muggle | 27yo |
rebel | heart of war | forgotten memory |
Helena non sapeva chi fosse, ma già in diversi le avevano parlato di lei.
In molti, a partire dall'uomo che aveva sposato, avevano cercato di farle aprire gli occhi su quello che era: una donna amabile, rispettabile, dal cuore gentile e dal carattere tutt'altro scontroso o introverso-- anzi, addirittura vivace con chi, a detta loro, sapeva mostrarsi a sua volta di indole allegra. Aveva sentito tanto parlare di questa Helena negli ultimi giorni, tant'è che man mano sentiva di aver fatto propria quella identità; gliel'aveva detto, il medimago, affannosamente aveva cercato di metterle in testa come nulla sarebbe stato facile d'ora in avanti, che era più che giustificabile quell'improvviso senso di smarrimento, la sensazione di trovarsi in un luogo a lei estraneo-- che fosse un corpo, o un letto, o un paese.
Le aveva raccomandato di prendersi cura di sé, di Helena, di provvedere a se stessa con naturalezza, cercando un approccio nuovo per riscoprire una personalità vecchia, persa nei lembi del tempo e... con scarse possibilità che ritrovasse ciò che aveva perso. Certo Helena non si sarebbe messa a sbattere la testa contro un muro fino a farsi tornare i ricordi: l'aveva accettato con la leggerezza con cui era stata dipinta, e semplicemente si era rimessa a vivere, cercando -almeno in parte- di essere quella donna di cui tanto aveva sentito parlare.
Tuttavia non era semplice, per nulla: non era affatto facile per Helena tornare ad essere se stessa dalle basi, rendersi conto di non ricordare assolutamente nulla di quel passato così dettagliato nella mente degli altri... avrebbe voluto scrivere ai suoi genitori, sentirli per scoprire come fossero le loro voci perché, assurdamente, non ricordava nemmeno un loro sguardo-- ma Keanu l'aveva fermata, le aveva spiegato come non fosse il caso di allarmare i due genitori anziani, promettendole, piuttosto, che di lì a breve l'avrebbe accompagnata nella casa dov'era nata.
Helena si fidava ciecamente del marito- e non solo per una questione morale, ma più perché era davvero l'unica persona a cui ora lei potesse aggrapparsi per ritrovare qualche ricordo- ma dubitava che di lì a breve sarebbero riusciti ad andare da qualche parte. Helena infatti aveva una vita davvero piena, a discapito di quanto potesse immaginare, e così il marito. Nei voti aveva promesso di stargli affianco, ed era qualcosa di suo, di interiore, non avrebbe mai tradito quelle promesse. Tuttavia... anche la figura di Keanu. Era dolce, sensibile, paziente con lei tanto da aver passato interi giorni a tentare di riordinare quella mente che nemmeno era un casino disordinato-- semplicemente il nulla, una devastazione che faceva male al cuore.
Però.
C'era un però, il classico “ma” da fine frase a cui spesso non segue nulla proprio perché non c'è veramente nulla da dire: Helena non poteva pronunciarsi negativamente parlando di Keanu, eppure... era qualcosa a pelle, forse, qualcosa di profondo, magari legittimo-- era così terribilmente confusa, come poterla accusare? Helena sentiva come vi fosse qualcosa di profondamente strano in quel matrimonio, in quell'amore che -a conti fatti- era fatto di sguardi dolci, carezze, qualche scambio di sorrisi.
La ragazza sentiva come un macigno sul petto, un soffocante peso di cui non si sarebbe liberata con facilità: il timore che non sarebbe mai stata all'altezza di quella Helena tanto vivida nei ricordi degli altri la opprimeva, le faceva vivere male ogni momento di solitudine e -peggio- rendeva estremamente deleteri i sogni partoriti nel sonno. Perché sì, la giovane donna s'era convinta che non si trattassero d'altro se non di sfoghi della mente, il bisogno di scaricare i crudeli dubbi del cuore. Ogni volta svegliarsi era come riemergere, tant'è che aveva sempre la testa pesante, il fiato corto, soffocato-- difficile. Cercava di tornare a galla perché quegli incubi senza volti la opprimevano più di quella realtà scomoda, complessa, ma ancora più lucida dei parti della sua mente.
Sognava di tante cose, Helena River, tanti luoghi confusi, uomini senza volto e voci senza parole; udiva, ma sembravano gli ululati dei lupi distanti, il gracchiare dei corvi sulla testa, e ben presto una cacofonia di suoni... non avrebbe sentito più nulla. Quanto desiderava trovare pace almeno nei sogni... eppure sembrava quasi che i suoi incubi della realtà non aspettassero altro che la fragilità del sonno per tornare a tormentarla.
Stare alla locanda aiutava a distrarsi, a non pensare a nulla di troppo elaborato: fra gli odori e le luci soffuse della locanda, persino i suoi incubi tornavano ad essere distratti lembi di inconscio. Lavorare alla Testa di Porco in pratica le occupava buona parte della giornata, ma Helena non poteva chiedere di meglio: le avevano raccontato di come amasse scrivere, come fosse in grado di prendersi cura dei fiori del giardino-- eppure, ogni volta che sedeva alla scrivania guardava per ore un foglio bianco chiedendosi cosa scrivere, e all'improvviso il suo pollice verde sembrava aver perso le sue magiche doti.
Il lavoro -duro o meno che fosse- era dunque quella valvola di sfogo con cui poteva evitare di pensare a come stesse miseramente fallendo nell'imporsi un'Helena che probabilmente era morta nel momento in cui era caduta e aveva sbattuto la testa. Adesso non sentiva di provare piacere verso nessun hobby, ma certo, stare nella locanda a pulire i tavoli, servire i clienti e trascinare la spazzatura era l'occupazione più vicina a distrazione che si fosse trovata, e quindi ne approfittava. Aveva visto entrare molta gente alla locanda; aveva imparato, nel giro di davvero poco, a conoscere coloro che andava a visitarla più volte rispetto ad altri, e stranamente sembrava nelle sue corde il relazionarsi con altre persone, attirare clienti e metterli a loro agio. Era una cosa che faceva con naturalezza, illudendosi che -pensando a qualcun altro- avrebbe evitato di guardarsi allo specchio.
Uno fra i tanti -ma non per questo poco importante- era il signor Byron, un uomo sulla trentina che vedeva nel locale dalla prima volta in cui ci aveva rimesso piede dopo l'incidente; ad Helena piaceva Byron, perché era un uomo a modo suo socievole -molto a modo suo- e questo non creava alcun problema alla donna... sempre meglio di quel disgraziato ubriacone del suo amico, il biondo allampanato, che ogni volta non mancava di insozzarle il bancone e rendersi ridicolo, ogni volta più della precedente. Era pacato, e questa era una caratteristica che Helena trovava conciliabile con la propria indole serena-- inoltre, pur ri-conoscendosi da poco, la ragazza sentiva di essere arrivata ad un livello tale di intimità da non aver più bisogno di ricorrere ai convenevoli, come se -dietro il bancone- vi fosse un caro amico tornato in patria dopo un lungo viaggio.
Sospirò e, con un ultimo sforzo, accantonò il sacco dell'immondizia al fianco delle scalette sul lato posteriore del locale-- il vialetto vuoto iniziava ad accendersi dei primi lumi magici, segno che si avvicinava la sera, segno che -presto- il treno avrebbe fischiato in lontananza. Difatti, mentre accatastava le ultime bottiglie di vetro e rientrava nel locale, il fischio giunse alle sue orecchie, intenso e ondulato, suonando estremamente nostalgico, anche se non avrebbe saputo dire, naturalmente, per quale motivo. «Scommetto che in una di quelle carrozze tirate a lucido ci siano delle persone ricche e facoltose che sorseggiano un costoso whiskey, fumando grossi sigari e parlando di affari. Tornano a casa dalle loro mogli, dai loro figli, dai loro amanti, dai loro animali domestici. Si troveranno una bella cena calda servita in tavola, probabilmente un buon vino invecchiato» le parole giunsero chiare al suo orecchio, poiché l'uomo era seduto al bancone e, come ogni volta a quell'ora, il locale era tranquillo, quasi silenzioso se non fosse stato per il vociare di alcuni gruppetti di varie generazioni raccolti in tavoli distanti. Suo marito per affari della Resistenza non si trovava lì, ed Helena si era ritrovata a gestire da sola la locanda, cosa che -ora come ora- riusciva a fare molto bene-- col passare dei giorni era riuscita a farsi rispettare perfino da quei bifolchi (come il biondo citato sopra), perché dietro la sua enorme pazienza si nascondeva anche un leone estremamente feroce e possente, pronto a saltare alla gola di chi osasse in qualche modo mancare di rispetto a lei o a suo marito, con o senza la sua presenza nel locale.
Guardò quindi verso Byron, con un sorriso immancabilmente sereno, mentre tirava fuori dalla lavastoviglie alcuni bicchieri e iniziava ad asciugarli con una certa calma, approfittando appunto della situazione tranquilla del locale; quando Keanu mancava, toccava svolgere a mano quei lavori, ma a Helena -appunto- non dispiaceva... erano passaggi meccanici, quasi automatici, che l'aiutavano a non pensare ai dubbi con cui si svegliava la mattina, e farli mentre scambiava due chiacchiere con un cliente la rendeva ancora più serena.
«Tocca a te» sì, le aveva già parlato di quel gioco innocente, di bambino, che doveva essere stato un suo vecchio passatempo quando era piccolo, insieme al fratello. Non la colse impreparata, ma volle comunque prendersi il suo tempo mentre l'occhio vagava ora sulle pareti scure del locale, all'inseguimento del treno, mentre le mani continuavano a muoversi con l'asciugamano nel bicchiere-- «e invece non sono tutti così. Se ne sta nell'angolino; probabilmente è la prima volta che viaggia in prima classe, o magari la prima in treno. Magari il regalo di qualcuno, perché a guardarlo -per quanto possa aver tentato di nasconderlo con abiti di raffinata qualità- non sembra potersi permettere un biglietto in prima classe: l'abito è di seconda mano, magari appartenuto ad un vecchio parente, e le scarpe logore, nonostante il blando tentativo di nasconderlo con della lacca. La valigia altrettanto. Lo fissano tutti in modo invadente e critico, ma il ragazzo non sembra avere occhi se non per qualcosa che non sta certo sui volti degli altri» non le costava nulla ed anzi, iniziava ad intuire come quel modo di distrarre Byron da preoccupazioni forse -molto probabilmente- più gravose delle sue, in realtà l'aiutasse anche a non impazzire dietro i mille pensieri che le correvano nella testa, come animali impazziti.
Sospirò, posandosi coi gomiti sul bancone poco distante di lui, ancora a fissare la parete prima di guardare l'uomo, e in particolare il calice verso la fine; bastò un cenno, come a chiedergli se ne volesse ancora... del resto, era anche -e soprattutto- quello il suo lavoro.