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.❞do i look like a fucking people person?impress no one -- telepathy | 18 y.o. | deatheater | 20.03.17Le temperature avrebbero permesso a Jericho Karma Lowell, come a qualunque essere umano dotato di sangue caldo, di uscire di casa senza giacca; ovviamente, il sole non poteva nulla contro il gelo interiore della Lowell – né soprattutto le donava confortevoli tasche dove ficcare le proprie mani – il che dava, come risultato, che fosse l’unica ragazza di tutta Londra ad indossare ancora il cappotto. Aperto, sì, ma pur sempre un cappotto. Gli occhiali da sole non rendevano abbastanza l’idea di quanto poco fosse interessata al mondo, perché giustamente era quello il motivo di fondo per il quale ella indossava lenti scure, chi se ne fotteva del sole, quindi aveva deciso di indossare anche un adorabile cappellino che rendesse cristallino il suo mood; il primo punto del manuale di sopravvivenza di ogni misantropo, d’altronde, era non dare false speranze al genere umano: non dovevano crederla buona, non dovevano cercare di approcciarsi.You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
Dovevano semplicemente starle lontano – possibilmente anche smettere di respirare, ma si rendeva conto che il mondo non poteva essere così bello da donarle tale gioia. Masticava pigramente una chewing gum alla fragola, dello stesso colore delle punte dei suoi capelli, gonfiando e scoppiando bolle intenzionalmente ogni qual volta qualcuno osava posare lo sguardo sulla sua persona. Comprendeva perché non potessero farne a meno (dannazione, anche lei fino a due anni prima sarebbe rimasta a fissarla a bocca aperta, invidiosa ed adulante), ma non significava che li giustificasse; faceva di tutto, la Lowell, per apparire fastidiosa e insopportabile, così da combattere contro il bel faccino con il quale s’era risvegliata nei Laboratori.
Che dire, funzionava. Le bastava sorridere, gli occhi cerulei nascosti dietro le lenti, in quella smorfia crudele dal sapore di ruggine e pioggia, perché agli altri giungesse l’informazione che la sua bellezza celava: poteva anche apparire come una bambola, ma aggiornatevi stronzetti, perché anche Chucky lo era.
Marzo offriva ottime giornate per scampagnate in centro con gli amici, o pic nic con la propria famiglia, quindi le dava l’input necessario per voler praticare harakiri più del solito. Anziché essere attratta da frozen yogurt o milkshake, ella si sentiva più affine ai super alcolici, le droghe, ed il bullismo sulle persone felici. Voleva strappare dalla loro maledetta faccia, e dalla loro stramaledetta gola, quelle risate allegre che rimbalzavano fastidiose nell’aria come polline, intossicandola e facendole venire voglia di starnutire – o vomitare, o, perché no?, entrambe le cose. Per quello aveva affrontato la felice aria di una prematura primavera avventurandosi nel cuore della cittadina magica, le cuffie nelle orecchie a vibrare di note basse e perfide, diretta nell’unico posto dove sapeva avrebbe trovato un’anima affine.
Alzò lo sguardo sul cancello di villa Hamilton, affatto impressionata dalla facciata imponente dell’edificio (quando si era alti un metro e chissenefotte, si tendeva a non valutare qualcosa in base alla grandezza), e abbassando le lenti sulla punta del naso, suonò il campanello.
«se mi apre brandon, muore» avvisò secca, inviando un generale messaggio d’avviso telepatico all’interno della casa. La sua versione del buongiornissimo, mentre un sorriso più leggero e languido le curvava le labbra, lasciando le fredde iridi blu ancora gelide quanto l’inverno che si erano lasciati alle spalle. Quando il cancello si aprì permettendole di entrare, scoppiò l’ennesima annoiata bolla rosa fra i denti, calcando il cappello sulla testa; giunse alla porta d’entrata, ma preferì rimanere sul portico che non avanzare nell’atrio, la spalla poggiata distrattamente sullo stipite e le braccia ancora abbandonate lungo i fianchi. «XAAAAAAAAAV» chiamò, strascicando il nome del pirocineta, mentre distaccata osservava le proprie unghie – neanche a dirlo, mangiucchiate fino alla pelle. Rimase immobile, appena un’ombra a stagliarsi contro l’uscio, finchè non udì dei passi sulle scale. Alzò gli occhi verso il ragazzo, le sopracciglia aggrottate cercando di capire se fosse Jay o Xav; ne sfiorò la mente con dita impalpabili, sentendola affilata e, ironicamente, bollente. Allora sorrise, più morbida e vellutata, già saggiando sulla punta della lingua il meraviglioso pomeriggio che li avrebbe attesi – o almeno, così sperava. «è una così bella giornata – i bambini giocano, gli adulti sorseggiano caffè freddo, e gli uccellini cinguettano. Vieni a rovinarla con me? mi annoio» Soffiò una bolla rosa ed ancora la scoppiò sonoramente, togliendosi poi con un fluido ed elegante movimento alla Horatio Caine gli occhiali da sole. «un po’ di terrorismo psicologico, qualche canna, bullismo fisico, una tequila» si strinse pigramente nelle spalle, una luce pericolosa a brillare negli occhi chiari, mentre l’ironia le punse lingua e labbra. «il solito» e dire che fino a qualche anno prima, quand’era ancora una Grifondoro, neanche si sarebbe azzardata a pronunciarle, quelle parole così perverse – figurarsi proporle di sua spontanea volontà a qualcuno come passatempo qualunque. Freccette? Collezionare francobolli?
Perché, quando si poteva dare fuoco ai passanti e convincerli con la telepatia che fosse solamente acqua sporca. A ciascuno i propri hobby.
[qualche ora dopo, imprecisata a causa dell’uso di sostanze non propriamente legali]
Come erano finiti in una situazione simile? Più Jericho ci pensava, più si rendeva conto di non riuscire a ricordare quando fosse cominciato – o perché, per dirne una. Una delle tante domande che le frullavano nella mente, e vi assicuro che per qualcuno che tendeva a pensare il meno possibile, si trattava davvero di un numero esagerato, era: dov’erano i suoi vestiti?
Domanda trabocchetto: ovviamente erano addosso a lei, esattamente come quando era uscita da Different Lodge ore prima; nei numerosi film che aveva seguitato a guardare ogni giorno in mancanza di cose da fare, perché studiare non era mai rientrato fra le priorità di Jericho, le avevano insegnato che quello era il primario interrogativo da porsi. Gli unici indumenti che le mancavano, erano il cappellino e la giacca, ma riusciva perfettamente a vedere dove fossero.
O meglio, su chi fossero. ma che meraviglioso esemplare di aurobus! la tua psw speciale è: le
Il sole doveva essere tramontato da poco, perché il blu che filtrava dalle travi sghembe della Stamberga Strillante, non era di una tonalità differente rispetto a quella delle sue iridi – una sfumatura profonda e densa, apparentemente così morbida da potervi infilare un dito e ritrarlo sporco di stelle. Una bottiglia di vetro vuota era abbandonata nell’angolo della stanza vicino ad un posacenere che era già pieno quando i due ragazzi, traballanti sulle gambe ma soddisfatti del terrorismo praticato in giornata (roba che Isis levate), erano giunti nella catapecchia; nella mano destra, la Lowell reggeva quella che doveva essere la seconda bottiglia, ancora piena a tre quarti di un liquido non meglio precisato. La mano sinistra, invece, era teneramente poggiata su una superficie liscia e sfuggevole, quasi scivolosa sotto i polpastrelli. «ha una consistenza strana» affermò, con il tono sognante di chi faticava a concentrarsi realmente sui dettagli. Le sfuggivano, scivolavano dalle dita come gocce di pioggia; era un mondo sfumato e pastello, quello di Jericho in quel momento. Strinse le dita sulla bambola gonfiabile, trascinandola più vicino a sé. Tristemente, erano alte uguali – il che significava che Jericho, dal basso della sua statura, poteva osservarne minuziosamente gli occhi spenti e finti, verdi, dalle infinite ciglia nere. Alzò il capo verso Xavier, che la superava (come gran parte della popolazione) di quasi quindici centimetri. «non capisco perché qualcuno dovrebbe essere interessato ad averci rapporti sessuali» continuò, stringendola adesso con entrambe le mani. La scosse un paio di volte, sorprendendosi di quanto fosse leggera. La lanciò verso il ragazzo, stupendosi della facilità con il quale Giselle, così aveva deciso di chiamarla, ben si adattava alle braccia di chiunque. «tu sai come si fa?» domandò di getto, senza specificare a cosa alludesse. In quel caso, non aveva mezzo dubbio sul cosa l’avesse spinta a porre un interrogativo del genere allo Stevens, considerando che solitamente s’imbarazzava perfino a pensarle: alcool. Rendeva la lingua sciolta, sfracellava le inibizioni sotto la suola delle scarpe come se mai fossero esistite. Ogni azione dettata nefastamente dell’alcool, era spinta dal presente, cieca –e dimentica- delle conseguenze. Rimase a mordicchiarsi il labbro per un paio di secondi, l’espressione assorta e le braccia lungo i fianchi.
Indecisa. Vabbè, fuck it. In quel momento, non gliene poteva fregare una sega di meno degli effetti delle sue azioni. Senza dire una parola, si trascinò in un angolo della Stamberga Strillante con gambe incomprensibilmente pesanti, le palpebre sonnacchiose a rendere lo sguardo ferino più simile ad un Garfield che non ad una pantera. «senti» iniziò, umettandosi le labbra. Si chinò e, sempre evitando di guardarlo, sollevò un paio d’assi smosse sul pavimento, un sospiro tremulo a solleticarle la gola. Non sapeva neanche perché l’avesse fatto – di getto, perché si annoiava. Jericho Lowell faceva un sacco di cose solamente perché non sapeva cosa fare, ma raramente, di quelle cose, faceva poi concretezza. Dipingeva, disegnava fumetti, creava piatti e tazze decorate – mai nessuno era stato così (s)fortunato da vederle, però. Le faceva, e poi le teneva gelosamente per sé, vergognandosi anche solo di averle pensate. «ho una cosa» e sì che era ubriaca, ma era pur sempre una Jericho. Prese il piatto, coperto con uno spesso strato di cellophane, e lo tenne in bilico sui palmi, ancora dando le spalle al fremello. «puoi tenertela, oppure buttarla, o farne quel cazzo che ti pare. non mi importa» si strinse goffamente nelle spalle, le sopracciglia corrugate senza un motivo specifico se non quello di mostrarsi, a caso, già arrabbiata - perché se si mostrava già incazzata non c’era modo, secondariamente, di intravedere come realmente reagisse alle cose. «puoi lanciarla ai cani, darla ai piccioni, riciclarla. Non è che adesso siamo amici o cosa» ma cosa cosa? Boh. Che cazzo ne sapeva lei di come interagivano le persone normali in situazioni del genere, non era abituata a una tale confidenza. Con poca finezza, smollò il piatto con la torta sul basso tavolino (cigolante? Com’era possibile?) della Stamberga; sulla superficie glassata di bianco, in lettere nere si poteva chiaramente leggere: it's not what it looks like, i still don’t fuckin care about you. Con un vago cenno della mano gliela indicò, quindi si grattò nervosamente un sopracciglio. «i compleanni fanno schifo quasi quanto le persone che compiono gli anni» così, giusto per mantenere la reputazione. Sia mai che venisse accusata di aver fatto un gesto carino - lei!- o gentile -LEI!. Se solo Nathaniel fosse venuto a saperlo, non se ne sarebbe mai più asciugata gli occhi («lo sapevo che avevi un cuore, jeco!»), ed avrebbe rimpianto il momento stesso di essere venuta al mondo – come se già, di suo, non lo facesse.
Era così difficile vivere.
«se lo dici a qualcuno - HIC- considerati morto» sarebbe stato molto più credibile se un singhiozzo non avesse deciso di troncarle a metà la frase, facendola suonare ridicola ed in farsetto; sarebbe stato più credibile se la risatina isterica e puramente alcolica non avesse preso forma, divertita da solo la Tequila sapeva cosa. «’fanculo»
Così, perché ci stava sempre.SPOILER (clicca per visualizzare)-- gift: una bambola gonfiabile (sesso a vostra scelta, possibilmente di forma umana perché la zoofilia non è legale)
Edited by etc. - 23/9/2018, 23:52. -
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.❞do i look like a fucking people person?impress no one -- telepathy | 18 y.o. | deatheater | 20.03.17Qual era il punto di avere degli amici, che nella lingua di Jericho significava persone che non desiderava uccidere ad ogni battito di cuore, se poi si rivelavano inutili e non erano in grado di rispondere ai grandi interrogativi della vita? Si sentì tradita, la Lowell, nel constatare l’ignoranza di Xavier Stevens riguardo all’utilizzo di una bambola gonfiabile. L’archetipo dell’adolescente medio non diceva che tutti i ragazzi fossero a conoscenza di simili… questioni? Lei, invece, era giustificata: un’artista, troppo astratta e distratta per lasciarsi affascinare da simili passatempi – e poi era una ragazza, e non era certa che le donne…potessero…usarle…? Cioè, esistevano i… beh, insomma. Sì che era diventata un po’ psicotica, ma su argomenti del genere riusciva ancora ad essere suscettibile – fatele causa. Umettò le labbra, le braccia incrociate sul petto. «neanche io ho mai usato un bazooka,» osservò, inarcando cinica entrambe le sopracciglia. «eppure so come si fa.» bello bingwatchare sense8, mh. Un debole sorriso le curvò le labbra, illuminando lo zaffiro delle iridi – lo sguardo assottigliato, leggero e friabile nella sua alcolica opacità. «hai vent’anni, e non sai neanche fare educazione sessuale a una diciottenne: a cosa mi servi?» domande legittime, secondo la drunk!Lowell, la quale pose l’interrogativo con la serietà con il quale Hitler doveva essersi interrogato su quando, e come, aprire le camere a gas. Doveva davvero trovarsi amici più opportuni con il quale affrontare l’argomento, perché erano cose che necessitava di sapere, se voleva sfottere gli altri con cognizione di causa. Preferiva essere informata, in modo da prendere –efficacemente- per il culo, e non ritrovarsi spiazzata con contro domande cui non avrebbe saputo cosa rispondere. Immaginava che avrebbe potuto chiedere ad Eugene, ma andiamo: sì che era ciatella ed ubriaca, ma confidava di non arrivare mai alla disperazione di dover porre quesiti simili al miglior amico di suo fratello.You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
Che vita di merda, quando volevi fare la stronzetta, ma non avevi le risorse per farlo.
«ma non la senti che è gomma? Cioè, ew?» che ne sapeva, la Lowell, che di coiti aveva solamente colto immagini fra le dita che, imbarazzate, le coprivano la vista nel vedere le orge su netflix. Un calo di reputazione, me ne rendo conto, ma dai: era debole, lei. Una bambina dallo sguardo adulto ed il dito sul grilletto.
E poi era giunto il momento di totale black out, gesti guidati dall’ebbrezza dell’alcool a scaldarle le vene e confonderle sensi di per sé labili, impercettibili. Perché Jericho Karma Lowell, di natura, non era… cattiva: era ingenua, malleabile, testarda – non cattiva. Le avevano insegnato a diventarlo nei due anni appena passati, quasi obbligata a diventare quello sputo di società del quale il mondo aveva bisogno. Essere misantropi e repellere il genere umano, non implicava una nota sadica e malevola: semplicemente, non aveva voglia di interagire con gli altri, e da che ne sapesse, non era un reato.
Dimostrare la propria umanità, invece, lo era. Da sobria mai, mai Jericho si sarebbe spinta così in là: un conto era fare qualcosa, un altro rendere consapevoli gli altri di averlo fatto. Tendeva a far scemare l’aria da dura che, con i sorrisi taglienti, si era artificiosamente costruita attorno al delicato aspetto da bambola di porcellana; sminuiva le lame che nascondeva nelle tasche della felpa, l’odore di canna che impregnava il cappuccio.
Fare torte, diciamolo, non era affatto cazzuto. Chi faceva torte, quando si potevano comprare quelle già fatte – e belle che erano? Gente come Stich, come Amos, come Elijah - come Run - potevano permetterselo, privi di una reputazione da difendere. Anzi, quella era la loro reputazione, e lungi dalla Lowell criticarli (più o meno. Dipendeva, ecco). Non Jericho Karma Lowell. Perdeva charme.
Eppure, tant’era.
Vi dirò un segreto: si divertiva perfino, Jericho, a cucinare dolci, quando non litigava con la glassa o la panna montata, e non si vedeva costretta ad imprecare in cinese mandarino – cosa che accadeva assai spesso, come prevedibile. Era come fare origami, come disegnare un paesaggio, come fare una corona di fiori o piangere guardando il finale di O.C.
In pratica, tutto ciò che avrebbe preferito non rivelare a nessuno – quei segreti da portarsi nella tomba, sapete. Meglio la nomea da cecchino che quella da Benedetta Parodi.
O che Dio ce ne scampi, Antonella Clerici.
Non rimpianse, la Lowell, di aver fatto una torta a Xav: si pentì solo, nel momento in cui la fece scivolare davanti a lui, di avergliela consegnata. Non erano quel genere di amici, loro. Potevano dar fuoco ad una scuola o bucare i palloni dei bambini che giocavano al parco come i veri bulli, ma non si scambiavano torte o video di gattini.
Però, a loro modo, erano amici. Credeva? Dopo diciott’anni, ancora non aveva ben chiaro il concetto di amicizia. Lo tollerava affettuosamente? Valeva? «quindi, chi fa gli anni?» O forse no. Lo osservò sbattendo lentamente le ciglia, un po’ perché si trattava di un gesto dalla coordinazione non sottovalutabile, ed un po’ perché non poteva credere alla domanda appena udita. Ma era scemo? Ritardato? Doveva davvero, davvero davvero, costringerla a farglielo ammettere? Come se non fosse stato abbastanza difficile ed avventato, dargliela. Inarcò un sopracciglio, le ginocchia raccolte al petto ed uno sguardo allusivo nella sua direzione. «tu?» perché quando si era in difficoltà, rispondere ad una domanda con una domanda pareva sempre la soluzione più appropriata. «Pensi che qualcuno mi crederebbe?» Ed allora il sorriso, lento e sornione, tornò a curvarle le labbra. Sapeva che, in un mondo normale e per una ragazza normale, quello non sarebbe stato un complimento – ma con la perizia con la quale ella s’era intestardita a costruirsi l’immagine di ragazza difficile, non potè che sentirsi scaldare da quelle parole. «è il complimento più dolce che qualcuno mi abbia mai fatto» ed avrebbe dovuto dirvela lunga, sui complimenti ricevuti in vita sua.
O sul suo concetto di lusinga.
«Quindi non è avvelenata? Sono sorpreso» Si chinò in avanti, traballando come un castello di carte (ma fingendo di non accorgersene, e che la stanza attorno a lei fosse ben stabile), e poggiando i gomiti sui braccioli della poltrona, si prese il viso fra le mani. «forse» socchiuse le palpebre, la mano destra a mimare una pistola verso il pirocineta. Puntò l’indice contro la torta e premette un invisibile grilletto, con tanto di sibilo fra i denti, quindi spostò il dito verso di lui. «o forse mi hanno assoldato per ucciderti. Di recente hai creato problemi a qualcuno, stevens?» un sorriso languido e satollo, gli occhi ferini ridotti ad una fessura. «hai dato fuoco alla cassetta della posta di un politico? hai adottato un bambino dalla gang del burundi sbagliata?» tamburellò con le dita sulle guance, reclinando il capo. «hai finito i biscotti di stiles? O peggio:» annuì piano, evocativa come Frizzi quando apriva la busta alla Ghigliottina. «hai illuso nathaniel di essere jayson, e gli hai dichiarato e legittimato il tuo completo supporto nel far fiorire lo shipper club, nonché di accettare ufficialmente l’adozione - per poi spezzargli il cuore rivelandogli la verità» si ticchettò il labbro inferiore, gli occhi ora chiusi. «…o, per caso, hai messo incinta una bionda?» dramatic pause.
Un sorriso sghembo, perché ci credeva davvero, Jer, che quella fosse un efficace satira riguardo le platino sforna bambini che giravano in quel periodo – nuova moda, ignorare i consigli della Lowell sull’uso dei contraccettivi. Pft. «occhio, sono stronzette vendicative» aveva domandato spesso ad Euge l’origine dei suoi lividi, ma lui si era sempre limitato a rispondere che erano dimostrazioni d’amore: ecco come veniva giustificata la violenza domestica, nel 2017.
Non che fosse un suo problema.
«ma meh, puoi star tranquillo» si strinse nelle spalle, lasciandosi cadere mollemente sullo schienale della poltrona. «ti voglio troppo bene, per ucciderti così»
… l’aveva detto davvero? Aggiusta il tiro, Lowell. «meglio una pugnalata allo stomaco: una morte lenta, e maledettamente dolorosa.» fece ancora spallucce, liquidando l’argomento con il gesto della mano. Non voleva pensare di averlo detto seriamente, non in quel momento.
Non mai.
Mai. Ciò non le impedì di sentire le guance avvampare, e la cosa la fece ancora più incazzare. Voleva davvero, davvero, picchiare qualcuno. «da quando ti dai alla cucina? Pensavo preferissi il bullismo» Se si fosse stretta un’altra volta nelle spalle, le avrebbe slogate – ma in quale altro modo avrebbe potuto rispondere? “Di notto sogno anche di cavalcare unicorni e vomitare arcobaleni”?
Insomma.
«sono multi tasking» strinse le labbra in una linea e scosse il capo, celandosi in una modestia che le si addiceva davvero poco – e che, invero, era ciò che di più sincero aveva. «come i coltellini svizzeri» e belli che erano, i coltellini svizzeri.
Ed evviva le metafore contenenti armi.
«assaggiala, dai» Osservò con lentezza il piatto scivolare nella sua direzione. Lo sguardo si soffermò più del dovuto sulla fetta di torta, testardamente incastrato sul cibo – una scelta nettamente migliore, rispetto a quella di alzare lo sguardo. Erano in momenti come quello che, un poco di Jericho, desiderava ancora essere una persona normale – una di quelle in grado di interagire con le persone, di intessere sane relazioni sociali. Storse il naso, piluccando il pan di spagna con la punta delle dita. «non hai espresso un desiderio» osservò, a sopracciglia corrugate. Quand’era bambina, ed ancora nel mondo un po’ ci credeva, era la parte che preferiva di ogni compleanno. Voleva solo che Nathaniel tornasse a casa, all’epoca. «se non lo fai tu, lo faccio io, eh» Ed anche ora, Jericho, avrebbe voluto che suo fratello tornasse a casa – ma Brandon, non Nathaniel.
E solo per avere la giustizia che le spettava.. -
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.❞do i look like a fucking people person?impress no one -- telepathy | 18 y.o. | deatheater | 20.03.17Strisciò i piedi sul pavimento polveroso della Stamberga, le gambe premute contro il petto. Dovette perfino togliersi gli occhiali da sole, Jericho Lowell, dato che con le lenti scure non riusciva più a vedere un fico secco nella debole luce della ... Non aveva idea di che ore fossero, ma non vedeva una sega comunque. Si morse l'interno del labbro inferiore, aggrottò le sopracciglia. Tacque perché pensierosa, incapace di riuscire ad afferrare le idee prima che si perdessero nei meandri liquidi di una mente annebbiata dall'alcool. Era una telepata, Jericho, ma preferiva non usare il proprio potere quando poteva evitarlo - si interessava delle vite degli altri fino ad un certo punto, e scavare nei loro pensieri più profondi non rientrava in categoria. Con gli amici, poi, si sforzava di chiudersi in se stessa: erano già labili e delicati i legami che la univano agli altri, non aveva alcuna intenzione di sapere cosa realmente pensassero di lei. Però, santo cielo, Xav non la stava aiutando. Sentiva un immagine premerle ai bordi della coscienza minacciando di superare le difese, ed aveva bisogno di tutto il proprio auto controllo per impedirle di entrare. Alla fine le lezioni con il suo fratellone stavano dando, fortunatamente, i loro frutti. Osservò lo Stevens a palpebre socchiuse, la testa poggiata sulla spalla perché incapace di reggersi da sé. Diciamocelo, Jericho era un'amica di merda. Probabilmente, prendendo come unità di misura ciò che il mondo implicava nell'etichetta amicizia, non lo era affatto e per nessuno. Non era fatta per i pigiama party, non era una spalla su cui piangere, non parlava diYou Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
ragazzeragazzi e non confessava i propri segreti; d'altro canto, quelli che definiva amici, si comportavano esattamente allo stesso modo con lei: Thad, Xav, Darden. Non era una stupida, aveva visto abbastanza telefilm da saper riconoscere quando una persona non stava bene, semplicemente aveva sempre ritenuto non fosse compito suo domandare quale fosse l'origine del turbamento. Così distolse lo sguardo dal pirocineta sentendosi improvvisamente a disagio, una mano a grattare distratta la nuca e l'altra a stringersi sul proprio ginocchio. Alzò gli occhi al cielo alla ricerca del supporto che era certa gli mancasse: era nata priva di quel genere di empatia, o della mera capacità di intrattenere una conversazione che non implicasse la morte di qualcuno (anche la propria, talvolta). «ehi, maaaan, senti» tossì nervosamente, l'imbarazzo a colorarle le guance di un pallido rosa. Perché un poco le dispiaceva, non riuscire ad essere quel tipo di persona. Perché okay, va bene, era un po' psycho e mentalmente instabile, ma non era dura quanto amava far credere. Le piaceva che le persone avessero paura di lei, le piaceva il senso di potere che ne derivava, ma... Non voleva rimanere da sola, ecco. Non sarebbe stato altrettanto divertente. E sapeva, Jericho, che prima o poi i suoi difetti le si sarebbero ritorti contro - di nuovo.
«lo sai che... insomma» agitò una mano nell'aria. «se qualcosa non va, voglio dire...» ancora si schiarì la voce, il naso arricciato e le labbra strette fra loro. Ma come vivevano le persone normali? Come faceva la gente che riteneva quelle conversazioni parte della loro quotidianità? Si sentiva dentro una fottuta puntata di Dawson's Creek - e la parte peggiore, era che si sentiva Dawson. «cioé, no. Non che mi interessi, non esageriamo, ma» si resse il mento fra le dita, ruotando infine gli occhi chiari sul ragazzo. «se sei turbato, no... possiamo parlarne fra una persona e l'altra da picchiare, sai. O una canna e una bottiglia di vodka - cose così» fece spallucce, lo sguardo ora testardamente basso sui propri piedi. «fanno così gli amici, no? Uccidono qualcuno, condividono some deep emotional shit, occultano il cadavere - rubano palloncini ai bambini, picchiano le suore, sparano ai testimoni di geova » sollevò un braccio di fronte a sé, il palmo aperto verso il soffitto, prima di farlo ricadere pesante al proprio fianco. «sai come funziona. Giusto per fartelo sapere, ecco, in caso - boh» era così imbarazzante per tutti o solo per lei? Chissà? Fece ancora spallucce, una mano a raccogliere il cappuccio per pigiarselo sulla testa. Le bastò sentire il tessuto attorno al capo per avere un ritrovato senso di conforto e sicurezza - finalmente qualcosa in cui era brava! Un talento, il suo. Come Horatio e gli occhiali da sole. «come vuoi.» biascicò infine, le dita a scivolare distratte sulle sopracciglia.
Che assurda la vita da au!Dawson Lahey.
sono due anime gemelle il cui legame è più forte dell'amicizia e persino dell'amore e destinate a stare insieme in una realtà ultraterrena per sempre.
Molto kind of. In realtà non c'entrava proprio una sega, ma è sempre un buon momento per worshippare le preghiere Oblivion.. -
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