I'm crying, I'm laughing or maybe just dying

Pearl x Arci #postquest07 (capanno della Guardiacaccia)

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    Pearl O'Sullivan
    «There's a hole in my soul. Can you fill it? Can you feel it? »
    23 y.o. ✕ ex Gryffindor ✕ Guardiacaccia ✕ Deatheater ✕ Gamekeeper
    Era tutto così sbagliato «sbagliato» l'eco frammentaria dei suoi pensieri era l'unica cosa che sentiva oltre i colpi della battaglia. «sbagliato» la lama nera della lancia trapassò il petto di un uomo, la carne tinse di rosso il metallo, ma il sangue si intravedeva appena sopra lo sfondo scuro dell'arma «sbagliato» era così che loro li avevano definiti, era così che quei babbani avevano osato insultarli «sbagliato» in quella foresta era tutto sbagliato, ma nessun'altro sarebbe mai venuto a sapere del sangue che impregnava le foglie di ogni albero, le zolle di terra e l'aria. Ma lei era lì, era lì mentre gli altri correvano verso il capannone. Doveva pur fare qualcosa di giusto, doveva fare in modo che si salvassero. Li vide uno ad uno correre, schivare i colpi senza degnarsi di rispondere, l'unico obbiettivo erano quelle porte rimaste spalancate. L'obbiettivo erano quelle persone che avevano visto negli schermi, quelle persone che mancavano a tutti, o quasi. Pearl era sola, non era andata per cercare qualcuno, nè per promettere a qualcuno di riportargli indietro il caro scomparso. Non era andata lì per accompagnare qualcuno, un amico o un parente. Era lì e basta, ma sarebbe voluta restare volentieri a casa. Aveva rischiato la vita per persone che non conosceva, aveva ucciso per proteggere qualcuno che non aveva mai visto prima, ma quello non sembrava affatto sbagliato. Jack non era sbagliato, Bell nemmeno e neanche quel ragazzino dai capelli neri lo era, per quanto lo fosse stata la giustificazione data all'amico che l'aveva sparata. A dirla tutta, nemmeno Oscar era sbagliato: spaventato, ferito, non sapeva chi fossero quelle due donne... aveva preferito sè stesso a loro. Non aveva sbagliato, ma aveva fatto male e Pearl e non solo fisicamente. Un colpo di pistola, così simile a quello che il fucile aveva piantato nella sua gamba, esplose e volò verso la donna. Non fece in tempo Pearl, si buttò rovinosamente a terra non curante di sbattere al suolo, ma nemmeno al forza di gravità era riuscita a tirarla così velocemente da impedirle di sentire il dolore. Il metallo caldo le graffiò il braccio destro, una striscia di belle rossa bruciava ardentemente mentre il sangue iniziava a colare fuori dalla giacca di pelle strappata.
    Li vide uno ad uno, le gambe veloci che alzavano la terra e di dirigevano ansiosi verso quella struttura. Pearl era certa che li avrebbero salvati, era certa che lì sarebbero stati al sicuro, lontani dalla battaglia che infuriava fuori e che riempiva l'aria: il fumo dei fucili, le urla di dolore e l'odore del sangue che sembrava salire fino alle nuvole per tingerle di scarlatto. Insieme agli ostaggi, con loro sarebbero stati al sicuro, protetti dalle sottili pareti del capannone, un luogo dove la pace avrebbe permesso loro di guarire i feriti ed aiutare quelli in difficoltà.
    Ma ben presto si sentirono altri rumori, il metallo che si scontrava con altro metallo, il fuoco che esplodeva nell'aria buia. Non avrebbero avuto il tempo di curare i feriti, poichè altri ne sarebbero arrivati...
    Li vide uno ad uno, mentre il fuoco inghiottiva il legno, mentre il calore anneriva l'erba e le basi degli alberi tagliati. Lo sguardo che cercava le figure di quei ragazzini, le loro ombre stagliate contro le nuvole di fuoco.
    Li vide uno ad uno, nella sua mente le immagini delle ceneri, i volti sporchi di fuliggine, i corpi caldi, troppo caldi, e gli occhi incorniciati da una ghirlanda di lacrime e sangue.
    Li vide uno ad uno, ma non Jack. Lui era lì, lì che urlava i nomi dei suoi amici, i nomi delle persone che si contorcevano in preda ai dolori delle ustioni o che giacevano già inermi sul terreno purificato dal fuoco. La maschera di metallo, lo scudo di Pearl si incrinò appena al pensiero di quelle vite spezzate. Ma se il suo involucro non rivelava nulla, il suo cuore urlava, la sua mente impazziva e i suoi sensi di colpa aumentavano sempre di più. Non li avevano mandati al sicuro, li avevano mandati a morire. Erano morti e persone come Pearl erano lì, vive e vegete, ad osservare quelli che pensavano di aver salvato. Persone come lei che sarebbero potute uscire vive o delle quali nessuno avrebbe mai sentito la mancanza. Erano vivi ed era «sbagliato».
    Le braccia si strinsero attorno al busto di Jack, i muscoli contratti che lo trattenevano dal correre verso le ceneri. Pearl non osò dire una parola, non provò a tranquillizzarlo nè gli disse che sarebbe andata bene. Non poteva saperlo e non lo avrebbe illuso, ma aveva comunque infranto la sua promessa: Oscar era morto. Il riccioluto che aveva intravisto nei dormitori di Grifondoro, il capitano di Quidditch che aveva portato onore alla sua casa, l'ostaggio che aveva permesso che le sparassero... l'amico di quei ragazzini. Oh, quei ragazzini, i Catafratti. Le ricordavano così tanto il suo gruppo di amici, la sua comitiva che l'aveva aiutata e con la quale aveva riso. Ma di loro non restava altro che il ricordo e Pearl avrebbe voluto piangere, urlare, uccidere, Pearl avrebbe fatto scendere Dio in terra pur di non far provare quelle cose a Jack. La vera morte non è quella che ti porta via le persone amate, ma quella che porta via te dopo averle perse. Ma era forte la bionda, era una roccia e lo sarebbe stata anche quella volta, sopratutto quella volta. Lo sarebbe stata per sempre, se questo significava permettere a Jack di convivere con il peso di quelle morti.
    Ma non fu necessario

    ➳ ➳ ➳


    Aveva lasciato la comitiva, i cinque ragazzi potevano finalmente riabbracciarsi e piangere insieme «non nel mio genere di cose» aveva sussurrato divertita, mentre Bells stringeva Oscar, entrambi sporchi di fuliggine.
    I piedi spezzavano i ramoscelli, come quelli di tutti gli altri, e un fiume di gente seguiva un percorso dettato dai fuochi fatui, che si erano uniti per formare una lunga catena di luci. Gli alberi non erano più minacciosi, i rami non sembravano più doverli strappare da quel luogo, anche l'aria sembrava più pulita di quanto non fosse. Il fumo aleggiava oltre la coltre delle fronde, il sangue impregnava il terreno e ad ogni passo il suo odore si esalava dalle orme. Ma tutto andava bene. Erano tutti vivi, erano tutti salvi e questo era «giustol», un sorriso soddisfatto, una sorta di quieta felicità che le accendeva il petto e la serenità di vedere un Jack del futuro che non tentava il suicidio. Ma Pearl aveva finito il suo compito, aveva tentato di proteggerli e quello era stato ciò che il subconscio le aveva detto di fare. "Proteggili, non fare in modo che si dividano, non lasciare che qualcuno li tocchi, placa le loro discordie. Non farli morire" erano vivi, non c'era altro da fare per la ragazza. Aveva finito ed era soddisfatta, nonostante non fosse stata lei la responsabile della loro salvezza, ma li aveva portati fin lì, li aveva portati fino al capannone, luogo dove a lei non interessava andare. Nessuno la attendeva oltre le porte di legno, nessun'altro a parte i Cata era stato oggetto della sua disperazione. Era sola, ma per lei andava bene così. Preferiva non legarsi troppo a nessuno e sarebbe stato già abbastanza difficile dimenticare Bells e Jack. Non le servivano altre ragioni per andarsene, non aveva bisogno di altre persone per le quali soffrire. Certo, si sarebbe divertita con loro, avrebbe riso come non faceva da tempo, ma che senso aveva se tanto poi sarebbe stata triste? Che senso aveva stare con loro se sapeva di dover rimanere sola? Era maledetta Pearl, ma in un modo più profondo e diverso di quello che la bacchetta di un potente mago avrebbe potuto fare. Una maledizione che era iniziata con la perdita della sorella e che non sarebbe terminata fino a quando non avrebbe lasciato il suo corpo deteriorarsi in una bara. Ma andava bene, non aveva intenzione di lasciare quel mondo , troppi conti in sospeso, avrebbe continuato ad andare avanti e i rapporti sarebbero stati un lusso da concedersi solo in momenti di follia, come sempre aveva fatto. Solo i suoi genitori non sembravano avere alcuna intenzione di lasciarla andare. Solo loro sembravano volerla trattenere nei loro cuori.
    Prese il casco e fu pronta a metterselo in testa, pronta a imboccare un nuovo percorso tra quelle nubi, pronta a strombazzare con la moto per non trovare resti di uccelli nel motore, ma un rapace si poggi sulla sua spalla, rischiando di fare una brutta fine visto l'incantesimo che Pearl stava per pronunciare «AVA-vaffanculo uccellaccio del demonio» aveva temuto per qualche secondo che i babbani non fossero finiti, aveva temuto di dover sprecarsi ad uccidere altre persone. Anche se scoprire che si trattava solo di un uccello non fu poi così di sollievo, vista la precedente esperienza che aveva coinvolto i Crux and company in una battaglia fino all'ultima piuma. Riportando a posto la bacchetta, strappò la lettere dalle grinfie del barbagianni, che le stava riducendo la spalla usata come trespolo ad un colabrodo «se trovo anche un solo graffio, giuro su Morgan che vado al Ministero e faccio una strage che i Cacciatori in confronto saranno solo un poco ammaccati» minacciò mentre le mani aprivano ferocemente la busta. Il casco cadde a terra quando si rese conto di cosa parlava la lettera. Depressa, scoraggiata ma quasi costretta da se stessa, firmò quel pezzo di carta.

    Cara sign.ra O'Sullivan,
    abbiamo ricevuto la sua lettera di raccomandazione e richiesta di colloquio per il collocamento in una delle unità di Pavor, ma ci vediamo costretti a rigettare la sua domanda - Oh che novità! - a causa degli evidenti problemi di disciplina, riscontrati nella lettura del suo curriculum. Anche i suoi precedenti responsabili del posto di lavoro hanno convenuto con noi che l'assegnazione del posto di questo genere non sarebbe stato consono alla sua persona - Non è colpa mia se l'ultimo capo non era abbastanza uomo da saper prendere un pugno in faccia sena svenire! -. Dobbiamo rifiutare anche la sua richiesta di scorta, come lei ha definito, per entrare a far parte dei Cacciatori: certamente saprà dello scandalo avvenuto durante la missione in Galles e stiamo ancora cercando un sostituto per il sign. Palmer - Santo cielo, Palmer che problemi hai? Perchè mi rendi la vita così difficile?! -. Sperando che possa comprendere la difficoltà - No, non le comprendo - che il Ministero ha riscontrato dopo le scioccanti rivelazioni scaturite dall'esito della missione, abbiamo deciso di non cestinare del tutto la sua richiesta - una gioia? -: il posto potrà essere suo se accetta di lavorare per un tempo indefinito come Guardiacaccia nella scuola di magia e stregoneria di Hogwarts - ah no... -. Se dovesse acconsentire alla nostra decisione, le basterà firmare questa lettera e rispedircela. Sarà automaticamente autorizzata ad entrare nel territorio scolastico come preferisce, sena procurare danni a nessuna delle strutture ovviamente - quante storie e solo per gli spalti dei Serpeverde che stava andando a fuoco! E poi non hanno mai potuto provare che la responsabile fossi io! -, e potrà stabilirsi nella residenza esterna al castello sin da subito.
    Cordiali saluti,
    L'ennesimo stronzo che non fa il proprio dovere al Ministero.


    «vattene, prima che abbia talmente tanta fame da farti arrosto» con un pugno spinse via il barbagianni, che recuperò quota e volò via prima che la forza del cazzotto potesse spingerlo a terra. Non aveva avuto il tempo di godersi la gioia della non-morte dei Cata, che già doveva stressarsi per un'altra sconfitta? Si sentiva presa in giro, insultata e... scoraggiata. Quel lavoro non faceva per lei, ma doveva firmare. Non voleva essere il Giardiniere Willy di Hogwarts, ma doveva. Lo doveva ai suoi genitori e al resto della sua famiglia. Si sarebbe sentita egoista e ingrata nei loro confronti, colpevole di cose che in realtà non dipendevano da lei, ma alle quali comunque doveva trovare un rimedio. Non era colpa sua se la famiglia O'Sullivan non era più così stimata, ma non poteva più accettare quelle persone che ridevano al sentire il suo cognome, o quelli che rimanevano delusi dallo scoprire che lei facesse parte di quella famiglia. Pearl lo portava con onore quel cognome, e con onore ne sopportava il peso, che esso fosse positivo o meno.
    «Te ne vai?» non le era mai capitato, in realtà non le capitava da molto tempo, un tempo così lungo che sembrava non essere mai avvenuto quello che lo precedeva. Nessuno le aveva mai chiesto di restare e, a dirla tutta, nemmeno Arci l'aveva fatto, ma almeno le aveva chiesto se sta andando via, anche quello non le capitava spesso. Se ne andava e basta, niente addii, niente saluti nè promesse di rivedersi in un futuro che probabilmente non sarebbe arrivato. Le mani erano poggiate sulla moto, così da potergliela far inforcare in un atletico salto: era abbastanza ovvio che se ne stava andando. Avrebbe potuto rispondere con una variegata e ampia scelta di affermazioni acide e sarcastiche, ma preferì andare su qualcosa di meno verbalmente violento (?), non voleva rischiare una denuncia dal Serpeverde «sono come Mary Poppins, ma senza quell'inquietante ombrello parlante: resto sempre finchè non cambia il vento e credo proprio che sia cambiato» le parole uscirono senza malizia o voglia di prender in giro, anzi, gonfiò il petto e assunse una posa che si addiceva ad una persona matura e decorosa come Pearly Poppins. «chiudi la bocca Arci, non sei un merluzzo» agitò la bacchetta, come se fosse stata l'ombrello inquietante e si rimise a cavalcioni sulla sua moto. Ma sentiva ancora lo sguardo del ragazzo che la seguiva, sentiva che non poteva andarsene se lui continuava a guardarla: sarebbe stato come se Mary Poppins fosse volata via mentre la famiglia la salutava, insomma non sarebbe stato abbastanza drammatico e spezzacuore per la figura della tata. «La notte non è ancora finita Pearl, puoi concederti ancora quel lusso...» si odiava quando lasciava a se stessa la possibilità di scegliere, non era facile andarsene, ma pensava che sarebbe stato più facile passando altro tempo con quei ragazzi? «Porca miseria Arci! Sei vivo! Non vuoi andare a festeggiare con gli altri?» ci provava Pearl, provava a cacciarlo via. Se se ne fosse andato, sarebbe stato facile mettere in moto e fingere di aver dimenticato quei cinque soggetti poco raccomandabili (come se lei lo fosse). Avrebbe potuto ricreare una nuova era, un nuovo periodo della sua vita che la vedeva costretta in un capanno da Guardiacaccia in quella scuola, un luogo dal quale non aveva visto l'ora di andare via. Okay, è magica e ci sono tutte le candele che volete, ma se siete come Pearl vi ritroverete anche della magiche strisce rosse sulla schiena se non peggio. Allettante, no? Ma comunque avrebbe avuto un'opportunità, avrebbe avuto la possibilità di ridare lustro a suo padre. Ma il problema che la struggeva ora era cosa farne di quel Serpeverde «Davvero? Ti serve un passaggio? Non dirmi che non ti hanno ancora insegnato ad usare la smaterializzazione?» evidentemente doveva essere così, ma a Pearl non seppe saperlo per avere il permesso di lanciargli il casco. Ne aveva uno solo e preferì darlo a lui, gettandoglielo nello stomaco con un gesto elegante (ma non troppo). Una volta salito dietro di lei, si sentì in dovere di dovergli confessare una cosa «hai presente quando ti ho detto che sono come Mary Poppins?» la moto iniziò a percorrere la strada, illuminata appena dal piccolo faretto, mentre la ruota davanti si sollevava sempre di più «be', anche io so volare...» e la due ruote si sollevò da terra, procedendo come su di una salita invisibile. Un urlo di gioia uscì dalle labbra della ragazza, sempre emozionata dalla salita pericolosamente in verticale, mentre un sorriso le apriva il volto in quell'espressione di sfida che tanto la caratterizzava. Invece Arci non sembrava altrettanto entusiasta con le braccia strette attorno a Pearl e le sembrò quasi di sentirgli tremare i denti dalla paura «Arci» l'entusiasmo aveva lasciato il passo ad un'imperturbabile voce monotonica «leva le mani dalle mie tette» quanto aveva sbagliato ad offrirgli un passaggio da 1 a Trump? La risposta esatta è Trump eletto come Presidente, ma non fece questa battuta solo perchè era offesa con lui e non era degno di riderne. Il vento le sferzava il volto, libero dall'involucro del casco che avvolgeva invece Arci, ma pensò che per il ragazzo andasse più che bene così: non doveva essere un fan delle altezza. Le sembrò lecito, dunque, salire di quota, godendosi lo spettacolo di Arci che se la faceva sotto, ma anche per lei il divertimento ben presto finì: «Ci metteremo due giorni andando così, tieniti ancora più forte e, no, non puoi toccarmi le tette porca miseria. SBAGLIO O SEI FIDANZATO?!» in realtà Pearl non lo sapeva, ma ipotizzò che un ragazzo come lui dovesse pur avere una ragazza. Alto come un pino, pelle olivastra, capelli corvini, occhi magnetici ed un volto da bad boy più accattivante che attraente. L'unica pecca era che... b' era Arci, you know. L bionda lo conosceva a stento, ma, sul serio, non voleva nè essere denunciata per pedofilia nè aveva intenzioni di entrare in contatto con lui. Già il fatto che lui la stesse """abbracciando""" non le andava giù, la cosa non migliorò dopo che Pearl li ebbe smaterializzati e rimaterializzate poco lontano da Hogwarts «Arci, per l'amor di Morgan, santa Cincia Immortale e Larry Roger martire, dimmi che quella che sento è la tua bacchetta» gli occhi chiusi si rifiutavano di girarsi, spaventati da quel che avrebbero trovato «e se non lo è...FALLO SMETTERE O PRENDO LE FORBICIl» e, no, non le avrebbe usate per tagliargli quei capelli lunghi che manco Rapunzel. O meglio, li avrebbe usati anche per quelli, così oltre a rimanere sena eredi sarebbe rimasto anche senza ragazza: Pearl non era brava a tagliare i capelli e quella, per lei, era una ragione in più per prendere le forbici.
    La moto sorvolò alcune delle torri del castello, rischiando di raschiare il serbatoio contro le spade di una statua sopra i cortili, finchè non iniziarono a perdere quota ad alta velocità, dirigendosi verso la Foresta Proibita «che dici, ti va un'altra gita in un altro bosco?» anche attraverso il vetro del casco, Pearl potè percepire il terrore che aveva reso la faccia di Arci uno scarabocchio disegnato da Picasso, certo anche le urla che riempivano il suo orecchio da più di due ore aiutarono a farle comprendere il suo dissenso.
    Con un suono sordo la moto atterrò sull'erba fresca e con una frenata orizzontale, che disegnò due grossi solchi nel terreno secco dell'orticello lì vicino, si parcheggiò con la moto. Il manubrio si fermò a meno di un millimetro dal muro, una precisione che Pearl aveva imparato ad affinare sempre di più, ma che aveva quasi scaraventato Arci dentro una delle finestre. «Dai pure il benvenuto a me, la nuova Guardiacaccia della scuola!» lo guardò entusiasta, scendendo dalla sua bestia (quale bestia? e di chi? vi lascio nel dubbio) e porgendo una mano ad Arci, like a principe farebbe with his principessa, fece scendere anche lui. «A quanto pare sarò segregata qui per ancora un bel po', devono valutare la mia idoneità per l'oneroso incarico quale è quello del Pavor» pronunciò le ultime parole con voce raffinata e dotta «come se non fossi già abbastanza idonea, vero?» chiese sbuffando ad Arci «vero Arci?» il tono minaccioso, le mani a mimare un paio di forbici: Arci puoi dire quello che vuoi ma a tuo rischio e pericolo, ah, non hai facoltà di non parlare e non puoi appellarti al quinto emendamento (?).
    Con un calcio molto delicato (#credici) la porta del capanno si spalancò sull'interno della struttura, più grande all'interno, mentre le luci si accendevano da sole rivelando mulinelli di polvere.
    «Siamo noi oppure qui c'è puzza di morto?»
    - rule #1 never be #2 - code by ms. atelophobia
     
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    archibald d. leroy

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    La prima cosa che Arci vide fiondandosi giù dalle scale del capanno non furono Oscar, Jay o i rapiti in sé, e neanche i Volontari.
    A investirlo come una bufera, furono le loro emozioni.
    Le lacrime, il senso di sconfitta, le ultime confessioni, il fuggi fuggi di chi, avendo la possibilità di teletrasportarsi via, se ne stava andando. Non è che si fosse aspettato uno striscione di benvenuto, ma un po' di gioia nel vedere che erano riusciti a buttare giù la porta era il minimo. Era pur sempre un piccolo passo verso la liberazione; tutti insieme, pensava, sarebbero riusciti entro l'esplosione a uccidere gli ultimi babbani e a buttare giù anche la porta al piano di sopra per darsela a gambe...
    Ma gran parte di quella gente sembrava essersi arresa. Sembrava aver già accettato l'inevitabilitá della sconfitta, vedendo nella situazione qualcosa che neanche il polo di pessimismo Arci era disposto a vedere; non quando quasi tutta la sua vita si trovava lì sotto.
    "Fanculo", pensò scacciando tutto quello. Non aveva fatto tutta quella strada per non provarci neanche fino alla fine; non aveva abbandonato inizialmente i suoi catafratti fuori, qualche minuto prima, solo per arrendersi quando stavano per vincere. "Insieme". Guardò Oscar, i capelli spettinati, il volto provato. Accanto a lui Tiffany, Thea, Run... gente che non vedeva dal vivo da settimane mesi secoli. Li avrebbe fatti uscire.
    Non si concesse oltre per studiare meglio le sensazioni tragiche intorno a sé, talmente forti da non passare inosservate neanche per un tipo vuoto come lui, ma semplicemente si precipitò verso i visi amici, ormai tutti vicini - gli spariti e i salvatori - in un'ammucchiata. Quanto era passato in tutto ciò? Al massimo tre secondi.
    Meno cinquantasette.
    Un veloce passaggio di sguardi, l'assicurazione che ci fosse qualcuno che si stava occupando di Oscar. Non vide Eleanor, Jay o la Beaumont gravida, ma non serviva a niente perdere tempo a pensare che fosse troppo tardi. Invece, si mise sopra Tiffany, le dita ad armeggiare veloci sulle corde nel tentativo di sciogliere il nodo che la teneva legata, in modo da poterla fare scappare via prima della bomba. Sentiva quasi il tic tac rimbombargli il testa, ma cercava di ignorarlo. Avevano ancora tempo, quella storia poteva ancora finire bene... non avrebbero mollato Jack fuori da solo (senza i Cata, cosa avrebbe fatto?), e non sarebbe morto in un modo così poco figo, come un topo in trappola. Erano anni che progettava un'uscita di scena coi fiocchi.
    «Arci-»
    Non la guardó neanche, sebbene risentire la sua voce dopo mesi lo fece rabbrividire. Pur essendo quasi tremante, c'era comunque qualcosa di speciale nel modo in cui aveva detto il suo nome.
    «Arci smettila! Fermati, vai da Oscar!»
    «Stai zitta»
    Un sibilo veloce, il suo, la categorica richiesta di non provarci neanche a mandarlo via, perchè tanto non lo avrebbe fatto.
    Come se non avesse parlato, Arci continuò a cercare di liberarla, il cuore che batteva all'impazzata all'idea che il tempo stesse correndo troppo veloce. Fino all'ultimo, avrebbe lottato per tirarla fuori di lì.
    Meno cinquantatrè.
    «Ti prego!» Tiffany cercò di spostarsi, e Arci dovette metterle una mano sulla gamba per tenerla ferma, scazzato, e a quel punto finalmente alzò gli occhi. La ragazza stava piangendo. Ma in quel momento, ad Arci non importò, la testa già altrove. Erano passati due mesi. In soli due mesi, una persona può diventare più bella? «È l'unica famiglia che ho! T-ti prego! Smettil-»
    Arci si sporse in avanti con la testa appena inclinata, all'improvviso, senza darle il tempo di reagire.
    Lo fece per zittirla, questo si disse subito. Un gesto come un altro, come impedirle di parlare tappandole la bocca con le mani ora impegnate.
    Lo fece perché lei continuava a parlare a vanvera, e gli dava fastidio.
    Lo fece perché invece che ringraziare Arci che la stava liberando, aveva il coraggio di lamentarsene mandandolo via.
    E lo fece perché perché era bellissima, i capelli spettinati, gli occhi infuocati. Lo fece perchè gli era mancata, come odiava ammettere. Lo fece perché le sue labbra dischiuse e umide di pianto lo stavano invitando a farlo. Lo fece perché sembrava la cosa giusta da fare, baciarla, perché se doveva morire da lì a poco, voleva prima assaggiare il sapore di Tiffany, sentirlo sulla lingua e sulla pelle.
    Soprattutto, lo fece perché gli andava di farlo.
    Era solo un bacio, no? Niente che non avesse fatto neanche un'ora prima con Jeremy.
    Fu un contatto veloce, perché dopo poco Arci si staccò appena, alterato dalla scossa che lo aveva attraversato partita dalle labbra e andata fin oltre l'ombelico.
    "Ho baciato Tiffany".
    Aprì gli occhi, chiusi in automatico poco prima.
    "Io ho baciato Tiffany".
    Era un pensiero assurdo, e ancora più assurdo il fatto che a sembrargli strano non fosse tanto il bacio in sè, quanto l'innocenza fugace di questo e il fatto che lo avesse comunque alterato tanto.
    Improvvisamente era conscio della mano ancora appoggiata alla coscia di Tiffany, e dei pochi strati di vestiti che la coprivano separandolo dalla pelle morbida di lei. Si rese conto con un fremito eccitato che era premuto così contro di lei da afferrarne il calore, l'odore, e il pulsare veloce del cuore. Che era abbastanza vicino che non ci avrebbe messo niente a colmare quel poco di distanza che li separava, niente a metterle le mani sotto i vestiti, alzandole la maglietta o sganciandole i pantaloni.
    "Calmati. Calmati"
    Era solo un bacio.
    Era solo un bacio.
    Si inumidì le labbra veloce, come un gatto, gli occhi puntati in basso sulla bocca della Reed.
    D'un tratto liberarla non sembrava più una priorità, non tanto quanto averne ancora di lei. Se era stato solo un bacio, non ci sarebbe stato niente di male nel fare il bis.
    Di nuovo si mosse, la bocca socchiusa sopra quella che voleva essere baciata di Tiffany, le labbra a incastrarsi morbide e tiepide. Strinse la mano sulla coscia della ragazza, mentre le forzava le labbra con la lingua per aprirgliele senza trovarci una vera resistenza, quanto, dopo l'iniziale sorpresa, una febbrile collaborazione. Tiffany stava ricambiando il bacio - istinto? Disperazione? -, e questo diede coraggio al serpeverde nell'approfondirlo accaldato, il battito cardiaco che accelerava compiaciuto. La mano prima posata sulle corde andò dietro il collo caldo di lei, il pollice ad accarezzarle lo zigomo e le altre dita a stuzzicarla all'attaccatura dei capelli, mentre l'altra mano sulla gamba risaliva, cercando di raggiungere l'inguine della ragazza senza pudore.
    Avrebbe continuato così fino alla fine, senza starci a pensare, senza dare peso alle proprie azioni o al fatto che quelle parole sulla punta della lingua potevano essere le sue ultime, senza pensare più alla bomba... questo se a sottrarsi dal bacio non fosse stata Tiffany.
    Arci rimase stralunato, la bocca ancora dischiusa leggermente, il respiro corto di chi l'ha appena speso in scopi migliori. Ci mise più del tempo che ormai rimaneva loro per capire cos'era appena successo, le dita già fra le gambe fasciate dal pantalone di Tiffany. Tiffany che si era appena ritratta da quel bacio, indietreggiando contro il muro come riusciva a labbra serrate.
    Tiffany che l'aveva appena respinto.
    Non trovò subito il coraggio di alzare lo sguardo, di cercare le iridi cioccolato della ragazza che, affannata come lui nel ricercare fiato, ancora non aveva parlato, ma dopo un po' di silenzio imbarazzante finalmente spostò gli occhi neri in quelli di Tiffany, fissandola attraverso le ciglia senza riuscire a nascondere immediatamente un'espressione ferita al rifiuto.
    «Oh»
    Non gli interessava davvero perchè si fosse spostata. Forse perchè c'era una bomba che stava per esplodere? Qualcuno aveva cercato di parlare loro mentre limonavano? Non era importante, per Arci non era importante.
    «Ok», sibilò, cercando di risultare il più neutro possibile, lo sguardo distrutto lanciato poco prima sostituito da uno più freddo.
    E queste, signori, sarebbero state le ultime parole di Archibald Dominique Leroy.
    Meno uno.

    ✖ ✖ ✖


    ...Seeeee in realtà non fossero tutti sopravvissuti.
    Bla bla dei presidi, oh no i fratelli dei miei bff sono morti, ma io sono vivo, ma loro sono morti, ma Jack è vivo, ma Tiffany mi ha rifiutato, oh e invece sono vivi di nuovo HALLELUJAH MIRACOLO. E no, non scriverò meglio questa parte, ciaone castamorti Arci non prova sentimenti #wat anche se gli dispiace molto per Run ed Eli
    Erano tutti vivi, yo!
    Aveva baciato Tiffany J Fraser Reed.
    Era piuttosto sicuro che prima fossero morti, ma evidentemente stavano solo molto male perché non era possibile.
    Aveva baciato Tiffany J Fraser Reed.
    Qualsiasi cosa fosse successa nel cerchio magico era assurda, fantastica, vera. Run e Eli erano vivi, Alec era vivo. Andava tutto bene!
    Era stato rifiutato da Tiffany J Fraser Reed.
    Un sorriso verso i cata, i pollici alzati, baci e abbracci a Eugene, un caricone su Jack.
    Non lo avevano visto mentre si paccava Tiffany vero? Non lo avevano visto mentre lei si scostava?

    Era successo tutto troppo in fretta. Sapeva di dover essere felice perchè era tutto finito, perchè Oscar e Eleanor e co erano liberi, e perchè il suo club dell'occulto avrebbe avuto di che commentare per le prossime nove vite dopo il mistico evento segreto che si era svolto («Eddai Euge! DEVI dirmelo! Che ha fatto Lancaster? Era più una cosa religiosa o scientifica? Ha almeno usato un patto di sangue?»)... eppure non gli interessava abbastanza. Nella sua stupida testa, il pensiero della tassa che non aveva visto per mesi sembrava occupare più spazio di quanto si meritasse.
    Era stato solo un bacio.
    Non se la sarebbe dovuto prendere tanto, lo sapeva, e poco importava fosse stato un gran bel bacio. Lui e Tiffany neanche erano mai stati grandi amici, e lei era una stupida frigida neanche così bella. Probabilmente, era il tipo che arriva vergine al matrimonio, per questo non aveva voluto pomiciarsi più a lungo Arci. Tzè, cattoliche (???).
    Ma allora perchè lo tormentava tanto?
    Perchè non riusciva a guardarla negli occhi, a cercarla tra la folla e dirle qualcosa? Anche solo ciao, anche solo com'è andato il rapimento? #wat
    Invece, puntò un'altra bionda dentro.
    «Te ne vai?»
    Guardando la gigantesca Harley nera infilò le mani in tasca, il viso nascosto nel colletto della giacca poichè aveva abbandonato la sciarpa in mezzo al bosco poco lontano dal corpo di Est.
    Non conosceva da molto Pearl, ma oltre a essere bravo nel capire quando una persona fosse destinata a far parte della tua vita, si era reso anche conto che lei, almeno in quel momento, era come lui: senza nessuno #foreveralone. Jack e Jericho, Thad e gente, Bells e Oscar, Jeremy e Run, Nate e Freya, Alaric e Alec, Carrie e il fratello, Eleanor e la castatasse... tutti avevano qualcuno con cui stare. E poi c'erano lui e Pearl -semicit.
    Non è che la cosa lo infastidisse davvero, ma Arci era una prima donna: le attenzioni dovevano essere concentrate su di lui, ed essere una ruota di scorta lo scazzava.
    "E di Tiffany non mi interessa quindi non andrò da lei CIAONE"
    «sono come Mary Poppins, ma senza quell'inquietante ombrello parlante: resto sempre finchè non cambia il vento e credo proprio che sia cambiato»
    Arci sollevò un sopracciglio. Aveva visto Mary Poppins, e anche se non lo ricordava perfettamente era sicuro di non riuscire a trovare paragoni tra le due donne.
    «Quindi te ne vai» osservò guardandola mentre si metteva a cavalcioni della sua bellissima moto. Non se me andò.
    «Porca miseria Arci! Sei vivo! Non vuoi andare a festeggiare con gli altri?»
    Non aveva bisogno di voltarsi per capire che gli altri erano impegnati senza sentire la sua mancanza, e neanche voleva farlo. E se avesse incontrato lo sguardo di qualcuno?
    "Tiffany mi sta guardando? Si aspetta che vada da lei a dare spiegazioni sul bacio? Si aspetta che mi scusi?"

    «Nah... pensavo di scroccarti un passaggio su questa ragazza»
    «Davvero? Ti serve un passaggio? Non dirmi che non ti hanno ancora insegnato ad usare la smaterializzazione?»
    «Non ho detto questo» Sfiorò la moto guardandola con più interesse di quanto davvero non provasse. Non che le moto non gli piacessero, ma aveva altro per la testa. Voleva solo fuggire, e possibilmente non farlo da solo.
    Alzò lo sguardo su Pearl. «Quindi?» La risposta fu un casco lanciato allo stomaco, il quale lo lasciò qualche istante senza fiato. Dopo un secondo per pensarci se lo mise, imitando la ragazza nel salire in moto (una piccola smorfia perchè, diciamocelo, qualche ferita pure lui l'aveva riportata, sebbene già superficialmente curata).
    «hai presente quando ti ho detto che sono come Mary Poppins?» Pearl mise in moto «be', anche io so volare...»
    Arci la circondó con le braccia, aspettando il decollo guardando il panorama senza mezza intenzione di perderselo. Non gli importava se Pearl avrebbe preso il suo stringersi a lei come un gesto di paura: era appena sfuggito alla morte più volte in poco più di un'ora, non sarebbe andato all'Altro Mondo per colpa di una caduta da una Harley volante.
    «WUUUUH!!» gridò con lei, esplodendo in una risata liberatoria. "Ho baciato Tiffany. Non mi ha ricambiato" Strinse i denti. "Oh fanculo, perchè ancora ci penso? Non ha apprezzato il limone, e allora? Sopravviverò". «Canti anche?», chiese sinceramente curioso, ma Pearl aveva altre considerazioni per lui.
    «Arci. Leva le mani dalle mie tette»
    «Ma senza airbag come mi salvo in caso di incidente?»

    Sorrise, e in risposta la donna pensò bene di minare ancora di più alla vita del serpeverde accelerando, e questa volta il grido non fu solo liberatorio, e non la strinse più forte solo per poterla palpare e ricordarsi che oltre alla tassafessa c'era un intero mondo di gente scopabile.
    «No, non puoi toccarmi le tette porca miseria. SBAGLIO O SEI FIDANZATO?!»
    Colto sul vivo, pensò immediatamente che Pearl dovesse aver visto il bacio e aver frainteso... poi si ricordò che non era neanche nel capanno. «Non siamo fidanzati», precisò con un grido per farsi sentire oltre il vento. «Jeremy non mi ha ancora dato ufficialmente l'anello»
    Gli venne un conato di vomito alla smaterializzazione (farla in moto aveva un fascino discutibile), e sorrise contro la schiena di Pearl alla sua domanda.
    «Arci, per l'amor di Morgan, santa Cincia Immortale e Larry Roger martire, dimmi che quella che sento è la tua bacchetta... e se non lo è...FALLO SMETTERE O PRENDO LE FORBICIl»
    «E' solo la mia mazza»
    mlmlmlml che poi "è la tua bacchetta" era comunque un doppiosenso o sbaglio? Ila tu mi avresti dato ragione dove sei «dopo te la faccio vedere... se vuoi puoi anche provarla» considerò che in effetti non conosceva abbastanza quella tipa per assicurarsi che sarebbe stata al gioco, e si affrettò ad aggiungere «Quella da baseball» Fidarsi è bene non fidarsi è meglio.
    La moto continuò dolcemente il proprio volo, e alla domanda se ad Arci andasse un'altra gita nel bosco, il serpeverde non potè che rispondere affermativamente, la guancia appoggiata alla schiena della donna. Non è che avesse di meglio da fare, dopo essere stato scaricato dai suoi amici. "E da Tiffany. Ciao Tiffany. Fanculo Tiffany".
    Restò un po' sorpreso dall'atterraggio accanto alla casa del guardiacaccia, pensando solo in quel momento che in effetti era salito sulla moto senza neanche dire a Pearl quale fosse la sua destinazione, che comunque lei aveva indovinato. Che ribelle vero ihihih... e ok, ok, forse aveva un po' sperato che la donna lo avrebbe portato a casa sua e da cosa nasce cosa, chiodo schiaccia chiodo, la mattina dopo si sarebbe risvegliato in un letto non suo. MA VABBE', poteva accettare anche quella versione della storia.
    Sesso nella capanna del guardiacaccia. Dai, ci stava.
    "Vedi Fraser? A qualcuno piaccio *dito medio on my mind*".
    ...no non ci credeva neanche lui che davvero Pearl se lo sarebbe portato a letto, ma la speranza è l'ultima a morire.
    «Dai pure il benvenuto a me, la nuova Guardiacaccia della scuola!»
    «...cosa?»
    Alzò lo sguardo su di lei sbattendo le palpebre più volte, confuso e distratto ancora dai suoi filmini porno con loro due nudi sul tavolo e Tiffany che casualmente entrava e li vedeva mettendo su una scenata furiosa di gelosia. «Leroy! Le mie labbra sono ancora calde!» «Scusa dolcezza, quel treno è partito...»
    «A quanto pare sarò segregata qui bla bla, devono valutare la mia idoneità bla bla bla Pavor»
    «Ah sì?» Si tolse il casco, guardandosi intorno, poi ripensò a quanto appena avesse detto. «Vuoi fare il pavor?»
    Gli sfuggiva sinceramente il collegamento "guardiacaccia" "pavor", ma dei suoi dubbi Pearl se ne fotteva, e anzi continuò a parlare a vanvera chiedendogli se non fosse idonea. «Certo che lo sei», le assicurò, dubbioso e spaventato dalla minaccia. Ma in realtà era anche sincero: se Eugene era un pavor, anche Pearl poteva facerla. «Perchè pensano tu non lo sia?» Se era una pazza sclerata, meglio scoprirlo prima di tirare fuori le sue carte vincenti e portarsela a letto (le carte vincenti sono sempre i tarocchi, ovviamente)
    La seguì all'interno della capanna, guardandosi intorno e sapendo esattamente dove andare a mirare. Diciamo che non era nuovo all'ambiente; se c'è un posto abbandonato, i Cata se ne appropriano.
    «Siamo noi oppure qui c'è puzza di morto?»
    «Credo che lo scorso Guardiacaccia sia crepato qui dentro»
    , commentò disinteressato superandola e andando verso la credenza. Tirò fuori da un mobiletto in basso una bottiglia di scotch incendiario. «Vuoi? Mi casa es tu casa» Agitò la bottiglia.
    a) non era sua intenzione davvero offrire da bere dalla scorta dei Cata. Ma
    b) tecnicamente quella ora era casa di Pearl, e sarebbe stato scortese (??????)
    In ogni caso, lui un sorso se lo sarebbe preso.
    «Ho voglia di dimenticare un po' di merde di questa notte, e ridere delle cose divertenti con qualcuno»

    Far ubriacare la nuova guardiacaccia al suo primo giorno in servizio? QUALE ACCOGLIENZA MIGLIORE. Aw, i catafratti sarebbero stati così fieri di lui.
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    Edited by perfectly f u c k i n g civil - 23/12/2016, 13:06
     
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    Pearl O'Sullivan
    «There's a hole in my soul. Can you fill it? Can you feel it? »
    23 y.o. ✕ ex Gryffindor ✕ Guardiacaccia ✕ Deatheater ✕ Gamekeeper
    «Credo che lo scorso Guardiacaccia sia crepato qui dentro» Pearl gli rivolse un sorriso appena accennato, guardandolo un poco scettica «Non sono una studentessa, Arci. Non ho bisogno del solito scherzo di benvenuto» Lo guardò ancora, ma lui parve non farci caso e si diresse all'interno dell'abitazione con tutta tranquillità. Il sorriso scomparve dal volto della bionda, mentre un lampo di preoccupazione le velava gli occhi «aspetta, stavi scherzando vero?» il ragazzo continuava a girare per la stanza, aprendo e chiudendo ante e cassetti, «insomma, sapevo che Hogwarts era pericolosa, ma pensavo che il preside avesse un occhio di riguardo almeno per il personal e, se l'ex Guardiacaccia è morto davvero qui, può significare solo due cose: o se ne frega dei custodi o di chiunque non sia un insegnante oppure non ha messo una buona parola con i mostri che vivono nel castello» constatò Pearl, preoccupandosi di chiudere la porta. Già arrivare in piena notte non era un buon modo per presentarsi a lavoro, farsi vedere in compagnia di uno studente non era esattamente il massimo. Non che Pearl avesse alcuna intenzioni di portarsi Arci a letto, ma le persone parlavano e quel serpeverde era un idiota, simpatico ma pur sempre un idiota. Ma aveva anche qualche asso nella manica e, mentre la Guardiacaccia sprofondava in una delle poltrone liberate dall'involucro di lenzuola, il Leroy le mostrò una bottiglia di scotch incendiario già iniziata «sì certo fai come se fosse casa tua ma, aspetta, non lo è» più che una constatazione sembrava il ringhio feroce di un animale che trovava qualche creatura intrufolata nella propria tana. Arci aveva già bevuto un sorso e la mano di Pearl gli strappò via i pantaloni la bottiglia e ne bevve anche lei. Il liquido scese lungo la gola, mentre l'odore pungente le invase le narici. Voleva dimenticare, Arci, ma Pearl sapeva che non avrebbero dimenticato un bel niente. Puoi dimenticarti di una storia finita male, dei debiti che ti assillano, di un amico che è partito, ma dimenticare la morte e quello che si era portata via con se non era così facile. Certo, erano tutti vivi, nessuno si era lasciato strappare a quell'esistenza, per quanto crudele potesse essere, ma rimanevano pur sempre il dolore, la paura e la nostalgia. Oh, la nostalgia era forse peggio di qualsiasi altra cosa, il triste ricordo di un momento felice, e con lei veniva anche il rimpianto che concludeva in bellezza il quadretto. Ci aveva provato Pearl, aveva sperimentato di tutto quando aveva perso le persone che aveva creduto di poter avere con se per sempre, e aveva sofferto ancora di più scoprendo che l'alcol non faceva altro che far riaffiorare più bei ricordi di quanti la Guardiacaccia ammettesse di avere. Un sorso non bastò e la bottiglia riversò nuovamente il proprio contenuto nella gola della bionda. Lo scotch bruciò terribilmente, trascinando una scia di fuoco fin nello stomaco e potè quasi sentire il fegato rassegnarsi all'ennesima ondata di alcol che doveva sorbirsi. Fu proprio quel fuoco che le asciugò i condotti lacrimali: Pearl non piangeva mai quando beveva, anzi, rideva della sua stessa tristezza e beveva ancora. Trovò chissà dove la voce per poter parlare, sebbene fosse stata prepotentemente presa a pugni da quei brevi ma forti sorsi «Non voglio che tu ti faccia illusioni, Arci» e non voleva nemmeno doverlo aiutare a vomitare nel cesso il mattino dopo «quindi sappi che non dimenticherai un bel niente bevendo. Forse puoi svenire, ma comunque sognerai quelle cose quindi non so quanto ti convenga. Fidati, parlo per esperienza -ah la bottiglia ora è mia, prendine un'altra e bevi quella». Le dita erano strette saldamente al collo della bottiglia, sudate, sporche e stanche trovarono quasi sollievo contro la polverosa ma fredda superficie del vetro. Aci pose altre bottiglie sul tavolo e, nonostante avesse trovato una posizione molto comoda e ottima per addormentarsi, si sforzò di alzarsi per sedersi affianco a lui. Pearl sopportava piuttosto bene l'alcol, probabilmente si trattava di forza dell'abitudine più che di costituzione, ma comunque ce ne voleva per vederla ubriaca fradicia. Ma lei in quel momento vole rovinarsi come non mai e non esitò ad attaccarsi alla bottiglia come un bambino fa con un biberon. «No, non ho intenzione di raccontarti delle mie tragiche perdite che mi hanno portato a svenire più volte dentro i bagni dei bar» disse sorridendo ed enfatizzando il discorso più del necessario «o almeno non prima di essermi ubriacata ed aver sentito la tua storia» l'indice disegnò una sorta di ovale invisibile attorno alla figura del serpeverde «e vacci piano con quella bottiglia, non hai ancora il fegato allenato per bere tanto quanto me». Le piaceva molto vantarsi di essere un'alcolista, non aveva ancora avuto problemi con il nettare degli dei ed era convinta di pote reggere qualsiasi cosa le sarebbe successa continuando con quello stile di vita e poi, oltre a non volere un Arci ubriaco che le fissava le tette in continuazione girando per casa, doveva ammettere che non avrebbe voluto vedere lui o i suoi amici seguire le sue orme. Meritavano molto di più loro, meritavano di restare insieme e fronteggiare qualunque cosa senza il bisogno che qualcuno si attaccasse ad una bottiglia e, sicuramente, era anche per quello che le era dispiaciuto dare il passaggio ad Arci. Sarebbe dovuto andare con Bells, Oscar, Jack e - come si chiamava l'altro? ah! - Jeremy, avrebbe dovuto festeggiare con loro e stare insieme, perchè quella sera sperava avessero imparato un lezione molto importante: poteva bastare davvero poco per perdere qualcuno e poteva succedere in qualsiasi momento. «Non per farmi i fatti tuoi, ma perchè non sei andato con loro?» la domanda pareva più che ovvia per Pearl e, soprattutto dopo quello che aveva passato, se avesse avuto degli amici come i Catfratti non li avrebbe lasciati stare nemmeno per un secondo «anche se, ora che l'ho detto, mi rendo conto che in effetti voglio proprio farmi i fatti tuoi quindi sputa il rospo». La prima bottiglia rotolò via sul tavolo di legno grezzo e pieno di schegge. Non sapeva chi era stato il responsabile dell'arredamento, ma avrebbe davvero voluto farci quattro chiacchiere perchè
    a) non è che Guardiacaccia era per forza sinonimo di rozzo ed ignorante (il fatto che, poi, Pearl lo fosse è un altro conto);
    b) quello era un capanno adibito a casa, non un rifugio di montagna visitato ogni morte di papa! Che diamine, un minimo di cura in assenza di qualcuno ad occupare il posto non sarebbe stato un grande sacrificio.
    E dire che Pearl non aveva ancora visto la pelliccia di Orso buttata in modo molto poco curato come coperta sul letto: quando l'avrebbe vista, però, andare a letto con quel ragazzo sarebbe stato totalmente fuori discussione (non che Arci avesse avuto molte speranze anche prima). «Non ho seguito molto il discorso, ma posso dirti in tutta certezza che... che...» cosa poteva dirgli? Prese un sorso di scotch per aiutarsi a trovare l'ispirazione e il calore che la ustionò dall'interno sembrò risvegliarla dello stato assente che aveva mostrato fino a quel momento. Non stava cedendo agli effetti della sbronza, semplicemente quando beveva le capitava di fare, inavvertitamente, una cosa che non aveva mai fatto da sobria: riflettere. Ed essendo una persona molto pigra e svogliata, non si impegnava più di tanto ad ascoltare anche i propri interlocutori. Ora che ci pensava, era davvero da tanto tempo che non beveva in compagnia. Certo,il bicchiere di vino a tavola coi parenti. la birra insieme al padre sul balcone e lo champagne alle feste erano cose che succedevano frequentemente nella vita mondana che era costretta a frequentare per quelle poche briciole di rilevanza sociale che la propria famiglia rivestiva, ma non si sbronzava in buona compagnia da molto tempo, quindi non era nemmeno più abituata a seguire il flusso dei propri pensieri e quello del discorso di qualcun altro in contemporanea. Immaginò che Arci fosse più bravo di lei in questo e un po' lo invidiò, come anche per altre cose «posso dirti che sei un cretino. Sì, insomma, avrai pure un bel viso e quello charm da ragazzetto arrogante e sicuro di se ma, diamine, ti senti quando parli?» trangugiò con calma altro alcol, mostrando l'indice in segno di pausa al Catafratto. L'alcol le aveva dato uno spunto per qualcosa su cui parlare, menomale che c'era lui: muso ispiratore indiscusso. «Non ti conosco, ma posso dire di conoscere Bells e Jack e credimi se ti dico che non hanno fatto altro che stare in pena per voi per te e l'altro tipo -Joseph? Jiselle?- quindi non azzardarti a dire che sei solo. Fottesega se sono preoccupati di curarsi di qualcun altro, sempre meglio stare con loro che con una vecchia bacucca come me» si incurvò in avanti e fece la miglior faccia da vecchietta che conosceva e con voce gracchiante aggiunse «sono passati più di sette anni dall'ultima volta che ho bevuto in compagnia! Maledetta bambini, non giocate nel mio orto!» sbraitò verso una delle finestre agitando la sua lancia come un vecchio bastone. Sperò di sdrammatizzare la situazione, non le piacevano i discorsi troppo profondi che tiravano fuori il lato dolce che non sapeva di avere ancora, così rise da sola alla sua stessa scenetta. Patetica? Mh, lei si sarebbe definita piena di se, ma anche patetica le si addiceva molto: diceva a d Arci che era sbagliato stare lì con lei, ma sapeva che ci sarebbe rimasta molto male se lo avesse ascoltato. Perchè Pearl era davvero sola e avrebbe pianto del fatto che non beva in compagnia da molto se non fosse stata, per l'appunto, in compagnia. Incominciò a pensare che portarsi il Catafratto era stata l'ennesimo atto di egoismo, mascherato da altruismo a sua volta velato di arroganza e sopportazione. Gli orchi hanno gli strati! e cipolle hanno gli strati! diceva un qualche film della sua infanzia ed era probabilmente la frase che più le si addiceva in quel momento. E se questo significava essere un'orchessa per lei non c'erano problemi: un rutto uscì prepotente dal suo esofago facendo tremare il tavolo. Scoppiando in una risata, rovesciò la testa all'indietro prendendo un altro sorso di scotch «Sai fare di meglio, Catafratto?» dicendo quella parola, per poco non le andò di traverso il liquido infuocato «ah, e davvero cosa è tutta questa poca originalità? Catafratti, sapevate che c'erano i Castafratti prima? E sapevate che ancora prima c'erano i...» s'interruppe, temendo che l'alcol le uscisse sotto forma di lacrime, ma decise di continuare «i Rastafatti» avrebbe potuto fare come suo solito, divagare e focalizzare il discorso su altro, o semplicemente mentire, ma Arci non sembrava il tipo che se la sarebbe bevuta o che avrebbe facilmente smesso di chiedere, quindi perchè no? Perchè non dirglielo? Avrebbe semplicemente evitato di dire che lei era una dei Rastafatti «e io ne facevo parte» avrebbe tanto voluto alzarsi, andare in bagno e farsi uno slow clap allo specchio e magari dargli una testata e morire dissanguata in quel lavandino dove non scorreva acqua da fin troppo tempo. Sul serio, da quando la tinta castana era andata via sentiva quasi di poter percepire la propria stupidità prenderla a pugni ogni volta che apriva bocca. Aveva miseramente fallito nella missione che si era auto-assegnata pochi secondi prima e adesso voleva terribilmente che un uomo vestito da pirata le appiccicasse una stellina glitterata sulla fronte, senza alcun vero motivo. «sai cosa? Credo di aver parlato troppo, dopotutto dovevamo pur sempre parlare di quanto tu ti creda stupidamente solo e non voglio rubarti la scena, mia cara drama queen.» ma, come aveva previsto, il ragazzo non fu affatto contento di quella repentina virata e prese in mano lui il timone #wat, non mollando la presa finchè Pearl non smise di bere un altro sorso rassegnandosi, troppo spossata dalla missione (quella che era riuscita a portare a termine, non quella miseramente fallita) non ebbe la forza di prenderlo a pugni o lanciargli una fattura che lo trasformasse in un vaso di petunie «okay, okay! Ma vedi di abbassare i livelli di testosterone o il tuo amichetto -Jacob? Jacqueline?- non ti vorrà più con sè: sbaglio o è lui l'uomo tra voi due?» chiese sperando di metterlo in imbarazzo, senza sapere che in realtà stava facendo proprio il suo gioco e che avrebbe dovuto aspettarsi una qualche risposta piccante tanto quanto la domanda. Diamine se quel ragazzino sapeva tenerle testa, era persino riuscito a convincerla a parlare, con l'aiuto dell'alcol (ora rimaneva da stabilire se l'alcol aveva aiutato lui a fare la domanda o lei a rassegnarsi dal desistere). «Io... io non sono sempre stata così sola» butto giù un quarto della bottiglia e strabuzzò gli occhi, non era abituata ad aprirsi con qualcuno e, a dirla tutta, non aveva nemmeno tutta questa voglia di farlo, ma le piaceva essere al centro dell'attenzione e, in più, qualcosa le diceva che forse era anche ora di vomitare tutti quei segreti. «all'epoca c'era un nome sulla bocca di tutti gli studenti, un nome che sicuramente conoscerai anche tu: Castafratti» sbuffò appena, ancora convinta che quei quattro tizi non avessero nulla che non avesse anche lei o gli altri Rastafatti «ma non erano certamente gli unici a divertirsi in gruppo, anche io avevo trovato la mia combriccola, la mia ghenga, la banda o come la vuoi chiamare tu. Non giudicarmi per quello che sto per dirmi, sappi che eravamo giovani e incoscienti di quello che stavamo facendo: il nostro nome era Rastafatti» la voce di Pearl era seria, appesantiva l'aria e rendeva tutto più mistico #wat, ma le risate di Arci rovinarono tutto «ridi, ridi» gli disse con una smorfia l'ex-Rastafatta «come se Catafratti fosse un nome migliore. Che significa poi boh» si scolò il resto della terza bottiglia e le dita si strinsero attorno alla quarta: Pearl cambiava bottiglia più frequentemente di quanto cambiasse il reggiseno (quelle poche volte in cui lo portava). «Ad ogni modo, eravamo stupidi, ma non lo era quel che facevamo: eravamo stati introdotti al magico mondo del Reggae e, inevitabilmente, a quello delle tradizioni della Jamaica» disse con tono solenne, facendo quasi presumere che amassero l'isola (???) d'origine di quelle canzoni. Poi fece segno ad Arci di avvicinarsi, guardandosi attorno sperando di non scorgere nessun'altro ad ascoltarli «in realtà fumavamo semplicemente canne a volontà e avevamo tutti i capelli rasta» rivelò ridacchiando al ricordo della scatoletta che tutti avevano, dentro la quale era contenuta una foglia di Maria da cinque punte e cinque trecce rasta di diverso colore. «Sapete, nella magia Jamaicana queste foglie hanno un forte significato. Ogni "braccio" della foglia è fondamentale da solo ma soprattutto lo sono tutti insieme, perchè è insieme che formano la foglia per intero. Viene appeso nelle case e le punte sono tante quanti i membri del nucleo. Avrà anche dei poteri da sballo e ci renderà anche dei tipi ganzi, ma il significato di questa foglia è quello che veramente ci unisce» aveva raccontato uno dei suoi amici a quei tempi, quando aveva consegnato ad ognuno di loro una scatoletta «il significato stesso è»
    «famiglia» disse dopo aver fatto un piccolo colpo di tosse, dovuto non allo scotch incendiario ma al groppo di tristezza che le si era fermato improvvisamente in gola «ecco cosa eravamo l'uno per l'altro». Un sorriso malinconico le dipinse il volto prima che si attaccasse nuovamente alla bottiglia, non dando ascolto al proprio consiglio e tentando di affogare quei demoni nel fuoco stesso, sapendo che non avrebbe mai funzionato una cosa del genere.
    At least you tried.
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    «Non sono una studentessa, Arci. Non ho bisogno del solito scherzo di benvenuto... aspetta, stavi scherzando vero?»
    Arci alzò appena lo sguardo su di lei divertito, ma mantenne un'espressione seria facendo l'avido di sorrisi. «Tu che credi?»
    «insomma, sapevo che Hogwarts era pericolosa, ma pensavo che il preside avesse un occhio di riguardo almeno per il personal e, se l'ex Guardiacaccia è morto davvero qui, può significare solo due cose: o se ne frega dei custodi o di chiunque non sia un insegnante oppure non ha messo una buona parola con i mostri che vivono nel castello»
    Arci sbuffò una risata sprezzante, senza chiedere se i mostri da lei citati fossero gli studenti o le creature magiche: non si poteva mai dire a Hogwarts, parlando di assassini. Posò la bottiglia su un ripiano, e afferrò il telo steso sul tavolo per coprire quest'ultimo dalla polvere, togliendolo con un gesto rapido rivelando una base di legno scheggiata; non invidiava la nuova sistemazione di Pearl. «Cole Baudelaire se ne fotte di chiunque... non fraintendermi. Lo rispetto» Spalancò le braccia, chinando leggermente il capo, come a mimare un piccolo inchino di ammirazione. «Probabilmente non sarebbe resistito due anni come preside in questa scuola, se non fosse quello che è». Arci si chiese come sarebbe stato avere la vita del Baudelaire: soldi, sorellastre bellissime, un'educazione internazionale e bilingue, camerieri pronti a servirlo durante tutta l'adolescenza. Crescere nella sua famiglia doveva essere stato fantastico, e per un istante si immaginò stupidamente facente parte di quel momento, fratello di quell'uomo con cui in realtà, era chiaro, oltre al sesso e ora la convivenza con le Beaumont condivideva ben poco. Neanche poteva immaginare quanto fosse in realtà andato vicino a vivere anche lui quella vita, mentre scuoteva appena la testa per togliersi i capelli troppo lunghi da davanti alla faccia... e invece non avrebbe mai scoperto com'era davvero avere un fratello, che non fossero i suoi amici. Jeremy aveva fratelli, Oscar aveva un fratello, Bells aveva un fratello, Jack aveva una sorella. Lui non aveva proprio un cazzo di nessuno, e non lo avrebbe mai avuto.
    Stappò la bottiglia prima di aspettare il permesse di Pearl, tutto se stesso concentrato in quel piccolo gesto. Era considerabile un Jack se voleva scolarsi tutto il liquido all'interno? Si sedette a gambe incrociate su una sedia, prendendo direttamente dalla bottiglia il primo sorso, che scese infuocato giù per la gola; rimase un solo attimo senza fiato, e fece il bis.
    Forse se fosse stato fratello di Cole Baudelaire, con i soldi e un'educazione da ricco, Tiffany non lo avrebbe rifiutato.

    «sì certo fai come se fosse casa tua ma, aspetta, non lo è»
    La bottiglia gli venne strappata dalle mani con poca grazia, ma Arci non strinse la presa, lasciando che la donna si prendesse ciò che le spettava. «Rude»
    Pensò bene di non far notare che erano stati lui e i cata a portare lì l'alcol, in caso di tempi di magra alla stamberga, e quindi era loro: Pearl sembrava già partita per la tangente, gli occhi distanti a guardare solo lei sapeva cosa. Arci attese. Non era lì per fare conversazione, in ogni caso, e di sicuro non l'avrebbe forzata a parlare.
    «Non voglio che tu ti faccia illusioni, Arci», disse ad un certo punto la bionda, guadagnandosi un'occhiata sorpresa del serpeverde.
    «Scusa?»
    «quindi sappi che non dimenticherai un bel niente bevendo. Forse puoi svenire, ma comunque sognerai quelle cose quindi non so quanto ti convenga. Fidati, parlo per esperienza -ah la bottiglia ora è mia, prendine un'altra e bevi quella».
    Il ragazzo sbuffò una risata, scuotendo la testa. Si alzò, non litigando per la bottiglia e sapendo in ogni caso dove prenderne un'altra: non gli dispiaceva affatto non doverla condividere. «Parli da donna di mondo, nonostante tu abbia appena... quanto? Uno o due anni più di me», commentò aprendosi un rum trovato. Aiutandosi con una mano, si sedette sopra il ripiano accanto al lavello. «E soprattutto parli come chi pensa che io non abbia mai preso una sbornia. So come funziona» Prese un sorso, facendo una piccola smorfia al sapore forte ma mandando giù soddisfatto, espirando poi fuori l'aria calda dalla bocca.
    Scese nuovamente dalla sua postazione, decidendo che solo due bottiglie per due spugne come loro non sarebbero bastate, e lasciò sul tavolo tutto quello che riuscì a trovare, sistemandosi poi nuovamente al tavolo. Pearl gli andò accanto, e Arci si distrasse a guardarle il collo scoperto, la pelle chiara. Come sarebbe stato toccarla? Come sarebbe stata baciarla? La sua pelle era morbida come quella di Tiffany?
    Rendendosi conto di aver appena pensato di baciare Pearl solo per fare un parogone con la tassorosso, mandò giù esasperato un'altra sorsata bollente, chiendendosi entro quanto si sarebbe ubriacato abbastanza per non pensare più a lei, entro quanto il sapore del rum avrebbe coperto interamente quello impresso sulla sua lingua delle labbra di Tiffanty.
    «No, non ho intenzione di raccontarti delle mie tragiche perdite che mi hanno portato a svenire più volte dentro i bagni dei bar. o almeno non prima di essermi ubriacata ed aver sentito la tua storia»
    Arci sollevò lo sguardo sorpreso, un sorriso esagerato mentre si portava la mano al petto. «La mia storia? Sono solo un diciassettene noioso e arrapato. Non c'è niente da raccontare» era piuttosto triste che fosse terribilmente vero.
    «e vacci piano con quella bottiglia, non hai ancora il fegato allenato per bere tanto quanto me»
    «not really» Ma ugualmente, smise per il momento di bere, iniziando a sentire l'alcol fare effetto nella sua testa, i pensieri che si facevano più veloci e più lenti insieme. Voleva non pensare a Tiffany, alla missione, alle vite che aveva strappato quella notte, ma non aveva intenzione di vomitare sul nuovo zerbino della casa di Pearl.
    «Non per farmi i fatti tuoi, ma perchè non sei andato con loro? Anche se, ora che l'ho detto, mi rendo conto che in effetti voglio proprio farmi i fatti tuoi quindi sputa il rospo» Arci cercò di evitare di mostrare sul volto quanto quella domanda lo avesse colpito, limitandosi a scrollare le spalle. Pensò di mentire, o di non rispondere: non erano fatti di quella sconosciuta, tanto più che neanche lui aveva una risposta adatta... ma alla fine rispose ugualmente, dopo essersi umettato le labbra e aver aumentato la presa sul collo della bottiglia.
    «Sono loro a non essere venuti con me, tecnicamente», fece notare con un sorrisetto spiacevole e che aveva del sofferto. Non ce l'aveva con i suoi amici, ovviamente. Li capiva: neanche lui sarebbe andato con se stesso, avesse potuto scegliere. «Avevano tutti di meglio da fare, di megliori con cui andare... tempo da recuperare insieme ai loro cari, capisci? Non con me» Di nuovo, scosse le spalle. «Forse ti sei fatta l'idea sbagliata di me, ma è normale: non hai ancora avuto il grande onore di conoscermi... io non voglio dimenticare le morti, o il dolore, il sangue, le uccisioni. Me ne fotto di queste cose: questa sera mi sono divertito. Le persone a cui tengo alla fine stanno tutte bene, e tanto basta. No, io voglio solo dimenticare di essere un fallito di merda» Aprì il braccio libero, come a farsi vedere in tutto il tuo splendore, le labbra ancora incurvate in quell'espressione strafottente. «Non c'è niente sotto quello che vedi, solo strati e strati e strati di... nulla. Rabbia, tristezza, bellezza, e alcol. Mentre i miei amici, loro sì che sono persone vere, e avevano bisogno di qualcuno come loro in questo momento. Qualcuno che chiaramente non sono io» Rendersi conto che pensava sinceramente tutte quelle cose gli bruciò il petto per qualche istante, e dovette spegnere quel fuoco con quello simile ma estremamente diverso dell'alcol, mandando giù il rum come acqua. «Sono una cazzo di drama queen, lo so» almeno ne era conscio. Almeno finalmente l'aveva detto a qualcuno a voce. «Magari non dire in giro che ho detto di essere un fallito di merda: è colpa di questa benza che mi fa dire idiozie» Sapeva che se avesse detto una cosa del genere ai Cata, se avesse ammesso ad alta voce - o avesse fatto capire - che era geloso di loro, del modo in cui vivevano, avrebbe ricevuto botte. E se le sarebbe anche meritate.
    «Non ho seguito molto il discorso, ma posso dirti in tutta certezza che... che...»
    Attese con una faccia da prendere a schiaffi, pronto a qualsiasi risposta la donna gli avrebbe dato. Non voleva comprensione, non voleva un pat pat sulla testa. «posso dirti che sei un cretino. Sì, insomma, avrai pure un bel viso e quello charm da ragazzetto arrogante e sicuro di se ma, diamine, ti senti quando parli?»
    Portò la mano al cuore, esageratamente lusingato, mentre lei scolava cercando le parole guste sul fondo della bottiglia. «Pensi che io sia bello?»
    «Non ti conosco, ma posso dire di conoscere Bells e Jack e credimi se ti dico che non hanno fatto altro che stare in pena per voi per te e l'altro tipo -Joseph? Jiselle?-»
    «Geremia?»
    «- quindi non azzardarti a dire che sei solo. Fottesega se sono preoccupati di curarsi di qualcun altro, sempre meglio stare con loro che con una vecchia bacucca come me. sono passati più di sette anni dall'ultima volta che ho bevuto in compagnia! Maledetta bambini, non giocate nel mio orto!»
    Arci scoppiò a ridere, trovando la scenata della donna forse ancora più divertente grazie all'alcol.
    «Non sei una vecchia bacucca», corresse, ignorando il resto delle affermazioni (sapeva perfettamente che per qualche motivo Bells e Jack, come Blaze e Jer, gli volano bene). Si sporse in avanti verso di Pearl, umettandosi le labbra e guardandola fissa negli occhi. «Sei divertente. Sei bellissima» #herecomethesmolder
    Rise con lei quando questa ruttò. No, Pearl non era affatto una vecchia bacucca: era una bambina con un problema di alcolismo da catafratto; fosse nata qualche anno più tardi, sarebbe stata benissimo nel loro gruppo di disagiati.
    «Sai fare di meglio, Catafratto
    «Nah. So fare tante altre cose, però» ammiccò, ridendo subito dopo.
    «ah, e davvero cosa è tutta questa poca originalità? Catafratti, sapevate che c'erano i Castafratti prima?»
    Annuì. Non disse che avevano proprio preso il nome da loro, dalla vecchia generazione (Elijah prima di perdere la memoria non aveva mai ammesso nulla, ma tutti sapevano che era stato lui a far trovare il Diario del Castafratto a Bells, e a suggerirle così il nome) «E sapevate che ancora prima c'erano i...» la vide esitare. «i Rastafatti»
    Avrebbe nuovamente riso, per la stupidissima battuta, ma qualcosa nel tono e nell'espressione di Pearl lo fece tentennare. No. Non poteva essere seria. Lo era? Esistevano davvero i Rastafatti? «e io ne facevo parte»
    Facevo.
    Usare il termine al passato era così brutto che ad Arci parve di perdere un battito. Non avrebbe potuto immaginarsi fra qualche anno a dire "facevo parte dei catafratti", come sapeva che Nathaniel, Eugene, Eli o Rea non avrebbro mai detto "ero un Castafratto". Fratto lo si era per la vita, non si poteva semplicemente non esserlo più.
    «cosa-..?» Cos'era successo ai Rastafatti? Oppure era una battuta?
    «sai cosa? Credo di aver parlato troppo, dopotutto dovevamo pur sempre parlare di quanto tu ti creda stupidamente solo e non voglio rubarti la scena, mia cara drama queen.»
    «Too late. Torneremo a me per il gran finale. Di solito non era interessato alla vita altrui, ma quella parte di Pearl lo intrigava, e spaventava. Si era sempre pensato successore dei sempiterni castafratti: e se invece fosse finito anche lui a parlarne al passato? «Cosa vuol dire che ne facevi parte? Cata castoro raccontami una storia!»
    «okay, okay! Ma vedi di abbassare i livelli di testosterone o il tuo amichetto -Jacob? Jacqueline?- non ti vorrà più con sè: sbaglio o è lui l'uomo tra voi due?»
    Non commentò che le relazioni omosessuali non funzionavano esattamente così (colpa di tutte le volte che Thad lo aveva pestato per aver fatto battute simili), ma si limitò a bere.
    «Spara»
    «Io... io non sono sempre stata così sola. All'epoca c'era un nome sulla bocca di tutti gli studenti, un nome che sicuramente conoscerai anche tu: Castafratti»Si chiese il perchè dello sbuffo, e non diede segno di aver capito a chi si riferisse: era ovvio. «ma non erano certamente gli unici a divertirsi in gruppo, anche io avevo trovato la mia combriccola, la mia ghenga, la banda o come la vuoi chiamare tu. Non giudicarmi per quello che sto per dirmi, sappi che eravamo giovani e incoscienti di quello che stavamo facendo: il nostro nome era Rastafatti» Arci non resistesse, e scoppiò a ridere, complice anche il tono troppo serio di Pearl; erano lì per divertirsi e bere, cazzo, non certo piangere. E poi Catafratti era un nome un po' di merda forse, ma «Rastafatti? Ve lo siete scelti, o una scommessa è finita male?»
    «ridi, ridi, come se Catafratti fosse un nome migliore. Che significa poi boh»
    Questa la sapeva. «catafratto, in latino: cataphractus; composto di "fino in fondo" e "proteggere". Ma in realtà non vuol dire un cazzo quindi tutto: è un termine onomatopeico»
    (????????????????????)
    Intanto, Pearl raccontava e più che altro beveva. Beveva. Beveva. Cristo se beveva. Arci si chiese se l'avrebbe vista andare in coma etilico, o se davvero il fegato della donna era così allenato che semplicemente lei non stava sentendo l'alcol fare effetto sul suo corpo e sulla sua mente.
    «Ad ogni modo, eravamo stupidi, ma non lo era quel che facevamo: eravamo stati introdotti al magico mondo del Reggae e, inevitabilmente, a quello delle tradizioni della Jamaica» Aggrottò le sopracciglia confuso. Interessante? Quando gli fece segno di avvicnarsi, l'accontentò. «in realtà fumavamo semplicemente canne a volontà e avevamo tutti i capelli rasta» E qui, risate. Beh, aveva molto più senso, e gli erano già molto più simpatici
    «Sareste andati d'accordo con Jasmime»
    Buttò giù un sorso con un ghigno, ma la parla detta da Pearl lo fece quasi strozzare, sputacchiando in giro. Stava sorridendo amaramente «famiglia. Ecco cosa eravamo l'uno per l'altro»
    Quello poteva capirlo, il chiamare i propri amici famiglia, quello che voleva sapere Arci era il seguito della storia, che temeva non fosse altrettanto divertente. Aveva bisogno che Pearl continuasse a parlare, per dimenticare i propri pensieri, per dimenticare ipropri complessi, e per dimenticare Tiffany e il suo rifiuto (neanche sapeva perchè stava dando tutto quel peso a ciò).
    «Cos'è successo?» Non smise di sorridere, e non si allontanò dal fianco di Pearl, cercando i suoi occhi. «Cos'è cambiato?»
    Temeva la risposta, e non la temeva solo per lei. Aveva paura di sentirsi dire che era capitato qualcosa che sarebbe potuto succedere anche ai Cata. "No. Se abbiamo salvato Blaze oggi, potremo salvarci a vicenda ancora. Cata una volta, Cata per sempre. Insieme".
    «Non so cosa voglia dire perdere qualcuno, forse» In fondo, aveva sempre sperato Blaze tornasse, quando era scomparso, quindi non lo aveva mai perso «Ma so cosa voglia dire amare, amare davvero, i propri amici»
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