tell em so, you are the best

bells x phoebe

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    arabells dallaire
    sheet | 17 y.o. | ravenclaw quidditch captain | 01.05.17 | pensieve
    Non esisteva nulla al mondo di peggiore del lunedì; un giorno infido, privo di scopo se non quello di farti salire l’angoscia per tutta la settimana successiva, un triste accumulo della pigrizia trascinata appresso dal weekend. Il solo pensiero del lunedì, bastava a mettere tristezza: quando ti ritrovavi a viverlo, poi, comprendevi perfettamente perché fosse il giorno con statisticamente più suicidi all’anno.
    Anche Bells, in quel lunedì di primo maggio, voleva un po’ morire.
    Si era trascinata da una lezione all’altra, senza realmente prestare attenzione alle parole dei suoi insegnanti; troppo stanca, psicologicamente parlando, per concentrarsi sulle correzioni dei compiti, o per comprendere quale fosse il metodo più rapido per tagliare le unghie ad un fagiano. Sinceramente? Dopo l’esperienza di Novembre, le sembrava che tutte le classi fossero…noiose. Finte. Fingevano una crudeltà che quel mondo, usciti da lì, riversava loro addosso senza tutti quei complimenti; s’imponevano di crescere efficienti assassini, uomini e donne in grado di togliere la vita ai nemici con un solo fluido movimenti di bacchetta, ma ciò che ottenevano era solamente l’ennesima generazione di disadattati che, all’infuori delle sicure mura di Hogwarts, morivano di stenti dietro al primo angolo.
    Non era davvero così, la vita; non era il manuale che cercavano loro di far apprendere, non era la certezza che, anche nelle situazioni più critiche, tutto sarebbe andato per il meglio. Non credeva nemmeno, Arabells Dallaire, che avessero realmente uno scopo, i loro insegnanti: era giunta alla conclusione che volessero solamente pulirsi la coscienza, e che nel mentre facessero mentalmente la conta per vedere quanti di loro sarebbero giunti ai vent’anni.
    Quanta ipocrisia, in quelle centina di metri quadri.
    La francese era gonfia di un cinismo cui raramente dava sfoggio, preferendo tenerlo per sé nell’annoiato sguardo chiaro che rifletteva sui vetri delle finestre. Ciononostante, e malgrado l’idea l’avesse sfiorata un paio di volte, non avrebbe mai lasciato la scuola in favore di una carriera alla mano per le strade del mondo magico, o che Merlino ce la scampi, babbano: ma ce la vedete Bells a servire hamburger in una tavola calda? Per favore, sapeva di meritarsi di meglio – così com’era conscia che, quel meglio, se lo sarebbe presa. Non era solamente l’ambizione a tenerla ancorata dietro quei banchi, né il più nobile intento di trovare, un giorno, un lavoro che potesse permetterle di aiutare gli altri: erano principalmente cinque i motivi che la spingevano a svegliarsi ogni mattina, ed a strizzarla sulle sedie delle differenti aule.
    Motivo numero uno: era testarda, ed orgogliosa –nonché infinitamente curiosa, perlomeno sugli argomenti che la interessavano. Lasciare Hogwarts avrebbe significato dargliela vinta (a chi? Non lo sapeva), e figurarsi se Arabells Dallaire perdeva qualche scommessa, in vita sua.
    Motivo numero due: quidditch, neanche dovrei dirvelo. Lo sport svolgeva un ruolo importante nella sua vita, quando non fondamentale: era diventata capitano dei Corvonero ad appena quindici anni, e lungi da lei l’idea di mollare il suo incarico. Come avrebbero fatto i suoi compagni, privi del terrorismo e della pressione psicologica cui Bells li sottoponeva giornalmente? Chi avrebbe vinto, portando l’onore meritato ai blu bronzo? Eh.
    Motivo numero tre: i suoi migliori amici. Non riusciva a concepire di passare le sue giornate senza Arci, Jeremy, e Jack. Anzi, il fatto che l’anno dopo non ci sarebbero stati, la irritava particolarmente. Non potevano farsi bocciare come tutti gli adolescenti normali? Perché dovevano fingere di essere responsabili, quando tutti sapevano quanto poco se ne sbattessero della scuola? Maledetti.
    Motivo numero quattro: Oscar. Sì, rientrava in una categoria a parte, malgrado fosse uno dei suoi migliori amici. Avendo la sua stessa età, avrebbe passato un altro anno a scuola con lei, il che lo allontanava dalla casta più grandi imponendogli una nuova etichetta. Inoltre, era… Fraser Biondo. Non era solamente un caro amico, e con il senno di poi, non lo era mai stato. Era così strano definirlo il suo ragazzo, un senso così stretto per una definizione così ampia. Come poteva una parola così piccola ed infima, riassumere il calore delle sue labbra, o della sua pelle sotto i polpastrelli? Come poteva racchiudere tutte le notti passate nel suo letto, a dormire con la testa sulla sua spalla finchè il proprio profumo non era diventato il suo? Come poteva, ragazzo, spiegare quanto Oscar, per lei, fosse casa? L’aveva lasciato una volta, frequentando la scuola francese per un anno; non avrebbe ripetuto lo stesso errore, abbandonandolo nel covo di serpi che era l’accademia scozzese. Era così un Oscar, che non passava giorno senza che temesse per la sua vita: ed un giorno, quella boccaccia (bellissima) che si ritrovava, gli sarebbe costata ben più della sala delle torture. Un giorno, il suo fascino non sarebbe bastato, per salvargli il culo – e quel giorno, Bells sarebbe stata lì. Per ridere di lui con un “TE L’AVEVO DETTO”. No, skè: per parargli le chiappe, dato che, essendo la sua ragazza, erano anche sue. Per osmosi, sapete. (?)
    Motivo numero cinque: come avrebbe fatto Hogwarts senza di lei? Quella scuola aveva bisogno di ragazze come Arabells Dallaire, e la francese era troppo magnanima per privarli anticipatamente della sua adorabile presenza.
    Che ragazza da sposare, la Dallaire. Un vero bijoux.
    Ma torniamo a noi.
    «mi passi gli appunti di storia?» Bells inarcò le sopracciglia, strappandosi dall’apatico ed annoiato mondo nel quale s’era rifugiata per volgere uno sguardo di sottecchi al suo interlocutore. Gli occhi scivolarono sulla cravatta, un verde argento inequivocabile: se fosse stato un Corvonero a domandarglielo, avrebbe detto di sì - ma un Serpeverde? Doveva conoscerla davvero poco, per porle quella domanda. Gli sorrise a labbra serrate. «quanto paghi?» perché era l’ultimo anno dei catafratti riuniti, ed il barattolo necessitava di fondi con il quale riempirsi per l’ultima, epica, festa di gruppo. «ho poco con me…mh, dieci falci?» Sbuffò e gli rise in faccia, tornando a guardare fuori dalla finestra. Dieci falci sarebbero appena bastati per comprare una bottiglia di whisky scadente, e per quello c’era già Jack; inoltre, se doveva impegnare i propri appunti, doveva perlomeno ricevere un tornaconto personale: dopotutto, come già detto, era lunedì.
    E lunedì, per Arabells Dallaire, significava fiendfyre. L’entrata non si pagava da sola. «per meno di due galeoni, non ti do neanche il mio segnalibro» sbadigliò, le ciglia ad oscurare languidamente gli occhi chiari dai peculiari colori differenti. Credeva forse che avrebbe offerto un servizio gratuitamente? Che, solo perché era una blu bronzo, sarebbe stata felice di donare conoscenza alla plebe di quel castello? Non esageriamo. Il ragazzino fece tintinnare qualcosa fra le dita, e poco dopo Bells vide ruzzolare davanti a sè due grandi monete dorate. Allora, e solo allora, si volse felicemente verso il ragazzo che l’aveva placcata in biblioteca – e solo in quel momento vide che si trattava di un compagno di Arci, anche lui all’ultimo anno. Doveva essere proprio disperato, per sborsare ben due galeoni. «è stato un piacere fare affari con te» gli passò il quaderno e si alzò trionfante, lasciando la stanza con un espressione vittoriosa.
    Anche se un po’, la Dallaire, avrebbe voluto godersi la sua faccia quando, aperto il quaderno, avesse trovato scritto la prossima volta stai attento, idiota. grazie per i drinks.
    Ho già detto che era un vero bijoux?

    Indossò un paio di leggins di pelle ed una maglietta, anche quella nera, che le lasciava scoperto l’ombelico. Sulle labbra un velo leggero di rossetto scarlatto, ma non c’era altra traccia di trucco sul suo volto: non ne aveva bisogno, con il viso pulito e roseo che si ritrovava, emblema di una generazione più antica della sua. La maggior parte delle sue compagne esagerava sempre, probabilmente condividendo con le geishe non lele l’idea che più fossero state dipinte, più sarebbero parse seducenti. Ragazze come la Dallaire, non avevano bisogno di attirare l’attenzione in quel modo smodato e, a suo dire, volgare. C’era un motivo di fondo se preferiva la compagnia dei ragazzi, piuttosto che quella delle ragazze – fatta eccezione per una manciata fra queste. Senza contare che, circondata da maschi, sarebbe sempre stata la donna più bella: Arci e Jeremy potevano cercare di entrare in categoria quanto volevano, ma checché ci provassero, non avrebbero mai avuto una vagina naturale con la quale competere. Triste, Jerarci, ma vero.
    Come già detto, erano poche le femmine che salvava dalla slabbrata, e non era una metafora, generazione suicida delle sue compagne: Sheridan, Karma. E lei, quella che era certa in un’altra vita fosse destinata ad essere la donna della sua vita: Oscar Phoebe. Era la Campbell che quella sera, dopo il coprifuoco come le vere ribelli, attendeva ai piedi della torre dei Grifondoro. «serata fra donne» aveva liquidato i catafratti, scimmiottando le loro solite serate fra uomini. «ma noi i vestiti li teniamo addosso» aveva sottolineato, arcuando le sopracciglia verso Oscar. Il Fraser non avrebbe potuto ignorare la sincerità di quelle parole, data la fitta percepita nel sentire la verità dalle sottili labbra della francese. «LOONEYDì» la salutò, sferzando con un rapido movimento delle mani la giacca leggera che celava, nelle tasche interne, due fiaschette di whisky incendiario. Il looneydì, detto anche il lunedì stupido, era una tradizione che portavano avanti da anni, ormai. Ogni mese trovavano un’attività idiota con il quale riempire il vuoto lasciato dalla stressante giornata appena passata –spesso erano così pigre che finivano per raggiungere la torre di astronomia, e strafarsi di canne chiedendosi come fosse vivere senza mani; con maggio, si apriva ufficialmente il mese del fiendfyre, la discoteca situata a Hogsmeade. Il modus operandi era sempre lo stesso: salivano al terzo piano, si avvicinavano di soppiatto, attente a non farsi scoprire, alla statua della strega orba, e con un silenzioso Dissendium aprivano il passaggio che le avrebbe portate alla cittadina magica. Un tunnel buio, dal polveroso odore di terra e vecchio; sbucava in un edificio ormai abbandonato in una via traversa di Hogsmeade, dove un tempo v’era un negozio di dolci. Non aveva mai compreso, perché fosse stato chiuso.
    Meglio per il red velvet, immaginava.
    «allora, campbell» iniziò quando entrambe sbucarono dall’uscita del passaggio segreto. Si sedette con le gambe incrociate sul pavimento, ignorando il pulviscolo che già stava sporcando i pantaloni, e prese le due fiaschette: «destra o sinistra?» il contenuto non cambiava, ma chiedere faceva sempre un certo effetto. «e tuo padre fratello ci copre ancora, in caso venissimo scoperte -giusto?» un altro dei fattori positivi del frequentare Phoebe, la sorella minore del docente di corpo a corpo.
    «cin cin, sorella» alzò il calice al cielo e rese grazie verso la mora, buttando giù una golata del liquido ambrato e bollente che conteneva.
    Sinceramente, non era certa che sarebbero davvero giunte al Fiendfyre: terrificante, la pigrizia di Campbell e Dallaire riunite. In ogni caso, faceva sempre più faigo dire in giro che erano sgattaiolate fuori da Hogwarts per andare in discoteca, piuttosto che per spiaggiarsi in una catapecchia polverosa a bere.
    Arabells Dallaire aveva ancora un briciolo di dignità.
    Lo so, e lo sapeva anche lei: con gli amici che si ritrovava, era difficile da credere.
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia
     
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    PhoebeCampbells
    Grifondoro || 15 || handsome #wat

    Dai, giuro che te li rendo
    Me lo hai detto anche le ultime dieci volte
    Così tante? E ancora mi credi? disse Phoebe, sconcertata, ne conosceva di allocchi compreso suo fratello ma il tasso era davvero unico, perché ancora le dava udienza e le credeva? Manco lei lo avrebbe fatto se si fosse trovata di fronte se stessa #wat.
    Appunto. Quindi non ti presterò dieci galeoni. E poi che te ne devi fare? Lo sai che fa male la droga? disse in tono quasi dolce o colmo di pietà. Ma chi era suo fratello maggiore? Ma neanche visto che Phobos non avrebbe detto una frase del genere, al massimo le avrebbe scroccato qualche grammo di erba per fumarsela dopo le lezioni.
    Non farmi la paternale...c'è già... si fermò per un secondo, chi la rimproverava? Beh in effetti solo lui lo faceva e comunque non è per la droga ma per l'alcool, stasera mentre i ragazzi faranno cazzoni io e Bells faremo un pigiama party al femminile, con tanto di cuscinate in reggiseno disse provando a fare la maliziosa, ma non aveva niente di provocante. Niente. Vennne fuori invece una cosa buffa ma bastò per distogliere l'amico dal pensiero che gli stava di nuovo fregando dei soldi che non avrebbe mai rivisto. Parò la mano in attesa di almeno cinque galeoni, gli altri li avrebbe trovati in modo diverso Dai, me ne bastano otto..o sette disse dolce.
    E va bene...ma ti prego. Stai attenta disse poggiando sul palmo i soldi chiesti all'inizio. Ah bene avrebbe avuto anche il resto per dell'erba. Non usarla per...ma che te lo dico a fare. Divertitevi disse rassegnato, ormai era inutile fermare la ragazza. Lei gli diede un bacio sulla guancia e scappò, aveva poco tempo prima dell'incontro con l'amica e doveva assolutamente fare delle compere per l'evento.
    Adorava Bells, era cresciuta con lei praticamente, erano vicine di casa e dopo la morte della madre erano ancora più amiche, le era stata vicino come nessuno aveva mai fatto, oltre ai suoi fratelli s'intende, ma loro non potevano capirla fino in fondo. Era brutto da dire, ma era la verità, insomma loro avevano vissuto la madre, lei li aveva visti crescere li aveva vissuti ma Phoebe l'aveva persa cinque anni prima a soli dieci anni. Non era niente in confronto ad una vita. Le mancava ogni giorno che passava, in teoria doveva essere meglio ma non era così, mentiva spesso, sorridendo a tutti ma dentro quel dolore era esistente, a volte dormiva o era stordito dalle droghe ma era lì, sempre in agguato a scoppiare per farle male.
    Ah, ma quella giornata non poteva permettere alla tristezza di farsi spazio nella sua mente, doveva rimanere nell'angolino come baby in dirty dancing.
    Alla fine si ritrovò a comprare da un ragazzo dell'erba invece che l'alcool come aveva pensato, anche se conoscendo Bells, probabilmente ci avrebbe pensato lei e ad un prezzo ragionevole. Incontrò il suo spacciatore amico di fiducia, che non era altro che un dei tanti creditori, ma era quello meno violento e nonostante la mora avesse una cifra con qualche zero di troppo non sembrava intenzionato a pestarla, al contrario, più di una volta aveva barattato una canna per un'uscita con lei; ma quando stavano per uscire “magicamente” ( si scusa il termine ma ci sta dai u.u) appariva suo fratello che diventava improvvisamente un professore con le palle e che faceva scappare via il creditore. Era un ottimo piano, peccato che ogni qualvolta che chiedeva il suo aiuto, Phoebe doveva dividere il bottino con lui, voleva dire che aveva spesso meno fumo per se stessa. Ma quella volta avrebbe agito diversamente, il fumo le serviva tutto. Così non appena vide il ragazzo le fece un grande sorriso Ehi Campbells, allora? Mi paghi? disse con un sorriso a trentadue denti. Chissà se si era illuso che davvero avrebbe chiuso il debito con lui. Stolto. Lei però sorrise di rimando, era bene tenerselo buono, gli mostrò ben 4 galeoni ( non ho idea di quanto venga....fingi che vada bene) Si. Ma solo per la roba che mi darai oggi, il resto la prossima volta e poi mi devi ancora un appuntamento ricordi? gli fece l'occhiolino mentre facevano lo scambio. Era sicura di vederlo anche arrossire, ma come poteva un ragazzo adorabile come lui spacciare, era davvero sprecato in quella vita. Allora uscirai con me? Quando? disse speranzoso. Oggi non posso, serata tra donne. Ma ci aggiorniamo ok? disse mentre già se ne stava andando, tanto che non sentì la risposta dell'amico. Amen.

    E' giunta l'ora...ti prego tienimi il gioco ok? disse alla sua compagna di camera, ancora sveglia. Sapeva che avrebbe tenuto il segreto, magari sperando un giorno di unirsi, ma ahimè quelle erano le serate di Phoebe e Bells, di nessun'altra. La ragazza annuì lasciando che la Campbells uscisse nel silenzio e tranquilla, le aveva anche preso in prestito uno zainetto, incantato, ci aveva nascosto le canne e qualche salatino e dolcino, per la fame chimica; era una personcina seria lei, mica lasciava al caso.
    Arrivò all'appuntamento e quando sbucarono dall'uscita del passaggio segreto, l'amica si mise a sedere con le gambe incrociate «allora, campbell» disse e intanto la grifondoro imitò il suo gesto, posizionando lo zaino davanti a loro Allora Dallaire disse già col sorriso, quella serata sarebbe stata epica, come tutti i loro ritrovi. Non facevano grandi cose in realtà, sostanzialmente erano persone pigre e bastava poco per farle divertire, alcool e fumo bastava per tenerle impegnate per ore, come un bambino con un giocattolo nuovo.
    destra o sinistra?»
    mmh...fammi pensare... ma si vai tranquilla. Gli ho dovuto dare qualche grammo del mio fumo, ma l'ho mischiato con della menta non se ne renderà conto e sarà comunque felice per qualche ora. rispose per farla tranquillizzare.
    «cin cin, sorella prese dalla mano dell'amica una fischietta e dopo che queste due fecero un brindisi tra loro bevve un sorso. Sentì la gola bruciare, cazzo se era forte. Le piaceva da matti, le arrivavano le peggio sbronze in quel modo. Sorrise all'amica e prima di perdere contatto con la realtà, doveva mostrare cosa aveva portate lei per la festa.
    Rovesciò il contenuto dello zaino a terra. L'ho già detto che la ragazza era una persona seria? Beh era così, aveva portato persino le coperte e con i soldi avanzati alla fine aveva presa una bottiglietta di whisky, poteva servire oltre ovviamente ai viveri.
    e come dico sempre..alla faccia di Merlino e alla sua barba, sempre troppo lunga cosa?? va beh l'importante era brindare e spassarsela.

    Prova a prendermi.....
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia
     
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    Arabells Dallaire era il dorato apogeo di quell’adolescenza dorata che oramai, con le nuove generazioni, era al suo tramonto: riusciva a coordinare lo sport e lo studio, eccellendo in ambedue le categorie; aveva quel genere di amici che era certa l’avrebbero seguita finchè morte non li avesse separati, e probabilmente anche dopo – quelli che i ricordi li facevano, e di loro non lo erano mai; quelli che vivevano nel presente di un istante e del passato, quand’erano insieme, non importava. Il suo ragazzo era anche il suo migliore amico, quel genere di leggenda metropolitana che si raccontava attorno al falò estivo, ma al quale nessuno credeva mai: non proprio una favola, ma quel che di quei tempi ci andava più vicino. Aveva un futuro promettente, ed un sorriso sempre impeccabile a curvarle le labbra sottili. La certezza di essere la migliore la rendeva talvolta presuntuosa ed arrogante, ma mai nell’eccesso che risultava nauseabondo. Beveva acqua di giorno, e super alcolici quando calava la notte; fumava spinelli, ma da convinta sportiva rifiutava le sigarette – teneva più ai polmoni che ai neuroni, la Dallaire.
    Era pressochè perfetta, e non ne faceva segreto. Si piaceva e si ammirava come raramente le ragazze facevano in quegli anni, le quali si trovavano mille difetti di fronte a specchi immobili. Era il genere di ragazza che chiunque invidiava ed ammirava, sul qual conto giravano le voci più assurde esilaranti – da quando lei ed Oscar avevano fatto coming out, poi, le leggende su Arabells Dallaire si erano triplicate: era certa, fosse colpa di Arci e Jeremy.
    Ma andava bene così, perché era quella normalità a cui aveva agognato per anni. Ciò che era diventata non era un machiavellico dono del signore, ma ciò per il quale aveva lottato giorno dopo giorni - amici compresi: non si sopravviveva mica gratis, ai catafratti.
    Ed era tutto perfetto, finchè non lo era affatto. Quando la Corvonero era con Oscar, Jeremy ed Arci, con Phoebe, o sul campo da quidditch con Joey in panchina e Amalie sugli spalti, era tutto perfetto - era quel che voleva, quel che era. Così reprimeva e soffocava quel che perfetto non lo era, ignorando il sangue ad imbrattarle le mani, il sorriso opaco di Elijah, la maledizione a farle sfrigolare la gola. Parevano quasi due Arabells distinte, pur non essendolo affatto.
    Forse era già sbronza. Corrugò le sopracciglia ritrovandosi avvolta in una delle coperte portate da Phoebe, la bottiglia di whisky ormai vuota abbandonata di fronte a loro. Quand’era successo. Un risolino cancellò i pensieri precedenti riportandola a terra, in quel presente del quale aveva bisogno come ossigeno – che era così, che la Dallaire andava avanti: un passo per volta, e sempre all’indomani. «era marcio quel whisky?» biascicò fra le risate, rotolando fino a trovarsi sulla più piccola Campbell. Domandare quanto avessero bevuto, sarebbe stato sciocco – e si potevano dire tante cose di Lies, ma non che fosse sciocca. Si inumidì le labbra, le palpebre pesanti sui peculiari occhi di cristallo.
    Sì, era decisamente sbronza. «mi stavo rattristando da sola – ti succede mai? Di intristirti da sola, intendo. pensare a qualcosa di così deprimente, che finisci per deprimerti sul serio» si spalmò le mani sul viso, stringendo le guance fra loro. Quelle sono le condizioni in cui avrebbe dovuto tornare a scuola? Esilarante. Uscì dalla coperta con un sonoro sbuffo, lo sguardo a posarsi sul disastro attorno a loro – era così prevedibile che, di nuovo, non avrebbero lasciato la Stamberga. Dalle finestre non filtrava ancora nessuna luce, quindi non dovevano essersi addormentate troppo a lungo, sempre che di dormire si fosse trattato. Forse era stato un coma – non etilico, ma quasi. Scosse il capo, gli angoli della stanza ancora arrotondati e boriosi dai languidi occhi alcolici della francese. «ti ho mai raccontato dei bakabelini? No? male» Non si preoccupò neanche di controllare che Phoebe fosse effettivamente sveglia, prima di collassarle al fianco con la testa poggiata sulla sua spalla. La lingua le bruciava (forse alcool, forse l’aveva morsa nel sonno) e spostarla per parlare richiedeva uno sforzo non da poco.
    Il giorno dopo sarebbe stata di merda.
    Ne valeva sempre la pena. Si schiarì la voce. «i bekabelini sono la mia famiglia in uganda. Ho un fratello che coltiva barbabietole da zucchero, una madre con un saaacco di collane – ed ha un collo infinito – ed un padre che spaccia cocaina – eh, lo so, ma c’è crisi» fece spallucce, le labbra strette in una linea dura. «penso di avere anche un figlio, madonnaimmanuel - lo so, bel nome. L’ho scelto io» un sorriso pregno di whisky si fece pigramente largo sulle labbra, prima di sfociare in una risata alticcia e priva di razionalità.
    Amava quella fase dell’essere sbronza, quando tutto era meraviglia e comicità. Un po’ come essere a teatro, e far sia da spettatore che da attore. «tu ce l’hai una famiglia in uganda? Dovresti rimediare, sono i best - a inverness non ne abbiamo di famiglie così, guarda come siamo messe male» un’altra risata, le mani sollevate ad indicare un punto di fronte a sé, per ricadere poi lungo i fianchi. «potrebbero tranquillamente essere la mia famiglia più di eli – siamo così diversi, credo sia stato adottato» in senso fisico, s’intendeva, altrimenti non aveva alcun dubbio sul fatto che Elijah fosse, la sua famiglia.
    Da sbronza più che da sobria.
    «tu non hai di questo problema» schiaffò una mano sulla coscia di Phoebe. «sei la fotocopia di tuo padre» corrugò le sopracciglia e tacque, ripercorrendo quanto aveva appena detto. Le capitava, quand’era in stato alterato, di accorgersi di aver detto qualcosa di strano, ma non capire cosa di sbagliato fosse. Passarono un paio di secondi, o forse una gravidanza intera. «tuo fratello*» si corresse, alzando l’indice della mano destra. Dannato autocorrettore wat. «non gene, lui è biondo»
    E beh, grazie Bells.

    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia



    CITAZIONE
    - il tuo pg crede di avere una famiglia in uganda

    un lucky antico
     
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    Iniziarono a bere come se non ci fosse stato un domani, mandando a fanculo ogni buon proposito che avevano fatto. Aspetta un secondo, loro non avevano avuto mai degli scopi nobili, loro erano lì per ubriacarsi e non volevano di certo tradire le loro stesse aspettative. Cosa?? «era marcio quel whisky?» intervenne l'amica al loro ennesimo brindisi; in effetti non aveva torto perchè quel liquore bruciava la gola ad ogni sorso e se sperava che potesse diminuire, si sbagliava perché la gola era in fiamme e la testa su di giri. « probabile...ma è buono » disse facendo una smorfia per il sapore non tanto gustoso di quella bevanda ma oramai erano alla fine, lamentarsi a quel punto era inutile.
    E poi si stavano divertendo loro due; ma era anche vero che le serate con Bells erano le migliori di sempre, con questo non voglio dire che non le piaceva fare parte delle means, perché a lei piaceva avere molte persone intorno a sé e comunque adorava moltissimo Alternative, la regina del gruppo e strano ma vero era ricambiato, quindi non voleva lasciare il gruppo, ma a volte stare solo Bells era liberatorio, davvero. Poteva non sembrare, visto che Phoebe era sempre allegra, ma aveva anche lei dei momenti bui, spesso collegati alla morte della madre ed era fuori discussione che ne venisse fuori, faceva troppo male per farlo ma Bells aveva la capacità di farle staccare la mente per ore con la sua compagnia e non erano solo per le canne, anche se quelle aiutavano davvero.
    «ti ho mai raccontato dei bakabelini? No? Male» improvvisamente l'amica si era alzata e si era rimessa accanto a lei ( chissà se la dinamica è giusta), poggiando la testa sulla sua spalla, non aveva le forze di coprirla o di fare altro, e poi non era un peso averla in quel modo. Tra l'altro erano così ubriache che poteva anche starle in collo tutta la notte che non se ne sarebbe accorta. Che bellezza, le ci voleva davvero una serata del genere.
    «Dai narrami papà castoro e cosa? Vabbè, tornò in silenzio per ascoltare le parole dell'amica che in effetti non tardarono ad arrivare, come se non avesse davvero aspettato la sua risposta. Vabbè. «i bekabelini sono la mia famiglia in uganda. Ho un fratello che coltiva barbabietole da zucchero, una madre con un saaacco di collane – ed ha un collo infinito – ed un padre che spaccia cocaina – eh, lo so, ma c’è crisi»
    Ma cosa diamine le aveva appena raccontato? Una famiglia in Uganda? Non sapeva neanche in che parte del mondo si trovasse.
    «tu non hai di questo problema» di nuovo la voce dell'amica la riportò alla realtà, compresa la pacca amichevole sulla spalla, anzi le schiaffeggiò la mano, ma quanto diamine aveva bevuto? Comunque «E se l'avessi anche io, invece una famiglia di quelle parti? » erano dubbi esistenziali importanti quelli e dovevano indagare « Domani lo chiedo a Phobos, magari sono mezza filippina o meglio, coreana! » doveva assolutamente studiare geografia la ragazza ( e la player disintossicarsi ma sai già che non succederà più )
    «sei la fotocopia di tuo padre....tuo fratello*»
    « magari anche lui è filippino »
    « Non gene, lui è intelligente «non gene, lui è biondo» Dissero insieme, facendo poi scoppiare a ridere la mora per la stupidità di quel loro dialogo. Andava sempre a finire in quel modo tra di loro, magari iniziavano con un discorso serio, ma poi si guardavano negli occhi e tutto andava a rotoli. Sempre. Se avessero dovuto fare una gara a chi ride per prima, probabilmente quel gioco sarebbe stato fallimentare perché iniziavano a ridere non appena gli occhi s'incontravano.
    Così erano passate al livello superiore, la prima che emetteva un suono perdeva, tanto di non ridere non se ne parlava proprio; in quel modo però il gioco durava qualche secondo di più, non minuti eh, ma secondi perché le due non resistevano mai più di qualche secondo senza piangere dal ridere.
    «penso di avere anche un figlio, madonnaimmanuel - lo so, bel nome. L’ho scelto io» Phoebe la guardò, improvvisamente seria, non poteva darle quelle notizie così come se non fosse importante, insomma lei era diventata zia in quel preciso istante. Prese il bicchiere, anzi a dirla tutta l'aveva ancora in mano da prima, era diventato un accessorio della sua persona e le stava anche bene. « che bello!! Voglio essere la madrina. Posso? Voglio insegnargli a fare le canne. Dici che potrebbe essergli utile in futuro? Io ho imparato grazie a mio fratello è una cosa che va tramandata » questi si che erano discorsi seri e importanti.



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    the pretty lies
    arabells dallaire
    sheet | 17 y.o. | ravenclaw quidditch captain | 01.05.17 | pensieve
    «Domani lo chiedo a Phobos, magari sono mezza filippina o meglio, coreana!» Bells corrugò le sopracciglia, un’occhiata di sottecchi verso la Campbell. Perché sembrava così entusiasta all’idea di poter essere coreana? Non erano neanche famosi per il sushi o i (bambini negli scantinati a cucire le scarpe) cellulari. «nord o sud?» domandò, sperando che la Grifondoro giungesse direttamente dalle lande di Kim Jong-un, il dittatore con più missili che non mutande nel cassetto. Perché? Meh, non si sapeva mai quando potesse essere utile avere un’amica imparentata con il Signore dei Mixili e le Minacce a Donald Trump. «bisogna sempre specificare» fece spallucce, le labbra sottili piegate verso il basso ed il tono saccente che caratterizzava ogni pg di Sara Corvonero che si rispettasse. Phoebe, esaltata di natura come ogni cocainomane che meritasse tal nomea, si mostrò particolarmente infervorata all’idea che la Dallaire avesse un figlio – e dire che lei dopo la faccenda di Sticazzi Lovinski, il figlio di Stiles ed Isaac dal Burundi, non si stupiva più di nulla. Cinica lo era da tutta una vita, e quel mondo non faceva che dargli motivi per cui esserlo. «che bello!! Voglio essere la madrina. Posso? Voglio insegnargli a fare le canne. Dici che potrebbe essergli utile in futuro? Io ho imparato grazie a mio fratello è una cosa che va tramandata» Inspirò dalle narici, espirò pesante dalla bocca e chiuse gli occhi cercando di concentrarsi su quanto detto dalla ragazza. Madrina poteva esserlo senza problemi, Bells scarseggiava di amiche femmine che potessero ricoprire quel ruolo (colpa sua se si era sempre trovata meglio con i ragazzi? Le vagina dotate sapevano essere così…malvagie, superficiali. Non il suo genere, facciamole causa), ma sul permetterle di insegnare a rollare le canne a suo figlio non poteva promettere niente: almeno quello doveva lasciarlo fare a Jeremy. «perché il mio queste cose interessanti non me le insegnava?» commentò arricciando il naso, riferendosi al fatto che Eli non si fosse mai adoperato a mostrarle come rollare una canna. Le aveva insegnato a leggere usando il braille, a cucinare (ci aveva provato, fallendo), ad amare il quidditch e ad usare il cucchiaio, ma mannaggia la miseria niente droga sotto il tetto Dallaire. Fortuna che gli amici ritardati di Eli avevano pensato fosse un’idea intelligente insegnarle quelle basi, altrimenti come avrebbe fatto a fare amicizia con un secondino Milkobitch o Leroy? Le migliori amikizie, si sapeva, iniziavano sotto il denso fumo di una canna.
    Già a dodici anni? Non Bells, ma faceva sempre una certa (buona) impressione saper rollare uno spinello pur essendo cieca. «comunque non saprei, magari preferisce gli acidi all’erba» fece ancora spallucce, un vago cenno con la mano nell’aria. Che ne sapeva lei dei 2000 dei gusti del suo presunto figlio in Burundi? «sai cosa potremmo fare?» No, non poteva saperlo Phoebe Campbell. «potremmo infiltrarci in qualche cartello venezuelano e farci adottare. Ho sempre voluto far parte di una mafia» da quando? Da quel momento, chiaramente, nel quale l’idea le pareva la migliore mai avuta in diciassette anni di vita. Umettò le labbra e sollevò gli occhi al cielo pensosa, tamburellando con l’indice sulla coscia. «in oriente ed in africa c’è già il sovraffollamento,» credeva. Non ne era sicura, ma si fidava (non è vero) delle leggende metropolitane. «è superfluo avere una famiglia in quei lidi» in pieno spirito imprenditoriale, la Dallaire drizzò la schiena ed incrociò più comodamente le gambe sul pavimento della Stamberga. «potremmo diventare sorelle, e chiamarci…non so, Ramirez o Juàn» Perché? La vera domanda, come sempre, era: perché no?

    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia
     
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