but the truth is, it's painless

Shane x Stiles #shales

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +3    
     
    .
    Avatar

    « mayhem »

    Group
    Member
    Posts
    19,954
    Spolliciometro
    +3,449
    Location
    Londra

    Status
    Offline

    - stanza psicomaghi -


    Spesso si ritrovava a domandarsi se fosse umanamente possibile avere una pelle così pallida, talmente chiara da stordirlo quando si guardava allo specchio, spoglio di ogni abito. Ancora più spesso, in quella pelle candida e ricoperta da peli rossicci, Shane Howe non ci si ritrovava. Sarebbe mai riuscito ad abituarsi a quel corpo così diverso da come lo ricordava? Sarebbe mai riuscito a sentirsi di nuovo?
    Con le spalle rivolte allo specchio che occupava in lunghezza tutta la parete azzurra della sua camera e le braccia leggermente flesse e sollevate che tenevano alto dinnanzi a sè uno specchio più piccolo, provava a guardarsi la schiena, rimanendo ad osservarlo ancora, ed ancora...
    "Bellissimo"
    L'animale che serpeggiava sulla sua schiena, come fosse stato dipinto da una mano delicatissima, sembrava così reale da non avere niente da invidiare alla sua specie esistente: era un ashwinder dalle sfumature verde pallido, le spire avvolte su loro stesse in modo vigoroso, ricopriva tutta la sua schiena andando a finire con la punta della coda più chiara del corpo, quasi invisibile, nell'incavo del suo fondoschiena. La testa dell'animale sembrava pigramente poggiata sulla sua spalla sinistra, come a volerlo coccolare e stargli vicino, ma la bocca spalancata mostrava zanne aguzze, gli occhi rossi sembravano intinti di sangue e prendevano fuoco non appena qualcuno vi posava sopra il proprio sguardo, come a voler proteggere Shane da chi gli stava alle spalle, come un angelo custode. A volte, durante la notte, sembrava quasi di sentirlo muoversi, solleticandogli la pelle in modo delicato.
    Aveva chiesto a Hope cose sapesse di quel tatuaggio e lei gli aveva risposto in un modo che lo aveva spiazzato. « È l'ultima cosa che hai fatto prima di...dai, hai capito ». No, Shane non poteva capire, perché non ricordava e difficilmente avrebbe potuto capire come si era sentito, costretto a combattere dentro un labirinto per sopravvivere. L'ultima cosa che aveva fatto prima di venire rapito era stato quel tatuaggio magico da Amortentia. La traccia più recente di sè stesso che il vecchio Shane aveva lasciato alle proprie spalle prima di sparire. Spesso si fermava ad osservarlo, come quella sera, a lungo, per svariati minuti, provando ad incrociare il proprio sguardo con quello acceso del serpente, provando a capire, a ricordare, come se quel grosso serpente dallo sguardo di fuoco potesse rappresentare qualcosa di più di un semplice tatuaggio, come se racchiudesse qualcosa di più, qualcosa che aveva perso. A volte sembrava quasi di sentirlo sussurrare alle sue spalle. « Io sono qui. Noi siamo qui. Per sempre. Per sempre. »
    E non sapeva se stesse impazzendo e quelle voci fossero, in realtà, solo uno scherzo della sua mente, ma Shane non riusciva ad averne paura, anzi, quel sibilare sinistro era di conforto e riusciva ad addormentarsi ascoltando quelle parole.
    La mattina dopo, poi, non ricordava niente. Ed era già mattino.

    « Devi andartene, i miei genitori torneranno a momenti, vestiti. » Non era solito portarsi a letto sconosciuti, tanto meno era solito portarli nel proprio letto, a casa sua. Voleva sempre evitare domande moleste che riguardassero Damian, del tipo "Sei il nipote del Vice Ministro? Ma è vero che ha un unicorno gonfiabile in piscina? Posso vederlo?" Insomma, le domande importanti che solitamente chiunque vorrebbe fare al Vice Ministro della Magia. Ma la sera prima era stata difficile per lui che aveva sempre voluto vantare, senza riuscirci, un certo auto controllo. Non era riuscito, ancora una volta, a controllare il proprio potere ed ancora prima che potesse anche solo pensare di provare a bloccare quell'emissione traboccante di feromoni si era ritrovato tra le lenzuola blu notte del suo letto, sotto le spinte violente di quell'uomo. Non era in quel modo che voleva sentire il proprio corpo, odiava quel modo. Odiava lui.
    « Non mi prepari neanche la colazione? »
    Dopo la notte passa tutto, finita la passione passa tutto. Mantenne autocontrollo.
    Uno sguardo freddo ed approfondito sulla persona che sostava ancora tra le sue lenzuola gli consentì di intercettarne lo stato d'animo: era felice, dannazione e questo gli fece presumere che allora l'avrebbe tirata ancora per le lunghe.
    « Perché mi guardi così? »
    « Elupitar » L'elfo domestico si materializzò nella stanza, in una mano scarna aveva stretti i vestiti dello sconosciuto e l'altra andò a posarsi sul polso di lui, come il suo sguardo chiaro. « Pit molto dispiaciuto. » Aveva detto prima di smaterializzarsi portando con sè in quel breve viaggio il ragazzo ancora nudo (e molto confuso dalla situazione). La destinazione era, per forza di cose, l'esterno dei cancelli di Villa Icesprite-Howe. Ma Shane, dietro il vetro della sua finestra, riusciva comunque ad intercettare quel povero cristo che, disperato, tentava di coprire le sue nudità il più in fretta possibile. Si morse il labbro superiore così forte da farsi male, trattenendo una risata. Lo vedeva, ma non lo sentiva più, lo percepiva ma non gli interessava affatto, ed il senso di colpa aveva smesso di bruciare ancora prima di battere davvero. Trasse un sospiro di sollievo. Nella sua solitudine non provava niente, chiuso com'era nel sua teca di ghiaccio, se non un infimo divertimento che gli sollevava gli angoli della labbra in un sorriso nel guardare quel ragazzo disperarsi. Ma lo odiava anche se lui non aveva colpa, e si odiava per aver ceduto ancora una volta.
    « Signorino Shane bisogno di altro? »
    La voce di Elupitar, rimaterializzatosi nella stanza quasi subito, non lo distrasse dallo spettacolo che si palesava sotto gli ampi vetri di quella grande Villa silenziosa e fredda al mattino: il ragazzo, ora vestito, si era voltato ad osservarlo da lontano e mandarlo a fare in culo con un gesto esplicito della mano. Gli diede le spalle, allontanandosi dalla finestra. « Si, preparami i vestiti, devo andare ad Hogwarts. » Diede disposizioni all'elfo, che con un piccolo inchino fece per sparire.
    « Pit...? » Lo richiamò prima che potesse andarsene di nuovo e l'elfo sollevò i suoi grandi occhi verde acqua su di lui. « Grazie. » Eppure lui gli elfi domestici un tempo li aveva odiati tanto.

    Grazie a Pit riuscì ad arrivare a lavoro ad un orario quanto meno decente, ed anche questo non era tipico di lui, abituato com'era sempre stato ad essere fin troppo in anticipo su tutto. Ma ultimamente aveva conosciuto così tante distrazioni da fargli considerare l'idea che il mondo non fosse così noioso come aveva sempre creduto: le emozioni altrui, delle volte, sapevano essere fin troppo divertenti. E rimaneva ad ascoltarle, spesso domandandosi cosa passasse nella mente di determinate persone. Alcune più di altre lo incuriosivano, mentre poi, quando non riusciva a sentire niente e vedeva il vuoto nel volto di alcune di loro, ne aveva quasi il timore. Era anche per questo timore che, in minima parte, si sentiva utile in quel castello. Il vuoto negli animi di molti studenti era qualcosa che Shane non riusciva a sopportare. Non che gliene fregasse poi tanto, alla fine, ma finchè era lì e poteva essere utile agli altri lo era anche a sè stesso: avrebbe esercitato il proprio potere, perchè ormai era una sfida personale. Arrivato nel proprio studio, per prima cosa attinse con le dite alla ciotola di caramelle posta sulla scrivania, raccogliendone una all'ananas molto saporita. Con lo sguardo distratto, poi, diede un'occhiata all'agenda aperta sul tavolo sul quale aveva poggiato il sedere. "Andrew Stilinski". Doveva esserci un errore, perchè Andrew risultava tra i suoi appuntamenti? Lo aveva sempre saputo che quella dannatissima penna-prendi-appunti datagli da Hope in realtà scriveva solo ciò che più le piaceva, non rispondendo ai suoi comandi solo perchè non era un fottuto mago. Non aveva tanti ricordi di Andrew, o meglio "Stiles" se non qualche immagine vivida che aveva recuperato dai ricordi di Hope, e da quel che aveva potuto capire non avevano mai avuto un così "bel" rapporoto. Hope gli aveva raccontato di quella volta in cui lui aveva provato a lanciarlo giù dalla torre dell'orologio, o ancora di quella volta ai tre manici di scopa, quando la sua voce con "ananas" era risuonata in tutto il locale. Aveva ancora chiara in mente la sua immagine con sopra la testa quel cappello strambo, e l'espressione divertita del Tassorosso. Aveva anche visto la foto di un bacio, ma non gli era ancora chiaro quale ne fosse l'origine. Non importava il passato, no? Importava ciò che Shane sapeva di aver vissuto davvero, ed il Capodanno passato in famiglia, con quel ragazzo a giocare con lui, lo avrebbe ricordato sempre in modo positivo. Rimase in attesa del suo arrivo, giocando con la lingua con la caramella all'ananas.
    Somebody's aching keeping it all in
    shane icesprite-howe
    19 empathy psychowizard obliviate sheet
    the heart is deceitful above all things,


    Edited by mephobia/ - 14/1/2018, 17:01
     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    in ciao treno i trust

    Group
    Neutral
    Posts
    1,266
    Spolliciometro
    +1,185

    Status
    Offline
    i'm just a catalogue of disasters
    smile even though you're sad -- psychowat| 19 y.o. | ex hufflemuffin | last but not least
    Aveva ponderato la scelta così a lungo da consumarla, come una caramella spinta sul palato per protrarne il sapore il più a lungo possibile. Andrew Stilinski non era bravo in tante cose, ma prendere decisioni era forse la cosa che gli riusciva peggio: quando si trovava davanti ad un bivio, andava così nel panico da finire per tuffarsi al centro, malgrado una strada neanche ci fosse -o da accasciarsi alla rotonda, in attesa che qualcuno lo calciasse o da una parte o dall’altra. Non riusciva a prendere una posizione sapendo che quel passo avrebbe decretato una fine, chiudendo una porta che non avrebbe potuto riaprire in una delle ormai famose fughe alla Stilinski.
    Certe cose, Stiles, proprio non le sapeva fare.
    E c’erano notti in cui non riusciva a dormire, le lenzuola a coprirlo fino a metà busto e le mani impegnate a lanciare e riprendere al volo una pallina da baseball, rubata ad una stanza che aveva cessato di essere veramente sua quando aveva scoperto di essere un mago. Quando, mesi prima, aveva detto a suo padre che si sarebbe trasferito a vivere insieme a Nick, lui si era limitato a lanciargli una bieca occhiata di sottecchi accompagnando poi una pacca sulla spalla con un sorriso decisamente più sollevato di quanto la situazione richiedesse, un «ti aiuto con le scatole» che Stiles aveva voluto leggere con orgoglio, ma che nel petto suonava come un addio rimandato troppo a lungo. Andrew, in ogni caso, aveva solcato la soglia dell’appartamento di Nick Stilinski con un tronfio sorriso sulle labbra ed una (prevedibile) scivolata nell’atrio di questo, le chiappe pronte a saggiare il pavimento che, già sapevano, spesso avrebbero incontrato – non era certo famoso, il Tassorosso, per il suo magistrale equilibrio.
    Erano accadute tante cose, negli ultimi mesi. Troppe, per l’elevato peso che avevano avuto nella vita del ragazzo, strappandolo a quelle che credeva certezze per rotolarlo nel pan grattato come una fettina panata: forse ciò che non uccideva fortificava, ma l’olio troppo caldo rendeva la bistecca bruciata, non dorata. Non c’era una forchetta in grado di smantellare il guasto sulla sua superficie: esternamente, pareva lo stesso ragazzo di mesi, anni, vite prima, con quel sorriso storto e le fossette sotto le labbra, qualche ferita fresca a deturpare una pelle lentigginosa e gli occhi a brillare di sincera, ma incompresa, ironica allegria. Non c’era nulla di diverso, in Andrew Stilinski.
    Ed effettivamente, lui non si sentiva diverso: era stato il suo mondo a cambiare, mutando così velocemente da non dargli il tempo effettivo di mettere un piede di fronte all’altro. Era stato il mondo a farlo inciampare, dimenticandoselo alle spalle mentre andava avanti senza di lui.
    Lasciandolo indietro.
    Era stupido perfino che continuasse a provarci, ma non riusciva a farne a meno.
    Di tanto in tanto riguardava i bollettini del Morsmordre dell’anno precedente, ancora ammucchiati in un angolo della stanza perché metterla in ordine richiedeva uno sforzo che non era disposto a fare. Lì, in tutta la sua opaca innocenza, il suo stesso viso lo osservava di rimando – ancora, e ancora, e ancora. Perché potevano anche averlo ritrovato, Jayson Matthews, ma Stiles l’aveva perso da molto prima. Quando aveva letto il giornale, la prima cosa che aveva fatto era stata andare a cercare Xav – la più scontata, e l’unica della quale credeva di aver bisogno. Si sentiva così impotente, capite? Così inetto, malgrado quello fosse il suo mondo, non il loro. Si sentiva in dovere di… non proteggerli, non esageriamo, ma… esserci, ecco. Indipendentemente da quante (ed erano tante) porte gli venivano sbattute in faccia.
    Era stata la prima volta in cui aveva litigato, e sul serio, con suo fratello.

    «c’è scritto che viveva con Henderson»
    «già»
    «non è quello per il quale ho firmato quelle...cose. potevate dirmelo»
    «oh, chiedo perdono. Non mi ero accorto che eravamo diventati i tuoi cagnolini»
    «non siete i miei cagnolini, siete la mia famiglia»
    «non per scelta»

    Stiles lo sapeva che Xav faceva così, aveva imparato a conoscerlo. Aveva la malsana capacità di rigirare tutte le proprie emozioni in fredda ed ironica rabbia, sbattendosene il cazzo di quanto quelle parole potessero tagliare difese di per sé sottili. Non è cattivo, si era ripetuto più volte di quante fosse disposto ad ammettere, malgrado a voce l’avesse accusato di esserlo almeno in centinaia di colorite imprecazioni. È fatto così, e Stiles lo accettava per ciò che era, perché era Xav.

    «vattene, stiles. Dico davvero»
    «ma che dici? Dobbiamo cercarlo, dobbiamo…»
    «non è roba per te, ora fai un favore a tutti quanti e riporta il tuo culo a Hogwarts»
    «xav…»
    «vattene. Torna a casa»
    «che cazzo, stevens. non sono un bambino»
    «ti comporti come tale»
    «posso essere utile»
    «no, invece»
    Era stato in quel momento, frustrato ed arrabbiato, che senza preavviso l’aveva spinto a terra. Perché, da quando era apparso nella sua vita, Xavier Stevens era stato un problema.
    Troppo diverso.
    Troppo violento.
    Troppo Xav.
    Doveva aver colto di sorpresa entrambi, perché lui non si difese e Stiles potè effettivamente guardarlo dall’alto, il fiato corto. Voleva chiedergli scusa, voleva supplicarlo che lo aiutasse, che facesse qualcosa. Che facessero qualcosa.
    «sai una cosa? Vaffanculo. Dovevano prendere te al suo posto» e Xav aveva allungato le gambe, spingendo contro le sue per farlo scivolare al suolo. Si era rialzato e l’aveva fatto alzare prendendolo dal colletto della maglietta bianca, per poi sbatterlo contro il muro – e Andrew, Andrew Stilinski, neanche ci aveva provato a difendersi.
    Perché non lo pensava davvero.
    «levati.dal.cazzo»
    E Stiles l’aveva fatto.

    Aveva aspettato seduto sul portico di casa Withpotatoes finchè anche la calura estiva non era scemata lasciandolo più freddo di quanto una notte d’agosto promettesse, la pagina stropicciata fra le dita e la testa appoggiata al corrimano. Quando aveva sentito la macchina arrivare, si era immediatamente alzato in piedi, le braccia abbandonate lungo i fianchi ed un espressione triste a curvare le labbra verso il basso. «non sapevo dove altro andare» aveva ammesso, evitando le occhiate incupite della famiglia. «ho visto… mi dispiace» aveva indicato il bollettino del Morsmordre, dove Hope e Nathan Withpotatoes accompagnavano la foto di Jay. «volevo chiedervi se posso… se possiamo…» se potete non lasciarmi da solo. Aveva deglutito, maledicendo quel briciolo di coraggio che l’aveva spinto a bussare alla loro porta. Neanche il tempo di alzare lo sguardo per incrociare gli occhi di Isaac, che le braccia di Idem l’avevano già stretto a sé, la voce della collega a sussurrare fioche menzogne brillanti come fari nella notte. «li ritroveremo» una pacca sulla spalla, un mezzo sorriso che si sforzava di essere ottimista e cercava di nascondere lo stesso, vacuo, baratro di fallimento. «insieme» e Stiles aveva annuito con il sorriso sbilenco che rivolgeva a Shane quando gli diceva che poteva uscire ed avrebbe sistemato lui gli ultimi clienti.
    Quello che ci provava sempre, ma non ci credeva mai.

    Non sapeva quanto fosse passato dall’ultima volta che aveva parlato con Xav. Una settimana? Due? Un mese? Due? Si era chiuso in testardo silenzio stampa, e nessuno dei fremelli rimanenti sembrava in vena di fare ammenda per i trascorsi.
    Potevano anche essere diametralmente diversi, ma c’era una cosa in cui entrambi erano dei veri animali guida: ignorare il problema.
    «TI HO PORTATO UN REGALO» così, senza troppi preamboli. Il rinomato sopracciglio del pirocineta era scattato verso l’alto, ma perlomeno non gli aveva chiuso la porta in faccia. «illuminami» «GUARDA» e pieno d’orgoglio, un sorriso a più denti di quanti la sua bocca ne contenesse, Stiles aveva fatto cadere sul letto le fascette personalizzate (?) che avrebbero dovuto indossare per evitare i falsi allarmi Jayson, ciascuna con una frase stupida (tipo datti fuoco, prima che lo faccia io per te per intenderci). Il silenzio si era protratto così a lungo che Andrew aveva dovuto cercare lo sguardo del fremello, il cuore a battere un po’ troppo rapidamente nel timore che quel poco che avevano, il quale per Stiles valeva come tutto, fosse definitivamente andato a farsi fottere.
    E invece. «sei davvero un coglione»
    «beh, qualcosa dovevo pur prenderlo da te. non picchiarmi!»

    Era stato ingenuo, un perfetto Andrew Stilinski a credere che tutto stesse tornando alla normalità. Avevano trovato tutti i dispersi, sani e salvi; c’era stato qualche ferito, ma nulla di grave. Era passato a trovare Dakota in ospedale, portandogli uno di quei palloncini all’elio con una faccina sopra, e ne aveva portato un altro a forma di unicorno solo per sé così da poterlo aspirare e parlare con la dolce voce da fata. Hope stava bene, Shane era tornato al lavoro senza alcun danno, Jack era Jack e Jeremy faceva il figo raccontando di come con i suoi amiki aveva decapitato persone.
    Tutto nella norma, e la gang riunita.
    A Natale, in un pacco anonimo e dall’aria davvero creepy, Stiles aveva trovato un tatuato, disorientato, ma felice Stich. Ebbene sì, Sticazzi Lovinski, l’unico ed inimitabile; si era spesso domandato insieme ad Isaac se esistesse davvero, cosa faceva della sua vita quando non scriveva loro delle lettere. In realtà, era sempre stato convinto che fosse un bambino, non un adolescente. Ma indovinate chi, stringendo quel (non troppo) piccolo corpo al petto con tutto il mio proprio cuore di papà, decise di non porsi domande? Stiles, la risposta era Stiles.
    Tutto nella norma, e la famiglia riunita.
    Con Karma, a Sara piace credere che stesse andando tutto a gonfie vele, con tanto di felici ed innamorate (ma loro non usavano quella parola) abusive nelle aule vuote di Hogwarts, fra le pause di Stiles e quelle fra una lezione e l’altra della Caposcuola Serpeverde. Jay era il solito confuso, Xav era ancora lo stronzo, e Stiles era… Stiles. Era finito l’anno, e l’aveva festeggiato con Karmo Montgomery (e bacio miracoloso di mezzanotte che l’aveva fatta tornare Karma, Mujer tu forse non lo sai ma noi ci crediamo) e l’allegra compagnia dell’anello, a fare cose assolutamente prive di senso come al solito.
    Tutto nella norma, l’agognata tranquillità poco tranquilla a cui Andrew Stilinski aspirava.
    Finchè.

    «CHE C’È? DI COSA DOBBIAMO PARLARE?» Quando mai Stiles si sentiva a suo agio quando qualcuno diceva di dovergli parlare. Xav e Jay, già seduti ad un anonimo tavolino di un’anonima tavola calda di Londra, lo guardarono senza battere il ciglio – il primo presumibilmente supplicando Morgan che mettese fine alle sofferenze di Stiles, ed il secondo perché… beh, perché era la naturale reazione degli esseri umani a Stiles. Jay, mandante di tale fremell reunion, rimase in silenzio mentre Stiles prendeva posto di fronte a loro, il labbro inferiore stretto fra i denti.
    Oddio, era incinta. Anche lui. Sembrava periodo, anche l’assistente di corpo a corpo era incinta, nonché la creepy donna che aveva sostituito Damian per un periodo ad Hogwarts. Ah, gli ormoni di fine estate, che furbetti.
    Quando fece scivolare un fascicolo sul tavolo, i timori di Stiles furono maggiormente fondati. Si inumidì le labbra secche dal freddo ed osservò la busta marrone con sguardo critico, il sopracciglio di Xav a scattare verso l’alto (ancora? sempre. L’ho detto che è un marchio di fabbrica). Nessuno dei due fece cenno di volerlo prendere, per cui Jay lo spinse ancora più al centro della tavola. «non sarai una madre single» disse, prima ancora di assicurarsi del contenuto della busta. Ormai era particolarmente sensibile all’argomento genitori, con uno Stich a carico diviso fra casa Stilinski e Withpotatoes, in un ping pong da oscar. «spero ci siano dentro i soldi che mi devi» Xavier fu il primo a rompere il silenzio, guadagnandosi un’occhiata di sottecchi da Jay. «quali soldi?» «ah, brutto l’alzheimer, eh freme» un sorriso sbilenco, uno Stiles ancora (stranamente) confuso dalla vita. Si azzardò quindi ad allungare le mani, prendendo il fascicolo fra le mani e scuotendolo vicino all’orecchio per sentire il fruscio delle banconote. «no xav, penso che la questione sia molto più seria» languido, ruotò lo sguardo comprensivo verso lo smemofremello, le dita allungate sul tavolo per poggiarle sul dorso della mano Jay. Immaginava che, come la scatola ch’egli custodiva sotto il letto, contenesse i disegni e le foto del suo (o dei suoi?) bambino, e che stesse finalmente per rivelare loro la sua paternità.
    E invece.
    Corrugò le sopracciglia, mentre distratto sfogliava le pagine del dossier. Non alzò lo sguardo su Jay mentre rapido leggeva le righe, ma il sorriso vacillò sempre più finchè le labbra non si trovarono serrate in una linea sottile. Stupido e senza senso, ma… «ah» non era impallidito, lasciava quel genere di cose a Bella quando aveva scoperto che Edward era un vampiro, però ci era dannatamente vicino. Si sentiva vuoto, come se l’avessero privato di un altro pezzo della sua vita che aveva sempre dato per scontato. Perché, senza alcun motivo specifico che lo inducesse a farlo se non la somiglianza, Stiles si era davvero convinto che Jay facesse parte della sua famiglia. Sapere che ne aveva un’altra, era una storia completamente diversa.
    Specialmente quell’altra, a confermare una tesi che turbava Stiles da quando aveva firmato le carte per far loro da garante nella loro nuova abitazione. «sembra…» lasciò la frase in sospeso, il fascicolo nuovamente chiuso e spinto in direzione di Xav. «oh beh» una grezza risata ad alleggerire l’atmosfera, il capo a muoversi prima a destra e poi a sinistra. Si schiarì la voce, le dita a sollevare l’orlo della manica sinistra. «ah, si è fatto proprio tardi» «non hai un orologio» quisquiglie. Strinse le labbra fra loro osservando il polso nudo, le sopracciglia aggrottate. «loki sta di nuovo cercando di mangiare nick» Loki era il suo Jarvey, e Nick più che suo cugino era il suo bradipo. Sembrava una scusa accampata alla bell’è meglio per telare… ed in effetti lo era, ma non significava che una situazione del genere non si fosse mai realmente presentata, anzi. «e devo andare prendere stich dalla scuola di ballo» quale. «ci vediamo, eh»
    Per inciso, non si videro.

    Aveva ponderato la scelta così a lungo da consumarla, come una caramella spinta sul palato per protrarne il sapore il più a lungo possibile. Andrew Stilinski non era bravo in tante cose, ma prendere decisioni era forse la cosa che gli riusciva peggio. Eppure, alla fine, aveva scribacchiato il proprio nome sull’agenda degli appuntamenti di Shane Howe.
    Perché c’erano ancora notti in cui Stiles, le lenzuola fino a metà busto, rilanciava la pallina da tennis; premeva la testa sul cuscino, lo abbracciava, si raggomitolava alla ricerca di calore. Perché c’erano ancora giorni in cui rimaneva sdraiato sul divano a fissare un punto sul soffitto, la gamba penzoloni ed il tempo a scorrere nocivo sopra di sé.
    Perché quando aveva iniziato il tirocinio di Psicomagia e gli avevano detto che il motivo principale a spingere qualcuno verso quel percorso era il bisogno, intimo ed apparentemente sopito, di dover andare da uno Psicomago, non aveva voluto crederci.
    Perché, in realtà, avevano sempre avuto ragione. Per parlare con qualcuno, sapete. Anche solo mezz’ora, protetto dal segreto professionale. E di Shane, malgrado tutto, si fidava. Non poteva accettare lo sguardo di Idem, né avrebbe avuto il coraggio di spogliarsi così di fronte a Cameron.
    Quindi.

    «ehiiiiiiiiilà» si schiarì la voce bussando alla porta del loro (?) ufficio, sentendosi un estraneo malgrado passasse lì dentro la maggior parte del suo tempo. Le mani nascoste dietro la schiena, un sorriso furtivo a fior di labbra. «pensavo sentissi la mia mancanza» quando mai, cosa stai dicendo. Indicò l’agenda aperta di fronte a Shane, per poi indicare sé stesso: indossava una felpa gialla con cappuccio e zip, semplici jeans ed un paio di consunte scarpe di tela che poco avevano a che fare con il rigido clima di gennaio, ma a Stiles non importava. Mostrò infine l’oggetto nascosto con tanta cura dietro di sé, avvicinandosi di un passo alla scrivania per poterlo posare sopra. «un vecchio saggio» Dakota, per intenderci. «mi ha detto che gli studenti una volta erano soliti portare una mela ai propri insegnanti in segno di…rispetto?» in realtà non ne era sicuro, ma confidava che Shane, come lui, non lo sapesse. Alla peggio, non sarebbe stata la prima figura di merda che faceva con l’ex Serpeverde. «però io non sono uno studente, quindi… e poi è più buona» sfiorò distrattamente le lunghe foglie verdi dell’ananas che aveva smollato di fronte all’Howe, sistemandole come Cinna aveva sistemato la spilla della ghiandaia imitatrice sul petto di Katniss prima ch’ella entrasse nell’arena. Rimase in piedi, disturbato e disturbante, a dondolare sui talloni. Ma cosa gli era girato nel cervello? Era perfino un padre di famiglia, buon joystick! Tossicchiò ancora giocherellando con i lacci della felpa, gli occhi a vagare sul soffitto della stanza. «freddino, eh? Per domani hanno dato pioggia. Eh, non esistono più le mezze stagioni» cosa doveva dire? Come si faceva? Perché l’aveva fatto? Chi era in realtà A? Chi ha ucciso i genitori di Batman? Chi era il misterioso utente anonimo che gli aveva inviato un Ditto su Pokèmon? Qual era la differenza fra anice e menta? Chi aveva rubato la Gioconda?
    Inutile dire che fra le cose che Andrew Stilinski non sapeva fare, c’era vivere.


    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia


    Ambientata un giorno a caso di gennaio #wat CIAO
     
    .
1 replies since 10/7/2016, 21:36   300 views
  Share  
.
Top