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post quest #06 | Deimos

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    Chiuse gli occhi fino a estraniarsi dal mondo, non importava se i rumori continuavano a rimbombare nelle sue orecchie, se il mondo voleva imporsi, lei avrebbe continuato a rimanere focalizzata sul terreno che danzava sotto i suoi piedi, sul soffitto che stava incominciando a sgretolarsi, così come la sua voglia di reagire. Ogni scossa diventava più forte esigendo di piegarla, di farla finita. Ma lei scuoteva la testa e rideva, Dio, rideva come solo un pazzo sa fare «vaffanculo, non oggi» urlava a un immagine sbiadita nella sua mente, a un fantasma dal camice bianco, non c’ era nessuno là sotto, chi avrebbe dovuto ascoltarla? Stanca, ferita, frustrata, incazzata, se ne avesse avuto le forze probabilmente avrebbe spaccato il cranio a qualcuno, così, per divertimento. Un ribelle in meno non avrebbe fatto la differenza, a chi sarebbe mancato? Dio, doveva essere ridotta male.
    Non pensava che ci fosse qualcosa di particolarmente divertente nel finire seppelliti sottoterra, non da morta né da viva. Perché, nonostante cercasse di illudersi, di ripetersi di avere tempo per finire il lavoro, non ne aveva, non ne aveva neanche per respirare. I ribelli erano stanchi, feriti, ma non vinti. Ora, ammirava la loro stupidità, ma continuare ad attaccare li avrebbe portati verso la tomba. Certo, potevano anche agognare una morte da eroi, ma a lei non fregava un cazzo e non l’ avrebbero trascinata con loro. Vogliamo parlare dell’ eredità, di lasciarla ai suoi fratelli? Col cazzo, quelle luride mani non si sarebbero mai posate sui soldi che aveva onestamente guadagnato. Posò le mani sul costato, lasciando scivolare le dita sulla zona che presumeva essere fratturata, digrignò i denti imprecando contro esseri sconosciuti «puttana ganja, ribelles bâtards» non si lamentava per la costola rotta, per carità non era niente, quanto più per il fatto che quello l’ avrebbe rallentata, cosa che l’ avrebbe resa inutile. nessuno aveva bisogno degli anelli più deboli. Scosse la testa, il dolore, le lamentele, tutta roba da poveri. Reagì, mosse un passo avanti ignorando il sangue scorreva tra le dita andando a formare una scia sul pavimento, qualche insignificante goccia non valeva il suo tempo, doveva solo raggiungere i massi, la scaletta, l’ uscita. Tre semplici passaggi con cui cercava di riempire la testa per impedirsi di guardare intorno, di controllare se qualcuno dei suoi amici si fosse ferito.
    Perché, nonostante cercasse di illudersi, di ripetersi di avere tempo per finire il lavoro, non ne aveva, non ne aveva neanche per respirare.
    Bandiera bianca, fine dei giochi.

    Chi non muore si rivede, dicevano. Akelei di certo non voleva dare l’ impressione di essere ormai sepolta sotto terra, privando in quel modo la gente della sua presenza. Come avrebbe potuto? Il giorno seguente la missione si era presentata al lavoro con la solita espressione ammiccante e la lingua troppo tagliente, se qualcosa era cambiato di certo non l’ aveva dato a vedere. Cicatrici, insignificanti graffi; un po’ di sangue in più sulle mani, qualche limone. Non era stata una missione facile o come tante altre, se l’ aveva fatta bestemmiare più di una volta? Certamente, ma nulla di memorabile. Non l’ avrebbe mai ammesso. Akelei Beaumont non era mai sincera su quel che pensava, perché avrebbe dovuto esserlo con se stessa? Non era fondamentale, poteva benissimo vivere in tante piccole menzogne, alcool e droga. Si sarebbe mai posta dei veri interrogativi? Probabilmente, ma non quel giorno. Il fuckin’ 24 aprile, un giorno come tanti, il giorno in cui era nata. Tecnicamente, erano nate. Morrigan e Akelei, le gemelle Beaumont, ma solo nei bei vecchi tempi; Morrigan aveva scelto di diventare una Delacroix, non che un fottuto pezzo di carta avrebbe cambiato il fatto che avesse tanto sangue di suo padre quanto ne aveva lei, e non l’ aveva mai capito. Non che si fosse sprecata a chiederglielo. Suonava meglio, aveva qualche problema con Lucien? Cazzo, aveva una passione frenata per il romanticismo?
    Fantastico, non le interessava. Non le interessava, che andasse a farsi fottere.
    E invece era importante.
    Un cognome completava il nome, la tua identità. Non definiva la tua persona, ma era fondamentale. Lo era per Akelei. Era ancora sua sorella, ma non nel modo in cui lo era una volta. Qualcosa era cambiato, c’ era stato un tempo in cui era scattato un interruttore, ma la bionda non si era posta domande. Non si era sprecata a domandare niente.
    La brillante Beaumont come avrebbe affrontato quel compleanno? Uscendo, ignorando la vita. Forse si sarebbe anche prodigata per degli auguri alla sorella, sarebbe bastato allungare a Pablo, uno degli elfi domestici, un pezzo di carta e lui avrebbe pensato a infilarci qualche cazzata. Quanto per il regalo avrebbe dovuto accontentarsi di essere imparentata con una persona così di buon gusto e gradevole come lei. Morgan, buona com’era l’ avrebbe anche invitata a bere con lei, e poi osavano dire che fosse una stronza. Ad annunciare la presenza di Belladonna fu il rimbombo dei suoi tacchi sul pavimento, insieme alla comparsa di Caine, un lupo che la donna aveva raccolto in strada, come se il suo lavoro fosse prendersi cura dei randagi. Ma diciamocelo, ad Akelei non dispiaceva la sua presenza, anche se non l’ avrebbe mai ammesso. «E anche oggi si va a limonare comandare» ammiccò alla bionda, storcendo il naso alla vista di un Caine intento a distruggere uno dei suoi calzini. Io lo ammazzo. Ovviamente, stava scherzando. Il sangue non andava via facilmente dai tappeti, lo sapeva bene.
    Quando si smaterializzano furono accolte da una ventata d’ aria fredda, accompagnata dalle risate di alcune persone fuori dal locale. Bla bla bla entrano e che bello il posto, non è tanto da poveri e può soddisfare le esigenze di Akelei. Non hanno una sala da poker, male. Adocchiò un ragazzo al bancone, non ne riconosceva il volto ma doveva avere all’ incirca la sua età, era sicuramente povero. Ah come le sarebbe piaciuto attirare la sua attenzione, ma Elisa è stanca e sarebbe capace solo di farle beccare una denuncia per molestie sessuali.

    - sorry dear, i'm allergic to bullsh*t - code yb ms. atelophobia


    MEGLIO TARDI CHE MAI (sì, l'ho aperta così per sport ma li voglio ‘sto due PE.)
    Vabbe muoio, Didi si fa le pre e post quest con le Beaumont, mica scemo.
     
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  2. #deimos
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    Pure-Blood Rebel Ex-Ravenclaw 19 Sheet
    In un'anima piena entra tutto e in un'anima vuota non entra nulla
    Deimos Campbell
    Fiendfyre
    Era stato davvero difficile, ma ce l'aveva fatta. E non era stata cosa da poco. C'erano volte in cui si lamentava per la stanchezza enorme che lo attanagliava alla fine di alcune ricerche, una stanchezza che gli impediva di tornare a casa con i propri piedi, che lo costringeva ad addormentarsi all'interno della discreta biblioteca dei Ricercatori della Resistenza. Lui prendeva profondamente sul serio quel lavoro, ma ne era scoraggiato, ultimamente. Avrebbe voluto avere un'esistenza normale. Non credere nella Resistenza. Avrebbe voluto non dover combattere. Ma lo faceva, perché non poteva non combattere per i suoi ideali. Per difendere i suoi cari.
    Tuttavia nulla l'aveva spossato più di quella missione. L'aveva svilito e sfiancato profondamente. Non era stata una vittoria, e ciò che non era vittoria era sconfitta. In molti dicevano che non era stata una sconfitta, poiché entrambi si erano arresi. Non solo i Ribelli, ma anche i Mangiamorte. Quindi entrambi avevano perso a tavolino. Nessuno aveva vinto era un'espressione sbagliata. Avevano vinto loro, aveva vinto il Governo. Di nuovo. I Ribelli erano scappati. La fine di una battaglia presuppone che qualcuno non vinca, non che non vincano ambo le parti. Perché in quel caso non era una battaglia: era una...
    Cazzata.
    Tirò un pugno frustato allo specchio, seguito subito da un «Cazzo» che riecheggiò per tutto il bagno e che accompagnò il lancinante dolore alla spalla destra. Si portò la mano sulla spalla, senza riuscire a trattenere una smorfia di dolore. Un taglio non molto profondo solcava la spalla. Era ben cicatrizzato (grazie alla medicina magica) e non gli procurava alcun dolore. Il problema era più a destra, verso la fine della clavicola: una macchia nera segnava la presenza di una contusione che gli arrecava dolore ogni volta che muoveva la spalla. Guardò la fialetta di liquido che si palesava invitante davanti ai suoi occhi, appoggiata accanto dal rubinetto. Pochi minuti fa aveva avuto una mezza idea di versare tutto quel liquido giù per il gabinetto, ma adesso... adesso sentiva di averne bisogno.
    Aveva protetto Tiffany con tutto se stesso, letteralmente. Merlino aveva pensato bene di ripagarlo con dei tagli sulle gambe che si erano rimarginati con una velocità incredibile in una sola notte. Per quello doveva ringraziare i dottori che erano intervenuti nel livello nascosto del San Mungo, quello riservato ai Resistenti, ma doveva ringraziare pure le abbondanti scorte di Dittamo dell'Ospedale e l'esistenza del Furula. E molti altri incantesimi. Era stato doloroso, però. Di tanto in tanto dalle bende usciva del fumo, come se le ferite venissero fuse al pari del metallo che diventava liquido, rilasciando molto fumo. Non aveva dormito, quella notte, era soltanto svenuto, a un certo punto. Era un ragazzo resistente, non si faceva abbattere facilmente dalle ferite (complice in ciò la Sala Torture di Hogwarts), ma chiunque a un certo punto crolla. Per lui il dolore era stato troppo ed era svenuto nella branda dell'Ospedale.
    Quando si era risvegliato non aveva più le bianche bende alle gambe: aveva la pelle liscia e intatta, prova di peli. “Potrebbero crescerti dei peli, però”, gli avevano detto mentre gli applicavano un altro unguento rosa maleodorante, prima di mettere le bende. Lui, stizzito, aveva sbraitato su cosa gli dovesse importare dei peli se aveva le gambe ridotte come un disgraziato andato a combattere nella Seconda Guerra Mondiale. Perché Deimos era completamente depilato, sì, informazioni molto importanti, interessanti e rilevanti. Colpa di suo padre: sul torace aveva pochi peli, sulle gambe troppi: alla fine era stato convinto dal padre e si era depilato tutto. Non voleva sembrare una scimmia sotto e un neonato sopra, ecco. Ora ritorniamo alle cose importanti, grazie.
    Quella fialetta che stava guardando conteneva del liquido ambrato e denso serviva a cancellare il dolore della contusione. Non avrebbe fatto sparire la macchia nera, ma non era un problema. La sua era una discoteca, non il Lilum: non si sarebbe dovuto denudare. Il solo problema di quel liquido era la sua controindicazione. “Sta' attento, Camp: a prescindere da quanto faccia male, fi cancella il dolore. Ma più ti fa male, più ti fa diventare... espansivo, questa pozione. Se non vuoi abbracciare gente a caso, controllati. Basta una goccia, non berne troppa e blabla, al giorno solo blabla, la notte questo e questo mi piace molto parlare e fine, vado a comandare. Chiaro?”, gli aveva detto il dottore.
    Fottesega. Allungò la lingua e fece cadere due grosse gocce del liquido su di essa. Ritrasse la lingua. Non sapeva di niente, quella pozione. Fece passare qualche istante. Effetto istantaneo dove? Non è cambiato niente, pensò stizzito, prendendo la fialetta con la mano destra e preparandosi a buttarne il contenuto del gabinetto. Si accorse che, seppur muovendo il braccio destro non aveva sentito alcun dolore. Sorrise, muovendo agilmente la spalla. Non gli faceva male, poteva andare ad aprire il Fiendfyre senza temere di muovere le braccia per prendere bottiglie e bicchieri da offrire ai clienti. Quelli che pagavano, s'intende.
    Poche ore dopo era dietro il bancone che sorrideva più del solito a tutti, versando da bere a quanti glielo chiedevano esibendo le monete d'oro e d'argento del Mondo Magico. Non c'era una festa in particolare, quella sera, ma il Fiend rimaneva aperto ogni sera, fino a tarda notte, come ogni buona discoteca che si rispetti, offrendo un servizio ristorazione e un servizio bar, di cui Deimos si stava occupando, con l'aiuto dei Camerieri. Le luci stroboscopiche provenienti da magiche sfere fluttuanti illuminavano tutta la discoteca vera e propria, mentre la zona bar era illuminata da una tenue luce che cambiava di colore lentamente. Molti di coloro che si sedevano presso il bancone lo facevano per potersi rilassare dopo delle danze sfrenate, mentre qualcun altro preferiva sedersi (e, molto spesso, pomiciare) sui comodi divani che si trovavano un po' ovunque: alcuni appartati, altri no. I luoghi preferiti erano forse i bagni. Non era raro trovare preservativi utilizzati, il che fa capire che luogo di perdizione fossero i bagni della discoteca.
    A volte la puzza regnava sovrana, almeno fino a che gli incantesimi orari si attivavano, cancellando le tracce del vomito dovuto ad assunzioni eccessive di superalcolici. Nel Fiend le droghe erano vietate, come in qualsiasi parte del Mondo Magico. Ma, come in qualsiasi parte del Mondo Magico, c'erano molti spacciatori. Se Deimos o i buttafuori ne trovavano, questi ultimi entravano in azione e li mandavano via senza troppi complimenti. Quella sembrava essere una serata abbastanza tranquilla. Nulla di speciale, musica sfrenata, balli ancor più sfrenati, pomiciate sui divani, ma nessun mago, strega o special sbattuto fuori, per il momento. Una serata tranquilla.
    Con la coda dell'occhio, vide che stava arrivando una ragazza. Fece un giro su se stesso, posando la Sambuca di Zia Sambuchella al suo posto, in una delle mensole lì dietro, per poi voltarsi verso la ragazza. Il suo sorriso rimase intatto, ma vedendo il suo viso riconobbe in lei una delle sue avversarie incontrate il giorno prima alla missione-cazzata. Non diede segno di riconoscerla, ma la accolse come faceva con tutti. «Siediti pure», la invitò, indicandole uno degli sgabelli liberi davanti al bancone. Lei non poteva riconoscerlo perché portava la maschera. Le sue mani però ricordavano ancora il suo prosperoso seno che avevano afferrato, quasi palpeggiato, per poterla scaraventare via. Nulla di anormale il fatto che le sue mani volessero ripetere l'esperienza: le prosperose curve superiori della ragazza erano invitanti, ma lui non ci voleva far caso. Il Proprietario del pub, in camicia bianca e gilet nero, accompagnati da pantaloni neri e papillon rosso, chiese «Cosa ti servo? Ti consiglio della Bevanda di Veela», aggiungendo poi con un occhiolino «Sembri proprio una di loro ».
    La pozione faceva decisamente effetto. Deimos non era mai stato più accogliente di quella sera.
    ✖ schema role by psìche
     
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