I feel like there might be something that I'll miss

Shane x Rose

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    « mayhem »

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    - STANZA PSICOMAGHI -

    Shane Icesprite-Howe ✕ 18 ✕ EMPATHY ✕ PSYCHOWIZARD ✕ OBLIVIATE ✕ SHEET
    « WE WILL BE EPHEMERAL »

    Lo sguardo attento aveva potuto soffermarsi sul piumaggio scuro del suo pennuto ogni giorno per mesi, aveva potuto valutarne ogni sfumatura, così lucida ed intensa che quasi rifletteva il suo sguardo, verde come un fondale marino purissimo, grigio come la pietra più antica. Ogni volta riusciva a riscoprire un colore diverso tra le piume di Feather, che come prismi ottici gli rimandavano indietro un colore sempre diverso, eppure la sensazione di familiarità che quel pennuto gli suscitava era sempre la stessa, non non cambiava mai ed aveva come la sensazione che quel corvo lo conoscesse meglio di quanto si conosceva lui stesso. Sorrise in direzione di Feather, passando un dito sulla sua testa piccola e piumata, di rimando il corvo lo osservò dritto negli occhi, in quel modo, con quello stesso sguardo scuro che Shane aveva visto tempo prima, prima di precipitare nel vuoto e prenderne le sembianze, volare con lei e precipitare ancora al suolo. Quella strana sensazione di familiarità si faceva più intensa ogni qualvolta la sua pelle veniva a contatto con le piume dell'uccello, tanto da costringerlo a ritirare indietro la mano, ancora una volta, confuso. Aveva capito una cosa, Shane, e lo aveva capito perchè nonostante i ricordi fossero sbiaditi, forse persi per sempre, rimaneva un ragazzo intelligente, acuto, sveglio. Quel corvo aveva avuto un ruolo importante nella sua vita, quel corvo nascondeva probabilmente molti più ricordi di quanto lui stesso ne poteva vantare. Se solo potessi parlare, Feather. Accarezzò il piumaggio sotto il becco del corvo e quello sollevò la testa verso il soffitto, come se stesse osservando qualcosa, con sguardo fisso. E Shane imitò il suo movimento, sollevando la testa anche lui verso il soffitto per cercare di capire cosa lei stesse osservando, ma non c'era niente se non la muffa che macchiava la parete realizzando un disegno geometrico e...macchie di sangue? Riabbassò lo sguardo sull'animale, corrugando le sopracciglia Quando fai così mi spaventi però. Con un'ultima carezza regalata, si sollevò dalla poltrona nella quale si era seduto poco prima, in attesa che qualche studente facesse la sua comparsa in quello stanzino fin troppo angusto che rappresentava, ormai da tempo, il luogo di ritrovo degli studenti dai problemi più disparati. Affiancata all'infermeria di Hogwarts, infatti, era stata predisposta una stanzina dalle pareti spoglie e che conteneva lo stretto necessario per una chiacchierata: due poltrone in legno scrostato dal tempo, ravvicinate e dinnanzi le quali stava un tavolino con sopra sparsi dei fogli ed una penna magica che si agitava in aria in attesa di scrivere qualcosa, un tappeto morbido sul pavimento di legno, per il resto non c'era molto che potesse servire a mettere a proprio agio chi vi si presentava. Quella stanzina sarebbe servita agli psicomaghi del castello per aiutare studenti in difficoltà, ed in quella scuola ve n'erano davvero tanti, e come poteva essere il contrario? Ritrovarsi in panni differenti ogni volta non era facile per Shane, perchè il giovane Howe non era altruista, non lo era mai stato e non sarebbe stato quel potere a cambiare il suo temperamento prettamente asociale, soliatario, disinteressato. Si era detto che aiutare il prossimo, in fondo, non era mai stata la sua più grande aspirazione. Ma Hogwarts era la sua casa. Lo era sempre stata, lo aveva visto nascere e per quanto egoistico fosse, avrebbe voluto che tra quelle mura solide, che avevano visto pianti, urla, sangue, ci fosse quanta più armonia possibile. Per lui soprattutto, che passava al castello gran parte delle giornate, dividendosi tra questo lavoro e quello al San Mungo. Eppure, probabilmente avrebbe dovuto smettere, semplicemente smettere ed iniziare a lavorare su se stesso, rimettere insieme i cocci, i ricordi, ricostruire il suo passato, ma questo rappresentava per lui ancora uno ostacolo, non era pronto a guardarsi dentro, preferendo guardare dentro gli altri. Feather?
    Il suo corvo gracchiò, spalancando le ali e volando sulla sua spalla, artigliandone il tessuto sottile. Qualcuno era alla porta. Poco dopo sentì bussare e con pazienza annunciò Avanti. Attendendo di vedere chi si sarebbe rifugiato da lui quel giorno.
    sheet code © psìche
     
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  2. roselilian*
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    ROSELILIAN M. EVANS O'BRAN ( ) - 16 - Grifondoro - neutrale (buono) - sensibile e altruista
    «did you lose what won't return? did you love but never learn? no one cares, there's no one there »
    Erano tutti morti attorno a lei. Sua madre era morta. Suo padre era morto. E suo fratello, che stringeva convulsamente e disperatamente tra le braccia, non sarebbe sopravvissuto. Non ha senso che io continui a vivere mormorò senza fiato, le parole uscirono a singhiozzo, quasi strozzate, ognuna di esse era pena e sofferenza, il dolore di una coltellata e del ferro rovente sulla pelle. Che senso aveva respirare, vivere, percepire e sentire. Che senso aveva ridere, piangere, giocare, innamorarsi e amare. Nessuno era rimasto al suo fianco, era sola, poteva solo soffrire, di quel dolore patito dai suoi cari, mentre il senso della perdita l'attanagliava nella sua morsa maligna e inesorabile, Rose seppellì le sue lacrime nel collo del fratello, poi con un ultimo sguardo ai suoi genitori guardò l'unica finestra di quella stanza delle torture e portando il fratello con sé si lanciò contro il vetro, cadendo nel vuoto. Era inutile combattere. Era inutile vivere. Era inutile anche solo sperare di vivere una vita normale, sola, senza nessuno che la amasse.
    Era tutto finito. Era meglio così. Sentì il vetro rompersi e le schegge infilarsi nella sua carne. Mille schegge di dolore che la perforarono, l'aria che con la sua gelida carezza le presagiva la sorella morte e poi lo schianto con il suolo.

    Sussultò sulla poltrona, si era addormentata ancora una volta davanti al cammino, anche se in quel periodo di maggio ardeva di rado, visto che l'aria era più calda.
    Si sentiva sudata e accaldata, piccole gocce di sudore le scivolavano nell'incavo del collo e sotto la camicia. Allontanò il tessuto chiaro dalla pelle per permetterle di traspirare ed evitare che aderisse alla pelle candida del petto. Sentiva il respiro affannato a causa del sogno rallentare un po', ma il suo petto continuava ad alzarsi e abbassarsi con velocità. Continuava a fare quel sogno, continuava a sognare quella visione di lei che si toglieva la vita.
    Era arrivata a pensare che veramente forse ciò che aveva visto sarebbe accaduto, che forse togliersi la vita non era poi una cosa tanto difficile, che se avesse perso tutto sarebbe stata veramente capace di ferirsi mortalmente. Deglutì con forza, mentre con lo sguardo cercava freneticamente un bicchiere d'acqua in quella sala comunque afosa. Il sole entrava dalla finestra e illuminava l'intera stanza che piena di colori caldi, velluti e tappeti si riscaldava con facilità. Devo uscire da qui pensò su due piedi, aveva bisogno di fare due passi e di schiarirsi le idee. Forse potrei... il pensiero di recarsi in infermeria la colse di nuova, non di sorpresa come faceva un tempo, ne aveva quasi consapevolezza, forse parlarne con qualcuno di preparato era l'ideale.
    Scosse la testa come a cacciare quel pensiero. Non era pazza. Non aveva bisogno di parlare con uno psichiatra, non aveva ancora commesso nessun gesto disperato.
    "Ma forse lo compirai" la vocina dispettosa nella testa la ferì mentre si alzava traballante dal divano. La gonna della divisa, lievemente più corta del previsto, cadeva disordinatamente sulle sue gambe snelle, la sistemò con gesti secchi e decisi come a volersi imporre su qualcosa. Stirò la camicia che nonostante il caldo comunque le cadeva perfettamente sulle spalle e sul busto. Aveva slacciato la cravatta, allentandola e aveva sbottonato i primi bottoni della camicia, le maniche arrotolate sulle braccia esili e candide. Si passò una mano quasi tremante tra i capelli, ravvivando la sua chioma ramata. Doveva davvero uscire, lì dentro faceva troppo caldo. Forse poteva cercare una tazza di tè freddo in cucina. Si era una buona idea.
    Afferrò il cardigan della divisa e lo poggiò sulle spalle, controllò che portasse la bacchetta, la spilla da prefetto riluceva sul maglioncino. Fuori dal dormitorio, si fece da parte per far entrare alcuni ragazzini di prima, che le lanciarono un'occhiata preoccupata, ultimamente stava diventando troppo severa forse.
    Riprese a camminare e mentre scendeva i vari piani che la separavano dalla sua presunta metà, i pensieri che le affollavano la mente tornarono a pretendere attenzione, presuntuosi e arroganti esigevano ogni attimo della sua esistenza, non la lasciavano respirare e Rose viveva quasi nel terrore di dormire. Morse violentemente le sue labbra vermiglie pur di distrarsi, il dolore a volte aiutava a riflettere, ma quel giorno lo shock e il suo animo non le devano retta e così neppure il suo corpo. Prima di rendersene conto si ritrovò davanti all'infermeria.
    Era forse un segno quello? Le veniva da domandarsi, visto che era ad un passo dalla stanza degli psicomaghi. Eppure senza che se ne accorgesse era arrivata lì e ora era ad un passo dallo bussare, anzi la sua mano piccola e delicata, chiusa a pugno lo stava già facendo e quando sentì la voce di un ragazzo dire avanti, Rose non aveva nessuna altra opzione se non abbassare la maniglia ed entrare.
    Lo fece quasi timidamente, le spalle leggermente strette, lo sguardo un po' ansioso. Eppure - come le avrebbe detto sua madre - nonostante dormisse poco e apparisse stanca sembrava sempre una piccola bambola di porcellana con i capelli rosso fuoco.
    Salve esordì quasi titubante, gettando uno sguardo alla poltrona libera posta davanti a quella del ragazzo. Non lo conosceva, se non di vista. Non lo aveva mai osservato con attenzione se non per constatare che aveva dei meravigliosi capelli rossi, e lei adorava i capelli rossi, così come amava i suoi. Si accomodò sulla poltrona, la gonna aperta a ruota sulla poltrona, lievemente sopra la linea delle ginocchia. Batté qualche istante i piedi sul pavimento, un po' irrequieta, non aveva proprio idea di come iniziare a parlare. Cioè cosa doveva fare? Doveva presentarsi? Forse era il caso, e si diede mentalmente della stupida, era maleducazione iniziare a parlare senza neanche dire il proprio nome. Salve... ripeté, stava diventando monotona Sono Roselilian O'Bran...può chiamarmi come preferisce. Scelga lei...Rose, Lily...Roselils...si presentò, come gesto istintivo morse ancora una volta il labbro inferiore, rendendole se possibile ancora più rosso e gonfio. Okay non faccia caso a questa ultima parte, non so neanche perché l'ho detta. aggiunse lievemente imbarazzata, che diavolo stava blaterando, ma bisognava capirla, già non era molto in sé prima di entrare, non aveva idea del perché era arrivata lì, il ragazzo davanti a lei più grande e purtroppo per lei era anche un bel ragazzo e lei tendeva a diventare un'ameba in quei casi.
    Sinceramente non volevo venire, i miei piedi ci sono arrivati da soli, qui disse a mo' di spiegazione, come a voler giustificare il suo comportamento assurdo. Evitò accuratamente di fissare il giovane in viso, era meglio ridurre al minimo le situazioni assurde. E già parlare ad un perfetto sconosciuto di quello che succedeva nel suo cervello era assurdo per lei, figurarsi se doveva anche guardarlo in viso mentre parlava. Con questo non voglio dire che starò zitta e muta...eh ci tenne a chiarire, anzi stava solo prendendo coraggio per porre la sua domanda. Dopo qualche secondo di Rose-gioca-a-non-guardare-in-faccia-lo-psicomago, la Prefetta di Grifondoro sollevò leggermente il viso e le iridi verde smeraldo brillarono leggermente, lievemente offuscate da lacrime trattenute con forza che non sarebbero scese perché si calmò appena il suo sguardo si piantò su quello del giovane, aveva un aspetto "tenero" quello psicomago, quasi vulnerabile, come se invitasse la gente a fidarsi. Poteva fidarsi lei? O il tizio avrebbe semplicemente riso di lei.
    Non che ho molte opzioni. pensò prima di inspirare profondamente e buttarsi...meglio dire lasciarsi andare.
    Sarò diretta, mi scusi....secondo lei ho la faccia di una capace di suicidarsi? Di togliersi la vita parlò provando a mantenere la voce ferma e forte, ma con poca convinzione, il tono di voce si era affievolito un bel po' dall'inizio della domanda, strinse le mani sottili in vita, facendo sbiancare le nocche, la forza con cui le strinse era non indifferente se si teneva presente che la pelle di Rose era naturalmente molto candida.
    the heart is deceitful above all things,
     
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1 replies since 20/5/2016, 16:38   179 views
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