Bad day? Let's have a Hug in a Cup

Siria & Selenya

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    Un sogno.
    Era sempre lo stesso.
    La pioggia ticchettante sul vetro delle finestre; il vento contro le imposte in legno; le nubi sinistre che si avvicinano lentamente e una carezza leggera sul volto.
    Inizia tutto con un rumore costante, insistente, invadente. Nocche che battono ruvide contro il legno della porta della casa di campagna. I fulmini lo accompagnano, annunciati dai lampi. La pioggia a far da sfondo alle voci irritate, arrabbiate, violente. Il pianto di una bambina e il riflesso su uno specchio. Sangue. Sangue ovunque: sul pavimento, sul muro lilla e viola, sul tavolo, sulle mensole, sui calzini, sulle mani, tra le dita. E all'improvviso tutto diventa rosso. Il sangue circonda ogni cosa, assalta la vista e il respiro, annientando il resto. Tutto è sangue.

    Da bambina era solita gridare qualche istante prima di aprire gli occhi, con la fronte madida di sudore e il corpo scosso dai tremori. Si svegliava innescando delle reazioni a catena, Siria, quando la sua magia si risvegliava con sé. Rompeva gli oggetti nel sonno, accendeva fuochi attorno a sé, respingeva coloro i quali provavano a strapparla da quel mondo fatto di sangue e grida. Avevano dovuto sedarla tutte le notti per una breve parentesi della sua esistenza. L'odio e la perdita erano troppo vivi, troppo radicate nel suo animo e rinnegate alla luce del sole, da renderle impossibile il solo prendere sonno. Così, i direttori dell'orfanotrofio nel quale era cresciuta, avevano preso la decisione di aiutarla a dormire, facendole ingerire grandi dosi di pozione soporifera ogni sera, solamente così riusciva a non sognare. Solamente in seguito avevano capito che per far sì che ella riuscisse a superare la perdita dei genitori, per quanto poco importasse loro la cosa, dovevano insegnarle a controllare i sogni.
    Da allora erano passati molti anni e seppure il dolore e la paura tornavano a visitarla in sogno, Siria riusciva a distinguere le dinamiche del mondo onirico da quelle del mondo reale. Non si svegliava più gridando, non distruggeva gli oggetti attorno a sé, si limitava ad aprire gli occhi mordendosi un labbro per ricacciare le lacrime. Con gli anni quel sogno era diventato sempre più raro, ma le poche volte nelle quali rivedeva i volti dei suoi genitori trasfigurati dal dolore e dalla morte, si portava dietro un'aura letale per tutta la giornata.
    Era proprio in quei giorni che aveva bisogno di avere al suo fianco quelle poche persone che la conoscevano davvero. Aveva bisogno di annientare le maschere che indossava a Hogwarts e tornare ad essere sé stessa, anche se per un'ora soltanto. In quei giorni aveva bisogno di ricordare a sé stessa chi era e quali erano i suoi scopi. Aveva bisogno di ridere, di scherzare, di riabbracciare quei lati di lei che era costretta a sopprimere ogni giorno. Aveva bisogno di piangere per tutto il dolore che era stata costretta a causare e per tutte le decisioni che aveva dovuto prendere e che mai avrebbe voluto scegliere. Aveva bisogno di vivere, ma vivere davvero.
    Quel giorno dei primi di giugno era uno di quelli.
    Durante le lezioni era stata scostante, distratta, stranita dalle sensazioni negative che l'avevano assalita quella notte. Aveva preso appunti, come sempre, aveva seguito le lezioni, ma si era dimostrata distante, assente, non partecipe come era solito fare. Si era resa conto di aver bisogno di cambiare aria quando aveva quasi spedito dall'altra parte della classe con un tocco di bacchetta un suo compagno di casa durante la lezione di Arti Oscure. In realtà era proprio quello lo scopo della lezione, ma solitamente, nonostante facesse del suo meglio anche in quei casi, si sentiva in colpa quando obbligatoriamente feriva o urtava un suo compagno. Quella mattina, tuttavia, non aveva sentito niente.
    Nei momenti che seguirono l'uscita dalla classe, incrociò Selenya. Bastò un'occhiata perché ella capisse che c'era qualcosa che non andava, tuttavia, osservate dai professori, non osarono scambiare altre parole se non le classiche di rito. Tutti sapevano che erano amiche, ma ben pochi erano a parte della vera anima di Siria, perciò, una volta nascosta in biblioteca, durante un'ora buca, la Corvonero scarabocchio due righe su una pergamena piuttosto stropicciata e corse alla guferia, spedendo il messaggio all'amica. Era una pratica piuttosto inusuale, avrebbe potuto tranquillamente fermarla in corridoio e darle appuntamento per quel pomeriggio, ma nella situazione nella quale si trovava, era certa che non sarebbe riuscita a mantenere il fragile castello di carte che aveva costruito attorno a sé quella mattina.

    Ho bisogno di cambiare aria, Sel. È una di quelle barbosissime giornate no... Ti va di fare un salto a Hogsmeade questo pomeriggio? Andrò comunque da Madama Piediburro, se hai voglia di ciccioneggiare sgranocchiare qualche dolcetto, mi trovi lì per le 17:00.

    Ti abbraccio, Siria


    La Black non si premurò di criptare il messaggio, dopotutto non c'era niente di strano in ciò che aveva proposto all'amica.
    Le ore che ne seguirono furono in apparenza più leggere, probabilmente a causa del pensiero fisso del thé caldo che la attendeva quel pomeriggio.
    Attese le quattro per uscire. Era certa di arrivare un po' in anticipo, ma era sempre meglio che arrivare più tardi. Non aveva scelto quel locale a caso. I Tre Manici di Scopa erano i più indicati per parlare di cose riservate, essendoci un mare di gente nessuno si focalizzava sulle attività del prossimo, salvo essere mandati lì proprio per quello. La Testa di Porco era il luogo preferito dei professori e degli studenti più grandi, alcohol e bevande non più proibite giravano più facilmente ed era il covo dei malfidati, nonostante questo fosse un eufemismo, visto che la maggioranza degli individui oramai era malfidata. Madama Piediburro, al contrario dei due, ospitava per la maggiore studenti di Hogwarts e coppiette di ogni genere. Era il luogo prediletto per amoreggiare tra dolcetti e caramelle. Il luogo perfetto, insomma, per passare inosservati. Chi frequentava quel locale, solitamente non aveva occhi per altri se non il proprio partner e, in ogni caso, degli atteggiamenti più gentili e aperti, tra quelle quattro mura non avrebbero destato il minimo sospetto, dopotutto, quale individuo non diventa più dolce di fronte a una vasta scelta di cioccolate bollenti?
    Ne ebbe la conferma una volta messo piede nel locale, nessuno si accorse del suo arrivo, se non la proprietaria del negozio.
    Richiese un tavolo per due, il più lontano dal centro della stanza, e per accontentarla, la donna, la fece accomodare nel lato est del locale. Le disse che stava aspettando un'amica, così la donna se ne andò, dicendo che sarebbe passata più tardi.
    Seduta verso l'ingresso, Siria lasciò vagare la mente, ripercorrendo nella memoria le immagini che aveva rivisto in sogno.
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    Era una giornata nuvolosa, non tipica per le giornate di giugno. L'aria era ferma immobile, creando una certa afa. Nelle aule mancava quasi l'aria, ma si riusciva a sopravvivere. Quella mattina mi ero vestita solo con la camicia della divisa con qualche bottone aperto e la gonna come di consueto. La maggior parte delle ragazze aveva avuto la mia stessa idea e anche i ragazzi si erano messi in tenuta quasi estiva.
    Mentre percorrevo il corridoio che mi avrebbe portato alla mia prossima lezione, passai in mezzo ad un gruppo di ragazzi che stava uscendo dall'aula. Tra questi riconobbi subito Siria e... Mi preoccupai! Sembrava avere qualcosa, sembrava non stare bene... Aveva l'influenza? La febbre? No, sembrava qualcos'altro, qualcosa di più radicato, un male che la faceva soffrire fin da quando ne aveva memoria... Siria l'avevo conosciuta ad una lezione, che poi si era trasformata in un lavoro a coppie ed ero capitata con lei. Col mio carattere non ero riuscita subito a legare con lei, io ero timida, lei fredda e scostante. I giorni passavano e un po' per necessità (la ricerca non si faceva da sola) e un po' di coraggio, cominciammo a legare, scoprendo che avevamo parecchio in comune. Da quel momento non eravamo diventate amiche inseparabili, però ci cercavamo se avevamo bisogno di staccare dal mondo, sfogarci ed essere noi stesse. Come altri, purtroppo anche Siria frequentava la Stanza delle Torture e mi ero ritrovata più di qualche volta a medicarle alcune ferite. Stavolta, quella stanza non c'entrava niente. Sapevo poco del suo passato, così come lei sapeva poco del mio, e pensai che quel dolore che le leggevo negli occhi fosse dovuto proprio a quel passato che ancora non conoscevo. Le feci un piccolo cenno con la mano, giusto per farle capire che l'avevo vista e poi continuai la mia camminata verso l'aula.
    Per le restanti ore seguenti, non riuscii a togliermi dalla mente gli occhi di Siria. Sembravano quasi chiedermi aiuto... Quando arrivai nella mia stanza, notai sul letto un biglietto. La mia compagna di stanza non c'era, quindi forse era un biglietto che aveva lasciato lei. Mi avvicinai al letto e presi il foglietto.

    Ho bisogno di cambiare aria, Sel. È una di quelle barbosissime giornate no... Ti va di fare un salto a Hogsmeade questo pomeriggio? Andrò comunque da Madama Piediburro, se hai voglia di ciccioneggiare sgranocchiare qualche dolcetto, mi trovi lì per le 17:00.
    Ti abbraccio, Siria


    Sorrisi alle sue parole. Quindi c'era davvero qualcosa che non andava. Guardai l'orologio appeso alla parete e vidi che erano le 16.30. Guardai com'ero vestita e Non posso uscire con la divisa, non credi?! chiesi retoricamente a Harry che mi guardava con il suo sguardo da cucciolo. Piegai il bigliettino e lo misi sul mio comodino, poi andai verso l'armadio e tirai fuori una magliettina bianca a maniche lunghe leggera e jeans blu; i capelli decisi di lasciarli liberi e lisci. Se dovevo arricciarli ci avrei impiegato troppo tempo e Siria avrebbe pensato che non la volessi vedere. Mi vestii in fretta e salutai Harry con un piccolo bacino sulla testa. Mi avviai verso l'uscita, stando attenta a non incontrare dei torturatori che avevano una giornata no. A quell'ora c'era poca gente in giro per il castello, erano o tutti nelle loro stanze o alle ultime lezioni. Mi affrettai a raggiungere l'uscita del castello e, in poco tempo, mi ritrovai ad Hogsmeade. Sarebbe stato strano rivederlo per tutta l'estate. Mio zio mi aveva scritto che non dovevo tornare a casa quell'estate e quindi l'avrei dovuta passare a scuola. Camminando per le varie viuzze, riuscii ad arrivare a Madama Piediburro con solo cinque minuti di ritardo. Entrai facendo tintinnare il campannellino sopra la porta e cominciai a guardarmi attorno, alla ricerca della mia amica. La trovai poco dopo ad un tavolo non troppo lontano dall'entrata e mi avvicinai velocemente. Madama Piediburro era uno di quei locali fatti apposta per le coppiette ed infatti, la maggior parte dei tavoli era occupata da coppie apparentemente innamorate. Eccomi Siria! Scusa il ritardo! esordii, sedendomi davanti a lei e attirando la sua attenzione.
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    Ripassava i volti nella mente. I colori si ripresentavano vividi, spruzzati contro la tela nera che rappresentavano i suoi ricordi. Il sangue appariva di un chiaro color rosso mattone, gocciolante sul pavimento candido e le calse di un chiaro color giallo limone. Ricordava le espressioni, le voci, i colori, persino la temperatura e il freddo che silenzioso si era infilato tra le maglie dei calzini in cotone e l'aveva fatta rabbrividire. Aveva tremato per un attimo soltanto prima di avvertire il corpo scuotersi a causa dei brividi dati dal terrore. Rivide in un attimo la manciata di secondi che avevano strappato la vita dagli occhi di sua madre.
    Scosse il capo, dopo essersi accorta di avere la pelle d'oca, e con stizza si passò una mano sugli occhi, come volesse allontanare dalla mente quegli orribili ricordi. Doveva smetterla. Doveva smetterla di farsi del male riportando alla mente ciò che avrebbe voluto volentieri dimenticare. Era il buono di ciò che era stato che doveva portare nel cuore, non quei terribili attimi.
    Fortunatamente l'arrivo di Selenya la strappò dai suoi ricordi. La individuò quasi subito, nel mezzo del locale decorato sui toni del rosso e del rosa, i capelli biondi dell'amica risaltavano rendendole impossibile non notarla. La salutò con un lieve cenno, indicandole la via. Attese con pazienza che la raggiungesse, tacendo su quale era stato il motivo per il quale aveva scelto di uscire quel pomeriggio; chiamò invece la padrona del negozio e lasciò che l'amica ordinasse prima di chiedere un Thé caldo alla menta e una ciambella gigante con la glassa verde fluo.
    Quello strano abbinamento di gusti aveva da sempre la capacità di calmarla e allontanare dalla sua mente le sensazioni che quei sogni risvegliavano in lei.
    «Ma figurati...» Le rispose, una volta andata via la cameriera. «Anzi, ti ringrazio.» Aggiunse con un lieve sorriso.
    Selenya aveva imparato a sue spese che per Siria non era facile esprimere i propri sentimenti o fare complimenti di qualunque genere. Si sentiva a disagio nel parlare di ciò che provava, perché sapeva che i sentimenti erano l'unica arma in grado di ferirla più a fondo di una maledizione senza perdono. Non c'erano armi più efficaci del ferire un nemico a livello emotivo. Bastava sfruttare le debolezze del proprio avversario e piegare la sua volontà e il gioco era fatto. Per Siria confessare i propri sentimenti o parlare di ciò che la faceva star male significava lasciare la propria vita nelle mani dell'altro. Per questa ragione, anche quel giorno trovò difficile lasciarsi andare e parlare all'amica di quell'ennesimo sogno, perciò, nell'attesa di avere il suo thé bollente, le chiese:
    «Beh, che hai combinato oggi, in giro per il castello?»
    Era la domanda più stupida dell'universo, ma avrebbe dato la possibilità all'amica di aggirare il discorso e farsi dire cosa diavolo aveva reso lo sguardo della Black così letale.
    Non accadeva molto spesso che lo sguardo di Siria riflettesse ciò che il Governo attuale aveva sempre cercato di inculcare ai giovani studenti di Hogwarts. In quei giorni, tuttavia, lo sguardo di Siria rifletteva l'odio e la completa assenza di compassione, perché nella sua mente, accanto ai volti dei genitori defunti, vedeva la fine che avrebbe desiderato far fare a coloro i quali li avevano eliminati. Vendetta. Il suo sguardo, quel giorno, annegava nella vendetta, circondato dalle lievi rughe d'espressione che si disegnavano sul suo volto quando corrugava le sopracciglia.
    Una cameriera giunse qualche minuto dopo, consegnando loro le ordinazioni. Così, Siria abbassò lo sguardo, lasciando vagare la sua memoria assieme ad esso sulla superficie della soluzione bollente che riposava sulla tazza.
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    Scusami tanto per l'attesa, non è da me! Di solito non ci metto così tanto per rispondere! Mi vergogno di me stessa ç___ç
    E scusa per questa schifezzina <.<


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    Si vedeva da lontano che Siria non stava bene. Avevo uno sguardo completamente spento, senza emozioni. Siria non lasciava quasi mai trasparire emozioni, al contrario mio. Io ero molto emotiva e sul mio volto si rispecchiava tutto ciò che provavo. E questo era sicuramente uno svantaggio. Molti ne approfittavano per prendermi in giro o farmi reagire come volevano loro. Da piccola, mi ero ritrovata in parecchie situazioni imbarazzanti o scomode ed ogni volta finiva con me in lacrime abbracciata a mio zio. Ora la situazione era cambiata, ovviamente: ero cresciuta e maturata, però non ero ancora capace di domare le mie emozioni. Era più forte di me: non riuscivo a rimanere impassibile di fronte a certe situazioni. Alcune volte, volevo essere come quelle persone che indossavano maschere di freddezza, insensibili a tutto e a tutti. Mio zio mi ripeteva che ero come mia madre (per quanto poco l'abbia conosciuta), che mi lasciavo prendere troppo dalle emozioni così che tutti se ne potevano approfittare. Mi sarebbe tanto piaciuta conoscerla... Magari lei mi avrebbe aiutato ad affrontare questo problema -sì, per me era un problema!- e riuscire a superarlo, o per lo meno a controllarlo.

    Appena mi sedetti di fronte alla mia amica, lei chiamò la padrona per ordinare qualcosa e Un tea verde, grazie le chiesi con un sorriso, mentre Siria ordinava un tea alla menta e una ciambella con glassa verde fluo. Uno strano abbinamento.
    «Beh, che hai combinato oggi, in giro per il castello?»
    Sapevo che non potevo chiederle direttamente cosa c'era che non andava. A differenza mia, Siria era una di quelle persone che faceva fatica a mostrare le sue emozioni agli altri, che si chiudeva in sé stessa e ti diceva solo poche notizie. Mi dispiaceva perché era una ragazza fantastica dopo averla conosciuta. Niente di che... Ho seguito le lezioni e letto qualche libro. Le solite cose, insomma le sorrisi. E tu invece? Qualcosa di interessante? Bisognava partire piano con lei, non chiederle subito ciò che la turbava. Lo sguardo che mi aveva lanciato appena l'avevo scorta fuori dall'aula, mi aveva messo in allarme, preoccupato. Siria era una delle poche ragazze con cui andavo d'accordo e mi dispiaceva sempre vederla un po' giù di morale. Anche se non eravamo migliori amiche, ci tenevo a lei, volevo vederla felice.
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