God, that's weird

fray/fred x jess

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    the ray of sunshine
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    Settembre 2014


    «Gli special pancakes di M&J ?» Maple non si degnò nemmeno di risponderle, limitandosi a lanciarle un occhiata glaciale mentre era seduta sul davanzale della finestra intenta a fumarsi la classica sigaretta di metà mattina. Jess tirò una lunga linea nera sul suo taccuino anche su quell’ultimo nome, mentre guardava sconsolata la lista di proposte che aveva avanzato all’amica: nessun nome era quello giusto. Maple era convinta che la ragazza stesse solo perdendo tempo, mentre per Jessalyn era diventata una questione di stato: avrebbe trovato il nome adatto alla loro attività di vendita di pancakes clandestini a qualunque costo. Non le importava saltare una o due lezioni, non le importava nemmeno mancare agli allenamenti delle cheerleader: quando si fissava con qualcosa, era praticamente impossibile farle cambiare idea. E lei aveva preso davvero sul serio il piano ideato con la sua migliore amica per racimolare soldi in modo da potersi permettere un viaggio in qualche isola esotica l’estate successiva, e dopo essere entrata in biblioteca per la prima volta dopo quello che a Jess sembrava un decennio – non era una assidua lettrice, anzi, ad essere sinceri non leggeva proprio: era più una ragazza d’azione, stare seduta per troppo tempo non era il suo forte – ed aver consultato il libro che le aveva aperto gli occhi sui segreti della vita e soprattutto del business “Come avviare un’attività nel mondo magico: segreti e trucchi per iniziare a guadagnare in poco tempo” si era impuntata sul voler trovare il nome giusto alla loro “azienda”, perché , come diceva il manuale al capitolo uno, ”Trovare un buon nome alla propria attività è fondamentale, se si vuole creare impatto sulla gente ed attirare clientela”. E così aveva fatto appello alla sua fantasia spropositata e si era messa a pensare al nome più adatto, ma dopo che ogni proposta veniva stroncata senza riserve dall’amica nonché socia d’affari, il suo spirito d’inventiva iniziava a scarseggiare e, leggendo la pagina dove li aveva annotati tutti , si poteva notare come diventassero sempre più brutti, idioti e banali mano a mano che si proseguiva nella lettura. «Dici che “Le ali per il paradiso” può essere considerato blasfemo?» Si guadagnò un'altra occhiata di ghiaccio «Macabro, piuttosto. Ti prego, rinunciaci.» Stava esasperando l’amica, dato che da tre giorni andava avanti con quella storia, eppure entrambe sapevano che Jess non avrebbe mai smesso di tirare fuori un nome dopo l’altro, fino ad ottenere l’approvazione da parte di Maple. Quindi si limitò a tracciare un’altra linea nera sul foglio e pensare a qualcos’altro. Perché era così importante per lei? Sinceramente non lo sapeva. Si era fissata, ecco tutto. Le capitava sempre così, fin da bambina. Le veniva un’idea – o, come in questo caso, le veniva proposta – e lei si impegnava al massimo per farla diventare realtà. Il motivo principale era che le piaceva avere sempre qualcosa da fare: non sopportava starsene con le mani in mano e fare progetti nei minimi dettagli era una delle sue attività preferite. Ciò che dimostrava quanto fosse cocciuta era il fatto che, ogni volta, ogni dannata volta, tutti i suoi progetti andavano in fumo: c’era sempre qualcosa che le impediva di realizzarli , ma questo non le dava certo motivo di demordere, ed ogni volta, ogni dannata volta, iniziava ad impiegare il proprio tempo in un nuovo progetto, ancora più assurdo di quello prima, ancora più difficile da portare alla luce, ma non per questo lei ci metteva meno impegno o passione, anzi, ogni volta, ogni dannata volta, ci si impegnava sempre di più.
    Ricordava benissimo la prima volta in cui aveva preso un quadernino dalla scrivania di suo padre ed aveva iniziato a realizzare un programma su come avrebbe fatto a conquistare l’amicizia dei suoi vicini, i De Thirteenth: quello era stato il suo primo progetto in assoluto. Spiava i tre ragazzini che vivevano nella casa affianco da praticamente una vita, ma non ci aveva mai parlato: non che si vergognasse, sia chiaro – la piccola Ophelia non conosceva nemmeno lontatamente il significato della parola “vergogna“ – ma piuttosto non aveva mai trovato l’occasione giusta per farlo, inizialmente perché non le importava realmente interagire con loro ( le piaceva guardarli da lontano arrampicata sul tetto di casa ed osservarli giocare in giardino, li considerava un po’ come la propria tv personale, però in realtà aumentata #wat) e in seguito perché si era fissata con il voler creare l’occasione giusta per presentarsi, anche se, molto probabilmente, l’avevano già notata molte volte – bisognava essere cecati per non notare una stalker in miniatura che nel tempo libero si divertiva a girare per il quartiere a galoppo del suo cane o ad urlare a squarciagola mentre fingeva di essere una scimmia e si arrampicava sugli alberi nel suo giardino. Insomma, ci aveva messo settimane a progettare il tutto, con tanto di entrata in scena spettacolare legata ad una corda dal tetto di casa sua fino al giardino dei vicini – la notevole immaginazione la caratterizzava fin da bambina – ma ore di organizzazione erano saltate in aria nel momento in cui Friday De Thirteenth aveva bussato alla porta degli Helidaile per offrirsi come babysitter, salvando i suoi genitori da un’esasperazione nervosa ed Ophelia da uno schianto di sei metri che le sarebbe probabilmente costato la vita, o come minimo la frattura della spina dorsale.
    Ripensò a Fray, e osservando gli appunti sul suo taccuino, si rese conto che il piano suo e di Maple le sarebbe sicuramente piaciuto. Se fosse stata lì con loro, le avrebbe sicuramente aiutate a realizzarlo e ovviamente le sarebbe venuto subito in mente il nome perfetto, risparmiando a Jess ore perse a proporre e scartare un secondo dopo parole su parole. Le mancava tremendamente, e si chiedeva spesso che fine avesse fatto dopo che lei e la sua famiglia avevano lasciato l’america. Non aveva nemmeno mai potuto cercarla, perché i suoi genitori le avevano insegnato che era pericolosissimo interagire con persone che conoscevano la loro vera identità: gli Helidaile erano morti in un incendio, e tali dovevano rimanere. Nel momento in cui Ophelia aveva visto la sua casa bruciare, non erano andati in fumo solo mobili ed oggetti personali, ma anche tutta la loro vita fino a quel giorno, e ciò comprendeva conoscenze, amicizie ed affetti . Tutto era andato in fumo, certo, ma questo sfortunatamente non le impediva di sentirne la mancanza. E i De Thirteenth le mancavano da morire. Ma era sicura che li avrebbe rincontrati, prima o poi, e il suo sesto senso non sbagliava mai

    present day


    Sarebbe mai arrivato il giorno in cui Jess avrebbe detto addio alla vita notturna? Al frequentare locali - del mondo magico e non, non faceva differenza - al bere senza controllo ed all'andare a dormire minimo alle tre del mattino ? Probabilmente un giorno l'avrebbe fatto. Si riprometteva sempre, ogni volta che si guardava allo specchio mentre si preparava, che questa volta è l'ultima. Perché voleva provare a diventare una persona più responsabile, più posata, più tranquilla: al quartier generale vedeva come i suoi coinquilini, nonché amici più stretti, Erin e Nathan, riuscissero a divertirsi e stare bene rimanendo tra quelle quattro mura, sfidandosi in interminabili gare di just dance o guardando un film, e Jess spesso tentava di inserirsi, di passare la sera con loro, eppure la maggior parte delle volte, semplicemente, non ci riusciva. Dopo un po’, quelle mura iniziavano a diventare opprimenti e la ragazza veniva invasa dall’incontrollabile desiderio di uscire all’aria aperta, e così faceva.
    La sera prima non era stata un'eccezione: dopo aver cenato al quartier generale e aver passato venti minuti buoni a riflettere sul da farsi, («RIDANNO DUMBO IN TV JESS, NON PUOI MICA USCIRE») quell'elefantino sullo schermo aveva iniziato a metterle troppa tristezza e così era corsa in camera a cambiarsi per andarsene di lì. Aveva invitato i due ragazzi ad andare con lei, ma entrambi erano troppo coinvolti emotivamente dal film anche solo per alzarsi dal divano, e così Jess era uscita da sola. Quella sera aveva puntato una discoteca babbana – quando frequentava locali del mondo magico doveva fare più attenzione a tenere un basso profilo dato che, ufficialmente, era dispersa – e così, dopo essere riuscita ad entrare distraendo in bodyguard all’ingresso grazie alla sua capacità di creare cloni di sé stessa, aveva ballato tutta la sera scatenandosi al ritmo della musica sparata dalle casse a tutto volume. Si era fermata pochissime volte, giusto il tempo di saltellare fino al piano bar e chiedere da bere, per poi continuare a ballare senza freni. Era tornata a casa reggendosi a malapena in piedi, per quanto le faceva male praticamente tutto il corpo. Eppure, la sensazione che provava era impagabile: si sentiva presente, in contatto con ogni parte del suo corpo, aveva la chiara consapevolezza di essere piena di vita, e quello era il carburante che la muoveva ogni giorno.
    Ma com'è che si dice? Notte da leoni, mattina da coglioni. E con lei era così, ogni santa mattina. Eppure, la ragazza, aveva un aiutino in più: invece di alzarsi personalmente dal letto, aveva scoperto che poteva rimanere tranquillamente sdraiata sotto le coperte mentre mandava al lavoro le sue copie, i suoi minions, che impiegava nelle varie faccende di casa. Anche se trovava il suo potere talmente stupido in confronto a molti altri che avevano le persone che conosceva, aveva anche imparato a trovarci dei lati positivi, e quello era sicuramente il migliore. Infatti, la ragazza riusciva a guidare i suoi cloni come delle vere e proprie marionette al suo servizio. Quella mattina, appena aprì gli occhi, mandò una sua schiava copia a preparare la colazione in cucina, e si alzò solo quando l'aroma di pancakes appena fatti invase la sua stanza. In realtà sarebbe rimasta a letto ancora per molto, ma fu Loki a convincerla a mettersi in piedi. «Ti sei deciso a rifarti vivo, brutto gatto ingrato» non vedeva quella palla di pelo da almeno due settimane, ed il minimo che potesse fare per lui era andargli a prendere del cibo di persona. E poi alcuni si azzardavano a dire che non era una brava padrona. Che poi alla fin fine non si poteva nemmeno definire la loro "padrona": per lei loki e thor erano più compagni di vita, amici fidati, animali indipendenti che si presentavano alla sua porta quando si sentivano di farlo. Ad esempio non rivedeva il suo cane da almeno tre settimane, ma sapeva che prima o poi sarebbe tornato a trovarla.
    «Perché indossi un basco?» Erin la guardava perplessa e Jess si portò una mano alla testa e notò che effettivamente indossava un cappello. Da dove diamine era uscito fuori? «Devo averlo preso ieri sera da qualche parte» Due erano le possibilità: o qualcuno glielo aveva messo in testa, o era stata lei stessa a prenderselo . Propendeva più per la seconda ipotesi. Dopo essersi vista allo specchio però, decretò che in fondo non era così male. Sembrava una turista francese, probabilmente proprio come il povero proprietario originale del capo.
    «Vado a fare una passeggiata con Loki, torno tra poco!!» per un occhio estraneo, quella era una scena del tutto inusuale: una ragazza con un basco che camminava affiancata ad un gatto arancione: sembrava l'animale a condurre lei, non il contrario. Ed effettivamente era così. I due vagarono per le strade di Diagon Alley per un po', fino ad arrivare al parco. «Quanto sei prevedibile» Gira e rigira, loki la conduceva sempre lì. Thor almeno aveva più fantasia e spesso optava per qualcosa di nuovo. Comunque, fu proprio al parco che capitò un disastro: mentre Jess era comodamente seduta su una panchina con la palla di pelo arancione appollaiata in braccio, vide in lontananza un alano sfuggire alla presa del suo padrone ed iniziare a correre. Nella sua direzione. Se ne accorse anche loki, che in un attimo scattò dalle braccia della ragazza e si arrampicò come una furia sull'albero più vicino. Quanta preoccupazione per nulla! Il cane passò di fianco a loro senza degnarle di uno sguardo, e così Jessalyn si ritrovò a fissare il suo gatto sull'albero ed era chiaro come il sole: quell'idiota non sapeva come scendere. Se avesse avuto la magia, ci sarebbe voluto un attimo, ma sfortunatamente la magia lei non ce l'aveva più. Così, senza pensarci, si arrampicò sull'albero fino ad arrivare all'alto ramo dove si era andato a rifugiare l'animale. Fu solo quando guardò verso il basso che la ragazza si rese conto di una cosa: come diavolo avrebbe fatto a scendere? Su quel ramo, gli idioti erano diventati due. «Lokiiii, ed ora come scendiamo?» Avrebbe potuto cercare di scendere da sola, ma aveva paura di farsi male. Così, decise di aspettare. Qualcuno doveva pur passare lì vicino, no?
    jessalyn "jess" goodwin (ophelia helidaile)
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia
     
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    Come si confaceva ad ogni De Thirteenth che meritasse quell’etichetta, Friday stava passando un pomeriggio dedito all’intrattenimento. Una vita facile, la loro, cresciuti com’erano fra denaro e vili desideri esauditi con uno schioccare di dita – eccetto la sua vagina, non c’era stato nulla al mondo che Fray avesse voluto, e non fosse riuscita ad ottenere. L’essersi trasferita a Londra, pur limitando la sua scelta sugli atelier in cui spendere soldi e sui cheeseburger d’oro di cui era solita riempirsi in madre patria, non aveva limitato il suo entusiasmo. In tutta sincerità, dubitava che esistesse qualcosa in grado di farlo.
    Così, in un pomeriggio come tanti di un’estate quasi come tante (non avete sentito degli attentati? Delle bombe? Della morte e la perdizione? Lei sì, ma come ogni ragazza viziata e privilegiata, s’era sentita intoccabile: le sue preoccupazioni erano rivolte al peso, ancora!, dei testicoli fra le gambe e la mancanza del petto morbido come due burrate napoletane, più che dal sangue a irrorare l’Europa. Questione di priorità.), Friday De Thirteenth sedeva sulla punta della casa gonfiabile che aveva comprato quella mattina stessa.
    Le gambe incrociate in posizione di meditazione, le braccia intrecciate sul petto. Corrugò le due spesse sopracciglia lasciando un spiraglio d’iridi verdi a squadrare indignate l’uomo di fronte a lui. «ti ho pagato per fissarmi? non credo proprio» piccata, fece uno scatto con il collo che, ai tempi d’oro, avrebbe scosso ad effetto la chioma rosso fuoco – ma che in quel momento, nei corti capelli ramati, non potè che farla - farlo- apparire come un dipendente da eroina in astinenza. «fai del tuo meglio, ciccio corona.» chiuse gli occhi. Ciccio Corona era il campione di Sumo più simpatiko che fosse riuscita a trovare sul mercato (sì, l’aveva proprio comprato) – nonché l’unico, a dire la verità, che perlomeno fingesse di comprendere l’inglese. Ne aveva trovato un altro che le piaceva abbastanza, con la sua sorridente risposta sono giapponese, ma aveva deciso di tenerlo per quando andava a mangiare sushi così che potesse fare amicizia con il cuoco ed assicurarsi che il pesce fosse fresco.
    Ma torniamo a noi.
    Ciccio Corona sbuffò, o forse sbadigliò? Chi poteva dirlo, aveva una bocca così piccola!, e cominciò a correre – o rotolare, punti di vista. Fred sorrise, le labbra sottili a curvarsi verso l’alto, e chiuse gli occhi quando Ciccio si tuffò sulla base della casa gonfiabile: «hcchdbc» prima di venir sbalzato in aria come il pallone ovale di Holly e Benji, la morsa allo stomaco ad avvertirla del vuoto a circondarla nello sbalzo: ed ecco perché indossava un caschetto, dei copri ginocchia, e dei copri gomiti.
    «MITOCONDRIOH» gridò nel salto, l’entusiasmo di Archimede nei suoi Eureka alla primavera d’una scoperta, e la meraviglia di Gansey nei suoi sentiti excelsior. Miocondrio la faceva suonare più intelligente di ambedue, nel suo gergo scientifico e specialistico – poco importava che Fray a malapena sapesse la differenza fra eucarioti e procarioti. Volava, Friday De Thirteenth. Sfidava la gravità, le braccia aperte come il Cristo brasiliano (ciao Gidi!) ed il cuore leggero di chi, la vita, se la beveva piano.
    Rimbalzò più volte sul materasso, mentre Ciccio Corona, poco distante, si chiedeva perché in gioventù non avesse appreso a dovere la nobile arte dell’harakiri. Quando finì di saltare, la De Thirteenth sospirò piano la sua beatitudine.
    Il sogno, come prevedibile, venne spezzato dal basso vibrare del telefono nella tasca posteriore dei jeans. La vibrazione si propagò su tutta la superficie del gonfiabile, e Fred comprese cosa si provasse ad essere un pop corn nel microonde. Finse di non riconoscere il numero sul display, così da poter passare Ciccio Corona alla linea e fingere che avesse sbagliato numero. Non di nuovo, santo cielo. Era la terza chiamata in una settimana. «sì?» «ti mando l’indirizzo per messaggio» Non le diede neanche il tempo di rispondere, prima di interrompere la telefonata.
    Ma perché, perché a lei. «ciccio, devo andare. Tieni sotto controllo la reggia» povero, ma quello ad alta voce non lo disse. Sarebbe parso rude. In compenso, prima di uscire, gli lanciò le chiavi (gonfiabili) della casa (gonfiabile) come avrebbe fatto con la chiave della jaguar al parcheggiatore del Four Seasons.
    Magnanima, lo sapeva.

    «FREDDIE!» Non era possibile, davvero. Sfidava ogni statistica, ogni probabilità, ogni limite di tolleranza. Fred piegò supplicante lo sguardo su Rea Hamilton, le braccia di lei incrociate sul petto ed una gamba piegata sul muretto dietro di sé. «ti assicuro che ne ho meno voglia di te» Entrambi ruotarono gli occhi sulla ragazza con le mani legate dietro la schiena, e le sopracciglia arcuate.
    «cos’hai fatto - ancora» Friday De Thirteenth, avrebbe potuto non lavorare: non aveva bisogno di un introito mensile con il quale portare la pagnotta a casa, né si annoiava a rimanere a bordo piscina a sorseggiare Daiquiri in compagnia di Benny il Fenicottero, ma era uno di quei particolari essere umani a cui lavorare, piaceva. Si sentiva utile, entrava in contatto con ogni sfera del mondo – magico e non. Amava il giornalismo, ma non le piaceva dover rendere conto giornalmente al proprio Redattore: era una free lance, Fray. In parole povere, il giornalismo era un hobby - ma quello? Quello la faceva sentire adulta, completa.
    Responsabile.
    Approdata a Londra, si era guardata attorno cercando un impiego che potesse integrarla nella società dei fish and chips; aveva escluso il San Mungo, lei che anche solo ad aprire un cerotto ci metteva tre quarti di vita, ed aveva escluso Hogwarts, perché senza Akelei ed il gruppo sfigghy dei casta non meritava di essere vissuta. Inutile dire che la scelta fosse ricaduta sul Ministero, e superfluo sottolineare come l’unica carica per la quale aveva delle competenze, fosse obliviante. L’incantesimo oblivion l’aveva da sempre incuriosita, affascinata - quella, secondo Fray, era vera magia. La capacità di entrare nella memoria della gente e svuotarla, o sovrascriverla. Si trattava di un incanto complesso, ma non c’era nulla che la De Thirteenth non fosse in grado di raggiungere, una volta posto l’obiettivo.
    Ne era diventata una maestra eccellente. Lanciava ancora degli schiantesimi che facevano pena e compassione, ma quello? Un’artista. Un talento affinato negli anni, provato sulle più improbabili compagnie. Perché, ovviamente, era diventato … come dire? La sua spalla da rimorchio - dove con rimorchio, si intendeva qualsiasi interazione personale per la quale si voleva piacere al proprio interlocutore. Faceva una gaffe? Zaac, e non la ricordavi più! Una battuta infelice? E tabula rasa, niente più figure di merda! Voleva evitare che i suoi fratelli la sfottessero a vita per quella volta in cui* (*da completare a piacimento, assortimento vasto)? Semplice, rimozione dell’evento traumatico. Insomma. Ne faceva uso improprio, e di certo nel corso degli anni ne aveva abusato, ma perlomeno poteva ormai dirsi la più esperta in maniera. Lo conosceva nel dettaglio, lo capiva, lo manipolava.
    Non avrebbe creduto che diventare Obliviante avrebbe significato quello.
    Innanzitutto, l’avevano resa partecipe di una notizia sciokkanteh della quale avrebbe volentieri fatto a meno: a quanto pareva, ma la De Thirteenth si fidava poco, diciannove anni prima era stato lanciato un incantesimo che aveva rimosso dalla memoria collettiva un’esistenza precedente priva di sangue e terrore. Meh. Aveva firmato strani contratti che le impedissero di divulgare la voce, manco fosse stata deficiente, e con una stretta ai suoi superiori, era ufficialmente diventata parte del team. K bll. Ma andiamo avanti, perché le emozioni non finiscono mai: il suo compito, a quanto pareva, era eliminare dalla memoria di chi cominciava a rimembrare, qualunque possibile fatto che avrebbe stonato con l’attuale regime.
    In parole povere, doveva avere a che fare con i vecchi. Cioè. Da quando era diventata Obliviante, si era girata metà degli ospizi del mondo magico – un po’ le aveva fatto piacere, le persone di una certa età trovavano Fred bellissimo malgrado fosse palesemente una padella con la bocca – ed aveva asciugato più bavette che in tutta la sua vita precedente. Non esattamente il mestiere dei sogni. Così, carica di buoni propositi, si era recata dai suoi superiori: ma che ne dite, aveva loro detto, se lascio a Fiquinski i casi dei vecchi – voglio dire, anziani – e mi occupo dei normali casi d’infrazione nel mondo babbano? Una proposta innocente, la sua. Quelle fatte violando gli altrui spazi, così che l’altro dovesse dire per liberarsi dall’incontro del terzo tipo con le cespugliose sopracciglia castane.
    Forse aveva scelto il periodo sbagliato per essere obliviante.
    «niente di grave – le manette non erano necessarie, rea» Rea le sorrise, un’occhiata di sottecchi. «lo so» Quanta sexual tension nell’aria; se avesse avuto del tempo libero avrebbe scritto una fanfiction su di loro, MA INDOVINATE CHI, per colpa di qualcuno, di tempo libero non ne aveva? «heidrun.» Sapeva, sapeva che doveva trattarla bene se rivoleva la sua vagina, dopotutto era la sorella di kebab!Jeremy, ma. Quale altro caso poteva richiedere l’intervento unito di Cacciatori e Oblivianti, se non uno special che aveva infranto l’accordo?
    Santa madre. «cos’hai fatto» Run sporse il labbro inferiore all’infuori, un’occhiata a Rea. «ho dato fuoco a una casa» «CRANE» «disabitata» Fred corrugò le sopracciglia ed allargò spazientito le braccia. «e-?» «con le mani» Inarcò un sopracciglio. «le dita» Fred, continuando a non capire, si limitò a guardarla. «ha usato la pirocinesi di fronte alla sua squadra» tagliò corto la Hamilton, le dita a stringersi attorno alla radice del naso. La squadra? Ed allora Fred guardò Run, la divisa sbrindellata dei pompieri a pendere pigra su una spalla. Gli sorrise. «molto scenografico, avresti dovuto esserci» Immaginava. Friday schioccò le labbra nell’aria come un pesce, i passi a misurare la strada chiusa nel quale s’erano rifugiati. «dove sono i babbani?» afflitto, Fred. Già detto che era la terza chiamata che riceveva perché Heidrun Ryder Crane, palesemente un pericolo pubblico, sforzava le ferree regole imposte dal Ministero? Sapeva perché lei stessa non l’avesse denunciata – vagina, vagina, sempre lei- ma Rea? Se l’avesse fatto, Fred in quel momento avrebbe potuto essere ancora a rotolare nella sua casa gonfiabile – magari Ciccio le avrebbe cantato qualche canzone della sua zona, tipo Mulan. «dietro di te» Ma cosa diceva, dietro di lui c’era solamente un bidone dell’immond- «no…» dischiuse le labbra, si portò una mano alla bocca. Aprì il cassonetto premendo sulla leva, trovando ivi legati (e rinchiusi) cinque aitanti («e quegli addominali?? PAURAH») pompieri. «davvero rea? davvero?» Lei si strinse pigramente nelle spalle. Che vita di stenti. Si massaggiò la fronte, l’ennesimo sospiro a lasciare la lingua. «va bene, me ne occupo io, voi andatevene – EHI RUN DI A JEREMY CHE TI HO AIUTATA EH» le salutò agitando la mano, prima di sfoderare la bacchetta volgendosi ai babbani. Li squadrò, le labbra una linea sottile. «lo so, la magia esiste. Assurdo, vero? Esistono anche gli alieni – giuro, uscivo con un soldato dell’aria 51» una pausa. «e gli unicorni. Mi piange il cuore a sapere che non lo ricorderete» fu un bene che fossero legati ed imbavagliati, perché qualcuno tentò di strillare. Okay che era bruttino, ma così tanto? Friday era cresciuta sempre in ambienti magici, non poteva rendersi conto dell’effetto che un mago avrebbe potuto fare su chi, la magia, non la conosceva. Puntò la bacchetta sulla tempia di ciascuno di loro, l’espressione neutra e concentrata. Era più semplice di quanto in molti non credessero: bastava visualizzare la mente altrui come una tela da dipingere, ed immaginare di asportarne la superficie con un piccolo e preciso bisturi, cancellando così la vernice di troppo. «oblivion» piccata, decisa nel privare il babbano di qualsivoglia ricordo potesse ricondurlo a loro. Ripetè l’operazione per ciascuno di loro; approfittando dello sguardo assente post incantesimo, ripose la bacchetta e poggiò seducente un braccio sul bidone dell’immondizia, affacciandosi così sui cinque uomini. Quando il primo la (lo) mise a fuoco, sorrise sbilenco. «buffo ritrovo per un’orgia» finger guns, lingua a schioccare sul palato, e panic moon walk ad effetto per uscire di scena.
    Solamente dopo si rese conto che forse, e dico forse, avrebbe dovuto slegarli e liberarli nelle grigie strade di Londra: decise che dopo aver fatto il suo dovere, non fossero più un problema suo. Dopotutto, non erano forse i pompieri quelli che seguivano i corsi da boyscout su come liberarsi dai nodi in cinque semplici mosse? No?
    Eh, vabbè.
    Dopo aver compiuto il suo onesto lavoro, si era decisamente meritata una pausa: pizza? Aragosta? Una cavalcata su uno struzzo? La scelta era ampia, e Friday un’eterna indecisa. Arrivò alla conclusione che , si sarebbe bendata e sarebbe salita sul monopattino lasciando che fosse Week a guidarla per le strade del mondo (lanciò una monetina per scegliere se magico o babbano, e din din din il magico vinse!): così fece. Quella, signori miei, era la sua vera quest - un’avventura, adrenalina dal cielo come le secchiate d’acqua nel video dei Vanilla Sky di Umbrella. Rischiò di morire almeno una decina di volte, ma come le avevano promesso Kelly Clarkson e e Kanye West, ne era uscita fortificata. Week, come prevedibile, aveva seguito il familiare odore di hot dog (neanche di fregna canina, di amiki con cui giocare, o di tartufi da grattugiare sugli spaghetti in bianco: di hot dog) e l’aveva trascinata al’Avis. «complimenti, week» curvò le labbra verso il basso e fece un sordo applauso al suo shiba inu, mentre parcheggiava il suo bolide nell’apposita zona all’entrata del parco. «qua gli hot dog fanno pure schifo» danno e beffa.
    Che cane ritardato.
    LO AMAVA COSì TANTO!!1!!
    «lokiiii ed ora come scendiamo?» Che strano. Che strano. Quella voce gli parve familiare, abbastanza da costringerlo a fermarsi. La sua coscienza aveva ricominciato a fargli strani giochetti di sublimazione delle colpe? Aveva forse una crisi epilettica? Soffriva di personalità multiple? «l’hai sentito anche tu, week?» parlare con il cane poteva forse non rinforzare la sua parvenza di sanità mentale, ma perlomeno lui le diede una risposta – okay, forse anche quello non aiutava la sua causa. Seguì lo sguardo del cane, la lingua a penzoloni da un lato dalla bocca e la coda a frustare felice l’erba ben curata del parco, e vide un… ramo.
    «bravo week, hai scoperto che gli alber-wat» si immobilizzò. Un passo all’indietro, uno in avanti – tentò anche di allungare il collo, tipo lente d’ingrandimento con cui mettere a fuoco. METTERE A FUOCO! - brava Fray! Prese il telefono, l’iPhone Nonavramiaabbastanzacashperpermettertelo2ksempre, e zommò sul ramo.
    Una coda.
    Una faccia.
    Fortunatamente non connesse fra loro, ma comunque abbastanza scioccante da lasciare interdetta la De Thirteenth. Assuuuuuuuuuurdo, sembrava proprio – no, ma di nuovo? Forse aveva esagerato con la farina cocaina, perché non poteva essere Ophelia.
    Era morta. «mi ricordi La scimmia» le disse, gridando dal basso, prima di rendersi conto che probabilmente lei non avrebbe compreso: come poteva sapere, quella ragazza, che La scimmia era Ophelia? «le volevo bene, eh» precisò, onde evitare fraintendimenti e chiarendo (MA DOVE) che si trattava di un complimento. Le sorrise perfino, persa (perso) com’era nei meandri dei suoi ricordi.
    «DAI, VA BENE, TI PRENDO IO» Perché? Così. Si sentiva in vena di fare una buona azione quotidiana – come ai vecchi tempi!!!. Allargò le braccia, felice che fossero più spesse dei suoi usuali wurstel dell’aia che a malapena sarebbero stati in grado di reggere il gatto di lei. «SALTA» Ma ditemi voi se per avere un galantuomo, in quella vita, bisognava togliere la vagina ad una donna.
    Benvenuti nel ventunesimo secolo.
    | ms.
     
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    rebel. special: jessalyn goodwin
    She loved life and it loved her right back
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    Bloccata su un albero con un gatto persiano al suo fianco e senza la minima idea di come tornare giù. A molti, una situazione del genere sarebbe parsa strana o inusuale, ma quando la protagonista di simile inconveniente è una Jessalyn Goodwin, allora non c’è davvero nulla di cui stupirsi. La ragazza, in fondo, ne era abituata: rimasta incastrata in posti alquanto bizzarri, come quando, contravvenendo a ogni regola del Carrow’s District, era riuscita ad infilarsi nella gabbia di un Dulcinox per poterlo vedere da vicino e, subìto l’effetto soporifero del canto della creatura, si era risvegliata ancora tra le sbarre il giorno seguente ed aveva dovuto aspettare ore, prima di venir liberata. O quando si era risvegliata senza il minimo ricordo della notte precedente, dopo che lo shottino di jagermeister di troppo aveva annullato l'ultimo briciolo di autocontrollo della ragazza e così, svegliata dai rumori caotici di londra sotto i suoi piedi, sul tetto di un palazzo sconosciuto, aveva invocato aiuto con quanta più voce aveva in corpo - capite cosa significhi urlare con i postumi di un'ubriacatura come si deve? Un incubo - finché un santo inquilino dell'edificio l'aveva udita e le aveva consentito di tornare a casa sua. E questi erano solamente due esempi di una lista lunga chilometri, dunque non sapere come scendere da un albero, nel bel mezzo dell'avis in pieno giorno, rispetto ad esperienze precedenti sarebbe stata una passeggiata, no?
    E forse, in fondo, rimanere lì sopra non sarebbe stato nemmeno così male. Visti tutti i casini che si stavano verificando nel mondo, gli attentati, il precario equilibrio politico, i giornali che non facevano altro che riportare brutte notizie, vivere immersi nella natura non sarebbe stata poi una cattiva alternativa. Lontana dai problemi del mondo, distante dal dolore delle persone: che per lei era sempre stato difficile, concepire la sofferenza. Non l'aveva mai accettata, ed il problema di fondo non era nemmeno stato causato da lei: non aveva mai imparato ad elaborare il dolore, Jessalyn Goodwin, perché Ophelia Helidaile, quando era solo una bambina, non l'aveva mai fatto. La possibilità di imparare ad elaborare le perdite le era stata strappata in tenera età da suo padre, nel momento in cui l'aveva obliviata facendole dimenticare Evelyn e Stoermer. Sua madre e sua sorella. La piccola Ophelia era cresciuta non avendo più il minimo ricordo di loro, continuando a vivere la sua infanzia spensierata senza sentire la mancanza delle delle due persone più importanti della sua vita.
    Così, alla morte dei suoi genitori, Ophelia Helidaile, o Jessalyn Goodwin come era solita farsi chiamare ormai da anni, non era arrivata preparata. E nonostante il fatto che, un evento del genere, non l'avrebbe mai voluto affrontare nessun ragazzo di sedici anni, lei non aveva saputo proprio come fare: cresciuta in una bolla ovattata nella quale la sofferenza non era mai arrivata, o meglio, veniva cancellata ancor prima che lei avesse la possibilità di rendersene conto, davanti ad un lutto così importante inizialmente aveva tentato di non provare più nulla, seppellendo ogni dispiacere nell'alcol, ma infine era arrivata alla conclusione che c'era un unico modo per tornare ad essere normale, lo stesso modo a cui per anni, senza rendersene conto, era stata sottoposta da suo padre che aveva cancellato in lei ogni ricordo legato alla sua vera madre ed a sua sorella, e agli atteggiamenti violenti di lui stesso.
    Cresciuta mentre, anno per anno, le venivano strappati pezzi di passato senza rendersene conto, infine era arrivata al punto di non ritorno: aveva perso tutto, Jessalyn Goodwin. Ed le andava bene così.
    Le bastava essere felice
    E l'unico modo che aveva mai sperimentato per esserlo era cancellare ogni ricordo spiacevole.
    «mi ricordi La scimmia» Ma allora c'era qualcuno!! Jess tirò un sospiro di sollievo, sollevata dal fatto che non avrebbe dovuto escogitare modi per sopravvivere sui rami di quella quercia con l'unica compagnia di Loki e degli uccellini che si andavano a posare sui rami più in alto. Se fossero stati belli poi, pure pure. Ma erano dei piccioni, la maggior parte dei pennuti che si trovava su quell'arbusto insieme a lei e Loki, ed è risaputo che a nessuno piacciono sul serio i piccioni. Dunque, felice del fatto che qualcuno fosse arrivato in suo soccorso, la Goodwin sorvolò sull'essere stata appena definita scimmia, senza far commenti a riguardo: non voleva far indispettire il passante e dover aspettare il prossimo sventurato a cui sarebbe toccata la sfortuna di passeggiare proprio sotto quell'albero. «le volevo bene, eh» Jess si sporse un po' di più dal ramo, allungando con cautela un braccio per spostare alcuni rami pieni di foglie e avere visuale migliore sul tipo qualche metro più in basso di lei.
    Inutile dire che, appena mise a fuoco la faccia, tutti i sogni che si era fatta nel corso di quei due minuti fantasticando sul volto del fantomatico principe azzurro arrivato in suo soccorso si infransero in meno tempo di quanto avevano impiegato a prender forma nella sua testa. Era...meh, mi sa che leggendo le fanfiction di Erin e guardando tutti quei telefilm con attori strafighi si era fatta aspettative troppo alte per gli incontri casuali nel parco.
    «Avevi una scimmia?» E per puro caso questa ti ha dato una padellata in faccia?
    Naturalmente, questo lo pensò soltanto, senza dirlo ad alta voce. Nonostante le apparenze, era una ragazza educata, e sapeva bene che non sarebbe stato poi così gentile andare a chiedere in giro se si era stati colpiti in piena faccia da una padellata, anche perché quella deformazione facciale poteva dipendere anche solo da, beh, una semplice deformazione facciale #cos
    «DAI, VA BENE, TI PRENDO IO» Ora. Se Jess fosse stata un po' meno una Jess, avrebbe avuto timore ad accettare una simile proposta: che certezze può darti il lanciarti di peso tra braccia sconosciute dalla sommità di un albero? Ma era della Goodwin, che si stava parlando. E lei avrebbe accettato senza indugio persino se avesse visto chiaramente che la persona sotto di lei teneva un coltello dritto puntato verso il suo stomaco. Non era mica il tipo da rifiutare gli atti di bontà gratuiti, ci mancherebbe. Nemmeno le sfiorò per la testa l'idea di proporre al ragazzo di chiamare qualcun altro che avrebbe potuto portare una scala, o un materasso gonfiabile o qualunque altra cosa mistica i pompieri usassero per fare salvataggi dalle case in fiamme. In quel momento, l'idea di buttarsi fidandosi di braccia sconosciute era l'opzione migliore di cui credeva di disporre «GRAZIE!» Era già pronta al lancio, quando il miagolio indignato di Loki attirò la sua attenzione.
    Ah. Ecco perché non era mai stata brava ad occuparsi degli animali: puntualmente si scordava della loro presenza. C'erano voluti anni ( e qualche perdita di memoria di qua e di là ) per capire che lei si sarebbe dovuta limitare a dargli da mangiare quando poteva, senza che alcuna creaturina bella dipendesse direttamente dalla ragazza. «C'è anche il mio gatto qui, lancio?» Nemmeno il tempo di ricevere una risposta affermativa, da entrambi. Ignorò lo sguardo terrorizzato del persiano, afferrandolo e staccandolo con quanta forza possibile con una mano mentre con l'altra continuava a tenersi aggrappata al tronco, cercando di mantenersi in equilibrio. Ormai aveva perso le sue skills di arrampicata sugli alberi, non era più tutt'uno con la natura. Sopportando senza nemmeno insultarlo come si deve l'animale, che per sfuggire alla sua presa le aveva dato una bella graffiata sul polso, lo lanciò dritto tra le braccia del ragazzo che attendeva a braccia aperte qualche metro sotto di loro. Si affacciò giusto un attimo per vedere se il suo lancio era andato a buon segno, tirando un sospiro di sollievo nel vedere Loki a terra sano e salvo. Oh, già sapeva che quell'ingrato, permaloso come era, non si sarebbe ripresentato alla porta del quartier generale almeno per i due mesi seguenti. Ingrato di un gatto. Doveva forse ricordargli che tutta quella situazione era avvenuta proprio per causa sua? Se non fosse stato un tale fifone, in quel momento entrambi avrebbero già fatto ritorno a casa.
    «SALTA» Magari Jess si fosse ricordata di tutte le ore e i soldi spesi dai suoi genitori per farle seguire i corsi di nuoto! Ma, ahimè, tutti gli splendidi modi di buttarsi da un trampolino se li era dimenticati, insieme a tutto il resto della sua vita, così le toccò ripiegare sul tuffo nazionale, ma che dico, mondiale, conosciuto da chiunque. «BOOOMBA!!» E così, in quello splendido lancio sgraziato, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era una sola.
    Non schiantarti Non schiantarti Non schiantarti Non schiantarti Non schiantarti Non schiantarti
    Già lo immaginava, Jess, l'impatto della terra dura contro le sue gambe e poi, in seguito, tutto il resto del suo corpo. Tenne gli occhi sbarrati, spaventata a morte per il momento finale di quella caduta e invece, a discapito di ogni previsione negativa, lo sfracellamento a terra non ci fu! Non appena si accorse di trovarsi tra le braccia del ragazzo, riaprì gli occhi e giusto per un attimino si maledisse per non averli tenuti chiusi. Forse la domanda della padellata l'avrebbe dovuta seriamente fare...ma. C'era sempre un "ma". Guardandolo bene, Jess avvertì quella sensazione di familiarità che alla ragazza era ben nota: la provava ogni volta che rincontrava una persona del suo passato di cui non ricordava nulla. Così sorvolò sul porre l'interrogativo che le ronzava in testa, per limitarsi a rivolgergli un ampio e sincero sorriso di gratitudine perché ehi, l'aveva pur sempre salvata in tempo record da quell'arbusto!
    «Ancora grazie, davvero, sei stato gentilissimo! Ero semplicemente andata a riprendere il mio gatto e..» portò lo sguardo sul prato, alla ricerca di Loki, ma come già aveva immaginato, era andato via. Creaturina traditrice e ingrata! Lei rischiava la vita per lui, e veniva ripagata così?? BAH. «..il maligno è fuggito» brutto traditore. Ma non avrebbe continuato a parlare del suo gatto e a riferirsi a lui come fosse una persona vera (perché, non lo era?) visto che le avevano insegnato che comportarsi così con una persona sconosciuta non avrebbe fatto altro che farla credere una pazza. Ma lei, sfortunatamente, era come una bambina intrappolata nel corpo di una quasi-non-più adolescente, e certe cose ci metteva tempo a capirle. «Io sono Jess, per la cronaca» Gli disse tutta sorridente, allungando la mano destra verso di lui per presentarsi. Le regole basi delle relazioni sociali le sapeva, eh. Ok che si erano conosciuti con lui che la salvava dalla cima di un albero, ma non era mai tardi per riportare un primo incontro ad un livello di semi-normalità.
    Che ne poteva sapere lei, che dietro al viso davanti al suo si celava una persona che per Jess aveva significato così tanto.
    Che tanto, anche con il volto giusto, con l'aspetto femminile, a Jessalyn Goodwin Friday DeThirteenth sarebbe comunque sembrata una perfetta sconosciuta, anche se di sconosciuto non aveva un bel niente.

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    Piantò con risolutezza i piedi per terra, lingua ad umettare le labbra e cespugliose sopracciglia aggrottate verso la sfocata figura sul ramo dell’albero. Friday De Thirteenth, dal suo scarso metro e quasi settanta, con il fisico esile che si ritrovava, non sarebbe mai stata in grado di rendersi utile alla causa – anche perché non poteva rischiare di rompersi un’unghia o rovinarsi il bel visino che si ritrovava - ma Fred? Con il suo metro ottanta ed i muscoli decisamente più spessi rispetto a quelli di Fray, poteva permettersi di tentare il soccorso disperato della fanciulla in difficoltà; inoltre, se si fosse graffiato (o rotto) la faccia, non se la sarebbe presa così tanto: d’altronde era difficile che una contusione potesse peggiorare quel che già era deforme di suo, al massimo l’avrebbe raddrizzato.
    Tentar non nuoceva. All’incirca.
    «Avevi una scimmia?» Domanda interessante, nonché trabocchetto, da fare una De Thirteenth. Si limitò ad annuire, labbra sporte all’infuori e sguardo distratto ancora perso nei ricordi. «un paio» commentò di rimando, memore di quando mamma, per i suoi tredici anni, le avesse regalato uno zoo – e di quando lei aveva ritenuto opportuno (ma che dico opportuno, necessario) infilare il fratellino di cinque anni in una delle gabbie, che più animale di Sunday De Thirteenth ce n’erano pochi. «ma non era di loro che stavo parlando – rip cetri rip olo» fece un rapido segno della croce e sospirò greve, il capo a scuotersi nel sempre oro erano tanto delle brave ragazze!!&&. Buttò fuori l’aria in uno sbuffo sonoro, i muscoli quali a pomparsi in previsione dello sforzo di raccogliere la giovane al volo. Lo immaginava un momento molto idilliaco, nei film era sempre così semplice!, di quelli che creavano sincera e profonda atmosfera di rispetto ed ammirazione – specialmente la seconda era la parte che Friday più preferiva dell’essere Friday, e che raramente riceveva come Fred. «C'è anche il mio gatto qui, lancio?» Beh non Tryhard. Il gatto non era previsto, ma perché no? Sarebbe stato un morbido allenamento prima di prendere lei, perlomeno se fosse caduto l’avrebbe fatto in piedi. Credeva.
    Così narrava la leggenda, e così era stato comprovato dallo studio congiunto CIA – NASA : fondi nazionali americani usati a scopo assolutamente scientifico per testare come la gravità influisse su fette biscottate imburrate e felini. Un altro livello di magia. Era pronta? Era carica per afferrare la bestiola? «AL MIO TRE! UNO, D- AAAA» avevano evidentemente un problema di comunicazione terra – albero. Friday guardò l’intera scena quasi si stesse volgendo a rallentatore, spettatrice ma non attivamente partecipe: la palla si ingrandì di più, sempre più, finchè non assunse i connotati di un gatto incazzoso con le zampine rigide e gli artigli già pronti ad affettare fette di carne come tonno rio mare. Non fu neanche abbastanza tempestiva a spostarsi lasciandolo (forse) sfracellare al suolo, cosa che avrebbe anche fatto eh #quale morale: il gatto le si depositò, e poco gentilmente, sulla faccia.
    Il grido di dolore di Friday de Thirteenth venne soffocato dal pelo.
    Rimase passiva (passivo.) mentre il gatto, comodo come solo i gatti sapevano essere, fece la sua discesa trionfale infilandogli le unghie nella schiena, brividi atoni e privi di suono a scuotere le membra della De Thirteenth. Come avrebbe detto il Grande Antonio Zequila, MAI Più (link per l’audio).
    . «BOOOMBA!!»
    Ed in quel momento, ed in quell’istante, Friday seppe con assoluta certezza che sarebbero morte entrambe. Tenne le braccia allungate di fronte a sé, sicura che il Gatto le avesse tranciato qualche nervo obbligandola ormai a quella posizione per tutta l’eternità, e gli occhi così serrati da sentire un principio di emicrania alla radice del naso – davvero: assicuro tutti i lettori che ebbe più paura lei della tuffatrice Anonima.
    E fu sempre Friday De Thirteenth, ginocchia leggermente piegate per attutire il colpo e non staccarsi le braccia come una Bratz, la più stupita quando… sopravvissero. Battè le ciglia incredula, ormai certa di non avere più degli arti superiori (eh vabbè, niente più pippe per Fred! Si sarebbe fatto togliere una costola come Marilyn Manson per provare l’ebrezza dell’auto erotismo orale) mettendo lentamente a fuoco il viso della sconosciuta.
    Della sconosciuta.
    Della sconosciuta? Più la guardava, più si rendeva conto che non era affatto una sconosciuta – c’era qualcosa di fin troppo familiare, fin troppo dolente.
    C’era qualcosa in quel sorriso, a vibrare delle risate udite ed invidiate dalla parte opposta di una staccionata. «Ancora grazie, davvero, sei stato gentilissimo! Ero semplicemente andata a riprendere il mio gatto e...il maligno è fuggito» Non le rispose, limitandosi ad osservarla in modo vagamente creepy – palpebre socchiuse, bocca semi aperta alla ricerca di parole con le quale esprimere lo strano senso di deja vu. «Io sono Jess, per la cronaca» Fece scivolare gli occhi verdi dal sorriso di Jess alla sua mano, valutando la situazione con occhio prettamente critico – era una giornalista, d’altronde.
    E come una giornalista, avrebbe trattato l’intera vicenda. Cercò di sorriderle, malgrado il sorriso di Fred fosse piacevole quanto una tavola da surf nei denti, e spinse (sì, davvero, e fisicamente: sollevare il braccio non sarebbe più stato contemplabile per almeno un paio di mesi) la mano nella sua direzione, stringendola debolmente nella propria. Odiava le strette di mano flaccide, ma … eh, aveva perso la percezione degli interi arti, figurarsi qualcosa di limitato quanto le dita. Mica facile raccogliere un Tuffo ad Angelo di petto – davvero, non fatelo mai. «fr-» ay. «-ed. fred. e figurati, aiutare» i poveri. I disgraziati. I poveri disgraziati? «le persone in difficoltà è il mio secondo hobby preferito» inarcò le sopracciglia allusivo, spalle strette fra loro.
    Poi si rese conto che ad una sconosciuta, avrebbe potuto suonare fraintendibile. «il primo sono le patatine fritte, ovviamente sottolineò, marcando il proprio spiccato accento americano per evidenziare la plateale differenza fra lei e loro: hamburger contro tè tutta la vita, pivelli. «se vuoi sdebitarti, potresti…» infilò indice e pollice fra le labbra per richiamare sull’attenti Week, mentre la mano sinistra frugava nelle tasche alla ricerca dell’immancabile taccuino – cosa vi aspettavate? Giornalista. «sto scrivendo un articolo» beh dai, non era proprio una menzogna, no? Scriveva sempre articoli #wat «su… i millenials» ???? «per sapere come se la passano i giovani» doveva saperne di più, di Jess - qualcosa non le tornava, ed i suoi sensi da super agente della CIA erano all’erta.
    Forse… poteva per caso essere…. «hai per caso vissuto in America per un periodo?»
    UN ALIENO?????????????????????????????????? Area 51 non ti temo.

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    Si stava rivelando un pomeriggio strano, quello di Jessalyn Goodwin, ma di certo non fuori dai suoi standard: per la maggior parte delle persone sulla faccia della terra, ritrovarsi bloccati su un albero dopo aver fallito miseramente in un piano di salvataggio del proprio gatto-che-in-reltà-non-era-il-suo-gatto sarebbe stato inusuale, mentre per la ragazza eventi di questo genere erano all'ordine del giorno. Non che se li cercasse di sua spontanea volontà, sia chiaro: semplicemente, le succedevano. E forse avrebbe dovuto starci più attenta, forse sarebbe stato conveniente andare a ricercare una qualche sorta di motivazione dei suoi comportamenti che la portava sempre a situazioni simili, eppure non lo faceva mai. Non le piaceva rifletter troppo ed elaborare ragionamenti complessi, odiava farsi domande di profondità psicologica che finivano puntualmente per rimanere irrisolte. Le piaceva soffermarsi su cose semplici, e non pensare mai troppo.
    Come in quel momento, in cui l'unico pensiero che il suo cervello era in grado di elaborare era che le facevano male le chiappe Ed anche parecchio. Non era certo stato un atterraggio dei migliori, il suo, ed anche se contro ogni legge della fisica e del circo (#wat) aveva miracolosamente evitato di spiaccicarsi al suolo o far sbilanciare e cadere a terra anche il gentilissimo ragazzo che aveva acconsentito a salvarla, l'impatto sulle braccia pronte a sorreggerla di lui era stato parecchio traumatico per il suo fondoschiena.
    Ma alla Goodwin qualcuno - non ricordava chi, eppure era certa che fosse merito di una qualche figura genitoriale - aveva insegnato le buone maniere, e sicuramente uscirsene con espressioni del genere davanti ad uno sconosciuto non rientrava in esse. Che poi in compagnia di amici o anche solo conoscenti non le rispettasse, era un altro conto.
    E sempre in nome delle buone maniere, decise di tralasciare la floscezza della stretta di mano dello sconosciuto, nemmeno passandole per la testa l'idea di poter esser stata lei stessa la causa di ciò, solamente perché già gli voleva bene per averla salvata da quella situazione. Non che ci mettesse molto ad affezionarsi alle persone, Jessalyn Goodwin, ma di certo quel giorno ci aveva messo meno del previsto.
    «fr-» ..odo? Sarebbe stato così bello, era uno dei nomi che aveva optato per il suo cane prima che la Marvel avesse la meglio e lo battezzasse ufficialmente come Thor. «-ed. fred» ah. E vabbè, non tutti potevano vantare nomi fiki, nemmeno lei del resto. e figurati, aiutare le persone in difficoltà è il mio secondo hobby preferito» Uau, anche il suo! Ok, forse non proprio il secondo: sicuramente le bevute venivano prima, così come i pomeriggi a guardare i film della disney ed ingozzarsi di pop corn, pizza e gelato con Erin, Nathan e Kieran e le passeggiate senza meta con Loki e Thor. Ma perlomeno rientrava nella sua top five «il primo sono le patatine fritte, ovviamente.» Awwww, sicuramente avevano qualcosa in comune. «Io sarei la persona più felice del mondo, se potessi vivere in un McDonald» Anche perché, nel corso degli anni, quel paradiso terrestre si era anche munito della zona bar: quanto era conveniente comprarsi il menù colazione al McCafè? Cappuccino e pancakes che sembravano provenire direttamente dal paradiso, altro che starbucks.
    «sto scrivendo un articolo» Era un giornalista?? Razionalmente, sapeva di dover scappare da lì e dal taccuino che Fred teneva tra le mani: era nella ribellione e viveva nel quartier generale della resistenza, e se ciò non fosse già un motivo valido per fuggire da quella situazione, il fatto che la ragazza per il ministero fosse legalmente morta non poteva che darle motivi in più. Non una sola volta eh, ma addirittura due: perché quando aveva lasciato l'america con i suoi genitori, Ophelia era ufficialmente deceduta tra le fiamme della villa Helidaile, e anni dopo Jessalyn era morta pochi mesi dopo i coniugi Goodwin. In una situazione come la sua, un giornalista e conseguenti domande erano da evitare come la peste ma allo stesso tempo...giornalista?? Voleva fare una domanda a lei?? Come le persone famose??? Era un'occasione troppo bella per farsela scappare. «su… i millenials, per sapere come se la passano i giovani» Uh dai che bello! Anche se c'era un piccolo problema... «mi piacerebbe un sacco!! Solo che..sai..io non sono una millenials» Non importava quante volte avessero tentato di spiegarglielo: per lei, i millenials sarebbero sempre e comunque stati i ragazzi nati dal duemila in poi. Lo diceva la parola stessa, che quel termine si riferiva ai fanciulli del nuovo millennio. Perché lei, fiera '99, doveva esser definita tale? Quella era una verità che non avrebbe mai e poi mai accettato. Quando Kieran le aveva fatto notare che definire millennials lei, Erin ed Amalie era sbagliato, Jess aveva fatto finta di non ascoltare. E così aveva continuato, nonostante la Sargent avesse iniziato a linkarle post di tumblr in cui si spiegava la differenza con la gen z: naturalmente la Goodwin li leggeva tutti quanti, eppure continuava a non condividerli. «..ma potrei anche accettare di esser definita tale..» anche se andava contro le sue convinzioni e mandava all'aria ore di discussioni senza conclusione con Kier «..se la mia esperienza può esser utile e finire su un giornale» Era un sogno anche solo a pensarci. Sperò solo che Fred non le facesse qualche domanda a cui non poteva rispondere, anche perché sapeva di non esser particolarmente portata a trovare alternative su due piedi.
    Si paralizzò immaginando i possibili scenari
    [...]
    «Con che voti ti sei diplomata?»
    «Meh, ero un po' una capra»
    «E quindi..con che media sei uscita?»
    «...non sono uscita»
    «Sei ancora a scuola?»
    «......no»
    «e allora scusa, non ti sei mai diplomata?? Non hai finito l'anno??? Come mai????»
    «CIAO È STATO BELLO PARLARE CON TE, ORA VADO DI FRETTA SCUSA CIAO»
    [...]
    «La mia è un indagine urbanistica..tu dove vivi?»
    «...in una casa»
    «Sì ma, in città o in periferia? Quante stanze ha? In quanti ci vivete?»
    «SULLA LUNA, CI SIAMO SOLO IO ED I MIEI GATTI, ANZI MEGLIO CHE VADA, SAI LA STRADA PER TORNARE È LUNGA. LA LUNA NON È MICA DIETRO L'ANGOLO»
    [...]
    «millenials e politica. Tu cosa ne pensi del governo?»
    «...sono delle persone»
    «sì ma..hai una posizione al riguardo?»
    «...sembrano tutti sciupati, dovrebbero mangiare di più»
    «ok ma politicamente cosa ne pensi??»
    «PER ME DOVREBBERO GOVERNARE I MY LITTLE PONY, ANZI ORA HO UN RADUNO DEI BRONY A CUI PARTECIPARE ADDIO»
    [...]
    «hai per caso vissuto in America per un periodo?»
    Rispetto ai suoi scenari le cose non andarono molto meglio, ma cercò di mantenere la calma per dare una risposta sensata e non destare sospetti. Che ne poteva sapere lei, dietro a quella faccia da padella poteva celarsi un agente sotto copertura mandato dal ministero per rintracciare gli special non dichiarati, e nel suo caso, legalmente morti. Del resto non era da tutti accogliere a braccia aperte una ragazza che cadeva dal cielo. «Nel mio cuore, sempre» Ed in fondo era vero: l'essenza da pura americana se la sentiva scorrere nelle vene. «ma ci sono soltanto nata e cresciuta per un po'» o perlomeno, così le aveva detto suo cugino Dak e a testimonianza di ciò c'era la foto che li immortalava da bambini, così come le cento altre al fianco di un mini Isaac, tutte scattate quando i due non erano che bambini, con qualche dente mancante e le ginocchia perennemente sbucciate «poi i miei hanno deciso di trasferirsi in Inghilterra, quindi ricordo ben poco di quel periodo» dai su, era una mezza verità la sua. Anche se tra poco e zero totale c'era una bella differenza
    Per il suo bene aveva bisogno di spostare il discorso da sé a Fred «MA DIMMI, sono parecchio curiosa, per quale giornale scrivi???» Ed in realtà desiderava saperlo davvero, anche perché sperava di trovare una motivazione razionale al senso di familiarità che aveva avvertito posando gli occhi su di lui.«Sei famoso?? Quanti followerz hai su instagram???» Chissà, magari l'aveva visto senza però farci mai attenzione sfogliando qualche rivista insieme ad Erin, o in qualche programma televisivo insieme a Nate. Quanto avrebbe voluto i due lì con lei, in modo da toglierle quel dubbio, ma sapeva che sarebbe stato persino peggio.
    Una ribelle legalmente morta era già fin troppo pericoloso, davanti ad un giornalista, figuriamoci alzare il numero di ribelli a tre e quello di legalmente morti a due.
    La situazione sarebbe inevitabilmente passata da potenziale disastro a disastro totale.
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    me? overreacting? shit probably
    «Nel mio cuore, sempre. ma ci sono soltanto nata e cresciuta per un po'» Fred, sentendo i suoi sensi da agente super segreto della CIA attivarsi, drizzò immediatamente la schiena assottigliando le palpebre in direzione di Jess - sapeva riconoscere una menzogna (ma quando mai?) quando ne sentiva una, e nella voce della ragazza non aveva percepito alcun indugio né tentennamento: era sincera.
    Ma quel Jess, le puzzava di falzo. Sollevò un indice verso la giovane, facendo poi ricadere il braccio lungo il fianco nel rendersi conto di non possedere (per ora.) alcun capo d’accusa. Forse aveva esagerato con la (cocaina) farina, quella mattina, e vedeva persone che non avrebbero dovuto esserci – forse Jess era perfino cinese, o thailandese, ma i suoi occhi avevano deciso di farle lo skerzone di farla apparire come la sua Ophelia. Ma le informazioni combaciavano, no? Quante probabilità c’erano che, nel cuore di Londra, avesse fermato un’altra americana? Tante. Ah, quanto avrebbe voluto la sua lavagnetta da Detective Conan, in quel momento. «poi i miei hanno deciso di trasferirsi in Inghilterra, quindi ricordo ben poco di quel periodo» Trasferirsi, eh? EH? L iA r. Inspirò secco dalle narici, i pugni poggiati sui fianchi e le iridi verdi ridotte ed una fessura appena percepibile. Le cambiò argomento (SOSPETTO.) volgendogli domande sulla testata per la quale scriveva, e…niente, in realtà si trattava di interrogativi del tutto legittimi, ed anche per quei quesiti non poteva sollevare alcuna insinuazione: che palle, era più facile lavorare con le big mafie sudamericane ed il loro spaccio di bambini neozelandesi. «sono una free lancer» spiegò con fierezza, inspirando dalle narici e gonfiando il petto d’orgoglio. «una divergente. non mi controlla nessuno. pOtErE Al pOpOlO!!&&» Sollevò un pugno al cielo lasciandosi trasportare, come sempre, dall’indole rivoluzionaria (quale.) e ambientalista (???? In che senso.avi). Friday De Thirteenth, potendoselo permettere grazie ad un’infanzia agiata e viziata, era sempre stata attiva nel campo sociale per le più disparate campagne atte a sovvertire le ingiustizie o le disparità – credeva nella libertà, ma era anche troppo ingenua per rendersi conto di quanto quei diritti, nella loro società, venissero a mancare. Superficiale, ma con un buon cuore. Non avendo bisogno di uno stipendio fisso con il quale mantenersi, si dedicava a qualunque testata che pubblicasse gli articoli ch’ella scriveva per sfizio o noia: alieni, test di psicologia improvvisati sul momento su quale patatina fritta ti si addicesse di più, guide su come sedurre un fagiano, bambini prodigio che suonavano il pianoforte con i piedi, animali carini o disturbanti. Beh? Aveva un sacco di interessi, Fray. «un tempo ero piuttosto vip su twitter e instagram, poi ho perso la vagina – lunga storia» liquidò la faccenda con un cenno della mano, occhi socchiusi e sopracciglia arcuate. Poteva forse spoilerare la sua storia così, a bruciapelo? La mirabolante avventura delle gemelle De Thirteenth e della sigla dei Digimon? Ma certo che (sì) no! Schioccò la lingua sul palato dondolando sui talloni, occhiate in tralice lanciate a Jess. «NO SENTI, NON CE LA FACCIO» sbottò d’un tratto, avvicinando maggiormente la faccia a quella di lei. Non in maniera maniaca, giuro – la stava solo studiando, quindi…niente, risultava comunque inquietante, ma almeno a fini scientifici. «sei ophelia? c’è ophelia, lì dentro? sei posseduta?» schioccò le dita un po’ a caso di fronte agli occhi di Jess, accompagnando ciascun movimento con brevi e secchi gridolini come le avevano insegnato i monaci tibetani durante la sua vacanza culturale fra le capre ed in ninja in tonaca. «SEI TU VERO? DILLO! AMMETTILO!» entrambe le braccia alzate al cielo ad invocare una qualsiasi divinità norrena, scuotendosi brevemente per incrementare il legame metafisico con Thor & co. «diLLOOOOH» Era una ragazza teatrale, Friday De Thirteenth.
    Caso mai non l’aveste capito, eh.
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    Se Jess fosse stata una ragazza perspicace (spoiler: non lo era) avrebbe capito subito che quel incontro stava prendendo una piega inaspettata e, a dirla tutta, alquanto pericolosa per la Goodwin. Doveva vivere nell'ombra, Jess, provando a passare inosservata tra le altre persone ed attirando il meno possibile l'attenzione su di sé (spoiler: non lo faceva). Perché, pur essendo legalmente morta, e non una ma ben due volte, la ragazza proprio non ce la faceva a viver come tale: aveva uno spirito troppo eccentrico ed una personalità disposta poco a riflettere prima di agire ma molto a mettersi nei guai. Fortuna che era ancora luglio del 2017 (questa role due giorni fa ha compiuto un anno, lo sapevate? AUGURI ROLE #wat) e dunque poteva ancora permettersi di attirare l'attenzione su di sé senza correre poi così tanti pericoli: grazie a dio Van Lidova non era ancora al governo (anche qui: #spoiler) e dunque la diciassettenne poteva ancora permettersi di arrampicarsi e rimanere bloccata sugli alberi, almeno per qualche altro mese.
    «sono una free lancer» Si limitò a guardarla con il migliore dei sorrisi stampato sul volto, e mentre esclamava un «uuUuuUH» d'ammirazione, si chiedeva mentalmente cosa diamine significasse. Era una capra ignorante? Si, in tante cose, ma perlomeno dopo i laboratori poteva giustificare le sue evidenti lacune di cultura generale (o anche solo di cultura, in ogni ambito) attribuendo la colpa all'aver perso i ricordi. Del resto doveva esser stato chiaramente traumatico perder anni ed anni di insegnamenti appresi a scuola, no? Se solo ci fosse stato traccia di qualcosa da dimenticare, ma questo Jess fortunatamente non poteva saperlo. «una divergente. non mi controlla nessuno. pOtErE Al pOpOlO!!&&» UUHHH. Ora sì che il suo verso d'ammirazione avrebbe avuto effettivamente senso. Perché, dalle parole del ragazzo, Jess poteva chiaramente percepire l'aura da ribelle (spoiler: non lo era) Chissà perché non l'aveva mai visto passare al quartier generale, o in compagnia di altri componenti della resistenza. Non vedeva già l'ora di portarlo a casa e farlo conoscere ad Erin e Nate: sicuramente la sua faccia da padella sarebbe stato argomento di conversazione per almeno due settimane durante i pranzi dei mini rebel.
    «un tempo ero piuttosto vip su twitter e instagram, poi ho perso la vagina – lunga storia» [gif della bionda confusa] intensified. Non...non capiva? Aveva una vagina e l'aveva persa? Come era possibile una cosa del genere? Ma soprattutto...era possibile? Avrebbe voluto saperne di più, Jess, perché aveva bisogno di conoscere i pericoli che correva in questo mondo: poteva sopportare il rischio di poter esser catturata dai funzionari del ministero perché faceva parte della resistenza, o perché era legalmente morta due volte, o perché viveva da latitante. Ma la possibilità di diventare da un momento all'altro un ragazzo? Quello era un'eventualità che non credeva sarebbe mai stata in grado di accettare. Insomma, se ne usciva spesso con frasi come "vorrei esser nata maschio" o "guarda com'è tutto più semplice per i ragazzi!" ma ew, ci teneva al suo esser donna e mai e poi mai avrebbe voluto sul serio il contrario. Dunque era pronta chiedere a lui? lei? faccia da padella, nel dubbio, di spiegarle la lunga storia, solo che venne fermata prima di poter anche solo aprir bocca. «NO SENTI, NON CE LA FACCIO» ?????
    «A esser un maschio? Effettivamente dev'esser parecchio difficile» Ok la comodità in viaggio di non dover fermarsi ed andare dietro una siepe ma potersi limitare ad urinare in una bottiglietta dell'acqua ed ok che ogni mese non erano costretti a sopportare dolori atroci ed ingozzarsi di cibo come se non ci fosse un domani, ma si trattava pur sempre di essere un maschio. «sei ophelia? c’è ophelia, lì dentro? sei posseduta?» Oh. O h. O H.
    La Goodwin iniziò a far due più due: la faccia sconvolta che aveva fatto quando l'aveva vista, il mi ricordi La scimmia, la domanda sull'America. Fred era chiaramente qualcuno che faceva parte del passato di Jess, qualcuno che l'aveva conosciuta mentre viveva in America. Sfortunatamente, quel passato non le apparteneva più, e la ragazza non aveva potuto far nulla per riaverlo indietro: c'erano stati i racconti di Dakota e quelli di Isaac, affiancati da vecchie foto ad immortalare per sempre la loro infanzia, ma nulla di più. Era la vita di una bambina sconosciuta, quella che Jess aveva appreso dai suoi amici. Ed ophelia non era che un vecchio nome, che per lei non poteva aver troppo significato. Non voleva che ne avesse: altrimenti si sarebbe ritrovata a rimpiangere un passato che aveva perso anni ed anni prima. «SEI TU VERO? DILLO! AMMETTILO!» Valutò se fosse il caso di dire tutto, o darsela a gambe: del resto aveva ottenuto quello che desiderava, scendendo dall'albero e salvando il suo gatto. Ma Fred? Sentiva la necessità di dirgli la verità, o almeno, una parte di essa. E poi, il fatto che facesse parte del proprio passato era una buona cosa, no? Insomma, doveva esser buono per forza. E poi suvvia, l'aveva accolta a braccia aperte mentre si buttava a bomba da un albero: se l'era guadagnata, la fiducia di Jess. «Sono...sì, sono io» Era sempre così complicato, spiegare la sua storia. Ovviamente, ogni volta che lo faceva modificava piccoli particolari per camuffare il vero motivo della finta morte inscenata in america dai suoi genitori. «solo che non mi chiamano più così da anni, ho cambiato identità» sciokkanteh, anche se fin qui tutto bene: era la verità. Da qui in poi però iniziava a sgravare, ogni volta in fantasiosi modi differenti «mamma e papà erano degli ex mafiosi messicani. Quando si sono pentiti ed hanno iniziato a collaborare con la polizia, il programma protezione testimoni li ha spediti in america, solo che non è stato abbastanza » a questo punto, Jess fece una breve pausa per aumentare la suspense «ci hanno trovati, e siamo dovuti fuggire di nuovo. E così ci siamo trasferiti a Londra, dove la pace è durata solo qualche anno» altra breve pausa drammatica «ci hanno trovati di nuovo. Legalmente, io sono morta» Era bello poter attribuire la colpa per le atrocità a cui la sua famiglia era stata costretta alla mafia messicana, e non al governo che reggeva la loro nazione.Una fantasia, quella di Jess, ma decisamente più semplice da accettare che la realtà. «quindi, ti prego, mantieni il segreto. In nome dell'America che ci unisce» #cosa. Avrebbe voluto uscirsene con qualche frase ad effetto, oppure far leva sul buon cuore del ragazzo?ragazza?faccia da padella nominando qualcosa del loro passato che li legava, ma sfortunatamente non aveva ricordi a cui far appiglio, la Goodwin, e così finì per puntar tutto sulla loro unica e splendida patria.
    Del resto, patatine fritte e cheesburger univano due persone per l'eternità, no?

    do it for the aesthetic -- ms. atelophobia
     
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    «quindi, ti prego, mantieni il segreto. In nome dell'America che ci unisce» Fred battè le ciglia, incapace di celare nelle iridi verdi la fitta di dolore alle parole di Jess. Un istintivo passo indietro, il capo lievemente abbassato verso le proprie scarpe – non era abituata a sentirsi così, Friday. Malgrado nei suoi venticinque anni di vita non avesse incontrato sempre (ossia: mai.) persone degne della sua fiducia, era difficile per la De Thirteenth essere cinica o preparata; dubitava che potesse esistere una preparazione mentale ed emotiva a situazioni come quella, o perlomeno era quello che continuava a ripetersi per giustificare il battito insensatamente veloce del proprio cuore, o la gola stretta mentre cercava di deglutire. «credevo -» aveva ignorato, intenzionalmente, la spiegazione della ragazza, già delegandola alla parte del cervello in cui le informazioni non rimanevano per più di tre (3) minuti: Friday poteva sembrare stupida e lo era ma si trattava pur sempre di un agente della fuckin CIA. Sapeva riconoscere storie campate per aria quando ne incontrava (il fatto poi che scegliesse di crederci comunque era un altro discorso) e soprattutto non aveva mai letto in alcun fascicolo di quella storia – e sì, ovvio, come le comari li aveva studiati tutti. Forse era campo dell’fbi? Meh. a Fray pesava il culo quasi quanto a Sara, quindi non s’era mai informata in proposito, preferendo accodarsi ai propri colleghi quando puntavano i piedi a terra liquidando l’FBI a pescatori d’anguille cacciandoli dalla giurisdizione. «credevo fossi morta.» riuscì ad elaborare, in una voce perfino udibile e neutra, sollevando gli offesi occhi chiari sulla ragazza. Era stato il primo, ed unico, lutto nella vita di Friday De Thirteenth, dove le tragedie erano sempre superficiali quanto la giovane stessa. Era stato difficile capire come comportarsi, cosa dovesse provare - una bambina, l’adolescente Fray, in quel campo. Prese il telefono dalla tasca dei pantaloni, un sopracciglio arcuato verso Ophelia – ormai non aveva dubbi che fosse proprio la sua Ophelia. «sono cambiate un po’ di cose negli anni» tipo, ho un pene in più. Scorse le fotografie nella cartella dell’aifon saltando, con classe, i propri nudes. Non era neanche roba secsi che mandava ai propri spasimanti, anzi; si trattava di foto del proprio pene che o mandava a Sandy e Wendy, o teneva per sé giusto per ricordarsi di quanto fosse brutto. Così, per la scienza. Ma torniamo a noi. Trovò, finalmente!!, una foto della sé di qualche anno prima: bella, bellixima, rossi capelli color fuoco ed un tondo viso pallido e lentigginoso, gli occhi smeraldo ridotti ad una fessura divertita mentre, sguaiata come suo solito (non era chiaramente fatta per i confini, non era in grado di limitarsi) rideva a qualche (stupida.) battuta di sua sorella. «ti ricordi di me? sono friday» le sventolò la foto sotto al naso, le sopracciglia corrugate. «Friday de thirteenth. Eravamo vicine di casa?» suonò come una domanda perché la era; a conti fatti, Fray non era ancora certa che quella fosse la stessa ragazzina che spingeva, e faceva cadere, sull’altalena. «ero la tua baby sitter» specificò, umettandosi le labbra e cercando un briciolo, uno sputo, di riconoscimento negli occhi scuri della ragazza. Non era facile dimenticarsi di una Friday De Thirteenth, neanche volendolo – e la maggior parte delle persone, lo voleva. A meno che lei, certo, non mettesse mano alla propria natura da obliviante – sì, aveva l’oblivion facile, facciamole causa: c’era un motivo se l’aveva reso il proprio lavoro. «non ti ho…» scosse appena il capo, il braccio sinistro incrociato sul petto. «non ti ho cancellato la memoria, vero?» eh, a volte capitava che lo facesse per errore, o che colpisse poi sé stessa: mai detto quanto fosse sbadata?

    | ms.
     
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