why not hugs AND drugs?

w/ jeremy

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  1. bruadarach
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    charlesnikolajdoyle
    « don't forget to be awesome »
    19 yo | hufflepuff | rebel scout | shipper | sheet | pensieve
    Di tanto in tanto, capitava che qualche persona gli chiedesse il perché del suo odio verso la scherma, o del fatto che il Quidditch non lo facesse impazzire tanto quanto ogni ragazzo sano di mente della sua età. La risposta era più complessa di quanto si potesse immaginare. Non si trattava, infatti, di essere pigro o non sopportare l'idea di far male a qualcuno -anche se quella aiutava-, ma si basava su un qualche istinto primordiale ed era sempre stato così, in fondo. All'inizio faceva del suo meglio per interessarsi, visto che i suoi genitori sembravano insistere così tanto così che i suoi interessi fossero simili a quelli più comuni. Purtroppo per loro, il ragazzo somigliava ad un altro familiare più che ai due stessi. Lo zio, Charles Boyle, capocasata tassorosso fino a qualche anno prima che il giovane iniziasse la scuola, che gli diede uno dei consigli migliori di sempre: «Be yourself and you'll be awesome. You could be the best, just like Jake!» E per quanto al tempo il cugino con lo stesso nome del migliore amico di Charles fosse già nato, era ovvio che intendesse Peralta. Da allora, Charlie aveva imparato a fregarsene più che mai delle punizioni e dei pregiudizi e a comportarsi come la magica fatina che era. Insomma, era difficile comprendere come una persona come il Doyle potesse essere etero al cento per cento (davvero, sarebbe il caso di farsi qualche domanda), ma era tutto merito di un fantastico zio che lo incoraggiava in tutto e per tutto. Qualsiasi cosa era un risultato, con Charles Boyle come zio. «Zio, ho bruciato solo dieci muffin sui dodici nella teglia!» E subito era un batti cinque ed un «Ottimo lavoro!» a cui a volte aggiungeva un "Jake", probabilmente per abitudine. Altrimenti veniva chiamato Nikolaj, ma mai e poi mai con il suo nome. Gli stava più che bene così, in fondo.

    Flashback a parte, che dopo un po' stancano, torniamo al nostro eroe e all'altro tassofesso a cui stava per rompere le scatole: stava amorevolmente saltellando per la sala comune, leggiadro come una delle più belliffime faffalle, atterrando su uno dei divanetti della sala comune con un tonfo che nemmeno il più pesante elefante di annibale. Si mise comodante a sedere accanto a Jeremy, un gigantesco sorriso sul volto. «Heeeey, come stai? Tutto a posto? Quante canne ti sei fatto oggi?» Sempre giusto preoccuparsi per la salute altrui e fare l'adulto responsabile *badge* offrendosi di smezzare qualsiasi erba di basso borgo #cos l'altro stesse fumando in quel momento. Non vorrebbe proprio che l'altro si sentisse male, ecco. «Gli allenamenti di quidditch come proseguono? Benissimo, vero?» Con tutta la tranquillità possibile sulla faccia della terra, farebbe per mettere un braccio attorno alle spalle di Jeremy e sorridere al più giovane -lo do per scontato lele, Charlie è pluri-rimandato-. «Secondo te farei un buon lavoro come cheerleader? Io credo andrei benissimo.» Annuì convinto, per poi ingusciarsi giusto per qualche istante. Tipo la faccia che uno spachino potrebbe fare se qualcuno si rifiuta di dargli del cibo o fargli le coccole. La mente che per un momento va su ricordi più negativi e subito dopo si riparte con un sorriso, in attesa di risposta da parte di Jeremy.
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    jeremy milkobitch
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    Gettò la testa indietro sullo schienale del sofà, il viso rivolto verso un soffitto che le palpebre calate gli impedivano di ammirare e le labbra socchiuse a disegnare nell’aria viziata della Sala Comune dei Tassorosso grigi cerchi di corposo fumo, acri all’olfatto e pungenti sul palato, odorosi della più profumata e pregiata erba del professor Stilinski – dovevano davvero farlo santo a quell’uomo, insieme a Pearl: ah!, quanto gli sarebbero mancate le coltivazioni segrete nella Serra di Erbologia, o quelle lasciate a crescere tra le zucche del campo della guardiacaccia. Tossì, mentre lento faceva scivolare il bong dalle proprie dita a quelle del Knowles al suo fianco senza nemmeno preoccuparsi di vedere se l’altro l’avesse preso o meno: di certo, CJ non avrebbe perso la presa su un bene di così inestimabile valore – aka, rubato al bangladino sulla strada della sua vecchia casa, dato che lo stronzino voleva dieci sterline per quella roba e Jeremy era povero -, stando ben attento a dove doveva mettere le mani. Senza contare che era molto meno fatto di quanto non lo fosse il Milkobitch, e per quanto manomessi dalla marijuana ormai consumata nel braciere della pipa i suoi riflessi dovevano essere sicuramente migliori di quelli del maggiore dei due. Non che, in effetti, ci volesse poi così tanto ad essere meno fatti del cacciatore dei tassi – in quel periodo almeno, più che in molti altri.
    Si era lasciato andare, Jeremy Milkobitch, arrendendosi alla continua azione erosiva del tempo, la quale più che levigare i bordi spigolosi, smussandoli e rendendoli meno dolorosi, sembrava divertirsi a scavare in profondità, mettendo a nudo degli strati che avrebbero dovuto rimanere ben protetti ancora a lungo. Quello che era stato un semplice svago, smisurato ma mai pericoloso, l’aveva nemmeno troppo progressivamente trasformato in un eccesso incontrollato ed incontrollabile: ci si era rifugiato il diciassettenne nella confusione mentale che gli donavano le droghe - qualsiasi tipo, di droga -, senza nemmeno avere la voglia di rendersene conto, o di smettere. Passava più tempo chiuso nel dormitorio dei Tassorosso che non a frequentare le lezioni, imbottendosi di hashish e pasticche fino allo sfinimento, uscendone solo perché richiamato dal personale scolastico in Sala Torture per il suo assenteismo, per presenziare agli allenamenti di Quidditch o per vedere i suoi amici: per quanto amasse crogiolarsi nel dolore della perdita, rintanato in una bolla di silenzio e solitudine, non poteva fare a meno di ricercare il loro volto in quello di ogni concasato, di averne bisogno come ogni organismo aveva bisogno dell’ossigeno per sopravvivere - necessitava, il Milkobitch, di gettare le braccia attorno alle spalle dei Catafratti, inebriarsi del loro profumo, dell’odore di casa, di mettere da parte tutto ciò che annebbiava la mente e bearsi, solamente, della loro compagnia. E cercavano di farglielo notare – loro, come anche i suoi fratelli -, che così non andava. Che così, poteva solo peggiorare. Solitamente, però, Jeremy era troppo sotto botta per dar loro ascolto, figurarsi per dirgli che avevano ragione; risolveva tutto con una scrollata di spalle ed un ulteriore tiro di canna, e sulle labbra un sussurro a farsi strada tra il fumo: «è un periodo». All’inizio ci aveva creduto anche lui, a quella menzogna – idealmente, era davvero solo un periodo così: in pratica, era più facile a dirsi che a farsi.
    Voleva soltanto annichilirsi, il Milkobitch, e non pensare al periodo delle sparizioni, alla missione a Brecon, all’esplosione, alla morte di Run, al suicidio di sua madre – alla scuola, alle lezioni, agli esami, al futuro: un concetto così dannatamente vicino, da essere sempre più lontano. Se avesse potuto sopravvivere solo di droghe e nicotina – ironicamente quello che stava facendo da più di un mese a quella parte -, non avrebbe nemmeno avuto motivo di pensare di pensarci, al dopo. L’unica cosa in cui era bravo, era farsi le canne e volare su un manico di scopa.
    «sa, grazie del fumo, è stato un piacere» aprì gli occhi, riportato con i piedi a terra dalla voce di CJ mentre quest’ultimo abbandonava il divano davanti al camino, per poi richiuderne prontamente uno infastidito dalla luce improvvisa, rivolgendo l’altro al ragazzo, un guizzo di cobalto a contrastare il rossore della sclera. Gli voleva bene, al Knowles: non l’aveva mai interrogato sulla propria vita, poco avvezzo ad intrufolarsi nelle esistenze altrui se non quando espressamente richiesto, eppure lo sentiva così vicino, in una ovviamente diversa maniera rispetto alla vicinanza che lo univa ai suoi migliori amici; in quel momento, un po’, lo odiava. Amava la solitudine, ma era anche facilmente volubile: se qualcuno rientrava nelle sue personali corde, potevano bastare anche pochi minuti affinché si affezionasse, tanto alla persona quanto alla prossimità fisica. «ho altra roba» tentò, nel disperato tentativo di non farlo andare via - lo facevano tutti. L’altro, in tutta risposta, scrollò le spalle avvicinandosi all’uscita della Sala Comune - beh, cazzi suoi. «ah, sigei» «è CIgei» un grugnito, più che vera voce, quella del più giovane – al ché, Jeremy si lasciò sfuggire una risata divertita. «lo so» avrebbe potuto giustificarsi dicendo che era fatto, ma come molte altre volte tanti altri prima di lui gli avevano fatto presente era sempre fatto. «puoi passare da Stiles e dirgli che oggi non vado?» «no» «grazie. nel recipiente delle caramelle a destra, alcune non sono caramelle»
    A buon intenditore, poche parole.

    «Heeeey, come stai? Tutto a posto? Quante canne ti sei fatto oggi?» Quasi non si strozzò, colto alla sprovvista dal Doyle, tossendo e sputacchiando fumo e un po’ di morte e perdizione in giro per la stanza. Fortunatamente, c’erano poche persone in giro per ammirarlo mentre rantolava alla ricerca d’aria - ma anche sfortunatamente: se fosse andato in crisi asmatica, ci sarebbe stato solo Charles per impedirgli di morire e, beh, era un Charles. «non abbastanza» ammise, non appena ebbe finito e fu riuscito a tornare con le spalle contro lo schienale del divano: “non abbastanza” per i suoi canoni, per inciso. Per quelli altrui, probabilmente rischiava un’overdose di Maria. Effettivamente, da quando CJ l’aveva abbandonato su quel sofà, non doveva essere passato poi così tanto tempo: non aveva nemmeno avuto modo di alzarsi a prendere qualcosa da mangiare, sebbene a quel punto lo stomaco reclamasse quantità industriali di cibo per saziare la fame chimica. «la prossima volta, più delicato» Ma sapeva già che quella era una richiesta inutile: il Doyle, per quanto adorabile e genuino, non aveva idea di come essere delicato, o un po’ meno inopportuno. Non rientrava nelle sue capacità, ed era un po’ anche quello che gli permetteva di volergli bene – un po’ come ne si può volere ad un bambino tra i tre e i sei anni di età, sebbene fosse persino più grande di lui. Lo fulminò, con la lentezza degna di un bradipo ma la ferocia di una belva famelica, quando osò chiedere del Quidditch. Tasto delicato, soprattutto quando a distanza di pochi giorni ci sarebbe stata una partita.
    Contro i Corvonero.
    I Corvonero - aka, contro Bells.
    Non era tanto il fatto di doversi scontrarsi con la sua migliore amica a creargli degli scompensi, non l’aveva mai fatto da che si conoscevano e sfidavano sul campo: non v’era amicizia che reggesse davanti alla competizione.
    Il fatto che più lo spaventava era la competitività dalla Dallaire – aggressiva, prepotente, minacciosa. Non aveva dubbi che potesse aver minacciato le famiglie dei suoi compagni di squadra al fine di non perdere quella partita – e sapeva benissimo, Jeremy, quanto il bullismo psicologico della ragazza potesse avere degli ottimi risvolti. «gli allenamenti vanno che se non infortuniamo qualcuno della squadra dei corvi, anche quest’anno ci sogniamo la coppa» rispose, accendendo il braciere ed aspettando che l’acqua del bong gorgogliasse per trarre una boccata di fumo. «però posso sempre provare a rubargliela» si voltò verso Charles, rovesciandogli addosso il denso fumo. «ti andrebbe di rubare la coppa?» ognuno poteva essere ben indicato per quel ruolo: ovviamente era implicito avrebbe mandato avanti l’amico a fare il lavoro sporco, non voleva morire per mano di Lies, mentre lui avrebbe atteso appena fuori per aiutarlo a scappare, ma evitò di fargli presenti tutti i dettagli del piano. «vuoi?» prima ancora che potesse rispondergli, gli lasciò il peso del mondo – ancora, la pipa ad acqua – tra le mani, sentendosi molto più leggero. «lascia stare il cheerleading, amico» suggerì, adagiando il collo sul braccio dell’altro, gli occhi di nuovo chiusi. «ci servono giocatori – considerando che quest’anno esco dalla squadra, poi, ne serviranno ancora di più: tanto tu hai intenzione di restare qui in eterno, no?» sollevò un angolo della bocca, senza preoccuparsi di risultare inopportuno: in quel momento, non aveva nemmeno idea se sapesse o meno di come il Doyle avesse reagito alle bocciature - non gli interessava. «però se mentre fai la cheerleader Confondi il portiere dei Corvi, approvo»
    Cristo, il braccio del Tassorosso era davvero «comodo», favoreggiante l’abbiocco potente. «parliamo di cose serie, Charlie» biascicò, masticando saliva e tentando di inumidire le labbra secche. «hai con te qualcosa da mangiare – patatine, muffin, pesto genovese, qualsiasi cosa? ti giuro che sto morendo di fame»
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia


    Edited by al-coholism - 28/7/2017, 15:48
     
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1 replies since 28/3/2017, 18:59   221 views
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