the cool cousin

fred x freya

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    19.06.2017 | 25 y.o. | where is my vagina | death eater | sheet
    Erano passati due mesi da quando Wando e Fred erano riusciti ad impossessarsi dell’anello.
    Erano passati due mesi da quando Wando e Fred erano riusciti a perdere l’anello.
    Di nuovo.
    Friday De Thirteenth, guardandosi allo specchio, ancora non riusciva a capacitarsene. Come avevano fatto? Una domanda che, come ogni giorno, rimase priva di risposta nel riflesso sbagliato di Friday. Perché, ancora, non era Fray a ricambiare la sua occhiata, non le trasparenti iridi color erba in primavera ad ammiccarle dalla superficie riflettente: e Fred, con quelle sopracciglia troppo folte e quegli incavati occhi verdi, non ne aveva assolutamente idea. Aveva ancora il pene. Come se la mancanza della vagina non fosse di per sé una cosa terribile, Fray si ritrovava priva di apparato riproduttivo femminile, e con quella faccia. Non un bel viso squadrato di cui far vanto, non zigomi pronunciati da far invidia a Pocahontas e perfette labbra da baciare, no - sarebbe stato troppo facile, rimanere incastrati in una forma affascinante e seducente.
    Fred.
    Il suo esperimento sociale, il suo errore e rimorso maggiore. Un’avventura iniziata per caso, come gran parte della vita di Friday: si era fatta trasportare dalla metamorfomagia, creandosi una forma maschile con la quale mettere in atto le sue più proibite (ma dove) fantasie – andare da una ragazza e chiedere quest’uomo la sta importunando? per poi fuggire a gambe levate quando l’uomo si rivelava essere il quadruplo di Fred; entrare in un locale gay e provarci con i ragazzi omosessuali, come Fray non poteva permettersi; grattarsi le parti intime in pubblico, o infilare gli occhiali da sole con una sola mano, durante il tramonto, per sembrare Horatio Caine; mostrare che i consigli che Fray scriveva sul giornale su come accalappiare uno scapolo, funzionavano davvero; comprarsi vestiti da uomo che sul suo corpo esile e sottile l’avrebbero fatta apparire uno scherzo della natura.
    Insomma. Problematiche a breve termine, un essere Fred che non durava mai più di mezza giornata: due anni, di certo, non se li era aspettati. Non passava giorno che non si lamentasse del proprio peculiare aspetto, trovando nei tratti di Fred difetti sempre nuovi: aveva sempre avuto il mento così pronunciato? (sì.) Aveva sempre avuto sopracciglia così folte alle quali non riusciva a rimediare neanche con le pinzette? (sì.) Aveva sempre avuto quella faccia così piatta che, vista di profilo, pareva sprovvista di naso? (ancora, sì.) Di volta in volta le parevano mancanze peggiori, un vero e proprio problema sociale: come poteva, Friday, uscire ed interagire con le persone? Come poteva aspettarsi che queste, quand’ella le avesse approcciate, non scoppiassero a riderle in faccia? Non poteva, ecco il punto. Eppure mai, mai Friday avrebbe permesso ad altri di umiliarla: ci riusciva benissimo da sola.
    «WENDYYYY.» gracchiò, in quel primo pomeriggio del diciannove giugno, dalla camera nell’appartamento che condivideva con sua sorella. In pubblico era costretta a rivolgersele chiamandola Wando, ma almeno fra quelle quattro mura poteva riferirsi a lei come Wendy, pacco o non pacco – per quanto fosse surreale posare lo sguardo su quel manzo DOC, tutto muscoli e niente grasso (o deformità, al contrario di Fred), con un dolce e morbido Wendy. Erano (minuti) ORE che Friday era seduta a gambe incrociate sul letto, le mani posate in maniera molto zen sulle ginocchia, a fissare il proprio riflesso davanti a sé. Un rito che ormai si ripeteva quotidianamente, talvolta più sedute al giorno. Uno avrebbe dovuto farci l’abitudine, a quella faccia – ed invece, per Friday, era sempre una sorpresa. Abituata ad avere qualunque cosa nella vita, zoo e idromassaggio con lo champagne compreso, non riusciva a superare il blocco creatole da Kosmo: come aveva osato farle quello? Ma lo sapeva, almeno, con chi aveva a che fare?
    Evidentemente, sì.
    Perché Friday De Thirteenth, a conti fatti, era un concentrato di idiozia ed ingenuità in appena un metro e sessantotto centimetri. Fin troppo facile, prendersi gioco di lei. Così ingiusto. «ho ancora il pene.» constatò, chinando il capo verso il proprio pacco, ben stretto nei jeans. Come facevano gli uomini a convivere con quella protuberanza? Davvero: comodo per urinare e masturbarsi, ma portarselo in giro tutto il giorno era… seccante. Teneva caldo. Le sudavano parti che non avrebbe mai immaginato potessero sudare – beh, d’altronde, non era mai stata dotata di testicoli fino a due anni prima. Ancora, dopo tutto quel tempo, non sapeva come infilarselo nelle mutande. Chissà per quale oscuro motivo, Fray era sempre stata convinta che si … arrotolasse? Tipo serpente, sapete. Non vi si era mai soffermata abbastanza da rendersi conto di quanto sciocca ed utopica fosse quella possibilità, ma in compenso l’aveva scoperto a sue spese. Vogliamo parlare delle erezioni? Aveva maledetto per vent’anni (kind of, dai) il ciclo mestruale, ma non aveva mai compreso la difficoltà degli adolescenti di sesso maschile: l’erezione. Colpiva quando meno te la aspettavi, specialmente nei momenti ed i luoghi meno opportuni – e stava lì, visibile a tutti come la Mona Lisa al Louvre. Non c’era privacy nell’eccitamento sessuale, vi rendete conto? Non poteva addormentarsi sul bus e fare un sogno sconcio che sbam, subito la bandiera si alzava avvisando tutti di quanto fosse una pervertita. Perché, certo, cosa potevi pensare di un uomo che aveva un erezione su un autobus? Che fosse un maniaco, per forza. L’avrebbe pensato anche lei, da vagino munita. Così incrociava le gambe cercando di nascondere la sua virilità, volgendo sorrisi imbarazzati a chi le stava accanto: sapete cosa ci guadagnava? Borsate in faccia - sì, signori miei. Le donne, specialmente quelle più anziane, la colpivano con la borsa credendo che il ghigno fosse un’avance sessuale. Non aiutava a diminuire le contusioni il suo tentativo di difendersi con: «NON MI FAREI MAI UNA VECCHIA.», al massimo le peggiorava.
    Non c’era vita, per Fred De Thirteenth, la fu bella, viziata e capricciosa, Fray. Non c’era pace, né riposo.
    Né onore.
    «esattamente come cinque minuti fa. SCIOKKANTEH» Okay, forse tendeva a lamentarsi un po’ troppo, ma possiamo biasimarla? Si morse corrucciata il labbro inferiore, la testa a rialzarsi per incontrare i propri occhi allo specchio. Voleva credere che per Sandy ne fosse valsa la pena, ma la realtà era che a suo fratello, della magia, non era mai fregato una sega: come aveva loro ricordato più di una volta, era solamente colpa delle gemelle, se si trovavano in quella inusuale situazione. «forse, se morissi...» assottigliò le palpebre, le equazioni e le formule per trovare l’area di un parallelepipedo quasi visibili attorno alla sua faccia. Perché era una stratega, Fray (da quando?) e non era certo la prima volta che buttava lì l’idea di morire: per poco, un mini attacco di cuore. Ma come, non avete letto il giornale, ultimamente? La gente moriva e tornava in vita di continuo, santo cielo – prima Gesù, poi Michael Jackson, Fabri Fibra. Friday De Thirteenth sarebbe stato solamente un altro nome sulla lista, nulla di eccezionale. Morendo, teoricamente, avrebbe dovuto concludersi l’accordo con Kosmo, aka sarebbe stata svincolata dalle sue spoglie maschili.
    Teoricamente.
    Era la pratica a fotterla, e si amava troppo per rischiare di morire davvero e sul serio.
    Come se la vita non fosse stata abbastanza iniqua con lei, perfino il suo cane, il suo amato cane, disapprovava la sua nuova apparenza: Week la fissava, il muso canino perfettamente concentrato, e con la zampa la colpiva quando meno se lo aspettava, probabilmente per liberarla da quella pelle che non le apparteneva. Uggiolava perfino con sincero rimorso, affine allo stato d’animo della sua padrona.
    Week sapeva. Lui sapeva sempre tutto.
    «WEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEK.» chiamò allora, in preda allo sconforto. La bestiola non si fece attendere, e festosa apparve sulla soglia della porta… per poi, constatando che si trattava sempre di Fred, corrugare le sopracciglia. Giuro: corrugava le sopracciglia. «mi ami comunque?» No. Week la fissò, le labbra sempre tirate in un sorriso apparentemente strafatto. Si avvicinò cauto e le diede una musata sulle mani, per poi trotterellare da dov’era giunto. Fray credette che la stesse friendzonando, come chiunque prima di lui: non sei tu, il problema – anzi, in realtà si, ma rimaniamo comunque amici? Invece, il suo fedele compagno peloso (sempre Week, non Wando) tornò nella sua stanza stringendo fra i denti una bandana arcobaleno, ed il guinzaglio.
    Sapeva sempre come tirarla su di morale, Week De Thirteenth. E Fred, lo sbilenco e deforme Fred, gli sorrise.

    «SPOSTATEVI, VIA VIA VIA» agitò le braccia verso i passanti, sfrecciando come Saetta McQueen fra le strade di Diagon Alley. I piedi erano ben piantati sul monopattino, mentre Week la trainava in giro per da City rincorrendo solo il buon Gesù sapeva cosa. Ovviamente, Fray non aveva il minimo controllo sulla strada scelta dal cane, né poteva decidere il percorso: passiva e fiduciosa, si lasciava trascinare dal suo shiba come un cieco si sarebbe fatto scortare dal cane guida, confidando che non li facesse schiantare contro un bidone della spazzatura, né li facesse finire dentro qualche vetrina. A chiunque la (lo.) osservasse con disappunto, Friday arricciava le labbra ed agitava le mani aperte di fronte al proprio petto: THEY SEE ME ROLLIN’ THEY HATIN’. Brutta, la vita da VIP. « ti levi? Ehi!» schioccò le dita di fronte al viso di un ragazzo, quando gli passò affianco (ciao Noah!) scuotendo con disappunto il capo: «MA SEI SCEMO?» gli gridò, già troppo lontana per udire se il giovane le avesse risposto. Inutile, non c’era più rispetto per i venticinquenni deformi che giravano su un monopattino trascinato da uno shiba inu.
    Incredibile. «anche tu? Ma è un vizio allora. Su, cowboy, eddai – NON VEDI CHE DEVO PASSARE?» Alzò le braccia e si strinse nelle spalle, un’occhiataccia (nascosta dietro le spesse lenti da sole) verso un ragazzotto moro (ciao Jay).
    Fu in quel momento, ancora imbronciata ed offesa dal comportamento ribelle della gioventù, che la vide: durò appena un battito di ciglia, così poco da farle credere si fosse trattata di un allucinazione. Morbida pelle color caramello, scompigliati capelli mossi, un sorriso così brillante da apparire di suo un piccolo sole. Doveva, essere un allucinazione: perché Ophelia, Friday lo sapeva, era morta. Il sorriso le morì sulle labbra, soppiantato da un espressione di puro ed antico sconforto. Abbassò il capo sul monopattino, infine mise un piede al suolo per bloccare l’impazzita corsa di Week: che sto facendo?
    Davvero. Cosa stava facendo? Erano due anni, due anni!, che non vedeva i suoi amici, od il resto della sua famiglia. Non aveva coraggio di mostrarsi in veste di Fred, un perfetto sconosciuto; troppo imbarazzante ammettere la verità: era stata presa in giro.
    E quello, era il prezzo. Ma le mancavano, sempre: poteva finalmente, dopo anni di ricerche nei quali non era stata a Londra, rintracciare i suoi vecchi compagni di scuola – vedere cosa facevano, come se la cavavano, se erano sopravvissuti (spoiler: no.). Voleva strafogarsi di patatine fritte con Alec lamentandosi, ad ogni patatina, perché in America erano più buone.
    Ma soprattutto, le mancava Freya. I De Thirteenth erano rimasti a Londra fintanto che non avevano ritrovato la cugina, capitata in circostanze misteriose nei Laboratori, ma dopo pochi mesi ch’ella era tornata presente e vigile nel mondo dei vivi, avevano intrapreso il viaggio della speranza, perdendola di vista. Era cresciuta? Nella mente di Fray, sarebbe sempre stata la bambina che passava le estati con loro, i piedi troppo piccoli negli stivali di gomma troppo grandi ed il sorriso estasiato ogni volta che Friday le mostrava qualcosa di (stupido, e) nuovo – ad esempio, come fare una treccia ad un alpaca. Avevano mantenuto i contatti, certamente, con il piffero che l’avrebbe lasciata sparire ancora, ma una lettera era ben diverso dall’averla di fronte a sé.
    Non le aveva mai detto di… beh. Di essere permanente Fred. Anzi, in realtà, Freya non aveva neanche mai visto Fred – quel mostro, Fray, aveva sempre evitato di mostrarlo troppo in giro, vergognandosi come una suora con la clamidia. La Gardner sapeva che Fray era una metamorfa ed aveva assunto una forma maschile standard, Friday se ne vantava come della sua più ben riuscita opera d’arte, ma per ovvi motivi non sapeva che quella forma fosse… Fred.
    Che figura ci avrebbe fatto, se l’avesse saputo. Aveva sempre voluto essere l’idolo ed il modello di sua cugina, qualcuno da cui prendere ispirazione e spunto (nda: fortuna che Freya non l’ha fatto.), non poteva permettersi che la… lo vedesse in quelle condizioni. Come si era fatta ciulare, poi! Con quale coraggio avrebbe ammesso ad una Corvonero le sue colpe, alimentando così i pregiudizi che da sempre il mondo magico nutriva verso i Grifondoro?
    Che pregiudizi, a vedere Friday, non erano mica tanto: direi più accuse fondate.
    Parcheggiò (abbandonò) il monopattino, le sopracciglia aggrottate a mostrare quanto ancora fosse concentrata su filosofici pensieri esistenziali. Continuò a camminare inquieta per una decina di metri, la maglia bianca ad ondeggiare nella quieta brezza della cittadina magica, e le mani affondate nelle tasche dei jea- aspetta.
    Le mani affondate nelle tasche dei jeans?
    «WEEK.» non ci poteva credere: aveva, di nuovo, perso il suo cane? Ma sul serio? Così, poi: un attimo prima ne teneva saldamente il guinzaglio, quello dopo… no. L’aveva mollato?
    Cosa non andava, in Friday De Thirteenth.
    «weeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeek» si portò le mani a coppa attorno alla bocca, fischiando poi sonoramente. Di solito, di solito, bastava quello a farlo tornare: dov’era quello stronzetto. Un principio di panico iniziò a stringerle la gola, il cuore a battere impetuoso dietro le costole. Fray amava Week come un figlio - era, suo figlio - non poteva davvero pensare di averlo smarrito. Senza contare che non avrebbe saputo quale foto scegliere da stampare per appenderla in giro per la cittadella, era così fotogenico!. «TI HO VISTO.» accusò, l’indice puntato verso l’arricciata coda del cane che spuntava appena da dietro l’angolo di un incrocio. Si fiondò in quella direzione con cipiglio severo e determinato, le labbra una linea sottile di arrogante delusione: «quando ti chiamo, devi venire immediatamente...» e girò l’angolo, Friday De Thirteenth, trovando Week in felice adorazione di qualcosa.
    O meglio, qualcuno.
    «...Freya?»

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    CITAZIONE
    • Friday De Thirteenth - (3) lega il monopattino ad un cane, e fatti trascinare in giro per la città
     
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    Ogni tanto l'irrefrenabile desiderio di lasciare il castello la colpiva come un pugno nello stomaco ed allora il conflitto interiore che ne scaturiva veniva in qualche modo vinto dalla parte di lei che desiderava libertà. C'erano momenti in cui la paura veniva sopraffatta dal desiderio di essere finalmente libera di correre e camminare in mezzo alla gente senza che l'afefobia facesse di lei una debole quanto effimera creatura. Quel giorno era uscita dal castello con le migliori intenzioni, decidendo di recarsi a Diagon Alley in vista delle vacanze estive che l'avrebbero certamente portata a lasciare la protezione del castello di Hogwarts in favore di una vacanza lontana da tutto e da tutti, in compagnia di Nathan si sarebbe certamente divertita, in alternativa aveva sempre da recuperare un po' di tempo con Tiffany, ultimamente si era perse di vista e questo era negativo. Le sembrava di starsi isolando nuovamente e non poteva accettare di aver perso il terreno guadagnato con molta fatica in quei due anni di terapia, aveva fatto passi da gigante anche se non le sembrava, eppure bastava uno sguardo indietro per rendersene conto, era cresciuta ed i problemi si erano affievoliti seppur di poco. Negli ultimi tempo però, qualcosa l'aveva portata a percorrere passo indietro e si era ritrovata ad isolarsi sempre di più, non che lo volesse davvero, era semplicemente successo e più ci pensava più si intristiva. Piuttosto che restare a rimuginare sui fallimenti della terapia, aveva deciso di aggirarsi per le strade di Diagon Alley dove si era fermata in ogni negozio possibile ed immaginabile, curiosando qua e là senza comprare effettivamente nulla. Non c'era niente di meglio di fantasticare osservando oggetti e libri che mai avrebbe potuto o voluto acquistare, non era una spendacciona e di sicuro non disponeva del denaro della sua famiglia, un'ereditiera senza eredità. Com'era burlona la vita talvolta.
    Le capitava spesso di fermarsi dinnanzi ad una vetrina dove una madre ed una figlia chiacchieravano ignare di essere spiate dai passanti. La madre tendeva a dispensare consigli alla figlia che si avvicinava alla donna in cerca di conforto, calore, amore. A volte le capitava di chiedersi come sarebbe stata la sua vita se i suoi genitori non fossero scomparsi senza lasciare alcuna traccia, si chiedeva se sarebbe mai andata a fare compere insieme alla madre oppure se si sarebbe fermata in una libreria insieme all'amato padre. Si chiedeva se sarebbe stata vittima degli scherzi del fratello maggiore, se lui l'avrebbe protetta senza esitazione e se avrebbe spaventato Nathan mettendogli paura, con il solo risultato di vederlo fuggire a gambe levate. Erano belle fantasie ma appunto erano solo quello. Fantasie. Non c'era nulla di vero o reale in ciò che sognava ed immaginava mentre lanciava un ultimo sguardo alla donna che guardava la figlia con occhi adoranti mentre quest'ultima provava un abito elegante di raso viola.
    Ignorando il macigno che le pesava sul cuore si allontanò da quella scena, fin troppo smielata per i suoi gusti, e si allontanò dal flusso di persone, cercando la solitudine in una stradina laterale poco frequentata. Lungo la strada si imbatté in una bancarella di verdure fresche, forse poteva dare frutto alla fantasia e sbizzarrirsi a provare qualcuna delle ricette che aveva trovato nel libro di cucina che giaceva sul fondo del baule ai piedi del letto in Different Lodge. Teneva molto a quel libro forse perchè la cucina, come la lettura, le permetteva di nascondersi in un mondo piacevole per qualche ora, trovando conforto nel caldo abbraccio della fantasia.
    Lo sai, si dice che regalare un mazzo di carote ad un bel ragazzo porti gioia e fortuna non sapeva se ridere o piangere alla bizzarra affermazione di quell'anziana signora. Era chiaro che avrebbe detto qualsiasi cosa pur di liberare un po' le bancarelle stracolme di ortaggi, ma da lì ad utilizzare l'inganno ce ne voleva. Eppure pareva che molte ragazze avessero deciso di seguire il consiglio dell'anziana, sostenendo che anche la gazzetta ne avesse parlato in un articolo riguardante i consigli sull'amore o qualcosa del genere. Non era solita leggere giornali, men che meno rubriche per disperati. Ma c'era qualcosa in quella signora che alla fine l'aveva convinta ad acquistare davvero un mazzo di carote, uno dei pochi ortaggi che tra l'altro odiava di più al mondo.
    Ed ora camminava per le vie di Diagon Alley, un mazzo di carote fresche tra le mani, senza una meta precisa. Stranamente c'erano molti ragazzi carini che si addentavano nelle vie, ironico come non ci avesse fatto caso appena messo piede nella cittadina, ironico come fossero magicamente apparsi dopo l'acquisto delle carote.
    Che ci fosse una correlazione?
    Probabile.
    Che fosse tutto frutto della sua mente?
    Sicuro.
    In effetti poteva rendersi produttiva e cucinare delle carote per Nate, c'erano così tante ricette a case di quell'ortaggio. La domanda però non riguarda la sua capacità di cucinare le carote, quanto... a Nathan piacevano? Era una domanda cruciale! Le cose con l'altro ragazzo andavano effettivamente bene, erano in qualche modo riusciti ad appianare paure ed insicurezze in quei mesi, ed il tempo li aveva aiutati ad accrescere la fiducia tra i due. La fiducia era la cosa più fondamentale per Freya, senza di quella non poteva esistere alcun tipo di rapporto. In vita sua si era fidata di ben poche persone,, la maggior parte di loro rientrava nella propria famiglia, ma anche lì alla fine si era scoperto che di mele marce ce n'erano eccome. In quei due anni e mezzo aveva cercato di scoprire qualcosa sulla propria famiglia, le sarebbe bastato anche trovare i cadaveri dei genitori e del fratello per mettersi l'anima in pace, ma in assenza di corpi da piangere, non sapeva se credere nella loro effettivamente mote o sperare che avessero subito il suo stesso destino e che in qualche modo fossero riusciti a fuggire dai laboratori in cui erano tenuti prigionieri. Solo, era difficile pensare a quale possibilità avrebbe preferito. Si era poi allontanata completamente dal resto dalla famiglia, in fin dei conti erano stati i suoi stessi nonni a venderla ai dottori dei laboratori, erano stati loro a farla torturare per anni ed anni, a renderla ciò che era ora. Non una strega. Non una babbana. Non sapeva esattamente cos'era, ma era qualcosa.
    C'era poi quella parte di famiglia con cui aveva perso ogni contatto e che non aveva mai tentato di contattare, come avrebbero reagito sapendola ancora viva? Come avrebbero reagito sapendo ciò che era? Erano tante le domande senza risposta, e senza un quadro chiaro non se la sentiva di rischiare di dover ripercorrere gli stessi passi della terapia che aveva faticosamente percorso. Però le mancava l'affetto della famiglia. Ricordava ancora sua cugina Friday, erano le redhead della famiglia e questo aveva permesso alle ragazze di socializzare forse più in fretta, aveva un legame piuttosto forte. Per Freya, Friday era come una sorella, le voleva molto bene, eppure quegli anni l'avevano separata da tutti gli affetti e lei non aveva avuto il coraggio di ricercare coloro che l'avevano amata. Solo in seguito aveva cominciato a fidarsi nuovamente delle persone -un numero relativamente ristretto, tanto che poteva contarsi sulle dita di una mano- ma il topic famiglia era ancora piuttosto doloroso, non ricordava di averne mai parlato con qualcuno. Anche il terapista conosceva molto poco, solamente come era stata catturata e per colpa di chi, solo perchè il seguito al salvataggio era stata ricoverata di nuovo in seguito ad un attacco dei nonni, ma poteva davvero chiamarli così? L'avevano venduta, avevano permesso a chicchessia di torturarla, strappandole ciò che aveva di più importante. Eppure, stavano ben attenti a non ucciderla, da dove avrebbero tratto piacere poi?
    Freya?
    La ragazza voltò il capo in direzione della voce che l'aveva chiamata, apparteneva ad un ragazzo davvero niente male, nulla a che vedere con quelli che aveva incontrato fino a quel momento. Ci conosciamo? chiese senza staccargli gli occhi di dosso sono sicura che mi ricorderei di te, guarda che denti! Hai degli incisivi favolosi commentò avvicinandosi di qualche passo per dare un'occhiata più da vicino Tieni le carote! Ho sentito dire che masticare carote rende i denti più sexy, oppure i denti sono inutili e bisogna solo usare una carota? Non ricordo molto bene ciò che ha detto al vecchia, ma hai dei bei denti stava vaneggiando lo sapeva anche lei, eppure fermarsi era quasi impossibile arrivati a quel punto. I cavalli mangiano carote. E loro hanno bei denti commentò spingendo le carote tra le braccia del ragazzo, annuendo soddisfatta e forse un po' sognante. Che fosse sotto l'influsso di un incantesimo? O forse non vedeva Nate da troppo tempo. Fortuna che odiava stare in mezzo alla gente.
    Come hai detto che ti chiami?
    Se fosse stata un cane, probabilmente avrebbe cominciato a scodinzolare. Come la creaturina che la fissava dal basso verso l'alto a qualche centimetro di distanza dai suoi piedi. Avrebbe accarezzato quell'adorabile cagnolino se solo non fosse stata presa dai meravigliosi incisivi bianchi del ragazzo di fronte a lei. Se non avesse avuto Nate non si sarebbe vergognata di definirlo walking <del>dead sex.
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    • Freya Gardner - Regala un mazzo di carote ad un pg che trovi sessualmente attraente complimentandoti con lui/lei per i meravigliosi incisivi
     
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    19.06.2017 | 25 y.o. | where is my vagina | death eater | sheet
    Rimase più tempo del necessario (e di quanto fosse concesso ad un ventiseienne che, già di suo, aveva l’aspetto del maniaco) a fissare l’esile ragazzina dai capelli ramati e gli enormi occhi smeraldo, bocca dischiusa in segno di sorpresa. Non vedeva sua cugina da… beh, due anni: nel momento in cui Friday aveva perso la sua vagina, aveva deciso di tagliare i ponti con tutti, famiglia compresa. Non poteva permettere che la ricordassero così, con quel quadrato deforme che si ritrovava come faccia ed un pene - dovevano serbare le memorie della bella, giovine, Fray, finchè non fosse tornata in pista. Si umettò le labbra, drizzò la schiena. Era Freya, almeno? Non poteva saperlo, la De Thirteenth: in due anni potevano cambiare decisamente tante cose, e la Gardner era nel periodo dell’adolescenza. Se non errava (e spesso lo faceva, dato che matematica non era una delle branche in cui eccelleva), Freya avrebbe dovuto avere diciassette anni, quindi… quindi, in quel momento, si trovava presumibilmente chiusa in camera sua ad odiare il mondo mentre, cantando a squarciagola i Kiss, si dipingeva le unghie di nero. Non - dai, quante probabilità c’erano che incontrasse sua cugina, dopo tutto quel tempo!, così? Mentre, su un dannato monopattino, rincorreva il proprio cane?
    E CON UN PENE – ho già accennato al pene? No? Strano, perché lo sentiva pesare nei boxer come quando, in gioventù, nascondeva medicinali per esportarli in maniera clandestina dal Canada. Sicuramente la fanciulla, pur somigliando in maniera f e n o m e n a l e alla sua cuginetta, le avrebbe rivolto una (lecita) occhiataccia e si sarebbe esibita nel suo miglior panic moonwalk, figurarsi se - «ci conosciamo?»
    Battè le palpebre un paio di volte, aprendo e richiudendo la bocca senza, effettivamente, nulla da dire. ??? CERTO CHE CI CONOSCIAMO SONO LA KUGI PREFERITA. «sono sicura che mi ricorderei di te, guarda che denti! Hai degli incisivi favolosi» Aspetta.
    Aspetta.
    Si stava complimentando con…i suoi…denti? Cioè, non i suoi suoi (quelli di Fray erano bellissimi, proprio come lei), quelli…di Fred? Socchiuse le palpebre ed incrociò le braccia sul petto, l’indice a tuccugnare gli incisivi decantati dalla ragazza. «tu credi? non so, li trovo così…clichè» curvò gli angoli delle labbra verso il basso, labbra strette fra loro con non curanza. Il termine clichè, oltre ad essere bellissimo da dire, andava su tutto - davvero. Era la Risposta.
    E lei, in quanto membro della CIA, di risposte ne sapeva qualcosa.
    «tieni le carote! Ho sentito dire che masticare carote rende i denti più sexy, oppure i denti sono inutili e bisogna solo usare una carota? Non ricordo molto bene ciò che ha detto al vecchia, ma hai dei bei denti» Ora. Una qualunque persona normale, avrebbe ritenuto quella conversazione assurda – le stava davvero regalando un mazzo di carote? – forse avrebbe imputato alla rossa una dipendenza da allucinogeni o qualche disturbo mentale, ma. Ma. Per l’immensa fortuna di Freya Gardner, Fred non solo non era normale, aveva il bonus dell’essere una di famiglia: non poteva che essere fiera del cipiglio sicuro della cugina, e lo mostrò con un bonario ed orgoglioso sorriso deforme. «a d o r o le carote! Sono così… underrated» arricciò il naso e diede un morso al vegetale, galante nell’offrirne una anche a Freya – che buon esempio sarebbe stata se non avesse permesso a Freya di avere denti sexy quanto i suoi? Sicuramente un esempio migliore. «I cavalli mangiano carote. E loro hanno bei denti» Non faceva una piega. Annuì pensosa, un altro secco morso all’ortaggio; mentre masticava, piegò pure la carota per osservare l’affascinante forma della sua arcata superiore impressa sulla superficie arancione: u a u . Aveva davvero dei begli incisivi! «come i koala ed i monaci: entrambi mangiano eucalipto, ed entrambi sono felici della vita» erano filosofie mica da poco. Reclinò il capo da un lato, la lingua a schioccare contro il palato. «hai mai visto un monaco triste? Un koala triste? esatto. ecco perché nelle caramelle per la gola mettono l’eucalipto» vi siete sempre chiesti di cosa parlassero gli agenti della CIA fra loro quando non erano in servizio?
    Ecco. Teorie del complotto - si cominciava a dubitare di tutto, quando le spie russe giungevano informandoti del fetish di Putin per i tutù arcobaleno Vladimir Putin, sono Sara: se stai leggendo, ti prego di non mandarmi alcun sicario a Novi Ligure. Sono una tua fan. Ciauz. Non c’erano certezze.
    Non c’erano mai state.
    «perché le persone malate, sono statisticamente più tristi» un pozzo di scienza, Friday De Thirteenth.
    «come hai detto che ti chiami?» ah, già. La Questione spinosa. Dondolò nervosamente sui talloni, prendendo tempo nel risponderle occupandosi di mettere il guinzaglio a Week. Non poteva certo dirle che era Friday, no? Come avrebbe potuto crederle – dannazione, neanche lei avrebbe creduto ad uno con una faccia del genere. Poi, come già detto, non voleva rovinare i bei ricordi che Freya serbava di lei.
    Risultato? Non poteva assolutamente, e per nessuna ragione, dirle «SONO FRIDAY, FRIDAY DE THIRTEENTH!! TUA CUGINA, TI RICORDI DI ME – ho perso la vagina, è una lunga storia. per caso ti va un caffè? Un gelato? PANNA SPRAY»
    …. Beh, ecco. Anche così poteva andare bene, dai.
    Affatto sospetta.


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    I built you up, but you let me down -- 17 Y.O | CLAIRVOYANCE | WIZARD
    Regalare carote alla prima persona che ti capitava davanti era da veri psicopatici in realtà, ma in sua difesa c'era da dire che non poteva certo non passare il messaggio di un'anziana signora. Era stata tanto carina e gentile da averla convinta a passare la parola e così aveva fatto, anche se nel modo più strano ed imbarazzante possibile.
    Un mazzo di carote.
    E questo era tutto dire.
    Il ragazzo in questione, di cui ancora ignorava il nome, non si lasciò intimidire e colse la palla al balzo intavolando un discorso su denti e carote. Denti e carote.
    C'era qualcosa di strano nell'aria perché anche solo il pensiero di denti e carote aveva un non-so-che di strano, sinistro in un certo senso. Rimase piacevolmente sorpresa quando il ragazzo addentò la carota, offrendone in seguito una a Freya che accolse il gesto ed addentò una delle carote imitando il colosso greco... romano forse, ma la provenienza non era importante.
    Vero? Sono carine queste carote, dolci al punto giusto e così arancioni che mettono allegria commentò portando una mano davanti alla bocca piena in segno di rispetto e buona educazione.
    A volte pensava ai ragazzi della sua età e si domandava se anche loro avessero appreso l'etichetta in tenera età, se anche loro avessero rinunciato all'infanzia per concentrarsi sullo studio, sul proprio corpo ed in particolare sulla postura, suo modo di porsi agli altri e sulla buona educazione. Sapeva che in molte famiglie purosangue di buono stato sociale i bambini dovevano imparare il giusto comportamento da tenere fin da piccoli e crescendo era difficile che tornassero suo loro passi, non quando qualcosa era semplicemente troppo radicato dentro di loro.
    Freya non aveva mai pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato in ciò che le era stato insegnato ma più guardava i suoi compagni di scuola e più si rendeva conto che forse loro una vita migliore l'avevano avuta e lei aveva rinunciato a molte cose negli ultimi diciotto anni, cose che non avrebbe più riavuto indietro.
    Ho bisogno di eucalipto, in grande quantità. Chissà magari mi ritroverò felice e coccolosi come un koala i koala erano graziosi, si attaccavano a qualsiasi cosa abbracciandola stretta e guai a spostarli di un solo millimetro. Era così felici solo stando abbracciati al loro albero, quella era la vera gioia.
    Il tuo ragionamento non fa una piega, hai appena trovato la formula della felicità infinita l'emozione era quasi palpabile e Freya in qualche modo era emozionata per quella bizzarra scoperta. Una vita passata a deprimersi e la risposta era sempre stata sotto il suo naso.
    Qualcuno direbbe: miracolo.
    Gli chiese come si chiamava perché oramai c'era una certa intimità ed era strano non sapete con chi stava parlando e continuare a riferirsi a lui usando l'appellativo "il ragazzo".
    Spalancò la bocca lasciando cadere a terra la carota che toccò la strada con un leggero tonfo. Anche gli occhi si erano spalancati a tal punto da farla apparire una stralunata, c'era qualcosa di bizzarro in quella situazione.
    Friday.
    Erano cugine ma il loro rapporto si era sgretolato negli ultimi anni, Friday era sparita nel nulla e Freya non era sicura di non esserne la causa. Il solo pensiero era una lama affilata ma ora trovandosi quel ragazzo che dichiarava di essere la cugina scomparsa. Poteva essere davvero lei? Non ne era così sicura, ma non poteva nemmeno non era certa del contrario.
    Per non parlare del fatto che Friday le avrebbe parlato proprio in quel modo. L'angolo sinistro delle labbra si alzò impercettibilmente e la rossa scosse il capo.
    Non ci credo Venerdì, che fine hai fatto?! le chiese, no gli chiese, portando le mani sui fianchi, mancava solo che cominciasse a battere il piede a terra e avrebbe potuto tranquillamente sostituirsi a sua nonna. Poco ma sicuro.
    Credevo fossi arrabbiata, o peggio morta! Invece te ne vai in giro così indicò il corpo dell'altr-o con un gesto esplicativo della mano perchè sei un ragazzo?! Non sarà qualche giochetto strano che hai fatto con il tuo fidanzato, vero? non so sarebbe stupita della cosa in effetti, era pur sempre venerdì tredici di cui parlavamo, ci si poteva aspettare di tutto, compresa l'apocalisse.
    E per rispondere alla tua domanda: pretendo tutti e tre. Caffè, gelato e panna spray su entrambi le sorrise indicando un bar poco distante da loro, dove avrebbero potuto chiacchierare senza essere disturbate, a meno che la cugina non avesse altro in mente.
    Cugina.
    Quanto tempo era passato dall'ultima conta in cui aveva incontrato un membro della sua famiglia? Possibilmente che non tentasse di ucciderla sia chiaro. Ma era comunque strano vederla nel corpo di un uomo.
    Il come era una vera e propria incognita. Anche io perchè in effetti.
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    why am i always the weird one?
    19.06.2017 | 25 y.o. | where is my vagina | death eater | sheet
    Era certamente strano, per non dire assurdo, ritrovarsi la sua cuginetta di fronte dopo tutti quegli anni - tutti quei cambiamenti. C’era indubbiamente qualcosa di diverso in lei, anche se non avrebbe saputo dire se in negativo o in positivo: l’ultima volta che l’aveva vista era appena uscita dai Laboratori, quindi non ci voleva molto ad avere una cera migliore. Non sembrava la vecchia Freya, ma neanche la copia sbiadita che era andata a trovare in ospedale. Certo, a rendere drammatico quell’incontro, e a privarlo di abbracci strappa lacrime, v’era il fatto che Friday in quel momento non fosse Fray: difficile apparire convincenti nel dire di essere la De Thirteenth quando non aveva nulla a proprio favore su cui basare i fatti – e con una faccia del genere, poi. Da criminale. Neanche Fray avrebbe creduto a Fred, ed era FoTtUtAmeNtE sEmPrE lEi. Quello il motivo che spinse la rossa a mordersi l’interno della guancia ed arretrare colpevole di un passo, una mano alzata a mostrarsi inoffensiva – volendo, preferiva evitare borsate in faccia dalla Gardner al grido di maniaco: ci passava già troppo spesso senza la beffa che a farlo fosse una faccia amica.
    La reazione della ragazza, invece, la stupì: sorrise. Non un sorriso vero ed allegro, ma la curva appena accennata delle labbra era innegabile. «non ci credo Venerdì, che fine hai fatto?!» Le… le credeva? Battè le ciglia, aprì la bocca e la richiuse. Friday era sempre stata istintiva, più una donna d’azione che di logica, e non era riuscita ad impedirsi di rivelare la Verità alla chiaroveggente – certo non s’era domandata com’ella avrebbe potuto reagire, ed anche l’avesse fatto non avrebbe immaginato quello. Sentì la stretta ai polmoni alleggerirsi, il respiro più morbido sul palato a distendere i (deformi, ma non per scelta.) tratti del viso. «credevo fossi arrabbiata, o peggio morta! Invece te ne vai in giro così» eh, quel così non suono molto come un complimento, ma come darle torto? Anche Friday si sentiva a disagio a girare così. Chinò il capo osservandosi dalla punta delle scarpe, un sospiro tremulo sui denti. «arrabbiata?» osservò, corrugando le cespugliose sopracciglia ramate nel sollevare gli occhi verdi sul viso di Freya. «per cosa?» Avrebbe… avrebbe dovuto? Talvolta sì, ma non era il genere di persona in grado di ricordarsi di dover serbare rancore – eh, brutta la demenza giovanile – a meno che non si trattasse di taluni agenti dell’FBI dal nome tabù, per il quale non v’era amnesia che reggesse. «sul morta non assicuro niente.» bofonchiò seccata, chinando ancora il capo verso il proprio ventre. Se non si fossero trovate in un luogo pubblico (e non si vedessero da anni. e Freya non fosse stata solo una ragazzina. Insomma) le avrebbe mostrato la sua nuova maledizione e l’avrebbe sventolata con ira al cielo imprecando Zeus ed i Grigi, ma ahimè sapeva (per esperienza.) che la nudità fosse considerata atto osceno in luogo pubblico, e fosse legalmente punibile. «perchè sei un ragazzo?! Non sarà qualche giochetto strano che hai fatto con il tuo fidanzato, vero?» Si portò un’offesa mano al petto, occhi strabuzzati e bocca spalancata. «cosA DICI E IO NON HO UN RAGAZZO SONO SINGLE OKAY S I N G L E» avrebbe scosso la corta chioma fiammante, se solo ne avesse avuto una: non credeva che Freya fosse a conoscenza del suo passatoh amorosoh, ma non era certo quello il momento per investigare.
    Mai, sarebbe stato il momento per investigare. D A M N A T I O M E M O R I A E. «e poi che GENTE FREQUENTI – a qualcuno piace? Devo saperlo, sai, per i miei articoli. Perché sei più informata di me sulle nuove tendenze sessuali del 2k17? hashtag sh00k » Ma torniamo a noi – si distraeva in fretta, Friday De Thirteenth. Drizzò la schiena fischiando fra i denti per attirare ai propri piedi Week, e come prevedibile il cane la ignorò: non una novità. Finse di non essersene accorta per non dargli soddisfazioni. «ci emme cu, è una lunga storia» passò nervosamente le dita fra i capelli, labbro superiore stretto fra i denti. Le indicò un bar poco lontano con i tavolini all’esterno, l’abbozzo di un sorriso sulla bocca mentre si avviava nella direzione. «sono sinceramente stupita che tu mi abbia creduto – andiamo, sono orribile in questa versione – ma sempre detto che LOVE WINS» gridò quell’ultima parte della frase ricevendo dai passanti occhiate sbilenche, ma anche pugni alzati al cielo in segno di vicinanza spirituale: tutti i giorni era il pride, se eri un vero difensore dei diritti umani. Si sedette al tavolino porgendo uno dei menù alla Gardner, già conscia che per sé avrebbe preso, come sempre, un milkshake (certi vizi erano impossibili da debellare) quindi incrociò le dita sullo stomaco pronta a raccontare la propria, triste e breve, storia. «i de13 hanno avuto un…indicente di percorso con un mago molto fiko» schioccò la lingua sul palato infilando con un unico, saputo gesto, gli occhiali da sole – e sì, quella era roba che insegnavano alla CIA. Se non sapevi metterti gli occhiali con una mano sola, sticazzi che ti davano il distintivo. «abbiamo tutti cambiato sesso - wendy, quella maledetta baldrh, è più bella di me – ma EHI» sollevò un pollice e sorrise, sopracciglia arcuate e morente sguardo deadpan che fortunatamente Freya, dietro le lenti scure, non potè vedere. «almeno ora Sunday è un mago!» quel pene che le pesava sulle cosce era valso al suo fratellino la possibilità di avere la maggia, quindi Fray se n’era fatta (quasi.) una ragione. Non abbastanza da esserne felice, ma insomma: dubitava sarebbe mai arrivata a quel punto di accettazione, se già non le erano bastati i due anni precedenti. «ma vabbè. Come si dice in francia, c’est la baguette vie» un elegante cenno con la mano nell’aria per liquidare il discorso. «tu piuttosto?????? Come stai???????? Cosa fai??????? E IL RAGAZZINO?» priorità da vekkia zia.

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