life is hard, and then you die

jericho x thad #prequest07

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    16.11.2016 [death is coming]
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    Strinse la mano sull’arma da fuoco, così da poterla avvicinare al proprio volto. Sembrava più leggera di quanto in realtà non fosse, ma dopo mesi che la maneggiava riusciva a tenerla discretamente.

    La prima volta che l’aveva impugnata, timorosa di spararsi sui piedi, l’aveva tenuta con stizza fra indice e pollice; due minuti dopo, sicura di aver preso familiarità con l’arma, l’aveva stretta con più decisione, piegando le braccia e portando la canna parallela al volto. «sembro pericolosa? Mi sento pericolosa» aveva esordito guardando un Thad che, palesemente, desiderava essere ovunque tranne che lì. Non seppe con esattezza cosa accadde in seguito (o meglio, cosa lo sapeva perfettamente: era il come a sfuggirle), ma un improvviso boato l’aveva costretta a lasciar cadere l’arma con un gridolino terrorizzato ed un salto di almeno un metro all’indietro.
    Un secondo dopo, una piccola creatura alata era piovuta dal cielo, cadendo miseramente ai suoi piedi. Si era coperta gli occhi, Jericho Karma Lowell, timorosa di vedere. «dimmi che non è come penso» aveva bisbigliato dopo eterni secondi di silenzio, quando il fischio nelle orecchie era completamente sparito.
    Era esattamente come aveva pensato. Aveva strisciato le mani sul volto, facendo spuntare a malapena gli occhi blu da sopra la dita. Un uccellino azzurro, piccolo ed adorabile, non era più particolarmente vivo. Oddio, l’avrebbero rinchiusa ad Azkaban, o peggio: Viktor l’avrebbe scoperto. «dobbiamo nascondere il corpo» aveva sibilato, reduce di una maratona di how to get away with murder proprio con Deadpool (aka Thad). Perché sì: Jericho Karma Lowell, telepata ed ex grifondoro, aveva tolto la vita ad un uccello shipper. «se l’è cercata» aveva tentato poi di giustificare l’atto con l’amico, mettendo su la sua miglior espressione impassibile con le braccia incrociate sul petto. Dopotutto non era un segreto ch’ella odiasse quelle creaturine: erano così felici, con quei creepy versetti semi umani, che proprio non riusciva a tollerarli. Passavano tutta la loro giornata a cinguettare fra le coppiette, causando risatine imbarazzanti e languidi scambi di occhiate. Ew. Non per questo si sentiva meno in colpa ad averlo sterminato, ma non l’avrebbe dato a vedere: la prima regola di Jericho Karma Lowell, era limitare i danni. Meglio killer di uccelli che non pirla con un’arma da fuoco che accidentalmente aveva colpito un animale grande meno di un pugno. Giusto?
    Dopo quella traumatica esperienza (il becco dell’uccellino ancora popolava i suoi incubi) si era impegnata seriamente nell’apprendere l’uso dell’arma. Si era convinta che essere turbata da ciò che aveva fatto, non avrebbe limitato le sue capacità in caso di bisogno; dopotutto la creatura magica era innocente, cosa che invece non avrebbero potuto vantare le persone contro cui ella, ipoteticamente, avrebbe puntato la pistola. Certo che ce l’avrebbe fatta: odiare le persone era ciò che le riusciva meglio. Avrebbe dovuto farcela: doveva dimostrare a sé stessa, più che a chiunque altro, di essere reale. Una ragazza in grado di compiere le proprie scelte, di proteggere la sua famiglia, i suoi amici - il suo mondo. Era ormai tirocinante Pavor da un anno, e sapeva che se avesse proseguito nella carriera, cosa che intendeva fare, avrebbe avuto occasione di uccidere - o perlomeno, tentare di ferire. Quindi, come amava suggerirsi di fronte allo specchio, pochi cazzi, Jericho: fuori le palle. Per questo aveva domandato a Nathaniel, con una determinazione data semplicemente dal timore che il fratello potesse rifiutarla, di poter andare al poligono di tiro con lui e i suoi amiki. Per imparare a sparare, dite voi? Nah, per quello c’erano Thad e gli annoiati pomeriggi nella Foresta Proibita. E allora per cosa?
    Beh.

    Inspirò, ed espirò. Teneva la pistola con entrambe le mani, le gambe leggermente divaricate per mantenere l’equilibrio. Aveva ormai appreso il lieve rinculo dell’arma ogni qual volta sparava, quindi conosceva esattamente come puntarla sull’obiettivo. Lo sapeva che frequentare le sale giochi, un giorno, le sarebbe tornato utile. Jericho, sei sicura? Ma quando mai. Jericho non era mai stata certa di nulla in vita sua, e quelle poche certezze con cui cercava, flebilmente, di farsi scudo, venivano giornalmente bombardate dalla cruda realtà. Jack, Aveline, Brandon. Era anche a causa del suo adorato fratellone se si era imposta di cambiare, di migliorare: non poteva rimanere per sempre la ragazzina con la felpa troppo grossa, il mento infossato nelle ginocchia, e scatole vuote di pizza per tutta la camera.
    O meglio, poteva, ma doveva aggiungere qualcosa in più. Doveva conoscere il mondo, quello vero, ed armarsi per affrontarlo. Il rapimento di Alec, poi, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
    Era grande, ormai. Non era la bambina che, ad occhi spalancati, guardava Brandon fare a pezzi la madre. Non avrebbe permesso a qualcun altro di distruggere la sua famiglia: era il momento di scendere in campo, di farlo sul serio.
    Jericho… sai quello che fai? Sperava di sì. Diciamo che ne era certa al 90%. Il restante 10%, era il motivo che la spinse, infine, a premere il grilletto.
    «JERICHO!» Si tolse con un gesto fluido la mascherina, osservando Nathaniel lanciarsi sopra Elijah giusto una frazione di secondo che la pallottola colpisse il Dallaire alla gamba. Immobile, la telepata, il respiro strozzato in gola. Ma felice: perché Jericho Karma Lowell aveva bisogno di sapere che sì, ovvio, sarebbe stata davvero in grado di sparare ad un essere umano. «trottolino, stai bene?» ovviamente la domanda era stata rivolta ad Elijah. «sei PAZZA?» avrebbe potuto dire che aveva sbagliato mira, ma quanto sarebbe stato improbabile considerando che i manichini erano da tutt’altra parte? Si strinse nelle spalle, rimettendosi gli occhiali protettivi. «sono una lowell, cosa ti aspettavi?»

    Diciamo che fu la prima ed unica volta che Jericho andò al poligono di tiro con Nathaniel and Co. Sapeva che suo fratello non avrebbe mai permesso che il suo bignè alla crema si facesse male (lo stesso valeva anche per Eugene, eh… ma se avesse sbagliato, avrebbe preferito colpire il francese piuttosto che il Jackson, dopotutto avrebbero potuto diventare colleghi – e poi le era più simpatico), ed aveva contato che la stesse tenendo d’occhio, quindi i rischi erano stati minimi... Ma, quel 10% restante, perlopiù dato dalla lentezza bradipo di Nate, le era servito come impulso: nel mondo vero, in guerra, c’era la concreta possibilità ch’ella colpisse il bersaglio. Un ragionamento vagamente contorto, ce ne rendiamo conto.
    Forse Brandon non era l’unico psicopatico in famiglia.
    «perché l’hai fatto?» le aveva domandato Nate, riaccompagnandola a New Hovel. Jericho aveva alzato gli occhi al cielo, fingendo un disappunto che in realtà non provava – perché si rendeva conto che il fratello aveva esposto un dubbio lecito. «volevo vedere se ero in grado di farlo» «e se l’avessi colpito?» Allora l’aveva guardato negli occhi, così simili ai propri da essere quasi fastidiosi. «sapevo che non me l’avresti permesso» si era inumidita le labbra, improvvisamente a disagio. «mi fido di te» aveva ammesso in un bisbiglio stretto fra i denti. «AWW» ed era stata altrettanto lesta nel retrocedere di un passo, impedendo alle braccia di Nathaniel di raggiungerla. «NON ESAGERIAMO»

    Tutto questo per dire che.
    Era il sedici novembre e, malgrado il freddo siberiano per il quale era abbastanza certa avrebbe perso un arto, Jericho e Thad si trovavano nella foresta proibita. Unirsi alla Pager Squad non aveva portato a nulla di fatto, in quei lunghi mesi trascorsi dai primi rapimenti. Da settembre, mese nel quale le persone avevano smesso di sparire, mentre metà del mondo magico si sentiva finalmente tranquilla, l’altra metà setacciava il regno unito alla ricerca dei Nemo. Jericho rientrava nella seconda categoria; si era lasciata trascinare nei luoghi più remoti ed improbabili della terra solamente per trovarsi innanzi, ogni volta, un corpo diverso. Eppure, non si era lasciata scoraggiare: lo sentiva che erano vicini, dannatamente vicini, al ritrovare suo cugino, Oscar, Dakota, Jayson, e Al. Certo, anche gli altri rapiti, ma non era diventata improvvisamente così filantropa da preoccuparsene con sincero timore. Non che di natura fosse una persona ottimista, anzi: il suo bicchiere non era mai mezzo, era semplicemente vuoto. Ma cosa del genere non capitavano senza un motivo; perfino la morte cruenta di sua madre aveva un perché, ossia l’instabilità mentale del fratello. I laboratori, dov’ella aveva soggiornato per ben un giorno (informazione che aveva sempre tenuto solo per sè), non agivano in quel modo. C’era qualcosa di… diverso. Uno strano senso d’attesa occupato dai più curiosi con teorie riguardo riti satanici atti a riportare in vita i morti, o strani culti per la comunicazione con gli alieni. Jericho, che si considerava stupida ma non così tanto, non credeva a simili speculazioni; non aveva un’idea precisa, Grifondoro mica per nulla, ma sapeva che si trattava di qualcosa di più grande. Sapeva che stava succedendo qualcosa al di fuori della sua portata, e lo accettava limitandosi ad aspettare.
    Perché solo un’idiota avrebbe pensato che la faccenda si fosse conclusa quell’ormai lontano nove settembre. Si era iscritta alla missione del Ministero, malgrado fosse perfettamente consapevole che neanche al Ministero sapessero per quale missione avessero affisso annunci in tutta la cittadella magica. Aveva continuato a saltare da un gruppo di ronda all’altro, cercando di rendere utile quel suo assurdo potere – sulla carta sembrava magia allo stato puro, ed invece era valido quanto una pannocchia sull’Himalaya. Ed aveva avuto ragione.
    Si inumidì le labbra, tornando a posare la pistola sul tavolino improvvisato. Una piccola fiamma relegata in un barattolo di vetro illuminava flebilmente i tratti di Thad, dando un’aria più macabra del solito ai fitti alberi della Foresta. Era proibito ganga addentrarsi lì, ma andiamo: Jericho poteva percepire i pensieri di possibili pericoli, ed in caso di necessità avrebbe potuto usare Thad come scudo umano – tanto guariva, no? Diciamo che si sentiva abbastanza sicura. Continuava a grattare le unghie l’una sull’altra, il cappello di lana calato in testa fino a sopra gli occhi. La sciarpa, ancora quella che aveva utilizzato nel suo periodo ad Hogwarts, le arrivava sotto al mento, facendo spuntare ben poco del volto dai tratti delicati. Non che avesse importanza: Jericho Lowell, in quella pelle troppo perfetta, non ci si era mai trovata. Era sempre una novità sconvolgente guardarsi allo specchio e trovare nel riflesso… quella. Ovvio che Jack si fosse innamorato di una ragazza del genere, era bellissima - ben lontana da ciò che Jericho era stata prima dei Laboratori. Se non fosse stato per quei grandi fanali blu, le sarebbe parso impossibile che sotto quell’epidermide panna ci fosse proprio lei. Se era nervosa? Certo che sì. Come tutti aveva assistito allo spettacolo, ossia il video proiettato sullo schermo della sala grande. Aveva visto gli adulti agitarsi, cercare a bacchette spianate chiunque avesse avuto le capacità di trasmettere una cosa del genere all’interno di quello che avrebbe dovuto essere il posto più sicuro del Mondo Magico. Li aveva seguiti con la coda dell’occhio, distrattamente ed in maniera superficiale, mentre tutta la sua attenzione era per lo schermo scuro. Inizialmente non aveva capito di cosa si trattasse: da quando aveva conosciuto la magia di netflix, non riusciva a capacitarsi della bassa definizione delle atre trasmissioni. Quando qualcosa si era mosso, suscitando sospiri trattenuti fra i banchi della Sala, era rimasta con la forchetta a mezz’aria.
    Perché non era qualcosa, era qualcuno. Tanti qualcuno. E non ebbe bisogno di contarli, per sapere che erano ventiquattro. Gli studenti erano stati accompagnati nei Dormitori con voci strozzate che si sforzavano di suonare confortanti, gli Special erano stati sbattuti senza tanti complimenti a Different Lodge. Aveva guardato Thad, indicando prima la loro Scorta per i momenti di crisi, e poi l’uscita da quel luogo di perdizione. Non ce la faceva a rimanere lì, fra quelle quattro mura grigie: riusciva ancora a sentire i pensieri pungenti provenire dal castello, incapace, in quel flebile stato di shock, di allontanarli da sé. Erano ovunque: si sovrapponevano fra loro, si schiacciavano, si calpestavano come carte che s’arrampicassero l’una sull’altra per costruire un castello. Voleva che smettessero.
    ”Quello era un Grifondoro”.” Quello veniva a lezione con noi”. “Ma quello non è il cugino di Jericho e del professore?” “Sono morti?” «STATE ZITTI» aveva gridato alla stanza silenziosa, sbattendo le mani contro il tavolo ed attirando su di sé diverse paia di occhi curiosi. ”Se la smettessi di farti i cazzi nostri…” Lei… cosa? Aveva stretto i denti, inspirando profondamente. «mi farei volentieri i cazzi miei, se voi la smetteste di gridare nel mio maledetto cervello» aveva ringhiato, tentata di prendere la pistola da dove la teneva nascosta dove? per praticare un po’ di terrorismo psicologico.
    Bello che era, il terrorismo psicologico.
    Non era mai stata una brava ragazza; per intenderci, era difficile che qualcuno desiderasse bussare alla sua porta per domandarle dello zucchero -era più probabile le chiedessero del cianuro. Capace, da che ne avesse memoria, di rovinare la migliore delle atmosfere con un tipo d’humour così nero che negli anni novanta, in America, le avrebbero lasciato una carrozza a parte sul treno wat. Una spacca gioie di prima categoria, che si divertiva a rovinare l’umore altrui trascinandolo a terra come il proprio.
    Le persone felici la confondevano. Le piaceva odiare il mondo, facciamole causa. Comunque, un tempo, perlomeno, era stata coscienziosa: niente alcool, niente droghe, niente sigarette.
    Diciamo che il non avere mai avuto amici aveva aiutato nella sua buona condotta. Poi, dopo i Laboratori, aveva avuto la tanto stereotipata e millantata impennata di ribellione, diventando… beh, ancora spacca gioie, cinica, sarcastica, ed acida. Però aveva conosciuto la tequila. Jack, sei fiero della tua sorellina?, pensava con pesante ironia ogni volta che lo sguardo si soffermava sul liquido trasparente, già percependone il bruciore sulla punta della lingua.
    Ma bando alle ciance: era arrivato loro l’avviso che avrebbero dovuto incontrarsi quella sera stessa in un posto dimenticato dal Signore e dal resto dell’allegra combriccola (Zeus, Am-eh e Odino, per intenderci), ma ovviamente nessun comunicato sul come raggiungerlo. Certo, perché la plebe come Jericho, Thad e Freya, castizzati in quel dormitorio fantasma, era solita farsi un voletto di tanto in tanto in Galles. Specialmente con poteri utili come telepatia, guarigione, e chiaroveggenza.
    Per dire, eh.
    Sperava che qualche adulto responsabile, prima dell’orario prestabilito, andasse a recuperarli. Ma nel frattempo. Scostò la coperta di The lady, della quale andava fiera come fosse stata figlia sua (bellissima: un plaid patchwork su cui aveva cucito la scritta devo metterti in riga a caratteri cubitali), allungandosi con un verso già stanco verso la bottiglia ai suoi piedi. Riempì cinque bicchierini da shottini a testa, per poi chiudere la bottiglia ed alzare lo sguardo su Thad. «due shottini per come vorremmo morire, due per come probabilmente moriremo, e uno per il brindisi» Indicò meticolosa con un tono pungente, inumidendosi la lingua. Davvero, c’era un motivo di fondo se aveva pochi (tipo tre?) amici: era difficile sopravvivere ad un Lowell.
    Letteralmente.
    Alzò il primo bicchiere verso il ragazzo, attenta a non versarne neanche una goccia. Era convinta che da quelle parti le bestie magiche avessero qualcosa di profondamente sbagliato, e che, come gli squali con il sangue, riuscissero a sentire il profumo dell’alcool da metri e metri di distanza. Non aveva paura di loro, Jericho amava tutte le bestiole incapaci di parlare (tranne gli uccelli shipper), ma aveva il sincero timore lo dicessero a Vik: la barba le incuteva terrore.
    Troppo bianca.
    Doveva nascondere qualcosa, qualcosa di losco.
    «questo è per Robert, uccello shipper martire di una guerra che non gli apparteneva: grazie di avermi resa quella che sono oggi» sagge parole, sempre sagge parole, mentre buttava giù il contenuto del bicchiere in una sola, vissuta, golata.
    Ciascuno aveva il proprio modo personale di affrontare il nervosismo: chi ne rideva, chi cercava di sdrammatizzare, chi rimaneva a fissare il soffitto per ore, chi si stringeva ai propri cari. Il suo? Scrivere un testamento ben articolato – cosa che aveva già fatto: lasciava le sue scimmie a Aveline, e… niente, aveva già finito i suoi beni.
    Era povera.
    Che gioia la vita.
    jericho karma lowell
    «i have his sweatshirt, i wanna burn it. and him»
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia


    Edited by m e p h o b i a - 5/1/2017, 03:12
     
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    Thad Clayton | 16 Nov. 2016
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    Le cinque e mezza del mattino del sedici Novembre: troppo presto per svegliarsi, troppo tardi per andare a dormire. Il babbano era semplicemente sdraiato sul suo letto ad osservare il soffito, con la luce che cominciava ad entrare nella stanza, filtrata dalle tende. Dopo aver riletto un quantitativo improbabile di fumetti ed aver finalmente finito il libro che aveva lasciato lì per parecchi mesi, era rimasto senza nulla da fare e con nessun altro sveglio lì dentro. Si alzò in piedi, di colpo, recuperando dei vestiti leggermente più decenti del solito ed infilarsi le scarpe per andarsene. Dal nervoso, aveva un nodo allo stomaco incredibile che non gli avrebbe assolutamente permesso di mangiare. L'unica effettiva scelta era quella di andare al castello per iniziare il proprio turno in anticipo. Non riusciva ancora a credere di essersi unito alla Pager Squad con una firma falsa grazie ad Al, ma al di sopra del resto non si capacitava di aver deciso di partecipare a quella che sembrava una missione suicida. In parte, non era ancora certo di poter morire -purtroppo il potere non arriva con un manuale d'istruzioni, solo amorevoli laboratori- ed era stato un piccolo incentivo a partecipare. La ragione principale, come per tutti ovviamente, era stata la scomparsa di alcune persone a cui teneva. Al e Amos in primis, ma anche il suo collega aiuto-infermiere, Dakota. Non erano chissà quanto legati e nonostante il suo essere un vergognoso grumpy cat, l'altro era sempre stato gentile con lui. L'infermeria del castello sembrava vergognosamente più vuota senza il rosso. Proprio lì si trovava oramai, con addosso addirittura una camicia bianca -ringraziamo Marcus per quell'amorevole regalo- e dei jeans non troppo sgualciti. Stava nell'ufficio dell'Infermiere, per recuperare alcuni documenti, pozioni e medicine. Chi più ne ha più ne metta, doveva sfacchinare molto di più dalla scomparsa del caposcuola grifondoro, una piccola ragione in più per rivolerlo indietro. Ora, invece, era un'altra persona che si ritrovava nel bel mezzo del suo orario lavorativo: Archibald Leroy. Non di nuovo. Il Serpeverde che gli faceva visita fin troppo spesso, negli ultimi periodi. Di norma, la compagnia non gli sarebbe dispiaciuta troppo. Certo, Arci sapeva essere vergognosamente fastidioso ed insopportabile e peggio di tutte, era troppo alto. Troppo rispetto al suo metro e un tappo. Eppure era suo amico, il suo migliore amico molto probabilmente, ma non l'avrebbe mai ammesso di fronte a nessuno. In questa situazione, però, era preoccupante. Non stava bene, rischiava di aver perso amici, forse per sempre e da quanto si faceva male, il babbano si rivedeva quasi, in quando era appena arrivato in quel mondo e aveva scoperto da poco i suoi poteri. Il dolore era quel poco che lo faceva sentire propriamente umano e diciamo che quel vizio, quella brutta abitudine, non se n'era mai andata del tutto. Una delle ragioni principali per cui vedere l'altro in quello stato era doloroso. «Vattene.» Scontroso come al solito, oramai era una vera e propria consuetudine con l'altro. Braccia incrociate, mentre lo osservava. «Guarda» Sì, Arci, ti sta guardando, eppure c'è un'unica cosa che riesce a notare. «Sì, mi stai facendo suca.» Ah, certe volte lui stesso non riusciva a capire da dove gli uscissero certe risposte immediate. La sua espressione era un gigantesco "e quindi?", a cui l'altro rispose velocemente. «Sì. Non ti sembro un po' gonfio? Curami» Piegò leggermente il collo verso sinistra, alzando un sopracciglio in sua direzione. In parte scettico, in parte sperava che non fosse vero, almeno quella volta. Non fece nemmeno in tempo di aprire la bocca che l'altro si sentì in dovere di spiegarsi. «...ehi, davvero. Ho male. Credo di avere un paio di microfratture, e 'sta sera c'è la resa dei conti. Mi servo sano» Sbuffò, la frustrazione di trovarsi per l'ennesima volta in quella situazione, per poi andare a sedersi direttamente sullo stesso letto dov'era sdraiato Arci. Le sedie erano più scomode e oramai si rifiutava di stare in piedi. Quando aveva abbastanza confidenza con qualcuno, il letto era la sua scelta. Quindi succedeva praticamente solo con Arci. O anche senza quel praticamente. Gli prese la mano -tecnicamente il contatto non era così indispensabile per curare, ma who cares? magari non lo sapeva neanche, dai- e si concentrò il più possibile per riuscire a guarirlo. Inizialmente in silenzio, tirando fuori l'unica domanda pertinente a cui potesse pensare. «Perché?» Una sola parola sarebbe bastata per fargli capire cosa intendeva. In parte poteva capirlo senza una vera e propria risposta, ma puntava sul fatto che Arci avesse comunque molti più amici su cui contare rispetto a lui. Per il tempo che l'altro ci mise a rispondere, si era quasi arreso ad un silenzio perenne dalla sua parte. Di solito era il contrario, con Thad che cercava di evadere qualsiasi domanda scomoda, quindi non poteva certo biasimarlo. Lasciò la mano dell'altro, dandogli un leggero colpetto per avvisarlo che aveva finito. Come facesse a saperlo visto quanto poco si notava prima era ancora un mistero e doveva in realtà ancora capirlo lui stesso, come buona parte di ciò che aveva a che fare con il proprio potere. «Stiamo crollando.» La voce lo fece voltare in direzione del Serpeverde, immaginando subito che stesse parlando dei Catafratti. Rimase in silenzio, seduto e immobile, cercando di evitare qualsiasi rumore o movimento che potesse fermarlo, era ovvio che non sarebbe finità lì. «Jeremy ha di nuovo parlato di Oscar come se fosse qui e... e credevo che lui fosse il più forte, che... Thad» Deglutì, lasciandolo semplicemente proseguire. «Non posso essere io quello che resiste. Io non so tenermi in piedi da solo, cazzo, lo sai. Ho bisogno che loro stiano bene.» Un sospiro, l'ennesimo, alzandosi giusto in quel momento e spostandosi rispetto al Leroy, per evitare di fargli capire che aveva visto anche quella lacrima in un vero e proprio momento di debolezza. «Ho bisogno che mi facciano stare bene. Da solo non sono in grado... ho paura di fare cazzate questa sera. Ho paura di non lottare per la mia vita se le cose si metteranno... male. Sto diventando matto?» Lo capiva, in parte. Non del tutto, visto che si era abituato a cavarsela da sola ed affidarsi su poche persone, ma l'altro era diverso. Insomma, era riuscito a sopportare il babbano per fin troppo tempo ed effettivamente diventare suo amico. Per quanto potesse essere grumpy anche l'altro, era indubbio quanto fosse estroverso ed avesse persone a cui teneva parecchio. «Forse è come si sentono anche loro, ma non è una situazione che si può risolvere a parole.» Si mise a rimettere le lenzuola del letto a posto, dopo il passaggio dell'uragano Leroy. «Stasera, pensa che starai lottando non solo per te stesso, ma per te stesso e per i tuoi amici.» Dettagli se non l'avesse sentito perché era partito in quarta per cercare caramelle ed avesse recuperato il proprio zaino. «Una caramellina per il malato?» Ah, sì, fantastico. La solita amorevole richiesta che non vedeva l'ora di accettare e la fine di un momento che alcuni avrebbero addirittura definito "tenero". «Oh, certo, arriva subito.» Andrò a recuperare il barattolo, sul cui fondo aveva amorevolmente scritto 'caramelle per bimbi speciali', giusto per evitare che qualcuno lo notasse effettivamente. Arci rientrava sicuramente la categoria, ma era mooolto meglio infilare la mano nel barattolo per tirar fuori nulla se non la propria mano ed un amorevole dito medio. «Potevo aspettarmelo. CIAO AMORE CIAO CI VEDIAMO STA SERA!» Una leggera risata scuotendo la testa. Salutò l'altro con un cenno del capo, tornando al suo lavoro. Ancora poche ore, prima di staccare ed occuparsi della questione che più lo premeva quel giorno.
    E no, non era la missione stessa.

    Ormai era una routine, per lui e Jericho. L'ennesima maratona di una qualsiasi serie tv (e How to Get Away with Murder era, in qualche modo, vergognosamente appropriata), per poi vedersi più tardi ed insegnarle a sparare. Come sapesse farlo lui, era un mistero della vita. Tutto merito di qualcuno a caso... Sì, sempre il magico Marcus. Oggi, però, la loro routine era diversa. Innanzi tutto, un'amorevole canna prima di cominciare a guardare la serie tv, seguita da un drinking game e, quando in una serie tv simile includi "bevi ogni volta che si vede del sangue"... Beh, non finisce bene. E' praticamente impossibile che finisca bene. Avevano finito da un po' e si trovavano all'interno della foresta proibita, con di fronte cinque amorevoli a testa. Altro alcool, perfetto. «Due shottini per come vorremmo morire, due per come probabilmente moriremo, e uno per il brindisi.» Fantastico. Rischiava di continuare a ridere come un coglione, perché effettivamente non era certo della possibilità della sua morte. Finiva per guarirsi persino da svenuto, ma... diciamo che non voleva rischiare così tanto. Un cenno del capo alle parole dell'altra, ancora semi-terrorizzato dalla possibilità di vendetta del professore di Cura delle Creature Magiche: troppo vecchio per essere ancora in vita, aveva un'aria strana. Prese in mano il primo bicchiere (o bottiglia, sono stili di vita diversi) e lo alzò in direzione dell'altra, probabilmente facendone cadere un po'. L'equilibrio non era mai stato il suo forte. «Questo è per Robert, uccello shipper martire di una guerra che non gli apparteneva: grazie di avermi resa quella che sono oggi.» Annuì con aria solenne, per poi recuperare il secondo bicchiere ed alzarlo in direzione del cielo, provando con tutto se stesso a sforzarsi di piangere. «Questo è per Gianfrancesco l'Unicorno, il cui sedere ancora ti ricorda.» Ah, avrebbero aneddoti a non finire su creature ferite nella Foresta Proibita. Lo buttò giù con fin troppa decisione, per poi posarlo ed alzare la mano destra, con l'indice verso il cielo. Rimase fermo in quella posizione, con la bocca semiaperta perché... si era dimenticato cosa doveva dire. Avrebbe rimediato il più presto possibile, sì, senza alcun dubbio.
    Forse.
    Passò un minuto buono, per poi fare un salto -forse leggermente più alto del normale- e rompere il silenzio con quello che era una specie di urlo stridulo. «Ecco!.» Prese il terzo shottino, alzandolo in direzione della telepate e... diciamo che l'idea che aveva in testa era peggiore del solito. «Questo è perché ora mi sparerai.» Era vergognosamente serio, anche mentre finì per rovesciarsi metà del bicchiere addosso. Ricordiamo al pubblico che scemo non significa assolutamente intelligente, anzi, quasi l'opposto quest'oggi. «Devo allenarmi a guarire più velocemente e tu ti alleni, prendiamo due piccioni con una fava!» Quindi eccolo che, con un amorevole salto di un'agilità improbabile, si allontanò dalla telepate. Due colpi sul petto e pollici in su da entrambe le mani. «Mi raccomando, evita la testa. Se vuoi mi muovo o preferisci un bersaglio fermo?» Ogni desiderio di Jericho era un ordine, quindi, in base alla decisione, si sarebbe mosso o meno.
    con la pistola nella foresta proibita, spariamo alla vita
    | if i was you, i'd wanna be me too | code by ms. atelophobia
     
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    C’erano bulli e bulli, al mondo. C’era chi si divertiva a premere sulle ferite altrui solamente per godersi la smorfia di sofferenza sul volto dell’altro, chi con parole meschine gioiva dell’espressione ferita del bambino a cui si era appena dato del lardopalla, e chi rubava le api frizzole ai primini per poi spolverarsi le spalle like doesn’t give a shit.
    E poi c’era chi, accidentalmente, dimezzava la popolazione della Foresta Proibita – oppure la mutilava. Jericho Karma Lowell, anche a quel primo colpo a bruciapelo con cui aveva preso il pallido fondoschiena dell’unicorno, aveva finto fosse tutto calcolato: «cosa vuoi che sia» aveva detto all'epoca del misfatto, stringendosi nelle spalle. «non producono neanche arcobaleni» in cuor suo, in realtà, si era sentita una stupratrice seriale di innocenti creature non umane, le uniche con le quali andasse sinceramente d’accordo; non voleva diventare una seria unicorn killer, né che Viktor le lanciasse qualche maledizione – o peggio, qualche drago incazzato- dietro. Insomma: aveva una bella faccia tosta, Jericho, ma tosta pane. Il trucco era non parlare: se non parlava, e rimaneva con le braccia strette al petto, poteva realmente apparire una badass cazzuta.
    E invece.
    Il fatto che un quasi diciassette ed una ormai maggiorenne special stessero brindando alla morte, o presunta tale, di martiri a quattro zampe (o due ali, punti di vista), non dava loro particolare credito sulla missione cui si erano iscritti. Soprattutto, era meglio non farlo sapere in giro: chi avrebbe voluto come alleata un flagello di uccelli shipper, ed un… no, beh, Thad l’avrebbe voluto chiunque. Maledetti Deadpools. Non che Clayton fosse abilitato ad andarsene per i fatti suoi, ma scherziamo? Non poteva lasciarla da sola. Chi le avrebbe fatto da scudo senza di lui? E poi non poteva permettersi che qualcun altro comprendesse le potenzialità del futuro Presidente degli Stati Uniti d’America, quello era già il suo piano (loro piano) di conquista del mondo conosciuto.
    Rischi che non si potevano proprio correre, insomma. Comunque.
    Buttò giù il primo shottino, strizzando le palpebre quando la gola parve prendere fuoco. Ogni volta, con il senno di poi, si ripeteva: non è così male, butta giù Lowell. Eppure, ogni stramaledetta volta, voleva solo morire. Ma che vita era? «Questo è per Gianfrancesco l'Unicorno, il cui sedere ancora ti ricorda.» Scosse il capo gravemente, alzando il secondo bicchierino al cielo. «ora può mostrare agli altri unicorni who’s the boss» perché si sapeva che nella Foresta Proibita, con l’arrivo delle nuove creature OGM di Berqualcosa, s’era creato un ghetto che scansateve poveri mica da ridere. Le cicatrici, in un mondo come il loro, era un chiaro sintomo di potere e supremazia – e poi erano sexy, no? Jericho credeva in Gianfrancesco, ed era convinta che ormai fossero amici. Una pallottola legava più del sangue: legge della strada, belli. Cosa? Che ne sapeva Jericho della legge della strada?
    Ma secondo voi s’era fatta hackerare netflix da Donnie per cosa, guardare Barbie Schiaccianoci? Plis. Sapeva tutto delle conseguenze della discriminazione, dello spaccio, del contrabbando, e delle mafie dominicane e giapponesi che popolavano le periferie. Non sembrava, ma era una donna di mondo – cosa? Non era mai uscita da Londra? Dettagli irrilevanti. Sentiva la vista traballante e la vita annebbiata, Jericho (o forse era il contrario?) mentre leggiadra e precisa come un gufo cieco lanciava anche il contenuto del secondo bicchierino dritto in gola. Sembrava tutto così soffuso, come una di quelle abat jour molli che vendevano all’ikea a cui, perché si accendessero, bisognava schiacciare la testa. Senza neanche accorgersene, aveva premuto una mano sopra la propria testa, spingendo così il cappello a coprirle gli occhi: «la luce dovrebbe accendersi, non spegnersi» osservò, professionale come una venditrice ambulante di folletti . no? non funzionava così? che strani gli esseri umani. «Questo è perché ora mi sparerai.»
    Ora.
    Jericho era sotto effetto di stupefacenti e bevande alcoliche, ma perfino in quelle condizioni la proposta di Thad suonava estremamente sbagliata. Un conto era sparare ad Elijah, che un poco le dispiaceva persino non averlo colpito, ma Thad? Non rispose, tirandosi su il cappello da un lato per squadrarlo con un grande, e critico, occhio blu. «Devo allenarmi a guarire più velocemente e tu ti alleni, prendiamo due piccioni con una fava!» Sentendo la bocca secca, Jericho la inumidì con la lingua, perdendosi poi a lappare l’aria come un lama in villeggiatura in Danimarca. Si passò il dorso della mano sotto al naso, inspirando profondamente, quindi posò il terzo shottino ancora intatto sul tavolo. «non mi sembra un’idea brillante, thad» la voce della ragione, signori e signore! «abbiamo visto com’è andato a finire con l’ultimo piccione» si picchiettò il pugno sul petto tre volte, baciandosi poi l’indice prima di alzarlo verso le stelle. «riposa in pace, fratello Robert» concluse sotto voce, scuotendo la testa. Vide Deadpool saltare indietro di diversi chilometri – ok, forse solo un paio di metri- ma ella non si mosse, rimanendo accovacciata a squadrarlo confusa. «Mi raccomando, evita la testa. Se vuoi mi muovo o preferisci un bersaglio fermo?» Jericho assottigliò le palpebre, allungando una mano per afferrare nuovamente l’arma da fuoco. La tenne stretta con fermezza, soppesandone il peso e lasciando che il palmo si modellasse attorno al calcio della pistola. Quindi, con dita distratte e leggere, prese a tracciare un invisibile linea lungo la canna scura. Gangsta Lowell, rispetto stronzetti. «non potrei mai spararti, idiota» corrugò le sopracciglia mantenendo lo sguardo chino sulle proprie mani. «siamo amici, e non è facile essere amici» avrebbe potuto specificare miei, ma in realtà era sicura che fosse difficile per qualunque essere umano intessere relazioni con altri esemplari della razza. «non mi piace» continuò, così a bassa voce che, presumibilmente, era un monologo che avrebbe udito solamente lei. Si alzò quindi in piedi, tirando la felpa verso il basso per abitudine, e si sistemò il cappello sulla testa. Sempre tenendo la pistola nella mano destra, cominciò a gesticolare verso il ragazzo. «io ti voglio bene, thaddino. Vieni qui» tamburellò con le mani sul proprio petto, allargando le braccia per invitarlo ad un super abbraccio, avanzando nella sua direzione. Si vedeva che era fatta come un cocco.
    O forse, non abbastanza.
    Quando fu abbastanza vicina a lui, rapida come un serpente a sonagli, si lanciò al suolo puntando l’arma dritta contro lo stomaco di Thad, tenendo stretta la pistola con entrambe le mani. «QUESTO È PER DIMITRI» finse di sparare mimando un BOOM con le labbra, quindi rotolò da un lato. «QUESTO È PER LA MIA FAMIGLIA» abbassò le braccia puntando al piede: sembrava un obiettivo inutile, ma oh, gambizza il nemico e vinci la guerra. «E QUESTO... QUESTO È PER TE»
    E fece realmente fuoco contro Deadpool, chiudendo gli occhi al boato dell’arma.
    Trust no bitch: nella Jeriton wat war non c’era posto per l’amore. Dovevano imparare a non fidarsi di nessuno, se volevano vincere quella battaglia (#quale).
    O forse, Jericho aveva preso gusto a sparare alla gente. Keppin’ it gangsta.

    jericho karma lowell
    «i have his sweatshirt, i wanna burn it. and him»
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
     
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