[ funeral party ] gone but not forgotten

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    (mabel)|17 y.o.|rav|neutral
    Amalie Shapherd

    She dreamed of paradise
    every time she closed her eyes.

    It’s not what you painted in my head || 03.07.17
    Amalie stringeva la mano della piccola Tupp. Evidentemente era riuscita a guadagnarsi la fiducia della bambina nel momento stesso in cui le era arrivata davanti e le aveva rivolto il miglior sorriso che potesse rivolgerle, considerata la situazione in cui si trovavano. E lì, dal palco, aveva assistito a tutto ciò che stava succedendo in quel parco, davanti ai suoi occhi, eppure la ragazza non sapeva cosa fare per fermare quella situazione. Perché lo vedeva, ad ogni bacchetta che si alzava ed ad ogni incantesimo che veniva lanciato, ad ogni discorso che veniva fatto, ad ogni espressione dei presenti che passava da addolorata a preoccupata, che le cose stavano evolvendo troppo in fretta. Che quella miccia, lanciata da Vasilov nel momento stesso in cui si era alzato in piedi per applaudire, era già divampata in un incendio, sempre più difficile da spegnere mano a mano che il tempo passava. E la ragazza avrebbe voluto far qualcosa per spegnerlo, o almeno provarci. Eppure rimase ferma sul posto, con l'unico intento di proteggere la piccola: in quel momento, Tupp era la sua priorità . E le si era riempito il cuore nel vedere altre persone salire sul palco con lei, mosse dallo stesso fine. Sorrise a Cora perché ne era certa, dal momento in cui si era alzata, che avrebbe corso il pericolo e l'avrebbe seguita . Sorrise a Joey, che le aveva raggiunte poco dopo. E sorrise a Jade, ammirando il suo coraggio nel rimanere lì, mentre aveva mandato il figlio a casa.
    Se fosse stata più grande, più esperta, ci avrebbe provato. Avrebbe cercato di mettere la parola fine a quello scontro. Eppure non ebbe nemmeno il tempo di valutare se fare o meno un discorso, quando ritrovò nelle parole di Helianta Moonarie le stesse che avrebbe voluto pronunciare lei. «...Una briciola di compassione verso di noi, che ci siamo trovati nel fuoco incrociato, bloccati in un conflitto che non è nostro ma che sta avvenendo a casa nostra» Amalie si ritrovò a fissare i presenti a quella commemorazione. Quanti erano lì per caso? Quanti, in quello scontro, non c'entravano nulla? Gli studenti, i bambini, Tupp. Lei stessa era lì senza nemmeno conoscere i defunti. Eppure aveva pianto per loro, ma sopratutto per il vuoto che avevano lasciato nella vita dei loro cari. Nessuna di quelle persone meritava ciò che gli era accaduto, ma ancora di più non meritavano che quella giornata, di commemorazione, lacrime e accettazione, venisse trasformata in un bagno di sangue. Non lo meritavano.
    Se fosse stata più grande, Amalie avrebbe detto a CJ di rimanere al suo posto. Perché aveva avvertito subito una stretta alla bocca dello stomaco quando si era alzato in piedi e diretto verso il palco, per tenere il suo discorso. Eppure quando aveva iniziato a parlare, la bionda aveva provato un moto d'orgoglio nei suoi confronti: Amalie era figlia unica, eppure ascoltando il ragazzo si sentì come una sorella maggiore fiera di suo fratello, nonostante lei e CJ avessero la stessa età. Perlomeno in quella vita. E le morì il sorriso sulle labbra quando lo vide iniziare a tossire. No, non era tosse normale, era sangue. Sentì Tupp stringerle ancora di più la mano, avendo notato anche lei il sangue del ragazzo, preoccupata, proprio come lo era Amalie. Si azzardò a fare un passo in avanti nella sua direzione ma lui si tirò velocemente indietro. «no ... sto..merda» La ragazza lo vide accasciarsi al suolo, continuando a tossire sangue. Merda. Lasciò la mano di Tupp, passandole velocemente una mano tra i capelli. «Vado a vedere come sta e poi torno, va bene?» Lo disse nel modo più tranquillo possibile, anche se di tranquillo quella situazione non aveva nulla. La bambina annuì decisa, e così Amalie si avviò verso il tassorosso.
    «a meno che jean non smentisca le accuse poste dalla sua nazione, lui morirà.» Provò un moto d'ira nei confronti di Vasilov, un'emozione che di solito era del tutto sconosciuta alla ragazza. Nonostante i suoi forti ideali, nonostante la sua ferma convinzione che la guerra fosse inutile, nonostante il suo totale rifiuto della violenza, in quel momento Amalie lo desiderò morto. Sul serio. Perché era inaccettabile ciò che stava facendo, era disumano. Si ritrovò ad inveire contro il Drago, le parole che uscivano dalla sua bocca senza che se ne accorgesse nemmeno «È un ragazzino, cristo santo, un ragazzino Ironico, detto da lei. Sicuramente sembrava un cucciolo indifeso, lì sul palco, e sembrava pure più piccola di CJ. Ma in quel momento, anche se la ragazza non lo sapeva, non poteva saperlo, era Mabel a parlare. La Mabel che si prendeva sempre cura di tutti. La Mabel che, nonostante difficilmente lo mostrasse apertamente, voleva bene a suo nipote e non avrebbe mai sopportato di vederlo ferito. «Come fai a svegliarti la mattina con la consapevolezza di essere una persona così brutale, come.
    E doveva aspettarselo, di venire attaccata, nel momento stesso in cui aprì bocca. Ed in realtà non le interessava più di tanto, perché ciò che importava davvero in quel preciso istante erano due cose: l'aver potuto dire la sua a quell'uomo e l'incolumità delle persone a cui teneva. CJ era a terra sanguinante, mentre rischiava di morire. E, come se non bastasse, portando lo sguardo sulla folla vide per la prima volta Erin, quel giorno. Dove non l'avrebbe mai voluta vedere. Perchè cercare di fermare Eugene e Connor aggrappandosi alle loro braccia non le sembrava un'idea brillante: avrebbe potuto beccarsi un incantesimo e rimanere gravemente ferita. Ed era così preoccupata per la sicurezza della ragazza da non accorgersi che era lei, quella che stavano per colpire.
    «questo è colpa vostra»
    E quell'incantesimo se lo sarebbe beccato in pieno petto, se Gene Campbell non l'avesse dirottato. E se CJ non l'avesse fatta cadere a terra, agganciandola con le sue gambe. «Non dirmi che questa è la tua vendetta per averti chiamato ragazzino!» Ma nonostante il dolore all'osso sacro, Amalie sorrise di gratitudine al ragazzo. «ti copro le spalle» «Grazie, davvero. Ed anche a te.» Alzò lo sguardo verso l'altro tassorosso. Ma poi ritornò alla realtà . CJ stava male e non doveva fare sforzi del genere. Non poteva. «Sei un idiota!» Gli urlò contro, prima di vederlo mentre chiudeva gli occhi e perdeva i sensi. Di nuovo. Introno a loro si era raccolte più persone, e quando vide arrivare Cain Cash a curarlo, Amalie si tirò indietro, ancora seduta sul pavimento affianco al ragazzo. Alzò lo sguardo su Cain «Salvalo, ti prego salvalo. » E poi rivolse un'ultima occhiata a CJ . «Diamine, non puoi morire così, non puoi. Quindi vedi di aprire gli occhi.»
    Amalie si rialzò in piedi, guardando tremate le macchie di sangue, non appartenente a lei, che erano andate a macchiare la sua maglietta. No, non poteva andare così. Quella situazione era sbagliata, tutto era tremendamente sbagliato.
    Si guardò intorno, non sapendo cosa fare. "Rifletti Amalie, rifletti". E poi le venne un'idea. Avventata, pericolosa, ma pur sempre un'idea. Si diresse verso Arci e il ragazzo vicino a lui. Aveva preso l'aspetto di Vasilov giusto? Beh, era arrivato il momento che facesse qualcosa di utile. Si posizionò davanti ai due, senza convenevoli, senza preamboli. Voleva risolvere quella situazione, e voleva farlo al più presto.
    «Prendi le sembianze della Lafayette » Sembrava più un ordine, che una proposta. Beh, in realtà lo era «Possiamo fermare questo casino» Poi si girò verso Arci. Poteva contare su di lui? Ci sperava. In fondo, anche se nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso a voce alta, erano amici. Sperava fosse abbastanza. «Noi possiamo occuparci di quella vera. Metterla k.o., nasconderla, non lo so, fare qualcosa In quel momento, non gliene fregava nulla delle conseguenze. Sperava di aver convinto quei due, ci sperava davvero. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di fermare quell'inferno. Non le importava dei rischi che avrebbe corso. Non le importava per la sua, di incolumità. Voleva solamente che le persone a cui teneva fossero in salvo.
    | ms.


    Allora, urla un pochino contro Vasilov, implora Cain di salvare CJ, e l'unica cosa "rilevante" - ma dove - che fa è andare da Noah, ed ordinargli proporgli di prendere le sembianze della Lafayette in modo da ritirare le accuse e propone ad Arci di far scomparire (?) quella vera per non destare sospetti #wat
     
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    maple walsh
    she dreams in colors she dreams in red
    ”Io devo fare qualcosa” le aveva detto, porgendole le chiavi della vettura, pregandola di andar via. Dire che la cosa la stupì era dir poco, Connor Walsh che la pregava di far qualcosa, di solito trapelava un tono imperativo, in un’altra occasione si sarebbe trattato di un vero e proprio ordine, con un molto probabile contorno di calci in culo. Per un istante, uno solo, le luccicarono gli occhi dalla meraviglia, avvertendo quel suo irrefrenabile desiderio di guidare l’auto del padre poter finalmente divenire realtà. Innumerevoli volte aveva spostato lo sguardo dalla mano alle pupille del fratello, vagando da una sensazione di confusione, ad una di paura, ad una di strana eccitazione, mentre fasci luminosi di diversi colori sfrecciavano proprio dietro la sua nuca. Aggrottò la fronte, incredula, ed avrebbe voluto dir qualcosa, dare un qualche cenno di risposta, ma nessun suono sembrava voler uscire dalle labbra appena socchiuse. Era entrata in una sorta di limbo, una fase di stallo in cui continuava a non avere la più pallida idea di come muoversi; e per un attimo si immedesimò in quel noiosissimo Amleto, terribilmente indeciso, finalmente cogliendo la drammaticità della sua situazione ed imprecando contro sé stessa per essersi addormentata durante la fase finale dell’opera – convinta che, se fosse stata vigile e concentrata, le sarebbe potuto tornare utile in qualche modo. Di coraggio non ne aveva per nulla, Maple Walsh, ma mai avrebbe lasciato il fratello lì, tagliando la corda da quel caos generale scoppiato all’improvviso. Non seppe neppure lei come aveva fatto a dir di no – e forse, neanche lo aveva fatto, era semplicemente che glielo si leggeva stampato a caratteri cubitali sulla fronte -, ma Connor ritirò la mano con cui le aveva porso chiavi, infilandole rapidamente in tasca. Sospirò profondamente quando le si avvicinò ancora una volta, avvertendo una sensazione di vuoto non appena sentì il suo corpo andarsene via. Doveva, o meglio sentiva di dover far qualcosa, convinto che la scelta migliore sarebbe stata quella di inseguire ciò che riteneva più giusto: un gesto tanto nobile, quanto idiota. Avrebbe voluto gridarglielo contro, Maple, quanto fosse imbecille, avrebbe voluto corrergli dietro, lanciargli qualcosa contro, non voleva rimanere da sola, non in quel momento, non in mezzo a tutte quelle persone. “Per Merlino Connor, non lasciarmi qui!” sentiva di dovergli dire, correndogli dietro, aggrappandosi ancora una volta al suo braccio, ma appariva immobilizzata, ancora congelata, con i muscoli incocepibilmente atrofizzati. Cosa accadde poi, non lo capì neanche lei. Era come se qualcuno le avesse dato un improvviso schiaffo, una scossa tanto forte da svegliarla, da permetterle di sradicare quelle radici che le erano spuntate da sotto la pianta dei piedi e di fare qualche passo in avanti. Le sarebbe stato incollato al sedere, questo era il suo piano. ”Conn-” aveva gridato, colta da un’improvviso desiderio di corrergli incontro, quando una scia bluastra e tanto luminosa da quasi accecarla le tagliò la strada, costringendola a bloccarsi. Dire che impallidì dallo spavento è dir poco: era così bianca da sembrare un fantasma. Non aveva idea di che incantesimo fosse, ma non era rivolto a lei, doveva essersi trovata sulla sua traiettoria nel mentre cercava di seguire Connor. Era stata talmente concentrata sulle parole del fratello, sull’essere incazzata con lui perché aveva deciso di lasciarla lì, che doveva essersi persa gli ultimi scambi di battute, ritrovandosi – ancora una volta – terribilmente confusa. Si guardò intorno spaesata e per un attimo desiderò ardentemente di accovacciarsi su sé stessa e chiudersi a riccio, con le palpebre serrate e le mani sulle orecchie, come se così facendo avesse potuto finalmente isolarsi da quel disastro. Le era sempre piaciuta l’idea di poter avere un posto sicuro, un luogo nel quale rifugiarsi ogni volta ne avrebbe avuto bisogno, dove il silenzio è interrotto solo dal cinguettio degli uccelli o dal fruscìo delle foglie; e vi si sarebbe fiondata immediatamente, se quel dannato conflitto interno che si andava articolando nella sua mente fra cosa fare-cosa non fare fosse terminato. Lo aveva perso di vista, Connor, non lo vedeva più, era andato puff volatilizzato, ed un sentimento di angoscia le inondò prima il petto, raggiungendo poi gambe ed il resto degli arti, fino ad annebbiarle la mente. Ancora qualche passo in avanti, ma nulla, doveva essersi aggregato a qualcun altro, lui e la sua voglia di ‘dare una mano’.Dannati funerali, le persone dovrebbero solo piangere qui, non cercare di uccidersi. Maple Walsh non amava la violenza, non era un tipo da combattimento, né da attacco, né tantomeno da difesa; Maple Walsh era il tipo da quidditch, da thè con i pasticcini, da giornate di sole passate a raccogliere margherite e da altre passate in riva al mare, a dormire finchè non ti ustioni. Notò per primo Aidan, sentendosi stupida – che novità – per non averlo inquadrato prima. ”Stai talmente fusa che manco riconosci il tuo migliore amico, sei una grande” ebbe il tempo di pensare, mentre si affrettava a correre nella direzione opposta a quella precedentemente scelta. ”Se avessi saputo che mi avrebbero fatto correre, avrei messo il reggiseno sportivo dannazione” disse una volta raggiunto l’amico, sfilando la bacchetta da sotto la camicetta e aggrovigliandovi le dita sottili tutt’intorno. La presa era talmente salda che le avrebbero probabilmente dovuto amputare il braccio, per sfilarle la bacchetta. Afferrò la folta chioma e la raccolse in una sottospecie di coda di cavallo, liberandosi di quelle ciocche fastidiose che continuavano a danzarle di fronte al viso: non bastavano dei tipi a lanciare incantesimi a destra e a manca con il solo scopo di uccidere, ci mancava che inciampasse nei suoi stessi piedi. Guardò Aidan, simulando un’espressione decisa e per nulla intimorita, nel tentativo di fornire sicurezza sia a lui che a sè stessa; perchè in realtà, ciò di cui Maple aveva davvero bisogno, erano un’ingente dose di autostima ed adrenalina. Aveva bisogno di un incentivo, di un qualcosa per cui farsi valere, un qualcosa che stimolasse le sue capacità a venire a galla perchè, nonostante l’appena Accettabile in Incantesimi, qualcosa sapeva farla. Il problema era che nessuno aveva mai veramente creduto in lei, nessuno le aveva mai fatto un complimento quando le riusciva un Expelliarmus – voi direte “ma è basilare!” beh, per Merlino, non è così per tutti! -, nessuno se ne era mai uscito con un “Hey Walsh, hai una bella mira”, niente, nada, nichts, un nulla che altro non aveva fatto che farla sentire terribilmente inadatta ed incapace. Quel qualcosa che le diede la carica per fare effettivamente qualcosa avvenne quando nel suo campo visivo subentrarono due figure ben distinte: da una parte Jess, la maga dei pancakes, colei cui aveva raccontato di tutte le sue – innumerevoli – cotte, colei che aveva tartassato con ogni singolo punteggio di ogni singola partita di quidditch del campionato, colei con cui aveva condiviso il dormitorio per davvero tanto tempo ma che poi, all’improvviso si era volatilizzata, sparita nell’etere senza proferir parola, dall’altra un Vasilov furioso, ma al contempo divertito, che ordinava a qualcun altro di attaccare nella direzione della Goodwin. Scattò qualcosa, era come se una delle poche rotelle rimaste funzionanti nella mente di Maple si fosse improvvisamente inceppata, rimanendo bloccata sul pensiero più idiota che potesse aver mai formulato. Risultava tipico per la giovane Walsh ritrovarsi la testa colma di idee folli, pensieri mai del tutto sviluppati, opinioni lasciate a metà: pensava tanto, troppo, la vasta immaginazione che possedeva le permetteva di ritrovarsi con un vastissimo bagaglio di possibilità cui attingere eppure, per qualche assurdo motivo, finiva sempre per scegliere la meno intelligente. Come una molla balzò in avanti, correndo in direzione dell’amica ed afferrandola per toglierla dalla traiettoria di quell’incantesimo, fregandosene di quanto stesse accadendo tutto accanto a lei ed atterrando come un sacco di patate sul terreno, avvertendo un dolore lancinante all’altezza della spalla. Era ormai consuetudine per ella agire prima di pensare e, per chissà quale motivo, doveva aver pensato che l’asfalto di Hogsmeade fosse morbido quanto un materasso ad acqua: sfortuna volle che si rese conto troppo tardi di avere torto marcio. Mossa da imbecille, direte voi, ma del resto fare le scelte sbagliate era un vizio di famiglia, ce lo aveva nel sangue.
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    code made by tired


    Rifiuta l'offerta di Connor di darsela a gambe, cerca di seguirlo ma non riesce, si guarda intorno e trova Aidan. Nel mentre cercano di capire che fare vede Jess in pericolo e da brava idiota le si fionda contro per toglierla dalla traiettoria dell'incantesimo maa atterra come un carciofo per terra quando uno è idiota è idiota
     
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    SYRIA HOLLINS
    Have some fire. Be unstoppable. Be a force of nature. Be better than anyone here, and don’t give a damn what anyone thinks.
    aesthetic ||03.07.17 ||
    Syria non aveva mai preso parte a nessun funerale, nessuno di caro le era morto, ma non aveva neanche mai voluto andare a nessun funerale, non era ragazza da vestiti scuri, volti tristi, lacrime ovunque, eppure quella volta ne aveva sentito il bisogno e lei stessa era letteralmente nel mood lutto che sempre aveva evitato, pur non conoscendo nessuna delle persone morte. Le sembrava giusto però che quella sofferenza fosse condivisa do moltissime persone, quasi a sostenere le persone che avevano perso delle persone a loro care e dimezzarne il dolore, così che ognuno portasse con sè una piccola parte della loro sofferenza. Syria paragonava tutte quelle persone lì a delle formiche che unite assieme trasportavano tutte lo stesso masso, rendendo il peso più leggero. Delle piccole formichine erano in quel momento, ognuno era lì per un proprio scopo, ma la maggior parte era lì per aiutare, sostenere e condividere. Appunto, la maggior parte. Non mi devi ringraziare Sy. Per te ci sarò sempre Abbozzò un sorriso all'affermazione della ragazza e avrebbe voluto ringraziare nuovamente la ragazza, ma sì trattenne avviandosi quindi al loro posto. Ekate, sua cugina, non sarebbe mai venuta a quel funerale se lei avesse deciso di non andarci, non era ragazza da funerali e anche lei avrebbe creduto di essere così prima di tutto quello che aveva passato, dopo tutto quello che in confronto a certe persone era solo una briciola, ma che comunque per un qualcosa e che comunque l'aveva segnata profondamente. E fu subito chaos. Quando lei e sua cugina di furono alzate, lei su guardò intorno riconoscendo finalmente alcune fra le persone che la circondavano. L'attenzione venne catturata dalle persone che erano state puntate come bersaglio e fra tutte riconobbe Amalie, che venne attaccata ma fortunatamente anche salvata e Jess, che non vedeva da moltissimo tempo. Entrambe furono attaccate e allo stesso modo salvate, ma la rabbia lentamente continuava ad infiammare il suo animo. Ogni persona a cui voleva bene inesorabilmente veniva colpita quando avrebbe ben preferito che fosse il contrario, non avrebbe permesso a nessuno di torcere un capello alle sue amiche perciò fu ben felice di seguire sua cugina. Pronta. Sy, vediamo di aiutare più persone possibile. L'unione fa la forza. Nel frattempo lei aveva già individuato dall'attacco chi aiutare per primo e se qualcuno le avesse difese allora lei avrebbe attaccato. A dire il vero si stava semplicemente vendicando per aver attaccato i ragazzi fra i quali c'erano suoi amici o conoscenti. Sapeva che non era una buona idea lasciarsi prendere dalla vendetta, ma qualcosa le assicurava che era per una buona causa e che quindi avrebbe potuto permetterselo. Autoconvincimento e rabbia. Erano di quelle parole di cui si stava nutrendo. La rabbia in quel momento le dava l'energia per combattere ed essere più forte e si auto convinceva che tutto ciò chr faceva era semplicemente per difendere le sue amiche, per far in modo che non si ripetesse e non perché voleva vederli morti o comunque messi fuori gioco. Non le perdonava le persone come quelle, che volevano vedere morte delle persone innocenti senza un motivo apparente. Erano poche le persone che lei non perdonava e di cui non si fidava più, quelle che appartenevano a quella lista erano le persone che lei odiava, quelle che avevano perso la sua fiducia e le persone che odiava. Ups, lo avevo già scritto? Beh, volevo semplicemente e solamente sottolinearlo. Se poi queste persone rientravano addirittura anche nella categoria delle persone che avrebbe voluto uccidere, due solamente erano le opzioni plausibili che li aveva visti iscriversi a quella lista: primo, avevano cercato di fare del male o uccidere, come in quel caso, delle persone a lei care; secondo, avevano provato a fare lo stesso con lei. Non scherzava con quel tipo di persone. Avrebbe preso la bacchetta e cercando di nasconderla l'avrebbe puntata verso il mago che aveva attaccato Jess. Ekate aveva lanciato un incantesimo per prima cercando di disarmare il mago e lei l'avrebbe seguita immediatamente con un "expulso", incantesimo non verbale che il mago avrebbe potuto non prevedere e se fosse andato a segno, avrebbe sortito l'effetto desiderato da lei in quel momento. «E questo è perché avete attaccato le mie amiche. BASTARDI.» Mosse avventate quelle di attaccare? Sì, molto probabilmente. Avrebbero potuto mettersi nei guai, rovinare l'unica possibilità di sistemare la situazione ma diciamocelo, erano stati loro i primi ad attaccare, avevano bruciato la loro chance di salvezza e le uniche opinioni che potevano essere ritenute positive sul fatto che loro non fossero colpevoli. Se non lo fossero stati sul serio a questo punto non avrebbe mai avuto una schiera di seguaci pronti ad attaccarli. Quindi se fosse andato tutto secondo i piani si sarebbe avvicinata a Jess e al gruppetto che si era formato. «State tutti bene?»
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    sersha kavinsky
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    Here's the pride before the fall - Cause I was always such a runaway Trying to cheat my way right through the game
    i will either find a way or make one || 03.07.17 - 18:00
    Tic tac, tic tac. Le lancette dell’orologio continuavano ad andare avanti, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, ora dopo ora. La tazza di thè davanti a lei aveva perso il proprio calore un quarto d’ora prima, la brioche che una volta si trovava sul tavolo, ormai divorata, se fosse stato qualcun altro si sarebbe accorta che non le rimaneva molto altro da fare in quel bar londinese. Tic tac, tic tac. Il tempo scivolava attorno a lei, e neanche se ne accorgeva, lo sguardo fisso sullo schermo davanti a lei a ripetere all’infinito fuoco e cenere, voci straziate e occhi gonfi. La sedicenne analizzava quelle immagini con lo stesse interesse che avrebbe mostrato per un servizio riguardante il ritrovamento di un chihuahua, lo sbadiglio molesto a mostrare al mondo quanto poco gliene sbattesse.
    Londra, Parigi, Manchester, Istanbul, Berlino, Nizza.
    E ora, l’ennesimo attentato che insanguinava l’Europa.
    Non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo, eppure la gente si scopriva sempre così sorpresa ad apprendere la notizia. Creature così delicate e suscettibili, cresciute in ovatta e imboccate d’ambrosia, erano così convinti che niente potesse sfiorarli da dimenticarsi che le regole del gioco cambiavano costantemente, il grilletto ad essere premuto indifferentemente dal colore della pelle.
    Per quanto gli attentati in Europa avessero lasciato una scia di sangue, da qualche parte nel mondo c’era un ’emorragia che non si sarebbe fermata, non erano le uniche vittime.
    Afghanistan, Pakistan, Mozambico, Sud Sudan, Cecenia, Iraq, Siria.
    Sersha fece schioccare la lingua sul palato, le palle che ormai toccavano il pavimento da quanto fosse annoiata: era stato bello finché avevano mostrato un po’ di sano terrore, ora che erano passati a intervistare i mangia-croissants le era sceso l’hype. Cos’era quella faccia sconvolta, dov’erano stati tutto quel tempo? Benvenuti nel mondo reale, stronzi.
    Tic tac, tic tac. Le lancette dell’orologio continuavano ad andare avanti, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, ora dopo ora. Aveva sperato di ritardare il momento di staccare il culo dalla sedia e lasciare la caffetteria, l’odore di caffè migliore del piscio nei vicoli, il brusio ad avvolgerla meglio dell’eco di uno sparo.
    Strinse le mani in un pugno impedendo allo sguardo di fissarsi sulle dita tremanti, memori di una notte già vissuta, una ancora da passare: il suo corpo aveva realizzato quello che la mente non riusciva ancora ad afferrare, fuori da quel locale non c’era posto per lei. Non uno sicuro, almeno. Non una casa. Strinse le labbra in una linea sottile imponendosi di alzarsi e andare a pagare il conto, preferiva la costante fitta al costato a fare compagnia, che i suoi pensieri.
    Appena lasciatasi alle spalle il bar, calò il cappuccio della felpa sulla testa pregando che fosse abbastanza – era solo l’ennesima ombra che si mescolava su quelle strade, non voleva suscitare dell’attenzione indesiderata. Non aveva bisogno di chiudere gli occhi per richiamare quella sensazione a sé, una che si trascinava costantemente dietro, a stringerle la gola in una morsa per ogni carezza sulla sua pelle. Una voce nell’orecchio a sussurrarle parole dolci, una ninna nanna a ripetersi nei suoi sogni, suppliche che non riuscivano mai a superare la porta della sua stanza. Ogni volto nella folla era il suo, il paio di occhi a posarsi molesti sulle sua cosce scoperte lo stesso impresso dietro le sue retine. Strinse maggiormente il borsone sulla spalla, il passo sempre più veloce in direzione di neanche lei sapeva dove, il respiro a fermarsi in gola: il mondo si stava accartocciando intorno a lei e Sersha non aveva idea di come fermarlo, il cuore batteva furiosamente dentro la gabbia toracica alimentato da un panico sconosciuto – e allo stesso tempo troppo familiare.
    «Fallo smettere. Fallo smettere. Fallo smettere» una supplica indirizzata a nessuno, una supplica a se stessa - Gesù Cristo, Kavinsky, ripigliati.

    C’era una cosa essenziale da sapere sul conto di Sersha Kavinsky: a lei, delle persone, non fregava un cazzo – con qualche eccezione, chiaro. In linea di massima non c’era essere umano per cui avrebbe alzato un dito o sprecato il proprio tempo – e non aveva molto da fare quei giorni – quindi che ci faceva lì? Era molto commovente che i Freaks avessero deciso di prendere parte alla cerimonia, ma non capiva perché trascinarla insieme a loro; l’unica ragione per cui si era infilata in un paio di jeans neri (sì, a luglio) e una maglia che non sembrasse troppo sporca, era per il buffet e l’atmosfera generale d’ipocrisia – Sersha era amante del trash che si aveva ai funerali, anche se non si sarebbe detto. «Senti, obi-wan, che cazzo hai in testa?» si sporse appena dalla sua sedia per osservare scetticamente i capelli del ragazzo, non capiva cosa ci fosse di così sbagliato in quella matassa castana, sapeva solo che era vagamente disturbante – come l’intera situazione, dettagli. «Ma ti sei vista?» aw, sempre così karino Barry, se non ci fosse stato lui chissà come sarebbe sopravvissuta. Sollevò appena le labbra, uno di quei sorrisi così ampi da illuminare un obitorio, l’amore della Kavinsky veniva espresso sotto molte forme, un po’ come il dito medio rivolto in quel momento al Cooper. «Dici che non ho speranze nemmeno oggi?» la bionda volse il viso verso la ragazza affianco a lei, il braccio sinistro appoggiato comodamente alla sua spalla e la lingua che bagnava le labbra ad ammiccare a Sun; non poteva farne a meno, la serpeverde, di provaci – sapeva che il suo amore era ricambiato, era l’altra a non averlo ancora realizzato. Chissà da chi aveva preso la Kavinsky, quella molestia doveva essere ereditata. Ignorò il resto dei Freaks, accanto alla De Thirteenth c’era un CJ impegnato a spippettarsi, BJ stava osservando un unicorno in lontanza e Joey le teneva ancora il broncio per i suoi pesci rossi. E va bene, probabilmente non avrebbe dovuto usarli come palline da baseball, ma a chi cazzo fregava? Sarebbero morti comunque, e conoscendo il Moonarie, più prima che poi.
    «Avete presente il gioco con l’aeroplanino tipico dei genitori per far mangiare i bambini?» allungò i piedi sotto la sedia davanti a lei, tentando di sprofondare abbastanza per poter dormire indisturbata; aveva capito dove stava per andare a parare la Withpotatoes e non aveva bevuto abbastanza per poterselo sorbire. «Passatemi una lametta» a chi si fosse rivolta, era difficile dirlo – a nessuno, a tutti, a una Carrie poco lontana #ciaoun. La Kavinsky non aveva mai partecipato a un funerale, ma era abbastanza convinta che quello non fosse il modo di procedere – aka annoiare i presenti fino a quando non si sarebbero urlate le prima urla di sofferenza – sperava almeno che una ex moglie ubriaca si facesse avanti, magari a rivendicare un figlio e un’ eredità. Aveva visto troppo Beautiful con Sun, fatele causa.
    Stava per farsi lasciare uno sbadiglio molesto, quando qualcosa si mosse dietro di lei. Un uomo che fino a quel momento non aveva notato – ed era difficile, vista la sua presenza – si era alzato in piedi con tanto di applauso, e Sersha lo sentì, lo sentì fin nelle ossa che c’era qualcosa di sbagliato. Nel suo sorriso tagliente, nel modo in cui si portava.
    Dragomir Vasilov, uno di quelli che credevano di poter schiacciare il mondo sotto le loro scarpe firmate. Se solo Donald Trump fosse stato la metà uomo di quanto lo era il Drago, sarebbero stati fottuti - ma non c’era pericolo.
    «Per non parlare degli Illeciti, coloro che sono capitati nel nostro mondo per un errore, e tali rimangono» e prima che se ne potesse accorgere era davanti a loro, l’aria di qualcuno che poteva permettersi di sprecare fiato, un discorso preparato ore prima a recitarsi al pubblico. La Kavinsky alzò gli occhi contro quelli dell’uomo, denti all’infuori quando questi allungò la mano verso di lei - attento, la ragazza morde. Non l’aveva particolarmente colpita quello che aveva detto, perché avrebbe dovuto? Erano sedici anni che se lo sentiva ripetere, dopo un po’ non faceva nemmeno più effetto, stava incominciando a sospettare che quelle parole fossero invece per l’altro, per farsi sentire meglio su qualcosa. Tradiva la moglie, picchiava i figli? Sputare un po’ di veleno su qualcuno faceva sempre bene, come se all’improvviso fossero persone migliori per il trattare qualcuno di merda.
    Strinse i pugni più forti tra di loro quando un rivolo di sangue scese sul collo di CJ, le unghie a premere nella carne nel cercare di fermarsi dal fare qualcosa di cui non si sarebbe pentita. Andava bene buttare merda su di lei, ma non sui suoi amici. Mai sui suoi amici. «Non v’è alcun bisogno che interveniate, siamo a posto. Giusto, christopher? Dì loro come stai» «una favola» masochista del cazzo, martire di sta minchia. CJ Knowles stava sempre una favola, finché respirava, finché aveva le forze di strisciare sul suo stesso sangue, stava bene. Dopo anni non aveva ancora capito quale fosse il suo problema, se soffrisse di un ritardo mentale, se fosse stato fatto male o se stesse cercando di morire prima dei vent'anni.
    Dopo il fantastiko episodio, successero code che. Lo sapeva, Sersha, che ci sarebbe stato del trash, seppure non fosse quello a cui puntava. Una guerra? E perché la preside di una scuola che nessuno si infilava l'aveva deciso? Non le erano chiare le dinamiche e forse più tardi si sarebbe soffermata sul comprenderle, ma a lei la situazione puzzava di preliminari - non si sentiva la tensione sessuale nell'aria? Non doveva essere così evidente, se due minuti dopo vari eroi si buttarono a dire la propria sul palco, come se la loro opinione fosse rilevante. Meh, esibizionisti del cazzo, chissà di qualche complesso soffrivano.
    Insomma, Sersha non aveva preso la situazione sul serio, come qualsiasi altra volta. Era solo l'ennesimo spettacolo da godersi da lontano, la storia che seguivi senza mai ritenerti davvero parte di essa. I tre presidi si stavano facendo la guerra, e allora? Non riguardava loro, ma solo i loro stupidi ego feriti, quel terreno era solo un campo di gioco, gli invitati nient'altro che testimoni.
    Si sbagliava.
    Neanche se ne accorse, la ragazza, si essere scattata in piedi, un'istinto più forte di lei che non poteva controllare. Neanche se ne accorse, di star correndo verso il palco, respiro bloccato in gola e occhi in cerca di qualcuno che era stato lì fino a un battito prima.
    Poteva capire quello che stavano dicendo i presidi, ma al tempo stesso sembrano parole alieni, prove di senso. Sta morendo. Neanche se ne accorse della bacchetta che si sollevò davanti a lei, non finché un urlo la riportò alla realtà, strappando via il velo che l'aveva avvolta. «Expulso» alzò il braccio dove teneva la bacchetta portandola davanti a lei, un movimento del polso ad accompagnare le parole che uscivano dalle sue labbra. Sperava di essere stata abbastanza veloce, che il fascio violaceo si fosse infranto sul petto dell'uomo più in fretta di un contrattacco. Non poteva saperlo, ma quell'incantesimo non era nemmeno stato diretto a lei, bensì alla mora alle sue spalle. Riprese a muoversi sul palco, una striscia di sangue ad occupare la sua visione e un volto che conosceva troppo bene a sorridere beffardo alla vita. Aiutalo, cazzone» aveva trascinato il primo guaritore che aveva visto da CJ, una supplica negli occhi della bionda a cui non avrebbe dato mai voce. Si inginocchiò al fianco del tassorosso cercando di ignorare la voce maligna al suo orecchio a sussurrarle parole velenose, la promessa che quella volta sarebbe stata l'ultima. C'era così tanto sangue per terra, a infradiciare i vestiti del Knowles, le mani del guaritore, così tanto sangue che non pensava sarebbe mai smesso finché non ce ne fosse stato più. «Masochista del cazzo, martire di sta minchia» che stesse iniziando a delirare? Probabile. Schiaffeggiò la guancia troppo pallida del ragazzo, tentando di tenerlo sveglio, o forse lo stava punendo per essere un deficiente. Lasciò che le dita si posassero sulla sua pelle, una carezza così delicata da non essere quasi percepita, sperava che lui non l'avrebbe fatto. Non era nel loro stile. «Se muori ti uccido, hai capito? CJ ti uccido.» incrociò gli occhi con i suoi, e per un attimo si dimenticò di quell'istimto omicida, i pensieri fissi su un'unica, muta supplica: resta qui, non con me. Solo qui.
    C’era una cosa essenziale da sapere sul conto di Sersha Kavinsky: a lei, delle persone, non fregava un cazzo – con qualche eccezione, chiaro. CJ Knowles, per sua sfortuna, rientrava tra queste. Si alzò in piedi, petto all'infuori e sguardo di chi sapeva di essere impotente, ma ancora non aveva mollato. «Tu» il dito puntato contro la figura di William Lancaster, l'ennesimo spettatore a cui importava troppo poco per alzare un dito. Lo capiva, Sersha, era come lui. «Cosa vuoi per la Cura? E se non ce l'hai, almeno dicci cosa gli sta succedendo. So che lo sai, almeno fai in modo di guadagnarci qualcosa» tic tac, Sersha. Non c'è più tempo.
    | ms.


    Difende Run e parla a Lanchy
     
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    Una giornata come le altre, in casa Campell, dopo cena Phoebe si era rinchiusa in camera con la scusa di leggere. Ma a chi voleva raccontarla, magari pure Phobos sapeva cosa stava per fare. Ogni tanto andava a controllarla, ma la ragazza era furba e per quasi due ore aveva finto di davvero di leggere (« Phoebe?» - « Phobos?» - «Se devi fumare potresti farlo ora che Zenith non c'è» - « Ma fratellone, ti pare che fumo in casa io? ») si era addormentata alla fine, solo la chiamata di Bells la fece sobbalzare sul letto.
    Campbell, aprimi la finestra. Era Bells che bussava da chissà quanto, andò di corsa, insomma mica tanto, ad aprirle
    Scusa Dallaire, mi sono addormentata leggendo un libro
    Ancora fingi?
    Beh si, ma alla fine mi sono letta davvero questo romanzo, sono storie varie in realtà
    E di cosa parla? chiese mentre si faceva spazio e si metteva comoda, in fondo quella stanza era anche sua oltre che di Zenith, visto che passava più tempo lì che a casa sua. le avventure del baldo giovane. Mai sentito? chiese, prendendo dal cassetto la sua magica custodia con tutto il necessario per preparare una canna. Si mise seduta al centro della stanza, come di consueto, mentre l'amica faceva lo stesso.
    No. Ed è interessante?
    Si..dov—ah cazzo Zenith mi hai fatto prendere un colpo quasi imprecò la mora, mentre riprendeva fiato e il cuore lentamente riprendeva i battiti regolari. Odiava quando la sorella ( adottiva ma lei la ama come se fosse sua sorella ok) entrava di soppiatto e senza far rumore, manco fosse un serial killer. Magari nella sua vita passata ( o futura) poteva esserlo stato. La ragazza accennò un sorriso, ecco forse era in una di quelle giornate buone, forse poteva Senti non è che ci fai da palo? Sai com'è mio fratello....io posso morire drogata. Tu, ti devi riguardare e sono d'accordo con lui disse dolce, non voleva di certo offenderla ecco, anche perché adorava Zenith ma era imprevedibile e in quegli anni aveva capito che spesso doveva dosare le parole con lei, non si sapeva mai come poteva reagire anche se era impossibile non amare Phoebe, era così pirla.
    In risposta la sorella annuì e la Campbell poté rilassarsi, farsi la canna e passarla alla sua amica per iniziare quella serata tra donne; anche se la scuola era finita quello non voleva dire che loro non erano stressate e quindi che avessero bisogno di svago, loro vivevano in quel mondo strano, tutti i giorni era un'occasione per fumare, voleva dire che era viva e che poteva sballarsi ancora.
    Dicevamo...? ah si...del mio libro. Ti dicevo che ---
    Phoebe, Zenith. momento di silenzio, Phobos rimase serio, a fissare le tre ragazze che rimasero immobili, come se facendo in quel modo lui non le vedesse. e... Bells, dobbiamo andare. Vi direi vestitevi ma noto che non vi siete mai cambiate. Bene. Ci vediamo all'uscita tra dieci minuti e... si avvicinò a passo lesto, fregò dalle mani di Phoebe la canna Questa è mia. se la mise tra le labbra, come se niente fosse e se andò dalla stanza lasciando la porta aperta. Cazzo. Fece per alzarsi ma improvvisamente notò che non aveva più le gambe. Fermo... si aggrappò con uno scatto felino alla sua gamba.
    Phobos. Andiamo la mia canna,l'ho pagata quella roba. Rendimela disse strisciando attaccata alla sua gamba mentre lui cercava di togliersela di dosso Dai, non ti faccio pena? Non ho neanche le gambe....


    Guardava il cellulare, Shia, non perchè non lo sapesse usare, essere un magonò aveva i suoi vantaggi dopo tutto visto che aveva imparato a usare anche le tecnologie babbane, in fondo si era sempre sentito più come loro che come i maghi, visto che i suoi genitori non sembravano volerlo in casa e aveva creduto per molti anni di essere fuori posto non sono in quella grande villa e all'interno della famiglia ma proprio nel mondo magico; in realtà continuava a fissare il display perchè doveva chiamare Shane e non sapeva come dirglielo. Non aveva paura di lui, ovviamente, lui era pur sempre il baldo giovane Shia Ryan Hamilton, non era un sempliciotto o non avrebbe mai conquistato il ragazzo, perché diciamocelo, il principino non era uno zuccherino; eppure quella volta non aveva il coraggio di dirgli a voce che sarebbe andato al funerale. Perché vi chiederete. Perché il rossino aveva detto esplicitamente che non ci sarebbe stato e che per aiutarlo in quel giorno, lui, gli sarebbe stato accanto ma alla fine doveva presentarsi.
    Era una persona bugiarda, doppiogiochista ma stando a stretto contato con Howe aveva smorzato quel suo essere infimo, anche se scherzava spesso, tendeva a non mentirgli, anche perché con quel dannato potere spesso lo capiva al volo quando l'Hamilton gli nascondeva qualcosa. Motivo uno per il quale non si era presentato a casa sua ma aveva deciso di comunicare via cellulare; probabilmente si sarebbe tradito anche con la voce, quindi ecco la via di scampo più sicura Gli manderò un messaggio .
    “Ehi, ragazzino. Mi dispiace per oggi ma non ci sono. Mi farò perdonare.” e invia. Ma che errore madornale, come poteva a ventisette anni entrare così in paranoia per un messaggio. Cazzo non ho messo nessuna emoticon.. Non aveva pensato, non aveva ragionato che nella mente del compagno si sarebbe accesa un campanellino dall'allarme. Due secondi dopo ecco che il telefono prese a suonare. Merda. E ora come faccio?
    Rispondigli. Così, sei ancora più sgamabile aveva ragione sua sorella, perché doveva farsi aiutare da lei? Perché si sentiva come una quindicenne innamorata? O forse era paura? Fece un respiro e sorrise. Poteva farcela, in fondo mentiva da una vita,cosa c'era di diverso quella volta.
    Che succede? ecco che usava quel tono, adorava quando faceva il sospettoso e cosa ancora più divertente che aveva quasi sempre ragione,anche se Shia negava sempre fino alla morte, così gli era stato insegnato.
    Niente. Perché?
    Shia... oh cazzo, quel silenzio, non portava niente di buono. Il tatuato rise, come per smorzare la tensione, sapevano entrambi che Shane aveva capito, ma non importava doveva continuare. Niente davvero. Ci sentiamo appena ho fatto. Stai tranquillo ok? Vado e torno, è una cosa di lavoro. Farò in un lampo e chiuse la chiamata, poteva andare al funerale. (Illuso)


    Fred muoviti. Ti stai ancora masturbando? Wando bussò alla porta mentre col piede ticchettava nervosa a terra. Erano in ritardo sul ritardo, Sandy di sicuro non le avrebbe aspettate. Dovevano uscire subito da casa.
    Tanto l'hai piccolo dai...muoviti disse entrando. Si era stancata e poi di solito non era così lento a cambiarsi, in fondo erano ancora uomini cosa mai doveva fare, Radersi? Ma se neanche gli cresceva la barba in quella faccia quadrata. Non aveva i capelli rossi da curare, quella spazzola andava più che bene in testa tenuta in quel modo e poi dovevano solo accompagnare Sun al funerale, non sarebbero rimasti lì.
    Ah magari potremmo andare alle terme che ne pensi? continuò incurante del fatto che il fratello fosse seduto sulla tavola del water. Anche se sono bello, il mio viso ha bisogno di una seduta disse guardandosi allo specchio noncurante del fatto che Fray lo stava fissando. Wando? intervenne la sorella mentre cercava di coprirsi in modo piuttosto buffo le parti intime.
    Che? Rimasero in silenzio per qualche minuto poi si rese conto che la sorella si stava vergognando e che doveva lasciare la stanza Ah..da quando sei uomo sei più timido disse ridendo e uscendo alla fine dal bagno Muoviti. Ti aspetto giù


    Siamo arrivati Disse Wando postandosi dietro a delle frasche del posto, mentre Fred continuava a guardare il posto. Ehi Wando ma perché hai quel cappello? chiese, sembrava quasi offeso, il fratello lo guardò e gliene passò uno Dai guarda se vedi Sun così possiamo andarcene avevano una missione le due sorelle e solo dopo se ne sarebbero andate.
    Eccolo
    E sta bene?
    Si... decisero così di andarsene, in fondo era un funerale, cosa mai poteva succedere? Non avevano voglia di deprimersi le due gemelle, avevano altro fare. Loro fratello sarebbe stato al sicuro, dopo la cerimonia e qualche pianto avrebbero mangiato e tutti a casa. Dai potevano andare si.
    Peccato che quello che si palesò non fu come le due sorelle si erano immaginate; di solito l'atmosfera in un funerale è ben diversa da quella palesata in quel momento, non c'era nessuna nostalgia del tempo trascorso con il defunto ( o defunti in questo caso), non c'erano i ricordi sulla persona o pianti interrotti delle persone che gli volevano bene, niente di tutto quello che doveva essere in un momento così delicato era presente, al contrario c'era molta tensione e persino Phoebe sentiva che stava per succedere qualcosa di spaventoso e lei non era pronta. Cazzo. Era solo una quindicenne, che fumava le canne di nascosto e che aveva diverse cotte per alcuni ragazzi, lei era una semplice Campbell, non era in grado di sostenere una battaglia, a stento riusciva nella materia di corpo a corpo tenuta da suo fratello. Indietreggiò di qualche passo quando sentì Vasilov intervenire ( salto dialoghi ciao), mentre il fratello le si parava quasi davanti, facendole quindi perdere quello che succedeva; gliene era grata perché non era così coraggiosa la ragazza e sapeva anche che se fosse successo qualcosa sarebbe stata la prima a morire, ne era sicura.
    Guardò Gene, provava a tenere tutti sotto controllo, ma come poteva calmare le acque quando tutti in fondo erano già pronti da tempo per fare la guerra? Phobos ho paura disse a bassa voce la mora mentre tutto stava degenerando. Cazzo.
    Tutto stava andando troppo veloce, vide Cj a terra e Gene corrergli incontro preoccupato, avrebbe voluto affiancarlo ma era inchiodata dall'ansia. Gene... si guardò intorno la ragazzina e vide partire diversi attacchi, persino il vice ministro si era incazzato e sembrava aver chiamato aiuto. Non era proprio il caso di rimanere lì. Eppure impugnò la bacchetta, non era brava in niente, solo a fumare ma Dick le aveva insegnato che in caso di allarme era sempre il caso di tenere l'arma in pugno, se proprio non era capace ad attaccare, almeno doveva sapersi difendersi, perché non ci sarebbero stati per sempre i suoi fratelli.




    | ms.


    Allora, fa schifo e scusate se ho interrotto così i vostri magnifici post con questo orrendo coso. Poi, ho portato Shia e Phoebe anche se alla fine non fanno niente e Shia al momento manco l'ho scritto che fa al funeral ema arriverà un post tutto suo. Riguardo a Wando ignoratelo u.u
     
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    but if i choose the darkness instead? || 03.07.17 ||
    «vaffanculo, reynolds» una risata spiacevole fece corrugare la fronte di BJ «perchè sono una fottuta star ne aveva ricevuti di insulti durante la sua vita, non era il primo vaffanculo che si prendeva, non era il primo vaffanculo che riceveva da CJ, e fu certo che non sarebbe nemmeno stato l'ultimo. Era convinto che persino da morto qualcuno lo avrebbe mandato a farsi fottere e andava bene così, perchè per quanto BJ potesse cullarsi nella convinzione di essere una brava persona, era ben conscio del fatto che non si finiva fra i Serpeverde per sbaglio. Eppure ci fu qualcosa in quelle parole che tagliò come una lama temprata nel fuoco, lasciando però la ferita fredda come un ghiacciaio: quella risata dura come la pietra, un suono senza allegria che esprimeva la triste e scomoda verità. Quale fosse questa verità il rosso finse di non saperla, ma riconobbe quel guizzo negli occhi chiari del fratello, lo stesso lampo che attraversava gli occhi di qualcuno che aveva visto un gatto morto per strada. Aveva torto il Serpeverde, CJ non lo aveva deluso, doveva saperlo in cuor suo che quello che pensava non poteva essere vero, ma lo aveva comunque messo in dubbio. Il Knowels certo non aveva aiutato a disfarsi di quel sospetto con tutto quello che aveva fatto in quegli anni, dalla più ingenua bravata ai misteriosi incontri nel Rodere, e sarebbe stato semplice incolpare il Tassorosso, sapeva che non avrebbe reagito e avrebbe incassato il colpo, forse si sarebbe addirittura auto-convinto di quella bugia. Perchè era di quello che si trattava: una menzogna strutturata per tirarsi fuori dai guai. Cristopher non era l'unico a saper mentire, ma almeno sembrava che lo facesse con un po' di pudore, piccolo ingrediente mancante nel DNA dell'altro gemello.
    Ma non sarebbe stato così patetico, così vile da non assumersi quella responsabilità. Aveva tradito CJ, insinuando che fosse stato lui a tradirlo per primo, e anche se molti avrebbero detto che non avrebbe fatto alcuna differenza, che avrebbe continuato ad odiare il fratello minore in ogni caso, BJ sapeva che non era così, che se ci fosse ancora stata traccia di affetto nel cuore martoriato dee ragazzo che stava correndo verso il palco, adesso il Reynolds avrebbe perso qualsiasi speranza di ridargli una casa. Non per forza un tetto sulla testa e tre pasti caldi, ma almeno l'amore che quella parola celava dietro al disegno di un quadrato con un triangolo rosso in cima. E mentre l'altro correva verso il microfono, BJ non potè fare a meno di crollare sulla sua sedia pesantemente, lo sguardo perso nel nulla e la bocca socchiusa. Aveva combinato un casino, aveva creato una situazione ostica e pungente che non si sarebbe azzardato ad affrontare ancora se non fosse stato per lo scontro che l'Aetas stava ospitando. Il discorso di CJ venne ignorato da molti, come era normale aspettarsi dalle persone in preda al panico o alla rabbia, ma le orecchie del serpeverde percepirono ogni sillaba, acuta come un il fastidioso suono di un microfono rotto, dolorosa come un ferita che veniva spremuta per farne uscire quanto più sangue possibile. Certo che non c'entrava nulla con quel complotto, era ovvio dopo quelle parole, perchè CJ era buono, più buono di quanto lui, in quel completo perfetto ed impeccabile, sarebbe mai potuto essere.
    Non sapeva come potesse sapere tutte quelle cose su Nathan ed April, non che gli importasse in quel momento, ma fu la conferma che molto del pianeta Knowels era ancora inesplorato, ammesso che sarebbe riuscito a vivere abbastanza a lungo da poterlo conoscere più a fondo. Le bacchette dei maghi iniziarono a far faville, eppure nessuno degli attacchi rivolti direttamente al Drago andò mai a segno. Non pensò, stupidamente, che fossero tutti suoi alleati, e comprese con quanta facilità quell'uomo se la stesse cavando. Non aveva mosso un dito per non farsi colpire, nè tantomeno c'erano state sue azioni che avrebbero reso legittima una qualsiasi aggressione nei suoi confronti.
    Non ancora.
    «sa come si diventa bravi uomini d’affari, Babbana?» la domanda raggiunse involontariamente l'attenzione del ragazzo, ancora incredulo delle proprie accuse, e con altrettanta distrazione mosse le labbra, scollegate dal cervello: «con un piano di riserva». Un sussurro che i rumori coprirono facilmente, parole dette contemporaneamente con il preside di Durmstrang che fecero correre sulla schiena del Serpeverde brividi ghiacciati e irrefrenabili, ma non ci fu abbastanza rumore perchè BJ stesso non sentisse la propria voce. Magari nessuno lo aveva sentito, magari era passato inosservato, ma la consapevolezza del ragazzo fu peggiore del giudizio di chiunque altro. BJ non era un umo d'affari, non lo erano i suoi genitori, nè i suoi amici, ma era sembrata al cosa più logica da dire, da sussurrare, forse perchè il subconscio sapeva quanto quelle parole potevano essere terribili e spaventose in quel momento. Quanto calcolatore poteva essere per avere una mentalità anche solo lontanamente famigliare al presunto accusato di un attentato? Che livelli raggiungeva la sua insensibilità emotiva per sapere la risposta di quella domanda? Ancora non lo sapeva e avrebbe voluto non scoprirlo mai, ma avevano ragione coloro che dicevano che erano in situazioni del genere che si rivelava la vera natura delle persone.
    «a meno che jean non smentisca le accuse poste dalla sua nazione, lui morirà.» il corpo del tassorosso che cedeva sul palco fece scattare Bernie, facendolo correre verso la struttura di legno. Affianco a lui tutti sembravano immobili, troppo lenti, così come ogni metro sembrava un chilometro. Era come correre nella melassa, ogni movimento dieci volte rallentato mentre l'essere consapevoli di ciò non faceva che aumentare l'urgenza di agitarsi, muoversi in quelle sabbie mobili che lo stavano trascinando giù, lontano da suo fratello.
    Vide un capannello farsi attorno alla povera vittima, mentre per l'ennesima volta le lacrime affioravano sulle ciglia del capitano di quidditch. «CJ!» implorò ad un tono id voce troppo basso perchè il diretto interessato potesse sentirlo, così come l'altro aveva detto il suo nome nel momento in cui si era reso conto che stava giungendo alla fine della sua breve vita. Troppo piano perchè qualcuno potesse capire, abbastanza forte da poter lacerare ogni dubbio sul fratello, troppo tardi perchè quei nomi potessero cambiare il corso degli eventi che li aveva portati ad allontanarsi e rincontrarsi: fin dall'inizio, fino alla fine, fin da sempre. Era come il vecchio indovinello dell'uovo e della gallina, un ciclo perpetuo che il tempo e il destino avevano disegnato per loro, contro di loro. Nessuno poteva saperlo, quasi nessuno a dire il vero, ma prima o poi avrebbero saputo la verità, avrebbero saputo che a unirli c'era di più di una lettera nel nome, più di una temporanea convivenza, perchè Bernadette viveva nella paura di perderlo per sempre e una certezza del genere non gli avrebbe fatto dormire sogni tranquilli, ma avrebbe fatto scendere il numero di orribili scenari che la notte lo assalivano costringendolo a mordere il cuscino nel sonno per non svegliare il vicinato. Oh, se era patetico il quindicenne, ma nessuno sembrava farci caso, nascosto dall'ombra gettata dalla pietà che Cristopher suscitava negli altri. Il prefetto lo faceva sembrare quasi una persona gentile, un ragazzo più fortunato che non si faceva scrupoli ad aiutarlo. Non che la cosa non fosse vera, era sempre stato disposto a dare una mano al fratello, ma c'erano molti altri aspetti del serpeverde che rimanevano al buio, nascosti e, fortunatamente, ignoti ai più.
    Non era una brava persona Bernadette Julien Reynolds, ma per CJ lo sarebbe stato.


    Moonarie
    [Helianta-24 y.o.-chronokinesis]
    Riusciva a sentirlo sulla pelle. come un fastidioso prurito che si allungava dalla nuca fino alla schiena. Decine di paia di occhi si erano girati nella sua direzione e altrettante orecchie si erano protese per sentire ciò che stava dicendo. Sapeva di avere ragione, ne era certa, o non si sarebbe spinta a dire così tanto, ad osare talmente tanto da porsi a pochi centimetri di distanza dal Russo (questa è canon -cit). Aveva letto così tanti libri che le parole erano diventate la sua arma più efficace, il coltello più affilato, ma aveva sinceramente sperato che tutte le pagine sfogliate in quegli anni avessero potuto risolvere un situazione così critica come quella in cui era coinvolta. Stavano tutti combattendo su una polveriera e lo scontro poteva essere contenuto, sebbene la possibilità di evitarlo del tutto fosse sfumata col primo incantesimo sbocciato dalla bacchetta di Patrick. Avrebbe continuato a parlare, avrebbe tentato di convincere Jeanine a ritirare le accuse, avrebbe costretto Vasilov a fuggire, ma era certa che nessuno dei due sarebbe stato disposto ad andare contro i propri principi. Sapeva di aver parlato a nome di molti, forse tutti, ma una folla intera non sembrava bastare contro un paese talmente spietato da presentarsi armato ad un funerale ed uno ancora più impietoso da osar animare una guerra nel mezzo dello stesso evento.
    «non mi aspetto che un’Illecita comprenda, ma lei fra tutti, signorina, dovrebbe sapere che chiunque, qui, può vantare un esercito: scandinavi, francesi, inglesi, americani.»
    Non potè ignorare lo sguardo muto ma dalle mille parole puntato sul preside di Salem. Seguì l'esempio muovendo le proprie pupille sull'uomo che l'aveva salvata: sperò che William lesse sul suo volto la delusione e la paura, ma anche un guizzo di speranza. Seppe immediatamente ciò che l'uomo davanti a lei stava insinuando, o così pensò lei, ma si augurò che l'Americano usasse le armi in suo potere nel modo giusto, sperò che usasse lei nel modo giusto. Poteva solo immaginare cosa significava essere l'ago della bilancia, in perenne tentennamento senza mai potersi permettere di sostare per più di tanto verso uno dei piatti della bilancia. Fece finta di nulla, ingoiando a fatica la saliva acida come cicuta lungo la gola, e riprese a fare quello che sapeva fare meglio.
    «La guerra non è un'esclusiva del tuo mondo, Dragomir» lo chiamò per nome, non per mancargli di rispetto- o forse sì, ma per fargli capire che pur essendo una Babbana poteva mettersi sul loro stesso piano. Avrebbe deciso lei se quel giorno sarebbe morta o meno, non avrebbe lasciato a quei due bambini capricciosi l'ardua sentenza. Era già morta contro voglia e quel giorno non era proprio dell'umore per abbandonare il mondo dei vivi, nessuno era dell'umore per quel genere di cose: non si trattò di una constatazione, bensì di una decisione presa dalla Moonarie per mantenere fede alla propria promessa. Non un'altra goccia di sangue avrebbe imbrattato quel prato di un triste e ripugnante cremisi denso delle lacrime che gli altri avrebbero pianto.
    «Credete di essere l'uno migliore dell'altra, pensate che la cosa giusta da fare sia versare altro sangue e darne la colpa all'altro, sperate che questo portì alla giustizia che tanto reclamate. Ora chiedetevi se vi sembra giusto che qualcuno muoia per la vostra causa.» continuava a guardare prima la bionda poi il Drago, alternando il suo sguardo critico così che entrambi non fossero risparmiati dalla freddezza di quelle parole dette digrignando i denti. Non credeva di aver mai odiato tanto qualcuno come stava odiando i due carnefici dei corpi che sarebbero caduti a terra inermi ben presto, perchè sarebbero caduti e nessuno avrebbe osato dire il contrario. Detto ciò, col volto ancora rosso di rabbia, alzò i tacchi e con passo pesante ma svelto si diresse verso il palco. C'era fin troppa gente sul palco attorno al ragazzo, così come erano troppe le persone che sarebbero state colpite da quel conflitto, anche se si fosse trattato di una sola singola vittima, un solo singolo nessuno.
    I tacchi risuonarono secchi sul legno, mentre con rabbia calpestava il guanto per soffocare le ultime fiamme: se solo fosse stato così facile spegnere il fuoco che ardeva tra i due leader, ora non ci sarebbero state vite da salvare.
    Prese l'indumento con due dita, troppo bollente e troppo inzuppato di urina per poterlo prendere con tutto il palmo, e lo porse a quello che aveva capito essere un guaritore. «potrebbe essere stato avvelenato» asserì osservando negli occhi il giovane dalle iridi di un colore misto tra il nocciola e il verde. «Vasilov lo ha tagliato usando il guanto, forse la lama è avvelenata. Se proprio non riesci a trovare un antidoto, almeno sarà utile cosa lo sta uccidendo» il tonfo con cui il corpo del Knowels aveva toccato il pavimento aveva fatto perdere un battito alla ragazza. benchè ella non si era permessa di dare alcun segno di vacillamento dinanzi ai due litiganti. Non sarebbe stata al gioco della viscida serpe che era il preside di Durmstrang, ma non avrebbe nemmeno dato la soddisfazione a Jeanine di farle capire che c'era lei per risolvere i suoi casini. No, la donna in azzurro doveva assumersi le sue responsabilità, ma non avrebbe lasciato che fosse un'altra vita spezzata a metà a risvegliarla da quel comportamento così immorale. «CJ» lo chiamò la cronocineta, posandogli una mano sulla fronte mentre un altro sputo di sangue macchiava il bordo del suo vestito. La firma della morte non era mai stata più esplicita e in quel momento era ovunque: sul pavimento, nell'aria che respiravano, nelle parole sputate con rabbia, sul volto spossato del tassorosso.
    Heli osò far girare appena il volto del ragazzo, mettendo in mostra il taglio che con inchiostro scarlatto disegnava un bordo netto e doloroso «sta tranquillo, non devo fare nulla» tentò di tranquillizzarlo con tono pacato, mentre poggiava una mano sul taglio. Sentì il sangue caldo sporcarle il palmo, sentì il pulsare del cuore in gola, ma non avrebbe saputo dire se si trattasse del proprio o se fosse quello del ragazzo. «non è vero quello che hai detto sul palco» si sforzò di suonare famigliare, comprensiva, mentre con il suo potere tentava di arginare l'emorragia. Non lo aveva fatto spesso e sentiva lo sforzo imperlarle di sudore il volto, ma fece il possibile perchè il peso di quell'intervento non incrinasse la sua voce «nessuno sarebbe qui se non ci importasse di CJ» azzardò un sorriso, sebbene sapesse che agli occhi del ragazzino doveva essere solo una forma sfuocata con una voce. «a questo mondo servono altri CJ, non possiamo lasciarne andare uno via proprio adesso» gli accarezzò la guancia sana, mentre l'altra mano aveva smesso di provare a curarlo: il taglio sembrava rimarginarsi appena per poi riaprirsi. Non era certa si trattasse di veleno, ma era l'unica spiegazione che era riuscita a darsi per la quale la ferita si era riaperta d'un tratto.
    E il veleno era l'arma perfetta per una viverna infida come Vasilov: silenziosa si insinuava nel sistema, si radicava in esso e procurava quanti più danni possibili al malcapitato. Non che Jeanine fosse stata migliore, esprimendo un giudizio su Dragomir e decretando la sentenza che avrebbe bloccato il cuore del corpo magro e pallido dinanzi alle ginocchia della proprietaria della Lanterna Dorata.
    «Mi servi CJ» sussurrò all'orecchio dell'unico ragazzo che aveva tentato il suo stesso approccio, l'unica persona che aveva pensato ai vivi prima dei morti.

    Le persone si affollavano vicino al leggio, ostruendo agli occhi castani la vista del fratello inerme. L'unica cosa che era riuscito a scorgere era il suo volto scosso dalla tosse sanguinosa che si stava impossessando delle sue vie respiratorie, così come stava facendo il panico con BJ. Non si rese conto di essere piegato a terra finchè il suo pungo non estirpò una piccola zolla di terra e fili d'erba. «respira BJ, respira profondamente» chiuse gli occhi sulla distesa verde che il suo volto osservava, mentre sentiva la cassa toracica alzarsi ed abbassarsi pesantemente, come se un macigno cercasse di opprimerlo. «fallo per CJ» non per gli innocenti, non per le altre persone colpite dagli incantesimi, ma per suo fratello che aveva avuto l'ardire di dar voce ai suoi pensieri, di dire la verità, così dolorosa e pungente che nemmeno BJ avrebbe saputo trovare una bugia per smentirla. L'avrebbe salvato, si sarebbe fatto perdonare per la fretta con cui lo aveva giudicato poco prima, doveva farlo.
    Si rialzò lentamente, piantando con fermezza i piedi nel prato e con la stessa tenacia avvolse le dita della mano sinistra attorno alla bacchetta. Giurò di poter riuscire a sentire il legno scricchiolare sotto la sua presa, ma ave a fin troppo bisogno di quello strumento per ridurlo in aghi di pino: avrebbe trovato la cura per suo fratello a tutti i costi. Ritornò da dove era venuto, mentre i due leader si ingrandivano ad ogni passo, rimanendo, però, sempre piccoli nel loro essere inetti e codardi. Alzò la bacchetta e chiunque avrebbe potuto pensare, legittimamente, ad un attacco verso colui che tutti avevano individuato come capro espiatorio, ma fu invece il primo a mettere da parte il proprio orgoglio e i propri principi... forse.
    Scansò il Drago senza rallentare il passo, ormai diventato una marcia furiosa, mentre la mente già formulava l'incantesimo che a breve si sarebbe trasferito sulle sue labbra. Il polso scattò così come la lingua sul palato: «balsamum!». Il fascio di luce colpì prima una cavallerizza in bianco e, ad un secondo gesto della bacchetta, un collega della prima. Ben presto si sarebbero piegati in due, rigettato i propri liquidi fino alla disidratazione, una morte scenografica e dolorosa, una morte degna di chi avrebbe fatto di tutto per avere quella dannatissima cura.
    «Ora fari meglio a dirmi come aiutare mio fratello, prima che ti riduca come quei due» una patetica minaccia che sarebbe risuonata vuota e innocua alle orecchie del preside, ma ancora sperava che la sua promessa fosse valida. Non gli interessava che fosse l'unico, non gli interessava che non avesse nemmeno ancora l'età per potersi smaterializzare: aveva fatto ciò che doveva per dimostrare la sua fedeltà.
    A CJ fu quello che pensò, ma fu per Vasilov che effettivamente aveva appena colpito due Francesi.
    | ms.

    «BJ»
    «Heli»
    «altri»
    Bj; meh non fa molto all'inizio, ma verso la fine colpisce due soldati di Jeanine con due Maledizioni di Imbalsamzione e poi chiede la cura a Vasy.
    Heli: continua ancora per un po' la ramanzina e poi va sul palco. Spegne il guanto e lo dà a Cain chiedendoli se può capire se la lama era avvelenata (e magari trovare un antidoto) e, mentre tranquillizza CJ, tenta di rimarginare la ferita sul volto con i suoi poteri.
     
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    Quella cravatta gli stringeva al collo come la morsa di un serpente; soffocava, Aidan, mentre stringeva il legno della bacchetta nella mano destra con tanta forza da rischiare di spezzarla. Cercava di convincere se stesso a smettere di tremare, smettere di provare così tanto terrore, ma infondo era solo un ragazzino – un ragazzino buttato su un campo minato con un elmetto di carta e una pistola d’acqua, circondato da altri ragazzini come lui, e imponenti statue di marmo dallo sguardo severo che gli urlavano: fai qualcosa, moccioso. Dopotutto doveva cominciare a farci l’abitudine: erano quelli come lui che poi venivano usati come scudo umano per gente come Lancaster, la capra sacrificale necessaria per salvare il leader di turno.
    «Sta morendo.» Lo osservava a distanza, il Tasso: rannicchiato a terra come un animale lasciato ad esalare i suoi ultimi respiri sul ciglio dell’autostrada. L’odore metallico del sangue gli si infiltrò nelle narici, e lui esalò aria che non sapeva di star trattenendo – da qualche parte nel suo torace, la bestia digrignava i denti. E CJ Knowles, invece, circondato da macchie cremisi, rideva. E un po’ gli sarebbe venuto da ridere anche a lui, se solo non fosse stato paralizzato da quella paura infame. Lo capiva, l’idiota: loro due erano nati nello stesso mondo, no? E ai bambini, il ritmo languido di quella guerra silenziosa, li aveva resi dei cinici prim’ancora che imparassero il significato della parola stessa. Nati e cresciuti come bestie da macello, erano segnati a ferro e fuoco da un destino che non meritavano; soldati già caduti, tutti quanti, in attesa di un riposo eterno che non avrebbe tardato troppo ad arrivare. Se solo fosse stato più vicino, nel chaos di quella scena, gli avrebbe detto: Merlino, che vita di merda. E forse CJ l’avrebbe sentito; un sorriso sporco, un dito medio, e poi avrebbe chiuso gli occhi una volta per tutte.
    La morte degna di un bastardo.
    «Se avessi saputo che mi avrebbero fatto correre, avrei messo il reggiseno sportivo, dannazione.» Si voltò verso la voce, anche se già sapeva di chi si trattasse: certo, l’avrebbe riconosciuta ovunque la sua Maple. Sentì i muscoli, finallora irrigiditi come ghiaccio, cedere all’istante: qualcosa nella mora riusciva a calmarlo anche nei suoi momenti peggiori. Forse era il tono della sua voce, che gli sembrava lo stesso da quando l'aveva conosciuta la prima volta; erano praticamente uguali in statura, allora, poi lui era cresciuto tutto insieme e lei era rimasta piccola (e qui, probabilmente, se solo Maple avesse saputo di certi termini gli avrebbe lanciato uno scappellotto di quelli storici). Forse quel profumo di marmellata alle albicocche che si portava dietro, l'odore di biscotti caldi al burro e di gelsomino, intrappolato nelle ciocche color cioccolato – che gli facevano ripensare irrimediabilmente ai pomeriggi di novembre delle loro gite a Hogsmeade, seduti a un tavolino di Madama Piediburro a fingere un accento posh e a rischiare di venir cacciati per il troppo casino. O forse gli occhi, così caldi ed espressivi, genuini, di chi è buono perché ha scelto di esserlo. Le avrebbe accarezzato la guancia in un altro momento – un gesto privo di secondi fini, ovviamente, non avevano quel genere di legame, ma Aidan era il tipo di persona che l’affetto lo dimostrava coi gesti: non era mai stato bravo ad esprimersi a parole, e quindi al posto di un grazie preferiva un bacio sulla tempia. Ma quello non era il momento giusto per lasciarsi andare alla tenerezza: ne era conscio, il Grifone, e quindi si limitò a sfiorarle un fianco con le dita della mancina, un gesto di saluto più simile a un segreto. «Da quanto–» stava per chiederle da quanto si trovasse lì, ma lasciò perdere. Il suo sguardo venne di nuovo attirato dal palco: CJ era sparito dietro a figure sconosciute, che lo circondavano come corvi nel disperato tentativo di fargli riaprire gli occhi. Oh well. «Aspetta, correre?» E solo allora si rese pienamente conto di ciò che gli aveva detto Maple: la osservò confuso, mentre incastrava la bacchetta tra i capelli, cercando di capire quali fossero le sue intenzioni – e per esperienza, una Maple che legava i capelli era una Maple con brutte intenzioni. «Cosa vorresti fare, esattamente? Maple.» Il tono esasperato di una persona che si era già pitturata la scena, dall'inizio alla fine: che cosa orribile, il senso di protezione. E voleva davvero fargli uno di quei discorsi da papà responsabile, ma insomma, chi mai ci avrebbe creduto? Lui? Responsabile? Naaah. Uno standard che aveva poco di realistico. «Qualunque cosa tu abbia in mente» e di nuovo mosse la mano libera, stavolta creando piccoli cerchi immaginari con l'indice in direzione di Maple. Sopracciglia corrugate e occhi smeraldo che urlavano preoccupazione: il pacchetto completo. «...devi dirmela subito.» Serio, serissimo, già pronto a fare l'offeso nel caso in cui Maple l'avesse ignorato. Cosa che succedette, ovviamente, perché terminata l'acconciatura improvvisata, la oronero non proferì alcuna parola. Piuttosto, si girò in direzione del Grifone, con uno sguardo che sembrava volergli dire: fidati di me. E lui si fidava, certo. Di lei sì. Di loro, invece, non esattamente. Di nuovo, si ritrovò in una posizione di what if: avrebbe voluto dirle fin troppe cose in quel momento, ma nulla uscì dalle sue labbra. Semplicemente, cercò di trasmettere a sua volta quel po' di coraggio che aveva ancora in vena, sperando segretamente che tutta quella convinzione la stesse mettendo in qualcosa di effettivamente sicuro o che, insomma, non l'avrebbe messa in una situazione di pericolo troppo grave (e qui, per grave, s'intende andare da Knowles e tenergli la manina mentre lasciava il mondo dei vivi, sia chiaro).
    E beh, insomma, da Maple si aspettava molte cose ma di certo quello non aveva avuto modo di prevederlo – ne erano testimoni gli occhi, che si spalancarono non appena vide la ragazza in questione prendere la rincorsa e, oh, cazzo. Oh, cazzo.
    L'istinto fu quello di urlarle dietro (e gli parve di sentire anche la voce di Connor mischiata alla sua – sperava di essersi sbagliato, perché davvero non voleva essere nella traiettoria del fratello in quel momento). Non si rese neanche pienamente conto di star correndo lui stesso: imprecava a denti stretti, Aidan, mentre cercava disperatamente di salvare qualche brandello della sua migliore amica. Chi le aveva detto che quella sarebbe stata una buona idea?
    Si era ripromesso di non muovere un dito, era quasi intenzionato a prendere il gruppo di ragazzini dietro di lui e portarli via di lì, al sicuro, e invece ora stava esponendo se stesso e chiunque altro nelle sue vicinanze all'ennesimo pericolo. Ma non poteva lasciare Maple da sola, non in quel momento. Dopotutto, lui non era mai stato uno studente brillante, ma le capacità a maneggiare una bacchetta non gli erano mai mancate – al contrario della Tassorosso, ormai esposta a chiunque volesse divertirsi un po'. Si fermò abbastanza lontano da poter estendere il braccio e, con un po' di fortuna, abbastanza vicino da poter beccare la persona giusta. Quindi fece roteare il polso destro quanto più rapidamente possibile, poi puntò la bacchetta in direzione dell'uomo posto tra lui, Maple e Jess – che intanto si accasciavano a terra come due sacchi, thanks Obama – e pronunciò uno «Stupeficium!», cercando il più possibile di scandire lettera per lettera. Qualora l'incanto fosse andato a segno, si sarebbe diretto verso le due ragazze, incurante di chi o cosa lo circondasse, per aiutarle a rialzarsi e – perché no – urlare «cosa ti passa per la testa?» all'amica; magari anche per ringraziare Syria ed Ekaterina con un cenno della testa. Troppo traumatizzato per essere educato, sorry ladies.

    gryffindork vi
    aidan gallagher
    furry problem

    with hands held high into a sky so blue

    sheet / code made by g. / song


    once again, da rileggere, ma volevo postare subito visto che già sono in ritardo clamoroso fbejfbewjh
    in sintesi:

    - what the fuck is going on in here on this day cit.
    - corre dietro a Maple, che si è paracadutata addosso a Jess, e tenta un'offesa (Stupeficium) in direzione del tipo che le stava lanciando il Tendi
    - viene raggiunto da Ekate e Syria (?)
     
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  8. vasilov‚ idc
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    Draw a monster. Why is it a monster? || 03.07.17 - 19:30
    Oh, cielo beato. Perché a lui. Perché. William Lancaster si inumidì le labbra e sollevò gli occhi al cielo, le sopracciglia arcuate a sottolineare l'esasperazione verso l'atteggiamento di Vasilov. Aveva sempre saputo che il preside di Durmstrang fosse una mina vagante, motivo per cui aveva cercato per anni di tenerlo stretto al guinzaglio, pur da una certa distanza di sicurezza - ci teneva a vivere, Lancaster. Jeanine Lafayette, pur essendo più posata rispetto al suo collega, non era certo da meno: ed in un contesto del genere, dove s'inseriva il preside di Salem? Semplice.
    Non lo faceva.
    Non era interessato alle questioni politiche che smuovevano gli animi dei due europei; certamente, ancor meno, era interessato alle loro battaglie. William Lancaster esisteva solamente per far sí che esistesse un equilibrio, una zona grigia nel quale inserire tutti coloro che, della loro sete di potere, non sapevano che farsene. Era una parentesi di quiete, l'americano.
    Ma la quiete andava conquistata con anni di silenziose guerre, e con una precisa scelta di marketing sulle battaglie a cui prendere parte. Negli anni precedenti, sentendo la tensione fra i due, aveva iniziato ad esporsi maggiormente; tale esposizione aveva richiesto, ovviamente, nuove forme di tutela, ancore e giochi che gli permettessero di non perdere terreno: che gente come William Lancaster, il terreno, lo occupava tutto. La zona sul quale si spostavano i due colleghi, era sua - avrebbe potuto spodestarli in qualunque momento, ma sapete la vecchia e sempre valida regola, giusto? Conosci quel che perdi, ma non sai quel che trovi: c'era gente molto meno equilibrata di Vasilov e Lafayette, a far gola al loro posto.
    O almeno, così credeva.
    Osservò impassibile le maledizioni scagliate dai Freddi, e come nessuna scalfí alcuno dei presenti - non poté trattenere un ridacchiare divertito ed un piccolo applauso orgoglioso, nel vedere i più giovani fra la folla aiutarsi fra loro. Ecco, vedete?
    Quello era il mondo di William Lancaster: si entrava in partita, solo quando richiesto.
    «Cosa vuoi per la Cura? E se non ce l'hai, almeno dicci cosa gli sta succedendo. So che lo sai, almeno fai in modo di guadagnarci qualcosa» Lancaster si guardò attorno un paio di secondi, prima di rendersi conto che la ragazzina dall'aria smunta ed i capelli pallidi come fili di ragnatele, stava parlando con lui. Sbatté le ciglia, l'indice puntato al proprio petto. «io?» domandó innocentemente, alzando poi i palmi in segno di resa.
    Fin onesto, William Lancaster: per chi diamine l'aveva preso? Che lui, lui fra tutti!, non era interessato alla questione Jean - Drago: lui era #teamvivi, quindi quel tono d'accusa era assolutamente ingiustificato. Dispiaceva anche a lui per quel ragazzino, ma... Insomma. Non sembrava comunque il tipo che avrebbe raggiunto i vent'anni di età, il che diminuiva esponenzialmente i vantaggi del trarlo in salvo mettendosi in mostra per la sua causa.
    Ruotó lo sguardo sul sangue scarlatto che impregnava il palco, Lancaster; sulle persone ivi riunite, tutte diverse l'una dall'altra - tutti innocenti, tutti colpevoli. E sarebbe stato sciocco dire che in tutto quel tempo non si fosse domandato, come altri, cosa fosse accaduto al pelatino.
    E che non ne avesse tratta alcuna conclusione.
    «oh, miseria.» un sospiro a sfrigolare sulla lingua, mentre si faceva spazio per giungere al capezzale del Fu CJ Knowles. «fate tutti un passo indietro» Il Tassorosso sollevò debolmente la mano. «cinque.» corresse, un respiro umido di sangue e gratitudine dal ragazzo a terra. Cautamente, Lancaster posò due dita sul polso di lui, udendone silenzioso il battito - denso, lento. Un fazzoletto a pulire fronte e ferita, le dita tozze del preside a tastare, delicate, la pelle del viso - fredda, friabile. Il taglio, chiuso poco prima da Helianta, aveva iniziato nuovamente a riaprirsi.
    Perché: un interrogativo, cento risposte scomode. «helianta» chiamó, alzando un dito. «heidrun» indicó loro di inginocchiarsi al fianco di CJ, dove Lancaster già era accucciato. «non riesco a curarlo» non guardò la mimetica, mentre sollevava le palpebre del giovane. «non è per quello che sei qui» mordicchiò l'interno della guancia, sospirando greve nel palmo della mano. «lo riconosci?» Heidrun aggrottò le sopracciglia, le dita sopra il petto del ragazzo. «CJ?» Ed a Lancaster, che di suo aveva un labile autocontrollo, scappò da ridere. Una risatina acuta ed ilare, quelle che scoppiavano e si spegnevano come fuochi d'artificio: peccato fossero in pochi a capire quella battuta. «il veleno» specificò, sbuffando ancora una risata. «non c'è alcuna tossina: non è veleno» ecco, qual era il punto. Ecco perché Lancaster non conosceva un antidoto.
    Non era un veleno.
    Voleva solo una conferma.
    «lo riconoscete?» domandó loro ancora, alzandosi in piedi e svettando sulle loro chine figure. Guardò le due ragazze, William Lancaster. Guardó quel petto dai respiri deboli quanto ali di libellula.
    Oh, bastardello di un Dragomir Vasilov.

    «siete ancora più stupidi di quanto pensassi» un sorriso amaro e acido spinse gli angoli delle labbra del Drago a sollevarsi, gli apatici occhi ghiaccio ad intersecarsi a quelli di Jeanine. La francese rimase stabile nella sua posizione per tutta la durata di quell'ammirevole teatrino, i piedi saldi sul terreno e le dita a stringere la bacchetta. Non reagiva - attendeva. Non attaccava - non difendeva.
    Jeanine Lafayette aveva un piano.
    Un vero peccato che anche Dragomir lo avesse - e che tutto volgesse a suo favore. Schioccò la lingua sul palato, reclinando il capo in direzione degli spettatori ancora immobili alle sue spalle. L'esercito di Vasilov eseguiva solo gli ordini diretti del loro Padrone: le loro priorità erano attaccare e difendere il Drago, non sé stessi.
    Non fecero una piega, di fronte agli incanti che si diressero loro contro. Caddero semplicemente al suolo, soffrendo silenziosi di una condanna scagliata da mani fintamente pure. «tre minuti.» infilò una mano all'interno della pesante casacca scura.
    Avvenne di nuovo troppo rapidamente. Strinse fra le dita due lame sottili, appena percepibili: le scagliò con una velocità che non avrebbe dovuto essere umana, e che trovava giustificazione solamente ammettendo un patto con il Diavolo.
    Una colpì Amalie Shapherd, una linea cremisi sulla guancia sinistra.
    Un secondo. Due secondi.
    Vasilov le sorrise, un rispettoso cenno con il capo.
    Ed allora una seconda lama fendette la folla, raggiungendo il braccio di Fox Withpotatoes: un secondo, due secondi.
    Vasilov sorrise sincero, quando due rivoli di sangue sporcarono le narici dell'uomo - il primo colpo di tosse, ed un secondo. «dieci.» ed in quel momento fu palese, che il suo non fosse un semplice conto alla rovescia: era il tempo che era loro rimasto.
    «uno non è abbastanza.» sancí privo di inflessione, senza guardare il Serpeverde che aveva parlato: tornò a guardare Jeanine, Vasilov. «vi dirò di più: dov'è la vostra rabbia, ora? La vostra sete di vendetta un sorriso freddo a denti scoperti. Così istintivi, gli inglesi, in quel loro seguire ciecamente il proposito di vendetta - che, a quanto ne sapeva, implicava sporcarsi del sangue di chi aveva causato un problema personale.
    Ma troppo selettivi, per i suoi gusti. Doveva essere più esplicito? «questo, è colpa vostra» ancora guardò Patrick ed il già pallido Fox, prima che il suo Esercito si muovesse lanciando un Bombarda a Rea ed un Everte Statim a Byron. «questo, invece, è colpa vostra» il sorriso ad Eugene e Connor, le bacchette rivolte a Arci e Maple in due silenziosi Stupeficium. «questo, è perché siete degli idioti.» guardó le cugine Hollins, il prefetto Grifondoro Aidan Gallagher. «e avete fatto la scelta sbagliata.» di nuovo, pur osservando loro, tre bacchette si alzarono verso altri: Pearl, Sersha, e Amelia, cui vennero indirizzati tre crudeli Foramen.

    Jeanine guardó i suoi uomini cadere a terra, pietose occhiate al ragazzino dai capelli ramati e gli occhi umidi. Poteva fargliele una colpa? No. L'avrebbe fatto?
    Doveva.
    Non poteva lasciare che gli inglesi si lasciassero influenzare da Vasilov, credendo che lui fosse l'unica alternativa possibile. Non poteva lasciare impunito un ragazzino solamente perché disperato: non vivevano in un mondo facile. Non vivevano in un mondo che permetteva debolezze.
    E le spiaceva, ma andava fatto quel che andava fatto. «non ho la cura,» inizió, potente di onestà e sani principi, attirando gli occhi su di sé: guardava Vasilov, lei. «ma non ho neanche la malattia.» Era disposta a lasciar morire due ragazzi innocenti pur di evitare un ulteriore strage?
    Si.
    «ferite solo gli uomini di vasilov, ma occupatevi di tutti.» un passo verso la sua Nemesi. Un sorriso bieco, glaciale quanto gli occhi dell'uomo. «siamo stanchi di te e dei tuoi giochetti, drago.» «bugiarda.» le sussurró lui, in una carezza.
    Jeanine si irrigidí.
    «sono mortificata per le vostre perdite, ma non permetterò più che accada:» un rapido sguardo alle foto, alle bare vuote.
    Una stretta al cuore, ed il fiato a mancare.
    «ora.»
    E le divise bianche ed oro si scagliarono contro quelle nere; dalla folla, un Incarceramus si diresse verso BJ Reynolds.

    Il caos che sempre una ragione aveva, e cento soluzioni portava - che instillava domande, e si rispondeva con un brivido di guerra.
    Che di fronte alla Verità, rendeva gli uomini ciechi.
    | ms.


    La situazione si fa cruenta (come piace al Fato ohoh) quindi è il caso di mettere qualche regola, e dare qualche chiarimento. Come avrete già immaginato, ogni cosa / ogni azione è causata da qualcosa, di conseguenza si può evitare: il come, sta a voi trovarlo.
    Nel mentre, è cominciata la battaglia.
    I galoppini di Vasilov attaccano: Rea, Byron, Arci, Maple, Pearl, Sersha, Amelia (Black/Hepburn, non Amalie #wat).
    Quelli di Jeanine: BJ.
    Qualcuno viene avvelenato - ha quindi gli stessi sintomi di CJ - ma un attento lettore non avrà bisogno che io specifichi chi.
    Non sono così bionda (o forse si) tutto ciò che ho scritto ha un suo perché, nulla di lasciato al caso.
    VOGLIO PIÙ LAVORO DI SQUADRA - intendo proprio off, ma voglio regalare tanti bacini al gruppo studenti che mi ha reso tanto fiera, bellichesiete. Lavorateci insieme, sviluppate teorie. Voglio sentire i vostri (talvolta contorti) ragionamenti, mlml.
    Comunque non sembra eh, ma siete stati bravissimi ed il Fato è molto orgoglioso.

    Ora veniamo alle regole.
    - sempre 48 h per difendervi
    - potete fare una sola difesa singola a pg, ma se avete più di un personaggio (o postate più di una volta prima del fateggio) quante difese combo (= Una difesa combo, è una difesa compiuta da più personaggi con azioni collegate postate a non più di due ore di distanza l'una dall'altra // nda: in questo caso vi libero dalla scadenza delle due ore, quindi pur rimanendo combo potete postare a quante ore di distanza l'uno dall'altro vi viene comodo.) volete. Cosa vuol dire? Mi spiego meglio con un esempio, anche perché detta così non ha senso.
    Io player ho una sola difesa singola, quindi anche se posto con tre pg (Will, Rea, Erin) solamente uno di loro tre DA SOLO potrà difendere Sersha - MA. Ma. Se Will difende Sersha da solo, Erin può comunque difendere Pearl SE farà combo, quindi con azione combinata a qualcuno (es: Erin atterra Pearl, Aidan fa un Protego).
    N.B. Non potete fare combo con voi stessi.
    - in ogni caso, avete UNA sola difesa ed UN solo attacco per pg (se fate multipost, comunque uno per pg, non per post) MA prima del prossimo fateggio potete ripostare, in caso aveste un solo pg, ed avreste di nuovo UNA difesa ed UN solo attacco.
    - specificate sempre sotto spoiler cosa fate
    - amatevi, fratelli (wat)

    Per qualunque cosa, sapete dove trovarmi - tipo sotto il vostro letto.
    O dietro di voi in questo esatto momento.
     
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    Sometimes the system goes on the blink And the whole thing it turns out wrong You might not make it back.
    So where is the passion when you need it the most || 03.07.17

    L'angolo in alto della pagina si piegò diligentemente sotto il polpastrello del dito medio, il piacevole rumore delle pagine di carta riciclata del giornale si andarono ad aggiungere a quello più acuto delle tazzine che venivano impilate l'una sull'altra sulla macchina del caffè.
    Era un bar mediamente grande, potevano permettersi di tenere diversi tavolini sia dentro che fuori, eppure l'arredamento era quello classico dei bar per vecchi, quelli con le tovaglie che spaziano dal giallo ocra sbiadito al panna, la selezioni di amari ridotta all'osso posta in modo disordinato alle spalle del barista, camerieri assenti, i clienti -quasi tutti abituali- si servono praticamente da soli. Se qualcuno glielo avesse chiesto Elysian avrebbe dovuto ammettere di aver varcato la soglia solamente per potersi svuotare la vescica; uscendo dal bagno -in fondo a destra- però era rimasta colpita da come la luce del tramonto si facesse strada fra le persiane in parte già socchiuse, regalando al locale una luce rossastra e calda che difficilmente si ritrova in città.
    "Chiudete fra molto?" il ragazzo dietro al bancone alzò lo sguardo senza smettere di asciugare un calice da birra "Finché Bob rimane lì seduto, di solito, non chiudiamo" muovendo appena il capo indicò l'unico cliente, un uomo sulla settantina che da giovane doveva essere ben piazzato, la barba bianca e incolta e un cappellino dell'Arsenal calato sugli occhi. Sorseggiava lentamente quello che doveva essere whiskey, senza dare il minimo accenno di voler partecipare alla discussione.
    La ragazza sorrise e si inerpicò sullo sgabello più vicino "Un bicchiere di vino rosso allora" si sporse in avanti ad afferrare uno dei quotidiani messi a disposizione e cominciò a sfogliarlo concentrandosi su una frase ogni venti. Rendeva decisamente le notizie più interessanti.
    Dovevano essere già passati una decina di minuti -di religioso silenzio- quando Elysian fece sobbalzare i due uomini "Lavoro e denaro! l'indice puntato sul trafiletto dell'oroscopo "creatività in fermento, vi basta captare una parola detta da altri o vedere un’immagine che vi colpisce per mettere in moto la mente, producendo meraviglie. Vissuto con allegria e serenità anche il lavoro diventa svago." il più giovane fra i due rise sotto i baffi [che non aveva n.d.a.], Bob non mosse un dito, al che la ragazza si lanciò giù dallo sgabello manco fosse al quarto piano e si andò a posizionare sulla sedia davanti al vecchio, sospirò, allungò una mano quasi a sfiorare la sua e ricominciò a leggere, con entusiasmo. "Amore: il segreto per far funzionare la coppia è il dialogo e voi lo utilizzate con larghezza di mezzi: cenetta intima col partner per puntualizzare alcune questioni, ma senza aggressività, sorridendovi attraverso il tavolo!" per la prima volta Bob diede segno di vita: alzò il capo rivelando un sorriso ampio, in netto contrasto con gli occhi troppo velati perché potesse scorgere anche solo il contorno di ciò che lo circondava "La mia parte l'ho fatta, fammi sapere quando starai sorridendo anche tu." Se Elysian sentì il proprio cuore sprofondare, beh, non lo diede a vedere, piuttosto coprì quei pochi centimetri che ancora separavano le loro mani e questa volta gliela afferrò, stringendo nel modo più affettuoso che conosceva. E in effetti lei di modi affettuosi proprio non ne sapeva niente. "Bob io le giuro che sarei più che onorata di essere la sua compagna, se non altro potrei vagare nuda e senza trucco per casa senza spaventarla. di colpo il gelo calò sull'intero locale, persino il sole sembrò spegnersi là fuori, poi l'intero bar -due persone- scoppiò a ridere.
    La mora guardò con aria greve l'orologio al polso che non aveva -ma d'altronde cosa ne poteva sapere Bob- e lasciò andare la mano del suo nuovo compagno "E' l'ora che mi metta al lavoro: le famiglie e i corridori occasionali avranno già abbandonato le loro belle aree verdi, andrò a vedere se hanno smarrito qualche portafogli" "Volontariato" "Qualcosa di simile." così dicendo si lasciò dietro un futuro marito, un barista sbadato e un conto da pagare.

    Arrivare ad Hogsmeade fu veloce, raggiungere l'Aetas fu semplice, capire che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato ancora di più.
    Se fino a poco prima l'idea di farsi chiamare Occhi di falco le sembrava geniale, ritrovarsi nel bel mezzo di una funzione senza rendersene conto la fece ricredere. Lasciò scivolare con scaltrezza le banconote trovate a terra nel reggiseno e si avvicinò cauta, indecisa se fingere di essere fra gli invitati o capire di cosa si trattasse per poi sgattaiolare via. In realtà bastarono pochi secondi per inchiodarla al suolo, per avere brividi lungo tutto il corpo, per avere gli occhi carichi di lacrime, per desiderare che qualcuno la stringesse. Ma per Elysian May non c'era nessuno, per l'ennesima volta si trovava in mezzo a qualcosa più grande di lei senza che lo avesse chiesto, senza che centrasse davvero qualcosa. I nomi delle vittime le galleggiarono nella mente senza riuscire ad assumere dei veri volti, eccetto Nathan, che l'anno prima aveva subito la sua stessa sorte: se c'era qualcosa che aveva capito da quando era uscita dai Laboratori era che fra Mangiamorte, Ribelli ed estremisti tutti sembravano agire alla cieca, nessuno sembrava davvero in grado di attuare un piano che potesse ribaltare la situazione. La riprova di questo era il semplice fatto che fra i rapiti dello scorso anno e le vittime di questo attentato ci potevano essere tutti e nessuno, sembrava che nessuno puntasse a colpire il nemico dritto al cuore, piuttosto si limitavano a mutilare, forse nella speranza che il dolore li avrebbe spezzati.
    Scorse il viso rotondo e dolce di Helianta fra la folla esattamente come riconobbe il profilo sempre un po' imbronciato di Run, ma il pensiero di avvicinarsi a loro morì sul nascere. Non sapeva cosa avessero perso, non sapeva se avessero perso qualcosa, qualcuno… e se così fosse stato lei non sarebbe bastata, men che meno servita ad alleviare le loro pene. Lei che non poteva perdere niente perché non aveva niente, come poteva permettersi anche solo di immaginare il loro dolore?
    Un applauso tanto spontaneo quanto fuori luogo la fece accigliare, ma il colpo di grazia glielo diede la figura padrona di quel gesto. C'era lui, dietro tutto, ancora.
    Quante fottutissime probabilità c'erano che lo stesso giorno Elysian l'esperimento e Vasilov il maniaco bastardo si trovassero nello stesso parco? Molte se fosse stata a conoscenza degli eventi avvenuti in Francia, molte poche se si considera che come al solito la ragazza si stava facendo i benamati fatti suoi. Era arrabbiata? Decisamente. Ma di una rabbia che la faceva sentire spossata, stanca, le dava l'impressione di non aver fatto altro che tirare pugni in aria per tutta la sua vita. L'applauso fu solo l'anticipo di quello che si rivelò un siparietto niente male: odio, pregiudizio, rancore, cattiveria, spavalderia, e la cronocineta rimase sempre immobile al suo posto a mordersi il labbro inferiore, unico segno che denotasse una certa agitazione.
    Lo spettacolino del preside di Durmstrang si sarebbe potuto concludere in mille modi, peccato che -come detto poco sopra- ogni fazione si era convinta di avercelo più grosso e l'unica battaglia accettabile dunque sarebbe stata quella su chi piscia più lontano. Questo si che meritava un applauso.
    Obiettivamente avrebbe potuto levarsela, tornare dal suo Bob, farsi ancora un cicchetto e indossare per lui della lingerie vedo-non vedo [madò che simpy n.d.a.], eppure vedere tutta quella gente affannarsi per proteggersi la faceva sentire come un cinico che osserva le coppiette a San Valentino: schifato ma comunque geloso. Tentò di entrare in scena come Xena nelle best scene ever, peccato che all'inizio dell'urlo di battaglia le andò la saliva di traverso e si ritrovò a tossire come un novantenne fra incantesimi e maledizioni. Tutto ok, non ti ha vista nessuno.
    Le parole di Vasilov sembravano sovrastare il tutto, la voce chiara e forte come se stesse parlando all'orecchio di ognuno di loro "vi dirò di più: dov'è la vostra rabbia, ora? La vostra sete di vendetta?", ulteriori attacchi partirono dagli uomini del suo esercito e questa volta Elysian non si sarebbe fatta trovare impreparata: nonostante dall'ultimo giro in giostra le esplosioni non fossero esattamente in cima alla lista delle cose che amava si sarebbe buttata con tutta la forza che aveva contro Rea per allontanarla dal punto dove si sarebbe schiantato l'incantesimo. Si stava ancora scrollando di dosso la terra quando l'ultimo scambio di battute fra Jeanine e il Drago le fece porre alla ragazza che aveva appena scaraventato a terra l'unica domanda che l'attanagliava dall'inizio dello scontro: "Siamo sicuri di poterci fidare di lei?"
    | ms.


    Scusate non ho riletto (come sempre)
    Elysian rimane sulle sue fino all'ultimo per poi difendere Rea dalla Bombarda. Sempre a Rea rivolge la domanda finale.
     
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    Oh everything's a mess

    It’s not what you painted in my head || 03.07.17
    Stringeva quel pezzo di stoffa tra le mani, rigirandoselo tra le dita, fiera di ciò che aveva appena fatto. Perchè era Jess Goodwin eppure, nel momento in cui aveva deciso di salire sul palco, prendere quell'oggetto, duplicarlo senza farsi vedere e tornare a posto con la copia esatta da analizzare, non si era comportata da Jess: certo, era stata impulsiva, avventata, sospettava che il suo piano non avrebbe portato a nulla di concreto eppure aveva riflettuto. Almeno teoricamente, la sua era stata un'idea sensata. Di solito, le idee di Jess non lo erano mai. Per la prima volta da quando aveva appreso la notizia dell'attentato e aveva stretto le mani di Erin e Nate, vedendo i loro volti crollare sopraffatti dal dolore, sentiva di aver fatto qualcosa di utile e concreto per aiutarli, molto più di cucinare pancakes o sforzarsi di rimanere sorridente nonostante quello che la vita gli stava facendo attraversare.
    Ma lo notò subito, che qualcosa non andava. Anzi, bisognava chiedersi la domanda contraria: che cos'era ad andare, in quell'occasione? Vide gli sguardi distratti di Nate, Scott e sopratutto di Erin. Avevano la mente altrove, e Jess non poteva certo biasimarli: anche lei ce la stava mettendo tutta per rimanere concentrata sul trovare una soluzione piuttosto che farsi prendere dal panico per ciò che stava succedendo intorno a loro. Perchè li sentiva, alle sue spalle, i discorsi che venivano fatti: alcuni stavano cercando di trovare un'argomentazione valida per scagionare Vasilov, altri cercavano tutt'altro: un vero scontro. E la ragazza era spaventata per l'incolumità dei suoi amici perchè non sarebbe mai riuscita a sopportarlo di veder ferita una persona a cui teneva. Il solo pensiero le faceva raggelare le ossa, e dunque aveva bisogno di catalizzare tutta la sua attenzione su altro, ed in quel momento l' "altro" era rappresentato da quel pezzo di stoffa.
    «la chiaroveggenza…?» Beh, non era poi una cattiva idea, ma sembrava Erin stessa a non essere poi così convinta. «Erin, che..- » e la Chipmunks si alzò in piedi, non dando nemmeno alla ragazza il tempo di completare la frase «scusate.» e si allontanò di corsa, lasciando Jess allibita. Restò ferma per qualche minuto, paralizzata sul posto, continuando a spostare lo sguardo dal profilo di erin che scompariva in lontananza a nate e scott, ancora seduti davanti a lei. Anche loro avevano praticamente la sua stessa espressione stampata in viso. «Che..che sta facendo? » E fu solo vederla buttarsi su Eugene Jackson ed un altro ragazzo che non conosceva che strappò Jess da quello stato di trance. COSA DIAMINE STA FACENDO? Sì, poteva immaginare cosa stesse provando l'amica in quel momento, perché era ciò che stava provando anche lei. Poteva capire come il desiderio di fare qualcosa per fermare quella situazione fosse grande, perchè lo provava lei stessa: sentiva ogni cellula del suo corpo fremere per poter intervenire . Poteva capire davvero tutto, perchè conosceva Erin Therese Chipminks, perchè era una parte fondamentale della sua vita, perchè era la sua famiglia e proprio per questo non poteva accettare che si buttasse così nello scontro: da quella posizione, poteva tranquillamente beccarsi un incantesimo indirizzato a Eugene o all'altro ragazzo. Per quanto cercare di fermarli fosse un gesto nobile e coraggioso, era anche tremendamente idiota.
    E quando l'idiozia chiama, Jessalyn Goodwin risponde.
    Abbandonò a terra il pezzo di stoffa, che fino a pochi minuti prima considerava così importante. In quel momento, non gliene fregava più nulla. Si allontanò dal suo posto, lasciandosi alle spalle i suoi amici e senza riflettere iniziò a correre vero Erin. L'avrebbe aiutata a fermare quei due, e in caso di fallimento, avrebbe convinto l'amica ad allontanarsi da lì. Non poteva sopportare che si trovasse così esposta.
    All'improvviso però si sentì afferrare per il braccio. Si ritrovò davanti un ragazzo dai capelli biondi, che non conosceva . O forse sì. Era così imbarazzante quando rincontrava persone di cui aveva cancellato il ricordo, e cercava sempre di leggere le loro espressioni. Lo conosceva? Un tempo erano amici? Quando odiava non sapere informazioni fondamentali su sè stessa. Non c'era risentimento, nel suo volto, non come quello che aveva visto negli occhi del ragazzo incontrato alla festa a casa Dallaire. C'era solo apprensione. Il biondo la invitò a rimanere dietro di lui, offrendosi come scudo umano, ed in realtà Jess per un secondo fu tentata ad accettare perchè era, beh, una Jess. Era consapevole del fatto di non saper far nulla per difendersi, in caso di attacco, e poi adorava gli atti di gentilezza gratuiti. Gli sorrise raggiante .«Grazie! Sei appena diventato il mio migliore amico! - Un classico. Probabilmente, se lo aveva già conosciuto prima, gli aveva già detto quella frase. La diceva un po' a tutti, in realtà . Ma poi riportò lo sguardo su Erin, il sorriso le si spense sulle labbra e tornò alla realtà - ma devo andare, è piuttosto urgente. » Si liberò dalla sua presa, e continuò a correre.
    «questo è colpa vostra» non se ne accorse. Jess udiva le parole di Vasilov in lontananza, aveva ormai perso il filo del discorso. Troppa politica, troppe questioni irrisolte tra loro, troppa tensione sessuale non scaricata : era una faccenda tra il preside di Durmstrang e la preside di Beauxbatons, e la mora non capiva perchè dovessero dare il via ad una guerra, piuttosto che prenotare una camera d'albergo come ogni altra coppia normale. Non li stava ascoltando più, eppure il fascio rosso partito dalla bacchetta di uno degli adepti di Vasilov lo vide eccome. E ci mise un attimo, a capire che era diretto verso di lei.
    E non provò nemmeno a spostarsi. Rimase lì, ferma, ad accettare il suo destino. Che idiota.
    Ed ecco come mi ammazzano
    Devo fare ancora tante cose!
    Vabbè, in fondo è stata una bella vita
    Meh
    Ho poco più di un anno e mezzo di ricordi

    Ma ora chi li fa i pancakes?
    Erin si fregerà tutti i miei vestiti
    Beh, le staranno bene. Meglio a lei che al cassonetto dei rifiuti
    LOKI E THOR
    Beh, in realtà hanno più possibilità di sopravvivere senza di me
    Non sentì l'impatto dell'incantesimo, ma solo un grosso peso addosso che la spinse verso il basso. Sentì però molto bene lo schianto a terra, e batté la testa.
    Non è stata nemmeno troppo tragica, come morte.
    Riprese i sensi - bah, forse era solo melodrammatica ed in realtà non li aveva mai persi - pochi istanti dopo, convinta di essere passata all'altro mondo. Si aspettava di riaprire gli occhi e ritrovarsi in un prato pieno di girasoli, pieno di fontane di cioccolata in ogni angolo , animali parlanti e dolci con le ali che si ti si posavano gentilmente sulle mani come farfalle, offrendoti di mangiarli. La sua versione personale di paradiso. E invece. Si accorse di avere buttata su di se una ragazza, e capì che era lei il peso che aveva sentito sul suo corpo, non un effetto dell'incantesimo.
    Ah, ma allora sono ancora viva
    «NON SONO MORTA!» Rivolse un ampio sorriso alla sua salvatrice «GRAZIE!» Era il secondo atto di gentilezza gratuito nei suoi confronti, quel giorno, e Jess si chiese cosa avesse fatto di così importante per meritarsi i regali di natale in anticipo. Era così strano trovare persone sconosciute pronte ad aiutarla ed a mettersi a rischio per lei. Anche se di sconosciuto, Maple Walsh non aveva nulla. Solo che Jess non se lo ricordava.

    «questo è colpa vostra» Quelle parole avevano fatto raggelare il sangue di Connor. Perchè si aspettava che le conseguenze delle proprie azioni ricadessero su di lui, lui soltanto. Non su altre persone. Si girò di scatto, vedendo i raggi di luce dei due incantesimi allontanarsi dalle bacchette, diretti verso i poveri malcapitati. E poi probabilmente il suo cuore si fermò qualche istante, gli si smorzò il fiato in gola e sicuramente gli si accorciò la vita di qualche anno, quando vide sua sorella fiondarsi verso l'incantesimo. No, non ne sarebbero usciti vivi. Quella consapevolezza lo colpì come una lama in pieno petto. Perchè erano fatti così, i fratelli Walsh: troppo avventati, troppo incuranti delle conseguenze. Anche se Connor si sforzava di ragionare, di calcolare ogni movimento, quando era messo sotto pressione la lucidità non riusciva a mantenerla ed agiva senza pensare. Maple ancora più di lui. Si maledisse mentalmente per non essere rimasto al suo fianco, perchè in quel caso l'avrebbe afferrata per un braccio, le avrebbe impedito di allontanarsi dalla sua postazione iniziale, si sarebbe fiondato lui a proteggere l'altra ragazza al posto suo. Era tardi. Tornò a respirare solo quando vide sua sorella buttata a terra, l'incantesimo che le passava vicino ma non la toccava. Era salva. Per ora. «MAPLE MA SEI UNA CRETINA!» Iniziò a correre in direzione della sorella, lasciandosi alle spalle Eugene ed i tizi che aveva attaccato poco prima. Non gli importava più di nulla: la sua priorità era lei. Vide che anche il migliore amico della ragazza, Aidan, stava andando nella sua stessa direzione.
    Avvicinandosi, notò chi fosse la ragazza per cui la sorella aveva rischiato di prendersi un incantesimo in pieno petto, e decise di farle una ramanzina più corta, giusto un pochino. Perchè si ricordava bene di Jessalyn Goodwin, di tutti i racconti che le aveva fatto Maple di lei, di tutte le idiozie che quelle due avevano fatto insieme. E ricordava lo sguardo spaesato e ferito di sua sorella quando l'amica non era tornata al dormitorio da una gita ad Hogsmeade. Lui l'aveva rassicurata, le aveva detto di aspettare qualche giorno, eppure non era mai tornata. Era facile immaginare la gioia di sua sorella, nel rivedersela davanti. E poteva capire ancora di più il suo gesto. Però, in ogni caso, la ramanzina se la meritava. Era il minimo.
    Era ancora a terra, sua sorella, quando la voce di Vasilov attirò l’attenzione del ragazzo. Perché, quelle parole, erano indirizzate a lui. L’incantesimo però no.
    «questo, invece, è colpa vostra» E vide benissimo un soldato dell’uomo alzare la bacchetta, pronunciando un incantesimo senza però far uscire alcun suono dalla propria bocca, e il raggio di luce allontanarsi da lui, diretto verso di loro. No, non loro in generale. Il mondo sembrò rallentare: vide sua sorella, a terra, in quella posizione talmente scomoda per difendersi persino per un esperto in incantesimi. Si trattò di una frazione di istanti: si girò di scatto verso Aidan, un’occhiata veloce, non una parola, ma un messaggio recepito da entrambi: avrebbero protetto Maple. Difendere sua sorella era diventato il suo istinto primario, in ogni occasione, dal momento in cui l’aveva stretta tra le braccia la prima volta, anche se aveva solo tre anni. Certi legami erano più forti di qualsiasi altra cosa al mondo. «Protego!» Il suo incantesimo, unito a quello di Aidan, riuscì a far uscire illesa la ragazza. Connor tirò un sospiro di sollievo, per poi correre da lei, porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi. E non le diede nemmeno il tempo di rimettersi in piedi, prima di stringerla tra le sue braccia. «Dio Maple, se usciamo entrambi illesi da qui ti ammazzo»
    Ti voglio bene.
    Non voglio che ti succeda nulla di male.
    Non potrei mai sopportarlo.

    «siete ancora più stupidi di quanto pensassi» La bionda non lo ascoltava. Non voleva ascoltarlo. Non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia, per quanto non lo sopportasse. Continuava a spostare lo sguardo da Arci al ragazzo al suo fianco. L'avrebbero aiutata? Avrebbero appoggiato il suo piano? O l'avrebbero semplicemente presa per delirante? E si girò un attimo solo, Amalie Shapherd, quando avvertì un dolore improvviso alla guancia sinistra. Si portò una mano al volto, sfiorando il punto dolorante, e lo avvertì subito: sangue. Si girò verso Vasilov, questa volta imponendosi di puntare i suoi occhi nei suoi, e non le fu difficile, dato che lui la stava già guardando. Sembrava aspettare qualcosa. Ed Amalie anche, perché essendo stata colpita direttamente da lui, sospettava di poter finire a terra tossendo sangue proprio come CJ. Eppure non avvertiva nulla di diverso, nessun dolore improvviso, solo il fastidio provocato dal taglio. Nient'altro. E poi vide il preside di Durmstrang sorriderle e voltare lo guardo altrove, e la ragazza si ritrovò più confusa di prima. «Forse gli stai simpatica» Lanciò un'occhiata storta ad Arci. «Non posso stargli simpatica. Gli ho inveito contro meno di dieci minuti fa» Riportò lo sguardo su quell'uomo, questa volta concentrata sui suoi movimenti: e vide mentre una lama veniva lanciata dalle sue mani, talmente rapidamente da sembrare quasi impercettibile, ed andare a colpire Fox Withpotatoes . Ma questa volta lui iniziò a tossire, mentre il naso gli sanguinava. Proprio come a CJ.
    «uno non è abbastanza.» Ed Amalie rabbrividì. Perché lei non stava presentando gli stessi sintomi? Perché non aveva iniziato a tossire sangue o accasciarsi a terra, come gli altri due? In fondo era stata colpita proprio come Fox. E non si sarebbe mai dimenticata lo sguardo di Vasilov su di se mentre la osservava e sembrava aspettare qualcosa. Qualcosa che, evidentemente, non era arrivato. Ed ora per la ragazza era inevitabile chiedersi il perché.
    Amalie lasciò perdere il suo piano. O almeno, per il momento lo mise da parte, perché era più concentrata ad osservare le azioni di Vasilov e capire i suoi piani. L'avevano già attaccata una volta - due in realtà, anche se l'attacco con la lama era stato qualcosa di più subdolo e, evidentemente, mal riuscito - e non aveva intenzione di farsi cogliere impreparata: se le avessero lanciato un altro incantesimo , voleva essere pronta a difendersi da sola.
    E dunque notò chiaramente uno dei soldati (sono soldati? boh) pronunciare un incanto tenendo la bacchetta indirizzata nella loro direzione, più precisamente verso Arci. Ma Amalie fu più veloce, decisa a dirottare quell'incantesimo. Conosceva Arci da una vita ed anche erano più le volte in cui avrebbe voluto tirargli uno schiaffo o chiudergli la bocca con un nastro di scotch quando le rivolgeva la parola, in fondo a lui ci teneva. E l'avrebbe difeso in ogni occasione, nonostante tutto. Rapidamente lanciò un expelliarmus verso il tizio che lo stava per attaccare, e la bionda si sentì tremendamente soddisfatta di se quando vide il suo incantesimo riuscire a pieno e far ritornare indietro quello dell'avversario. «Puoi ringraziarmi più tardi Leroy» Detto questo, si diresse verso il punto del palco più affollato, lì dove era stata qualche minuto prima, lì dove si era formata una piccola folla intorno a CJ , steso per terra.
    Amalie si chiese se qualcuno avesse notato ciò che le era successo. Perché non aveva iniziato a sanguinare, come Fox? In fondo, da quanto aveva visto, erano stati colpiti da armi simili. Perché allora lei non era piegata in due, perché non aveva ancora perso i sensi?
    Si chiese se potesse far qualcosa per aiutare Fox ma sopratutto CJ. Glielo doveva, ancor di più dopo che il ragazzo aveva usato probabilmente le ultime forze rimaste in lui per evitare che la bionda venisse colpita da quell'incantesimo. Voleva aiutare, e sarebbe stata disposta a tutto pur di farlo.
    Era pur sempre suo nipote, e lei aveva una reputazione da Mabel Winston da mantenere.
    Anche se non lo ricordava.

    | ms.


    Jess inutile come al solito non fa nulla.
    Connor combo difesa con Aidan per Maple
    Amalie difesa per Arci, poi torna verso il gruppetto al capezzale di CJ morente, pronta per essere usata come sacca di sangue vivente ♡ (anche se ancora non lo sa )
     
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    Sembrava che fossero passati solamente pochi minuti, probabilmente aveva contato una manciata di secondi da quando aveva riposto il suo corpo ancora putrido di alcol e droghe varie sul sedile del suo taxi, percepiva la sua testa in panne, confusa e inebriata da tutto quello che aveva ingerito, ma conscenzioso che verosimilmente erano passate ore, aveva lasciato correre, come ogni volta. Aveva lasciato scivolare la sua testa ormai priva di una decenza propria, sul cuoio morbido della vettura , sprofondando in questo, e riempiendo le narici dei profumi che solitamente sentiva addosso alle donne che lui aveva intorno a sé, o in realtà erano proprio quelle, un fiume di donne vestite con abiti di paillettes che adesso lo circondavano e che lo avevano preso ad accarezzare.
    Ma del resto non ricordava nulla, si era addormentato dolcemente, ritornando per un istante ad essere un bambino, un bambino fortunato dato che il taxi in quel caso era il suo jet privato da milioni di dollari, ma questi sono dettagli.
    Adorava ricordare poco di tutto quello che passava, ma benché egli volesse convincersi del contrario, c'era ben poco da ricordare dato che le sue serate erano ormai fotocopie, déjà-vu, una continua spirale di eventi su eventi che organizzava egli stesso o ai quali veniva scongiurato di partecipare. Avrebbe voluto ricordarsi qualcosa delle sue interessanti discussioni empiriche su quale tra Berlusconi ed Umberto Smaila fosse il più ricco, delle sue magiche avventure, della musica e dei musicisti dei quali si circondava, eppure non vi riusciva, probabilmente il motivo era perché aveva raggiunto una certa età, quell'età che persino un individuo come lui doveva affrontare, forse era arrivato il momento di considerarsi vecchio, oppure, più semplicemente, era a causa della droga della serata se non ricordava niente... si era decisamente quella, in fondo lui non invecchiava praticamente mai e merda quanto si divertiva, avere i soldi per una roba del genere era fantastico.
    Ma ritornando sul sedile del suo taxi, le carezze terminarono presto quando si accorse che il suo corpo era stato sollevato da terra, stava lievitando dolcemente sulle spalle di qualcuno, teneva gli occhi chiusi, si lasciava stringere da quelle mani che lo trasportavano e che lo cullavano come onde del mare, una sensazione che avrebbe definito celestiale e forse colui che lo stava trascinando era proprio un angelo, uno di quelli veri, con piccole ali dorate ed aureola incorporata.
    A quel pensiero i suoi occhi strabuzzarono, tentarono di aprirsi, singhiozzò e tentò di sbiascicare qualche parola di disappunto, cercando di far valere le sue tesi con monosillabi: e se gli angeli fossero stati dei poveri di merda??? Non avrebbe dovuto disinfettarsi all'istante, fare antitetano, antirabbica e richiami vari? Si sarebbe sicuramente informato alle prime luci del sole, quando finalmente avrebbe riacquisito la capacità di ragionare, per il momento avrebbe lasciato correre.
    Solo pochi istanti, il vortice era durato quella serata per poi svanire risvegliandosi ai piedi della sua piscina olimpionica. Sdraiato su di una sdraio fatta di soli smeraldi, alquanto scomoda ma efficiente a soddisfare i suoi bisogni di megalomania, Leroy Jenkins aveva già affrontato l'hangover, ormai pienamente lucido mentalmente e vestito del suo accappatoio di seta, guardava attraverso i suoi occhiali di diamante, il movimento festaiolo e frenetico delle persone che gironzolavano per la sua villa.
    -Davvero una bella serata, Alfred-, commentò soddisfatto rivolgendosi all'uomo paggetto-tutto fare, che si trovava al suo fianco e che stringeva in un guanto d'acciaio il suo drink, ovviamente se la sua pelle fosse pervenuta a contatto con il vetro del cocktail quello sarebbe stato da buttare. In realtà non credeva si chiamasse Alfred ma tutti i maggiordomi o simili si chiamavano in quel modo e poi era povero quindi sticazzi.
    -Signore, mi permetto di farle notare di aver trovato una lettera che sembrava essere caduta dalla sua giacca ieri sera, mi sembrava opportuno fargliela avere, dall'aspetto sembra qualcosa di importante-, Leroy Jenkins guardò l'uomo con sguardo contrariato:Non l'avrai mica toccata con le tue sporche manacce?-, i suoi occhiali di diamante puntati contro gli occhi di plastica del povero che parlottò spiegandosi:-Oh no signore, come mi ha detto lei, maneggiare qualsiasi cosa del signore con guanti di acciaio e pinze di ceramica-, Leroy si limitò a grugnire strappandogli la busta di mano.
    Possibile che nella serata si era fatto sfuggire qualcosa? Teneva stretta nella sua mano quella busta appena consegnata, l'involucro nero lucente ed il sigillo rosso di cera non presagivano nulla di buono. Ma continuava ad avere ricordi confusi di quella, solamente immagini sfocate e quasi senza senso, riusciva a ripercorrere nella sua memoria solamente tramite piccoli salti, ma il più delle volte poi si bloccava irrimediabilmente, non riuscendo a fare totale chiarezza.
    Ricordava un gruppo di persone intorno a lui, non sapeva se li avesse mai incontrati prima di allora, lo avevano fermato, gli avevano comunicato qualcosa di importante, qualcosa che lui, Leroy Jenkins doveva sapere, qualcosa che aveva a che fare con il mondo circostante e stranamente qualcosa che lo interessava.
    Poi, quegli stessi strani individui erano spariti e nella sua mente si immergevano nella coltre di fumo della sua memoria, la risposta dunque, la risoluzione di quel caso era semplicemente racchiusa in quella lettera.
    Accarezzò con i polpastrelli la ruvida carta nera, sospirò, voltandola più e più volte, cercando quasi un qualcosa di nascosto, di ignoto, che lo potesse rassicurare circa il contenuto, ma non vi era, tastò poi il simbolo che la sigillava, per poi strapparlo via e rinvenendo nelle sue mani il tesoro al suo interno. Un foglio, era semplicemente un foglio di carta, di una buona fattura avrebbe detto, aveva lo stesso profumo del suo jet, delle sue donne, ed era quella la soluzione dell'arcano, quel ricordo che adesso riusciva a riafferrare, la lettera dunque recitava:
    Sei er mejo pischelletto dark,
    777, la gang non si infama.
    -.
    Sorrise beffardo, avendo riacceso nella sua testa quella memoria, aveva passato la serata con la dark polo gang, gente di un certo livello insomma, ringraziò del pensiero, portando la mano destra sulla bocca ed appoggiandovi le labbra schioccò appena un bacio, per poi staccarla e rivolgerla al cielo con un :-Bacini a Tony-.
    -Sono bravi ragazzi Alfred, sai, ieri sera, quando stavamo per completare la costruzione lego del..- riprese a parlare con Alfred quando venne prontamente interrotto da una voce, il suo altro maggiordomo era giunto per una comunicazione importante da quel che sembrava:-Siniore ciè un womo per lei-, -Chi?-, -Un womo-, Leroy si voltò furioso verso il maggiordomo:-Per dio Chang, ti avevo detto di imparare a parlare, va bene comunque, fallo passare-, gli avevano detto che Chang fosse il migliore sulla piazza, che fosse un tipo conosciuto e con esperienza, che aveva fatto parte di set famosi, eppure Leroy non era pienamente convinto del suo potenziale.
    La misteriosa figura era uno dei suoi tanti informatori, ne aveva di molti sparsi per tutto il mondo, una delle tante spie, se c'era qualcosa che Leroy doveva sapere, l'avrebbe saputa nel minor tempo possibile. L'uomo, vestito di un elegante smoking nero si avvicinò alla sdraio del re e dopo aver schiarito la voce,lo informò di un evento:-Signore, sono morte delle persone nell'incidente in Francia,tra queste, anche una vostra figlia, credo si chiami Delilah Jackqualcosa -,l'uomo dava per scontato che egli sapesse dell'evento francese, ma egli non sapeva in realtà che la sera prima, Leroy Jenkins non si era davvero interessato alle casistiche del mondo.
    -Capisco, puoi andare-, sbuffò, per quanto cercasse di mentirsi a sé stesso, era difficile affrontare la questione, avvicinò la sua mano alla bocca, il suo sguardo vacuo, di solito era lui ad uccidere i suoi stessi figli, questa volta invece lo avevano fatto per lui, un pensiero carino, certo.
    Schioccò le dita ed ordinò come suo solito:-Portatemi il libbro dei figli-, il libro dei figli di Leroy Jenkins assomigliava ad un enciclopedia, tante le pagine e lo spessore di quell'oggetto che gli fu recapitato immediatamente.
    -Allora vediamo..-, sfogliò la prima pagina ed iniziò a leggere scorrendo con il dito ogni nome di suo figlio:- Allora, A, AA, AAA, AB... -, si, Leroy Jenkins aveva chiamato alcuni suoi figli come delle pile stilo, ma tanto lui poteva fare tutto.
    -Eccola!.. Delilah Jackson-, puntò il dito contro il suo nome, - Ah, povera povera.-, non aveva mai avuto una particolare relazione con lei, in realtà non aveva mai avuto una relazione stretta con nessuno dei suoi familiari, tranne rare eccezioni, tipo Lucille ad esempio anche se aveva tentato più volte di ucciderla senza successo.
    -Signore, dunque... cosa facciamo in questo caso? Andiamo?-, Alfred tentennò, proponendo un qualcosa al suo signore, -Beh, controllami l'agenda, cosa c'era in programma oggi?-, in meno di un secondo, le mani dell'uomo scattarono nelle sue tasche, andando a sfilare il taccuino ben organizzato di Jenkins :-Vediamo... Alle 15:35 è previsto il festino con Barbara D'urso... Poi alle 17:00 c'è l'apericena con la sua amante, una certa Chiara Ferragno, Ferragna, qualcosa del genere, lei non ha specificato il nome... da lì in poi è libero, come procedo? Annullo tutto?-.
    Leroy meditò per un po', di certo era una giornata allettante quella che si prospettava, ma in fondo, perchè no?, magari era qualcosa di diverso:- Si, si, annulla tutto, potrebbe essere divertente... abbiamo un funerale al quale presenziare adesso!-.
    Arrivò in orario, o almeno credeva, a bordo della sua modestissima limousine di svariati e svariati metri, parcheggiarono ovviamente a debita distanza dall'evento, non voleva che i poveri infettassero la vettura con i loro sguardi e con i loro smartphone comprati da subito.it.
    Il problema primario fu dunque arrivare al luogo del funerale, riusciva a vederlo da lontano, un luogo modesto dove già molte persone erano presenti, riusciva a percepire l'atmosfera triste e melanconica, un'atmosfera alla quale egli non era affatto abituato.
    Fu Alfred ovviamente a scendere per primo e velocemente a posizionare una banconota da 500 dollari sul terreno dove Leroy Jenkins potè finalmente posizionare il piede, e poi l'altro, ovviamente sempre su di una baconota di grosso taglio.
    Fece tutto il percorso che lo separava dall'auto all'evento in questo modo, in bilico su quei pezzi di carta, Alfred lo definiva un gioco ma per Leroy Jenkins il: the floor is povero, era vita.
    Arrivò e si staziò nell'ultima fila, per non dare troppo nell'occhio e lì ordinò una:-Sedia-, Alfred si mosse afferrandone una lì presente e ponendola di fronte al suo signore, Leroy Jenkins riuscì allora, finalmente, a calciarla via :-Sulle sedie dell'ikea ci si siedono i poveri-, e lì finalmente intervenne Alfred, che dal nulla tirò fuori una sedia di avorio, in tema con quelle presenti.
    La cerimonia non era nulla di che per il momento, solo persone che parlavano senza senso e cose del genere, tanto che a Leroy sorse un dubbio che espresse al suo servo:-Senti... Alfred, tu che ne sai più di me, cosa fanno di solito le persone ad un funerale?-, la risposta arrivò istantanea:-Solitamente piangono, mio signore-.
    Jenkins fu scioccato dalla notizia, non ricordava di aver mai pianto in vita sua, era nato tanto ricco da non conoscere quella strana cosa, :-Ah, beh, allora, fammi piangere, forza-, una richiesta bizzarra, ma doveva mascherare la sua presenza.
    Sentì Alfred singhiozzare a quell'ordine, ma poi, con una voce strozzata e triste cominciò a parlare:- Vede signore, io sono al lastrico, ho un mutuo da pagare e gli strozzini che mi alitano giornalmente sul collo, ho tre figli ed una moglie malata... Il più piccolo dei miei figli, Francis, ha appena compiuto sei anni e sta per iniziare la scuola, ma non posso permettermi un grembiule ed ogni notta vado a dormire con questo pensiero: cosa dirò a mio figlio, quando vedrà i bambini con il loro grembiule appena comprato e stirato mentre invece lui sarà vestito con gli stracci dei suoi fratelli più grandi?-.
    Leroy Jenkins rimase a bocca aperta per tutto il racconto, il fiato sospeso, prese a pensare a quella storia e poi rispose:-Porca vacca Alfred, se avessi dovuto spaventarmi avrei guardato una puntata di Uomini e Donne, fai sul serio per carità!!-.
    L'uomo rimase sbigottito e deluso e con incertezza cambiò il suo discorso:-Mhhh... allora... eehm... diciamo... un numero con meno di sei cifre??-, Leroy Jenkins si voltò di scatto ansimando :-O mio dio!-, la sua mano alla bocca, le sue labbra che presero a tremare, non pensava che esistessero dei numeri simili, credeva che i numeri partissero tutti da un milione, poi Alfred continuò:-Mmh... scritto... sul suo libretto degli assegni-.
    E lì Leroy Jenkins comprese come ci si sentiva ad essere disperati, cosa si provava quando veniva a mancare un qualcosa di certo, un qualcosa di familiare, un qualcosa che aveva fino ad allora amato, amato come un figlio, il dolore era atroce e comprendeva i poveri del posto, certo, la loro perdita era nettamente minore, ma in quel momento, era affranto, proprio come loro.
    Una lacrima scese da un occhio e poi un'altra, un pianto puro e sincero macchiava il suo volto da ricco sfondato.
    Da lì in poi tutto prese ad andare a puttane, dal nulla comparvero due uomini che sembravano essere potenti, ricchi? Non lo sapeva, ma di certo sembravano avere una certa fama, aveva visto il loro volto da qualche parte ma al momento gli riaffioravano in mente solo le copertine delle riviste delle classifiche mensili dei 100 uomini più ricchi al mondo.
    L'atmosfera però, dovette ammettere che si fece più interessante, combattimenti, poveri che morivano, un gran massacro.
    Decise dunque di andare a controllare di persona, si non adorava rischiare la vita in quel modo, ma non si sarebbe fatto calpestare dai poveri e soprattutto era memore di quello che aveva fatto nella missione precedente, tanto che il fondo della sua piscina era una gigantografia della megacombo che aveva attuato assieme a suo nipote Paul.
    Salì sul palco e lì fece una grande scoperta, Jackson, ecco dove aveva già sentito quel nome, quel Jackson, quel tipo, quello che non si sa come ma era suo figlio, uno dei tanti che non si era mai arricchito ovviamente.
    Si avvicinò a lui, vedendolo in difficoltà, gli posizionò una mano sulla spalla anche se la ritrasse velocemente:-Paulene!-, -Eugene-, la voce di Alfred alle sue spalle intervenne prontamente a correggerlo:-Eugene, giusto... so che è un momento difficile, ma fatti forza, combatti come farebbe un membro ricco della tua famiglia che tu mai diventerai e soprattutto, se mi vedi in difficoltà, coprimi... Nel senso, fammi da scudo, insomma, fai qualcosa-.
    Estrasse la bacchetta e velocemente pronunciò un:-Expelliarmus-, contro uno degli uomini di Vasilov che stava attaccando una ragazza, una che aveva portato un fazzoletto che sperava fosse gucci altrimenti non avrebbe avuto senso.
    Poi si rivolse proprio all'uomo al quale aveva appena attaccato uno dei suo servitori:- Potrei effettivamente combattere con te, se il tuo scopo è davvero quello di fare pulizia, sarebbe nobile-, in realtà a Leroy non interessavano razze, esperimenti, mezzo sangue e robe simili, per Leroy c'erano solamente sue distinzioni: ricchi e non ma effettivamente sarebbe stato conveniente schierarsi dalla parte del più forte.
    - rule #1 never be #2 - code by ms. atelophobia


    Difesa combo con Pearl per Pearl
    il resto del post è solo svarione
    parla alla fine con vasi, basta.
     
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  12. anti/hero
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    charlotte "cece" larson
    phobétor torchwood
    pureblood
    deatheaters
    empatic
    Dolce, il sapore della vendetta aveva sempre il suo perché. Charlotte non stava facendo altro che godere di quel sapore: in silenzio, di fronte al proprio riflesso che non era mai stato tanto sgargiante. Vittoria. Avrebbero dovuto chiamarla così i suoi genitori, invece che quel nome dall'aspetto così candido da farla vomitare: Charlotte, una stigma più che un nome, una maledizione immeritata per quell'orgoglio di figlia che era. Più si guardava più si piaceva, ma quel nome scritto a caratteri sanguinanti non le entrava proprio in testa-- non restava sulla lingua, «charlotte» piatto, non lasciava alcun sapore, non i brividi che -al contrario- la sua figura procurava a chiunque si trovasse una donna come lei davanti. Una donna come lei arrabbiata e affamata della propria vendetta.
    Leccò il dito indice lentamente, lasciandolo affondare fra le labbra laccate, fissando il proprio riflesso elegante. Poco sotto la scritta schizzi di sangue sporcavano lo specchio, rovinandone il riflesso perfetto della ragazza davanti; una piccola smorfia le colorò il viso, e girando su se stessa i tacchi stridettero sul pavimento scivoloso.
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    Tirò indietro il ciuffo sul viso e con passo deciso si allontanò dallo spettacolo sdegnoso-- non che la nauseasse, ma c'erano altre cose da fare.
    Il fatto che il funerale dei suoi cugini ricadesse proprio lo stesso giorno del loro appuntamento era una spiacevole coincidenza, ma poteva ancora fare un'ottima figura evitando di arrivare in ritardo e insanguinata all'ultimo saluto verso i suoi cugini Nathan ed April. Sarebbe stato davvero spiacevole e non certo una cosa degna di una Larson. «direi che qui abbiamo finito, non credi?» gli occhi non si soffermarono su nulla in particolare, ma nel notare il corpo a terra Charlotte non poté che lasciarsi sfuggire un sorrisetto compiaciuto-- si piegò sulle ginocchia, e le sue mani si chiusero sul viso trasfigurato dell'uomo. Con una forza che chiunque avrebbe definito disumana per quelle braccia all'apparenza gracili, la donna alzò il volto dell'uomo, lo allineò al proprio, così che le guance si sfiorassero, e nuovamente fissò un punto nella penombra della stanza «una bellissima conclusione» lasciò la presa all'improvviso, e il corpo ricadde esanime a terra, in un tonfo attenuato dagli abiti- o dal fatto che nessun presente ancora vivo prestasse ulteriori attenzioni al morto.
    Storse le labbra e si avvicinò alla mesta figura che per tutto il tempo non aveva proferito parola, o fatto alcunché per la donna: non che non volesse-- certo, non era nei suoi interessi, ma se Charlotte gliel'avesse chiesto, lui avrebbe fatto qualunque cosa per aiutarla. Ma una vendetta era tale se veniva compiuta da sé, e Charlotte fremeva di desiderio di vendetta-- non aveva bisogno di una mano per riprendersi la sua vita. Tutte le mani di cui aveva bisogno erano state malamente strappate dai polsi e gettate a terra, in un mare di sangue, da lei stessa.
    L'uomo teneva le mani nelle tasche dei pantaloni eleganti: non una sola traccia di sangue glieli aveva sporcati, pareva essere appena uscito da un sarto. L'aria vagamente distratta, quasi annoiata, sfilò una mano dalla tasca unicamente per passarsela fra i capelli, tirare i ricci indietro in quel piccolo vizio che faceva parte del suo essere più profondamente di quanto si poteva immaginare. Non era un uomo vanitoso, ma egoista, a tratti narcisista-- probabilmente al posto della donna avrebbe fatto lo stesso a quegli uomini, non si sentiva di giudicare le sue scelte né il modo in cui esse venivano compiute. Del resto, egli aveva fatto di peggio nella sua vita- e ancora ne portava le cicatrici.
    La donna gli si mise di fronte, lo sguardo dorato acceso come se avesse corso fino a quel momento-- come se avesse dato caccia a qualcosa fino a stanarla e riempirsene lo stomaco, per poi crollare appagata ai suoi piedi, leccando le ultime tracce di sangue sul corpo. Lo sguardo saettò lungo il suo petto, fissandosi nei suoi occhi con insistenza, quasi pretendesse da lui qualcosa che l'uomo non era certo di possedere «non siamo in ritardo, vero?» un rantolo alle sue spalle la fece girare veloce; il coltello sfilato dalla cintura dell'uomo venne lanciato con una precisione letale, si conficcò nel corpo senza sbagliare di un centimetro. Il mugolio cessò in un istante, e nuovamente tornò il silenzio nella sala-- almeno per qualche secondo, prima che la donna tornasse a muoversi per recuperare il coltello con lentezza chirurgica «se la smettessi di distrarti, potremmo ancora sperare di arrivare in tempo per i discorsi o il trasporto delle salme» acido, come il veleno della donna-- il tono mellifluo poté poco per mascherare la crudeltà propria della sua voce, quell'acidità pura, risultato di una vita sofferta.
    Charlotte dal canto suo scoppiò in una lugubre risata, alzandosi dopo aver estratto con un solo gesto il coltello dal polmone dell'uomo con un risucchio viscerale ed un altro schizzo di sangue che stavolta andò ad imbrattarle il viso «e da quando ti importa dei funerali, Phobétor?» l'uomo le allungò un fazzoletto senza muovere un solo muscolo al di fuori del braccio-- subito la donna lo afferrò, e pulì dapprima il viso dalle tracce del sangue, attenta a non andare a toccare il trucco, successivamente la lama seghettata del coltello che consegnò al legittimo proprietario con un sorriso soddisfatto. L'uomo non si era scomposto, tanto meno l'aveva degnata di risposta; non gli importava del funerale, naturalmente, non era andato nemmeno a quelli della sua famiglia-- ma se doveva presentarsi, allora lo avrebbe fatto con puntualità ed eleganza: non certo con un'accompagnatrice insanguinata da capo a piedi.
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    Charlotte quasi parve leggergli nel pensiero, captare il significato di quel silenzio; inclinò appena la testa, allargando maliziosa il sorriso «ai vostri silenziosi ordini, padrone» era una bestia, una fiera a cui era difficile sopravvivere-- quel sorriso era un'ammaliante trappola per stolti; quanti si erano persi credendo all'illusione di quel nome troppo dolce. Quanti erano caduti ignorando -o non volendo vedere- il mostro che si nascondeva dietro le parvenze sensuali, così femminili da scaldare il petto a chiunque, imbarazzare chi non sapeva reggere con la medesima malizia il suo sguardo. L'uomo sapeva gestire una bestia simile, sapeva tirare il guinzaglio affinché non finisse fra le fauci piene di denti aguzzi, dal morso facile-- ma anche per una persona dal polso forte come il suo poteva solo piegarsi di fronte alla crudeltà e alla fierezza di una creatura simile.
    Charlotte era stata plasmata per diventare una creatura della notte, un essere non ancora mostruoso ma nemmeno più troppo umana: umana, troppo poco umana, non c'era pietà negli occhi di chi come lei viveva con un solo scopo nella propria vita. Non c'era amore, e persino quell'uomo era solo uno dei tanti che morendo avrebbe lasciato un nome e un volto nella sua memoria-- nulla di più. Avrebbe potuto ucciderlo lei, se fosse stato necessario; nessuno l'avrebbe fermata, niente- nemmeno un'amicizia. Che poi, guardandoli, potevano dirsi tali?
    I due non avevano amici; erano personalità solitarie, senza conoscenze, senza famiglia, senza amici-- non avevano altro che un loro scopo, così simile da creare fra loro una certa affinità, ma se Charlotte amava di cuore sporcarsi le mani col sangue, Phobétor aveva la sua classe, il suo tocco, distaccato e violento a suo modo. Anche lui si era macchiato di un terribile peccato, ma nemmeno per un istante le sue mani si erano sporcate del sangue altrui, preferendo lasciare ad altri quello sporco lavoro.
    La ragazza si infilò la giacca di pelle nera, tirò fieramente indietro i capelli scuri e allargò il sorriso, facendo segno all'uomo di farle strada.

    06.10 p.m. | I piedi sfregarono sull'arenaria, e per un momento sul viso composto della donna apparve una dolorosa smorfia di disapprovazione, subito cancellata non appena dietro le lenti scure iniziò ad intravvedere delle sagome-- tante sagome nere, raggruppate silenziosamente attorno alle bare all'interno di quella piccola placida radura. Sua cugina Idem stava parlando: un discorso caldo, se Charlotte sapeva il significato di quella parola-- si fermarono indietro, verso le ultime file, e in piedi i due in nero fissarono la giovane ragazza intenta -con voce flebile- a dar voce ad alcuni ricordi.
    Charlotte sospirò appena, uno sbuffo quasi, mentre chinava il capo seguendo forse la strada di un pensiero «non pensavo tenessi tanto ai tuoi parenti lontani» tenere, era una gran parola per entrambi. La stessa Charlotte si spezzò in una bassa risata, velata naturalmente ai più per non attirare gli sguardi-- del resto, non era della cugina che stava ridendo, per una volta. «i funerali sono quel che sono: poche le occasioni per voler rivedere la tua famiglia, e spesso sei più felice per quelli che seppelliscono» ricordava bene il funerale dei suoi genitori. C'erano tutti, Nathan, April e Idem-- in rispettoso silenzio; non pensava provassero davvero rammarico, ma erano lì, erano gli unici che le erano rimasti, e nonostante gli screzi -in particolare con Idem- era stata “felice” -per quanto Charlotte Larson potesse esserlo- di vederli presenziare alla cerimonia.
    «è uno scambio di favori» era più facile per lei metterla in quei termini, specie se si trattava dei Withpotatoes. Che poteva dire. Era una cugina. Non ricordava un solo legame con loro, e di Idem ricordava solo lo strano fastidio -condiviso- nel trovarsi; le sue smorfie di disapprovazione non potevano neppure meritare una risposta da parte di Charlotte, che mordeva, e lo faceva senza controllo. Non abbaiava mai, non dava un avviso: semplicemente, come ad un altro evento, prendeva una sedia e lo rivoltava a terra, spaccandola furiosa senza un minimo di razionalità. Non pensava che sarebbe andata allo stesso modo, sarebbe stato poco conveniente, considerando la situazione, ma era anche vero che vedeva Idem ridotta così per la prima volta.
    Idem era la sua nemesi-- a modo suo, naturalmente.
    Sprizzava vita, era solare, aveva sempre un primo pensiero buono, e per lei doveva essere già uno sforzo mantenere quel silenzio distaccato fra cugine. Era un essere terribilmente troppo buono per quel mondo, e questo creava in Charlotte un senso di disgusto, che le faceva accapponare la pelle-- non potevano andare d'accordo, non vi sarebbero mai andate. Eppure, andava detto, c'era stato un tempo in cui quell'insofferenza ancora non si era sviluppata, c'era stato un tempo in cui aveva amato la cugina, e per quanto fosse stata piccola Charlotte qualcosa era rimasto. E quel qualcosa ora era particolarmente riflesso mentre vedeva la cugina perdersi in un piccolo sfogo che parve raccogliere consensi e, agitare le acque.
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    Un sottile sorriso andò a dipingersi sul suo viso velato da un paio di occhiali da sole neri, mentre portava alla bocca la sigaretta; altre voci si unirono al coro-- non aveva mai visto la cugina così, disperata e al contempo agguerrita, desiderosa di una vendetta, che non ci fosse solo l'ennesimo silenzio pietoso nei confronti di nuovi morti, un premio per la nazione. No. Tutti erano stanchi di quel pietismo, di quel silenzio, di quel lasciar correre, perché la morte dei giovani non è mai naturale-- e loro tutti erano così dannatamente giovani. Dicono che i buoni se li portano via presto, e che ciò è ingiusto... ma per Charlotte andava benissimo così: perché lei non era buona, e certo non voleva morire.
    Sogghignò, facendosi avanti mentre qualcuno alzava il tono, si metteva i piedi e iniziava ad accusare altri: al funerale erano presenti più della stretta cerchia di familiari e amici, proprio per sottolineare come quel gravoso incidente fosse decisamente meno banale dei tanti che si potevano leggere sui quotidiani.
    Qualcosa stava effettivamente succedendo, ma Charlotte non era poi così sicura di volerne fare parte.
    Storse il naso, quando i toni si fecero più aspri: in fondo, era pur sempre un funerale, c'era da portare rispetto-- e per farlo notare lei, era tutto dire. «sta diventando un pollaio» onestamente non le importava chi avesse preso parola e per dire cosa; in quel momento per Charlotte era un tutti contro tutti, per di più su un terreno che già conservava quattro cadaveri. Aveva fatto la sua parte quel giorno, quindi non era intenzionata a inserirsi nel discorso-- e dello stesso parere era il suo accompagnatore «non dirai nulla?» «è già stato detto troppo su quelle povere salme» e dopo ciò sigillò le labbra carnose in un muto dissenso, osservando la situazione farsi più accesa attimo dopo attimo, accusa su accusa, investendo chiunque di colpe così gravi da far tremare il cielo, come se avessero appena invocato dio come paciere.

    Non ricordava come fosse andare ai funerali.
    Ricordava le pagliacciate a cui aveva assistito, ma certamente, lo spazio nella radura, l'atmosfera d'angoscia, nulla di ciò aveva a che fare con la tetra sensazione che andava allargandosi nel petto passo dopo passo. E tuttavia ciò gli calzava a pennello, quel completo nero che rendeva solo più oscura la sua presenza, mentre elegantemente accompagnava la Larson lungo il viale che portava al centro della radura-- non avrebbe detto nulla, se avesse potuto tacere. Si sarebbe accontentato di ascoltare, guardarsi in giro e controllare che la situazione non degenerasse troppo, perché ben sapeva come, in quelle situazioni, la folla ci mettesse davvero troppo poco a perdere il controllo e iniziare a scoppiare, in una catena infinita.
    Tu fai un torto a me, che lo faccio a te... e via così, in un eterno ritorno. Per questo a Phobétor non piacevano per nulla quelle ricorrenze, quei posti affollati-- del resto, l'ultima volta che aveva assistito a qualcosa di simile, una ricorrenza, molta gente era morta, la confusione aveva investito tutti, e tanto sangue aveva macchiato i pavimenti lucidi. Tuttavia era un suo obbligo, e come tale lo avrebbe rispettato... anche se questo significava trovarsi, per la prima volta, nel vivo dell'azione.
    In un primo momento il funerale parve quasi svolgersi per il meglio: i toni accesi dei familiari non erano nulla di già sentito per l'uomo, ma, come dire, la presenza dei più grandi esponenti del mondo magico metteva una strana soggezione-- non a Phobétor, naturalmente, ma in ogni caso si sentiva nell'aria che la loro era una presenza terribilmente soffocante, pesante, incisiva. Apprezzò il fatto che a Charlotte andasse bene di restare in disparte, così come il suo mantenere un basso profilo «se le cose dovessero andare per il verso sbagliato...» del resto era presente Vasilov, e sapeva bene di aver già una volta rischiato la vita a causa di quello schifoso bastardo «improvvisamente hai paura? O apprensione nei miei confronti?» civettuola, la donna guardò verso l'uomo con fare peccaminoso naturale del suo essere, ma in risposta l'uomo rese solo più greve il fastidio leggibile negli occhi altezzosi, distanti, posti su quegli zigomi alti «non è nei miei interessi aspettarti, e non mi dispiacerebbe vederti camminare su quei trampoli infernali senza il mio appoggio» un ghigno appena, la donna gli rifilò una gomitata, ma la cosa parve sottolineare solo di più il sorriso dell'uomo, che distogliendo lo sguardo dalla Withpotatoes rimasta in vita si guardò attorno cercando di studiare i volti degli invitati-- molti ragazzini, avanti, chi avrebbe voluto una battaglia in quel momento? Era assurdo, erano tutti troppo giovani, troppo addolorati, e la vendetta non andava ricercata in un clima di odio e rabbia.
    E l'uomo se ne intendeva fin troppo bene.
    Aveva impiegato anni per progettare la propria-- sarebbe stato sciocco, ora, perire per la mano inferma di qualcuno. Il suo sguardo ricadde su molte persone che poteva dire di aver già visto, già conosciuto, ma solo una volta si soffermò abbastanza da rivelare una certa ossessione. La ragazzina, aveva i capelli neri e teneva lo sguardo basso; pareva voler essere in qualunque altro posto fuorché lì, e onestamente l'uomo al suo fianco incuteva tutto il sospetto che quel corpicino gracile sfatava, palesandosi per quello che era: una ragazzina, una bambina, che nella vita aveva sofferto troppo e che troppo poco aveva ricevuto, crescendo così in fretta. E sapeva bene quelle cose, Phobétor Torchwood, le sapeva meglio di chiunque altro a quel funerale-- le ricordava, sapeva di averle condivise e per questo, non appena la ragazzina parve alzare il viso nella sua direzione, l'uomo allontanò con noia lo sguardo, fingendo un attimo di interesse consumatosi troppo in fretta, come una fiamma intensa ma dalla breve vita.
    Trasse un lungo sospiro, e si ripeté ciò che gli era stato ordinato di fare.
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    Una, due, otto volte... non c'era timore di sbagliarsi se la sua testa ripeteva a manetta quelle parole senza curarsi del loro vero effetto-- un attimo di puro sedativo per la mente, non pensava più a nulla se si riempiva la testa delle parole del fratello, lasciando che esse facessero da monito e incoraggiamento a non voler rovinare ogni cosa. Strinse una mano attorno al pomo del bastone, una testa di serpente in argento, e dietro il guanto scuro le nocche sbiancarono per il fastidio-- non era mai stato bravo ad ubbidire agli ordini, se non gli era neppure permesso di trasgredirli per il proprio capriccio. «teso?» «credo sia abbastanza così» e fece per voltarsi, quando, all'improvviso, qualcuno gridò.
    Quel grido aveva una forma, un significato; squarciò la radura levandosi al di sopra di ogni altro suono, e con violenza prese forma in un fascio di luce diretto al preside di Durmstrang, l'uomo onestamente più odioso (odiato) del mondo-- persino più di lui, in qualche modo. Certo, lui stesso aveva voglia di spaccare la faccia dell'uomo a bastonate, ma di lì a rendere vero quel desiderio... ci volevano troppi metri da percorrere, e troppa fatica per caricare il colpo affinché beccasse l'uomo dritto in faccia-- qualcuno aveva fatto prima, e l'aveva fatto con decisione, fermezza, desiderio di vendetta.
    Come immaginato, la prima bomba innescò tutte le altre.
    Gente che fino a quel momento si era gridata addosso sguainò le bacchette, parenti che fino a poco prima piangevano adesso ululavano di collera verso il cielo, sgranchivano le ossa e preparavano le zanne, affinché il sangue versato venisse onorato col nuovo. Una serie di incantesimi iniziò ad essere lanciata da una parte all'altra della radura: Charlotte sfilò a sua volta l'arma, guardandosi attorno contrariata-- l'uomo fu più controllato, si poggiò con entrambe le mani sul bastone e fissò attorno la scena degenerare «adesso, è abbastanza? Portaci via» Charlotte si fece vicina, cercando un suo abbraccio per teletrasportarsi-- ma quasi istintivamente, l'uomo sfuggì alla sua presa, e si diresse disincantato verso la giovane ragazza tenuta d'occhio fino a qualche istante prima.
    Come ogni cosa, egli era stato attento anche al suo destino, e non appena fu davanti all'uomo, Phobétor gli prese con poca gentilezza il viso, con una mano sola, stringendo le dita sugli zigomi e la fronte: qualunque cosa il Pavor tentò di fare, svanì nell'esatto istante in cui l'uomo lo condannò ad una tetra angoscia, rovinando i tratti del volto -ora disperati- e cancellando ogni genere di potere sulla giovane Black. L'uomo sotto la sua presa si divincolò, desiderando unicamente di poter crollare a terra e crogiolarsi nel suo dolore, ma all'altro non bastò: manipolandolo, lo costrinse a coprire la giovane donna proprio nell'esatto momento in cui un incantesimo stava mirando a lei-- il colpo si schiantò sul Pavor, e improvvisamente egli non tentò più di liberarsi dalla presa dell'empatico, ma divenne un peso morto che l'uomo lasciò scivolare a terra, senza degnarlo di uno sguardo.
    Charlotte fissò la situazione, e dopo aver scelto -certo non troppo arbitrariamente- puntò la bacchetta a sua volta contro una delle donne che accompagnavano Lafayette-- aveva molto di cui vendicarsi per quei francesi rompicoglioni, quale occasione migliore di quella? «LARSON che diavolo stai facendo?» l'uomo guardò severo verso la donna, che allargando il sorriso pronunciò a voce bassa il sectumsempra, per colpire la donna ora impegnata in uno scontro con uno dei soldati della scorta di Vasilov-- un piccolo aiuto fra compagni, no? «perché devi divertirti solo tu, questo è, era, il funerale dei miei cugini» e senza badare troppo al compagno, la donna si liberò del cappello e con passo deciso, suadente, si avvicinò alla sua vittima prescelta- bacchetta calda in mano, sorriso incuriosito sulle labbra rosse come il sangue, di cui non era mai davvero sazia.
    they say only the good die young
    That just ain't right, 'Cause we're having too much fun
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia


    Phobétor: difende Amelia
    Charlotte: attacca una guardia di Lafayette


    Edited by anti/hero - 29/7/2017, 16:04
     
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    Non era mai stato il genere di ragazzo da prendere come esempio, Aidan. La faccetta carina, i modi che talvolta potevano dare l'impressione che fosse una persona quantomeno delicata, non riuscivano a celare quel suo lato irriverente e fastidioso che, prima o poi, finiva sempre per tornare a galla come una carcassa nel bel mezzo dell'oceano. Non era il tipo da presentare ai genitori, lui: piuttosto, quello che entrava dalla finestra di nascosto e scappava via il mattino dopo perché se mio padre lo scopre ci ammazza. Non era neanche il figlio da mostrare in giro: di soddisfazioni ne dava poche, di guai ne portava fin troppi. Forse questo era uno dei motivi per cui lui e Maple si trovavano così bene insieme: entrambi avevano un chiaro risentimento nei confronti delle scelte giuste, del pensare prima di agire. Compagni di brutte abitudini, se vogliamo. Una sua ramanzina sarebbe stata fuoriluogo poiché, come aveva dimostrato la sua scelta di cacciare fuori la bacchetta e Schiantare un mago con il triplo delle sue capacità, di cose terribilmente irresponsabili ne faceva anche lui. Troppe, anzi, a detta di chiunque gli volesse abbastanza bene da volerlo vivo per almeno qualche altro anno. Allo stesso tempo era quel genere di persona che concedeva atteggiamenti autodistruttivi solo a se stesso e chi, per lui, valeva poco; le persone a cui lui teneva venivano piazzate automaticamente sotto la sua ala protettiva, volenti o nolenti. Storceva le labbra, faceva schioccare la lingua sul palato e poi si faceva in quattro pur di vederli tranquilli. E quello era stato veramente troppo. «Merlino, Maple.» Con il cuore a mille le passava i polpastrelli sulle braccia, premendo appena per capire se ci fosse qualcosa di rotto. A ogni più piccolo gemito di dolore rispondeva con una fulminata – debole, perché la preoccupazione era troppa per arrabbiarsi sul serio, ma di certo non glie l'avrebbe fatta passare una volta che tutto quel casino fosse finito. Insomma, sempre se il destino glie l'avesse data buona, e cominciava a temere che ciò non sarebbe successo troppo facilmente.
    Sussurrava qualche concordo e vero, il Grifone, mentre il fratello maggiore della ragazza in questione contribuiva al suo futuro mal di testa. E no, non stava veramente ascoltando il discorso del più grande: di sicuro condivideva il pensiero di base, ma chiunque avrebbe potuto notare gli occhioni languidi che gli lanciava di tanto in tanto. E insomma. Bel ragazzo Connor Walsh. Andava capito, i fratelli carini sono maledizioni che camminano. Mancava giusto che gli si mettesse accanto con le braccia conserte a fare da mamma orsa, nella mera speranza che improvvisamente l'altro si rendesse conto della sua esistenza. Stava dunque per aprire la bocca di nuovo, il rompiboccini, ma la pesantezza nell'aria peggiorò impossibilmente quando la voce di un uomo che in poco tempo aveva già imparato a detestare lo raggiunse. Avrebbe potuto ignorare quella chiara provocazione, ma essere orgoglioso non lo aiutava mai in questi casi: corrugò lentamente le sopracciglia, Aidan, sentendosi chiamare uno stupido. Non era la prima volta che ciò succedeva e non sarebbe stata l'ultima, specie da un completo sconosciuto (ciao proprietari di pub irlandesi nelle vicinanze), di questo ne era certo, ma la mandibola si strinse lo stesso in una morsa ferrea. Morgana, se era stanco di quella diatriba infinita. L'irritazione si tramutò ben presto in orrore quando si accorse di quel che stava per accadere: spostò rapido lo sguardo in direzione di ciò che aveva attirato l'attenzione di Connor, poi di nuovo su di lui – che lo stava guardando di rimando, stranamente. Eppure in quel momento sentì di sapere il perché dietro quello scambio di sguardi. Non che ci fosse altro modo per risolvere la situazione, dopotutto: le sue difese erano pessime, e come massimo sarebbero riuscite a salvare la punta del naso di Maple se lanciate da sole. Se ne avesse avuto il tempo, gli avrebbe chiesto quale fosse il segreto dietro a cotanta sicurezza, lui povero sfigato in costante crisi di ansia necessitava di capire quale strana erba magica tenesse in piedi la famiglia Walsh, ma tutto ciò che riuscì a fare fu sperare in una miracolosa unione delle loro menti. Se quel «Protego!» gli fosse uscito fuori sottoforma di urlo, insomma, nessuno poteva veramente biasimarlo: dentro di sé si stava già preparando mentalmente al fruscìo dell'incanto, poi lo sbattere di saetta contro pelle, simile al suono di una frusta, e infine il frastuono di un'esplosione che avrebbe visto Maple librarsi in aria per poi ricadere a qualche metro di distanza, svenuta o peggio. Il suo timore si concretizzò non appena vide la bacchetta tentennare per qualche attimo prima di rispondere al comando: spalancò gli occhi, il sangue raggelato, poi al suo filo si unì quello più forte e vivido di Connor e mai, fino ad allora nella sua misera vita da teenager senza gioie, si era sentito così sollevato. Finì tutto in pochi secondi che a lui, però, sembrarono un'eternità – troppo impulsivo, troppo violento, troppo emotivo per queste cose. Lui era quello che la Bombarda te la lanciava, non quello che la tratteneva. Aveva il suo modo particolare di proteggere le persone, più stupido e doloroso di quanto sarebbe dovuto essere, ma almeno era qualcosa. Non l'avrebbe mai detto ad alta voce, ma era terribilmente grato della presenza del maggiore.
    «Dobbiamo andarcene.» Lo suggerì a chiunque fosse in ascolto: che si trattasse dei fratelli Walsh, delle cugine Hollins, o di un perfetto sconosciuto. Era un dato di fatto: nessuno di loro poteva considerarsi al sicuro in quel momento. «Ora.» Una pausa, seguita da uno sbuffo scocciato. Davvero, da quel funerale si era aspettato qualche frase triste e una burrobirra ai Tre Manici di Scopa per ricordare i caduti, non di certo una partita di Cluedo formato famiglia allargata. «Prima che Vasellina ci faccia crepare tutti.» Fece roteare gli occhi al cielo, poi si inumidì le labbra con la punta della lingua. Non riusciva a trovare altro modo per uscirne, dopotutto. In quel momento il suo piccolo monologo fu interrotto da una Maple furiosa; certo, avrebbe potuto fermarla per evitare di recare ulteriori danni a una situazione che di per sé era abbastanza spinosa, ma d'altro canto avrebbe potuto anche lasciarglielo fare e osservare gioioso qualche testa volare. Di sicuro gli avrebbe migliorato l'umore. E quindi si scansò, il giallorosso: un divertiti dipinto nelle iridi smeraldo. Poi si voltò verso Connor, il povero, povero Connor, a cui fece un cenno col capo rapido, seguito da «bel team, noi due, ah?» Liberissimo di interpretare quella domanda come una vera e propria minaccia.

    gryffindork vi
    aidan gallagher
    furry problem

    with hands held high into a sky so blue

    sheet / code made by g. / song


    - combo con Connor Walsh per salvare di nuovo il derrière a Maple
    - lascia che Maple si vendichi. Più o meno.
    eeee that's it?


    Edited by w/olfsbane - 29/7/2017, 03:17
     
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    La bionda si sarebbe aspettata molto più interesse e partecipazione da parte degli Inglesi, ma il brandello di stoffa attrasse molte poche persone. Sapeva che non era una prova schiacciante, non tanto quanto la testimonianza di Del attraverso la voce della ragazza dagli occhi celesti, ma aveva sperato che, in una situazione così precaria come quella, bastassero pochi centimetri di tessuto a dar vita allo scontro. Voleva il sangue, voleva che anche i parenti di quei schiavetti in nero piangessero come avevano fatto loro e sarebbe stato un vero tocco di classe presentarsi lì con lo stesso crudele e velenoso sguardo che Dragomir aveva ostentato battendo placido le mani lungo la "navata" creatasi tra i due gruppi di sedili. Della quiete interrotta da sommessi pianti soffocati in un fazzoletto bianco non v'era nemmeno l'ombra, nulla suggeriva che quello fosse stato un funerale se non le casse di legno e le foto incorniciate: più che un rito di celebrazione sembrava una recita, un sorta di rivisitazione di ciò che aveva riunito tutte quelle persone in quel posto.
    Chissà se in futuro gli studenti avrebbero letto dell'Aetas, chissà chi avrebbe vinto, chissà se qualcuno fosse rimasto vivo abbastanza a lungo da potersi decretare vincitore. Era quello che i due cercavano, no? La vittoria, una corona d'alloro con la quale pavoneggiarsi, incurante degli squarci aperti nella fitta e confusa trama della politica europea, come se quella babbana non fosse già abbastanza lacerata di suo. Era stupido, tutti lo comprendevano, chi più e chi meno e il modo in cui Pearl si avventò sui Russi suggerì che lei si trovava tra i secondi. Un angolo remoto del suo cervello le diceva di fermarsi, diceva di non dover alimentare quel rogo che si era rianimato col vento a soffiare sui carboni. Ma il prurito sui palmi delle mani reclamava una lama, un'arma da brandire per fare l'agognata giustizia: chi fa da sè fa per tre, ma per sua fortuna la O'Sullivan scoprì di non essere la sola a volere la testa del Drago. Ma era ancora sul palco, con gli anfibi piantati in terra come chiodi, mentre lo stemma si accartocciava nel suo pungo: era ferma ed immobile, incazzata spettatrice che osservava lo scontro troppo vicina e lontana allo stesso tempo. La bacchetta ancora in pugno era ancora inutilizzata, ancora immacolata e libera dalla macchia che il primo incantesimo in quella situazione le avrebbe conferito. Si odiò immensamente per non essersi mossa prima: era da molto che fremeva per fare il culo a strisce a qualcuno, non voleva sembrare una di quelle che partecipavano solo se direttamente interessati, sebbene alla fin fine lei era esattamente così. Un Foramen fendette l'aria nella sua direzione e, mentre un uomo sulla cinquantina la difendeva con un Expelliarmus nei confronti dell'altro, la guardiacaccia saltò già dal palco, atterrando sul prato con una capriola. I denti digrignati mentre un ringhio le vibrò nel petto. Era furiosa, imbufalita, e Bells e Jack sapevano bene cosa voleva dire: botte da orbi. «Sectumempra» sibilò come una lama che tagliava l'aria per raggiungere il bersaglio. Era letale, voleva esserlo e non avrebbe risparmiato la vita di nessuno che le avesse impedito di fare giustizia, se i Nordici non erano stati clementi nel mietere vittime in Francia, perchè avrebbe dovuto aver pietà lei di loro?
    Aveva dato l'occasione di scegliere consciamente, Pearl, mostrando la prova che testarda stringeva ancora tra le dita, ma ora toccava a lei darsi da fare: quella battaglia non si sarebbe conclusa senza che lei si fosse sporcata le mani. Successivamente, agli occhi di un tribunale sarebbe potuta sembrare colpevole, ma avrebbe avuto la coscienza a posto, sapendo che aveva fatto il possibile per fare giustizia, la sua, sì, ma pur sempre giustizia.
    Davanti a lei un uomo cadde a terra mentre la tunica si macchiava di un rosso scuro cupo, la gola altrettanto squarciata da urla soffocate dal caos, lacrime che nessuno avrebbe guardato con pietà: nessuno piangeva quando il lupo cattivo moriva.

    «uno non è abbastanza.»
    Uno non è abbastanza.
    Tu non sei abbastanza.
    Il tuo amore per l'unico fratello che hai mai avuto non è abbastanza per assicurargli ancora una lunga, forse dura ma pur sempre lunga, vita. Non voleva abbastanza ardentemente che CJ non morisse? I suoi sentimenti non erano sufficientemente sinceri per garantire la vita al Knowels? Cosa non era bastevole in lui per ottenere la cura? Lo odiava, lo avrebbe preso a pugni e a calci per la sottigliezza che il significato di ogni sua parola possedeva, lasciando anche i più decisi con l'innesto di un dubbio tagliente come il filo di un rasoio. Tutto in lui era viscido, subdolo, come la pelle di un serpente che striscia suadente sul tuo corpo per poi serrare la presa in una morsa d'acciaio, mentre la lingua solletica l'orecchio in un sibilo freddo e divertito. Il volto di Bernadette era invece canino, sfigurato dalla rabbia per l'essere stato preso in giro, una rabbia anche contro sè stesso per aver fatto il gioco del Drago, ben consapevole delle conseguenze, ma convinto che almeno uno di loro due ne sarebbe uscito vivo. E invece eccoli lì, entrambi soggiogati dal re nero e la regina bianca, mentre ogni pezzo si muoveva allo scandire del cronometro, secondi dettati dagli incantesimi che ad ogni turno cercavano un bersaglio tra la folla.
    Ma a BJ non importava, perchè era un'egoista che avrebbe salvato la vita di chiunque altro. Era un egoismo disturbato e contorto, ma persino il Reynolds era ben consapevole dell'errore che macchiava la sua immagina, del bordo tagliente che aveva. Era una serpe, non tanto quanto l'uomo impassibile davanti a lui ma nemmeno così poco da aspettarsi che il Cappello Parlante avesse dei dubbi su di lui. Non c'era stata esitazione nè tentennamento quando la voce del copricapo aveva decretato il proprio giudizio, forse condannandolo ad una triste e dura realtà, forse liberandolo dalle buie che avevano tentato di smussare i suoi spigoli per così tanto tempo.
    E adesso era lì, ad un funerale a cui aveva preso parte per empatia, per rispetto, ma le sue azioni erano state quelle di un traditore, prima di CJ e poi della sua opinione sulla figura slanciata e apparentemente tranquilla del preside di Durmstrang. Lo scoppiare degli incantesimi, le urla e il fracasso dei corpi che si strusciavano tra loro per una via di fuga non turbavano nemmeno minimamente Dragomir Vasilov, che pareva un uomo in una stanza sui cui muri le immagini erano proiettate: uno strato di vetro a proteggerlo dalle emozioni, proprie e altrui. La pelle era tesa e le poche rughe sul volto di BJ minacciavano di strapparsi per rivelare la carne, mentre la rabbia gli faceva alzare un braccio nell'intento di scalfire la marmorea espressione di sfida perenne dell'uomo. Aveva già dimenticato i due Francesi ancora a terra a rigettare vomito e sangue, aveva dimenticato il costo che era stato disposto a pagare, perchè la rabbia per non essersi aggiudicato la cura messa all'asta aveva oscurato chiunque non fosse il battitore. Jeanine però non dimenticava, non quando era avvenuto sotto i suoi occhi e, al sentire la formula verso di egli, BJ sperò che non avrebbe dimenticato nemmeno quando l'Incarceramus lo avrebbe colpito, nel remoto caso in cui l'avrebbe fatto. Di fatti vide una scia luminescente dirigersi, ancor più veloce della fattura, verso la giubba bianca-oro del responsabile, mentre il quindicenne disegnava un arco davanti a sè in un muto Protego Maxima, fu solo dopo che pensò a come sarebbe stato semplice schivarsi per lasciare che le funi si aggrovigliassero attorno a Vasilov, sebbene potè immaginare come l'uomo si sarebbe liberato dalla trappola.
    Era potente, era meschino e non nascondeva nessuna delle due cose.
    Fatto sta che BJ si portò fuori dalla portata di entrambi i presidi, mentre scandiva «Incendio!» in direzione dell'uomo dalla parte di Lafayette che aveva tentato di colpirlo. Le fiamme del colore dei capelli del rosso circondarono il bersaglio, intrappolandolo e annerendo il tessuto chiaro della divisa. Il volto duro di Jeanine doveva essere stato un tempo quello dolce e affascinante di una ragazza, ma ora era un diamante duro e affilato, non timoroso di tagliare gli altri, né pietoso nei confronti di chi aveva tentato di scalfirlo. Una lastra di bellezza inanimata e senz'anima la separava dalla realtà, contorta attraverso i riflessi della gemma.
    Nessuno dei due aveva ragione, ma BJ aveva fatto la sua scelta, aveva posto il proprio peso su uno dei piatti della bilancia e lo aveva fatto per suo fratello. CJ lo avrebbe odiato per quell'errore, ma era probabilmente l'errore migliore che Bernadette avrebbe fatto dopo una sfilza di sbagli nascosti come polvere sotto il tappeto, un po' da lui e un po' dai suoi genitori.

    La presenza di William affianco a lei fu la cosa migliore che sarebbe potuta capitarle: nonostante le apparenze era saggio, era giusto, o così speró ardentemente mentre egli chiamava a sé anche la Crane. Vedendo Heidrun, Heli accennó un sorriso, ma non riuscí a cancellare lo sguardo preoccupato dalle grandi iridi nocciola, mentre il timore che ad ogni secondo il delirio potesse degenerare ulteriormente la divorava, assieme ai sensi di colpa per non essere riuscita a fermare tutto quello che stava accadendo.
    «lo riconoscete?» guardó entrambe, l'aspettativa di un "sí" palese come l'aria pregna di sangue che si respirava sul prato innaffiato di lacrime. Voleva dirlo, voleva accontentarlo e voleva salvare il ragazzo che stava man mano sfuggendo dalla sua presa, ma l'illuminazione tardava ad arrivare, la nebbia si accumulava sul mare di ignoranza in cui stava navigando, in cui tutti loro barcollavano alla ricerca di una risposta. Si morse il labbro, osservando il volto pallido, accarezzando il capo da cui spuntavano corti e pungenti capelli: stava morendo ed Helianta si stava avvicinando troppo lentamente alla soluzione. Una clessidra di sangue gocciolava scandendo il tempo che al Knowela restava da vivere tra un respiro affannato e un colpo di tosse.
    «sangue» pensó la cronocineta, osservando le tracce lasciate dalla crudeltà di Dragomir. Ogni delitto lasciava dietro di sè una traccia, un'impronta evidente che guidava al colpevole, ma di CJ non sarebbe rimasto che un corpo dissanguato se ben presto non avrebbero trovato l'indizio, il suggerimento. Ci volle William per far ingranare la marcia al cervello della babbana, mentre impronte rosse venivano sparse con così tanta parsimonia da ricadere nell'ovvio. «Sí» disse finalmente, fiera della risposta ma senza un sorriso a vantarne il raggiungimento. Guardó prima l'uomo che l'aveva salvata, poi tutti coloro che li circondavano «A Brecon dopo l'esplosione c'era altro fumo, più denso e scuro di quelle fiamme» ripensarci fu doloroso, le vie respiratorie cominciarono a chiudersi come soffocate dal velenoso ricordo, lasciando la giovane donna a boccheggiare per pochi secondi, per poi riprendere dopo un lungo respiro a spiegare «era fumo velenoso, agiva su chiunque non fosse stato un mago. I babbani erano stati quelli a subirne la maggior parte degli effetti, ma anche gli altri esperimenti e chi aveva sangue babbano nelle vene ne aveva risentito» non era ancora arrivata al punto cruciale, ma se dovevano trovare una soluzione dovevano sapere tutto, e non si risparmió nemmeno le sue teorie «gli effetti sono gli stessi, li ho provati sulla mia pelle, e ora sono certa che quella notte il fumo era stato opera di Dragomir» ma qui finivano le sue conoscenze. Da lí in poi era come ritrovarsi in una stanza appena rimbiancata: solo lontanamente familiare senza i colori giusti ad illuminarne le pareti. Quella volte c'era stato il fumo, assente nella ferita di CJ e in quella di Fox (anche lui colpito da una lama). Quella volta non avevano trovato cura: o avevano aspettato di disintossicarsi o... o erano morti.
    Era diverso, era una nuova indagine da intraprendere ed Helianta si era ritrovata investigatrice di un delitto quasi compiuto. Se aveva ragione, quelle lame erano state infettate con quel qualcosa che stava rigettando il sangue inetto. Quanto più ne avevano in corpo, tanto più la Mietitrice sarebbe stata in grado di portarli con sé.
    Sapevano cosa era stato, ma mancavano ancora dettagli fondamentali per ottenere una soluzione.
    Come si cura il sangue infetto? «con del sangue sano...» sussurró tra sé e sé, per poi rendersi conto della semplice logica che si celava dietro quel sangue. «Cain lo avevi capito subito!» esclamò entusiasta «ma ci servono donatori purosangue! Devono essere intaccabili dal veleno» annunció a tutti, sperando che qualcuno si facesse avanti per salvare i due ragazzi. Sarebbe stata la prima ad offrirsi, ma a nessuna guarigione avrebbe portato il suo sangue, anzi il rischio di essere imfettati era di gran lunga maggiore.
    Le sue erano ipotesi, forse nemmeno i purosangue erano immuni, ma le ipotesi erano la cosa più solida a cui aggrapparsi, sebbene friabili come la speranza che prima o poi la quiete si sarebbe ristabilita prima che qualcuno dovesse aggiungersi a Delilah, Neil, Nathan e April.
    | ms.


    «Pearl»: si difende rotolando giù dal palco (combo con Leory) e usa un Sectumsempra contro un soldatino
    «BJ»: combo con Run, usa protego maxima e attaca il francese con Incendio
    «Heli» RIVELAZIONE si tratta dello stesso fumo della quest e per curare CJ e Fox servono purosangue per delle trasfusioni: divertitevi! #wat
     
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    FIGHT LIKE A GIRL || 03.07.17
    Si trattava sempre di compiere una scelta, nella vita. Ogni secondo, ogni fremito, non era altro che il risultato di una decisione precedente, ed un acconto di quella successiva – aprire gli occhi, umettarsi le labbra, intrecciare le dita fra loro. Perfino respirare, era una scelta: il cuore batteva da sé, ma la respirazione? Auto gestione, libero arbitrio: la scelta di continuare a vivere.
    Malgrado tutto, e malgrado tutti.
    Si sceglieva di andare avanti, nella vita. Ogni secondo. Un pulsante e continuo prendere provvedimenti che trascinavano in un posto anziché in un altro, che incrociavano la vita a quella di amici, amanti, fratelli, che in altri modi o in altri mondi, avrebbero potuto essere persi per sempre - tutta questione di scelte, di attimi colti per un fortuito intersecarsi d’eventi.
    Momenti sbagliati, momenti giusti. Persone sbagliate, persone giuste.
    Maeve Regan Winston aveva scelto, di partecipare a quell’evento. Avrebbe potuto non farlo, nessuno l’avrebbe biasimata: i suoi genitori erano morti da poco, e nessuno aveva pianto sulle loro lapidi.
    Sapete come muore un Ribelle? In silenzio, nel buio. Non c’erano cerimonie per coloro che morivano per la Causa, i sognatori d’un mondo dove respirare non fosse puro acido nei polmoni. I compagni li raccoglievano dal campo prima che qualche Mangiamorte potesse scoprirne il volto, in modo da proteggere amici e famiglia dei caduti: se il Ministero dubitava d’un sangue del tuo sangue, eri automaticamente nella lista dei sospettati.
    Così quei cadaveri venivano raccolti, trasportati rapidamente in quei luoghi dove nessuno s’osava mettere piede – la Bianca, una cantina del Quartier Generale dove i defunti venivano incantati di modo che i loro corpi non subissero modifiche nel tempo. Rimanevano congelati nella loro morte, loro.
    E tali rimanevano, finchè non si presentavano situazioni nelle quali i corpi avrebbero potuto passare inosservati – incidenti in barca, crolli di ponti. Attentati. Nessuno avrebbe pensato di cercar ribelli fra le macerie d’una tragica sciagura priva di colpevole: tornavano umani, in quelle morti. Le famiglie della Resistenza venivano addestrate in fretta: se qualcuno dei vostri cari non tornasse dalle Missioni, additate lunghi viaggi in Europa. In America. Se qualcuno a voi vicino perdesse un amico od un parente della Ribellione, e questi fosse ignaro della situazione, mentite: avevo sentito fosse andato in Camerun a costruire case. Dovrei avere una cartolina, qui da qualche parte.
    Finchè il giorno non giungeva, ed allora gli occhi rossi ed il respiro pesante trovavano una giustificazione d’esistere.
    Erano ciò che mangiavano, i ribelli – erano ciò in cui credevano: illusioni e menzogne.
    Era una scelta di vita, la Resistenza: sceglievano come morire.
    «la francia ha deciso: dragomir vasilov è stato giudicato colpevole.»
    Si trattava sempre di compiere una scelta, nella vita.
    Ma Jeanine Lafayette, aveva scelto anche per loro.
    Rimase ancora immobile, le caviglie intrecciate fra loro e la schiena dritta. Un denso pulsare della guancia le indicò che i denti avevano tagliato la carne, un sapore ferroso a sporcarle la lingua – ed ancora non si mosse, Maeve Winston. Guardava un punto di fronte a sé, gli occhi distanti ed il cuore di vetro.
    Viviamo in un mondo fragile, non aspettate che sia troppo tardi.
    Ed era sempre, troppo tardi. Lo era per i suoi genitori. Lo era per Nathan, ed il suo sorriderle da sopra i becher nel laboratorio; lo era per April, che a lezione arrivava sempre in ritardo con un sorriso di scuse a curvarle le labbra; lo era per Delilah, e quel suo irritante togliere la sicura alla pistola ogni qual volta le passava alle spalle; lo era per Neil, e quel suo estenuante correggerle la pronuncia dei composti chimici.
    Lo era anche per Maeve, Maeve Winston - da così tanto tempo, che le pareva sempre.
    Stringeva già la bacchetta fra le dita, l’insegnante di Incantesimi. L’aveva impugnata non appena Vasilov aveva fatto la sua scenografica entrata in scena, troppo vicino a troppe persone cui la Winston teneva. Anni prima aveva scelto di prendersi cura di loro, Maeve; prima ancora di diventare insegnante, quando ancora la dorata spilla dei caposcuola svettava sulla divisa dei Corvonero, aveva deciso che quei ragazzini, che quel futuro, sarebbero stati una sua responsabilità.
    Ne aveva bisogno.
    Ti prego, vattene. Quello fu il suo unico pensiero, mentre pigra seguiva con lo sguardo il preside di Durmstrang verso il palco: non renderlo più difficile di quanto già non sia.
    Ma la verità era che a chi avrebbe dovuto importare, non importava. Chi avrebbe potuto fare la differenza, non era interessato a farla: rimanevano solo Maeve Winston, al mondo, che deglutivano saliva e lacrime con il pugno stretto di rimpianti ed impotenza.
    In un attimo era già in piedi, gli occhi azzurri rivolti alle proprie spalle. I primi incantesimi a spaccare un già teso equilibrio, lo sguardo reso triste ed opaco dalla consapevolezza che per fermarlo, non avrebbe potuto fare niente – ma Dio, non avrebbe permesso che ci andasse di mezzo qualcun altro. Avevano già pianto troppe morti, troppi caduti: non ricordava un momento in cui la sua vita non fosse stata ritmata da ansia ed apprensione, il cuore in gola ad ogni angolo svoltato con troppa disattenzione.
    Non aveva più fede, Maeve. Le illusioni della Resistenza, le erano andate per traverso: era in guerra anche con loro, la Winston – con i loro metodi barbari, con quel continuo metterla con le spalle al muro a scegliere chi salvare. Non era fatta per essere Giudice, Giuria, e Boia – era fatta di quella pasta che s’avvolgeva stretta agli altri a cercare d’attutire spigoli ed angoli. Più scudo che spada, nel suo essere un soldato. Strinse la mano a Dakota, un gesto involontario del quale aveva bisogno quanto fiato in gola; cercò i suoi occhi chiari, un mesto cenno con il capo che avrebbe potuto dire tutto e nulla.
    Perché alla fine, battaglie sue, lo erano sempre.
    «vi ho insegnato ad impugnare una bacchetta così? neanche le matricole» commentò con stizza, correggendo con gesti rapidi la postura degli studenti che, in un battito di ciglia, s’era già apprestata a raggiungere. Li guardò con disappunto, le labbra una linea dura – ed invece tremava di preoccupazione, la muta supplica negli occhi che potessero semplicemente andarsene, e la tristezza nel rendersi conto che non l’avrebbero fatto.
    Non erano abbastanza preparati. Non erano abbastanza preparati.
    Furiosa, Maeve – cominciava ad esserlo spesso, esserlo sempre. Un fascio di furia gelida e tirata esasperazione, il soffio d’un bambino sulle candele giocattolo che non si spegnevano mai. «byron. byron richiamò in un sibilo, agguantando il Grifondoro dalla camicia prima che potesse sfuggirle - di nuovo: «non fare il grifontonto.» lo ammonì a denti stretti, fingendo una tranquillità che altro non era se non una falsa punta dell’iceberg. Bisognava sempre ingannarsi di possedere controllo, quando questo sfuggiva dalle dita come grani di sabbia in una clessidra.
    Guerra. Guerra? Non ci pensare.
    Doveva porsi un problema per volta, affrontare un grumo di bile per boccone: non voleva, né poteva, pensare alle conseguenze di quello scontro. Non voleva chiedersi cosa significasse per la Gran Bretagna – o per la Francia, od il resto d’Europa.
    Non voleva chiedersi come s’inserisse, quel sipario, nella tragica storia inglese – nei morti che piangevano quel giorno, che avevano pianto quello prima, ed avrebbero pianto il giorno dopo.
    Quando cominciarono gli attacchi avversari, il cuore di Maeve perse un battito.
    E due, e tre. E cento. Vide il Tassorosso accasciarsi sul palco – il ragazzo cui non avrebbe dato un centesimo, quello per il quale aveva arcuato cinicamente le sopracciglia quando Phobos l’aveva proposto come prefetto: quello per cui si era ricreduta, vedendone il sorriso pigro sul palco – quello che le aveva mostrato, fra ironia e capi chini, cosa il Campbell avesse visto in lui. Gli occhi incollati sulla piattaforma, la lingua stretta fra i denti: «schieratevi con me, e vi darò la cura». Le dita della Winston scivolarono involontariamente sulla nuca, i polpastrelli a tastare la cicatrice del Labirinto: la Cura.
    Poteva…? Non poteva.

    «sta sanguinando.» CJ sorrise.
    Run si chiese cosa cazzo avesse da sorriderne. Lo osservò a capo reclinato, sopracciglia cinicamente arcuate: c’era qualcosa che non funzionava come avrebbe dovuto, nel sorriso di CJ Knowles. C’era qualcosa di triste, nell’ironica piega delle labbra sottili.
    C’era qualcosa che instillava una fitta al petto, e che Run riciclò come rabbia – le veniva più comoda, nel suo familiare conforto. «smettila.» la gola secca, la lingua ruvida sul palato. Lo disse così piano che a malapena riuscì ad udirsi ella stessa – così piano, che parve più la supplica di un bambino che rimproverasse scherzi di pessimo gusto al fratello maggiore: smettila, non è divertente.
    Di sorridere. Di sanguinare.
    Non si volse verso Vasilov, mentre gli occhi smeraldo seguivano la pallida figura del ragazzo allontanarsi – instabile, friabile. «fa sempre così?» domandò al ragazzo dai capelli biondo cenere, senza guardarlo. Un po’ ci sperava, Run, che la risposta fosse affermativa – un po’ ci sperava, in quel sorriso sghembo che andò crudele a curvarle le labbra.
    Un colpo di tosse. Due colpi di tosse; quelli bagnati, che gorgogliavano in gola come collutorio.
    «sto-» Istinto, non ragione.
    Un passo in avanti, la mano allungata a stringersi su una camicia di CJ - sottile quanto la pelle di lui. Si ritrovò a stringere il pugno sul tessuto, un piede a reggere il peso di entrambi mentre appoggiava il corpo magro al suolo, lo sguardo a posarsi incredulo sulle proprie dita: lasciò la presa, si allontanò di un passo.
    E di un altro ancora, mentre il sangue continuava a sgusciare dalla bocca dischiusa di lui.
    «sta morendo.» Cosa voleva dire. Cosa voleva dire. Volse gli occhi su Lancaster, fiammeggianti di quella certezza che ancora voleva credere d’essere confusione. «cazzate.» coprì con la voce il flebile sussurro dal basso, lo sguardo a intestardirsi sulla barba sale e pepe dell’uomo. La gente non moriva così, non ad un funerale. Non un ragazzino dal sorriso sbilenco che domandava ad una bambina come si chiamasse, come un dj avrebbe fatto con la guest star della serata. Non uno che andava ad una festa in maschera con una maschera anti gas: non morivano così, ragazzi come CJ Knowles.
    Giusto?
    Strinse i denti, indietreggiò ancora. Non guardava nessuno, Heidrun Crane. Vomitava la sua rabbia sui propri piedi, consapevole che non avrebbe potuto, pur desiderandolo, rovesciarla su Eugene, o Fox, o Patrick – e che Vasilov, di quella furia, non avrebbe fatto altro che nutrirsi. La tenne per sé, ingoiandola ad ogni battito accelerato del cuore dietro le costole.
    Inspira, espira. Pensa ad una canzone. Inspira, espira.
    Non farlo.
    Serra i pugni, alza lo sguardo.
    «e questo, è perché posso»
    Sorrise.
    Cristo, se l’avrebbe fatto.
    Inchiodò gli occhi smeraldo sul preside di Durmstrang, le labbra tirate nella più dolce ed affascinante delle risate silenziose: gli avrebbe fatto così male, che quando avrebbe finito con lui, il suo pseudonimo sarebbe divenuto la Lucertola.
    L’iguana, al massimo.
    Ed avrebbe continuato ancora, finchè non fosse rimasto che un centimetro di carne dimenticato da Dio o chi per esso – e nessuno avrebbe più avuto memoria del Grande Vasilov, quando avrebbe rifilato pezzi di cadavere ai cani del Pontificio, ed i Corgi della Regina. Ad essere magnanimi, eh.
    Incredibile come tutti tendessero a dimenticare che , nel cuore più vero e crudo delle cose, la Crane non era altro che violenza allo strato brado – priva di controllo, di morale. Che alla fine nel sangue, ci stava bene quanto nelle vasche di punch.
    Ed avrebbe ballato Bet on It, fra le ossa dei suoi nemici.
    Perché era fatta così.

    «siete ancora più stupidi di quanto pensassi.»
    Disse colui che s’era presentato con un veleno ad un funerale, e che in un colpo solo, grazie alla presenza degli ambasciatori esteri, era riuscito ad inimicarsi metà del globo.
    Insomma: Maeve Winston, arcuando le sopracciglia, lo prese come un complimento.
    Tre minuti. Un movimento troppo rapido per essere colto razionalmente - ma che colpì comunque, e laddove faceva più male.
    Il tempo parve fermarsi. La mano di Amalie scivolò delicata sulla guancia, i capelli biondi ad incorniciare un viso pallido e dai tratti morbidi – e dal sorriso morbido, e dagli occhi morbidi – ora spettinati, a farla apparire ancor più giovane, su quel palco. Maeve sentì il cuore piombarle nei piedi, rendendoli pietra incapace di muoversi – un «no» strozzato in un ansito, le mani a premere sulla bocca.
    Che faceva male fisicamente, quella linea cremisi.
    Un secondo, due secondi. Avrebbero potuto essere anche un anno intero, mentre la Winston spintonava i presenti per fare un altro passo avanti – ed uno ancora, ed un altro. No. Che li amava un po’ tutti i suoi studenti, ma Amalie? Amalie aveva quel qualcosa di particolare che la faceva sorridere senza motivo, come se condividessero un segreto di cui nessun altro era a conoscenza. Aveva quelle sopracciglia inarcate, e quel mento sempre affondato dietro un libro, che apparivano dolorosamente familiari, agli occhi di Maeve. E quello sguardo quando nessuno la guardava, che avrebbe sempre voluto fargliela stringere al petto, e mentirle fra i capelli dicendole che tutto sarebbe andato bene.
    Non accadde nulla, ma Maeve continuò comunque a muoversi. Istinto, non ragione.
    «questo, è colpa vostra.» Oh no, signori miei. Non ci provare neanche.
    Odiava spesso, la Winston, ma in maniera superficiale: odiava i guerriglieri, odiava l’odore del sangue. Odiava svegliarsi con lo stomaco chiuso ed un sorriso forzato sulla bocca, odiava dover fingere che tutto fosse normale. Ma quell’odio? Non credeva di averlo mai provato, la Winston. Bruciava nelle vene e nel petto, infiammandole la lingua di ingiurie a cui, neanche in quel caso, avrebbe mai dato voce.
    Perché guardava Byron, il complice di Vasilov. Nessuno toccava i bambini di Maeve Winston. «sogna.» ringhiò. Senza neanche fermarsi, scattò di lato verso Byron e sollevò la bacchetta di fronte a sé, un Protego silenzioso e feroce a frapporsi fra l’incanto offensivo ed il Winston Grifondoro.
    Aveva oltrepassato il limite. Un secondo protego rafforzò il primo, e la bionda volse le iridi cerulee verso sua cugina: «questo lurido, infame, maleducato, eretico e SICURAMENTE IGNORANTE -» che insulti peggiori, non ne conosceva. «come osa-» continuò a sproloquiare fra sé e sé, ingiurie censurate a sfibrarle la gola. Saltò gli scalini, Maeve Winston, trovandosi infine sul palco. «- credere di poter venire a casa nostra e comportarsi in maniera così oltraggiosa -e jeanine? Speravo che almeno lei -» le mani a poggiarsi distrattamente sulle spalle di Amalie, le dita a poggiarsi delicate sulle guance. S’interruppe a metà frase, gli occhi seri a cercare quelli della Corvonero. «sei stata brava.» stai bene? Devi tossire? Glielo disse con un filo di voce, con un filo di cuore. Con il debole sorriso che la circostanza richiedeva. Ruotò lo sguardo sul Tassorosso, troppo pallido. Deglutì, e ritrasse le mani.
    «forse c’entra il sangue…?»

    «lo riconoscete?» Perché l’aveva costretta ad andare lì. Perché l’aveva obbligata a chinarsi , le ginocchia immerse in pozze di liquido ancora caldo. Heidrun teneva il palmo della mano sospeso sopra il petto del ragazzino, le dita a prudere per il bisogno di premerle sulla carne, obbligando fisicamente il cuore a battere.
    Perché le imponevano sempre di guardarli morire, sapendo che lei non poteva fare nulla, in merito.
    Jo. Adelaide.
    Deglutì, respirò dalla bocca. Non sapeva neanche perché fosse, improvvisamente, così… triste? Come quando finisci un libro, e rimani con il fiato in gola immaginando il continuo – sapendo che non lo avrà, ma avrebbe avuto un sacco di cose da raccontare. «ti odio.» A Lancaster, a CJ.
    A quell’ironia che non poteva cogliere.
    Serrò le palpebre, Heidrun Ryder Crane. Digrignò i denti. Se lo riconosceva?
    «il capanno.»
    ci era morta.
    «schieratevi con me, e vi darò la cura»
    Non avrebbe lasciato morire anche lui.
    «diglielo te.» che lei, aveva da fare. Si alzò in piedi, pura meccanica ad alimentare un corpo vuoto, se non per la bruciante rabbia a renderle arido ogni battito.
    Volevano giocare?
    Sciolse i muscoli del collo, non guardò nessuno – però sorrise, Heidrun. Finalmente. Tramite la luce, plasmò una palla da calcio; un oggetto semplice, sferico. Nulla di scenografico, quel giorno. Misurò ogni gesto con la lentezza di chi sapeva che un movimento azzardato, avrebbe fatto scoppiare una guerra.
    L’ennesima.
    Soppesò l’oggetto, lo poggiò al suolo.
    Una mano a sfiorarle piano il braccio, un paio d’occhi blu a porsi sul suo cammino a cui rispose con un cinico, secco, sopracciglio inarcato: «prendi tempo.» le rivolse una bieca e sghemba curva delle labbra.
    «sono brava, a distrarre.»
    La migliore.

    «può funzionare?» domandò per l’ennesima volta, volgendo un’occhiata a Cain. Maeve eccelleva negli incantesimi, e non aveva dubbi sarebbe andato a buon fine – era quello, a preoccuparla: della parte medica, non ne sapeva nulla. Dubitava che CJ potesse reggere un altro shock di sistema.
    A quanto pare, poteva funzionare.
    Sangue puro con il quale lavare un organismo malato: in che mondo erano finiti. In che modo c’erano finiti.
    Guardò il ragazzo dai capelli scuri, guardò sua cugina Sharyn. Guardò Alec, Maeve, e guardò Amalie. Avrebbe potuto provare con il suo sangue, la Winston, ma… dopo l’esperienza del Labirinto, non sapeva quanto poter fare affidamento sulle proprie vene.
    Quanto fosse squilibrata, sbagliata. Non avrebbe rischiato la vita del Tassorosso, con quel margine d’incertezza.
    «sai chi sono, CJ?» domandò, cercando di tenerlo vigile – ancora un poco, ancora per poco.
    Un respiro fradicio. Un bisbiglio. «amalie»
    Lanciò un’occhiata preoccupata a Cain. «sono maeve, maeve winston»
    CJ aprì un occhio, squadrandola con opaco interesse. «vi somigliate» E lo facevano davvero.
    «proviamo una cosa, okay? Non muoverti» fu certa che rise, pur non facendolo mai davvero. Fu certa che disse qualcosa: «levatevi dal cazzo». «linguaggio.» sovrappensiero, le dita sul suo polso.
    Un sospiro, due sospiri.
    Forse tre, prima che la bacchetta cominciasse a muoversi dai Donatori al ragazzo steso al suolo.

    Le bastò un’occhiata, per inquadrare il ragazzino dai capelli ramati e la bocca semi aperta, i pugni lungo i fianchi e la voce una crepa sul cemento – una fra cento, ma sempre quella ad attirar attenzione. Lo riconobbe come il giovane della festa dai Dallaire, sguardo familiare su una superficie ruvida. Avrebbe potuto anche essere il fottuto Papa, in quel momento, per quanto la riguardava – ma il fatto che fosse BJ e non qualcun altro, rese il suo indietreggiare per guadagnare spazio, ancor più soddisfacente.
    Gli occhi a guizzare dalla palla all’uomo di Jeanine, bacchetta spianata.
    Quasi rise, Heidrun Crane. Quasi ci uscì un po’ di senno, in quell’essere finalmente ciò che da sempre, e sempre, era destinata ad essere: un problema. «tiro violentissimo…» la rincorsa, la punta del piede a colpire secca la palla – nel punto preciso, con la forza precisa. Quella dosata, ma non troppo; quella disperata, un po’ troppo. Quella sempre brutale, e crudele – quella spezzata, priva di argini quanto un fiume in piena. «ED è GOAAAAAAAAAAAAAAAAAL» un grido, o forse cento. Un sorriso, o forse mille.
    Era brava, a distrarre.
    Aveva detto non l’avrebbe fatto, ma lo fece comunque: senza armi, senza parole. Giunse al fianco del ragazzo, sprizzando adrenalina come un bambino allucinato dai troppi zuccheri. «e io che volevo solo sucare» che dell’ambiguità, Heidrun, aveva fatto una definizione propria.
    Senza armi, senza parole.
    Ma con un bel, fottuto, pugno a colpire la faccia di un francese, le nocche a spingere nella carne.
    Un francese che poteva essere quello che l’aveva salvata, mesi prima.
    In quel momento, in quel sorriso, non aveva importanza. «se ti consola, picchio molti dei miei amici» bisbigliò al suo orecchio.
    Un modo come un altro per chiedere perdono – in confidenza, da distrazione a distrazione.
    Da un effetto collaterale, all’altro.

    | ms.


    MAEVE: difende byron (combo con sharyn) fa la trasfusione purosangue a cj con il sangue di amalie, obi, sharyn, alec
    RUN: difende bj (combo con bj) e attacca la FVANCIAH
     
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