may the bridges i burn light the way

jericho x xav

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +3    
     
    .
    Avatar

    dressed to kill

    Group
    Special Wizard
    Posts
    639
    Spolliciometro
    +849

    Status
    Offline
    do i look like a fucking people person?
    impress no one -- telepathy | 18 y.o. | deatheater | 20.03.17
    Le temperature avrebbero permesso a Jericho Karma Lowell, come a qualunque essere umano dotato di sangue caldo, di uscire di casa senza giacca; ovviamente, il sole non poteva nulla contro il gelo interiore della Lowell – né soprattutto le donava confortevoli tasche dove ficcare le proprie mani – il che dava, come risultato, che fosse l’unica ragazza di tutta Londra ad indossare ancora il cappotto. Aperto, sì, ma pur sempre un cappotto. Gli occhiali da sole non rendevano abbastanza l’idea di quanto poco fosse interessata al mondo, perché giustamente era quello il motivo di fondo per il quale ella indossava lenti scure, chi se ne fotteva del sole, quindi aveva deciso di indossare anche un adorabile cappellino che rendesse cristallino il suo mood; il primo punto del manuale di sopravvivenza di ogni misantropo, d’altronde, era non dare false speranze al genere umano: non dovevano crederla buona, non dovevano cercare di approcciarsi.
    Dovevano semplicemente starle lontano – possibilmente anche smettere di respirare, ma si rendeva conto che il mondo non poteva essere così bello da donarle tale gioia. Masticava pigramente una chewing gum alla fragola, dello stesso colore delle punte dei suoi capelli, gonfiando e scoppiando bolle intenzionalmente ogni qual volta qualcuno osava posare lo sguardo sulla sua persona. Comprendeva perché non potessero farne a meno (dannazione, anche lei fino a due anni prima sarebbe rimasta a fissarla a bocca aperta, invidiosa ed adulante), ma non significava che li giustificasse; faceva di tutto, la Lowell, per apparire fastidiosa e insopportabile, così da combattere contro il bel faccino con il quale s’era risvegliata nei Laboratori.
    Che dire, funzionava. Le bastava sorridere, gli occhi cerulei nascosti dietro le lenti, in quella smorfia crudele dal sapore di ruggine e pioggia, perché agli altri giungesse l’informazione che la sua bellezza celava: poteva anche apparire come una bambola, ma aggiornatevi stronzetti, perché anche Chucky lo era.
    Marzo offriva ottime giornate per scampagnate in centro con gli amici, o pic nic con la propria famiglia, quindi le dava l’input necessario per voler praticare harakiri più del solito. Anziché essere attratta da frozen yogurt o milkshake, ella si sentiva più affine ai super alcolici, le droghe, ed il bullismo sulle persone felici. Voleva strappare dalla loro maledetta faccia, e dalla loro stramaledetta gola, quelle risate allegre che rimbalzavano fastidiose nell’aria come polline, intossicandola e facendole venire voglia di starnutire – o vomitare, o, perché no?, entrambe le cose. Per quello aveva affrontato la felice aria di una prematura primavera avventurandosi nel cuore della cittadina magica, le cuffie nelle orecchie a vibrare di note basse e perfide, diretta nell’unico posto dove sapeva avrebbe trovato un’anima affine.
    Alzò lo sguardo sul cancello di villa Hamilton, affatto impressionata dalla facciata imponente dell’edificio (quando si era alti un metro e chissenefotte, si tendeva a non valutare qualcosa in base alla grandezza), e abbassando le lenti sulla punta del naso, suonò il campanello.
    «se mi apre brandon, muore» avvisò secca, inviando un generale messaggio d’avviso telepatico all’interno della casa. La sua versione del buongiornissimo, mentre un sorriso più leggero e languido le curvava le labbra, lasciando le fredde iridi blu ancora gelide quanto l’inverno che si erano lasciati alle spalle. Quando il cancello si aprì permettendole di entrare, scoppiò l’ennesima annoiata bolla rosa fra i denti, calcando il cappello sulla testa; giunse alla porta d’entrata, ma preferì rimanere sul portico che non avanzare nell’atrio, la spalla poggiata distrattamente sullo stipite e le braccia ancora abbandonate lungo i fianchi. «XAAAAAAAAAV» chiamò, strascicando il nome del pirocineta, mentre distaccata osservava le proprie unghie – neanche a dirlo, mangiucchiate fino alla pelle. Rimase immobile, appena un’ombra a stagliarsi contro l’uscio, finchè non udì dei passi sulle scale. Alzò gli occhi verso il ragazzo, le sopracciglia aggrottate cercando di capire se fosse Jay o Xav; ne sfiorò la mente con dita impalpabili, sentendola affilata e, ironicamente, bollente. Allora sorrise, più morbida e vellutata, già saggiando sulla punta della lingua il meraviglioso pomeriggio che li avrebbe attesi – o almeno, così sperava. «è una così bella giornata – i bambini giocano, gli adulti sorseggiano caffè freddo, e gli uccellini cinguettano. Vieni a rovinarla con me? mi annoio» Soffiò una bolla rosa ed ancora la scoppiò sonoramente, togliendosi poi con un fluido ed elegante movimento alla Horatio Caine gli occhiali da sole. «un po’ di terrorismo psicologico, qualche canna, bullismo fisico, una tequila» si strinse pigramente nelle spalle, una luce pericolosa a brillare negli occhi chiari, mentre l’ironia le punse lingua e labbra. «il solito» e dire che fino a qualche anno prima, quand’era ancora una Grifondoro, neanche si sarebbe azzardata a pronunciarle, quelle parole così perverse – figurarsi proporle di sua spontanea volontà a qualcuno come passatempo qualunque. Freccette? Collezionare francobolli?
    Perché, quando si poteva dare fuoco ai passanti e convincerli con la telepatia che fosse solamente acqua sporca. A ciascuno i propri hobby.

    [qualche ora dopo, imprecisata a causa dell’uso di sostanze non propriamente legali]

    Come erano finiti in una situazione simile? Più Jericho ci pensava, più si rendeva conto di non riuscire a ricordare quando fosse cominciato – o perché, per dirne una. Una delle tante domande che le frullavano nella mente, e vi assicuro che per qualcuno che tendeva a pensare il meno possibile, si trattava davvero di un numero esagerato, era: dov’erano i suoi vestiti?
    Domanda trabocchetto: ovviamente erano addosso a lei, esattamente come quando era uscita da Different Lodge ore prima; nei numerosi film che aveva seguitato a guardare ogni giorno in mancanza di cose da fare, perché studiare non era mai rientrato fra le priorità di Jericho, le avevano insegnato che quello era il primario interrogativo da porsi. Gli unici indumenti che le mancavano, erano il cappellino e la giacca, ma riusciva perfettamente a vedere dove fossero.
    O meglio, su chi fossero. ma che meraviglioso esemplare di aurobus! la tua psw speciale è: le
    Il sole doveva essere tramontato da poco, perché il blu che filtrava dalle travi sghembe della Stamberga Strillante, non era di una tonalità differente rispetto a quella delle sue iridi – una sfumatura profonda e densa, apparentemente così morbida da potervi infilare un dito e ritrarlo sporco di stelle. Una bottiglia di vetro vuota era abbandonata nell’angolo della stanza vicino ad un posacenere che era già pieno quando i due ragazzi, traballanti sulle gambe ma soddisfatti del terrorismo praticato in giornata (roba che Isis levate), erano giunti nella catapecchia; nella mano destra, la Lowell reggeva quella che doveva essere la seconda bottiglia, ancora piena a tre quarti di un liquido non meglio precisato. La mano sinistra, invece, era teneramente poggiata su una superficie liscia e sfuggevole, quasi scivolosa sotto i polpastrelli. «ha una consistenza strana» affermò, con il tono sognante di chi faticava a concentrarsi realmente sui dettagli. Le sfuggivano, scivolavano dalle dita come gocce di pioggia; era un mondo sfumato e pastello, quello di Jericho in quel momento. Strinse le dita sulla bambola gonfiabile, trascinandola più vicino a sé. Tristemente, erano alte uguali – il che significava che Jericho, dal basso della sua statura, poteva osservarne minuziosamente gli occhi spenti e finti, verdi, dalle infinite ciglia nere. Alzò il capo verso Xavier, che la superava (come gran parte della popolazione) di quasi quindici centimetri. «non capisco perché qualcuno dovrebbe essere interessato ad averci rapporti sessuali» continuò, stringendola adesso con entrambe le mani. La scosse un paio di volte, sorprendendosi di quanto fosse leggera. La lanciò verso il ragazzo, stupendosi della facilità con il quale Giselle, così aveva deciso di chiamarla, ben si adattava alle braccia di chiunque. «tu sai come si fa?» domandò di getto, senza specificare a cosa alludesse. In quel caso, non aveva mezzo dubbio sul cosa l’avesse spinta a porre un interrogativo del genere allo Stevens, considerando che solitamente s’imbarazzava perfino a pensarle: alcool. Rendeva la lingua sciolta, sfracellava le inibizioni sotto la suola delle scarpe come se mai fossero esistite. Ogni azione dettata nefastamente dell’alcool, era spinta dal presente, cieca –e dimentica- delle conseguenze. Rimase a mordicchiarsi il labbro per un paio di secondi, l’espressione assorta e le braccia lungo i fianchi.
    Indecisa. Vabbè, fuck it. In quel momento, non gliene poteva fregare una sega di meno degli effetti delle sue azioni. Senza dire una parola, si trascinò in un angolo della Stamberga Strillante con gambe incomprensibilmente pesanti, le palpebre sonnacchiose a rendere lo sguardo ferino più simile ad un Garfield che non ad una pantera. «senti» iniziò, umettandosi le labbra. Si chinò e, sempre evitando di guardarlo, sollevò un paio d’assi smosse sul pavimento, un sospiro tremulo a solleticarle la gola. Non sapeva neanche perché l’avesse fatto – di getto, perché si annoiava. Jericho Lowell faceva un sacco di cose solamente perché non sapeva cosa fare, ma raramente, di quelle cose, faceva poi concretezza. Dipingeva, disegnava fumetti, creava piatti e tazze decorate – mai nessuno era stato così (s)fortunato da vederle, però. Le faceva, e poi le teneva gelosamente per sé, vergognandosi anche solo di averle pensate. «ho una cosa» e sì che era ubriaca, ma era pur sempre una Jericho. Prese il piatto, coperto con uno spesso strato di cellophane, e lo tenne in bilico sui palmi, ancora dando le spalle al fremello. «puoi tenertela, oppure buttarla, o farne quel cazzo che ti pare. non mi importa» si strinse goffamente nelle spalle, le sopracciglia corrugate senza un motivo specifico se non quello di mostrarsi, a caso, già arrabbiata - perché se si mostrava già incazzata non c’era modo, secondariamente, di intravedere come realmente reagisse alle cose. «puoi lanciarla ai cani, darla ai piccioni, riciclarla. Non è che adesso siamo amici o cosa» ma cosa cosa? Boh. Che cazzo ne sapeva lei di come interagivano le persone normali in situazioni del genere, non era abituata a una tale confidenza. Con poca finezza, smollò il piatto con la torta sul basso tavolino (cigolante? Com’era possibile?) della Stamberga; sulla superficie glassata di bianco, in lettere nere si poteva chiaramente leggere: it's not what it looks like, i still don’t fuckin care about you. Con un vago cenno della mano gliela indicò, quindi si grattò nervosamente un sopracciglio. «i compleanni fanno schifo quasi quanto le persone che compiono gli anni» così, giusto per mantenere la reputazione. Sia mai che venisse accusata di aver fatto un gesto carino - lei!- o gentile -LEI!. Se solo Nathaniel fosse venuto a saperlo, non se ne sarebbe mai più asciugata gli occhi («lo sapevo che avevi un cuore, jeco!»), ed avrebbe rimpianto il momento stesso di essere venuta al mondo – come se già, di suo, non lo facesse.
    Era così difficile vivere.
    «se lo dici a qualcuno - HIC- considerati morto» sarebbe stato molto più credibile se un singhiozzo non avesse deciso di troncarle a metà la frase, facendola suonare ridicola ed in farsetto; sarebbe stato più credibile se la risatina isterica e puramente alcolica non avesse preso forma, divertita da solo la Tequila sapeva cosa. «’fanculo»
    Così, perché ci stava sempre.
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia



    -- gift: una bambola gonfiabile (sesso a vostra scelta, possibilmente di forma umana perché la zoofilia non è legale)


    Edited by etc. - 23/9/2018, 23:52
     
    .
  2.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Muggle
    Posts
    207
    Spolliciometro
    +347

    Status
    Anonymous
    1997's neutral muggle PYROKINESIS baby daddy
    Xavier non capiva cosa le persone trovassero di tanto eccitante in una giornata di sole, come se la sola presenza del tempore a scaldargli la pelle fosse un invito a mostrare la loro faccia al mondo, quando nessuno ne aveva chiaramente bisogno. Dalla sua camera poteva sentire le grida acute dei bambini, sempre più frequenti, a straziarlo ogni volta; poteva giurare che gli stessero sanguinando le orecchie, il poco controllo che manteneva su se stesso a sfumare di secondo in secondo, gli mancava tanto così perché radesse quel parco al suolo, le fiamme a danzare davanti alla finestra come il più seducente dei desideri. Odiava la primavera, il pirocineta. Odiava molte cose, a dire la verità, fategli causa. Il telefono vibrò affianco a lui, gli bastò allungare la testa per leggere sullo schermo il nome di Marcus, la proposta di una lezione a riflettersi nelle iridi del moro. Fosse stato un altro giorno, avrebbe accettato. Se Elsa non gli avesse mollato una bomba addosso, sarebbe stato più disposto a vivere. Scosse la testa, perdendosi in una risata maniacale, il sottile filo che lo teneva ancora insieme a minacciare di spezzarsi. Ma non diciamoci cazzate, non c’era più niente che lo contenesse, non rimaneva una cellula sana nel corpo di Xavier Stevens. Era stato corrotto quando ancora non ne conosceva il significato, veleno a scorrere nel sangue cremisi, la pazzia ad accompagnarlo mano per mano ovunque andasse. Anche i suoi figli sarebbero nati come lui, sbagliati? La risata si spezzò improvvisamente a mezz’aria, tutto l’umorismo svanito dal suo volto, il pensiero dei figli ad artigliargli lo stomaco. Non li voleva, non ne aveva mai voluti. Gliel’aveva detto ad Elsa, che non ci avrebbe avuto niente a che fare, se non sotto l’ aspetto economico: almeno quello glielo doveva, ai bambini. «Vaffanculo, Queen» con tutto il cuore, davvero. Non aveva abbastanza palle da prendersi la colpa di quella gravidanza, perché non dare la colpa ad Elsa allora? Era più comodo, quando l’ oggetto della sua rabbia era un altro, pensava di odiarsi già abbastanza. Non aveva bisogno dell’ ennesima cazzata da aggiungere alla lista.
    Ritornando ai bambini, indovinate chi non aveva smesso di urlare? Loro, le fottute bestie di Satana. Non capiva neanche come i genitori potessero permettergli di uscire fuori di casa, non pensavano alle persone con una vita, quelle che non volevano che qualcuno gli rompesse il cazzo? Dovevano fare come Amos, che portava fuori Cash a ore improbabili. A dire la verità era Rea a portarli a passeggiare come dei cani, solo perché non si fidava di quell’ handicappato del fratello, perché aveva paura che gli scomparisse ancora da davanti il naso. Nessuno aveva dimenticato novembre duemilasedici, e come potevano? Era sotto i loro ogni giorno, nella pancia appena visibile della Queen, nell’ immobilità di Amos ogni volta che qualcuno vicino a lui si muoveva troppo in fretta, in attesa che venisse colpito, punito per aver scelto le parole sbagliate. «Se mi apre brandon, muore» una voce annoiata si insinuò senza alcun invito nella sua mente, la sensazione che delle mani stessero stringendo la sua mente a dipingere una smorfia sul suo viso: odiava i telepati. «Non aspettavo altro» si annoiava, uno sparimento di sangue gratuito era sempre gradito. Non aveva idea di cosa ci fosse tra quei due e neanche gli interessava, almeno finché si astenevano dal metterlo in mezzo. Non aveva idea di cosa ci facesse Jericho Lowell alla sua porta, forse era arrivata ad aiutarlo a mettere fine alle vite di quei fottuti mostri. C’era poco da fare, la ragazza aveva chiare le priorità nella vita: le persone non erano tra quelle, com’era giusto che fosse.
    «XAAAAAAAAAV» «ARRIVO, CAZZO» neanche gli interessava, che ci fossero delle orecchie innocenti ad ascoltarlo, in ogni caso avevano sentito abbastanza imprecazioni il giorno passato. E la special era lì ad aspettarlo, appoggiata allo stipite della porta e l’ espressione perennemente annoiata in viso, almeno lei non era stata contagiata dalla fottuta primavera. Poteva quasi percepire la sua allegrie dalla scalinata, la stessa che emanava lui! Incredibile, quanta voglia di vivere sprizzassero da tutti i pori. Decise di ignorare la presenza estranea nei suoi pensieri, non c’era bisogno che le dicesse quando lo odiava, lo sapeva già. «E’ una così bella giornata – i bambini giocano, gli adulti sorseggiano caffè freddo, e gli uccellini cinguettano. Vieni a rovinarla con me? Mi annoio. Un po’ di terrorismo psicologico, qualche canna, bullismo fisico, una tequila» la raggiunse vicino alla porta, già pronto a seguire la telepata nonostante non sapesse di cosa si trattasse. Poteva rifiutare di incontrare Marcus, ma un po’ di sano bullismo con Jericho? Mai, almeno quello dovevano lasciarglielo nella vita. «Avevo giusto bisogno di qualcuno che mi aiutasse a fare fuoco ai bambini» skerzava, ma che andate a pensare. Non avrebbe fatto del male solo a loro, ma anche ai genitori. No riproduttori no problem, recitava un vecchio saggio. «E poi lo sai che non ho mai un cazzo da fare» era una vita piena, la sua, soprattutto con tutti gli amici che aveva. Allungò un braccio davanti a sé indicando la porta alla ragazza, il tentativo di imitare uno di quei signori del cazzo perfettamente riuscito «dopo di lei» e anche quel giorno si andava a comandare.

    La catena di eventi che aveva condotto Xavier e Jericho fino alla Stamberga Strillante era talmente mistika che il solo mettercisi a pensarci gli dava il mal di testa. E in fatti non l'avrebbe fatto. Sapeva solo che avevano rovinato la giornata a quei motherfuckers, fatto piangere qualche bambino ogni tanto, proprio come piaceva a lui. E intanto il sole era tramontato, la luce della stanza che man mano incominciava a calare, rendendo i contorni delle figure più sfocate; un giorno si sarebbe anche prodigato nell' accendere un fuoco -sì, dentro la Stamberga- ma non quella volta. «Ha una consistenza strana» lasciò scivolare lo sguardo sull' oggetto che la ragazza aveva tra le mani, uno che gli sembrava stranamente familiare. Possibile che l' avesse già visto in Villa? «Immagino che debba essere morbida per...il suo scopo» era sicuro che ognuno la usasse in modo indifferente, ma non voleva scendere nei particolari: poteva vivere senza. «Non capisco perché qualcuno dovrebbe essere interessato ad averci rapporti sessuali» abbassò il capo verso la telepata, scrutandone gli occhi come a cercare una risposta, neanche lui aveva idea di perché la gente comprasse quelle bambole fottutamente inquietanti. Si limitò a scrollare le spalle, troppo occupato a prendere tra le braccia quell' aborto, per pensarci seriamente. «Tu sai come si fa?» come si fa a fare cosa? Era sinceramente confuso, Xavier, e l' alcool in corpo non aiutava. Ci pensò un attimo, sopracciglia corrugate in un modo che, se quello fosse stato un altro fremello, si sarebbe potuto definire innocente.
    «Non ne ho mai usata una, quindi meh» scrollò le spalle, giustificando la sua ignoranza in quel modo. E in effetti non aveva idea da dove si cominciasse o...cosa di potesse fare? Era accessoriata di buchi? Non voleva davvero ispezionare quella che aveva tra le braccia, avrebbe vissuto bene nell' ignoranza.
    Vide la ragazza muoversi verso un angolo della stanza, a malapena riusciva a reggersi sui suoi piedi, quando si chinò non riuscì a capire cosa stesse facendo, il corpo della ragazza a bloccargli la visuale. «Senti, ho una cosa» non poteva vederlo, ma il pirocineta inarcò il sopracciglio, non capendo dove volesse andare a parare lei. Anche lui aveva tante cose, buono a sapersi (?). «Puoi tenertela, oppure buttarla, o farne quel cazzo che ti pare. Non mi importa. Puoi lanciarla ai cani, darla ai piccioni, riciclarla. Non è che adesso siamo amici o cosa» aveva capito dove volesse arrivare, quello che gli mancava era il soggetto di quella conversazione. Aspettò pazientemente che la telepata si girasse, avanzando verso di lui e sbattendo un piatto sul tavolino. Dovette sporgere il busto in avanti per capire di cosa di trattasse, e per poter leggere la scritta. Non sapeva perché gliela stesse smollando -così come ancora non sapeva cosa ci fosse in bambola gonfiabile stretta al suo petto, ma non sarebbe stato da lui rifiutare qualcosa di gratis. «Stavo pensando di farla a pezzi e darla ai piccioni, ma ho troppa fame» il tono della voce era volutamente ironico, non era seria in 2"122w. Non l'avrebbe mai detto ad alta voce, quel grazie dal sapore sconosciuto, che mai aveva solcato le sue labbra. Non era capace, e la maggior parte delle volte neanche gli interessava di riconoscere che gli altri si erano sforzati di fare qualcosa per lui. Sapeva anche che Jericho non era il tipo di persona che regalava torte per noia, anche se ubriaca. «I compleanni fanno schifo quasi quanto le persone che compiono gli anni» «Potrei tatuarmela in fronte, sai» non capiva a cosa c'entrasse un compleanno in quel momento, era sicuro che non fosse quello della ragazza. Il suo era già passato, e non pensava che la torta fosse per lui. «quindi, chi fa gli anni?» poteva fingere non gliene fregasse nulla del mondo, mentre in fondo era una ciatella level vecchia di paese meridionale. Se lo dici a qualcuno - HIC- considerati morto. 'Fanculo «Pensi che qualcuno mi crederebbe?» no, non lo farebbe. Neanche lui l'avrebbe fatto fino a pochi minuti prima.
    Posò la bambola gonfiabile a terra, muovendo un paio di passi finché non fu davanti al tavolino, si accovacciò e decise che quella aveva troppa fame perché lasciasse la torta intaccata. Scartò il cellophane con una precisione che non gli apparteneva, per poi prendere un unico, grande morso. «Quindi non è avvelenata? Sono sorpreso» le labbra si aprirono in un ghigno, i denti bianchi a far bella mostra di sé «da quando ti dai alla cucina? Pensavo preferissi il bullismo» una domanda legittima, quella. Spinse il piatto verso la ragazza, un pezzo di torta era stato separato grossolanamente per lei «assaggiala, dai» non l'avrebbe mai fatto, se non fosse stato per il potere dell' alcool. Era una persona tendenzialmente egoista, ma quella torta era davvero troppo grande per una persona. Se Stiles l'avesse visto, avrebbe pianto di commozione nello scoprire che forse aveva delle emozioni. Come si sbagliava.
    people need the poison
    xavier stevens


    Edited by ;royal flush - 30/9/2017, 16:53
     
    .
  3.     +2    
     
    .
    Avatar

    dressed to kill

    Group
    Special Wizard
    Posts
    639
    Spolliciometro
    +849

    Status
    Offline
    do i look like a fucking people person?
    impress no one -- telepathy | 18 y.o. | deatheater | 20.03.17
    Qual era il punto di avere degli amici, che nella lingua di Jericho significava persone che non desiderava uccidere ad ogni battito di cuore, se poi si rivelavano inutili e non erano in grado di rispondere ai grandi interrogativi della vita? Si sentì tradita, la Lowell, nel constatare l’ignoranza di Xavier Stevens riguardo all’utilizzo di una bambola gonfiabile. L’archetipo dell’adolescente medio non diceva che tutti i ragazzi fossero a conoscenza di simili… questioni? Lei, invece, era giustificata: un’artista, troppo astratta e distratta per lasciarsi affascinare da simili passatempi – e poi era una ragazza, e non era certa che le donne…potessero…usarle…? Cioè, esistevano i… beh, insomma. Sì che era diventata un po’ psicotica, ma su argomenti del genere riusciva ancora ad essere suscettibile – fatele causa. Umettò le labbra, le braccia incrociate sul petto. «neanche io ho mai usato un bazooka,» osservò, inarcando cinica entrambe le sopracciglia. «eppure so come si fa.» bello bingwatchare sense8, mh. Un debole sorriso le curvò le labbra, illuminando lo zaffiro delle iridi – lo sguardo assottigliato, leggero e friabile nella sua alcolica opacità. «hai vent’anni, e non sai neanche fare educazione sessuale a una diciottenne: a cosa mi servi?» domande legittime, secondo la drunk!Lowell, la quale pose l’interrogativo con la serietà con il quale Hitler doveva essersi interrogato su quando, e come, aprire le camere a gas. Doveva davvero trovarsi amici più opportuni con il quale affrontare l’argomento, perché erano cose che necessitava di sapere, se voleva sfottere gli altri con cognizione di causa. Preferiva essere informata, in modo da prendere –efficacemente- per il culo, e non ritrovarsi spiazzata con contro domande cui non avrebbe saputo cosa rispondere. Immaginava che avrebbe potuto chiedere ad Eugene, ma andiamo: sì che era ciatella ed ubriaca, ma confidava di non arrivare mai alla disperazione di dover porre quesiti simili al miglior amico di suo fratello.
    Che vita di merda, quando volevi fare la stronzetta, ma non avevi le risorse per farlo.
    «ma non la senti che è gomma? Cioè, ew?» che ne sapeva, la Lowell, che di coiti aveva solamente colto immagini fra le dita che, imbarazzate, le coprivano la vista nel vedere le orge su netflix. Un calo di reputazione, me ne rendo conto, ma dai: era debole, lei. Una bambina dallo sguardo adulto ed il dito sul grilletto.
    E poi era giunto il momento di totale black out, gesti guidati dall’ebbrezza dell’alcool a scaldarle le vene e confonderle sensi di per sé labili, impercettibili. Perché Jericho Karma Lowell, di natura, non era… cattiva: era ingenua, malleabile, testarda – non cattiva. Le avevano insegnato a diventarlo nei due anni appena passati, quasi obbligata a diventare quello sputo di società del quale il mondo aveva bisogno. Essere misantropi e repellere il genere umano, non implicava una nota sadica e malevola: semplicemente, non aveva voglia di interagire con gli altri, e da che ne sapesse, non era un reato.
    Dimostrare la propria umanità, invece, lo era. Da sobria mai, mai Jericho si sarebbe spinta così in là: un conto era fare qualcosa, un altro rendere consapevoli gli altri di averlo fatto. Tendeva a far scemare l’aria da dura che, con i sorrisi taglienti, si era artificiosamente costruita attorno al delicato aspetto da bambola di porcellana; sminuiva le lame che nascondeva nelle tasche della felpa, l’odore di canna che impregnava il cappuccio.
    Fare torte, diciamolo, non era affatto cazzuto. Chi faceva torte, quando si potevano comprare quelle già fatte – e belle che erano? Gente come Stich, come Amos, come Elijah - come Run - potevano permetterselo, privi di una reputazione da difendere. Anzi, quella era la loro reputazione, e lungi dalla Lowell criticarli (più o meno. Dipendeva, ecco). Non Jericho Karma Lowell. Perdeva charme.
    Eppure, tant’era.
    Vi dirò un segreto: si divertiva perfino, Jericho, a cucinare dolci, quando non litigava con la glassa o la panna montata, e non si vedeva costretta ad imprecare in cinese mandarino – cosa che accadeva assai spesso, come prevedibile. Era come fare origami, come disegnare un paesaggio, come fare una corona di fiori o piangere guardando il finale di O.C.
    In pratica, tutto ciò che avrebbe preferito non rivelare a nessuno – quei segreti da portarsi nella tomba, sapete. Meglio la nomea da cecchino che quella da Benedetta Parodi.
    O che Dio ce ne scampi, Antonella Clerici.
    Non rimpianse, la Lowell, di aver fatto una torta a Xav: si pentì solo, nel momento in cui la fece scivolare davanti a lui, di avergliela consegnata. Non erano quel genere di amici, loro. Potevano dar fuoco ad una scuola o bucare i palloni dei bambini che giocavano al parco come i veri bulli, ma non si scambiavano torte o video di gattini.
    Però, a loro modo, erano amici. Credeva? Dopo diciott’anni, ancora non aveva ben chiaro il concetto di amicizia. Lo tollerava affettuosamente? Valeva? «quindi, chi fa gli anni?» O forse no. Lo osservò sbattendo lentamente le ciglia, un po’ perché si trattava di un gesto dalla coordinazione non sottovalutabile, ed un po’ perché non poteva credere alla domanda appena udita. Ma era scemo? Ritardato? Doveva davvero, davvero davvero, costringerla a farglielo ammettere? Come se non fosse stato abbastanza difficile ed avventato, dargliela. Inarcò un sopracciglio, le ginocchia raccolte al petto ed uno sguardo allusivo nella sua direzione. «tu?» perché quando si era in difficoltà, rispondere ad una domanda con una domanda pareva sempre la soluzione più appropriata. «Pensi che qualcuno mi crederebbe?» Ed allora il sorriso, lento e sornione, tornò a curvarle le labbra. Sapeva che, in un mondo normale e per una ragazza normale, quello non sarebbe stato un complimento – ma con la perizia con la quale ella s’era intestardita a costruirsi l’immagine di ragazza difficile, non potè che sentirsi scaldare da quelle parole. «è il complimento più dolce che qualcuno mi abbia mai fatto» ed avrebbe dovuto dirvela lunga, sui complimenti ricevuti in vita sua.
    O sul suo concetto di lusinga.
    «Quindi non è avvelenata? Sono sorpreso» Si chinò in avanti, traballando come un castello di carte (ma fingendo di non accorgersene, e che la stanza attorno a lei fosse ben stabile), e poggiando i gomiti sui braccioli della poltrona, si prese il viso fra le mani. «forse» socchiuse le palpebre, la mano destra a mimare una pistola verso il pirocineta. Puntò l’indice contro la torta e premette un invisibile grilletto, con tanto di sibilo fra i denti, quindi spostò il dito verso di lui. «o forse mi hanno assoldato per ucciderti. Di recente hai creato problemi a qualcuno, stevens?» un sorriso languido e satollo, gli occhi ferini ridotti ad una fessura. «hai dato fuoco alla cassetta della posta di un politico? hai adottato un bambino dalla gang del burundi sbagliata?» tamburellò con le dita sulle guance, reclinando il capo. «hai finito i biscotti di stiles? O peggio annuì piano, evocativa come Frizzi quando apriva la busta alla Ghigliottina. «hai illuso nathaniel di essere jayson, e gli hai dichiarato e legittimato il tuo completo supporto nel far fiorire lo shipper club, nonché di accettare ufficialmente l’adozione - per poi spezzargli il cuore rivelandogli la verità» si ticchettò il labbro inferiore, gli occhi ora chiusi. «…o, per caso, hai messo incinta una bionda?» dramatic pause.
    Un sorriso sghembo, perché ci credeva davvero, Jer, che quella fosse un efficace satira riguardo le platino sforna bambini che giravano in quel periodo – nuova moda, ignorare i consigli della Lowell sull’uso dei contraccettivi. Pft. «occhio, sono stronzette vendicative» aveva domandato spesso ad Euge l’origine dei suoi lividi, ma lui si era sempre limitato a rispondere che erano dimostrazioni d’amore: ecco come veniva giustificata la violenza domestica, nel 2017.
    Non che fosse un suo problema.
    «ma meh, puoi star tranquillo» si strinse nelle spalle, lasciandosi cadere mollemente sullo schienale della poltrona. «ti voglio troppo bene, per ucciderti così»
    … l’aveva detto davvero? Aggiusta il tiro, Lowell. «meglio una pugnalata allo stomaco: una morte lenta, e maledettamente dolorosa.» fece ancora spallucce, liquidando l’argomento con il gesto della mano. Non voleva pensare di averlo detto seriamente, non in quel momento.
    Non mai.
    Mai. Ciò non le impedì di sentire le guance avvampare, e la cosa la fece ancora più incazzare. Voleva davvero, davvero, picchiare qualcuno. «da quando ti dai alla cucina? Pensavo preferissi il bullismo» Se si fosse stretta un’altra volta nelle spalle, le avrebbe slogate – ma in quale altro modo avrebbe potuto rispondere? “Di notto sogno anche di cavalcare unicorni e vomitare arcobaleni”?
    Insomma.
    «sono multi tasking» strinse le labbra in una linea e scosse il capo, celandosi in una modestia che le si addiceva davvero poco – e che, invero, era ciò che di più sincero aveva. «come i coltellini svizzeri» e belli che erano, i coltellini svizzeri.
    Ed evviva le metafore contenenti armi.
    «assaggiala, dai» Osservò con lentezza il piatto scivolare nella sua direzione. Lo sguardo si soffermò più del dovuto sulla fetta di torta, testardamente incastrato sul cibo – una scelta nettamente migliore, rispetto a quella di alzare lo sguardo. Erano in momenti come quello che, un poco di Jericho, desiderava ancora essere una persona normale – una di quelle in grado di interagire con le persone, di intessere sane relazioni sociali. Storse il naso, piluccando il pan di spagna con la punta delle dita. «non hai espresso un desiderio» osservò, a sopracciglia corrugate. Quand’era bambina, ed ancora nel mondo un po’ ci credeva, era la parte che preferiva di ogni compleanno. Voleva solo che Nathaniel tornasse a casa, all’epoca. «se non lo fai tu, lo faccio io, eh» Ed anche ora, Jericho, avrebbe voluto che suo fratello tornasse a casa – ma Brandon, non Nathaniel.
    E solo per avere la giustizia che le spettava.

    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
     
    .
  4.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Muggle
    Posts
    207
    Spolliciometro
    +347

    Status
    Anonymous
    1997's neutral muggle PYROKINESIS baby daddy
    Xavier dubitava di essere mai rientrato nella categoria di persone "ordinarie", non tre anni prima, né ora. Ammettiamolo, nessuno lo è completamente, lui ancora in un modo diverso: dal non sapere a come usare una bambola gonfiabile, al funzionamento degli hentai, fino al non aver mai provato l'ebbrezza di picchiare il capitano di serpeverde (a quanto parte era una sorta di rito d'iniziazione per tutti). Per un attimo aveva pensato che Jericho potesse comprendere quel disagio, si sbagliava. «neanche io ho mai usato un bazooka, eppure so come si fa» beh, lo Stevens sapeva come affogare un bambino, non era detto che l'avesse mai fatto - per il momento.
    C'era stata una volta (più di una, a dire la verità) in cui Stiles aveva provato a incastrare lui e Jay in una lezione di educazione sessuale, ancora adesso si chiedeva come fosse durato più di venti minuti.

    Xavier giunse le mani sotto al mento, un ghigno molesto a scintillare negli occhi caramello «allora, Stiles, cosa ci racconti oggi?» era diventato una sorta di appuntamento, il loro, quello, o l'essere molestati in chat dallo Stilinksi; e Xav e Jay avevano già constatato che l'ignorarlo non dava i risultati sperati. «Oggi...» fece finta di rifletterci sopra per qualche secondo, gesto che al pirocineta ricordò il professore di Controllo, per poi scattare di lato e trascinare davanti a loro una lavagnetta - come aveva fatto a non accorgersene prima? «Oggi si parla di come non fare bambini» Xavier non seppe dire da dove proveniva il grugnito che ne seguì, se da lui o Jay, in ogni caso era l'unica risposta che Stiles si meritava. Era da diversi mesi che l'ex tassorosso cercava di incastrarlo in conversazioni nel genere, chiaramente senza mai riuscirci, quello sarebbe stato l'ennesimo fallimento. Non era una conversazione che voleva avere con loro, né con nessun altro: insomma, c'era un confine in ogni cosa, quello lo superava. La sua precedente (precedente!) ignoranza sull'argomento era già imbarazzante di suo, non aveva bisogno che qualcuno glielo ricordasse «io dico di parlare di quando hai pianto vedendo Benjamin Button» «non s'intitola così» giusto Jay, ma indovina a chi non frega un cazzo. Figurarsi se Xavier si preoccupava di imparare i titoli dei film, a malapena riusciva a non addormentarcisi durante. Anzi di perdere tempo in quel modo, avrebbe potuto farsi addestrare da Marcus e Gemes - non ditemi che tirare coltelli non era più interessante.
    Pigro, un peso morto, un parassita: quelli, gli aggettivi più karini con i quali l'aveva dipinto Rea Hamilton, la quale, dopo anni passati a mantenerlo, si era rotta le palle: era arrivato il momento che lo Stevens si trovasse un lavoro, che incominciasse a portare la pagnotta a casa. Più facile a dirsi, che a farsi. Cosa ne sapeva uno come lui della vita, in quale modo avrebbe potuto rendersi utile alla società? Era uno scarto, l'ingranaggio difettoso in un meccanismo perfetto, era chiaro che non sarebbe mai arrivato da qualche parte nella vita: un fatto, non autocommiserazione.
    Però Rea insisteva, la scassapalle.
    «E' un argomento serio, quest'anno è il boom delle donne bionde incinte, non voglio diventiate padri a vent'anni» Xavier si sporse in avanti sul divano, quel che bastava a constatare se fosse serio o meno (spoiler: lo era). Non aveva ancora capito quale fosse il suo problema, se avesse battuto la testa da piccolo o fosse semplicemente così, gli faceva così pena da suscitare un vago senso d'affetto. «Allora Jay non ha problemi» perché, diciamocelo, tutti sapevano della sua cotta per Lydia - e se non fosse stato ovvio prima, le occhiate moleste dell'Henderson parlavano da sole «non so se voglio sapere» «non credo tu voglia» l'occhiolino del pirocineta raccontava più cose di quante non ne volesse far intendere.
    Indovinate chi, ancora una volta, era scampato ai discorsi molesti di Stiles?
    Era un talento.

    Intanto, Jericho Lowell era riuscita a farlo sentire inutile come i preservativi nel cassetto di Aloysius. «hai vent’anni, e non sai neanche fare educazione sessuale a una diciottenne: a cosa mi servi?» il ragazzo si portò una mano al petto, all'incirca all'altezza del cuore, la smorfia a incurvargli le labbra in un'espressione addolorata, ma come osava? «A illuminarti la giornata, che domande» che stronzina, la ragazza, pensava davvero non fosse in grado di spiegarle cose basilari come il sesso? E avrebbe avuto anche ragione, dato che era riuscito a mettere incinta la Queen - ma ne discuteremo un altro giorno, quando scherzarci sopra non gli causerà un infarto. «E sai chi usa le bambole di gomma? I quarantenni che vivono ancora con i genitori, che non hanno idea di come siano fatte un paio di tette e trovano l'idea di sfondare in bambola eccitante» non era necessariamente vero, metà di ciò che gli era uscito dalla bocca derivava da film e cose che aveva sentito dire, ma la Lowell non poteva saperlo. Diciamocelo, anche lui aveva una reputazione da mantenere, non poteva farsi cogliere impreparato e senza una risposta abbastanza da baldrh!xav; forse, se avesse dato un'occasione a Stiles di fargli tenere la sua dannata educazione sessuale, non si sarebbe sentito quella sensazione di disagio nello stomaco, una morsa a stringersi senza pietà con ogni respiro che prendeva, e no, non era per la fottuta bambola. Per qualche ora le parole della Queen erano rimbalzate inutilmente nella sua testa, vuote, senza che nessuno le ascoltasse o ci desse peso: erano solo suoni mal articolati, un bisbiglio molesto nel suo orecchio. Non doveva pensare a quel tipo di cose mentre era occupato ad odiare il mondo insieme a Jericho, gli bastava staccare il cervello e lasciarsi trascinare dagli eventi, la stessa cosa che stava accendendo fino a un paio di minuti prima. «Ma non la senti che è gomma? Cioè, ew?» «a ognuno i propri fetish» scrollò le spalle, non volendo andare ad approfondire la questione: non voleva immaginarsi qualcuno all'azione, e di conseguenza domandarsi quanto potesse piacergli quella sensazione elastica.
    «quindi, chi fa gli anni?» «tu?» se Jericho fosse stata un'altra persona, Xavier avrebbe potuto pensare che quella fosse una specie di festa di compleanno, dove ad un certo punto sarebbe spuntata gente da dietro la poltrona e dal pavimento, un po' come se fossero fottuti insetti - ma quella era Jericho, e sapeva che era pura coincidenza. Il quindici marzo, l'autentica data di nascita del pirocineta, era stato solo cinque giorni prima, ma dubitava che qualcuno al di fuori dei fremelli lo sapesse; sventolare ai quattro venti i propri affari non era mai stato nel suo stile. «Ci sei andata vicina, è stato cinque giorni fa» e ora che gliel'aveva detto, si aspettava come minimo un regalo. Skerzo, gli bastava l'amore degli amici (quali).
    Si aiutò con le dita per spezzare un pezzo di torta, portandosela alla bocca senza pensare alle conseguenze (aka che potesse esserci veleno per topi, ma questo non l'avrebbe detto alla ragazza); in realtà pensava che sotto la facciata da killer psicotico ci fosse una Benedetta Parodi, forse Elisa sta delirando perché deve postare anche al funerale e sente la pressure.
    Scusa Cidi, love ya ma devo tagliare brutalmente.
    Le teorie della Lowell, almeno fino a quel momento, erano state l'una più assurda dell'altra (Nathaniel si sarebbe limitato ad azzerargli il conto stelline, al massimo) finché - FINCHÉ - se ne uscì con la frase del secolo, quella che riuscì a far scemare tutto l'umorismo nel volto di Xavier.
    Beh, ci aveva azzeccato.
    «…o, per caso, hai messo incinta una bionda?» era patetico da parte sua, ma aveva bisogno di dirlo a qualcuno.
    Qualcuno come lui.
    «Indovina quali delle precedenti è canon.»
    Voleva un po’ morire, Xavier Stevens. In quel momento sperava che quella torta fosse veramente avvelenata e che, nel giro di pochi minuti, facesse effetto – sapeva quello che avrebbe detto drunk!jericho, ciò non toglieva che aveva bisogno di sentirselo ripetere: sei un coglione, Stevens.
    E lo era.
    Tanto, troppo per pensare alla responsabilità di un figlio.
    Era così perso nei suoi mille scenari, che a malapena sentì le parole della telepata. Per un attimo aveva pensato di aver capito male, «ti voglio troppo bene, per ucciderti così», non era ciò che si aspettava da lei. Non nei suoi confronti, non da nessuno.
    Erano amici – o così lui la considerava – ma non ti quel tipo, preferivano mandarsi a fanculo piuttosto che regalarsi torte, tutto quello scenario pareva così alieno che lo Stevens stava iniziando a pensare di allucinare. Non era adatto a quella situazione, non per il suo campo - che doveva fare? Lui, sempre perfettamente in controllo, che stava perdendo la bussola (o la testa, dipende dalle correnti filosofiche). «E’ bello sapere che mi vuoi così bene da farmi morire atrocemente» fece scivolare il piatto contro le assi di legno, l’altra mano impegnata a fare l’uccello alla ragazza «non vedo l’ora di provare» era per gli sport estremi, Xavier.
    Osservò Jericho assaggiare la torta (peccato, allora non era avvelenata), stupendosi di come un’ azione così normale potesse sembrargli aliena: per diciassette anni non aveva neanche mai visto una torta dal vivo, tanto meno assaggiata. Certe volte si chiedeva come dovesse essere fare la bella vita, tenere il fottuto barbecue della domenica insieme ai vicini, cose che sospettava Jericho avesse avuto una volta.
    Ma non lo poteva sapere, non se ne sbatteva particolarmente degli altri.
    E loro non lo facevano con lui.
    Il circolo perfetto della vita, insomma.
    «non hai espresso un desiderio, se non lo fai tu, lo faccio io, eh» non doveva essere andato così lontano dalla realtà, allora. Fino a pochi giorni prima, neanche sapeva di dover esprimere un desiderio, o come funzionasse. Non poteva dire di essere del tutto convinto neanche in quel momento «non credo a queste cazzate, non penso pioveranno dal cielo dei biglietti per il messico» tirò le labbra in una linea dritta, lo sguardo perso da qualche parte alle spalle di Jericho.
    Fare i bagagli e abbandonare tutto e tutti, non sembrava una cattiva idea.
    people need the poison
    xavier stevens


    Edited by ;royal flush - 30/9/2017, 16:54
     
    .
  5.     +1    
     
    .
    Avatar

    dressed to kill

    Group
    Special Wizard
    Posts
    639
    Spolliciometro
    +849

    Status
    Offline
    do i look like a fucking people person?
    impress no one -- telepathy | 18 y.o. | deatheater | 20.03.17
    Strisciò i piedi sul pavimento polveroso della Stamberga, le gambe premute contro il petto. Dovette perfino togliersi gli occhiali da sole, Jericho Lowell, dato che con le lenti scure non riusciva più a vedere un fico secco nella debole luce della ... Non aveva idea di che ore fossero, ma non vedeva una sega comunque. Si morse l'interno del labbro inferiore, aggrottò le sopracciglia. Tacque perché pensierosa, incapace di riuscire ad afferrare le idee prima che si perdessero nei meandri liquidi di una mente annebbiata dall'alcool. Era una telepata, Jericho, ma preferiva non usare il proprio potere quando poteva evitarlo - si interessava delle vite degli altri fino ad un certo punto, e scavare nei loro pensieri più profondi non rientrava in categoria. Con gli amici, poi, si sforzava di chiudersi in se stessa: erano già labili e delicati i legami che la univano agli altri, non aveva alcuna intenzione di sapere cosa realmente pensassero di lei. Però, santo cielo, Xav non la stava aiutando. Sentiva un immagine premerle ai bordi della coscienza minacciando di superare le difese, ed aveva bisogno di tutto il proprio auto controllo per impedirle di entrare. Alla fine le lezioni con il suo fratellone stavano dando, fortunatamente, i loro frutti. Osservò lo Stevens a palpebre socchiuse, la testa poggiata sulla spalla perché incapace di reggersi da sé. Diciamocelo, Jericho era un'amica di merda. Probabilmente, prendendo come unità di misura ciò che il mondo implicava nell'etichetta amicizia, non lo era affatto e per nessuno. Non era fatta per i pigiama party, non era una spalla su cui piangere, non parlava di ragazze ragazzi e non confessava i propri segreti; d'altro canto, quelli che definiva amici, si comportavano esattamente allo stesso modo con lei: Thad, Xav, Darden. Non era una stupida, aveva visto abbastanza telefilm da saper riconoscere quando una persona non stava bene, semplicemente aveva sempre ritenuto non fosse compito suo domandare quale fosse l'origine del turbamento. Così distolse lo sguardo dal pirocineta sentendosi improvvisamente a disagio, una mano a grattare distratta la nuca e l'altra a stringersi sul proprio ginocchio. Alzò gli occhi al cielo alla ricerca del supporto che era certa gli mancasse: era nata priva di quel genere di empatia, o della mera capacità di intrattenere una conversazione che non implicasse la morte di qualcuno (anche la propria, talvolta). «ehi, maaaan, senti» tossì nervosamente, l'imbarazzo a colorarle le guance di un pallido rosa. Perché un poco le dispiaceva, non riuscire ad essere quel tipo di persona. Perché okay, va bene, era un po' psycho e mentalmente instabile, ma non era dura quanto amava far credere. Le piaceva che le persone avessero paura di lei, le piaceva il senso di potere che ne derivava, ma... Non voleva rimanere da sola, ecco. Non sarebbe stato altrettanto divertente. E sapeva, Jericho, che prima o poi i suoi difetti le si sarebbero ritorti contro - di nuovo.
    «lo sai che... insomma» agitò una mano nell'aria. «se qualcosa non va, voglio dire...» ancora si schiarì la voce, il naso arricciato e le labbra strette fra loro. Ma come vivevano le persone normali? Come faceva la gente che riteneva quelle conversazioni parte della loro quotidianità? Si sentiva dentro una fottuta puntata di Dawson's Creek - e la parte peggiore, era che si sentiva Dawson. «cioé, no. Non che mi interessi, non esageriamo, ma» si resse il mento fra le dita, ruotando infine gli occhi chiari sul ragazzo. «se sei turbato, no... possiamo parlarne fra una persona e l'altra da picchiare, sai. O una canna e una bottiglia di vodka - cose così» fece spallucce, lo sguardo ora testardamente basso sui propri piedi. «fanno così gli amici, no? Uccidono qualcuno, condividono some deep emotional shit, occultano il cadavere - rubano palloncini ai bambini, picchiano le suore, sparano ai testimoni di geova » sollevò un braccio di fronte a sé, il palmo aperto verso il soffitto, prima di farlo ricadere pesante al proprio fianco. «sai come funziona. Giusto per fartelo sapere, ecco, in caso - boh» era così imbarazzante per tutti o solo per lei? Chissà? Fece ancora spallucce, una mano a raccogliere il cappuccio per pigiarselo sulla testa. Le bastò sentire il tessuto attorno al capo per avere un ritrovato senso di conforto e sicurezza - finalmente qualcosa in cui era brava! Un talento, il suo. Come Horatio e gli occhiali da sole. «come vuoi.» biascicò infine, le dita a scivolare distratte sulle sopracciglia.
    Che assurda la vita da au!Dawson Lahey.
    sono due anime gemelle il cui legame è più forte dell'amicizia e persino dell'amore e destinate a stare insieme in una realtà ultraterrena per sempre.
    Molto kind of. In realtà non c'entrava proprio una sega, ma è sempre un buon momento per worshippare le preghiere Oblivion.


    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
     
    .
  6.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Muggle
    Posts
    207
    Spolliciometro
    +347

    Status
    Anonymous



    1997's neutral muggle PYROKINESIS baby daddy
    Forse aveva esagerato con l'alcool. Forse, a quell'ultimo goccio di opaco whisky a dondolare sul fondo della bottiglia, non avrebbe dovuto dirsi perché no, quando già lo stomaco brontolava pieno di liquidi a bruciare i tessuti. Forse quell'ultima canna non avrebbe dovuto accenderla, la vista già opaca e la mente confusa ed annebbiata.
    Forse era troppo sbronzo, troppo fatto - anzi, sicuramente - perché il suo cervello non riusciva ad interpretare in modo corretto, e socialmente accettabile, le parole della telepata. Aprì la bocca per rispondere, le sopracciglia corrugate ed indispettite per quella confidenza che di certo non avevano, ma poi la richiuse. Cosa avrebbe dovuto risponderle? Già era confuso dal fatto che una sociopatica tascabile facesse torte di compleanno, non era pronto al brofist durante il tramonto e lo sleepover club di maratone, boh, Freddie Kruger o Halloween. Era una dualità dal sapore ferroso e sbagliato, ad aprire un infinito mondo di possibilità: allora aveva ragione, Xav, quando sopra la tazza di caffè faceva notare a Stiles la sublimata psicopatia di Stich (Cristo, quando parlava nel sonno sembrava di sentire i dialoghi del fottuto esorcista). O Stiles, quel pirla di suo fratello, avrebbe potuto di punto in bianco prendere un mitra e fucilarli tutti. Se i disturbi della personalità potevano andare a braccetto con la glassa reale, allora anche, boh, Jayson di punto in bianco avrebbe potuto cominciare a ridere. Divertirsi. Anche solo sorridere.
    Non poteva accettarlo.
    Scosse il capo, la testa leggermente reclinata. «mh, grazie. Credo» si inumidí le labbra, socchiuse le palpebre. Cosa si aspettava da lui? Non erano quel tipo di amici, loro due. Anzi, Xav non aveva quel tipo di amici proprio in generale. Non gli piacevano quelle conversazioni personali, preferiva gli scambi di battute che implicavano data e luogo dove avrebbe dovuto dar fuoco a qualcosa - o a qualcuno. Era per quello che aveva accettato di vivere con gli Hamilton: non gli chiedevano come stava, si limitavano a lasciargli biglietti con le case da bruciare. Era quello il genere di rapporto che intendeva avere con le persone.
    Certo, non aveva mai avuto quel peso a gravargli sui polmoni, costringendolo ad esagerare un altro po' con droga ed alcool per fingere di dimenticarlo. Non aveva mai compreso la necessità di avere quel genere di amicizie, finché una psicopatica bionda non aveva bussato alla sua porta per dirgli che l'anno dopo avrebbe dovuto festeggiare la festa del papà. Maledetta stronza che non era in grado di usare in modo corretto la fottuta pillola anticoncezionale. Avrebbe dovuto ascoltare i consigli della gente più saggia Run e sbattersi una prostituta in qualche bar di Caracas, se proprio voleva togliersi lo sfizio. Loro la comprendevano l'importanza del mantenere integri e vuoti i loro ovuli.
    «peró smettila di fare l'essere umano. mi metti i brivid- cristo» si chinò appena in tempo per evitare un pugnale volante, il sibilo a tagliare l'aria dove fino ad un attimo prima c'era la sua spalla.
    Ecco, ora la riconosceva. Un sorriso sghembo gli curvó appena le labbra, un sopracciglio arcuato. «infame.» ma non lo pensava davvero - o almeno, non del tutto. Quello era confortante, normale. Quello gli andava bene, perlomeno.
    «lasceresti senza braccia un neo padre? Rude, Lowell» ed ecco come Xavier Stevens diceva ciò che gli passava per la testa: espressione impassibile, tono apatico e distratto, non un cenno di emozione nell'occhiata distaccata alla ragazza.
    Però l'aveva detto, ad alta voce. Cristo signore, l'aveva detto davvero.
    «volevi sapere cosa non va? Non va che non so che cazzo fare» si strinse nelle spalle, lo sguardo a posarsi distratto su un punto oltre le spalle di Jericho. Perché Elsa gli stava sul cazzo (purtroppo, letteralmente) ma... un figlio, suo. Non poteva permettere che rimanesse con quella psicolabile. E la verità era che non poteva fare finta di niente come al solito, lasciare che lo sacrificasse a Satana, o che lo abbandonasse - non poteva permettere che quel bambino facesse la sua stessa fine.
    Non l'avrebbe permesso.
    Certo, saperlo non lo rendeva più semplice - si parlava pur sempre di Xavier Stevens, a malapena sapeva che forma avesse una famiglia. Non era certamente pronto a cambiare pannolini o cullare testine di minchia per farle addormentare - ma una sua, testina di minchia. Era una sua responsabilità.
    Non gli piacevano particolarmente, le responsabilità.
    «magari far fuori la madre mi farà sentire meglio» osservò pensoso, mordendosi appena il labbro superiore. Ecco, quello era un pensiero che già gli piaceva di più - più comodo e semplice, nonché soddisfacente nella sua sottile vendetta. Gli dispiaceva che non avrebbe avuto una madre, il mini sé, ma meglio non averla che avere una Queen - e no, avrebbe dovuto impedire a Stiles di diventare quella madre. Aveva bisogno di un piano.
    Ma non era quello il momento - ci si metteva un po' a partorire, no? Aveva tempo per cercare su YouTube e wikihow, boh. Era uno Xavier, un modo l'avrebbe trovato.
    «comunque non male la torta, chef tony» cosa? Aveva cambiato argomento? Figuratevi. Lui non era certo così infantile - si okay avrebbe voluto non parlarne mai più finché morte non l'avesse preso amen.
    people need the poison
    xavier stevens
     
    .
5 replies since 4/3/2017, 03:11   422 views
  Share  
.
Top