Oh do you think we're going to die tonight?

Nathan J e Erin Chipmunks

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    ATTENZIONE! Possibili spoiler per coloro che non hanno ancora visto la seconda stagione di Sherlock Holmes! Leggete a vostro rischio e pericolo.



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    "Che ne pensi di fare la serata cinema oggi?" aveva proposto il mimetico ad Erin. Quella sera non ci sarebbe stato quasi nessuno al Quartier Generale e Nathan organizzava una cosa di quel genere da mesi. Aveva aspettato che centinaia di coincidenze compreso l'allineamento planetario si conciliassero in un solo giorno, per poter mettere a punto il suo astuto piano. Il malefico piano consisteva in... appropriarsi del pc di Keanu (x). Credo che sia anche per questa sua """astuzia""" se il Cappello aveva scartato Corvonero a priori. Erin era seduta affianco a lui, che si stava preparando un sandwich, e le aveva suggerito l'idea senza farsi sentire dagli altri. In effetti non era ben sicuro che anche lei l'avesse sentito, avendo un grosso boccone dal sandwich ancora in bocca. Confidò nel fatto che avesse compreso le sue parole e sorrise soddisfatto, addentando di nuovo il panino. "Sono un genio del male. Cosa ci faccio ancora qui non lo so" disse, fissando un punto del soffitto.
    Non appena Nathan salutò anche l'ultimo ribelle in procinto di uscire dalla porta, spingendolo freneticamente fuori, si girò emozionato verso Erin: "Sai che ora è? E' l'ora di rubare un computer!". Corsero nell'ufficio di Keanu, fortunatamente lasciato aperto (o Nate avrebbe tentato in tutti i modi di scassinare la serratura, nonostante la sua incompetenza in quel campo). Ci misero un po' a trovare il laptop, ma l'impresa era stata porta a termine con successo. Lo aprirono e una luce celeste illuminò i loro volti, mentre il suono del pc che si accendeva inondava la stanza come un coro angelico. Avevano il potere nelle loro mani! Lo richiusero e lo portarono sul tavolino davanti al divano, dove avevano già messo delle coperte, una bottiglia d'acqua e una di cocacola. Si sedettero comodi e spensero le luci.
    "Allora... dici che Keanu ha un account su Netflix?" chiese alla Chip, dopo aver aperto internet con un po' di fatica. Senza nemmeno aspettare una risposta, aprì un sito di streaming illegale ma EHI erano Ribelli, insomma acab e fuck the police. E poi dubitava che avrebbero trovato la password di Keanu. Costretti a usare lo streaming dei poveri, che vergogna. Evidentemente il pc di Keanu doveva avere una sorta di protezione o allarme, secondo l'acuta mente di Nate, dato che dagli altoparlanti partì un lungo gemito a tutto volume. Il desktop venne bombardato da centinaia di finestre con annunci su donne dal seno sproporzionato, orientali in bikini e uomini in cerca di avventure decisamente poco caste. Non che Nate avesse avuto il tempo di leggerli, troppo impegnato ad urlare spaventato dalla miriade di suoni che fuoriuscivano dal pc. "AH chiudi tutto! Chiudilo, spegnilo, BRUCIALO!", non gli interessava cosa avrebbe detto Keanu del suo computer carbonizzato, non dopo aver visto quelle immagini. Finalmente la schermata ritornò pulita (in tutti i sensi), ma Nate non avrebbe mai dimenticato quegli annunci... mai. Digitò un altro indirizzo URL sulla barra e, dopo aver premuto invio, si ritrasse di scatto dal pc, temendo un altro assalto di annunci. Fortunatamente non accadde e procedettero alla ricerca della serie tv, lasciando il piacere di digitare a Erin a suo rischio e pericolo il resto delle ricerche. Inizialmente l'ex Tassorosso aveva proposto di vedere Amazing Spiderman (hihihi) ma Erin non era sembrata d'accordo, così erano finiti per accordarsi su Sherlock Holmes. Decisero di prendere un episodio a casaccio ("Oh be', vedo una vasta scelta di ben.. NOVE episodi! La BBC si è sprecata, vedo.") probabilmente non la scelta più saggia, considerando che Sherlock Holmes andava seguito attentamente senza tralasciare nulla. Ma che ci possiamo fare? Nathan doveva aver trasmesso la sua non-Corvoneraggine anche a Erin (e dire che lui le stava insegnando ciò che ricordava delle lezioni di magia ad Hogwarts). Iniziarono a far partire il video e "Merda abbiamo dimenticato i pop corn e le patatine". Ottimo lavoro Nathan! Ottimo. Lavoro. Batte violentemente il tasto per mettere in pausa e temette di aver bucato il pc, ma così non fu.
    "Nel Quartier Generale non c'è praticamente nessuno e molte luci sono spente. Prendi la tua bacchetta e accompagnami a prendere i cibo.". E credo abbiate capito perchè anche Grifondoro non era un'opzione contemplabile dal Cappello Parlante. Serpeverde, poi, era fuori discussione per ovvi motivi. I due iniziarono a percorrere il corridoio. Le ciabatte blu e pelose di Nate producevano un inquietante cigolio di gomma, ma non si sarebbe messo a camminare scalzo sul marmo per nessuna ragione. Avere paura del buio è perfettamente logico, ma temere l'inquietante cigolio delle singolari calzature no. A metà strada dalla cucina, Nathan parlò, interrompendo il silenzio rotto solo dalle sue inquietanti ciabatte.
    "Quiiiiindi... tu e quel tipo al matrimonio? Spot? Sfott? Cosa c'è tra voi?".
    Un misto tra maliziosità e curiosità dipinse il volto del ragazzo. Al matrimonio Icequeen aveva visto la sua amica presentare a Keanu un ragazzo con il quale sembrava avere una certa... affinità. E dopo quello state certi che Nathan non aveva smesso di controllarli, quando non era stato troppo impegnato con Freya.
    Non chiedetemi perchè glielo avesse chiesto proprio in quel momento, in un corridoio buio e silenzioso. Non fatelo. La risposta non è tra le mie conoscenze e dubito fortemente che anche lui possa darvi una risposta. Ma che ci posso fare? Abbai una passione per le ship incestuose.
    Nathan (J) Wellington
    Some had scars and some had scratches, it made me wonder about their past
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    Dov'è l'ispirazione? Dov'è? #doral'Esploratrice
    non in questo post...
     
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    16.11.2016 (we're gonna die)
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    Erin Chipmunks conosceva alla perfezione il quartier generale della Resistenza. Era in grado di orientarvisi anche, se non soprattutto, di notte, quando quel posto era abitato solamente da lei e Nathan. «erin, io vado. Buonanotte» ed Erin li guardava di sottecchi, volgendo loro un sorriso stanco. «a domani» Bastava che le voltassero le spalle perché quel sorriso morisse, lasciando solamente un’ombra nostalgica nelle iridi verde scuro; chissà cosa si provava, si era domandata spesso, ad avere una casa a cui tornare. Non che non le piacesse il quartier generale, o che non fosse affezionata ai veri membri della resistenza, ma… era difficile considerare casa quello che per altri era solo un luogo di passaggio dove svolgere il proprio dovere. Non era sua. Neanche Keanu viveva lì, malgrado prima del matrimonio con Helena si fosse fermato la notte più di una volta, specialmente quando Erin era ancora una bambina.
    C’era un tempo in cui Erin Chipmunks non aveva avuto nessuno, ed aveva avuto tutto: in tanti le erano stati vicini dopo la morte dei Rothbauer, accogliendola in casa propria per un paio di giorni prima che qualcun altro potesse ospitarla per un periodo altrettanto breve. Aveva conosciuto tante persone, sicuramente, ma pur appartenendo un poco a ciascuno di loro, non aveva più avuto una casa. Una famiglia sì, poco importava ch’ella fosse la sorella, la figlia, o la nipote di troppo: era difficile resistere alle fossette di Erin, ed altrettanto improbabile non includerla, anche involontariamente, nel proprio nucleo familiare. Ed ella li prendeva tutti, incapace di porre un limite fra quelli che altro non erano che di passaggio, e quelli che sarebbero rimasti.
    Ma casa, era un concetto che sentiva appartenerle in maniera troppo superficiale. Si sentiva a casa quando portava una tazza di tè caldo nell’ufficio di Keanu, si sentiva a casa quando rimaneva per ore, con le gambe incrociate, nelle serre; si sentiva a casa quando Murphy le stropicciava i capelli, o quando Luna la osservava con gli azzurri occhi ferini esigendo carezze. Si sentiva a casa con Scott, indipendentemente da dove fossero – scale antincendio, il tetto di un palazzo nella periferia di Londra, una panchina sgualcita dagli anni. Eppure non era un luogo a cui tornare; non era un posto dove finalmente poter chiudere gli occhi e tirare un sospiro di sollievo.
    Casa, per Erin Therese Chipmunks, non era mai stato uno spazio fisico. Poteva mancarle qualcosa che non aveva mai avuto? Poteva rimanere seduta sul divano a guardare Idem e Nathan Withpotatoes ricordarsi vicendevolmente di comprare l’olio di ricino per la nonna, o le carezze distratte che Maeve lasciava sulle spalle di Dakota, ed essere invidiosa di quei sorrisi spontanei? Sempre rapida ad abbassare lo sguardo sulle proprie mani, improvvisamente interessata alla lucentezza delle unghie rosa, quando qualcuno la coglieva in flagrante. E come avrebbe potuto spiegare, Erin Chipmunks, che a volte si sentiva semplicemente sola? Li vedeva lavorare ogni giorno – addestramenti, ricerche, strane ampolle colorate nei laboratori, mappe ricche di linee rosse – e si rendeva conto che avevano tutti problemi più grandi di una ragazzina di sedici anni priva di un posto nel mondo.
    Si chiudeva nelle serre per ore, a leggere o curare le piante, oppure si assicurava che i semi e le foglie seccassero a dovere nel terzo ripiano del mobiletto bianco – quello dove teneva il materiale per gli infusi. Inventava storie nelle quale lei, protagonista indiscussa di una vita che mai si sarebbe potuto permettere, riusciva a salvare il mondo; romantica ed ingenua, con quel suo persistente fascino per i racconti tristi ma sempre a lieto fine. Ci credeva davvero, la giovane Chip, nel vissero tutti felici e contenti.
    Parlava con Luna, parlava da sola; sognava un mondo dove poteva uscire sotto la luce dorata del sole senza sentirsi sempre e costantemente esposta, nuda di fronte a un’esistenza che non le apparteneva; senza il timore di un paio d’occhi trasparenti e mani troppo veloci. Fuori tempo, Tessa.
    Neanche sapeva quanto.
    Era solo un’altra delle interminabili notti al quartier generale, quelle in cui il buio si faceva più pesante ed asfissiante. Perfino Nathan era già crollato, e solamente i passi di Erin risuonavano nei corridoi deserti del palazzo. «luna, smettila!» sibilò alla gatta, la quale continuava a passarle fra le gambe in cerca di attenzioni. Non sapeva neanche lei perché avesse abbassato il tono di voce: chi aveva timore di disturbare, le stelle nel cielo? Come potesse un pensiero così stupido renderla così triste, era un mistero irrisolvibile. Il rumore dei piedi di una sedia a grattare il pavimento la immobilizzarono con il cuore in gola, ed Erin, l’impavida, fu veloce ad appiattirsi contro il muro. Quello era esattamente il motivo per il quale non guardava film dell’orrore. Si inumidì le labbra, spingendo il gatto con la punta del piede perché andasse in esplorazione: non la stava mandando al macello, non l’avrebbe mai fatto, ma contava che se ci fosse stato un pericolo Luna sarebbe stata più rapida di lei nella defilata. Neanche ve lo sto a dire che l’animale ritenne opportuno ignorarla, mettendosi invece a leccarsi con intenzione una delle zampe anteriori. Bene. Fece un respiro profondo, affacciandosi cauta nella stanza dalla quale aveva sentito provenire il rumore. Oh. Le iridi scivolarono su una ragazza raggomitolata al buio su una sedia, le ginocchia dentro il maglione ed i capello argentei sotto la luce della luna. Erin aveva sempre avuto un malsano magnetismo verso la tristezza, davvero: riusciva quasi a percepirla, e facendosi trasportare da quella sensazione finiva sempre per trovare qualcuno in difficoltà. Nessuno aveva mai bisogno della Chipmunks, chiariamoci: si trattava sempre di persone che avevano semplicemente bisogno di una mano, non necessariamente quella di Erin. Una mano qualunque, poggiata sulla spalla, sarebbe bastata. Avanzò all’interno della stanza, ma Maeve Winston non diede segno di averla udita – o forse, neanche le importava. Si sedette silenziosa al suo fianco, osservando il traffico di Londra che, pigro, si stendeva sotto i loro occhi. Il lampione illuminava flebilmente ed in maniera artificiale i tratti tirati della Corvonero, facendola apparire ancora più giovane e… delicata. «cosa fai qui?» domandò dolcemente con un filo di voce, ruotando gli occhi sulla Winston. Ella non parve nuovamente sentirla, lo sguardo vacuo a riflettersi sul vetro della finestra. Dopo minuti che parvero ore, dove il silenzio s’era fatto denso e stopposo, le rispose. «aspetto» erano mesi che la ragazza non era più la stessa. Erin non aveva mai avuto modo di parlarci, ma l’aveva osservata a lungo – come aveva fatto con ogni ribelle. Le piaceva guardare gli altri, immaginare la loro vita fuori da quelle mura: avevano parenti fra i mangiamorte? Amici? Avevano perso qualcuno? Tenevano un canarino o un pesce rosso? E qualcosa non andava, in Maeve Winston. Qualcosa non funzionava. «cosa aspetti?» le chiese, dato che sembrava non avere alcuna intenzione di completare la frase da sè. Quando spostò lo sguardo su di lei, Erin preferì non l’avesse fatto: non la vedevano neanche, quei due occhi incredibilmente azzurri. «che tornino» rispose, senza specificare chi. Come se ce ne fosse stato bisogno. «lo fanno sempre» Tessa sentì gli occhi riempirsi di lacrime, e fu lesta a distogliere lo sguardo. Conosceva la perdita, Erin; conosceva quegli occhi svuotati, le mani lasciate abilmente in posizione meccanica sopra i braccioli. Conosceva il dolore, Erin Therese Chipmunks. Allungò timidamente le dita verso quelle di Maeve, sfiorandole piano con i polpastrelli. Quando lei non diede cenno di volersi spostare, si rannicchiò contro di lei per stringerla forte a sé. Rimase così per secondi, minuti, ore prima che il respiro della bionda si facesse incrinato, il petto scosso da un piccolo tremito,ed allora la strinse più forte mentre lei soffocava i singhiozzi sui capelli scuri di Erin. «lo faranno, vero?» quella non era la voce cui era abituata, né da Maeve, né nei suoi confronti. Nessuno chiedeva ad Erin cosa pensasse, e di certo nessuno cercava rassicurazioni nella scricciola di casa. «li troveranno» sussurrò, le labbra sulla felpa della Corvonero. «li troverò» specificò alzando il viso per poterla guardare negli occhi, stringendo le mani di lei fra le proprie. «e te li riporterò, lo prometto» fu solo il più infinitesimale accenno di un sorriso, ma Erin lo vide.
    E non chiedeva altro.
    L’unica cosa che aveva sempre desiderato, era rendersi utile. Cambiare le cose, cancellare la sofferenza che troppo spesso inquinava lo sguardo altrui. «hai mai sentito tanto la mancanza di qualcuno da non riuscire a respirare?» Erin soppesò la domanda, infine scosse il capo. Né lei né Maeve aggiunsero altro; la Chipmunks rimase lì, stretta fra il bracciolo e la ragazza, finchè non sentì il suo respiro farsi più profondo. Continuò a guardare fuori dalla finestra, le labbra imbronciate e lo sguardo distante. Quando fece per alzarsi, una mano pallida si strinse al suo polso. «per favore, non lasciarmi da sola»
    Non la lasciò. Aveva fatto una promessa.

    «voglio andare, scott. Voglio partecipare alla missione» aveva girato il viso verso il suo migliore amico, finendo con una guancia premuta contro la spessa coperta che li separava dal prato umido di pioggia.
    Non si trattava solo della promessa fatta a Maeve Winston, era qualcosa di… diverso. Sentiva di doverlo fare e basta, capite? Non sapeva come l’avrebbe detto a Keanu, né cosa dovesse fare o come potesse rendersi utile – insomma, non sapeva nulla. Era diventata di giorno in giorno una necessità più pressante: gli adulti si affaccendavano nelle ricerche, e lei rimaneva al quartier generale cercando di farsi un’idea di quanto stesse accadendo. Nulla era mai cambiato.
    Scott aveva annuito, volgendole appena un’occhiata distratta. Non sapeva per cosa fosse preoccupato l’amico, ma non aveva bisogno di saperlo: sentiva che anche lui provava quell’inspiegabile bisogno di fare qualcosa, di non rimanere con le mani in mano. Quel particolare vuoto sul palato di un pensiero incapace di essere raggiunto, ma concreto. Di cambiare la storia, di salvarli.
    Di nuovo.
    «partecipiamo alla missione» l’aveva detto come un dato di fatto, quasi che un’alternativa diversa fosse stata impensabile. Quasi fosse stato destino. «insieme?» «come sempre»
    Di nuovo.

    Non aveva mai compreso come una semplice serata film potesse divenire, in compagnia di Nathan Wellington, una missione da tartarughe ninja in piena regola. Perché andiamo: avrebbero semplicemente potuto chiedere il computer in prestito, ma dove sarebbe stato il divertimento? La parte migliore di quell’evento, neanche troppo raro nella vita di Erin e Nate, era proprio quello: derubare il capo della Resistenza
    Chi è il ribelle, ora?
    «sono un genio del male. Cosa ci faccio ancora qui non lo so» la Chipmunks aveva sbuffato, con fine eleganza che le permise di non sputacchiare briciole di pane per tutto il tavolo, ed aveva risposto indicando prima il sandwich, e poi il mimetico. «mangi gratis» aveva specificato una volta inghiottito il boccone, sorridendo soddisfatta all’amico. Erano mesi che nella vita di Erin non accadeva qualcosa di emozionante, almeno in senso buono. C’era stato il terrore, la tristezza. C’erano state le sere in cui era rimasta spalla contro spalla con Ska senza nulla da dire, di fronte a loro la bacheca degli scomparsi fra i quali campeggiava la foto di Patrick. C’era stata la codardia nel non far mai accenno del voler partecipare alla missione con Keanu, e l’imbarazzo nell’averlo invece rivelato a Murphy: «aw, vai a salvare il tuo fidanzatino?» dopo mesi ancora non le aveva perdonato la cotta per Amos Hamilton, costringendola ogni volta a nascondere il volto fra le mani. «SMETTILA MURPHY» chissà, forse un giorno sarebbe riuscita a scavare una fossa abbastanza grande nella quale seppellirsi definitivamente: la festa in piscina che per gli altri era ormai ricordo lontano, ancora bruciava nell’orgoglio personale della Chip. Si era perfino sforzata, impacciata e goffa come solo Erin sapeva essere, a chiedere scusa per il proprio comportamento al ragazzo, millantando un «di solito sono normale» che, al 100%, non aveva aiutato nella causa. Ogni volta che ci pensava, si sentiva un po’ morire. Gesù, perché non sono nata normale? (G: ah, se solo sapessi la verità, THERESE HAMILTON ).
    Quando anche l’ultimo dei mohicani ribelli abbandonò la nave, Erin scattò sull’attenti, aspettando il piano dello stratega Wellington: e quando Nate, Nate, era lo stratega, la situazione non poteva che essere critica.
    …certo, Erin non era la più adatta a giudicare. L’ultima volta nella quale era stata lei ad ideare un piano, con l’obiettivo di rubare la password del wi fi ad Idem, aveva finito per drogare la Segretaria così pesantemente che, anziché farla cadere addormentata, dopo dieci minuti l’aveva trovata appesa sul soffitto che cantava: «PARTY GIRLS DON’T GET HURT CAN’T FEEL ANYTHING…. NANANAN FROOOM THE CHANDELIEEER»
    Da quel momento, lei e Nate avevano deciso che sarebbe stato lui la mente, e lei il braccio. Anzi, facciamo la mascotte, rende meglio l’idea dell’utilità della Chip nel team.
    «Sai che ora è? E' l'ora di rubare un computer!» «SISSIGNORESIGNORE» rispose portandosi una mano alla fronte, fiondandosi con lui nel corridoio. Felpati come Luna e Artemis riuscirono a raggiungere indenni l’ufficio di Keanu, dal quale fecero appena capolino con la testa malgrado sapessero, entrambi, che Keanu non c’era. Dopo un’accurata ricerca fra cassetti, mobili, e scartoffie («guarda, ho trovato… la PIPA» aveva esclamato ad un certo punto Erin in tono solenne, sollevandola al cielo come Rafiki con Simba) riuscirono a mettere le mani sul loro tesoro.
    Fortunatamente Keanu non usava password: se windows fosse stato un essere umano, con la propria chipmunksità sarebbe probabilmente riuscita ad estorcergli ogni segreto, ma un computer? Non sapeva hackerare, Erin Therese Chipmunks. Lei sapeva solo amare. E cortana, la nuova bottana del sistema operativo, non accettava il suo affetto. Maledetta. «Allora... dici che Keanu ha un account su Netflix?» domanda interessante. Erin si appallottolò sotto le coperte, guardando il mimetico ticchettare sulla tastiera come un operaio della TAV. «vuoi dirmi che non segue narcos?» perché avrebbe dovuto, direte voi?
    Non lo sapeva neanche Erin.
    Quando cominciarono ad aprirsi strani siti mistici mostranti donne nude in posizione che, e ne era certa, non erano umanamente possibili, non potè che spalancare la bocca sorpresa. Ma che… che stavano facendo? E perché c’era una melanzana? Guardò prima lo schermo e poi il proprio corpo, acerbo come l’uva fuori stagione, tirando il colletto della maglietta per guardare il proprio seno. Ecco dov’erano le sue, gliel’avevano rubate quelle donnine! Quando cominciarono anche i rumori, Erin impallidì: le stavano forse torturando? CHI STAVA FACENDO DEL MALE A QUELLE DONNE, CHI DOVEVA PICCHIARE. «ma perché fanno così?» domandò in un filo di voce, mentre Nathan dava di matto. «cosa stanno facendo? E oh, OH» si portò le mani alla bocca, ma non vide mai come finì l’avventura della melanzana: Nathan riuscì in qualche modo a chiudere tutto, lasciandola con il dubbio. Sarebbe riuscita la donna bionda ad ingoiare tutta la melanzana?
    Ma soprattutto: perché avrebbe dovuto?
    Misero a caricare, non senza fatica, una puntata di Sherlock Holmes. A quanto pareva, Le pagine della nostra vita non era il genere di Nate: come si poteva, dico io, non averlo come genere. COME.
    E poi, accadde la tragedia.
    « Merda abbiamo dimenticato i pop corn e le patatine» dov’erano i maghi con la possibilità di usare Accio, quando servivano? Si spalmò la mano sulla fronte, un grugnito di frustrazione stretto fra i denti. «non puoi, che so, teletrasportarle?» no eh? No. « Nel Quartier Generale non c'è praticamente nessuno e molte luci sono spente. Prendi la tua bacchetta e accompagnami a prendere i cibo.»
    Simpatico, a mettere il dito nella piaga. Erin, pur essendo una strega a tutti gli effetti, non aveva mai posseduto una bacchetta. Sognava il momento in cui avrebbe finalmente potuto stringerne una nel proprio palmo, alla sempre troppo lontana età di diciassette anni, ma fino a quel momento doveva limitarsi a dilettarsi con erbologia e tomi infiniti di storia della magia. Sospirò scuotendo il capo con afflizione. «sei un essere malvagio, wellington» si allungò per prendere la torcia posata sul tavolino, quindi la puntò sotto il proprio mento: «lumos!» e luce fu.
    Quando non si aveva la magia, bisognava crearla.
    Ninja Natherin si avviarono nel perigrinoso percorso verso la salvezza, i passi ben calibrati ed i respiri appena accennati. Il quartier generale di notte pareva tutt’altro posto, e quanto ad inquietudine poteva tranquillamente competere con un cimitero azteco. Il sottile filo di luce della torcia, in mezzo a quell’oscurità, pareva irrisorio.
    Neanche ve lo sto a dire quanti anni di vita perse, quando Nathan ruppe il silenzio carico di tensione del loro viaggio della speranza.
    «Quiiiiindi... tu e quel tipo al matrimonio? Spot? Sfott? Cosa c'è tra voi?»
    Si volse rapidamente verso di lui, puntandogli dritta la torcia negli occhi. «SCOTT?» precisò in tono acuto, trovando quella domanda quasi blasfema. Il pensiero di cosa un interrogativo del genere potesse sottintendere, le fece storcere il naso. «no, ewww, no, non è come pensi» scosse il capo ripetutamente, le labbra arricciate. Sì che Erin aveva l’amore facile, ma non aveva mai pensato a Scott in quel modo. «lui è…» cos’era Scott per Erin? Era un’ancora quando tutto affondava, era un porto sicuro. Era casa, era salvezza. Era la sua famiglia. «è il mio migliore amico» si strinse nelle spalle, sentendo che quella definizione gli andava stretta. «tu piuttosto…» lo pungolò, tornando ad illuminare il cammino. «io sono ancora curiosa sulla ragazza della piscina, quella con i lunghi capelli rossi» in caso la descrizione non fosse stata abbastanza esaustiva, con un fluido movimento del collo scrollò il capo facendo scivolare la chioma da un lato, sbattendo poi languidamente le ciglia. Quando raggiunsero la cucina, si adoperarono entrambi ed in perfetta sincronia a recuperare il materiale di primaria importanza («E LE CARAMELLE? E I BISCOTTI NON LI PRENDIAMO?») per poi piombare nuovamente, e con poca grazia, sul divano.
    «li shippo» addentò un biscotto, indicando lo schermo dove campeggiavano in bella vista Moriarty e Sherlock. Sapeva che Sherlock e Watson erano quasi canon, ma andiamo! A chi non piaceva il bad guy? «so che potrebbe essere mio padre» ma anche mio nonno, in realtà: ihihih. «però… dai, è proprio affascinante» indicò il cattivo con un sorriso ebete sulle labbra, volgendo poi le iridi chiare su Nathan. Non poteva farci niente, Erin Chipmunks.
    Aveva semplicemente troppo amore da donare.

    erin therese chipmunks
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    (Sara ha ricordato a Nico che doveva giustificare la partecipazione di Nate J alla quest quindi FLASHBACK, ovviamente molto triste)

    Lo specchio impolverato rifletteva l'immagine di un ragazzo molto alto e magro. Le spalle larghe leggermente incurvate e le braccia lunghe e secche, con qualche accenno di muscoli qua e là. Eppure Nathan Wellington non si riconosceva in quel riflesso. Non si riconosceva più in nulla. Le cicatrici spiccavano sul fianco destro, punti scuri lasciati dagli aghi delle siringhe, infilate alla bell'e meglio, disegnavano cupe costellazioni sulla pelle olivastra dell'ex Mago. I capelli, perennemente arruffati, sembravano la nuvola di un'esplosione congelata nel tempo e impiantata sul suo cranio. Nathan strinse le braccia attorno al petto, nel vano tentativo di nascondersi ai propri occhi. Per quanto il corpo indossato al matrimonio fosse stato esagerato e a volte scomodo, quei muscoli lo avevano fatto sentire diverso: si era sentito come se fosse più al sicuro. Quel giorno sapeva chi doveva essere: il cugino della sua amica Erin. Era un ruolo ben preciso, niente dubbi riguardo al suo passato o futuro. Mosse qualche passo verso la lastra di vetro appesa al muro alta un paio di metri e protese una mano verso la superficie fredda che imitava i suoi movimenti. Quel corpo gli sembrava così estraneo, così mutilato e così... profanato. I Dottori si erano subdolamente infilati tra la pelle e la carne del ragazzo, lasciandogli marchi e segni che glielo avrebbe ricordato per sempre. Le dita accarezzarono il riflesso della cicatrice che partiva dalla spalla destra per poi continuare sulla schiena. Il percorso continuò lungo una fascia di lividi sul bacino e poi vicino ai grumi di puntini scuri sul costato sinistro. Guardava infelicemente quel suo corpo che indossava come un abito troppo stretto. Non si sentiva più a suo agio senza la possibilità di cambiare le sue sembianze in quelle di Wuruhi. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, chiudendo in segno di rassegnazione gli occhi. Il buio gli impedì di esaminare ulteriormente quello che, sempre più spesso, gli sembrava un guscio vuoto. Immaginò di poter ancora correre a quattro zampe, percepire ogni suono e ogni odore, immaginò di poter muovere la sua bacchetta senza far esplodere ogni oggetto di vetro nella stanza ma, bensì, facendo levitare qualcosa come era sua intenzione. Riaprì le palpebre solo quando una folata di vento autunnale, sfuggito ai battenti della finestra, gli fece venire la pelle d'oca lungo tutta la schiena. Si girò subito verso il suo letto e afferrò la t-shirt che aveva lanciato lì, come se fosse stata uno straccio (tanto mica li stirava lui i vestiti eh). Non dovete pensare che Nathan si vergognasse del suo corpo: fisicamente era messo abbastanza bene, certamente meglio di molti altri. Non si faceva troppi problemi se doveva stare a torso nudo, ma quel corpo non lo riconosceva più come suo. E' come indossare una bellissima maglietta con sopra la stampa della vostra band preferita, ma, quando la indossate, vi accorgete che il tessuto vi irrita la pelle, le spalle sono troppo strette e vi incurvano la schiena, il bordo vi scopre il ventre fin sopra l'ombelico, facendovi rabbrividire dal freddo. Quella era la sensazione che provava il ragazzo, quando si soffermava troppo tempo a contemplare il suo aspetto (vanitoso? Forse un pochetto).
    Una volta infilata la t-shirt, si incamminò verso la porta. In quel momento il balcone si spalancò, agitando le tende e facendo chiudere violentemente la porta. Nathan si voltò perplesso, incuriosito dalla strana coincidenza, e il vento inondò la camera di polvere e foglie. Il Mimetico corse a chiudere l'anta del balcone, ma non prima che un foglio di giornale trapelasse dall'entrata. Una volta placatasi la piccola tempesta, il ragazzo afferrò il giornale arrivato gratis in camera sua. Come aveva immaginato era il Mors Mordre di qualche giorno prima. Non era ancora riuscito a leggerlo, nè a sapere chi fosse stata la nuova vittima, e sfogliò freneticamente fino alla pagina con le foto degli scomparsi. Il primo era un ragazzo dai capelli scuri con degli strani simboli sulla pelle, Nathan ricordò di averlo intravisto tra la folla di gente del matrimonio. Quella era la prima volta, però, che il rapimento aveva coinvolto più di una persona: insieme a quell'Alexander, era scomparsa un'altra persona. Una persona molto importante nella vita di Nathan, una persona a cui aveva pensato poco prima di commettere il suo finto suicidio. Eleanor Quinn era scomparsa. La timida Corvonero che Nathan aveva avvicinato quasi per caso, una sua grande amica e confidente dei tempi di Hogwarts. Una delle tante persone che pensavano che Nathan Wellington fosse solo un bel ricordo nel cuore di molti e un mucchietto di ossa dentro una cassa da morto. Prima di buttarsi nel Lago Nero, Nathan aveva fatto mente locale di tutte le persone che non avrebbe più potuto vedere: sua madre, il suo patrigno, le due sorrelline gemelle, Freya Gardner la sua cotta dal secondo anno, i suoi compagni di Casa, Bernie l'elfo domestico con il quale parlava di biscotti, tutti i suoi compagni e anche Eleanor. Non sapeva come avesse reagito alla notizia della sua morte, certamente non con gioia, sperava, ne' sapeva se si ricordasse ancora di quel fastidioso e chiacchierone di un Tassorosso. Una volta, Nathan, pensò di averla addirittura incontrata: all'Ilvermony Pool Party. Le era sembrato di scorgere il volto familiare, intento a prendere la mira per colpire qualcuno con bombe d'acqua per vincere la partita. Non appena il suo volto si era messo a fuoco nella sua mente, il mimetico aveva pensato bene di allontanarsi il più possibile da lei. Sarebbe stato un trauma vedere uno dei propri amici tornare dal regno dei morti e voleva evitare lo spiacevole evento a qualsiasi persona della sua vecchia vita, Eleanor compresa. Alla vista della sua foto, sul Morsmordre, Nathan si portò una mano alla bocca, mentre gli occhi iniziavano ad inumidirsi. Non pianse, ma avrebbe potuto farlo senza che nessuno (chi?) gli avesse rimproverato nulla. Il pensiero di Eleanor rapita, forse drogata, e rinchiusa da qualche parte in una cella gli strinse lo stomaco. Per quanto ne sapeva, poteva essere stata vittima dei rapimenti dei Dottori. Numerosi erano i Laboratori ancora attivi, nonostante la continua lotta che impegnava il Ministero e la Resistenza contro un nemico comune e mostruoso. Le immagini che, pochi minuti prima, erano state riflesse nel grande specchio apparvero come flash nella mente di Nate. Eppure la pelle martoriata, picchiata e emaciata non era la sua: il corpo di Eleanor era percorso da profondi tagli e ferite profondamente sanguinanti. I lividi disegnavano dolorose nuvole che tendevano dal viola al giallognolo. La fantasia del ragazzo lo portò a capire che quelle persone che stavano sparendo avevano altissime probabilità di essere nello stato in cui era Nate nei laboratori. Eppure le chance di uscirne vivi non sembravano altrettanto alte. Nessuno avrebbe mai dovuto vivere un'esperienza del genere. "Nessuno" ripeté in un sussurro. Eppure molti altri erano stati vittime di quelle torture. Ricordava bene le urla di altri pazienti, le sue urla. Strinse il giornale nella mano destra e richiuse gli occhi. Il dolore si ripresentò alle sue porte e, per quanto Nathan le barricasse, ogni volta riuscivano a entrare con la stessa insistenza dei venditori porta a porta della Folletto #wat.
    Eppure non poteva fare molto lui, non ancora, almeno. Nonostante si fosse presentato a numerosi eventi, partecipare ad una squadra gestita del Ministero costituiva un pericolo troppo grande anche agli occhi di Nathan. Ma a breve sarebbe arrivato il momento in cui il Mimetico avrebbe potuto partecipare attivamente alla ricerca degli scomparsi.
    Nei giorni a seguire la situazione non sembrava avere intenzione di migliorare. Il bollettino stampato subito dopo di Eleanor non fece che peggiorare il suo umore. In una volta erano spariti la sua amica Hope, il fratello di Idem, che Nate conosceva abbastanza bene, e Jayson, quello che il mimetico ricordava come il ragazzo che aveva pomiciato con Freya. Anche se non lo conosceva bene quanto gli altri due scomparsi, vedere la sua foto... le loro foto lo fece infuriare. Nessuno avrebbe dovuto vivere esperienze di quel genere, eppure cosa stava facendo lui per evitare ciò? Nulla. Assolutamente nulla. E si odiava profondamente per questo. Era inutile. I laboratori gli avevano tolto tutto ciò che gli apparteneva, dandogli in cambio un potere inutile nel momento in cui si era da soli. Quando si aveva bisogno più che mai di autodifesa, Nathan era lì a fallire miseramente. Questa era la sua vita: una serie di fallimenti e la promessa che si era fatto, senza riuscire a mantenerla, era l'ultimo di questi. Se non sarebbe riuscito a proteggerli allora, come minimo, li avrebbe ritrovati.

    "sei un essere malvagio, wellington". Nathan non si era dimenticato del fatto che Erin non avesse una bacchetta invece Nico sì #sorrynotsorry, semplicemente trovava divertente il fatto che lui che non poteva più usarla ne avesse una, mentre lei che poteva usarla non ne aveva mai toccata una (o almeno questo era quello che pensava Nate). In risposta alla domanda riguardo all'amichetto (mamma Nate mode: on #wat), Nathan ricevette un: "SCOTT? no, ewww, no, non è come pensi". Nate fu tentato di risponderle "Oh io credo che sia proprio come la penso io, invece.", ma decise di aspettare fino alla fine della spiegazione di Erin e decise anche di aspettare di riacquistare la vista, persa grazie al potentissimo lumos che la Chipmunks gli aveva scagliato in piena faccia. Guardare il sole con un telescopio sarebbe stato meno dannoso, probabilmente. "Lui è... è il mio migliore amico", continuò lei. "Ahia, sento puzza di twinfriendzone. Povero Sfott, che pena deve essere avere una cotta per Erin.", pensò imperterrito Nathan. Stava già per dare voce ai suoi pensieri quando...
    "Tu piuttosto…"
    "Io piuttosto, cosa?", chiese sollevato dal fatto che il fascio di luce non fosse più puntato verso di lui ma spaventato dalla risposta alla sua domanda. E faceva bene ad esserlo: dopo che Erin gli aveva chiesto cosa stessero facendo quelle donne sul pc, non sapeva come facesse la ragazza ad essere tanto maliziosa ed ingenua al tempo stesso.
    "Io sono ancora curiosa sulla ragazza della piscina, quella con i lunghi capelli rossi" rivelò la ragazza, scuotendo i capelli e sbattendo le ciglia come a voler imitare la ragazza oggetto della discussione.
    "Pf, Freya non fa mica così" disse senza rendersi conto di aver parlato.
    Nathan deglutì con difficoltà e si fermò un attimo, rimanendo più indietro rispetto alla ragazza. Doveva reagire con calma, senza dare segni di nervosismo o ansia.
    "volevo dire, CHIIIIIIIIIII?" chiese con tono acutissimo e la faccia di qualcuno che finge, male (ciao Tommy), di non sapere qualcosa. La voce nella testa di Nathan rimase zitta (perchè, aveva mia parlato?) e, dopo qualche secondo, si esibì in un sarcastico slow clap. Rendendosi conto di quanto aveva fatto, si schiarì la voce e ripetè: "Volevo dire... chi? Non capisco di chi tu stia parlando.". La guardò con finta innocenza, sperando che lei gli credesse.
    Aveva funzionato? No? No. "Okay, okay. Si chiama Freya e..." sul serio stava per dirlo ad Erin? Be... in effetti era l'unica a cui l'avrebbe potuto dire, "ed 'è molto carina. Ma siamo solo amici. Soooooooolo amici. Amici platonici, niente di niente di più. Proprio noooope, ottimi amici che si sono rincontrati... dopo che ho inscenato la mia morte e senza che lei rimanesse stupita nel rivedermi vivo, ma nulla di più."
    Forse aveva parlato con troppo entusiasmo e forse se ne rese conto da solo. "Non sono credibile, vero?" chiese guardando Erin. "Già, non lo sono". Finalmente raggiunsero la cucina dove presero le provviste per la serata film. Nathan abbracciò i due pacchetti di patatine, grandi quanto cuscini del letto, e porse a Erin la ciotola dei pop corno ("Cerca di non finirla prima di arrivare alla postazione") e Nathan era prossimo al cammino verso il computer, la strega (lov u Erin) gli chiese di prendere i biscotti e le caramelle. Nathan si girò verso di lei, pronto a rivolgerle uno sguardo attraverso i pacchi di patatine che lasciava intendere che a stento avrebbero mangiato quelle cose. Ma Nathan in fondo era ancora Tassorosso e non seppe dire di no a quella creaturina piccina picciò (?). Prese la busta delle caramelle con i denti mentre la confezione di Pan di stelle sotto l'ascella destra, mentre circondava in un caldo abbraccio i pacchetti formato Quartier Generale (?) di patatine. Potreste chiamarlo mago, ma si deprimerebbe troppo, quindi chiamatelo genio-acrobata-contorsionista-Nate perchè riuscì a far arrivare tutto intatto, senza fa cadere mai nulla ("No Erin, ce la faccio da solo, potresti solo grattarmi il naso?"), fino al divano, dove lasciò andare tutto il cibo. Misero finalmente play e si avvolsero nelle copertine di plaid che avevano recuperato.
    "Li shippo"
    "Scherzi, vero? Moriarty deve solo morire, non si merita Sherlock!"
    "So che potrebbe essere mio padre"
    "Ti prego Erin, non dire quello che penso tu stia per dire..."
    "Però… dai, è proprio affascinante". La ragazza si girò verso Nathan, che intanto stava lottando contro un verme caramelloso. Quando il mimetico metabolizzò ciò che aveva appena detto, per poco non si soffocò con l'invertebrato gommoso. Dopo aver fatto la manovra di Haimlich-coso da solo, riuscì a evitare la morte (per la seconda volta #yolo #nonperNate),e guardò Erin dritto negli occhi. Le mise la mani sulle guance e... iniziò a scuoterla vigorosamente, tenendola per la faccia.
    "ERIN THERESE CHIPMUNKS,"-se ve lo steste chiedendo, si ha sempre sognato poterlo dire-
    "CHE TI HANNO FATTO? COSA TI PASSA PER LA TESTA?!". La cosa sarebbe stata molto più d'effetto con un paio di schiaffi per risvegliarla, ma Nate pensò che forse lei non avrebbe gradito e Nate ci teneva a conservare le sue noccioline intere (if you know what I mean). Dopo aver finì di urlare, le tolse le mani dalla faccia, sperando che assieme non se ne venisse tutta la pelle: aveva fatto di tutto pur di non far scegliere ad Erin un film horror e non voleva vedere i suoi tentativi vani di fronte alla raccapricciante immagine del volto di Erin spellato.
    "Non so cosa ci fosse nei popcorn, ma cedo che ti abbia dato leggermente alla testa"- constatò fissandola negli occhi-"conosco un incantesimo che potrebbe aiutarti. Prendi la tu- OH giusto". Ci stava prendendo gusto, lo ammetto, ma se lo meritava dopo quello che aveva detto. Sul serio, Moriarty era un ottimo bad guy, ma non capiva mai perchè tutte le ragazze fossero attirate dai ragazzi tenebrosi e stronzi. E la cosa gli pareva ancora più strana considerando che lui era probabilmente l'opposto di quei ragazzi. Forse era per questo che nessuno se lo filava? Oppure era colpa delle sue abitudini lupesche? Se lo chiedeva sempre e il dubbio era talmente grande che gli procurava un fastidioso prurito dietro all'orecchio, placato solo dopo essersi grattato con il piede.
    BOOM
    Un colpo attirò l'attenzione di Nathan verso il pc. Si girò appena in tempo per vedere Moriarty che si faceva esplodere il cervello in una nuvola di sangue rosso.
    "SI'! Era ora, brutto cattivo!" esultò.
    Sherlock camminava sopra il tetto e aprì il telefono per chiamare John.
    "Dai adesso gli dice che lo ama! Anche se mi dispiace un po' per Mary. Dici che John riesce a convincerli per un matrimonio poligamo?" chiese vivamente curioso a Erin. Era rimasto abbastanza sollevato dall'aver sotterrato il discorso Freya, ma con la Chipmunks non si era mai al sicuro. Parlarne con lei non era difficile, semplicemente Nathan aveva difficoltà nel parlare di quella ragazza: l'aveva conosciuta molto tempo fa e d'un tratto era sparita, vittima anche lei dei Dottori nei Laboratori. Poi si erano rincontrati e on era sembrata turbata alla vista del mimetico ancora vivo, che si fosse dimenticata di lui? Eppure non gli era sembrato così a Wicked Park durante il Pool Party, erano stati bene insieme, o almeno era quello che aveva capito lui. Poi il Matrimonio, be' quella è tutta una storia. Nathan non era mai riuscito a capire le ragazze, ma Freya era diversa da tutte le altre e, forse, anche un po' più complicata. Ma era così affascinante.
    Si accorse di star fissando imbambolato un punto del soffitto e si riprese solo quando un pensiero, totalmente random, gli attraversò il cervello (?).
    "Sapevi che Le cascate di Reichenbach sono le stesse cascate dal lo Sherlock dei libri si è tuffato?" chiese a Erin, curioso di sapere la risposta. Vide Sherlock salire sul cornicione del palazzo e la scintilla scattò.
    "Oddio ma questo significa che... SHERLOCK!" urlò il mimetico, quasi come se volesse tirarlo fuori dallo schermo, mentre faceva saltare la busta ancora chiusa delle patatine.


    ""
    Nathan (J) Wellington
    Some had scars and some had scratches, it made me wonder about their past
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    Forse Erin Chipmunks aveva passato troppo tempo con Sin, o forse, e probabilmente più vero, con Murphy ad adocchiare gli spostamenti di Athena e l’Hansen; ancor più probabile era la nefasta influenza di Idem, dai cui occhi azzurri scaturivano sempre cuori ed arcobaleni. Insomma: c’era un motivo, una causa scatenante, se Erin Chipmunks era una shipper – e di quelle reali, con tanto di altarini nascosti della sua otp. Non c’era di che stupirsi se quando, l’incauto Nathan, aveva pronunciato il nome della rossa, Erin si era aperta in un sorriso sfavillante, gli occhi a brillare di gioia. Perfino il nome aveva un suono bellissimo, Freya. Erin non conosceva Freya, se non per quel poco che l’aveva vista alla festa; eppure, e diede la colpa al sentimento che Nate sembrava provare per lei, già le piaceva. Le diceva qualcosa, andando a scostare le tende di un passato dimenticato, con quei familiari occhi verdi ed i capelli rosso fragola. «freya…» ripetè sognante, sbattendo le ciglia civettuola al mimetico. Erin si divertiva a punzecchiare Nathan anche quando non aveva appigli sicuri, figurarsi ora che conosceva il suo tallone d’achille: quando meno se lo sarebbe aspettato, gli avrebbe presentato qualche stupido collage di lui e la rossa, oppure avrebbe preparato un tè afrodisiaco da regalarle (wat). «solo amici… AHAH.» commentò con una risata chiaramente forzata, lanciandogli un’occhiata allusiva. Lei era certa del solo amici con Scott, e non era neanche fraintendibile il tono usato per confermarlo; MA ANDIAMO, anche un cieco, sordo e muto (?) si sarebbe reso conto che quel fringuello di un Wellington stava tentando, inutilmente, di arrampicarsi sugli specchi. «stai cercando di convincere me o te stesso?» domandò inarcando le sopracciglia, picchiettandolo con il bastoncino del cucchiaio sul naso.
    Come “che cucchiaio”: non vi ho detto che Erin, mentre Nathan si riempiva le braccia di patatine e biscotti, aveva preso la vaschetta di gelato alla vaniglia e nocciole dal freezer? Beh, ora lo sapete. Faceva freddo, okay, ma non abbastanza da rinunciare al gelato. «certo che non sei credibile!» sbuffò, scuotendo la chioma come … volevo dire come una principessa, ma in realtà fu più simile ad un cavallo che si scrollasse la criniera – comunque, non meno affascinante di una Ariel o un Aurora #wat.
    E chissà, vi dice Sara narratrice e lettrice, dove due creaturine come Nathan e Erin potessero infilarsi tutto quel cibo: ne avevano per un reggimento. Si che erano giovani, si che dovevano crescere, e sì che dovevano consolarsi per l’assenza di figure genitoriali / amici / adulti / perché siamo al mondo?, ma anche il loro organismo non avrebbe potuto ingurgitare tutto quel mangiare. Non che la questione limitasse i due ribelli: quando giunsero sul divano, dove si lasciarono cadere pesantemente, c’erano più trigliceridi che ossa, sotto il consunto pezzo di stoffa che usavano come coperta. «diventerò così cicciona che non mi vorrà mai nessuno» commentò con il broncio, lanciandosi un pop corn e due patatine in bocca: perché certo, Erin ci teneva all’aspetto fisico, ma preferiva lamentarsi sul proprio peso che davvero rinunciare a quelle porcherie. Senza contare che, in ogni caso, ella si maritava solamente con a) ragazzi troppo carini b) ragazzi troppo grandi c) ragazzi già impegnati d) ragazzi gay: e poco importava, allora, quale che fosse il suo aspetto fisico, comprenderete anche voi. QUINDI ACAB. Il suo commento su Moriarty, detto con l’innocenza con la quale Heidi domandava a Clara di fare due passi, non passò inosservato. Stava ancora masticando, le guanciotte gonfie come quelle di un criceto, quando Nathan prese a scuoterle il viso, beccandosi un’occhiata confusa. «CHE TI HANNO FATTO? COSA TI PASSA PER LA TESTA?!» deglutì, guardando prima lo schermo e poi l’amico. «… non lo so?» rispose sinceramente, passandosi il dorso della mano sul labbro inferiore. «voglio dire, lo sai che ho la cotta facile» si sistemò più comodamente sul divano, aggrottando le sottili sopracciglia castane. «NON GIUDICARMI» lo ammonì con l’indice contro il petto, per poi sbattere le ciglia da vera signora e voltare il viso dalla parte opposta nel miglior PER ME NON ESISTI, WELLINGTON del suo repertorio. « conosco un incantesimo che potrebbe aiutarti. Prendi la tu- OH giusto»
    Assottigliò le palpebre, Erin Therese Chipmunks, finchè delle iridi chiare non fu visibile solamente una linea sottile. Le labbra strette fra loro, il corpo immobile e teso come la corda di un violino. «nathan…wuruhi…… wellington» sibilò minacciosa, gonfiando il petto. «QUESTA GUERRA L’HAI VOLUTA TU» così dicendo, rapida come Sherlock nelle sue deduzioni, utilizzò il cucchiaio come catapulta per lanciare una pallina di gelato sulla faccia del mimetico, le mani già cariche di patatine e pop corn nel qual caso l’amico – CHE TANTO AMICO NON ERA Più – avesse voluto rispondere all’attacco. Era un piccolo e tenero bocciuolo in fiore, Erin, fintanto che nessuno le toccava la bacchetta.
    O meglio, non le toccava la bacchetta (come avrebbe specificato Nate), dato ch’ella non la possedeva. E lui, infido TASSOROSSO!, lo sapeva perfettamente. «sei un disonore per la tua casata» concluse, chiudendo le palpebre ed incrociando le braccia sul petto. Implicito: LO DIRÒ A IDEM.
    Aprì gli occhi di soprassalto sentendo il rumore provenire dal pc, il cuore in gola. Rimase a fissare lo schermo con le labbra dischiuse ed il cuore in gola, mentre il ragazzo di fianco a lei esultava felice. «ma… no… non può essere» commentò solamente, portandosi le mani alla bocca. «è…morto? No, non può essere morto» si convinse, scrollandosi nuovamente come se quel gesto bastasse a rendere ciò che era accaduto a Moriarty meno reale. Certo che non era morto, figuriamoci. FIGURIAMOCI. «E TU NON ESULTARE: non dirà a John che lo ama, nel suo cuore c’è solo Jim» inarcò il sopracciglio destro, e da vera persona matura qual era, fece la linguaccia a Nate. « Sapevi che Le cascate di Reichenbach sono le stesse cascate dalle quali Sherlock dei libri si è tuffato?» ah perché, Sherlock si tuffava? In caso non fosse stato abbastanza chiaro, Erin non sapeva nulla dei romanzi di Arthur Conan Doyle – non era proprio il suo genere, sapete.- e per quanto avesse sentito parlare di Sherlock Holmes, come tutti al mondo, non era a conoscenza dei labirintici segreti del detective. Scosse il capo, ancora troppo offesa per proferire parola. « Oddio ma questo significa che... SHERLOCK!» Figurarsi se, bionda di natura com’era, Erin aveva fatto il collegamento fra ciò che aveva detto Nate, ed il titolo dell’episodio. Si fece però trascinare dall’impeto dell’amico, allungandosi impercettibilmente verso lo schermo. «sherlock cosa? SHERLOCK COSA?» domandò intimorita, mentre lui saliva sul cornicione. «non lo fa, vero?» ed allora, bionda fino ad un certo punto, capì.
    «non lo fa, dai» era ormai quasi coricata sul computer, il volto a pochi centimetri dallo schermo.
    Quando tutto cambiò.
    Fu così improvviso che Erin, un gridolino acuto fra i denti, cadde in parte dal divano. «NON HO TOCCATO NIENTE GIURO» si giustificò, ancora con il busto a terra pur avendo le gambe sul divano, premendo con le mani per rialzarsi. E rimase così, la Chipmunks, a metà di un mugugno sofferente ed una flessione. «nate…?» ma la voce si era affievolita sul concludersi di quella domanda che, in ogni caso, non avrebbe saputo come completare. Ruotò gli occhi sul mimetico, il cuore in gola ed un sapore ramato sulla lingua. «nate» ripetè in preda al panico, deglutendo nervosamente senza la forza di rialzarsi a sedere. Non riusciva a capire, Erin Therese Chipmunks. Rimase in equilibrio su un braccio solo, sollevando l’altro per avvicinarlo allo schermo. Sfiorò con il polpastrello i volti apparsi sul laptop, quasi timorosa di poter superare il limite dello schermo e toccarli realmente. Li conosceva. C’era Patrick, e Nathan, e Alec, e Hope, e Dakota, e Amos, ed uno di quei tre ragazzi così uguali. «cosa sta succedendo?» sussurrò, cercando nello sguardo di Nathan una risposta. Più rovinati che non nelle foto apparse sul Morsmordre, dove sorrisi appena accennati si intervallavano fra le pergamene del giornale, ma Erin li avrebbe riconosciuti ovunque.
    Erano gli scomparsi.


    erin therese chipmunks
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    "nathan…wuruhi…… wellington...QUESTA GUERRA L’HAI VOLUTA TU"
    Prima che Nathan potesse fare qualsiasi cosa (anche se in realtà non avrebbe potuto fare nulla, era un fottuto mimetico e non aveva poteri propri #mainagioia), una pallina di gelato lo colpì in faccia . Per lunghissimi e interminabili secondi la faccia dell'Esperimento rimase impassibile, mentre il gelato gocciolava lentamente dal naso. Era scioccato da ciò che Erin aveva osato fare. Gli aveva lanciato una pallina di gelato in faccia. IN FACCIA. Quella bellissima e preziosissima faccia che aveva bisogno di cure e attenzioni continue, secondo il parere di Nate. Sfigurato dal cibo più buono del mondo dopo il cioccolato, chi lo avrebbe mai detto? (risposta: qualsiasi dietologo). Ma lo aveva scioccato anche come lo aveva chiamato Erin: aveva usato "Wuruhi" come se fosse un secondo nome e Nathan non sapeva se essere felice di avere un'amica che conosceva qualcosa di lui o intristito dal ricordo di qualcosa che non era più. Guardò ancora una volta il volto innocente, e tremendamente furioso, di Erin e decise che sarebbe stato felice per quel nome.
    Lui ed Erin erano più simili di quanto possiate immaginare: entrambi avevano due occhi, un naso, una bocca erano rimasti senza una casa, senza una figura genitoriale o un adulto che li placasse e ammonisse costantemente, entrambi erano quasi segregati in quel posto (okay, erano andati a praticamente qualsiasi party del mondo magico, ma che volete che sia?) e avevano segreti sul loro passato di cui loro stessi erano all'oscuro. Era contento che Erin sapesse del suo nome da lupo: ormai non gli era più concesso usarlo, ma spesso gli capitava di adottarlo come nome in codice (ma quando?). Dopo i Laboratori, la perdita del suo animagus, la scomparsa delle sue capacità magiche, l'acquisizione di poteri all'apparenza inesistenti e il finto suicidio, non era più riuscito a capire chi fosse. Sicuramente non era un Tasso, nè tanto meno un mago, non era più un lupo... non era più nemmeno Wuruhi. Ma aveva un legame speciale con quel nome: era l'unico al quale aveva mai risposto nelle sue sembianza animalesche e sentiva che gli apparteneva anche in quel momento di crisi mistica d'identità. Non era più un lupo fisicamente, ma avrebbe ben presto capito che il vero lupo si nascondeva nel suo animo.
    Ciò non toglieva che quella cattiva di una Erin lo aveva sfigurato: "Howdare you?" fu ciò che pensò Nate. Con una mano raccolse la gelida pallina e con l'altra afferrò un pugno di patatine alla paprica. Senza preoccuparsi di sporcare qualcosa, mischiò tutto nella mano destra, dove regnava un caos di paprica rossa, patatine gialle e gelato bianco.
    "Erin, mai provato il gelato alla paprica?"
    Un sonoro SPLAT riecheggiò nella stanza, nel momento in cui la mistura ebbe fatto presa sulla faccia di Erin manco fosse stato stucco a presa rapida #wat.
    Dopo una serie di rimproveri riguardanti la sua casata -ex casata, se volessimo far contorcere Nate dalla tristezza - ritornarono a guardare l'episodio.
    Il colpo di pistola che bucò le ossa della scatola cranica di Jim Moriarty fece esultare Nate, ma fece anche deprimere Erin, che si guadagnò una pacca sulla spalla dall'amico e un "Dai, non preoccuparti. Ci saranno altri bad guyz, o come dici tu, di cui innamorarsi perdutamente. Moriranno anche loro e... okay, ora puoi preoccuparti". Nathan non era cattivo, sul serio se lui fosse stato un mangiamorte probabilmente non avrebbe guadagnato nulla, ma si divertiva tremendamente nel punzecchiare i suoi amici più stretti e Erin aveva la sfortuna di essere l'unica costantemente sotto tiro nel giro di 50 chilometri.
    "non lo fa, vero?"
    "Temo proprio che lo farà..."
    "non lo fa, dai"
    "Sì, credimi ora lo fa!"
    Quando tutto cambiò (hihi sono una persona originale)
    Lo schermo del pc divenne completamente nero. L'immagine di un Benedict Cumberbatch con un lungo cappotto scosso dal vento era rimasta impressa nella mente di Nate. Guardò spaventato Erin.
    "Erin ti prego non dirmi-"
    "NON HO TOCCATO NIENTE GIURO" lo interruppe lei, che era finita per metà sul divano e per metà sul pavimento, in un modo che Nathan riteneva disgustosamente snodato #wat. Scese anche lui dal comodo e vecchio sofà, sollevando una nuvoletta di polvere dal cuscino dove era seduto. Non appena raggiunse il pc, il monitor venne percosso da alcune scariche grigie, come quando la televisione ha l'antenna rotta. Il mimetico azzardò a colpire un angolo dello schermo, come era solito fare con qualsiasi oggetto babbano provvisto di display e sprovvisto di istruzioni a prova di Nathan Wellington.
    Le scariche diminuirono, senza però cessare definitivamente, cedendo il posto a delle immagini anche peggiori delle scandalose pubblicità.
    Nathan colse la chioma rosso fuoco di Dakota, gli occhi azzurrissimi e stanchi di Eleanor, il volto emaciato di Hope, il fisico alto e snello di Nathan Withpotatoes. Non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo dal computer, osservando scioccato tutte quelle immagini strazianti. Un sentimento di rabbia e rancore verso chiunque osasse sequestrare delle persone per un qualsiasi motivo invasero Nate, scorrendo al posto del sangue in ogni vena o capillare. Erano le persone a cui più teneva, le persone che erano scomparse, le persone che gli avevano voluto bene dimostrandosi il primo segno di famiglia dopo il lungo periodo di solitudine post suicidio. Erano lì: chi legato, chi imbavagliato, alcuni insieme e altri da soli, qualcuno con un sacco in testa mentre altri erano riconoscibili dagli occhi affogati nelle lacrime. Le immagini turbarono profondamente il mimetico, facendo riaffiorare i timori, le paure e frammenti del periodo che aveva passato in condizioni simili a quelle. Aveva promesso a sè tesso che nessuno si sarebbe dovuto azzardare a toccare persone innocenti, per nessuno motivo lo avrebbero dovuto fare. Nel video comparvero frammenti di informazioni che, successivamente, furono resi interamente pubblici. Avevano un luogo, una data e un'ora dove poter fare del loro meglio per aiutare i loro cari.
    "cosa sta succedendo?" chiese Erin spaventata cercando nello sguardo dell'amico. Quello che avrebbe trovato non le sarebbe piaciuto: rabbia, furore, shock, incapacità di ragionare ma anche... paura. Nathan aveva paura di quello che sarebbe successo dopo, aveva paura di quello che sarebeb accaduto a quelle persone che aveva amato e che, si sperava, avrebbe continuato ad amare, aveva paura di morire e questa volta non sarebbe stato un ingegnoso trucco per sparire dalla propria vita. Se fosse morto, sarebbe rimasto tale: un mucchietto di ossa in una tomba. Una tomba anonima, dove sarebbero andate a piangere ben poche persone (aka solo coloro che avrebberpo saputo della sua morte ufficiale) e sarebbero state ancor meno, se nessuna di quelle scomparse sarebbe poi ritornata a casa. Nathan però non era egoista. La sua casata gli aveva insegnato che mettersi a disposizione degli altri, concedere loro amore incondizionato e aiutare chiunque ne avesse avuto bisogno erano gli atti che rendeva una persona veramente nobile, a prescindere dallo stato di sangue, economico o sociale. E Nathan era un animo nobile, lo era sempre stato.
    "Erin alzati", il video era terminato e sullo schermo era rimasto il nero più assoluto. "Erin alzati, dobbiamo scendere nell'armeria", aveva affermato con più durezza Nathan. Non c'era più traccia del simpaticone che si era messo a scherzare con la sua maica. Era lo stesso ragazzo che aveva letto dei suoi amici scomparsi, lo stesso ragazzo che era ritornato distrutto dall'esperienza nei Laboratori.
    "Dobbiamo trovarli. Dobbiamo aiutare quelle persone."
    Aveva detto come ultima cosa, prima di uscire dalla porta, sperando che la ragazza lo seguisse.
    In altri casi, si sarebbe avvicinato a lei, stringendola in un abbraccio rassicurante e rassicurandola con parole che avrebbero fatto intendere la presenza di una soluzione. Ma anche Nathan era turbato, anche lui aveva bisogno di quel genere di consolazione e temeva che, tentare di fare una cosa del genere, lo avrebbe portato a scoppiare in lacrime, perdendo al presa su tutte le emozioni che si accavallavano per uscire sotto forma di pianto. Non sarebbe più stato così rassicurante.
    "Tenete duro" fu l'unico pensiero lucido che ebbe Nathan, prima di lasciarsi scappare un paio di lacrime salate (prontamente riasciugate con la manica della maglietta).

    Nathan (J) Wellington
    Some had scars and some had scratches, it made me wonder about their past
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia


    Edited by Archer83 - 12/10/2016, 01:12
     
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4 replies since 26/9/2016, 23:11   353 views
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