutti quanti.
    Anche chi, di quel mondo, non ne sapeva un cazzo. Era uno stratega, Will; era stato un leader, ed in quanto tale aveva sempre saputo che di mezzo non ci sarebbero mai andati solamente coloro che lo meritavano, ma così stavano fottutamente esagerando. Inspirò dalla sigaretta, picchiettò il filtro con l’indice. Passava più tempo lì, a scartavetrarsi le palle studiando articoli di giornale da ogni parte del mondo, che a casa sua – ma da quando? Neanche lo pagavano per quel lavoro, Cristo.
    A volte avere dei principi era proprio una presa per il culo.
    Sarebbe rimasto a frustrarsi e lagnarsi ancora a lungo, probabilmente fino al tramonto, se una Chipmunks trafelata non gli fosse rotolata davanti. «WILL!» sì, da ventiquattro anni a quella parte. Annuì, un sopracciglio sollevato. «erin?» «JEANINE!» Nome sbagliato. Strinse le labbra fra loro. «will andava bene» la corresse con un ghigno; la Chips sbuffò e gli afferrò un polso, ed il Barrow fece appena in tempo a fare l’ultimo tiro, prima di essere trascinato all’interno del quartier generale. «buon dio bambina, si può sapere cosa ca-» la voce si affievolì, gli occhi a scivolare sui ribelli ivi riuniti. Guardò distrattamente la gigantografia della Stronza, ignorando il sorriso pacato ch’ella gli rivolse. «cosa ci fa lei qui?» la indicò con l’indice senza neanche tentare di nascondere il tono irritato ed indispettito della domanda. Pensava che quel metodo di comunicazione fosse rotto da anni, ormai.
    Non si smetteva mai di imparare.
    «ha detto che dovete parlare» gli sussurrò rapida Erin chinandosi verso di lui, prima di fuggire nuovamente fuori dalla stanza.
    Parlare un cazzo. Will unì le mani fra loro e le portò sul mento, gli occhi chiusi. «non avrebbe dovuto accettare quella provocazione» eccola, la voce della ragione – Gwendolyn Markley. Le rivolse un bieco ma sentito applauso, e non riuscì a trattenersi dall’alzare, in maniera infantile ed oltraggiosa, un dito medio alla Lafayette.
    Eh, cosa devo dirvi. Ce l’aveva sul personale, con lei. «spero che questa chiamata sia per baciarci le chiappe in diretta, jeanine» avanzò di un passo verso lo schermo, le palpebre assottigliate. «cosa cazzo sta succedendo?» Cosa cazzo hai fatto?

    «Non poteva aspettare per lo meno la fine di quella giornata?» Idem scollò, non senza fatica, lo sguardo dalla Lafayette per rivolgere un debole sorriso a Jessalyn. «io lo so, perchè» avanzò con voce sottile, le dita a torturarsi fra loro. Aveva ignorato quell’informazione così a lungo, che quasi era riuscita a rimuoverla - quasi.
    Ricordava le parole che le aveva rivolto Nathan al funerale. Non le aveva mai dette a nessuno. Deglutì, perché non aveva voluto crederci. Deglutì, perché pregava che Jeanine negasse. «sei stata tu a far esplodere la bomba.» Non fu una domanda, ma non fu neanche un’accusa.
    Un semplice dato di fatto, offerto in un bisbiglio perché potesse essere contestato.

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    Presentarsi al quartier generale
    Hope continuava a guardare quel foglio da diversi minuti senza sapere che fare. Magari si, doveva approfittare di quella chiamata per raggiungere la resistenza e chiarire alcune cose. Di domande ne aveva davvero molte, aveva trascorso quel mese in silenzioso, come succedeva di solito dopo ogni evento traumatico; si chiudeva in se stessa per elaborare il tutto. Ancora non si era ripresa completamente dal rapimento e da quei mesi di tortura; spesso aveva incubi di quell'evento, il dolore a volte la soffocava e si ritrovava seduta sul letto tremante che piangeva. Mentiva quando diceva che stava bene, era brava a sorridere in fondo era Hope, ci si aspettava che lei fosse sempre solare e allegra o non sarebbe stato la Mills. Spesso a Hogwarts era stata lei a consolare i ragazzi del primo anno in sala comune dei tassi, perché presi in giro dagli alunni più grandi; ma affrontare quella prova era stata dura persino per lei, che credeva sempre ci fosse il sole dietro ad ogni nuvola. Era seguita persino da uno psicomago per gli attacchi di panico; se ve lo chiedete ( nessuno lo sta facendo) non era Shane, lui la conosceva troppo bene, meglio qualcuno di estraneo, in fondo aveva dei segreti persino Hope e non voleva che il suo migliore amico li sapesse ecco.
    Dovrei andare? chiese al proprio gatto. Questa la guardava con aria assente, probabilmente se la stava dormendo e la bionda aveva disturbato il suo pisolino di dieci ore. Non ricevendo risposta, come se davvero il gatto potesse parlare; lei era convinta che presto o tardi si sarebbe trasformato in una persona, a tal punto che spesso cercava di immaginare come potesse essere.
    E va bene, vado si disse, ormai parlava da sola, quasi sempre, ma sicuramente se ci fosse stato Shane le avrebbe detto di andare. O magari no, va beh decise comunque di recarsi al quartier generale.
    Era passato più di un mese dal funerale; era passato un mese da quando aveva rischiato per l'ennesima volta la propria vita. Davvero, perché in quel dannato mondo non c'era niente che andava bene per una volta? Tutto era così difficile, non le bastavano le dita di entrambe le mani per contare le volte in cui aveva visto la morte in faccia. Ma se in passato aveva capito poco di quello che era successo, quella volta era stato anche peggio.
    Era passato un mese e la bionda aveva ancora molte domande per la testa, non era riuscita ancora a chiarire niente con nessuno. Voleva capire e non come giornalista, ma come persona che quasi ci aveva rimesso la vita in quel posto.
    Quello che era avvenuto, era stato troppo veloce, le persone si erano schierate senza capire veramente cosa stesse succedendo, lei per prima. Pensava di essere dalla parte giusta, era entrata nella resistenza per motivi che riteneva importanti, ma quello che stava succedendo in quel momento era davvero una buona cosa?
    Per anni aveva litigato con Shane pensando, anzi convinta di essere dalla parte del bene, che i mangiamorte fossero corrotti e il male, ma dopo il funerale iniziava a pensare che nessuna delle due fazioni fosse davvero quella giusta. Cosa stavano facendo i ribelli? Dietro guida di Jeannine avevano proclamato praticamente guerra a Dragomir e i suoi seguaci, convinti che fosse lui la causa di tutto; ma Hope non era davvero convinta; non che si fidasse di quell'uomo e di sicuro non era innocente come aveva voluto far credere ma Lafayette, era strana. Forse la preside aveva agito in buona fede e per le persone coinvolte in quell'attentato a Parigi; eppure la ragazza non era convinta, nonostante avesse sposato la sua stessa causa da diversi anni, che qualcosa non fosse messa nel giusto modo. Era come avere un pezzo del puzzle in mano che girava e girava, nonostante fosse stato semplice attaccarlo al resto del puzzle non riusciva a capire il verso.
    Dopo quella guerriglia, si erano sparsi in giro per l'Europa molti attentatati sia da parte di Dragomir che da parte di Jeannine. In risposta la Gran Bretagna sembrava essersi chiusa in se stessa per evitare scontri da entrambe le parti. Già loro da che parte stavano? Ma esisteva davvero una fazione giusta? Quante domande
    Aveva di fatto accettato di presentarsi al quartier generale, la preside sembrava essersi decisa a chiarire quello che era successo, o magari no, ma per Hope era un'occasione da non perdere, e no in quanto giornalista, intendiamoci, non aveva intenzione di fare un articolo al riguardo, ma quanto persona coinvolta voleva sapere quanto era possibile su quella faccenda, anche se sapeva che era difficile, ricordava ancora l'intervista a Lancaster e non era stato facile farlo parlare, anzi a pensarci bene non si era mai sbilanciato con le risposte.
    Quando arrivò vide già molti presenti, non era l'unica ad essere lì con la lista di dubbi e perplessità, ma ovviamente non fu la prima a rivolgersi alla bionda bensì prima Jess domandole come mai non avesse aspettato la fine del funerale. Già, anche Hope si stava chiedendo perché non aveva rispettato quel momento, nessuno lo aveva fatto, ma perché era partita in quel modo? Invece di essere diplomatici aveva deciso di fare la guerra a Dragomir.
    «sei stata tu a far esplodere la bomba.» Fu Idem a rispondere lasciando i presenti senza parole , magari no, ma di sicuro Hope cadde dalle nuvole. Che qualcosa non fosse normale, lo aveva capito; che ci fosse qualcosa più grande di loro di quello ne era certa. Sapeva che i presidi come Lancaster avevano molti segreti e che molto di quello che era successo negli ultimi anni era programmato. Ma perchè avrebbe dovuto uccidere la “propria” gente? aggiunse Hope, dando voce ai suoi dubbi. Non voleva credere che una donna come Lafayette potesse essere così diabolica, no si rifiutava.
    Il nostro scopo non era riportare la verità a galla e smettere con tutto questo. Pensi davvero che sia la mossa giusta quello che stiamo facendo? anche se non stava facendo missioni al momento, si sentiva responsabile, insomma erano dalla stessa parte, o era quello credeva. Se tutto quello in cui credeva era solo merda, cosa avrebbe fatto da quel momento in poi? Non voleva pensarci davvero, c'era sicuramente una spiegazione plausibile a tutto quello che stava succedendo. Vero? Illusa Hope.
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    the right choiche is never the easy one ||giorno/mese/2017||
    10/08/2017
    Il riflesso nella finestra sembrava essere il più fedele al volto del mimetico da anni. Non si era mai riconosciuto perfettamente nel ragazzo i quali movimenti erano rifratti negli specchi, forse perchè gli psecchi servivano apposta per guardarsi: Nate era davvero sè stesso quando non pensava di essere inosservato, quando a carpire la sua immagine erano occhi nascosti e superfici improponibili come specchi che, però, riuscivano a disegnare un ritratto perfetto del ribelle. E in quel vetro che pareva piangere per colpa della pioggia che lo bagnava, il Wellington vide sè stesso: una sagoma traslucida, che sembrava sparire e riapparire ad ogni movimento. Dopotutto lui era quello: un fantasma ancora vivo. Ma non agli occhi degli altri ribelli, no, per loro era un ragazzino, uno stolto che si era immischiato in quella faccenda senza che nessuno avesse il buon cuore di dirgli che forse era troppo giovane, che forse aveva ancora una chance di vivere normalmente senza doversi portare il peso di una tomba vuota. Oh, quella lapide di pietra era il più pesante dei sensi di colpa e solo una persona poteva sapere cosa si provava: suo padre. Era passato poco più di una settimana da quando lo aveva visto, da quando lui si era rivelato ai suoi occhi, e ancora era gonfio di rabbia, come un pallone pronto ad esplodere col più fragoroso degli scoppi. Ma non poteva permetterselo, non ancora almeno. Il Quartier Generale non aveva tempo di occuparsi della sua vita privata, nessuno lo aveva, quando una guerra espandeva le sue radici velenose sotto ogni città, ogni strada, ogni casa. Jeanine e Vasilov non avrebbero intrapreso un inutile conflitto celato agli occhi degli spettatori, o più spesso vittime. Ed era proprio questo modo di agire che aveva insinuato nuove incertezze nel mimetico, come acqua che scorre tra crepe rocciose, scavando ancora di più nel solco già profondo di un cuore martoriato e di una mente aggrovigliata. Se era quello che significava essere un ribelle, Nate aveva sacrificato la sua vita per una causa in cui non credeva o, peggio, era stato spinto a farlo in nome di un obbiettivo che non era tra le priorità della Resistenza. E così aveva fatto Erin, trovatasi intrappolata fin dalla nascita in quel mondo, senza nemmeno sapere cosa è che si stava perdendo... fors era meglio così, forse il dolore si sopportava meglio se quell'inferno era l'unico inferno mai conosciuto. Diciamocelo, la vita da ribelle non era una passeggiata e poteva ritorcersi contro chiunque in qualunque momento. Erano gli incompresi, i pazzi che vedevano il mondo per quello che era, coloro che sapevano cosa il Grande Fratello stava nascondendo e a lungo andare questo essere etichettati come reietti, matti, assassini portava la resistenza a meritarsi ogni singola parola detta contro ella stessa.
    Agivano in nome della verità, eppure tutti mentivano per portare avanti la battaglia.
    Combattevano un sistema oppressore, eppure anche loro si erano macchiati del medesimo peccato.
    Proteggevano chi ne aveva bisogno illuminandoli con lo smantellamento delle menzogne del governo, ma la luce non era altro che quella dei fuochi che avevano appiccato loro.
    «Ne vale davvero la pena?» cupo e grigio come il cielo di Londra, il suo sguardo incontrò quello di Erin «a questo punto, ribelli è davvero quel che vogliamo essere?» quello che stava facendo era pericoloso, lo era sempre stato, ma ora che lo aveva detto ad alta voce per la prima volta sembrava esserlo ancor di più. Poteva sentire ancora l'elettricità nell'aria cupa della tempesta, o magari era l'effetto di quelle parole che avrebbero potuto peggiorare la situazione. Sapeva che Erin non era l'unica a pensarla come lui, sapeva che centinaia di Ribelli in tutto il mondo avevano messo in dubbio la propria causa quando avevano saputo dello scontro all'Aetas, di come Jeanine si era esposta dando un'idea sbagliata a tutti di quello che la Resistenza faceva. Sarebbe bastato così poco per animare una guerra intestina ai ribelli, tra coloro che condividevano la strategia id Jeanine (o che perlomeno l'avevano perdonata) e chi invece non aveva nessuna intenzione di combattere sotto un nome sporco id sangue tanto quanto quello dei loro avversari. E sarebbe successo, forse non ora, ma Nathan sapeva che qualcuno non avrebbe sopportato ancora a lungo il peso di vittime delle quali non si aveva alcuna responsabilità. Forse sarebbe stato lui, in un altro mondo, ma non poteva farlo, non quando di mezzo ci sarebbero andate troppe cose, troppe persone: quelle poche che poteva dire di avere ancora sue. Abbasso la testa, portando tra le ginocchia raccolte al petto «lascia perdere...» sussurrò, desiderando che la Chipmunks gli disobbedisse, che fosse arrabbiata anche lei per quello che era successo. Lo era sicuramente, ma fu ancor più felice di non vederglielo scritto in faccia, fu felice di quando la mano di lei si posò sulla sua schiena strofinandolo in un gesto affettuoso e familiare.
    «vedrai che si risolverà tutto»
    «già...» annui con un sorriso debole e poco convincente, ancora nascosto tra le sue stesse gambe con solo il suo sguardo riflesso a poterlo vedere.

    12/08/2017
    Le ragazze erano corse tutte via a chiamare chi potevano per radunarli davanti alla vecchia tv, abbastanza grande però da non farli diventare ciechi guardando i pochi dvd che avevano. Erano poveri? no, ma ricchi non lo erano di certo. Fatto sta che sul divano rimase solo Nathan, la coperta di pile preferita stretta tra le dita, mentre lo sguardo puntava qualsiasi oggetto nella stanza, evitando accuratamente lo sguardo della Francese intrappolata nella scatola davanti a lui. Non sapeva chi altro chiamare e aveva realizzato troppo tardi che si sarebbe potuto alzare comunque per evitare quella scena imbarazzante. Eppure Jeanine non pareva nemmeno un poco a disagio, anzi sembrava quasi piacerle vedere il mimetico che si torturava le dita, strozzandole con la coperta fino a farle diventare viola. Probabilmente era solo lo sguardo che aveva imparato a sviluppare con gli anni, quegli occhi che avrebbero mascherato anche il più intenso dei sentimenti, quegli occhi che lo avevano già fatto chissà quante volte.
    Cosa avrebbe potuto dire per spezzare la tensione? Immaginò che esordire parlando di Doctor Who non sarebbe stato il massimo, probabilmente con tutte le faccende da Preside anche in estate dove a essere stata molto occupata e chissà se la tv francese mandava in onda le puntate del Signore del Tempo. La mente del Wellingotn si perse nei meandri di interrogativi stupidi legati a quei primi, dimenticandosi quasi che c'era una persona a fissarlo dall'altra parte dello schermo. Iniziò a domandarsi come avevano tradotto particolari battute e giochi di parole, se esistevano giochi di parole francesi o se la lingua si sarebbe annodata se parlavano troppo velocemente vista la natura sibilante e scivolosa della lingua, magari esistevano degli otorini laureati nello srotolamento di lingue annodate. Quando colse un movimento nella tv si ricordò della presenza estranea nella stanza e aprì bocca per dare voce a quelle domande che si stava ponendo silenziosamente «Jeanine voi com-» nessuno dei due seppe se si fermò per l'ingresso improvviso e precipitoso degli altri ribelli o se fosse stata colpa del sopracciglio biondo leggermente inarcato dalla donna. Fatto sta che il silenzio fu spezzato e Nathan scivolò verso uno degli estremi del divano, per lasciare la visuale agli adulti.
    Aveva diciannove anni, ma nessuno sembrava crederci più di tanto al Quartier Generale, eppure era certo di aver fatto molte più cose pericolose di quanto avessero pensato. Perchè sembrava che il conflitto lo inseguisse quando non era lui a cercarlo, sembrava che la morte non avesse gradito lo scherzetto che l'ex Tassorosso le aveva giocato, beffandola e sfruttandola a suo favore, usando il suo manto per rendersi invisibile. Ma no, lui era ancora il piccolo Nate, il ragazzino, nonostante la natura da soldato che gli si addiceva così poco, ma di cui necessitava così tanto.
    Fatto sta che fu messo in un angolino, ascoltando le domande che si accavallavano come mamme nel reparto bambino durante i saldi alla ricerca del completino più assurdo e più a metà a prezzo in cui infilare la propria prole. Lafayette ascoltò tutte le domande, lo sguardo gelido che non sembrava incrinarsi nemmeno alla più critica delle domande, finchè non giunse un'affermazione, quella che forse tutti avevano sempre saputo in cuor loro.
    Ma serviva sempre un aiuto, un sussurro all'orecchio che ti spinge a farlo e che non ti fa pentire di averlo fatto, il più delle volte.
    «sei stata tu a far esplodere la bomba.»
    La voce di Idem fu talmente bassa che Nathan avrebbe anche potuto fingere di non aver sentito, ma il movimento improvviso del busto che ruotava nella sua direzione lo tradì. Per quanto scioccato poteva scoprirsi, sapeva che si sarebbe dovuto aspettare una cosa del genere. Sapeva che, dopo tutte quello che era successo da quella fiera delle scienze, i due avversari quasi non si distinguevano più nel fumo e nel sangue versato.
    «Se non fosse per il Ministro che ha chiuso le frontiere a quest'ora saremmo stati anche noi uno dei vostri ennesimi bersagli» affermò con un rabbia sommessa a ribollire nel sangue. «l'ennesimo fuoco sulla mappa, ma no. Adesso che siamo ancora protetti, per quanto questo possa durare, vieni a chiedere il nostro supporto. Perchè sai che quel che hai fatto ha messo in discussione la nostra causa, sai che hai bisogno di rimediare» le si rivolse come se fosse stato un suo pari, perchè la rabbia aveva tolto di mezzo qualsiasi norma e regola della buona educazione che sua madre gli aveva insegnato. Si fottesse il rispetto per i più grandi, la riverenze nei superiori della scala gerarchica della Resistenza: gli Inglesi erano il territorio mancante sulla plancia di gioco di quell'infinito Risiko. Potevano dire e fare quel che gli parevano, avevano bisogno di loro e Jeanine era stata intelligente, cercando di ingraziarseli dimostrandosi l'unica fonte della verità: ma era ffidabile? se sì, fino a che punto? Non sembrava certo migliore di Vasilov e pareva quasi che lo scontro fosse sceso ben più affondo del "semplice" conflitto generato dall'Oblivion. C'era di più ed era quello il momento di svelare le carte.
    «Quali sono i tuoi veri piani? La lotta che stai portando avanti è per debellare le bugie dellìOblivion o per instaurare la tua dittatura? »
    Non sarebbe rimasto stupito dal sapere che Beaux Bauttons non voglio controllare come si scrive avesse aperto una sala delle torture per chiunque si fosse dimostrato anche solo minimamente titubante e in disaccordo con la Preside.
    Non era forse una versione più bianca e falsamente candida del Regime instauratosi lì ad Hogwarts?
    | ms.


    Edited by Archer83 - 14/9/2017, 23:36
     
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    Fece scivolare gli occhi sulla pagina del giornale senza davvero soffermarsi su nulla, mentre lenta una sigaretta gli si consumava tra le labbra – non aveva bisogno, Mitchell Winston, di leggere il titolo della prima pagina del Morsmordre: era sempre lo stesso. Non avrebbero più fatto notizia ormai gli articoli e le foto di esplosioni nelle città europee, le testimonianze di chi aveva perso tutto ed aveva visto ogni cosa con i propri occhi, le accuse neutre ed interpretabili dei giornalisti nascoste tra le righe dei loro resoconti, se solo ogni nuovo attacco non fosse sembrato ancora più terribile di quello precedente, ogni attentato più eclatante dello scorso; una gara a quale dei due eserciti procurava più morti e danni girando intorno all’obiettivo, come uno squalo che saggia l’acqua sporca di cremisi sangue prima di attaccare la preda. Passivo lo sguardo cadde sull’istantanea monocromatica, osservando le volute di fumo color seppia alzarsi al cielo dalle strade arse e distrutte di Siviglia: un’immagine che il censore aveva già visto troppe volte, negli ultimi giorni. Le aveva lette e rilette, quelle storie, tanto che avrebbe saputo ripeterle a memoria se solo gli fosse stato chiesto di farlo – ogni volta cercando nell’ufficio del Ministero informazioni da censurare e conservare, facendo affidamento alla propria infallibile memoria per riportarle intatte al Quartier Generale nel caso fossero servite alla Resistenza. C’era sempre, però, qualcosa che gli sfuggiva tra le vicende che andava a tagliare; c’era sempre qualcosa che lo preoccupava maggiormente, tutte le volte che gli occhi fissavano impotenti i volti rigati di lacrime e le case rase al suolo.
    Non era a quello, che sarebbero dovuti arrivare. Si erano spinti troppo oltre – e per quanto la sua fede nella rivolta fosse restia a vacillare episodio dopo episodio, non poteva non rendersi conto che la colpa fosse maggiormente la loro. Li avevano sempre definiti come terroristi, l’opinione pubblica ed il governo, e la cosa peggiore era rendersi conto che avevano sempre avuto ragione. Per quanto ancora potessero nascondersi dietro la sottile scusa del bene superiore, il Winston non lo sapeva: se continuavano di quel passo – i ribelli, ma anche il resto della popolazione -, probabilmente entro poco tempo non ci sarebbe stato più alcun fine utopico per il quale sventolare il proprio vessillo di guerra.
    Sarebbe rimasto lì ad osservare la stessa immagine per il resto del pomeriggio, cercando tra gli angoli della foto e le didascalie qualcosa di nuovo, qualcosa che gli era sfuggito in precedenza, se solo la voce di Will lì vicino, affacciato sul balconcino che dava sulla Londra babbana, non lo avesse riscosso – fino ad allora, quasi si era scordato di essersi seduto lì fuori in compagnia dell’amico: estraneo al silenzio del Barrow ed ai rumori della città, quando prendeva tra le dita i fogli di un quotidiano; estraneo a se stesso, Mitchell Trevor Winston. «idem…» lasciò il giornale alla presa della sola mancina ed il fumo a scivolare dalle narici, allontanando la sigaretta dalle labbra per evitare che la cenere gli cadesse in grembo. Non si chiese se stesse parlando con lui o se, di nuovo, aveva avviato un monologo destinato alle sue sole orecchie, attendendo che continuasse mentre riprendeva più saldamente i fogli tra le mani. «quello è un pigiama?» come il più veterano ed esperto dei vecchi seduti alle panchine sui marciapiedi delle strade di paese, il ventiseienne piegò la parte superiore del quotidiano, rivolgendo un sopracciglio alzato oltre il limitare del balcone; sorrise, prima di alzarsi e, affacciandosi, vedere che , l’ex segretaria dei ribelli era andata a trovarli con indosso un completo da notte. Sollevò la mano in cenno di saluto alla ragazza, mentre il Barrow decantava i bassi gusti stilistici della sorellastra; ah!, quanto la invidiava in quel momento – Idem, non Niamh. Avrebbe voluto anche lui poter restare in pigiama tutto il giorno, magari sul letto con la sola compagnia di una tazza di caffelatte ed un buon libro - e invece no: non lo sapeva nemmeno lui, perché fosse lì quel giorno. «a proposito di niamh» incalzò, rivolgendo le spalle al panorama sotto di loro mentre la Withpotatoes entrava nel Quartier Generale, le iridi chiare a cercare il profilo del migliore amico. «ho letto su polgy girl» sì, non se ne faceva sfuggire uno di giornale. «che tu e lei avete rapito l’ex di tua sorella»
    Ora. Mitchell non era nessuno per giudicare ma quando mai, né voleva rimproverare l’altro per uno pettegolezzo sì che voleva, però. Almeno un po’ di discrezione, ecco. «non mi nascondi nulla?» lo fissò, come ogni madre fissa il figlio adolescente che ha scoperto spacciare droga nei sobborghi della città, un folto sopracciglio arcuato sopra due sottili finestre azzurre – ma non seppe mai se l’aveva ignorato, o non lo avesse proprio sentito. Quando Erin comparve davanti a loro, non ebbe tempo per ripetere le sue domande o fare altro. Giusto quello di fare un ultimo tiro di sigaretta prima di gettarla nel posacenere, prima di seguire i due all’interno accigliato. «suvvia, will» si avvicinò all’altro, gettando appena uno sguardo allo schermo davanti a loro prima di posare la mano sul braccio dell’amico, abbassandoglielo. «è maleducato» glielo aveva detto un sacco di volte che era sgarbato indicare le prostitute sul ciglio della strada. I tempi in cui si era fidato della figura della Lafayette, erano ormai svaniti – come avrebbe potuto farlo ancora, dopo l’accusa pubblica al funerale?

    «BENE ALLOR-» Phobos Xavier Campbell si bloccò all’istante subito dopo aver varcato l’uscio, la bocca ancora spalancata e tra le braccia ciotole enormi di schifezze varie – dalle patatine in busta ivi svuotate, a stuzzichini e bottiglie di fanta e coca cola infilate sotto l’ascella come il miglior portatore di baguette francese. Inopportuno, lo era anche quando cercava con tutto sé stesso di non esserlo, e di certo in quel momento più di altri: perché nessuno lo avvisava mai dei cambi di programma? Era rimasto a quando aveva sentito urlare i bambini mentre cercavano DVD e videocassette chissà dove per la struttura, e si era adoperato come meglio aveva potuto per preparare per i quattro uno spuntino che, ovviamente, non poteva mancare mentre si vedeva un film; quando era entrato nella stanza, lo aveva fatto con le migliori delle intenzioni – non si aspettava di certo una videoconferenza con la Resistenza Francese. Restò immobile a fissare la piccola folla adunata davanti al maxischermo, chiudendo a fatica la bocca; cosa stava succedendo? «ho portato degli snack» disse comunque, facendosi strada tra i giovani – che peso, essere i più anziani lì dentro – per posare scodelle e bevande su un tavolino lì vicino, accessibile a tutti: poteva non essere un film, quello, ma meritava comunque un accompagnamento. Poteva essere un momento serio, quello, ma era pur sempre un Phobos. Jeanine Lafayette non la aveva più vista da quel funerale: aveva sentito dire di un processo, ma non aveva approfondito molto le ricerche – aveva avuto altro, a cui pensare. La sua (più o meno) presenza lì era particolare; tutti, subito, ne approfittarono. «mettete in salvo quante più persone possibili, almeno» non fu una domanda, la sua – seria, la voce dell’uomo, mentre rivolgeva quella supplica alla Francia. Non gli erano sfuggiti i vari attentati che avevano continuato a divagare per le strade dell’Europa continentale: loro, fintanto che la Oshiro teneva chiuse le frontiere, potevano illudersi di essere al sicuro. Ma tutti i babbani, gli innocenti ed i bambini che morivano per una guerra non loro? Era il minimo. «immagino possiate farlo, no? Qualche struttura sparsa per il paese, almeno»

    «sei stata tu a far esplodere la bomba»
    «che cazzo sta succedendo?»
    Mitchell Winston non distolse lo sguardo duro dalla figura davanti a loro, cercando quasi di studiare la figura della preside di Beauxbatons. Cosa cazzo stava succedendo? Dubitava che persino lei lo sapesse: a suo dire, aveva lasciato il tutto alle mani del fato, presa dal panico. Se era vero che aveva fatto esplodere la bomba sul suo stesso territorio, non poteva che essere sul filo del rasoio, in bilico tra ragione e follia. Ma una cosa, era abbastanza certa. «qual è la tua prossima mossa, jeanine?»
    Se quella ancora non era una guerra, poco ci mancava.
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    Think of the one thing that you’ve always wanted. Now find it in your mind’s eye and feel it in your heart
    He'd burn the whole world down till he could dig you out of the ashes
    Nelle ultime settimane l'intera comunità magica, in particolar modo quella risiedente in Europa, aveva assistito ad un escalation di violenza. Alec non riusciva a capacitarsi di tutto ciò che stava succedendo, sembrava uno di quei giochi da tavolo in cui si muovevano le pedine e si lanciavano i dadi per scoprire chi aveva ora il controllo di quella particolare zona, ma quello non era un gioco e la battaglia non era determinata dal lancio di un paio di dadi. Non c'entrava nulla chi otteneva il numero più alto dal lancio, anche se doveva ammettere che a dirla tutta il vincitore pareva essere chi lasciava dietro di sé la scia più lunga di cadaveri. Al passaggio delle armate numerosi babbani perdevano la vita inconsapevoli di essere manipolati dai maghi che avrebbero dovuto proteggerli dalla magia, ed invece erano loro che li stavano uccidendo. Si sentiva arrabbiato e frustrato perchè stata fallendo nel suo lavoro. Avrebbero dovuto occuparsi di tutte quelle vite e proteggerle dal massacro, invece erano la prima causa di morte dei babbani.
    Più li guardava e più vedeva un ammasso di formiche oberate di lavoro che venivano schiacciate dalla scarpa magica che i maghi indossavano in battaglia.
    Ma le vittime non si trovavano solo tra i babbani. No, certo che no. Una vera battaglia prevedeva morti tra le fila delle armate e figuriamoci se dovevano essere delusi. Se avesse partecipato alle missioni avrebbe certamente perso la vita insieme a tutti i loro compagni, perchè quello erano gli uomini che avevano perso la vita per una battaglia inutile. Compagni.
    Seguivano gli ordini, attaccavano un luogo prestabilito o forse no, ma attaccavano ed i babbani morivano. Ma poi, anziché tornare a casa, li seguivano a ruota lasciandosi dietro famiglie distrutte dal dolore della perdita dei loro cari.
    Era un fottuto gioco e chiunque ne stesse tirando le redini, era privo di cuore. Cosa poteva portare tanto dolore? Non c'era niente che potesse giustificare tali atti di violenza, così com'era accaduto anche al cimitero. Tra mangiamorte e ribelli non riusciva più a comprendere, c'era qualcosa di profondamente sbagliato e sospetto dietro quegli attacchi. Possibile che nessuno riuscisse a fare nulla? Possibile che scoprire il colpevole fosse tanto difficile?
    Voleva solamente vivere la sua vita in santa pace, d'accorto combattere il nemico ma quello non era affatto un nemico, erano atti di guerra casuali o forse servivano a lanciare un messaggio. Non si sarebbe sorpreso della cosa, ma era anche più difficile pensare a quante vite erano state spezzate da un gioco di potere, un gioco che avrebbe fatto più vittime di quante ne aveva fatte fino a quel momento.
    La scia di avere presto sarebbe diventato un oceano di cadaveri, l'oceano rosso, altro che Mar Rosso. Sospirò passandosi una mano tra i capelli, stringendoli e tirandoli con forza. Quando era nervoso sentiva solamente il desiderio di colpire un sacco da box, in alternativa la faccia di qualcuno era un'idea niente male.
    Qualcuno bussò alla sua porta e gli lanciò una maledizione a bassa voce. Si affacciò giusto in tempo per notare un gran via vai. A rapporto, videoconferenza in corso con Lafayette le sopracciglia si sollevarono sospettose. Sospirò tornando nella stanza e lasciando un bacio sulla fronte di Catarina che si era appena addormentata, non gli piaceva lasciarla da sola nella stanza ma sperava di tornare prima che si svegliasse perchè sapeva che si sarebbe svegliata ad un certo punto, lo faceva di continui da quando Al non era più con loro, si era abituata alla sua presenza ed ora era difficile disabituarsi.
    Scese al piano di sotto insieme agli altri che si era raccolti dinnanzi allo schermo. Li ascoltò parlare per qualche minuto quanto un'esclamazione gli fece gelare il sangue nelle vene non stai davvero uccidendo i tuoi stessi uomini vero? Non puoi essere tanto perfida, per cosa poi? Il potere? É di questo che si tratta vero? Una questione di potere scosse il capo sentendo la testa girare Era davvero necessario? Vale davvero al pena perdere tante vite? le chiese incrociando le braccia al petto a che gioco stai giocando? Cosa sperate di ottenere da tutto ciò? non sapeva nemmeno se aveva fatto le giuste connessioni, ma poco gli importava. La stava accusando? Sì.
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  8. jeanne‚ who else?
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    preside di beauxbatons | ribelle | 42 y.o.
    jeanine lafayette
    one shall stand
    and one shall fall
    so this is how liberty dies || 12.08.17 - 14:00
    Jeanine unì le dita fra loro, impermeabile al tono ironico d’accusa della giovane Markley. Uomini e donne ben più vissuti di lei avevano tentato di farla sentire colpevole, ma mai nessuno di loro era riuscito a cavarne una reazione: la Lafayette si sentiva in colpa da decadi, non aveva bisogno che loro glielo ricordassero. Non avrebbe mostrato la propria debole consapevolezza di aver compiuto terribili gesta per una causa più grande di loro – quel che andava fatto, piacesse o meno, andava fatto. Le rivolse un sorriso cortese, le palpebre a sbattere lente su un paio d’occhi trasparenti e freddi.
    A quanto pareva non aveva molti fan fra i ribelli inglesi. Le dispiacque, ma non avrebbe perso il sonno: non doveva essere lei a piacere, ma quel che avevano in comune. Era la ribellione ad unirli, non l’amicizia. Attese che le porte del Consiglio venissero chiuse, un espressione di rammarico nell’accorgersi della vistosa assenza di Keanu Larrington: sperava non fosse nulla di personale.
    Immaginava che sarebbe stato difficile, ed era preparata a quella serie di interrogativi – li aveva chiamati anche per quello, Jeanine. Per confutare i dubbi che sapeva covavano dentro il petto, e che lasciati a marcire sarebbero divenuti rancore ed odio.
    «Perché ha voluto dichiarare colpevole vasilov durante il funerale?» Era addestrata per interrogativi del genere, sapeva come muoversi nelle insidiose acque del vago. Doveva essere sincera, quello glielo doveva, ma non rimanere scoperta, quello se lo doveva. Spostò lo sguardo su Jessalyn, negli occhi la tristezza di vedere una tale angosciata rabbia nei tratti così giovani di lei – sperava capissero, Jeanine. Lo sperava sempre. «Non poteva aspettare per lo meno la fine di quella giornata?» Sì, avrebbe potuto. Annuì, le mani intrecciate fra loro sulla scrivania. Aprì la bocca per rispondere, ma l’avanzata di Idem Withpotatoes la mise a tacere in rispettosa attesa: «io lo so, perché» Lo sapeva? Reclinò il capo, i perfetti capelli d’oro pallido immobili sul fine ovale del viso. «sei stata tu a far esplodere la bomba.» Jeanine Lafayette la guardò, quella fanciulla provata da troppi conflitti in un lasso di tempo troppo breve – le vide tutte, quelle battaglie, negli occhi blu con la quale la Withpotatoes ricambiò la sua occhiata. «Ma perchè avrebbe dovuto uccidere la “propria” gente?» Non guardò Hope Mills, ma annuì secca: «giusto: perché mai avrei dovuto?» il tono incrinato, le dita a serrarsi maggiormente fra loro.
    Perché avrebbe dovuto?
    Fu la sua unica risposta. Tornò a guardare Jessalyn: «sono terribilmente dispiaciuta di aver interferito con la cerimonia, ma in un altro luogo non avrebbe sortito lo stesso effetto» si alzò in piedi, le spalle rivolte allo schermo mentre avanzava di un passo all’interno del suo ufficio. «un giorno avremo il tempo che non abbiamo quest’oggi, ribelli. un giorno potremo piangere i nostri martiri – non questo» ed ancora si girò verso di loro, la schiena dritta e le labbra strette in una linea dura. «dovevo cogliere l’opportunità di screditare vasilov prima che potesse trovare seguaci,» una pausa. «alleati. Siamo in guerra, inglesi, che vi piaccia o meno» non aveva rimpianti, Jeanine Lafayette.
    Non per quello. «ho fatto quel che era necessario» non disse che l’aveva fatto anche per loro, i morti dell’attentato – non si sarebbe osata tanto in un territorio così personale. «Non avrebbe dovuto accettare la provocazione» Guardò Gwen, un sospiro a svuotare i polmoni. «Dovrebbe fermarsi, dico sul serio» Scosse la testa, chinò il mento. Quando alzò il viso verso lo schermo incantato, in una pallida risata mostrò i denti bianchi e perfetti – quelle risate che nascevano dal fastidio, piuttosto che dal divertimento. Non seccatura nei confronti della ribelle, era legittimata a pensarlo nella sua giovane e fragile età, quanto nei confronti di quella triste realtà. «abbiamo aspettato abbastanza a lungo, è il momento di combattere: non si può fermare una rivolta, gwendolyn» soprattutto non una che era già in atto.
    Era troppo tardi per tornare indietro.
    «cosa cazzo sta succedendo?» Sempre fine, l’ex leader della Resistenza. Se con altri poteva essere più benevola e perdonare atteggiamenti scontrosi ed iracondi, con William non si sarebbe abbassata a tanto: lui sapeva, quanto lei, qual era la situazione nel mondo magico. Lui, in Inghilterra, aveva tenuto le redini della Ribellione per anni.
    Gli rivolse un’occhiata glaciale, un sopracciglio sollevato. «barrow.» un altero cenno con il capo verso di lui, un passo in direzione dello schermo. «ci sono modi e modi per porre un quesito, ed il tuo sfiora l’indecenza» arricciò il naso, gli occhi chiusi. «dovreste sapere cosa sta succedendo: noi, stiamo lottando» enfatizzò quel noi riaprendo le palpebre, il più freddo dei mari del nord a far capolino sotto le ciglia bionde. «voi non potete certo dire lo stesso.» poteva biasimarli?
    Sì, e l’avrebbe fatto. Tornò a sedersi, le mani giunte in grembo. «ciò che è successo nel mondo, magico o babbano che sia, potete tranquillamente apprenderlo dai notiziari» una pausa. «quello che ancora non potete sapere, è che vasilov è riuscito a superare le nostre barriere, ed è entrato in francia» il tono pragmatico di chi non aveva tempo per lasciarsi coinvolgere da una crisi politica – perché la guidava, la crisi. «abbiamo dovuto…» agitò la mano alla ricerca della corretta parola inglese. «chiudere tutti i contatti con l’esterno – con i babbani. Da oggi, non possono più essere una nostra responsabilità. Questione di scelte – non mi aspetto che capiate, ma sappiate che non è stata una decisione a cuor leggero» ecco, cosa stava succedendo. «confido che riusciremo a resistere ancora un po’, ma è una soluzione in estremo.» in altre parole, Jeanine Lafayette era perfettamente consapevole che non sarebbe riuscita a reggere l’offensiva del Drago ancora a lungo.
    «Pensi davvero che sia la mossa giusta quello che stiamo facendo?» Guardò Hope Mills, il sorriso ad addolcirsi. «sì, bambina» era l’unica certezza che avesse.
    Non era colpa sua se ciò ch’era giusto non sempre lasciava le dita immacolate.
    «Quali sono i tuoi veri piani? La lotta che stai portando avanti è per debellare le bugie dell’Oblivion o per instaurare la tua dittatura? » La sua… dittatura? Se non fosse stata l’elegante e posata preside della scuola francese, Jeanine avrebbe riso – ma lo era, e si limitò ad un amichevole ed impersonale sorriso di circostanza. «in tutta sincerità, non sono mai stata d’accordo con la politica inglese» tamburellò le unghie sulla scrivania, dita a disegnare linee distratte sul legno bianco. «credo che la verità sia sopravvalutata. Credo che dovremmo darci un’altra priorità - la libertà» tacque. «il mondo sta cambiando, nathan. le persone stanno cambiando, cominciano ad aprire gli occhi su ciò che è giusto, e ciò che è sbagliato. Non siamo visti bene dalla popolazione; andar in giro a sventolare di un mondo diverso, ci farebbe passare per ottusi idealisti.» fermò il gesto delle mani, alzò lo sguardo. «il nostro compito non è dire che il passato era differente, ma che abbiamo altre possibilità per il futuro. A questo, nessuno potrebbe ribattere con incredulità – può esistere, una realtà del genere.» lanciò un’occhiata a Will, prima di tornare a guardare il giovane Wellington. «siete sempre stati troppo ancorati al passato, in gran bretagna. noi puntiamo al domani – tutto ciò che facciamo, è per domani» e questo ti permette di dormire sonni leggeri, Jeanine? No.
    Ma avrebbe continuato in ogni caso a perorare la sua causa con i metodi che riteneva più opportuni.
    «mettete in salvo quante più persone possibili, almeno. immagino possiate farlo, no? Qualche struttura sparsa per il paese, almeno» Reclinò il capo. Rimase in silenzio una manciata di secondi.
    «no.» no? «no, non possiamo. Se avessimo potuto, non sarei qui»inspirò, strinse le dita attorno al bicchiere di bourbon. «non vi chiedo di disobbedire al vostro ministro venendo in nostro soccorso – come avete sottolineato più volte, a quanto pare, non è la vostra battaglia» un sorriso ironico, freddo.
    Sincero, però. «sono qui per avvertirvi.» «qual è la tua prossima mossa, jeanine?» Abbandonò la schiena sul sedile della poltrona, le palpebre nuovamente serrate. «cercare di sopravvivere» ribattè onesta.
    Cercare di sopravvivere.
    «Era davvero necessario? Vale davvero al pena perdere tante vite? a che gioco stai giocando? Cosa sperate di ottenere da tutto ciò?» E comprendeva anche Alexander, senza dubbio – ma era stanca, perfino Jeanine, di sentirsi riversare addosso una rabbia che , meritava, ma che avrebbero dovuto condividere.
    Avrebbero dovuto essere una squadra, loro. Massaggiò la radice del naso, il capo chinato verso il basso mentre, misurando ogni parola, rispondeva al Lowell. «sì, alexander. Sì, mon dieu, era davvero necessario – vi credevo più svegli di così, ragazzi.» espirò lenta, odiandosi per aver lasciato trasparire quell’avvilente rabbia fredda. «che vi piaccia o meno, che siate d’accordo o meno, siamo in guerra: questi sono i fatti. pensavate forse che diventare ribelli avrebbe significato spargere arcobaleni e fiori su ogni organo istituzionale governato dai mangiamorte?» prima che potesse trattenersi, picchiò secca il pugno sul tavolo. «siamo carne e sangue anche noi. Siamo fuoco e cenere – e su fuoco e cenere dobbiamo costruire il nostro mondo» gli occhi ora aperti a ruotare su Nathan. «nostro - mio, quanto tuo. Mio quanto dei vostri amici, della vostra famiglia» non disse che v’erano alte probabilità che lei neanche ci sarebbe stata, a vedere quel mondo. Non era il tipo da far osservazioni del genere, e pregava fossero abbastanza brillanti da giungere a quella conclusione anche da sé.
    Riacquistò la patina di pacata cortesia. Si ricompose, schiena dritta e mani intrecciate davanti a sé. Perfino gli occhi parvero sciogliersi, più umani, mentre cercava i loro sguardi. La loro attenzione, i loro battiti.
    Non voleva il loro perdono, Jeanine Lafayette. Voleva la loro rabbia.
    «fra non molto vasilov busserà alla mia porta, e quella sarà la mia personale resa dei conti» sollevò una mano prima che qualcuno potesse interromperla. «sono qui per ringraziarvi, in nome della mia patria, per ciò che avete fatto per noi in passato. E sono qui per chiedervi, da donna a uomini, di prendervi cura della mia gente, quando ne avranno bisogno.» Non se, quando. «vi permetto di odiare la sottoscritta, ma loro non hanno alcuna colpa: meritano di avere ancora una casa, la promessa di un futuro migliore.» una pausa. «sono qui per chiedervi, in vece dei miei sottoposti, asilo politico.» non in quel momento, certamente, ma il non detto non aveva bisogno di essere specificato.
    Presto, molto presto.
    «e sono qui per dirvi che vasilov sta cercando qualcosa, e che quel qualcosa non può assolutamente finire nelle sue mani: si trova nella mia scuola, nascosto. Non posso dirvi altro, sarebbe troppo…pericoloso. so che a tempo debito ce la farete, se lo vorrete.»
    Si alzò in piedi. Li guardò tutti. Rivolse loro un mezzo inchino, sorridendo piano – grata, e meravigliosa.
    «protéger la foi. ne paniquez pas, soyez vigilants.»
    Un educato ed aggraziato saluto militare.
    Jeanine Lafayette interruppe la chiamata.


    | ms.
     
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