Radio silence

Nathan x Freya

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    GARDNER FREYA
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    DON'T FROWN BECAUSE SOMEONE IS FALLING IN LOVE WITH YOUR SMILE
    Erano trascorsi alcuni giorni dalla notte in cui il capanno era saltato in aria, lanciando tutto intorno tocchi di legno carbonizzati ed ancora in fiamme. L'esplosione aveva avuto un grande impatto sull'ambiente circostante e bene o male erano stati tutti quanti colpiti, eppure nonostante Freya si trovasse al suo interno, era riuscita a sopravvivere. Ancora cercava di capire come fosse possibile rimanere ferita superficialmente quando altri erano stati feriti gravemente, erano morti. Non aveva assistito personalmente alla morte di quelle persone, ma aveva sentito le urla ed i pianti di chi non era riuscito a salvare le persone amate, di chi in una sola notte aveva perso tutto, la speranza li aveva abbandonati, per nulla intenzionata a tornare sui suoi passi. Ricordava di aver abbracciato a lungo Tiffany quella notte, la persona che l'aveva condotta in quella landa desolata e che aveva avuto bisogno di lei, per fortuna una di quelle persone che erano riuscite a salvarsi. Aveva pianto abbracciandola, ed a nulla erano serviti i disperati tentativi del panico di staccarla dall'altra, era tanto sconvolta da essersi dimenticata per qualche minuti la sua riluttanza, la fobia che provava nei confronti del contatti fisico. Era svanito tutto in una nuvola di fumo. E la luna, unica e vera testimone degli avvenimenti di quella notte, aveva dimenticato di brillare o forse aveva deciso che una luce opaca era migliore, rendeva l'atmosfera cupa ma era giusto così, un'atmosfera allegra e brillante sarebbe stata irrispettosa. Per un momento aveva temuto sarebbe morta. Era stata risparmiata ma questo non toglieva il fatto che la pesantezza di quella notte ancora le pesava addosso. Era stata una lunga notte. Non era riuscita a chiudere occhio, il ricordo di ciò che aveva visto e sentito l'aveva tormentata a lungo. La mente non le aveva dato tregua e dietro le palpebre gli occhi prima chiusi, poi spalancati e fissi sul soffitto della stanza a Different Lodge. Rivedeva ciò che era accaduto in loop, l'inconveniente era il finale, miliardi di possibilità le erano venute in mente, possibilità una più tragica dell'altra. Nonostante stessero tutti effettivamente bene, fossero miracolosamente vivi, continuava a vedere i volti dei componenti della squadra, di Tiffany e di Nate, riversi a terra in una pozza di sangue. Razionalmente sapeva che stavano bene e che erano salvi, ma la mente non le dava tregua ed il panico si era impossessato delle membra, facendola apparire perfino più insana di quel che già di norma era.

    I giorni successivi erano passati in un soffio tanto che a malapena ricordava cosa aveva fatto, le lezioni erano state quasi accantonate e lei stessa aveva trascorso la maggior parte del tempo rintanata nella stanza, al sicuro tra le coperte calde. Aveva pianto, il volto premuto contro il cuscino, in un disperato tentativo di fermare quel dolore, quella paura che ancora provava.
    Paura.
    In vita sua era stata spaventata innumerevoli volte, aveva vissuto diverse situazioni che l'avevano portata a temere il mondo esterno e le persone che le si avvicinavano, ma quella notte era cambiato qualcosa. Il timore si era trasformato in una paura vera e propria, terrore. Le bastava scorgere l'ombra di un ramo muoversi seguendo il vento leggero, all'esterno della finestra, per venire volta dalla paura, i ricordi bussavano prepotenti ed a nulla era valso il tentativo di chiuderli fuori dalla porta, entravano comunque.
    Era prigioniera nella sua stessa casa, il tempo era tornato indietro ai tempi in cui la giovane era tenuta prigioniera nei laboratori degli estremisti ribelli. Provava un analogo senso di soffocamento ed al tempo stesso uscire dalla cella, dal letto, le metteva più ansia dell'idea di dover subire altre torture. Non versava nel miglior stato mentale e ciò cui aveva assistito l'aveva scossa più di quanto volesse anche solo immaginare, ammetterlo era estremamente difficile. E Freya aveva un'abilità innata nello mentire, a sé stessa principalmente. Tutto nella norma insomma.

    Eppure in quei ricordi di sangue e sudore, c'era qualcosa, o meglio qualcuno, che portava serenità nella mente e nel cuore della rossa, un paio di occhi marroni, quel marrone brillante con una punta di verde, il bosco. Un paio di occhi gentili. Li vedeva sorridenti, tristi, preoccupati. Vi leggeva molte emozioni, tante sfumature quanto erano i colori principali delle iridi che le davano un senso di protezione e sicurezza mai provati prima d'ora. Era l'unica persona in grado di trasportarla fuori la bolla di vetro che si era costruita attorno come una patina protettiva, l'unico a non aver perso la speranza dinnanzi le difficoltà incontrate da Freya, difficoltà legate principalmente alle patologie mentali di cui soffriva, le fobie erano forse le più gravi.
    Per un momento soltanto chiuse gli occhi.
    Poteva percepire il calore e la morbidezza delle labbra altrui contro la fronte fredda, quando tempo era passato dall'ultima volta in cui qualcuno l'aveva trattata con tanta cura ed amore. Ricordava l'esatto momento in cui le labbra dell'altro si erano spostate incontrando le proprie gonfie e screpolate per le torture cui i denti le avevano sottoposte. Un tocco fugace che l'aveva fatta tornare a respirare.
    Ti amo.
    Era fuggita al suono di quelle parole, scappata alla confessione dell'unico ragazzo che fosse riuscito ad abbattere le sue difese e forse il problema era proprio quello. I laboratori l'avevano resa insicura, facendo emergere ogni paura che negli anni aveva soppresso, facendo tornare a galla ogni sensazione negativa. Avevano rimescolato le carte in tavola rendendola più vulnerabile di ciò che già era. Fuggire da Nathan e dai suoi sentimenti era parsa la soluzione migliore. Decisione di cui tuttavia aveva cominciato a pentirsi appena raggiunta la cosiddetta comfort zone, ovvero la sua stanza. Una volta che l'adrenalina ebbe lasciato il corpo della giovane, le era piombato addosso tutto come per magia, ciò che aveva provato aveva iniziato a perseguitarla e se Nathan non era con lei era solo colpa sua.
    Tre giorni.
    E proprio allo scadere del terzo giorno Freya si decise a rompere il silenzio radio con l'altro, inviandogli un gufo. Se l'avesse scacciata avrebbe capito perfettamente, in fin dei conti si era comportata male nei suoi confronti ma non voleva dire o fare cose che avrebbero peggiorato la situazione tra di loro. Aveva avuto tre giorni di tempo per analizzare la situazione e sopratutto per fare luce dentro di sé, cercando una risposta a quella confessione cui era sfuggita abilmente. Tre giorni interminabili che le avevano permesso di capire una cosa: Nathan era importante. I modi dolci, quasi impacciati, dell'altro era forse la cosa che amava di più nell'altro, erano così naturali. A volte era un po' imbranato, ma era un imbranato positivo. Poi c'erano i modi di fare dell'altro, quante premure le riservava, quanta dolcezza immeritata. Era la persona più dolce e gentile che avesse mai incontrato e talvolta si chiedeva se fosse tutto reale oppure se facesse tutto parte di una recita.
    Aveva indossato un paio di jeans scuri, una camicetta bianca ed un cardigan rosso e poi senza dire una parola a nessuno era uscita dai confini della scuola, i passaggi segreti in realtà avevano smesso di essere un segreto anni addietro, eppure restavano l'attrazione di vanto del castello. Aveva chiesto a Nathan di incontrarsi a Diagon Alley precisamente nel parco con gazebo, Avis. Aveva preso un paio di bicchieri di caffè d'asporto immaginando ne avrebbero avuto bisogno per parlar,e perchè in fondo se n'era andata senza dire una parola e Nathan meritava di più. Perchè in fondo lui le era stato accanto come nessuno aveva fatto, l'aveva protetta e l'aveva fatta ridere. Era importante anche se aveva fallito nel tentativo di dimostrarglielo. Dicono che se non si ha niente di carino da dire è meglio tacere, a volte delle scuse sono addirittura più gradite.
    Prese posto su una panchina perdendosi nell'osservare degli uccelli svolazzare tra le fronde simili a quelle di quella notte, ma era impossibile. Non si trovava in un bosco chissà dove, era nel centro di Diagon Alley, cosa poteva mai capitare lì? Era al sicuro. Doveva esserlo.
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    Edited by mephobia/ - 14/1/2018, 16:59
     
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    Nathan Wellington
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    I vestiti impregnati di sudore e sangue avevano ancora addosso il caldo dell'esplosione, la pelle bruciava ancora al ricordo di quelle fiamme, i capelli erano pieni di cenere bianca, la fuliggine gli rivestiva il volto come un velo funereo, mentre l'arco giaceva ormai inutilizzabile contro le sue gambe: la corda sfilacciata, il legno mangiato dal fuoco e scheggiato da chissà cosa, uno dei flettenti rotto per l'impatto col terreno. Ma non poteva fregarsene di meno, Nathan Wellington, mentre la vedeva andarsene via. Avrebbe voluto vedere quella chioma scuotersi, mentre il capo di lei si girava per un ultimo sguardo e poi un altro e un altro ancora, perchè Nathan non poteva vivere in un mondo sapendo dell'esistenza di quello sguardo ma senza poterlo rivedere. Non poteva. E allora perchè non stava correndo? Perchè la sua mano non stringeva quella di Freya per fermarla, per farla girare e chiederle di restare? Perchè non era arrabbiato per quel comportamento così assurdo? «perchè sei un idiota, Nathan Wellington». Quei baci dovevano pur aver avuto un significato, però, dovevano voler dir qualcosa per entrambi, non poteva trattarsi di semplici e vuote dimostrazioni di affetto. Le carezze che avevano disegnato l'uno sulla pelle dell'altra non potevano essere già svanite, consumate dal fuoco o cancellate dalla memoria. Lui ricordava ancora quello che aveva provato, il piacere nel sapere che i suoi sentimenti erano ricambiati, la gioia nello scoprire che quei sogni fatti ad occhi aperti si erano tramutati in realtà, seppur nel momento meno opportuno. Come si poteva ignorare quel qualcosa che li aveva legati, quell'affetto che Nathan aveva sempre ricercato e che gli era sempre stato proibito. Non era la semplice cotta passeggera che veniva a tutti, poteva percepire il suo animo scendere sempre più in basso, alla ricerca di qualcosa per aggrapparsi prima di svanire in un vortice di sensazioni sconosciute e altrettanto meravigliose, sensazioni che non erano mai abbastanza e che generavano in Nathan quel desiderio, quell'assuefazione che l'aveva spinto a cercare un contatto con lei, dopo tutto quel tempo. Ironico parlare di contatto, quando la persona di cui si parla soffre di afefobia, ma per Nathan quello non era un problema: le sue mani potevano stringersi attorno a quelle di Freya ogni volta che volevano, poteva accarezzarle le guance e abbracciarle la vita se voleva, perchè la ragazza non sembrava reagire negativamente al suo tocco. Lui poteva, perchè c'era qualcosa che andava ben oltre il contatto fisico, qualcosa che superava le mere barriere della percezione dei sensi. I sensi possono trarre in inganno, guidare le persone sulla via sbagliata, e per questo quello che Nathan credeva di aver visto tra se e Freya era vero. Ma una notte è lunga abbastanza per costruire una certezza e poi demolirla. Non aveva messo in conto, Nathan Wellington, che la sofferenza era dietro l'angolo, che avrebbe preferito rimanere freddo e inerme sul terreno piuttosto che vederla andarsene via. Poteva rincorrerla, gridarle di fermarsi o sbarrarle la strada, ma non lo fece. Rimase lì, le braccia che stringevano Erin ancora turbata da ciò che era successo negli attimi precedenti, mentre lo sguardo fissava malinconico la schiena sì certo la schiena, brutto marpione di Freya, pregustando già la mancanza del suo tocco e la solitudine delle sue dita non più intrecciate con quelle di lei. Perchè per quante domande si facesse, per quanto ancora fingesse di non sapere perchè stava succedendo quel che stava succedendo, conosceva il suo errore. Come un pugno nello stomaco quelle parole rimbombarono colpevoli nel suo cranio, proiettili che avevano trapassato e distrutto quel legame che era riuscito a creare con Freya: Ti amo.

    ϞϞϞ



    Aveva questa cattiva abitudine, o forse maledizione, di rovinare ciò che di bello aveva. Ma quella volta aveva una scusa, e anche buona: stavano morendo. Erano lì, in quel capanno pronto ad esplodere da un momento all'altro, le fiamme li circondavano in un caldo e letale abbraccio, mentre la morte mieteva le sue sei vittime. Erano da soli, circondati, giovani, persi e pronti a morire, se questo voleva dire restare insieme, ma Nathan non avrebbe lasciato quel mondo senza un ultimo gesto teatrale per dimostrarle quanto tenesse davvero a lei. Ma aveva esagerato, come suo solito, e aveva solo reso tutto più difficile ed imbarazzante. Non si sarebbe mai aspettato di sopravvivere, non avrebbe mai immaginato che uomini dalle tutine bianche e azzurre li avrebbero eroicamente salvati, non aveva pensato al seguito di quella frase. «ti amo» e poi? Cosa si aspettava, si aspettava di sentirselo dire anche da lei? Si aspettava davvero che una ragazza come Freya, una ragazza che ne aveva viste di tutti i generi, che aveva sofferto più di chiunque altro conoscesse, che aveva perso la fiducia nelle persone fino a temerne il solo contatto, dicesse con così tanta facilità quelle due parole? Era stato un ingenuo, aveva lasciato che la sua mente parlasse sena permesso, ma stavano morendo. Freya aveva sofferto e Nathan aveva solamente voluto darle qualcosa che le lasciasse un bel ricordo. Un bel ricordo di lui, di quel posto, di quella vita. Non era previsto che sopravvivessero, non che Nathan non ne fosse felice, ma la paura di vederla andare via con un brutto ricordo di quell'esistenza l'aveva assalito e non aveva potuto fare diversamente. «paura» ripeté la voce nella sua testa, mentre la musica si riversava nelle orecchie. Erano passati tre lunghi giorni, 36 ore di angoscia, domande, riflessioni e pippe mentali. Gli avrebbe mai rivolto la parola? Avrebbe mai rivisto quegli occhi verdi? Era finita per sempre? Erano destinati ad essere solo amici o nemmeno quello? I punti interrogativi erano innumerevoli e disordinati, un campo minato che faceva esplodere domande ad ogni passo. Non aveva il tempo di pensare ad una di queste che già un'altra si poneva, inesorabile e seguita dal silenzio di chi non sa rispondere. Ma c'era una domanda che lo assillava, una domanda che lo aveva preso e gettato nell'abisso dello sconforto: cosa provava lei per lui?
    Nathan aveva bisogno di saperlo, se mai avesse avuto la fortuna di rivederla, se mai avesse avuto l'occasione di poter ricominciare, aveva prima di tutto bisogno di sapere cosa provava lei. La notte porta consiglio, recita il detto, e Nathan non poteva essere più d'accordo: la notte del sedici novembre aveva sicuramente chiarito le idee di Nathan su coso provava realmente per Freya. L'imbarazzo, la goffaggine e la spontaneità che la sua presenza gli provocava non erano certamente sparite, ma almeno sapeva da cosa dipendevano: Freya gli piaceva, ma davvero davvero davvero davvero molto. Talmente tanto che se un gruppo di mariaci vestiti da Spice Girl gli avesse chiesto «So tell me what you want, what you really, really want» lui avrebbe risposto in tutta sicurezza «I'll tell you what I want, what I really, really want. I wanna, I wanna, I wanna, I wanna, I wanna really, really, really wanna Freya » per poi unirsi a loro in una longeva e prosperosa carriera di performer in giro per l'Europa dell'Est, ma questa è un'altra storia #wat.
    Insomma, il mimetico aveva almeno una certezza, qualcosa a cui poteva aggrapparsi e che non richiedesse un'accurata e profonda indagine. Qualcosa che non gli poneva nessuna domanda e che gli dava la forza di andare avanti nonostante quelle che gli affollavano il cervello. Fu quasi un sollievo quando, sopra la chitarra acustica suonata dal cantate nel suo telefono, sì udirono tre colpetti contro la finestra della sua camera. Le domande, i dubbi e le esitazioni si dissiparono, come quando nei cartoni animati i personaggi agitano le mani per far svanire il fumo. La mente sgombra e le gambe che già correvano verso il davanzale. Fece scorrere gli infissi, sollevando il vetro, mentre la mano veniva offerta al gufo come trespolo per entrare nella stanza. «non aver paura, vieni dentro» gli occhi speranzosi di Nathan osservavano la lettera stretta nel becco, mentre gli artigli gli avvolgevano il polso «così, bravo ragazzo» la mano accarezzò dolcemente la testolina piumata del volatile, che si mosse di scatto per mordere il pollice del ribelle, ma questi fu più veloce e sottrasse il dito alla presa del becco «okay scusami, brava ragazza. Va meglio?» l'animale sembrò quasi sorridere, mentre la testa si scuoteva per arruffare le penne, lasciando cadere a terra la busta di carta. Con uno scatto fulmineo le dita afferrarono l'involucro prima che toccasse la moquette vecchia e ingiallita. La aprì con frenesia, le dita tremolanti ci misero un po' prima di riuscire a strappare la carta che avvolgeva il bigliettino e, mentre le pupille correvano da destra a sinistra attente a leggere ogni riga già in ansia per quella successiva, un leggero sorriso andava via via aprendosi sul volto del ragazzo. «Ehi Nate, senti» un ribelle si avvicinò alla porta alle spalle di Nate, ma era un momento troppo delicato perchè potesse dare retta a qualsiasi altra cosa, così mosse una mano all'indietro e la porta sbattè violentemente contro la faccia del ragazzo, mentalmente ringraziò Skandar per essere passato lì vicino ed avergli dato in prestito un pò della sua telecinesi. In breve le parole scritte sulla carta vennero assimilate e processate dal cervello di Nate «Oh Sant- NOOO» la mano di Nathan lasciò una cinquina sulla testa del povero gufo che, mentre Nathan leggeva, aveva messo il becco nel pacchetto di biscotti dall'aroma poco canonico di Erin. Il biscotto gli cadde dal becco, finendo nel palmo della mano, e lo usò per ammonirlo agitandolo in aria «gufetta cattiva!» ma prima di poter continuare a maledirla per aver toccato i biscotti di consolazione lasciati dalla sua amica, la porta si spalancò «NATHAN WELL-» ancora una volta il ribelle innominato non riuscì a completare la frase. In un fluente gesto della braccio, il biscotto volò via come un fresbee finendo nella bocca del povero ragazzo. In tutto questo, Nathan si fiondò a tutta velocità verso le cucine, dove sapeva di poter trovare la persona che faceva al caso suo.
    «IDEM! Ho urgente bisogno di consigli da ragazza!» euforico e sprizzante gioia da tutti i pori non potè non contagiare la Wuthpotatoes con la sua felicità «EVVIVA NATAHNA HA UN APPUNTAMENTO!» esultò alzando le braccia che, per sua sfortuna, erano colme di smarties. L'improbabile immagine dei due ex Tassi sotto una pioggia di cioccolato arcobaleno precedette il lungo pomeriggio di studi nel quale Nathan avrebbe imparato a capire il mondo delle donne, o perlomeno ci avrebbe provato.

    ϞϞϞ



    Afferrò al volo giacca e portafogli, mentre un sorriso stupido ed insensato gli illuminava il volto. Mancava poco all'orario per il quale si sarebbero dovuti incontrare, ma per fortuna sapeva sempre dove trovare una passaporta pronta per Diagon Alley. Si affacciò nella stanza di Idem, augurandosi che non stesse facendo una delle sue cose da donna, e la salutò stringendo i denti in un sorriso ancor più euforico «Grazie ancora Idem! Augurami buona fortuna!» in tutta risposta lei gli mostrò entrambi i pollici alzati, mentre da dietro le lenti degli occhiali gli rivolgeva uno sguardo d'intesa «Non ne hai bisogno campione! So già che cadrà ai tuoi piedi!». Peccato che, ogni volta che si parlava della chiaroveggente dai capelli rossi, l'intero sistema nervoso del ragazzo si scombussolasse e quel giorno non fece eccezione. Non appena tocco il vaso di terracotta blu che lo avrebbe portato a Diagon Alley, tutta la sua sicurezza, la felicità e la frenesia abbandonarono il suo corpo, lasciandolo a volteggiare nel vuoto con le mani attaccate alla passaporta. Sentì il cervello premere contro le pareti del cranio, le mani uscivano dallo stomaco mentre la testa di Nathan sembrava dover sbucare da sotto una delle ascelle. Odiava quel metodo di trasporto ma, dal momento che non aveva più una bacchetta e le scope oltre ad impiegare molto tempo attiravano troppa attenzione, ad un ragazzo presunto morto non restava certo una vasta scelta. Nonostante ciò, quelle sensazioni che lo avevano percorso da cima affondo, scombussolando per brevi istanti la sua morfologia, erano mille volte meglio di ciò che lo assalì una volta rialzatosi nel vicolo buio dove era atterrato. Nascosta agli occhi dei passanti, la stradina tra due edifici si immetteva nella via principale e, come la corrente di un affluente che si insinua nel fiume, Nathan sgusciò fuori mimetizzandosi tra la folla. Erano passati tre giorni, ma l'impresa del sedici novembre era ancora sulla bocca di tutti e i giornali riportava ancora qualche intervista ad alcuni dei volontari o dei rapiti. Insomma, non il clima migliore per qualcuno che come Nathan doveva farsi vedere in pubblico il meno possibile, ma per Freya avrebbe persino rifatto quel salto nel vuoto. Mosse il primo passo e le insicurezze gli piombarono addosso come se una balena fosse caduta da cielo proprio sulle sue spalle: e se mi ha chiesto di venire per dirmi che non possiamo più vederci? Se volesse dirmi che deve andarsene o che non vuole avere più a che fare con me? Vuole lasciarmi? Si soffermò più tempo del necessario su quest'ultimo dubbio, tanto da arrivare ad un nuovo enorme interrogativo: cosa erano loro? Non si stratta di una delle tante domande filosofiche che da tanto fanno filosofeggiare i saggi, ma di una domanda semplice con una risposta non tanto facile da dare. Si erano baciati, si erano dati coraggio l'un l'altro e si erano stretti nel momento in cui avevano pensato di non potercela fare, ma cosa erano insieme? Amici con benefici? Conoscenti? Compagni di squadra? «Una coppia?» suggerì una voce timorosa e maliziosa nella sua testa. Le gambe tremarono come in preda alla Tarantallegra, e lo stomaco iniziò a ribollire scosso dal nervosismo «andiamo Nate, andrà tutto bene. Non devi preoccuparti di nulla.» chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Cosa lo avrebbe atteso all'Avis? Cosa sarebbe successo una volta raggiunta Freya? Chi die due avrebbe iniziato la conversazione? «lasciati andare, lascia che tutto avvenga con naturalezza» la prima volta che le aveva parlato, quella pomeriggio estivo ai Tre Manici di Scopa, non si era messo a pensare con cura cosa dire, aveva lasciato che la bocca snocciolasse parole senza temere di dire qualcosa di sbagliato o stupido. Ma era diverso, dopo la missione un paio di cose erano cambiate, Nate stesso lo era, ma, ancor peggio, era stata quella sua scelleratezza nel non aver scelto le parole giuste che lo stava conducendo verso il gazebo di Diagon Alley. Era stata la sua leggerezza nell'usare quelle due parole cariche di mille sfumature che lo stava facendo sentire come se stesse andando al patibolo. Oh, cosa non avrebbe fatto pur di tornare indietro e colpirsi in testa prima di poter dire quelle parole, o magari prima che la bomba esplodesse così da poter evitare che qualcuno morisse, sebbene fossero poi stati magicamente riportati in vita. La strada sterrata si aprì alla sua destra come una passerella su una nave pirata, pronto ad essere gettato in pasto ad un coccodrillo ticchettante o magari salvato da qualche sirena. Il sole iniziò la sua discesa dietro l'orizzonte, mentre le nuvole venivano sballottate dal vento qua e là nel cielo scuro: volente o nolente sarebbe dovuto entrare se non voleva finire zuppo d'acqua per il rischio non improbabile di un diluvio. Le continuavano a sistemare i capelli, disordinati per natura, senza mai trovare una pettinatura che gli andasse bene fino in fondo, le labbra continuavano a riportare le incisioni dei denti che, mossi dal nervosismo, sembravano dover per forza addentare qualcosa, per non parlare di come gli occhiali paressero dovergli cadere da un momento all'altro («e se poi sembra che il mio naso sia troppo grosso?»). Fu quasi tentato di fare dietrofront, ritornare al QG e mettersi a guardare film romantici e tristi, accompagnato da un secchio di gelato al cioccolato e le braccia di Idem a coccolarlo e a passargli i fazzoletti ogni qual volta un personaggio diceva "Ti amo", seguito dalla voce tremante di Nathan che indicava minaccioso con il cucchiaio la televisione «NON DIRLO, NON E' VERO! HAI ROVINATO TUTTO!». Non sembrava nemmeno tanto male come idea, ma non si sa per quale ragione, le gambe continuarono a camminare finchè non si ritrovò all'interno della struttura. Il parco sembrava un pezzo di foresta preso e buttato lì in mezzo alla civiltà: querce secolari brandivano i rami come spade pronte a sfidare il più intrepido dei cavalieri, i rampicanti si annodavano attorno a piante e panchine, desiderosi di lasciare il terreno e brulicare (?) via. Non aveva mai provato l'ebrezza del palco o la tensione di un attore prima di entrare in scena, ma poteva immaginava che i sintomi che lo stavano assalendo fossero pressapoco gli stessi: stomaco in subbuglio, respiro corto, ginocchia molli e tremolanti e le mani che non riescono a stare ferme. Doveva distrarsi, doveva trovare qualcosa con cui tranquillizzarsi: le fronde degli alberi che sorreggevano il cielo, gli animaletti che si erano insediati in quel parco e che saltavano da una parte all'altra dei percorsi pedonali, gli uccellini che si rincorrevano cinguettando. Era tutto così tranquillo, la pacatezza nella più pura delle sue forme, ma Nathan proprio non riusciva a darsi pace, con il cuore che sembrava doversene andare fuori dal petto da un momento all'altro. Eppure qualcosa lo bloccò, qualcosa fermò quelle sensazioni che lo mettevano a disagio, ma non in modo graduale e decrescente. All'improvviso il mimetico si ritrovò semplicemente pietrificato, non un muscolo si mosse: l'aveva intravista tra un cespuglio ed un piccolo albero. I capelli rossi ricadevano in una cascata sulle spalle, mentre con lo sguardo inseguiva gli uccelli svolazzare qua e là. Temette di svenire, Nathan, convinto che non ci fosse nessuna speranza per lui, senza nemmeno avere un motivo per credere ciò. Le sensazioni erano sparite, le gambe rigide e la bocca socchiusa, le mani infilate in tasca e il sudore che gli inumidiva i palmi. Stava sudando a Novembre, con un clima talmente rigido che gli orsi polari si sarebbero volentieri spinti fin lì per evitare di affogare al Polo Nord «cosa mi hai fatto, Freya Gardner?» sussurrò ancora immobile, senza osare esporsi più del necessario per intravedere la ragazza tra una fogliolina e l'altra. La scena gli ricordò i bei tempi andati di Hogwarts, quando entrambi erano all'oscuro della segretezza con cui agiva la Ribellione e i loro unici problemi erano il non finire nella sala delle torture, quando Nathan la spiava ogni qualvolta la intravedeva tra la folla, conoscendola attraverso quel che faceva pensando di non essere vista: chi sospetterebbe mai di un lupo?
    Purtroppo per lui, però, la sua domanda rivolta al nulla era stata posta un po' troppo ad alta voce e, temendo di confondere Freya più di quanto non avesse già fatto, si convinse ad avanzare e raggiungerla. L'imbarazzo era visibile in ogni suo singolo passo, persino i suoi respiri trasudavano tensione e goffaggine, più del solito si intende. Era rimasto lì, difronte alla panchina, senza dire nulla a guardarla, forse con troppa intensità. Quegli occhi verdi, quel volto che l'avevano accompagnato durante quella notte. Non si era reso conto di quanto fossero belli, finchè non aveva avuto l'opportunità di rivederli dopo tre interminabili giorni di struggente attesa. Come poteva vivere una vita intera senza quegli occhi da guardare? Oh, per non parlare dell'inspiegabile modo in cui Freya era capace di farlo sentire a casa. Non quel genere di casa che si era creato al QG, non quella che lo faceva sentire come un fratello per i suoi amici, non quella casa che gli mancava tanto. Con Freya vicina sentiva un nuovo genere di casa, un sentimento dove entrambi erano a proprio agio l'uno con l'altra, dove non c'era quell'abitudine di temere che a qualcuno non piace un lato di te. Ma comunque l'imbarazzo non era svanito, secondi di puro panico sembrarono congelare l'aria che divenne pesante ed insostenibile, come il suo sguardo. Per quanto potesse essere bello, gli sembrò indecifrabile e si sentì a disagio, perchè anche il suo doveva essere così carico di significati enigmatici. Dovevano parlare, e su questo non c'erano dubbi, ma come avrebbero iniziato la discussione? Come avrebbero capito cosa sarebbe successo dopo quel giorno? Come avrebbe fatto a sapere Nathan se l'avrebbe mai rivista? «Ehi» la voce uscì senza sforzo, naturale, benchè lui non lo fosse affatto. Si grattò imbarazzato la nuca e decise che rimanere impalato lì non avrebbe portato a nessun progresso, che era proprio quello di cui avevano bisogno: da quella sera il loro rapporto aveva fatto un passo avanti, ma era bastato relativamente poco per farne due indietro. Si sedette affianco a lei lasciando dello spazio tra loro. Avrebbe dovuto abbracciarla? Darle un bacio sulla guancia? Darle il cinque? Non ne aveva idea, la parola "panico" sarebbe stata l'unica cosa che il suo cervello avrebbe digitato se avesse avuto un computer... o delle dita (parliamo del cervello, Nathan ha ancora tutte le dita... spero). Toccarla, però, era bel lungi dall'essere possibile, temendo di poterla far finire in un attacco di panico: non esattamente il modo migliore per iniziare (ma nemmeno concludere a dire il vero) un incontro come quello. Il silenzio calò ancora una volta, ma non era come quel silenzio piacevole che si instaurava prima, si trattava di un silenzio talmente teso da essere tangibile, Nathan temette persino che Freya potesse sentire i suoi pensieri (che al momento erano solo la successione interminabile di una parola ripetuta in continuazione, "panico"). Si guardò attorno, il ragazzo, cercando qualcosa di cui parlare, e per sua fortuna la ragazza aveva in mano due bicchieri di cartone. «è -ehm- è per me?» chiese indicando una delle due tazze. Se così non fosse stato, avrebbe fatto la figura dello scroccone che farebbe di tutto per una tazza gratis di caffè, ma, per sua fortuna, così non fu e afferrò il bicchiere che la rossa gli porse. «Grazie» sorrise guardando prima la tazza e poi la ragazza rima #wat «davvero, non avresti dovuto» non era una di quelle cose dette per cortesia, Nathan davvero non aveva bisogno di caffè, ma dovette ricredersi quando il tepore della bevanda si espanse dal cartone alle sue mani. Ancora silenzio e, ancora una volta, Nathan si guardò attorno, non sopportando il fatto che dovesse guardare quegli occhi con così tante cose non dette dietro. Bisognava solo trovare un modo per dirle «Non ero mai stato in questa parte dell'Avis» ammise osservando la stradina che si perdeva tra altri alberi e panchine. L'Avis lo aveva sempre attirato molto, ma non aveva mai avuto l'occasione di spingersi oltre i primi tre gazebi, sarebbe stato bello "esplorarlo", se non fosse stato che ormai ne aveva abbastanza per un mese di luoghi sconosciuti pieni di alberi. Si portò il bicchiere alle labbra e iniziò ad inclinare il contenitore, ma il caffè non voleva saperne di arrivare finchè «OUCH!» improvviso e caldo, il liquido si scontrò con la lingua e le labbra di Nathan, proprio come era successo con il bacio inaspettato che aveva colto Freya e Nathan. Eppure, proprio come quel caffè, era stato piacevole fino all'ultima goccia.
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    Edited by Archer83 - 30/12/2016, 04:42
     
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    Freya si definiva una ragazza alquanto autonoma, lo era fin da bambina nonostante avesse alle spalle una famiglia che la proteggeva e la aiutava nei momenti di bisogno. Eppure riteneva tutto ciò normale, perchè in una famiglia ci si aiuta o almeno era ciò che pensava prima di venire a conoscenza del tradimento dei nonni, quella piccola azione che scatenato le ire dell'Inferno in cui Freya era rimasta intrappolata per lunghi anni. Ancora oggi, nonostante sia stata liberata fisicamente dalla prigionia che la affliggeva, è intrappolata in un mondo che l'ha cambiata e resa schiava delle proprie paure ed ansie. La prigionia ha avuto il potere di incasinare la sua mente, indebolendola, rendendola solitaria e taciturna, l'ombra di sé stessa. Le paure che fin da piccola si porta dietro le hanno impedito di sviluppare un rapporto salutare con altre persone, si è ritrovata nel corso degli anni a diminuire fino ad annullare completamente i contatti fisici con chi le si avvicinava. Poche persone erano riuscite a strapparla ai suoi pensieri, pensieri in cui mostrava solamente insofferenza per la ragnatela in cui il ragno l'aveva intrappolata. Benchè il ragno fosse stato cacciato -sapeva che non era morto, non sarebbe mai morto- era rimasta intrappolata in quei filamenti candidi, il mondo attorno a lei andava avanti senza vederla, ignorandola completamente. I giorni si erano trasformati in mesi, ed i mesi in anni. Eppure quando ripensava a quegli anni pareva che fossero trascorsi appena pochi giorni da quando era rinchiusa nella cella accanto a Donnie, quel ragazzo un po' impacciato che l'aveva rallegrata in quegli anni bui. Ancora oggi faticava a credere di essere finalmente riuscita a liberarsi da quelle catene, ma benchè le catene fisiche fossero state tagliate, quelle psicologiche si stringevano attorno a lei.
    Le ferite fisiche erano pian piano guarite anche se quando la paura si insinuava in lei, poteva ancora percepire il dolore di quelle catene, di quelle lame che tagliavano la carne macchiandola di rosso vermiglio. Ricordava il lenzuolo bianco divenire una tela di passione, quel rosso tanto scuro da darle la nausea, ma che in un certo senso richiamava il calore. Ironico come tanto calore potesse essere simbolo di dolore, paura. Un colore caldo come poteva essere il rosso poteva talvolta divenire il colore più freddo della terra.
    La notte precedente il colore rosso aveva regnato negli incubi che la accompagnavano da giorni oramai, mesi in realtà, ma la vicende degli ultimi giorni avevano lasciato un senso di vuoto dentro di lei. Un vuoto particolarmente caotico. Eppure in tutto quel dolore c'era stata una note di gioia, quello spiraglio di luce che le aveva permesso di alzarsi quella mattina, che le aveva permesso di mandare un gufo al ragazzo che l'aveva slavata in più di un modo. Apprezzava l'aiuto che i suoi amici tentavano di darle, spronandola a forzare i propri limiti e le proprie paure. Tiffany era senza ombra di dubbio quella più insistente che era pressocchè impossibile ignorare, una presenza che riusciva a rallegrare, ad illuminare, anche la stanza più buia. Eppure lui era diverso. C'era qualcosa in Nate che la faceva sciogliere, riusciva a sbloccarla come mai nessuno prima di allora, nonostante la timidezza era tornata a sorridere il giorno in cui lo aveva incontrato. Lo strano ragazzo un po' imbranato ma dal cuore gentile che le aveva infuso speranza. Speranza di un mondo migliore, di una vita migliore.
    Nate le aveva fatto desiderare qualcosa che non credeva possibile, per anni aveva solo desiderato scomparire sottoterra, magari scavarsi la fossa con le proprie mani e nascondercisi dentro fino ad essere dimenticata, ma lui le aveva fatto desiderare di poter vedere la luce del sole di nuovo. Eppure sapeva di non essere abbastanza. Era una ragazza troppo problematica, lei era diversa dalle altre ragazze. Mentre le sue coetanee trascorrevano le giornate a fare gossip sui ragazzi per cui avevano una cotta, lei le trascorreva in biblioteca lontana da tutto e da tutti. Nonostante avesse grandi difficoltà a frequentare luoghi particolarmente affollati o, in particolar modo, essere toccata da qualcuno, riusciva a comprendere i differenti sentimenti che agitavano dentro di lei. Se prima non poteva sopportare di essere anche solo sfiorata da ogni persona esistente, ora la situazione era migliore, anche se ancora critica. Aveva imparato a riconoscere il tocco di Tiffany, il tocco dei suoi compagni di stanza, il tocco lieve di Nate. Erano gli unici cui permetteva di avvicinarsi abbastanza da poterla toccare, da poterla ferie. Se non era fiducia quella, non avrebbe saputo dire cosa lo era.
    E fiducia era una parola che non poteva essere associata a Freya, era qualcosa di così fuori dal normale per lei che la parola stessa perdeva quasi significato. Eppure un significato lo aveva ed era un significato che la spaventava. Affidare la propria vita a qualcuno era più difficile di quanto potesse pensare. Il solo pensiero la faceva stare male, ma se pensava di affidare la propria vita a Nate, il discorso cambiava totalmente. C'era qualcosa di diverso in quel ragazzo, qualcosa che riusciva ad infonderle calma e serenità.
    Era entrato nella sua vita per puro caso, e qui Freya si sentiva in dovere di ringraziare Tiffany per averle dato buca mesi fa a quel party in piscina, se non fosse stato per lei probabilmente non avrebbe mai riscoperto la gioia di vivere. Nel momento in cui i loro sguardo si erano incrociati, nel momento in cui la ragazza aveva posato lo sguardo sul giovane, tutto era cambiato. Era stato l'inizio di tutto.
    «Hei» spostò lo sguardo sul ragazzo in piedi di fronte a lei, dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima di riuscire effettivamente a rendersi conto che Nathan era arrivato. Oh wow. Fino a quel momento non aveva esattamente realizzato che avrebbero finalmente parlato. Erano giorni che non si vedevano perchè la ragazza era fuggita dal campo di battaglia ancora troppo scossa e bisognosa di solitudine, aveva cercato di fare chiarezza nella sua mente senza troppo successo. In realtà non aveva avuto tregua, gli incubi l'avevano tormentata senza fine e forse la decisione di incontrare Nathan era stata presa proprio in preda ad uno di quegli incubi. Non che non volesse parlargli, ma ora che lo aveva davanti non sapeva come affrontare il discorso. Nathan le sembrava un bravo ragazzo, non poteva avere certezze ma per lo meno poteva sperare che lui non la prendesse in giro, ed a dire il vero era troppo buono per fare una cosa del genere. Ma tra loro le sembrava che fosse successo tutto così in fretta, era confusa. Eppure c'era un ma grande come una casa, insomma ora che Nathan era lì con lei, tutte le paure era passate in secondo piano.
    Hei ricambiò il saluto sollevano gli angoli della bocca in un sorriso appena accennato. Riusciva a farle dimenticare i problemi con la sola vicinanza, improvvisamente la parola fiducia acquisiva significato, non più un significato spaventoso. Nonostante la paura di lasciarsi andare fosse tanta, era opportuno dire che Nathan rimescolava le carte in tavola, come sempre del resto. Oh sì neanche io sono mai stata qui, ma è carino... intimo rispose scaldandosi le mani fredde con il bicchiere di carta che reggeva tra le dita. Attento è cal- avrebbe dovuto dirglielo prima. Stupida ragazza. Lei sì che sapeva come rovinare un'uscita? Appuntamento? Stai bene? chiese avvicinandosi di qualche millimetro all'altro, poggiando una mano su quella altrui. Si sentiva in colpa, eppure quel semplice contatto riusciva a farle dimenticare tutto. Nathan riusciva a farle dimenticare le cose spiacevoli della sua vita, lo aveva sempre fatto. Si erano conosciuto e lei si era comportata fin da subito in un modo così strano e bizzarro che aveva pensato lo avrebbe fatto fuggire, invece si erano avvicinati inevitabilmente.
    Prese un sorso di caffè soffiandoci sopra prima di lasciar scorrere il liquido in gola, va bene una bevanda calda ma a tutto c'era un limite in effetti. E poi on voleva scottarsi, ci teneva ancora alla sua lingua. Ti trovo bene comunque, insomma, sai rispetto all'ultima volta che ci siamo visti commentò titubante giocherellando con il bicchiere di carta m-mi dispiace di essermene andata in quel modo... era diventato tutto troppo? Troppo stretto si era pentita di essersene andata quella notte? Sì ovviamente, ma per i suoi nervi era stato meglio così, molto meglio così. Se fosse rimasta quella notte probabilmente avrebbe fatto o detto qualcosa di cui si sarebbe pentita, o per cui ancora non si sentiva pronta. Non poteva dire di sentirsi pronta ad affrontare chissà quale situazione, ma poteva lavorarci. E poi c'era Nathan, lui che riusciva a calmarla anche quando la situazione era disperata. Lui che era stato la sua salvezza.
    E tu? Insomma, come stai?
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    Non se l'era aspettato, improvviso e piacevole come ogni contatto che aveva distinto il loro rapporto, la mani di lei si poggiò su quella di Nathan, accendendo un guizzo di stupore nel mimetico. «Stai bene?» chiese Freya, e per un momento Nate pensò, sperò, si riferisse non alla sua lingua ma a tutto ciò che era successo: la notte passata nel bosco, le ferite superficiali delle quali erano rimaste lievi crosticine pruriginose, il ricordo indelebile di tutti i Cacciatori che si erano fatti contro di lui, morendo sotto le frecce del suo arco o a causa dei suoi poteri, il fuoco che bruciava attorno a loro improvvisamente congelato e le braccia che gli avevano tratti in salvo, tutto durante quello che sembrava essere il loro ultimo bacio. Una notte come quella non l'aveva mai passata, così breve e intensa, passeggera ma comunque persistente ancora nel petto di chiunque, come un grumo nero che difficilmente sarebbe scomparso, non prima che uno nuovo si facesse vivo. Gli pareva ancora inverosimile come amore e morte si fossero alternati sanguinosamente a Brecon, per poi riunirsi in un incantesimo solo dove le due cose potevano coesistere ad una condizione: che l'una si legasse all'altra in modo che un sigillo accompagnasse ogni trio permanentemente. L'amore li aveva riuniti nella vita e così sarebbe stato al momento dell'oro ultimo respiro. Nate non era affetto da quella maledizione, nonostante avesse voluto salvare Al e Run, sapeva che ciò che condivideva con loro era ancora troppo acerbo, un germoglio timido in confronto al legame che univa coloro che erano parte del loro triumvirato. Era bastato poco per far capire a Nathan quanto i Crane sembrassero la famiglia che una volta aveva e poteva quasi capire Run, cresciuta con un padre che non sapeva chi fosse e una madre che si era allontanata da lei, sebbene in circostanze molto differenti da quelle del mimetico. Non avrebbe esitato, però, a stringere le mani di Freya, abbracciare il suo corpo freddo nonostante il calore ardente che le aveva escoriato la pelle. Non era successo, si era salvata, il tempo si era congelato prima che le fiamme li riducesse in un cumulo di cenere dove nessuno sarebbe stato in grado di distinguere quale granello fosse dell'uno e quale dell'altra. Erano lì, seduti sulla stessa panchina, così vicini che il cuore del ribelle singhiozzava convulsamente, mentre il suo istinto gli diceva di trattenersi dal poggiarle una mano sulla guancia e darle un bacio sulle labbra rosee, piegate in una smorfia di leggera preoccupazione. «Sì» disse aprendo appena la bocca, un suono impercettibile che forse non era la risposta che voleva dare. Non stava bene, non dopo quella notte, ma la domanda della Gardner era rivolta alla scottatura che si era appena procurato, nemmeno lontanamente paragonabile a quelle che aveva riscontrato sulla sua pelle una volta tornato al QG «Sì, tutto a posto» ribadì con voce più udibile e senza alcun tremore nelle parole, se non forse sul finale della risposta, dove la lingua sembrava volersi ammutinare per dire alla ragazza cosa stava accadendo dentro di lui. Ma cosa stava accadendo? Nemmeno Nate, il Tassorosso che capiva le persone al volo, che sembrava poter scrutare nelle persone come farebbe qualcuno aprendo un forziere abbandonato in soffitta, era capace di capire il complicato groviglio che si annodava sempre di più nella sua testa, nel suo cuore.
    La rossa prese un sorso di caffè, soffiandoci coscienziosamente sopra, e continuò a parlare, cercando forse un modo per dirgli qualsiasi cosa avrebbe dovuto dire. Gli aveva chiesto di andare lì, era il momento di scoprire il perchè e le ginocchia di Nathan iniziarono a tremare. Poggiò saldamente i piedi a terra, ancorandosi alla mando della chiaroveggente davanti a lui. «Ti trovo bene comunque, insomma, sai rispetto all'ultima volta che ci siamo visti» esordì. Se stava cercando un modo gentile per arrivare lentamente al punto della situazione, l'aveva presa molto alla lontana, ma il Wellington non ebbe la più pallida idea di cosa rispondere a quell'affermazione. Sorrise timidamente e la lasciò continuare. «m-mi dispiace di essermene andata in quel modo... era diventato tutto troppo? Troppo stretto» il ragazzo dubitò fortemente che si trattasse di un problema di claustrofobia e, pur non sapendo con esattezza a cosa si stesse riferendo, annuì, immaginando cosa o chi si fosse avvicinato talmente tanto da farla sentire così legata e intrappolata. Non voleva dire che delle scuse da parte sua erano il minimo, ma fu lieto di sentire che non avrebbe voluto andare via in quel modo così... brusco. Brusco e inaspettato, come qualsiasi cosa coinvolgesse ogni volta i due wizard. «E'...» ci mise un po' a trovare le parole giuste, ma aveva già iniziato a parlare e non poteva dilungarsi troppo nella scelta di ogni singolo vocabolo esatto, nè aveva voglia di farlo a dirla tutta. «è colpa mia, non avrei dovuto affrettare i tempi» confessò guardando prima la punta dei suoi piedi e poi gli occhi smeraldini della rossa. Certo, stavano per morire e non è che di tempo ne fosse rimasto molto, ma non si poteva nemmeno dire che il loro rapporto fosse tanto saldo da permettergli di dire quelle due parole. Era anche vero, però, che quella notte si erano avvicinati molto di più, mostrandosi l'uno a l'altra nudi, metaforicamente e non per la gioia di Nate #marpione. «E tu? Insomma, come stai?» quella volta seppe che non si stava riferendo al caffè bollente e, se prima aveva desiderato ciò, ora voleva che non glielo avesse chiesto. Cosa avrebbe dovuto fare? Dirle che no, non stava bene e che aveva passato le ultime notti sveglio a ripercorrere gli eventi della missione? Oppure avrebbe detto che era passato, che stava bene e che aveva superato il trauma iniziale, l'impatto freddo della morte che aleggiava tra quegli alberi in netto contrasto con il fuoco ardente dell'esplosione? «Io...» cosa? Io cosa? Chi voleva prendere in giro, era ovvio che non stesse bene, ma avrebbe voluto poter dire il contrario. Un sospiro si condensò nell'aria quasi invernale, dimostrando che, anche se mancava un mese esatto al solstizio, il tempo non seguiva le rigide regole dettate dalla scienza. La nuvoletta di dissolse nel nulla, mischiandosi appena con il sottile filo di fumo che fuoriusciva dalle loro tazze. «... non lo so» la confessione si librò nell'aria come una piuma sospinta da aliti di vento incerti e brevi. Roteava su sè stessa prima dirigendosi verso il basso per poi risalire in una brusca impennata, senza lasciar intendere se sarebbe ritornata al suolo o se avrebbe continuato a levitare sorretta da qualche corrente. Era un non lo so disperato? Triste? Oppure una semplice ammissione, qualcosa che andava detto e basta senza girarci attorno. Avrebbe tanto voluto che quei problemi si fermassero dopo quelle parole, come se averle dette avesse finalmente portato pace nel suo mare in tempesta. Ovviamente così non fu, non un filo si srotolò dalla confusa matassa nel suo petto, permettendogli anche solo di seguire una traccia di quel labirinto. Sentiva di aver bisogno di un indizio, un punto da cui iniziare per venire a capo di quei sentimenti e quelle sensazioni che si azzuffavano violentemente. Era rimasto ferito da come lei se n'era andata, si era sentito rifiutato, dopo tutto quello che avevano fatto insieme non si sarebbe mai aspettato di vederla semplicemente andarsene. D'altra parte, però, si era anche incolpato di quel gesto, tentando addirittura di giustificarlo in cuor suo, dicendosi che forse era stato meglio così, meglio per tutti e due. Cosa si era aspettato che accadesse quando tutto si era placato, quando tutti poterono andare a casa a cuor leggero ma con comunque un peso sul petto? L'imbarazzo e l'incomprensione avrebbero probabilmente allontanato i due ragazzi, incapaci di gestire qualcosa di una portata così grande. Ma quelle parole ancora risuonavano nell'orecchio di Nate: la propria voce sul sottofondo del caos, della paura, della morte che mieteva le sue vittime durante il loro bacio, in un modo così romanticamente inquietante. «cioè, fisicamente sto bene» la rassicurò con un sorriso stanco, ricordando le cure premurose che i ribelli gli avevano dato al reparto segreto del San Mungo. «le ferite si sono rimarginate e le scottature stanno guarendo in fretta» spiegò annuendo, cercando inconsapevolmente di divagare, spostare la concentrazione su qualsiasi altra cosa, ma fece il malaugurato gesto di sollevare lo sguardo su quello di Freya. Forse era una sua convinzione, forse il suo piano stava anche riuscendo, ma gli sembrò... preoccupata. Era possibile che quella domanda non fosse stata solo una semplice cortesia, ma che invece lei volesse sapere davvero come stavano messe le cose? Come stava messo lui? C'era ancora la lontana speranza che la stessa ragazza che se n'era andata quella notte, adesso era preoccupata per lui e per quella risposta enigmatica ad una domanda tanto semplice da pronunciare quanto complicata da metabolizzare? «ma sono ancora scosso» seconda confessione nel giro di pochi minuti. Freya gli ispirava davvero così tanta fiducia da spingerlo a dirle cosa o forse era semplicemente innamorato. L'idea non gli era mai venuta in mente, mai aveva pensato che quei sentimenti potessero essere collegati a lei come amore, nè aveva mai pensato a lei come un cotta o la sua ragazza. Provava qualcosa di speciale per lei e aveva realizzato cosa fosse solamente quella notte, l'innominabile notte della missione, ma la sua reazione lo aveva fatto dubitare persino di quel che aveva pensato provasse. «quella notte noi... noi abbiamo uccise delle persone» lo sguardo sembrava supplichevole, quasi come se implorasse la rossa di fare qualcosa per cambiare le loro azioni. «la paura, l'adrenalina, l'istinto. Sento ancora tutto dentro di me, come se non fossi mai tornato da Brecon. Mi sento sollevato per aver salvato i rapiti, ma ho ancora un peso incombente» stava diventando più profondo di quanto volesse, ma come altro avrebbe potuto spiegarle cosa stava accadendo quando nemmeno lui lo sapeva? «e per di più...» sollevò la testa raddrizzando la schiena, fino a quel momento china verso il basso, come se stesse cercando qualcosa tra i ciottoli e il selciato che componevano il sentieri del parco «non capisco cosa siamo» l'aveva detto, aveva tirato fuori il discorso e adesso non poteva più farci nulla. Se aveva ancora una speranza di distogliere l'attenzione da quel nervo scoperto, adesso non c'era via di scampo. Dovevano affrontare il discorso, per il bene di entrambi e del loro rapporto, qualunque esso fosse. «cosa significa tutto quello che è successo tra noi? Le parole... i gesti... i baci» sussurrò le ultime parole come se fossero state un taboo, qualcosa che non avrebbe dovuto dire ad alta voce, come quei segreti che sono talmente preziosi perchè nessuno osa mai dirli a parole, nessuno vuole dirli a parole. «pensavo di aver capito, quella notte, nel capanno. Ma ora non lo so, forse sono andato fin troppo avanti, troppo spedito...» lo sguardo ritornò sulle scarpe che calciarono via un sassolino, sollevando qualche granello di sabbia «ma la cosa peggiore è che» avrebbe dovuto dirlo? Avrebbe davvero dovuto confessare quel desiderio che non sapeva ancora nessuno? Bene o male a Erin aveva raccontato della sua confusione, ascoltando anche il suo di racconto, ma quei pensieri che aveva introdotto non erano mai stati detti. Quelli erano un vero taboo, ma non lo sarebbero stati più a quanto pare «è che vorrei così tanto che non terminassero quei momenti. Vorrei poter sentire ancora tutti quei gesti, riviverli in continuazione. Sembra stupido, lo so, ma mi sei mancata» erano passati pochissimi giorni, ma l'ansia e l'incertezza su ciò che sarebbe successo tra i due avevano allungato i giorni, come un elastico che veniva teso sempre di più, aumentando la superficie. Quel giorno, però, la molla era scatta tornando alle sue dimensioni normali, facendo sembrare quei giorni brevi e quello che stava vivendo ancor più breve. Se non fosse stato certo di non aver assorbito alcun potere da un cronocineta, avrebbe detto che la tensione gli stava giocando brutti scherzi con le capacità assorbite. Ma in quel momento era sterile, privo di qualsiasi potere se non il suo che gli permetteva solo di percepire il leggero pizzicore sul palato che ricordava le foglie di menta. «lo so, è una cosa che dicono nei film e che ormai ha perso di significato» ammise, eppure seppe che Freya attendeva il seguito della frase, un "ma" ancora non detto, ma che entrambi sapevano sarebbe arrivato. «ma è così: ho sentito la tua assenza più di quanto avrei potuto sentire il dolore delle ustioni ancora fresche» ancora una volta si stupì di come la morte e l'amore si inseguissero come un cane che si morde la coda, per poi eventualmente riunirsi in un unico momento, un unico istante. «ecco come sto, se devo essere sincero» oltre a questo, non seppe che altro dire e attese un commento da parte della ragazza la cui mano era ancora poggiata sulla sua. Mosse appena le dita sotto il palmo altrui, facendole capire senza altre parole che quel contatto era piacevole e, dopo quella lunga attesa, ardentemente desiderato fino a quel momento. «E tu? Sono solo io quello strano che sente queste cose?» disse con autoironia, sollevando gli angoli della bocca in una breve e calda risata. In cuor suo sperò che un tormento come il suo avesse attanagliato anche Freya, sperava che quella fosse l'ennesima cosa che condividevano.
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    Se avesse dovuto scegliere una parola od un concetto che la rappresentassero, la scelta sarebbe ricaduta su socialmente imbarazzante, in fin dei conti aveva sempre avuto una certa consapevolezza riguardo sé stessa ed i problemi che si trascinava dietro nel bagaglio più grande che avesse, ma che comunque non era abbastanza grande da contenerli tutti quanti. Parlare con le persone risultava difficile sopratutto considerando che cominciava a sentirsi in imbarazzo appena passata la fase del saluto iniziale, le mani leggermente sudaticce che teneva ancorate alle proprie ginocchia oppure nascoste nelle maniche del maglioncino, erano un indice evidente di disagio. La pelle accaldata spuntava appena dal colletto della maglia creando un alone rossastro quasi come se ci fosse stata versata sopra della salsa piccante, oppure una reazione allergica, dipende dai punti di vista.
    Un leggero fumo bianco si librava nell'aria, svanendo man mano che saliva e si allontanava dal bicchiere bollente. Il liquido all'interno del bicchiere pareva quasi riflettere il cielo nascosto dalle foglie che incombevano su di loro, proteggendoli dai raggi del sole che a tratti spuntava da dietro le nuvole bianche e soffici come la panna montata o lo zucchero a velo del Wicked Park. Corrugando la fronte, scostò lo sguardo dal contenuto del bicchiere, spostandolo sul volto di Nate, le sembrava stanco come di qualcuno che non dormiva da giorni e la cosa strana era che si aspettava un aspetto così simile al proprio, era difficile dormire quando dovevi svegliarti ogni due minuti per via degli incubi e dei ricordi che invadevano la mente tutt'altro che tranquilla. A nulla erano servite le tisane dall'odore discutibile e dal gusto tutt'altro che piacevole, eppure aveva fatto uno sforzo per riuscire a chiudere gli occhi per qualche minuto. Aveva fallito miseramente e ne pagava le conseguenze da giorni. La cosa peggiore era forse il modo in cui si era comportata con Nate, era sparita dalla circolazione prima che potessero parlare di qualsiasi cosa fosse successa e lei sapeva di essere in torto. Avrebbe dovuto restare al suo fianco ma semplicemente la situazione era diventata ingestibile. Era riuscita a non svenire o raggomitolarsi dietro un cespuglio a piangere e rimettere la cena per un caso fortuito, ma quando l'adrenalina aveva lasciato il suo corpo e lo stress l'aveva colpita prepotentemente smorzandole il fiato, non aveva potuto fare altro che fuggire e rintanarsi nell'unico luogo che riuscisse a darle un po' di conforto, nel luogo doveva riusciva a sentirsi quantomeno protetta.
    Studiò il volto dell'altro cercando di carpirne i pensieri ma non era una legilimens e questo le impediva di capire a cosa stesse pensando, anche se non erano molte le possibilità di quei tempo. Eppure quella notte aveva portato non solo morte e distruzione, le aveva portato un po' di gioia e questo la faceva stare male. Delle persone erano morte anche se poi si erano risvegliate grazie agli incantesimi applicati, cosa che ancora non era riuscita a comprendere appieno, ma aveva visto con i suoi occhi che era successo ed a meno che non fossero stati tutti vittime di allucinazioni, allora forse lei aveva davvero assistito alla resurrezione di quelle persone che avevano lottato per mesi e che ne erano usciti da vincitori, erano riusciti a sconfiggere la morte prendendosi gioco di lei. Poteva solo immaginare come dovessero sentirsi. Non accade tutti i giorni di vivere un'esperienza ultraterrena.
    Lei e Nathan erano molto diversi tra loro e forse questa era una cosa che l'aveva in un certo senso resa cauta. Non si conoscevano bene e date le esperienze passate, il timore che potesse rivelarsi come i nonni che l'aveva, prima tradita poi abbandonata, non era mai del tutto svanito, anzi, non faceva altro che perseguitarla ovunque andasse, come un'ombra che la seguiva nel buio della notte. Ma non era solo quello. In più di un'occasione le aveva dimostrato di essere un bravo ragazzo e sopratutto di tenere a lei, se così non fosse stato, quella notte l'avrebbe lasciata indietro alla mercè dei suoi nemico, invece avevano lottato fianco a fianco. C'era qualcosa nell'altro ragazzo, qualcosa che riusciva ad annullare le sue certezze e questa cosa la terrorizzava. Prima di conoscerlo non avrebbe avuto problemi a ricercare la solitudine, a rintanarsi da qualche parte diventando un tutt'uno con l'ambiente; sarebbe stato così facile diventare invisibile ed essere il nulla attorno agli altri, inesistente. L'afefobia aveva giocato un ruolo fondamentale nel modo in cui Freya si relazionava alle persone, allontanandole quasi avessero al lebbra e rintanandosi il più lontano possibile dai luoghi affollati ma Nathan la faceva sentire viva. I suoi problemi passavano in secondo piano e la paura di essere anche solo sfiorata veniva dimenticata in sua presenza, era spaventata dalla portata di ciò che l'altro rappresentava per lei. La terapia non era mai riuscita ad aiutarla cos' tanto e razionalmente sapeva di non aver mai dato una vera e propria possibilità al magipsicologo, lo aveva più volte scacciato rifiutandosi di aprire bocca durante le sedute, ma Nathan non si era imposto, non le aveva chiesto nulla. Era entrato nella sua vita e l'aveva sconvolta.
    A volte diventava troppo da gestire.
    Era abituata a nascondersi sotto le coperte allontanando tutti i pensieri, chiudendo le persone fuori dal suo mondo insieme ai problemi ed alle cose che per lei erano difficili da gestire oppure che temeva di dover affrontare un giorno. Continuava a ripetersi che un giorno avrebbe avuto il coraggio di affrontare le proprie paure, sarebbe riuscita a risolvere i problemi ad a mettere la testa a posto, doveva solo avere un po' di pazienza e tutto sarebbe tornato a posto ma conosceva la verità- Non avrebbe mai avuto il coraggio di fare nulla, ogni giorno si ripeteva che non era ancora il momento giusto e rimandava l'inevitabile, Nathan invece le aveva dato uno scossone a cui non era pronta ed in realtà lei non sarebbe mai stata pronta. Aveva usato quei giorni per pensare e per fare chiarezza dentro di sé.
    Era ancora piuttosto confusa se doveva essere sincera.
    Ma qualcosa aveva compreso.
    Non voleva perderlo.
    A volte penso che non siamo molto diversi da quelle persone, ci hanno attaccati e hanno minacciato le nostre vite rispose sostenendo lo sguardo dell'altro, uno sguardo che le stava spezzando letteralmente il cuore ma erano persone. Come noi non era piacevole parlare di determinati argomenti, non quando le ferite erano ancora fresche da sanguinare, ma sapeva che il cerotto era meglio strapparlo piuttosto che toglierlo lentamente. Avrebbe fatto male, ma forse era ciò di cui avevano bisogno per passare oltre. Se non volevano annegare nell'oceano scuro e denso di orrore e violenza, quella era l'unica cosa da fare per poter sopravvivere e non sto bene pensando che in qualche modo noi abbiamo giustificato le loro morti spostò lo sguardo sulle dita intrecciate, accarezzando con il pollice il dorso dell'altro in un gesto che sperava potesse dargli conforto capisco come ti senti e credo la parte peggiore siano gli incubi, continuo a rivivere quella notte solo che il finale è diverso ogni volta ed uscire dal letto è davvero difficile così come lo era ammetterlo ad alta voce, in quei giorni si era nascosta ma Nathan forse meritava più delle sue insicurezze, meritava per lo meno una spiegazione per il suo comportamento e se mai avesse voluto rivolgerle ancora la parola, avrebbero trovato il modo per andare avanti da lì. Forse.
    Sentiva di aver in qualche modo dato l'alto per scontato, come la sua presenza fosse una certezza nella vita di Freya e quello era stato l'errore più grande che avesse mai commesso, a volte le capitava di pensare che forse aveva agito in quel modo solo per allontanarlo da sé prima che uno dei due si attaccasse troppo.
    Ciò di cui non si era resa conto era che era già troppo tardi.
    Almeno per lei. Era attaccato al ragazzo dai capelli castani e ciò la terrorizzava. Si sentiva in qualche modo dipendente da lui, come se la propria volontà si annullasse in sua presenza.
    Sgranò gli occhi alle parole del ragazzo, non credeva davvero che potesse sentirsi tanto ferito dal suo allontanamento ma ancora più difficile era pensare, credere, sperare che potesse provare qualcosa di più forte di una semplice amicizia per lei. Certo, tra loro niente aveva mai fatto intendere che avrebbero potuto essere semplici amici, non dopo tutti i baci, le occhiate ed i sfioramenti di pelle che si erano susseguiti l'un l'altro. Non aveva mai davvero pensato cosa ciò che accadeva potesse apparire agli occhi dell'altro, e sei lei si era sentita confusa, aveva dato per scontato che l'altro sapesse cosa stava succedendo. Aveva dato per scontato che fosse più esperto in materia e che comprendesse meglio i segnali, che in qualche modo avrebbe potuto guidarla ed aiutarla a comprendere. Ma aveva sbagliato tutto ed entrambi avevano sofferto per una situazione che poteva facilmente essere evitata.
    La parola chiave per una relazione di successo? Comunicazione.
    Ciò in cui loro avevano peccato, ma non tutto era perduto, non voleva davvero rischiare di perderlo, se c'era qualcosa che poteva essere salvato, allora avrebbe lottato. Per una volta in vita sua si sentiva felice, di quella felicità che ti faceva sorridere al mondo anche quando tutto andava storto, che ti faceva apprezzare le piccole cose e che rendeva piacevole il risveglio, l'alba di un nuovo giorno.
    La ragazza i era accasciata contro lo schienale della panchina, senza spezzare l'intreccio di dita che si era creato da quando era giunti al parco, non voleva lasciarlo andare per poi vederlo svanire sotto i propri occhi, quel contatto la uccideva ma al tempo stesso era l'ancora di salvezza che le avrebbe impedito di annegare.
    Distolse lo sguardo spostandolo sul cielo coperto dalle foglie. Una lieve brezza si sollevò colpendo dolcemente le foglie che si spostavano a destra e sinistra, creando abbastanza spiragli da permettere al sole di filtrare di tanto in tanto dalle insenature create dal movimento ondulatorio delle foglie. Incantevole.
    Per qualche minuto nessuno dei due parlò ed il silenzio creatosi era quasi surreale, da una parte era piacevole poter ascoltare la natura, la pace si diffondeva nel corpo pervadendo i sensi e lasciandola totalmente calma. Dall'altra parte era tesa perchè sapeva di dover dire qualcosa per sistemare ciò che aveva combinato.
    Ora o mai più pensò voltando leggermente il capo in direzione del ragazzo che aspettava una risposta, per quanto bella o brutta fosse. Era lieta che non fosse fuggito dopo i primi minuti di silenzio che si era susseguiti al discorso che aveva fatto lui stesso. Meritava un chiarimento altrimenti nessuno dei due sarebbe mai riuscito ad andare avanti. Ed il dubbio li avrebbe divorati dall'interno.
    Vorrei poterti dire cosa siamo ma la verità è che non lo so quasi sussurrò quelle parole per timore che l'altro restasse ferito, non che e avesse davvero motivo ma in quel momento aveva quasi l'impressione di essere alle prese con un cervo ferito che se avesse fatto una mossa sbagliata, sarebbe fuggito senza lasciare traccia dietro di sé sono confusa perchè mi fai stare bene, e mi sembra tutto così surreale sapeva che Nathan non poteva capire completamente cosa cercasse di dirgli, non conosceva il suo passato, quindi non sapeva quanto le costasse fidarsi di qualcosa e lui era la persona che si era avvicinata di più a lei e questo la terrorizzava, avrebbe potuto distruggerla se solo ne avesse avuto l'opportunità. Ciò che temeva era di non riuscire a sopravvivere come era successo in passato, questa volta non ce l'avrebbe fatta, perchè Nathan era arrivato dove altri non erano riusciti prima di lui. Era strano pensare che fosse più legata a lui piuttosto che alla sua famiglia. In qualche modo li stava tradendo, ma a dire il vero loro l'avevano tradita anni prima.
    Mi sei mancato anche tu sussurrò stringendo la mano dell'altro come a voler far penetrare quelle parole dentro di lui attraverso quel semplice contatto se ripenso a quella notte riesco a vedere corpi che cadono uno dopo l'altro, una grande esplosione e quell'odore di sangue da farmi girare la testa... non lasciarsi sopraffare dalle emozioni era più complicato di quanto avesse mai pensato, era una ferita tanto fresca che il solo parlare di ciò che era accaduto, le faceva venire una gran voglia di piangere. Ma non poteva farlo. Non ora. ... e poi c'è questa bolla di calore che mi ricorda i momenti trascorsi insieme e sono felice sorrise appena imbarazzate, mordendo il labbro mentre guardava l'altro cercando di percepire le sue emozioni e mi sembra di essere irrispettosa nei confronti di chi ha perso la vita o è rimasto ferito era più difficile di quanto avesse mai immaginato. Eppure tirare fuori ciò che aveva dentro le stava alleggerendo il peso sul petto, e respirare era più facile. Meno doloroso.
    Respirò a fondo impedendosi di crollare, impedendosi di colpevolizzarsi per il male che gli aveva causato inconsciamente, perchè se lo avesse fatto, sarebbe stata la fine per quello che vale... mi dispiace davvero, non sarei dovuta fuggire in quel modo ma le emozioni mi stavano schiacciando ed era vero, sfidava chiunque a trovando in una situazione del genere e non crollare. Erano successe così tante cose che solo una persona con la sfera emotiva di un cucchiaio poteva non rimanerne affetto e questi giorni mi hanno aiutata a pensare se solo fosse giunta a quella conclusione prima, si sarebbero risparmiati entrambi una marea di inutili sofferenze ed incomprensioni. Eppure ciò che aveva provato, il dolore e tristezza dovuti alla lontananza le avevano permesso di capire che poteva e doveva lasciarsi andare. E smettere una volta per tutte di combattere la propria felicità. Perchè Nate era questo. La sua felicità. E capirlo non era stato affatto facile, accettarlo era stato ancora più difficile. Ma come si suol dire, Roma non è stata costruita in un giorno.
    Mi piaci Nathan e quella poteva anche essere la dichiarazione meno romantica del mondo e la frase più banale, ma racchiudeva al suo interno ciò che provava. Il sorriso che seguì quella frase non era stato nulla in confronto a quelli imbarazzati ed appena accennati che gli aveva rivolto in passato, era un vero sorriso. Gli aveva appena messo il proprio cuore in mano, ed era terrificante ma anche dannatamente liberatorio. Per una volta sapeva che quella era la decisione migliore che avesse mai preso.
    La terapia non era così inutile come pensata.
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    Nathan Wellington
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    Quella notte Nathan non aveva esitato a dire quelle parole, pronunciate nella speranza che diventassero cenere come i loro corpi, eppure erano sopravvissuti abbastanza a lungo da doverne subire le conseguenze.
    Conseguenze.
    Diamine se ne aveva dovute affrontare col passare del tempo, eppure non sembrava aver raggiunto nessun miglioramento. Ogni volta si ritrovava davanti a situazioni invivibili, spiacevoli... dolorose. Era una persona buona, chiunque avrebbe potuto confermarlo, ma in qualche modo riusciva sempre ad allontanare da sè le persone che amava. si diceva che lo faceva per il loro bene, per proteggerle, ma a volte era semplicemente un incosciente che non pensava mai prima di agire. Aveva accettato la mano di quel signore alla stazione di Londra due anni fa senza pensare a quanto affidabile potesse essere, ammaliato da quello che l'uomo diceva di sapere su suo padre. Aveva spiccato quel salto, quel dannatissimo salto che aveva tracciato una linea ancor più profonda di quella dovuta ai laboratori. Un vero e proprio confine che aveva radicalmente cambiato la sua vita. La parte peggiore? Il rimpianto, la voglia di arrabbiarsi con qualcuno, picchiarlo, ucciderlo, per poi ricordarsi che quel qualcuno e il volto nel proprio specchio. Era colpa sua, aveva avuto la possibilità di scegliere, ma era stato accecato dal lutto: quella vita non sembrava più avere senso senza la sua magia, senza Wuruhi. E non aveva pensato al fatto che eventualmente avrebbe superato tutto, non era riuscito ad immaginare un futuro tranquillo senza la bacchetta, ai tempi non sapeva nemmeno di aver sviluppato dei poteri. Temeva di essere diventato normale, l'incubo peggiore per qualcuno così stravagante come il Wellington. E si era buttato, aveva buttato qualsiasi cosa avesse creato fino a quel momento, doveva ripartire a zero e gli era sembrata la cosa migliore da fare: senza magia e senza Wuruhi non era niente. Era lui lo zero da cui dover ripartire, ma almeno sperava di poter usare la sua vita per qualcosa di buono, sperava che il suo sacrificio non fosse totalmente egoistico e che potesse salvare le vita di quelli che aveva deciso di proteggere con l'ignoranza, nascondendo le sue vere intenzioni, nascondendo sè stesso.
    Ovviamente non aveva pensato alle conseguenze, non lo faceva mai, e non lo aveva fatto nemmeno nel capanno. Viveva la vita alla giornata, si adattava alle situazioni correnti, senza mai pensare che magari qualcosa non sarebbe andato pianificato, senza rendersi conto del fatto che ogni tanto era necessario fermarsi a pensare.
    Era stato quello, forse, il cambiamento più profondo che Freya aveva portato in lui. La rossa lo faceva fermare a riflettere, sembrava quasi che il tempo si fermasse in sua presenza, permettendogli di riflettere lucidamente, ma allo stesso tempo il cervello di Nate andava in pappa sparando quante più cavolate possibili. Era una sorta di paradosso, ma si era reso conto di come il cambiamento ci fosse stato davvero.
    E po nel capanno le aveva detto "ti amo" e aveva seriamente iniziato a dubitare di sè stesso e di quella capacità che aveva pensato di star sviluppando. Era istintivo, gli avevano detto che era una cosa buona non fermarsi a pensare troppo, eppure il mimetico non riusciva a trovarci davvero nulla di positivo e il suo desiderio di essere una persona più razionale aumentava ad ogni errore. Il momento in cui aveva capito di essere sopravvissuto all'esplosione era anche quello in cui aveva voluto cambiare. Lui che aveva temuto, e temeva ancora in cuor suo, la volubilità del suo stesso potere, ora voleva essere diverso da ciò che era. Migliore.
    Ma era inutile perdersi in quei pensieri, aveva combinato un altro guaio, pressando per avere una risposta a tutte quelle domande: cosa siamo? cosa provo? cosa provi tu? ci rivedremo? ti sono mancato?
    Ancora una volta la sua impazienza e il sentimento anonimo che si agitava in lui non gli avevano permesso di usufruire di quei momenti di pace, gli avevano impedito di fermarsi e ragionare, con affianco la persona con la quale ogni errore poteva rivelarsi... pericoloso. Aveva visto come era corsa dopo quelle parole, ma non si era fatto scrupoli a chiederle dei sentimenti, non aveva pensato che forse le stava mettendo troppa pressione.
    «Mi piaci Nathan»
    per fortuna però Freya non parve spaventata. Confusa? sì, ma mai quanto lo sembrò Nathan dopo che ebbe realizzato ciò che la rossa aveva detto.
    «le piaccio» pensò mentre un sorriso si allargava sul suo volto con genuinità. Dentro di lui sentì qualcosa crescere, come un'onda di calore che partiva dal petto per affiorare sulle guance in un rossore imbarazzato e allo stesso tempo euforico. Si lasciò scappare una risata leggera, gli occhi si chiusero per poter apprezzare meglio l'eco di quelle parole che ancora risuonava nelle sue orecchie. Non gli sembrava vero, pensava che ormai fosse in quell'età dove, come si vede nei film e nelle serie tv, certe cose fossero implicite, pensava che non servisse più dire "mi piaci", ma diavolo se si sbagliava. Fu sorpreso dalla felicità che si trovò stampato in volto, come un regalo sotto l'albero che si rivela essere proprio quello che aveva chiesto nella letterina. Poco importa se qualcuno aveva brutalmente letto la tua posta privata per farti il regalo, così come non era importante se aveva detto "mi piaci" invece di "ti amo". Era molto più di quella che aveva sperato, molto più di un restiamo amici, molto più di un no.
    Le sue dita si intrecciarono con quelle di lei, silenzioso e lento lo sguardo castano si posò su quello smeraldino. Non si era mai dato così tante pene per amore, non si era mai sentito meglio perseguitandosi tanto per il pare di una sola persona. Ogni volta che pensava a lei temeva di essere sbagliato, aveva paura di non andar bene, perchè lei aveva toccato il famigerato lato nascosto. Aveva accarezzato le sue paure, sfiorato i suoi incubi, facendo smettere i tremori e dando un time-out alle ombre che mostravano il lato oscuro della luna. Incontrarla era stata una caso, innamorarsene una benedizione.
    Era unica, così come aveva scoperto di essere lui, erano soli, per ragioni diverse, erano insieme per lo stesso motivo. Avevano bisogno l'uno dell'altra perchè quel mondo si stava rivelando troppo duro, troppo ingiusto per due ragazzi come loro.
    «Mi piaci anche tu Freya» e fu più di una promessa, più di un giuramento, più di un bacio. Fu il momento in cui i loro percorsi iniziarono a camminare paralleli, sperando che nessuno ostruisse il loro passaggio.

    Adam, il suo patrigno, gli aveva insegnato che esistevano tre cose che l'uomo non poteva ostacolare: la morte, il tempo e l'amore.
    Quando Nathan si suicidò capì che non poteva ostacolare la morte, ma che nulla gli impediva di usare le molteplici facce di essa a suo favore.
    La teoria dello sciamano maori iniziava a vacillare.
    La prima volta che un cronocineta gli spiegò come ritornare indietro nel tempo, il ragazzo capì come lo spostarsi di ogni singolo individuo nel tempo non seguisse uno schema lineare, bensì si trattava di pezzi di spazio immersi in un fluido che poteva assumere le più svariate forme, a seconda di come qualcuno volesse viverlo.
    Quella storia cominciò ad essere null'altro che una storia, appunto.
    Il giorno in cui incontro per la prima volta lo sguardo di Freya, la notte in cui i due si baciarono, il Wellington comprese come tutte e tre quelle cose potessero agire secondo vie sconosciute all'uomo, comprese come potevano illudere l'uomo di averle in pugno.

    Sorseggiò ancora un po' del liquido contenuto nella tazza di cartone ma non potè resistere al guardarla con la coda dell'occhio, uno sguardo fugace, mentre le labbra si piegavano nell'ennesimo sorriso.
    «Non rido perchè sono pazzo» spiegò senza fretta dopo aver svuotato il bicchiere «,o magari lo sono chissà» nessuna opzione era mai da escludere a priori, dopotutto Nate voleva ancora quell'alone di mistero che circondava il suo nome e le varie storie che giravano sul suo conto. «Rido perchè mi sembra impossibile» osservò il parco davanti a lui, quasi cristallizzato nella luce del giorno. Tutto stava andando bene, per una volta. «nulla è mai andato come avrei voluto» sospirò stringendo più forte la mano attorno a quella di Freya. «tranne te» la guardò ancora e si sporse il necessario perchè le sue labbra le sfiorassero la guancia dolcemente. Si allontanò ponendo tra il oro volti pochi centimetri per poi baciarla di nuovo, ma questa volta sulle labbra. Con delicatezza, come se quel sogno potesse svanire dietro la luce delle tapparelle alzate della sua camera.
    I lay my head on the floor, my beating heart wanting more
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    L'ampio sorriso di Nathan l'aveva ripagata di ogni ansia e paura provati. Non credeva di aver mai gioito così tanto nel vedere un'altra persona felice, di solito le altre persone non le importavano. Aveva trascorso anni a preoccuparsi di sé stessa e della propria guarigione -che si trovava ancora ad un punto critico- ma il benessere degli altri era qualcosa che la toccava a malapena. Da quando Nathan era entrato nella sua vita aveva cominciato a fare più attenzione ai dettagli, poteva riconoscere ciò che le persone provavano solo guardandole in volto, aveva imparato a prestare attenzione a ciò che la circondava. I colori aveva avvolto il suo mondo colorandolo e vivacizzandolo, dandogli quel tocco di vita che lo rendeva meno spento ai suoi occhi. Era come se fino a quel momento avesse indossato un paio di occhiali da sole scuri, tanto scuri da impedirle di distinguere i colori. Era stata una scoperta piacevole.
    La paura che fino a quel momento aveva dominato la sua esistenza aveva cominciato ad affievolirsi, lasciando spazio a quel bagliore lontano che si avvicinava sempre di più, permettendole di crogiolarsi nella calda e dorata luce del mattino. E poi era arrivato quel Mi piaci anche tu Freya ed il sorriso era nato spontaneo sulle labbra della rossa che si era lasciata coinvolgere dal calore di quella situazione. Mai avrebbe pensato che la sua vita avrebbe subito una svolta tanto piacevole. Mai in vita sua avrebbe anche solo osato sperare di poter avere il suo lieto fine o l'inizio di esso.
    Era bello sapere di essere finalmente sulla stessa barca, in qualche modo il destino li aveva divisi ed ingannati insinuando nell'altro il seme del dubbio, ma ecco che i tasselli tornavano al loro posto e tutto aveva finalmente un senso. Freya era la persona meno affettuosa del mondo ma con Nathan era impossibile non esserlo, lui ispirava dolcezza. Alcuni sostengono che l'amore renda stupidi, addirittura deboli, ma per Freya invece ci voleva una grande forza per aprire il proprio cuore a qualcun altro, affidarsi completamente a qualcuno tanto da condividere con lui i propri timori e le proprie insicurezze. E Freya solo poteva sapere quanto fosse insicura di sé stessa ma al tempo stesso l'idea di appoggiarsi a qualcuno era forse peggiore di essere completamente sola, l'indipendenza che aveva faticosamente guadagnato le era stata strappata con forza e da quel momento non era più stata in grado di riaverla. Eppure negli ultimi tempi sentiva di essere in qualche modo tornata in sé, ciò che le avevano fatto quando i nonni l'avevano data in pasto agli estremisti ribelli, bruciava come un marchio di fuoco nel suo cervello.
    Non aveva mai pensato che qualcun altro potesse sentirsi intimorito o insicuro per colpa sua, eppure quel ragazzo le aveva appena dimostrato il contrario. Era così sicura che prima o poi sarebbe stato lui a fuggire il più velocemente possibile da non essersi resa conto che in realtà era spaventato che potesse essere lei a fuggire senza guardarsi indietro. Mi pare di capire che abbiamo un problema di comunicazione commentò sorseggiando il caffè che cominciava a scarseggiare insomma, ci saremmo evitati molti problemi probabilmente, e non ci saremmo lasciati abbattere dalle nostre insicurezze non avrebbe più ignorato i sentimenti dell'altro, se lei era spaventata come poteva pensare che non lo fosse anche lui? Eppure avrebbe dovuto capirlo. Era un ragazzo troppo puro e dolce per non prendere a cuore ogni situazione, e quando ti prendi qualcosa tanto a cuore inevitabilmente finisci per stare male e soffrire. E Freya si sentiva in colpa per aver ignorato i sentimenti di Nathan pensando solo a sé stessa, avrebbe potuto parlare con lui risparmiando ad entrambi inutile dolore, sopratutto dopo tutto ciò che era successo in quella fatidica notte di metà novembre quando le forze del male si erano abbattute sul mondo e la distruzione aveva messo fine a numerose vite. Una notte in cui erano entrati in sintonia, in cui si erano avvicinati come mai prima d'allora. Ridacchiò quando l'altro la baciò soffiandole sulla guancia così delicatamente da provocarle un brivido appena accennato. Ma non si sottrasse al bacio quando il ragazzo si sporse ed accarezzò le labbra con le proprie. Il cuore batteva impavido nel petto talmente forte che temette potesse essere udibile anche ai passanti che si soffermavano a scoccare occhiate a cuore vedendo due ragazzi innamorati scambiarsi tenere effusioni su una panchina circondata da un giardino incantato. Intrecciò le dita con quelle dell'altro trovando conforto nel calore della sua mano, così rassicurante e forte da poter tranquillamente passare per un'ancora di salvezza, e forse lo era per davvero. Quando si separano gli occhi di Freya brillavano, accesi ancora di più dalle guance rosse per il freddo ma sopratutto l'emozione di trovarsi tra le braccia dell'unica persona in cui era riuscita a riporre la fiducia da molto tempo, l'unico ragazzo che non l'avesse mai tradita ma solo coccolata e protetta. Qualcosa a cui non era più abituata da molto tempo. Ti sembrava davvero così impossibile? Sei un ragazzo fantastico, dovresti darti più credito figurarsi se un ragazzo come lui non aveva un seguito di ragazze che arrivava in cima alla torre di Grifondoro, era dolce, simpatico e molto premuroso, il ragazzo ideale. Senza dimenticare che era anche un bel ragazzo, cosa si poteva volere di più? Ma credo potremo rimediare a questo increscioso malinteso magari ad un appuntamento. Lo so, di solito sono i ragazzi fanno queste cose vero? Ma non siamo così tanto tradizionalisti noi gli posò la testa sulla spalla, mantenendo le dita ancorate alle sue. Chiuse gli occhi per qualche secondo, beandosi del calore e della durezza di quel corpo contro il proprio.
    Non avrebbe voluto essere in nessun altro posto.
    Sapeva di casa, ma non quella spaventosa a cui era abituata. Una vera casa.
    Potrei anche addormentarmi così, sembra tutto così perfetto troppo perfetto per essere vero.
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